Questo muro - mcozzapoesie

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«QUESTO MURO»
DI FRANCO FORTINI
di Pier Vincenzo Mengaldo
Letteratura italiana Einaudi
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In:
Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere
Vol. IV.II, a cura di Alberto Asor Rosa,
Einaudi, Torino 1996
Letteratura italiana Einaudi
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Sommario
1.
Epoca, partizione e titolo.
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2.
Struttura.
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2.1.
2.2.
Connessioni interne e «libro».
Forme e aspetti della metrica.
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3.
Forme mentali, temi, significati.
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4.
«Fonti», riferimenti, presenze.
17
5.
Fenomeni linguistici.
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6.
Nota bibliografica.
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1. Epoca, partizione e titolo.
Questo muro contiene testi scritti fra il 1961 (anno della capitale Poesia delle rose)
e il 1972, ed esce nel ’731. Sono anni segnati soprattutto, per Fortini, dalla guerra
nel Vietnam, dall’irrobustirsi in Italia e altrove della sinistra non ufficiale, dal cosiddetto Sessantotto. Alla massima tensione liberatoria si contrappongono repressioni anche spietate. E ovvio che una poesia come la sua ne porti segni, ferite e lieviti, fino all’inserzione fra i testi poetici della prosa politico-oratoria di Un comizio
(pp. 345-47). Ma se un movimento è, inevitabile e stridulo, di immersione nel presente-cronaca, l’altro ne è l’inverso, cioè un distacco verso un linguaggio in cifra
che tanto più si rende necessario quanto più il presente punge. Ciò è sempre stato tipico di Fortini, poeta antirealistico, allegorico e utopico; ma lo è specialmente in questa raccolta della sua piena maturità, forse la sua più alta. Che è costruita
intanto su un sistema di attente oscillazioni e compensazioni fin dalle sezioni (cinque) che la scandiscono. Se Un comizio viene ospitato proprio in Di maniera e dal
vero, la sezione (ultima) benché paradossalmente più biografica, intima e stilizzata, la prima La posizione («mappa del paesaggio contemporaneo»)2 conosce invece le più esplicite torsioni allegoriche: e le due si guardano, come due oppostieguali, dall’inizio e dalla fine del libro. La sezione seconda, Versi a se stesso, cede
a una successiva allotria, Versi a un destinatario, e la citata quinta e ultima si sdoppia e si calibra in due modi complementari, «di maniera» e «dal vero» (cfr. anche
la sezione 3). Struttura studiatissima, a spinte e controspinte e a sotterranee intenzioni dialettiche. Comunque l’immissione delle singole liriche in insiemi compatti, che obbedisce anzitutto a intenti di partizione tematica (come Fortini ha dichiarato per la seconda edizione di Poesia e errore)3, vale anche ad aumentare su
di esse la pressione del contesto (si veda quanto diremo nel § 2.1), diminuendone
l’autosufficienza. E ciò avviene ancor più con la contrapposizione di registri tematici, e specie dei «lirici» ai «politici», che può appunto arrivare all’intrusione di
Un comizio4. In vicinanza del quale, letture puramente liriche dei testi, se mai erano possibili, non io sono più.
Dell’attività letteraria di Fortini in questi anni è soprattutto notevole la grande versione, a lungo protratta, del Faust goethiano. Non si vuol dire che in Questo
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F. FORTINI, Questo muro, Milano 1973. Questa raccolta è citata – distintamente o per semplice pagina – da Una
volta per sempre. Poesie 1938-1973, Torino 1978. Da questo volume si citeranno anche le raccolte Foglio di via (1946),
Poesia e errore 1937-1957 (1969; 1ª edizione Poesia ed errore, Milano 1959) e Una volta per sempre (1963).
2 E. ZINATO, Il dente della storia. Figure animali nella poesia di Fortini, in «Hortus», n. 16 (1994), p.21.
3 F. FORTINI, Poesia e errore cit., p. 10.
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Da paragonarsi a ID., Un comizio per il Vietnam (1971), in ID., Memorie per dopo domani (tre scritti 1945, 1967 e
1980), a cura di C. Fini, Siena 1984, pp. 9-11.
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muro Goethe si sostituisce come stella polare al Brecht di Poesia e errore e di Una
volta per sempre. Si vuol dire che i due ora si affiancano e quasi dialogano (e più
lo faranno in Paesaggio con serpente), e che Fortini forse assimila di più, come nel
Cugino5, quel Brecht – e non è poco specie nelle grandi poesie dell’esilio – che
«continua» Goethe. La splendida Un’altra allegoria risale recta via la fiumana sapienziale Goethe-Brecht. La presenza in Questo muro di una «funzione-Goethe»
(non necessariamente di quel grande in persona) aiuta del resto a capirne illimpidimento di scrittura, aumento del pedale lirico e falso o vero idillio, difficile trasparenza, come di un’acqua che sfida l’occhio con la sua limpidità, di simboli, parabole, allegorie.
Il titolo è ancor più pregnante che nelle raccolte precedenti. Si partirà certo
da Dante, Purgatorio, XXVII, 36: «tra Beatrice e te è questo muro» (secondo Magrini6 il Dante di Fortini è soprattutto il purgatoriale), con possibile allegoria incorporata; è sintomatico che non siamo lontani dal di poco successivo Il muro della terra di Caproni (si veda Inferno, X, 2). Il dantismo non esclude naturalmente
retrogusti moderni, fra Montale, Sartre e Le mur di Eluard che Fortini aveva tradotto. Ma il senso ne andrà stretto meglio fra quella specie di interpretazione autentica anticipata che è in appunti del 1961-62 («QUESTO MURO || Dobbiamo
tentare questo muro in ogni suo punto fin che si sia trovata quella crepa, quella
fessura che domani si allargherà e apparirà alla coscienza dei più come la nuova linea del conflitto»)7 e quella specie di interpretazione a posteriori che è nel secondo Ospite ingrato («[Questo muro] || Il nero del muro incontra la mano aperta. |
Questo muro è tra il vero e la mano. | Il muro è ferro aria tempo. | Una voce chiama di là dal muro»).
Al di qua del significato vale anche la pena di notare come questo titolo è efficacemente sintetico, quasi uno stemma; come è costruito in modo sghembo, accostando il qui-e-ora del deittico questo alla concettualizzazione simbolica del sostantivo; infine come, staccandosi dai titoli più trasparenti benché ambivalenti dei
libri che precedono, Questo muro avvia a quelli dei due ultimi, non più appartenenti al bagaglio linguistico comune e incomprensibili prima di conoscerne la
fonte, che sta in una personalissima esperienza culturale.
5 Cfr. L. LENZINI, Il tempo della traduzione, in Quattro studi sul tradurre, a cura di G. Lonardi, Verona 1983, pp.
122-24.
6 G. MAGRINI, Il nido del Nido, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia [Università di Siena]», VI (1985),
pp. 331-42.
7 F. FORTINI, Un quarto di secolo. Da un quaderno di appunti del 1960-61, in «L’immagine», n. 28 (1986), p. 2.
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2. Struttura.
2.1. Connessioni interne e «libro».
Questo muro è nello stesso tempo, e dunque ammirevolmente, una «satura» e un
libro fortemente costruito. Veramente Enrico Testa8 ha insistito invece sul suo carattere «anti-macrotestuale», insomma di «non-canzoniere», contrapposto anche
in ciò a capolavori contemporanei come Gli strumenti umani o Il muro della terra.
Credo però che si possa ragionare in modo diverso.
Intanto è innegabile che, se i caratteri di «inizialità» della lirica d’apertura sono forse deboli (soprattutto la prima parola «Le trincee» doppiata dalla chiusa
«l’assalto», ed entrambe rimandano al titolo della sezione, La posizione, e lo illustrano), marcatissima, quasi da etichetta, è la fisionomia di chiusa di L’ordine e il
disordine. Anzitutto per la sua natura di prosa, che comporta uno stacco non solo
formale dal rimanente; e anche per il fatto di essere stata poi utilizzata come exergo, con una grande connessione intertestuale, in Paesaggio con serpente9, che assume dunque come punto di partenza o presupposto ciò che in Questo muro era
conclusione. Ma si guardi alla sostanza del pezzo, quella sorta di taglio sanguinoso: vi si celebrano quasi riassuntivamente, in un linguaggio teso che alla fine diventa nulla meno che hegeliano, le ragioni contemporanee di ordine e disordine,
e la necessità di trasformare in altro l’unità che si separa dal tutto; si celebra cioè
quella dialettica che è, fuor di dubbio, il tema mentale dominante nel libro (controprova, se ce n’era bisogno: in Non solo oggi10, questa prosa, e nient’altro, costituisce la voce Dialettica).
Fitte connessioni attraversano il libro. Abbiamo già mostrato esempi macroscopici di reciprocità e coreferenzialità parlando della suddivisione in sezioni, e ci
torneremo. Ora, sfruttando le osservazioni in merito della Gronda11, spostiamoci
ai testi. La posizione e Ancora la posizione, collegati per consecuzioni già nel titolo, hanno tra l’altro equivalenze come «pista» – «autostrada» (coi relativi impulsi
motivici) e «conigli sbranati» – «esseri sbranati tra le erbe». I temi-vocaboli
dell’«erba, -e» e dell’inverno passano dalla fine di Ancora la posizione all’inizio di
L’erba e l’animale, nelle posizioni evidenti di fine-verso o di attacco assoluto; e più
ancora varrà come collegamento la struttura metrica similare (cfr. il § 2.2). Un’al8
E. TESTA, Il libro di poesia. Tipologie e analisi macrotestuali, Genova 1983, pp. 534-39.
F. FORTINI, Paesaggio con serpente. Poesie 1973-1983, Torino 1984; e si veda anche p. 13.
10 ID., Non solo oggi, in Cinquantanove voci, a cura di P. Jachia, Roma 1991, p. 33.
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G. GRONDA, Il «Falso vecchio». Connessioni intertestuali in una sezione di «Questo muro», in Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, a cura di C. Fini, Padova 1980, pp. 87-112.
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tra allegoria ci dice ovviamente che prima ci sono state un’altra o più allegorie, e
ci invita a pedinarle. Dopo una strage - L’apparizione: «Non si può scrivere più» «Non devi forzare nessuna parola»: siamo in fine sezione, ed è interessante che vi
si installi il tema, ripreso in seguito, dell’insufficienza ma inevitabilità della parola. Dalla collina e Per tre momenti sono entrambe in tre parti numerate, o «momenti» come dice il titolo della seconda. Il seme - San Miniato: «Caduti i cartocci
giù» (dalla magnolia) - «Dai platani si distaccano dischi di corteccia». San Miniato - Piazza Madonna - L’educazione: in tutti e tre i casi, e nei primi due già segnaleticamente nei titoli, s’affaccia la toponomastica fiorentina; fra i vari riscontri ecco
«urlío» - «urlío» fra prima e seconda, «fumo» - «fumi» fra seconda e terza. Seguono le tre In memoria, prima e seconda dedicate rispettivamente a madre e padre, e si può dire che L’educazione, col suo ritorno all’adolescenza, le prepari. Sia
Gli ospiti che Ricordo di Borsieri (come del resto, saltando un’unità, Per Torino)
terminano con, o nel, sonno, mentre Ricordo di Borsieri e Le sette di sera, sono,
complementarmente, incontri onirici con vecchi amici (e cfr. nell’una e nell’altra
al v. 3 «irriconoscibile» - «non mi riconosceva», più «Ti riconosco ancora» nella
prima). Collage per i miei cinquant’anni e Come mosche condividono momenti,
tragici, della storia dell’Unione Sovietica. A Vittorio Sereni e Per un giovane capo,
con analoga forma di envoi, sono accomunate dal tema alto della integrazione dei
destini fra lo scrivente e altri. Molto collegati sono, infine i «pezzi» del Falso vecchio: si veda particolarmente III che è null’altro che variazione, o forse controcanto bestiale, di II, e l’anatra palmata che dopo essersi affacciata in chiusa di V,
apre VI. E via e via, potendosi arrivare al sottile legamento tramite deittici «soggettivi» del Falso vecchio, VIII-IX E... […qui. || Questa...] Naturalmente sarebbero anche da considerare le riprese a distanza, prolessi e analessi, come ad esempio
il riferimento scorciato e metonimico alla guerra del Vietnam a p. 305, che si apre
a ventaglio in Un comizio. Tutto ciò sta a mostrare che Fortini maneggia la raccolta come un’unità compatta, con fili brevi o lunghi a vista.
C’è però da chiedersi se in Questo muro vi sia progressione o narratività «lunga», come sembrerebbe indicare dall’esterno il fatto che le due ultime sezioni
contengono solo testi del ’70-72, mentre quelli delle tre precedenti abbracciano
globalmente il periodo 1961-69. Ma Questo muro appare nel complesso un libro
«statico» (e forse è già indicativa la constatazione che le connessioni di equivalenza vi sono molto più abbondanti che quelle di trasformazione). Le affinità fra testi contigui sono di norma a coppia o dittico, due aspetti della medesima questione o situazione che non sono poi composti o sviluppati, secondo il vecchio gusto
di Fortini per la variazione che corregge una «posizione» con la successiva (e vi-
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ceversa). Questo muro è un libro statico perché è un libro d’attesa. Fotografate al
flash della ragione, e talora crudamente, vi si affacciano complementarità e opposizioni («i contrari respirano immobili», La poesia delle rose, p. 264); la loro soluzione, dialettica o utopica, tanto più è invocata quanto meno appartiene al presente.
Ci sarebbero anche da considerare le connessioni, in massima parte esplicite,
con le precedenti raccolte che la maturità di Questo muro invoca. Fortini considera certo quella sua storia trascorsa come una storia fratta si ma nel totale coerente
e piena di senso (così diceva di sé il «sensuale» Apollinaire), un po’ al modo con
cui egli sente la propria biografia rappresentativa e no della Storia maiuscola. Qui
non è il luogo, ma basti un esempio bellissimo e molto significativo, Da un verso
di Corneille: «tremi del mio tremore» con la variante «tremi in te il mio tremore»,
che rimodula Foglio di via, Lettera: «Il tuo figliuolo ancora trema del tuo tremore», detto del rapporto col padre, forse contaminato con Una volta per sempre,
1944-1947, IV: «mia sola | anima che mi tremi | a questo primo buio» (e si veda
Lenzini12 per la ricorrenza in Fortini di verbo e sostantivi).
2.2. Forme e aspetti della metrica.
Coerentemente al messaggio generale dell’opera, la metrica assume in Questo muro connotati più essenziali e concettuali che in precedenza, nega sempre di più se
stessa e rinuncia a «rifare» le forme classiche, semmai solo vi allude. Dunque, a
differenza che prima e dopo, niente sonetti veri o falsi, né sestine o terzine dantesche, od ottave, né para-ballate o para-madrigali tasseschi. La «maniera» non tocca se non di striscio la metrica: che d’altra parte è una metrica senz’altro postmontaliana, nel senso semplice di non-montaliana.
Il confine fra poesia e prosa è ancora più sottile che in passato (si veda ad
esempio Poesia e errore, p. 185), complici anche costanti sintattiche come le frasiverso staccate da una paratassi spinta e dalla stessa rarità di rime (si veda oltre e la
sezione 5). Subito in apertura La linea del fuoco conserva, della poesia, quasi solo
la impaginazione a versi medio-brevi e l’isostrofia «debole», che però il tipo di
messaggio, la secchezza dell’enunciazione e l’assenza di rime contraddicono. Tanto più la prossimità alla prosa, e il contraddittorio emergere a contrappunto ora di
questa ora della «poesia», saranno evidenti di qui in poi in presenza diversi lunghi
(La posizione, Questo non è grido di vittoria, ecc.). Nessuna meraviglia dunque se
nella zona finale incontreremo una prosa politica (Un comizio) e proprio in chiu12
L. LENZINI, Il tempo della traduzione cit.
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sa una poetica (L’ordine e il disordine: altro significato della sua posizione conclusiva). E per l’intreccio generale di prosa e poesia parla chiaro anzitutto l’interpretazione dello stesso Fortini, che ne vede le radici nel «secco, «ignobile» lessico
dell’economia dialettica» (Brecht)13.
Come in passato, sono usati nella raccolta, con diversità di scopi ed effetti,
ventagli amplissimi di versi, dal trisillabo alle misure lunghe e lunghissime, «libere». E Fortini continua a preferire alla mescolanza di versi brevi e lunghi (domina
ancora quella augusta endecasillabi/settenari, con le rispettive varianti meno melodiche) i componimenti interamente o tendenzialmente isosillabici, che garantiscono il passo uniforme della poesia ragionante e quelle strutture «di cemento e
di vetro» ammirate sempre in Brecht. Dei testi non isosillabici va visto il motivo:
A Vittorio Sereni, per esempio, è un cono rovesciato che isola nella chiusa-punta
«noi due?», cioè la dubbiosa affermazione, ricca di pathos, di una fraternità che
sopravvive al distacco.
Quanto alla frequenza in sé, è notevole che tra i versi lunghi crescano quelli
informali a scapito dei formalizzati: rari gli alessandrini, ancor più gli esametri
«barbari» (si veda p. 294, e viceversa in Poesia e errore ad esempio pp. 74, 94, 106,
117, ecc.); le movenze esametriche «classiche» sono, mi pare sempre, parziali (per
esempio pp. 276, 278, 281). Lo stesso endecasillabo è meno presente di prima
(salva una certa concentrazione nei testi «di maniera» o «idillici»). Ma, andando
in minoranza, può assumere funzioni specifiche: così nel Cugino i due endecasillabi sorreggono l’unico momento descrittivo-estatico, sottolineato pure alla sintassi nominale, mentre ai vari versi «liberi» spetta la narrazione. Forse si rarefanno rispetto al passato anche i versi che ripetono, dalle nove sillabe in su, la cellula
atona-tonica-atona (Pascoli, Palazzeschi, ecc.), buoni a rallentare all’occasione ritmi veloci o secchi (così anche per il decasillabo anapestico e le sue realizzazioni
caudate: cfr. p. 333, in chiusa).
Della mancanza di compaginazioni strofiche regolari si è accennato. Ma non
si esageri. Un’altra allegoria allude alla saffica e nel Falso vecchio, X, un finale riposato dà luogo ancor più evidentemente a una variazione della quartina saffica
(A8+7B11+5A11b7) saldata dentro una strofa pentastica. Anche in Questa muro resiste una costante fortiniana, la frequenza dei testi a isostrofismo «debole», cioè a
strofe con egual numero di versi ma senza altre eguaglianze strutturali: senonché
è interessante che siano più radi di prima i componimenti a coppie o serie di
quartine, mentre, come già nella Poesia delle rose, prendono il campo strofismi
più inconsueti. La linea del fuoco è di due strofe pentastiche, La posizione di due
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F. FORTINI, Non solo oggi cit., p. 221.
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esastiche a versi lunghi più uno di chiusa staccato (si veda sotto), Ancora la posizione di tre eptastiche, L’erba e l’animale di quattro ennastiche, Il merlo di quattro
eptastiche, ecc. Caso limite, diciamo di rastremazione e quasi introversione delle
strofe, Questo non è grido di vittoria, quattro versi-periodo divaricati da bianchi.
Non solo, ma questi componimenti si trovano, quasi a stringere maggiormente la
similarità dei loro addendi, ricamati con vistosi legami fra una strofa e l’altra. Ancora la posizione – non rimata – esibisce tetti e riposo in chiusa rispettivamente di
prima e seconda, di seconda e terza strofa (tacendo d’altro): riemersione di una
vecchia tecnica della canzone (coblas capcaudadas) ma forse meglio allusione obliqua, puramente segnaletica, alla sestina. A questa assomiglia un po’ di più, e non
solo per il gioco delle parole in fine verso, ecc. (si veda soprattutto l’inizio), L’erba
e l’animale: erba che si ripete nelle prime tre strofe (una volta in fine verso), pietra
nella prima e quarta (la prima in fine verso; da aggiungere graniti nella terza), inverno a cavallo fra prima e seconda, sempre in fine verso, il similare intorno, sempre fra prima e seconda, con figura di coblas capfinidas, mare fra seconda e quarta
(la seconda volta in fine di strofa e assoluta di poesia), notte fra seconda e terza
(coblas capcaudadas), con prolasso alla quarta, sempre in fine verso, ecc., e il gioco
delle ripetizioni pare concentrarsi ai vv. 25-27: «Un animale sulla riva sale | o è
un’onda nera che sembra salire in forma d’animale sulla riva» (p. 279). Perfino la
«prosastica» Difficoltà del colorificio – però versificata in modi scultamente memorabili – presenta legami, anche se soprattutto di tipo concettuale, fra i nuclei
strofici. Per scopi non molto dissimili, di religiosità volta al politico, si evidenziano i collegamenti fra le quartine (specie la rima costante in -à) nella Sequenza catara. E tra i molti altri esempi che si potrebbero fare, ecco la seconda e terza parte di Dalla collina, capfinidas, e la A e B del Registratore annodate da «lascia e
prendi»; vistosissimo ed elegante il caso della quarta del Falso vecchio, dove la seconda quartina riprende con variazioni gli emistichi o le parole-tema di tutti i versi della prima. E qui forse si impone un referente che già si sospettava in precedenza, certa metrica francese e non italiana, Baudelaire per non esplorare lontano. E evidente che queste tecniche corrispondono al gusto per le connessioni fra
poesie successive o vicine (cfr. il § 2.1) ma anche e in genere a quello per le ripetizioni, i ritornelli ecc. (cfr. la sezione 5). Ma questo continuo congiungere le strofe
risponderà pure a un preciso procedimento, riunire ciò che la separazione strofica aveva, nel necessario articolarsi del processo logico-poetico, distinto. Siamo nei
pressi della composizione dialettica, comunque di un voltaggio logico delle tecniche formali.
Qualcosa di analogo varrà per un’altra costante metrico-costruttiva di Forti-
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ni, qui e sempre, lo stacco da ciò che precede di un verso isolato in chiusa, tramite un bianco (alle pp. 277, 292, 296, 299 e molte altre volte). E sì il prevalere dello staccato sul legato (si veda la sezione 5), ma è anche logica dello stile: ora ne è
ottenuta la netta distinzione, con valore conclusivo, della «sentenza» finale dal
precedente spazio descrittivo, narrativo, ragionativo, ecc.; ora (ed è più notevole)
la trasformazione in apoftegma di qualcosa che in sé non lo è: insomma la trasformazione del non-ragionativo in ragionativo (almeno tonalmente) attraverso il retorico.
L’impoverimento (per così dire) e la razionalizzazione della metrica toccano
anche la rima, che tende a divenire casuale e «di servizio», riducendo in particolare la ricca dote di Poesia e errore, anche per quanto riguarda rime al mezzo e interne. E ovvio che operano, ma anch’essi più rari, i soliti sostituti o compagni della rima nella poesia moderna, assonanze e soprattutto belle consonanze (ne è interamente bordato Il registratore, A, da confrontarsi con Poesia e errore, p. 70, e
Una volta per sempre, p. 210) e altro, fino alla rima «allitterativa» di p. 293: «comanda» – «consuma» (anche in parità di funzione) o alla poliptotica di p. 322:
«scomparire» – «scomparso». E vale per la rima, con gli interessi, quello stesso
che per l’endecasillabo. Rarefacendosi, finisce per concentrarsi in luoghi particolari, e li assumere per differenza un significato speciale. In Un’altra allegoria si ha
rima, e anche semantica e di particolare valore (verità : sa), solo nei versi finali, più
brevi, delle due quartine. In Le belle querce la delicatezza dell’idillio è accompagnata discretamente dalle rime ritmiche e dalle assonanze. E nella mirabile Come
una dopo l’altra l’insolita abbondanza di rime o sostituti rafforza il travolgimento
enumerativo affidato alla doppia serie anaforica (come, o): sistema che sarebbe
più che esauriente, ma ne è eccettuata, e perciò messa in rilievo, appunto la parola terminale, ancora verità, che è una e quindi si basta anche nell’enunciazione
esterna.
Se le rime e affini non abbondano e sono mirate, molto frequenti sono invece, come sempre in Fortini, le allitterazioni (in senso lato: fino alle paronomasie,
con più alto grado di concettualizzazione): «s’allenta e annotta», «scarichi strani..,
sbranati», «Dice la bestia dentro la sua bava», «dove il risveglio è riso | e la tua nota non nuoce», «dentro la piaga del pino la piuma presa, | il pendio che riposa»,
«[...] la bocca e bruciando balzavo», «Le effimere sfumano. Si sfanno», «carico di
carne uccisa», «Le promesse, le mimose E [...] un miele, un male | – e la memoria
di un male [...]», «un genio gentile», «meste [...] maestosi quei vostri» e così via.
Allitterazioni e simili come compenso dunque del rarefarsi delle rime. Ma quali
che siano gli effetti locali, interessa di più scrutare quelli d’assieme, che inquadreremo anche da altri punti di vista: ricerca di enunciati e versi densi, stipati, comLetteratura italiana Einaudi
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patti, e taglio del verso, così compattato, come segmento autonomo (è caratteristico che in precedenza l’uso più denso dell’allitterazione sia nella densa per eccellenza sestina: Poesia e errore, pp. 103-110). E si può vedere nelle allitterazioni,
sul piano fonico e in orizzontale, l’equivalente di quel che in verticale è la ricchezza delle ripetizioni.
Nel complesso dunque l’allusione metrica sostituisce bene spesso, in Questo
muro, l’evidenza metrica. Così pure indeterminazione e ambiguità tendono a subentrare alla determinatezza. Vediamo uno dei capolavori della raccolta, Agli dèi
della mattinata:
Il vento scuote allori e pini. Ai vetri, giù acqua.
Tra fumi e luci la costa la vedi a tratti, poi nulla.
La mattinata si affina nella stanza tranquilla.
Un filo di musica rock, le matite, le carte.
Sono felice della pioggia. O dèi inesistenti,
proteggete l’idillio, vi prego. E che altro potete,
o dèi dell’autunno indulgenti dormenti,
meste di frasche le tempie. Come maestosi quei vostri
luminosi cumuli! Quante ansiose formiche nell’ombra!
(p. 338).
A un primo livello si tratta, come tante altre volte nel libro, di una testura di
versi lunghi liberi di varia durata, con una consonanza e una rima; ci si può avvicinare di più alla regolarità interpretando il v. 7 «come endecasillabo con anacrusi, altri come endecasillabi caudati, e scindendo come è ben possibile tante misure ampie in due emistichi medi o brevi. Ma da altro punto di vista, e secondo le
indicazioni teoriche di Fortini stesso, l’elemento unificante, almeno per blocchi,
sarebbe il numero degli accenti per verso, fra quattro e sei. E però da credere che,
pur nell’indeterminazione, l’ipotesi più consolante si fondi sui ritmo: la cellula ritmica predominante nei versi interi e più nei loro probabili spezzoni, è il dattilo o
l’anapesto o l’anfibraco (secondo la partenza): nuclei di 2ª -5ª, 3ª-6ª (-9ª), (1ª-) 4ª7ª, che trovano la loro distensione e quasi la loro firma nel v. 4, quindici sillabe a
battuta costante atona-tonica-atona e, significativamente, nel v. 7, il più surdeterminato metricamente del testo, dodecasillabo che moltiplica la medesima cellula
ritmica; i vv. 1-2 e 8-9 si corrispondono piuttosto bene, sempre sul piano ritmico,
a cornice. Altri aspetti della metrica toccheremo o sfioreremo nella sezione 5.
Fortini, che ha scritto interessanti saggi metrici, è stato chiamato «poeta essenzialmente metrico» da Raboni14. Un testo suo particolarmente lavorato, quasi
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G. RABONI, Intervento senza titolo ad una tavola rotonda, in AA.VV., Seminario in onore di Franco Fortini, Firenze 1987, p. 33.
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giocato, si chiama Metrica e biografia15: ma quella e non indica affatto, come sarebbe in un orfico o in un formalista a oltranza, indistinzione, ma equipresenza,
magari correlazione: di questo tipo del resto è, sempre, il rapporto che si ha in
Fortini fra psicologia, ideologia e forma, linguaggio.
Ciò indica ancora i suoi scopi, che sono di prospettare criticamente una poesia «come tale» e non come assoluto, contrapponendo e intrecciando poesia «di
maniera» o «da» e «dal vero», e così mostrando la relatività di entrambe.
3. Forme mentali, temi, significati.
In Questo muro Fortini si conferma grande poeta dell’allegoria e della parabola,
cui contribuiscono le suggestioni culturali che abbiamo citato. I temi in cui il gusto allegorico e parabolico si dirama sono molti. Basta richiamare quello dell’incontro fra vecchi e giovani (cfr. la sezione 4), cioè della giusta sconfitta, che però
è anche speranza superindividuale, di fronte al nuovo che ci «supera»: il centro è
nel Bambino che gioca (che a sua volta «corregge» il precedente L’esame), il rimbalzo in toni più realistici e svagati investe Alla Buca Mario, l’immersione nella
storia grande si ha in Un comizio (i Vietnamiti; diversamente, si veda La volpe).
Ma tutto può essere fonte d’allegoria, la natura anche e soprattutto minimale, il
lontano, il passato, il presente proprio e storico, tanto che assumono svolgimenti
decisamente ideologici motivi psicologici per definizione (L’esame).
In Questo muro alcuni accenti battono sul presente: «Il mio verbo è al presente»; «Il verbo al presente porta tutto il mondo», e ivi stesso «Il verbo al presente
mi permette di scomparire», nonché il titolo Il presente e «lo stato di cose presente» da Marx. Ma a parte il carattere ironico e dialettico del secondo e terzo verso,
anche ora il presente rimane, a dispetto di qualche maggiore sosta, quello che era
sempre stato e sempre sarà in Fortini, «compresenza e palinsesto»16, ponte di passaggio fra un passato che dev’essere faticosamente recuperato coi suoi irrinunciabili valori simbolici («il passato stanchissimo») e un futuro verso il quale il presente si protende imperfettamente e che imperfettamente rappresenta («parlare del
presente in nome del futuro»17). Ecco immediatamente nella Linea del fuoco i verbi rimandare al passato con differenti valori aspettivi; uno solo, descrittivo, è al
presente, e vi risponde per simmetria il futuro, che non sigilla ma apre: sui dopo.
15
F. FORTINI, Metrica e biografia, in ID., Poesia e errore cit., p. 173.
A. BERARDINELLI, Franco Fortini, Firenze 1973, p. 156.
17 G. RABONI, I versi di un ospite ingrato nel dramma delle idee, in «Corriere della Sera», 29 novembre 1994.
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
L’allegorismo dell’utopista, coerentemente perseguito, non può che trattare il presente come cosa non salda, opacità verso possibili significati o adempimenti (quest’ultimo tema, per esempio sotto forma di favola animale, è ricorrente); come ha
chiarito Fortini stesso, nulla è così necessario alla parola come la «capacità di comprendere e recuperare i defunti, ossia il passato medesimo», ma Adamo è, paolinamente, forma futuri18. Il lettore di questa poesia rimbalza dunque perigliosamente fra una perturbante de-realizzazione del presente, ridotto a una serie di icone, e la lontananza di un futuro invocato con tanta più forza quanto è meno certo
che si realizzi; in un certo senso solo il passato è vero, perché i valori allegorici e figurali che l’uomo vi ha accumulato lungo la fatica della storia, gli permettono di
non morire. È evidente la vicinanza all’allegorizzazione della storia di pensatori
contemporanei sospesi tra marxismo e teologia, come Benjamin. E dal punto di vista formale proprio l’allegoria (che dev’essere sciolta razionalmente e non s’incista
nel significante ma lo sovrasta) garantisce quella tensione – non identificazione alla moderna – fra segno e senso cui Fortini con Brecht tiene tanto.
Ma alla staticità verticale e assoluta dell’allegorismo è compresente sempre
l’opposta dinamica orizzontale, storica e relativizzante della dialettica, che a sua
volta riceve dalla prima il divieto di compromettersi troppo col qui-e-ora. La dialetticità innerva la poesia di Questo muro assolutamente ad ogni livello. Nelle movenze logico-linguistiche (cfr. la sezione 5); nelle contraddizioni fra enunciato ed
enunciato, che invocano composizione e superamento e «negazione della negazione» (cfr. ad esempio «Tutto è da contemplare. | Tutto è da fare», l’intera A Vittorio Sereni, «Una metà d’insetto s’adempiva», L’ordine e il disordine, e ancora la
sezione 5); nelle coppie di testi in cui il secondo rettifica o invera il primo (esempi soprattutto alla sezione 2). E perfino nelle grandi partizioni della raccolta: tema
del Falso vecchio, mascheramento e contraddizione in termini, sdoppiamento tra
Versi a se stesso e Versi a un destinatario (e, in circoscritto, si vedano i temi del
«doppio» o gli sdoppiamenti di un motivo come in A Vittorio Sereni subito seguito da A un giovane capo); e non torniamo sull’opposizione stilistica (ma non solo)
fra la maniera e il vero.
Dopo l’uscita di Questo muro, Raboni lo ha definito opportunamente una
sorta di antologia, prosciugata, delle raccolte precedenti; possiamo dire, filtra depurandolo il prima e prepara già vivido il poi, chiave di volta dunque dell’opera
poetica fortiniana. Ciò risponde del resto all’atteggiamento generale con cui l’autore si pone verso il tempo che ha attraversato in compagnia di questi testi, insieme con uno sguardo retrospettivo, come da un punto poco o molto più avanti
18
F. FORTINI, Dei confini della poesia, Brescia 1986, p. 20.
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
della storia e di protensione verso quel non luogo pieno che è l’utopia, e di attesa.
Nello specifico, si riprenda quanto accennato nella sezione 2 isolando una serie di
temi in precisa continuità con la prima: le piante e i (piccoli) animali, magari coi
visceri spalancati da uno squarcio, il temporale e l’inverno, la baracca che scivola,
il cortile e la finestra (tema «dell’esclusione», come Fortini stesso interpreta in
Brecht), immagine della propria morte violenta, il «servo», ora «non inutile». Aggiungo una piccola escursione nel terreno meno ovvio, cioè i raccordi con testi
antecedenti, o anche successivi, dell’Ospite ingrato: Le difficoltà del 1961 - Le difficoltà del colorificio; L’anno sessantaquattro; - La posizione, Ancora la posizione,
ecc.; Panzieri, 1964 - Per Torino; all’inverso il testo, successivo a Questo muro, di
p. 198, cita «Tutto è da contemplare. Tutto da fare»19. E va da sé che queste elaborazioni tematiche, sdoppiandosi o più all’interno dello stesso Questo muro, vi
funzionano come unificatori e correttori a distanza.
Fondamentale nella raccolta, e specie nella parte finale, è l’ampia presenza di
ciò che l’autore stesso chiama «idillio», pregando gli «dèi inesistenti» di proteggerlo (Agli dèi della mattinata; più decisamente poi, in Composita solvantur, «Proteggete le nostre verità»); si veda ad esempio Un’altra allegoria, alcuni numeri del
Falso vecchio, Le belle querce, Il sole scalda... L’idillio apparirà ancor più centrale
nei due libri successivi, quando Fortini sarà e si sentirà non tanto fuori, quanto
espulso dalla storia. Anche qui Questo muro è mediano, o in sospeso: natura e idillio hanno una doppia connotazione, evasione e inveramento. Insomma si profila
un’opposizione fra uomo storico e uomo privato che non è più solo quella ironica
di chi a difesa dalla storia tiene una villetta a Cavi di Lavagna (Weltgeschichtlich,
in Poesia e errore), ma anche quella dell’individuo che può conservare in sé una
verità, fosse solo un’immagine di armonia, che la Storia ha disperso.
A sua volta la «natura» è duplice: è sporcata per sempre dalla tecnologia della società moderna, indistinguibile ormai da questa (cfr. soprattutto la serie La posizione), ma nello stesso tempo è una perenne, o rinascente per miracolo, anti-società, anti-storia o diciamo meglio anti-presente. In quanto tale può essere investita da valenze allegoriche, da tensioni al futuro: è l’eloquentissimo ramo vitale
nel morire di Un’altra allegoria, è la scena più che esplicita di Le Belle querce: «Il
dolce sguardo d’ansia diceva | che non esistono le belle querce mai ma soltanto
creature in attesa» (p. 333): è questo un idillio di quasi (delicata) maniera, eppure
«il senso della scena vuole molta attenzione». All’inverso, la natura-idillio può essere oggetto di ironia, probabilmente nel bel senso romantico: «Tutti i fiori non
sono che scene ironiche» nel Seme, e nel Presente la «legge ironica» dettata dall’io
19
F. FORTINI, L’ospite ingrato primo e secondo, Genova 1985.
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
poetante alle «foglie che ronzano» ecc.; sempre nella stessa poesia le «canne false
eterne» (nota bene) sono investite dalla «grande strategia [di Mao] da Yenan allo
Hopei», dunque anti-idillicamente. Più da vicino, Gli alberi «smentisce» il tipicissimo fra questi idilli, che lo precede, Agli dèi della mattinata (la natura vi appare
malata). E può darsi che questa bivalenza di natura e idillio – che nelle raccolte
più recenti si scioglierà maggiormente in senso «positivo» – corrisponda in qualche modo all’opposizione complementare «di maniera» / «dal vero»: posto che
ogni elemento della coppia può sdoppiarsi a sua volta (la «maniera» in particolare può essere quella esercitata su testi e cultura altrui o da Fortini su Fortini medesimo, e il vero è un vero storicizzato oppure no), e che natura e idillio possono
essere colti sia dal vero che di maniera. Si adocchi la poesia più dal vero della serie relativa, Aspettando il dentista (caratterizzata come tale anche linguisticamente), che tuttavia s’avvia alla fine con «E una commedia [...]».
Come sempre, anche Questo muro sta, e così vuole significare, in presenza
della storia, ma per dirne soprattutto la trascendenza e la compiuta peccammosità. Cresce anche il peso dell’autobiografia, ma come detta in paradosso, obliqua,
cifrata. così la politicità, consustanziale a Fortini, si fa sempre più implicita, a volte quasi un rumore di fondo. La violenza storica è tanto più devastante quanto
più la Storia è un Dio nascosto. Sono modi personali coi quali Fortini esprime la
contraddizione, tipica di tutta la poesia moderna, fra continuità e discontinuità,
detto e non detto, incarnazione e virtualità del significato. Ma queste contraddizioni in lui tanto più si esplicitano – o all’inverso si celano – in quanto alla chiusura in apparenza autosufficiente del testo corrisponde una specie di tangenza dei
significati, che vi scorrono sopra piuttosto che incarnarvisi. E nessun messaggio,
secondo Fortini, può significare per sé solo.
Proprio nel momento in cui egli, in Questo muro, fa proprie tante modalità
dei «moderni» (e la vicinanza sarà maggiore nelle due raccolte a venire), proprio
ora ribadisce la sua diversità radicale dalla tradizione post-simbolista. L’abbiamo
constatato più volte. È vero che per scrivere bisogna pure «far la pace col doloroso mondo» (Poesia e errore, p. 130), ma questo permette paradossalmente a Fortini di insistere sull’alterità di linguaggio e senso, io e non io; non meno la storia
che l’utopia trascendono il messaggio di chi pure patisce la prima e può solo designare la seconda con un gesto della mano.
4. «Fonti», riferimenti, presenze.
Non è facile, né sarebbe opportuno, redigere cataloghi di «fonti» della poesia di
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Fortini, perché in realtà egli oscilla fra la forma oggettivante e buona per i montaggi della «citazione» (che può anche essere inventata: Paesaggio con serpente,
Perché alla fine...) e quella del «rifacimento» o anche del «da» (in modo analogo
egli ha distinto, si ricordi, fra «traduzione» e «rifacimento»).
Ciò detto, è notevole che due fra le presenze più importanti nella poesia fortiniana in generale siano presenze lontane, il che è coerente a un centro della poetica dell’autore, il linguaggio che non realizza immedesimazione ma istituisce distanza critica e si nasconde nel passato, da questo guardando avanti. Una, coestesa a tutta l’attività non solo del poeta, è la presenza della Bibbia, denunciata a
trombe scoperte da Questo non è grido di vittoria; vi si collegano certamente molti degli stilemi implicati nelle categorie del parallelismo, della paratassi accusata e
dell’ingiunzione. Più in genere si esprime tipicamente nel rimandi biblici quello
che sempre è stato visto come caratteristico di Fortini, parlare del passato (o col
linguaggio del passato) per parlare del futuro. L’altra è la Cina, ed è sempre da valutare quanto, da Poesia e errore in poi, agisca il Brecht appunto «cinese». Si può
dire che le allusioni/citazioni/rifacimenti in merito, quando non direttamente politiche come in Le difficoltà del colorificio e nel Presente (ma ecco la nota derealizzante del poeta: «l’allusione è a qualsiasi grande strategia storica», p. 370), si situano approssimativamente fra due estremi: la stilizzazione paesistica, che proprio perché tale si spalanca meglio all’allegoria, anzi sembra già esserlo in partenza (si veda il bellissimo primo numero del Falso vecchio, a linee essenziali e a lenti
respiri); e il pronunciamento di una «saggezza». Un concentrato è il collage di Dopo una strage / da Lu Hsun, e si guardi cosa lo precede, significativamente, nella
pagina spalancata, il collage scritturale. Sono le due grandi, complementari, incarnazioni dell’umano, l’una compresente alla Grande Rivoluzione, l’altra a ogni nostro pensiero di rivoluzione.
Ma lontano è ovviamente anche Dante. I suoi recuperi, che incominciano come s’è visto dal titolo, si situeranno all’incrocio fra tendenze allegoriche, ricerca
dell’energia stilistica e qualcosa che si può chiamare gusto dell’arazzo e della parola «dipinta»20. Prevale la citazione, dal titolo al «freddo animale» della Posizione (v. 8, p. 277) puntualmente chiosato nelle note (e l’astralità si contrappone, o si
aggiunge freddamente, alla atmosfera di strage circostante), all’abbraccio mancato di Le sette di sera («Ma strinse l’aria», v. 6, p. 311). Però in Ancora la posizione
e in L’erba e l’animale il dantismo, che succhia le meno ovvie petrose, è stilistico e
ambientale (e cfr. la sezione precedente), tanto che spiegando persa una nota del20
Cfr. C. CALENDA, Di alcune incidenze dantesche in Fortini (5982), in ID., Appartenenze metriche ed esegesi.
Dante, Cavalcanti e Guittone, Napoli 1995, pp. 145-53.
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l’autore21 ci dice che è «nome immaginario, tra “perduta” e “oscura”», dunque
calpestando alquanto la traccia dantesca. E in ordine a quanto appena accennato
è indicativo che gli echi danteschi sembrino affollarsi nella prima sezione del libro, la più chiusa sia nel linguaggio che nell’allegorismo. Se Dante venta con la
sua energia, sarà un altro poeta amatissimo da Fortini, il Tasso, a sottendere spesso quelle densità e concentrazioni di dettato che sono da sempre, ma in Questo
muro più che mai, stigma fortiniano, e che cercheremo di descrivere.
Su Goethe e Brecht si è accennato qualcosa nella sezione I. Passando ai moderni italiani, va detto che in L’ordine e il disordine spira qualcosa della prosa poetica vociana. Montale invece è un po’ schivato, ormai. Il nesso «arroste» – «tonfi»
di Piazza Madonna è un montalismo altrettanto certo (si veda Bagni di Lucca, nelle Occasioni) quanto stemperato. Di tutt’altro genere e importanza è il rapporto
con Sereni, che crescerà negli anni fino ai veri e propri mosaici di Composita solvantur; e su quanto è testuale gettano precisa luce le affermazioni esplicite, sovratestuali della poesia a lui dedicata in questa stessa raccolta, strette fra odio-amore
e complementarità trascendentale. Certamente inconsapevole è l’accatto del finale del Seme: «Non ancora è luglio | non ancora scaldato asciutto assoluto | il seme»
da quello di Sola vera è l’estate nel Diario d’Algeria: «Ora ogni fronda è muta |
compatto il guscio d’oblio | perfetto il cerchio» – ed è, si noti bene, una suggestione in quel fermo articolarsi della sintassi su cui Fortini gioca molte delle sue
carte. Non saprei se sia consapevole o meno un altro chiaro serenismo come il finale de Gli ospiti: parleranno, esattamente come chiude La spiaggia, finale de Gli
strumenti umani e poesia amatissima da Fortini. Esplicito infine, ma consapevolmente, il rimando a Sereni, a partir dal titolo, nel Bambino che gioca: ma lasciando
stare la contaminazione di Quei bambini che giocano degli Strumenti umani con Il
vecchio e il giovane di Saba e altro (Brecht?), Fortini mira precisamente a correggere l’ottica nichilistica di Sereni in nome della speranza storica: il superamento
di noi da parte dei venturi non ci annulla e condanna e basta, ma anche ci adempie.
Non si comprende però Fortini se si dimentica che, in Questo muro come
sempre, le citazioni-allusioni letterarie s’alternano con altre d’altro tipo. E non sono di regola i prelievi dal parlato di cui si compiace più o meno brutalmente tanta lirica un po’ più giovane della fortiniana; ma, fondamentalmente, di spezzoni di
linguaggio ideologico-politico (o della «cronaca» politica): «dalla stampa cinese,
durante la Rivoluzione Culturale»22 in Le difficoltà del colorificio; da Marx i vv. 221
22
F. FORTINI, Una volta per sempre cit., p. 369.
Ibid.
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
4 degli Ospiti (e a quel tono bene è armonizzato il resto); da un articolo francese
nel francese di Collage per i miei cinquant’anni, e via dicendo fino naturalmente a
Un comizio (ma vi è interessante la citazione di un brano di teoria della letteratura prima dei due politici).
Lasciando di vedere come Fortini elabora e «monta» questi spezzoni allotri,
si può guardare alla molteplicità delle loro funzioni entro il suo linguaggio. In primo luogo, ed è ovvio, di cuneo incastrato nella lingua poetica, a denunciarne limiti e separatezza (la poesia può ma anche non può parlare di politica); poi di un
tipo particolare, possiamo dire, di «effetto di reale»; infine di un’applicazione
speciale (non sperimentalistica) della generale coesistenza nella poesia di vari registri. Ma se noi riassaporiamo, così per dire, il «Vi schiacceremo come mosche»
che apre Come mosche, sprezzante e ancor più rozzo, ecco che la battuta memorabile, fra banalmente parlata e ufficialmente politica, del «gigantesco maresciallo
Yakubovski», della politica denuncia la falsità, o meglio, secondo la dialettica fortiniana, la coesistenza di verità immediata nei fatti (nei meri rapporti di forza) e
falsità sui tempi lunghi dell’umanità. Come più chiaramente in un esempio celebre di Poesia e errore, Foglio volante, avveniva delle parole economicistiche del
«compagno Nicolài Bulgànin» , così ora in quelle brutali del maresciallo (e si noti, là abbiamo calpestate, qui schiacceremo, e del resto là era in causa la repressione in Ungheria nel 1956, qui l’invasione della Cecoslovacchia, nel ’68).
5. Fenomeni linguistici.
La forza linguistica di Fortini e di Questo muro sta soprattutto nella sintassi e in
quella che Zanzotto ha chiamato benissimo la «musicalità mentale»23. Nel lessico,
colpisce subito l’oggettivazione cercata attraverso la pura denotatività. Ciò si rivela in particolare nell’estrema rarità dell’aggettivo qualificativo – e per esempio di
colore –; viceversa l’aggettivo tende ad essere mentalistico («foglie verdi essenziali»), oppure è sostituito quasi epicamente da un complemento di materia («la
quercia dal capo di gloria» e simili) e più spesso dal participio passato («foglie
[...] levigate», «meli defoliati», «Le auto inferocite», ecc.). Una poesia come San
Miniato, di sedici versi, accoglie un aggettivo in tutto, e necessario: «vigna marcia», per il resto attestandosi su pure verbalizzazioni di eventi: «Ossa e piume si
fissano nel catrame. | Dai platani si distaccano dischi di corteccia», ecc. E così è di
23
A. ZANZOTTO, Presentazione a F. FORTINI, Una obbedienza (1980), in ID., Aure e disincanti nel Novecento
letterario, Milano 1994, p. 226.
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
norma, corti circuiti dinamici verbo-sostantivo che occupano lo spazio poetico
per intero.
Poeta antisimbolistico, Fortini non forza né gonfia il lessico («Non devi forzare nessuna parola»)24 neppure nel senso della metafora – altra cosa sono, abbiamo visto, simbolo e allegoria; e se questa vi sia tende ad essere, come dire, «guidata» ed assume caratteri molto peculiari. In Piazza Madonna le gole (delle campane) sono un metaforizzante che ingoia totalmente il metaforizzato; in L’educazione è probabile che la metafora non arcana della sera che «mordeva le gote» riceva qualcosa dal tecnico mordenti che precede. E se il Fortini anteriore faceva
ancora uso di metafore o analogie preposizionali a ordine determinante-determinato di matrice simbolista, ora di esse ne resta per lo più il solo guscio, sottoposte
come sono a un vigoroso ordinamento concettuale: «le tristezze del sale», «il ribrezzo della cascata», «l’ostinazione del torrente», e via dicendo: lo stilema è trasposto nella zona dell’astrazione mentale, e qui come altrove si coglie, adesso più
di prima, un aspetto tipico della tecnica fortiniana e dei suoi retroscala, la revisione e razionalizzazione antiliriche dello strumentario stilistico della poesia moderna, o postsimbolista.
Per il resto si dirà sommariamente che il lessico di Questo muro si biparte, in
modo più netto che non avvenga ad altra razza di poeti, in un lessico della mente
e uno della realtà. Il primo è un vocabolario intellettuale preciso (quindi a volte, e
anche per una sorta di dimostrazione, tecnico) ma non esorbitante, che all’occasione può deviare verso la nobiltà distanziante dell’aulico: lede, «erba fiera», affioca, nulla «nessuna», comitanti, adirai, «luce candida», etimologico, ecc. Quanto
al secondo, c’è il lessico della natura – e dello stesso passato, spesso fotografato
come «natura» – ed è di carattere medio, diretto di solito al genere e non alla specie e al dettaglio (erba, ecc.), dunque non solo antipascoliano e antimontaliano,
dato che il fenomeno dev’essere risucchiato in sostanza, l’occasione in regola, ma
tendente, nella sua essenzialità metonimica, a una forte concettualizzazione della
natura (di «natura mentale» in Fortini ha parlato giustamente Garboli)25. E c’è il
lessico della città moderna, dell’industria, delle autostrade..., risentito e volentieri
tecnico: basti un’occhiata a Deducant te angeli (e valga anche il contrasto con la
biblicità catartica del titolo), cono di deiezione, laser, oligofrenica, centrale sost.,
decorticata. Son come tre falde lessicali, a diversa profondità e che si discoprono
idealmente al lettore una dopo l’altra. Sporadico è invece il parlato, con qualcosa
di più, giusta il tema, in Alla Buca Mario («farmi il resto», flash).
24
25
F. FORTINI, L’apparizione, in ID., Una volta per sempre cit., v. 5.
C. GARBOLI, Le poesie parallele (1 980), in Per Franco Fortini cit., p. 84.
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
Interessanti anche le parole-chiave della raccolta (e in certi casi di Fortini intero). La sintesi – perché proprio di questo si tratta – della natura è espressa soprattutto dal citato erba; l’orrido della città e vita contemporanee da ossido e da
catrame; a mezza strada stanno soprattutto fumo e calce – e si veda quanto abbiamo accennato alla sezione 3 per i temi. La vita dello spirito converge significativamente nel verbo sapere e nei termini della sua area, conoscere, capire, certezza (si
veda quasi a riassunto il nobile finale del Falso vecchio, IX: «Voglio sa. pere e so
che la unica forza | è la gioia brevissima | la certezza sensibile che viene dopo tutto», p. 327), e così sarà fino a Composita solvantur. Si può anche dire che al raggiunto classicismo dell’opera non è estraneo il rarefarsi dei toscanismi (cfr. invece
in Poesia e errore, ad esempio, gestri, succia, sizza, vo, mézze, ecc.).
Anche in Questo muro è del tutto assente in Fortini, coerentemente a molte e
celebri sue prese di posizione, qualsiasi intenzione di plurilinguismo o cozzo di
registri: la differenza di registri semmai vale a differenziare un testo o un gruppo
nella loro totalità dagli altri, non si instaura all’interno del singolo testo a sfrangiarlo. L’evasione verso il francese, ad esempio, non è puntiforme ma si diffonde
per un testo intero (Collage per i miei cinquant’anni). Largamente impiegato è invece il procedimento ben più intellettuale del montaggio o collage appunto, come
accennato in precedenza; e già in precedenza Fortini ne aveva fornito prove notevoli, fra le quali spicca forse la straordinaria e stridula invenzione di Endlöitung in
Una volta per sempre, dove i nomi di foschi criminali nazisti si intercambiano in
«compagni» di scuola e, attenzione, «costellazioni»; e rimando in generale a Berardinelli26. Due sono press’a poco, nel secolo, le modalità del collage prima figurativo poi musicale e letterario. Una dissolutiva, che per questa via espone l’aleatorietà della significazione e la resa al frammentario. L’altra costruttivistica, che al
contrario impone attraverso questa tecnica il sigillo del dominio mentale, la capacità di trarre dal rapporto stesso tra i frammenti dissolti una significazione unitaria e nuova, nuove relazioni. Inutile dire che Fortini sta tutto da questa parte: al
punto da trattare con la tecnica del montaggio, come è evidente a una semplice
scorsa, le proprie stesse enunciazioni, o i loro segmenti, che così vengono anche
straniati dalla voce che li pronuncia e oggettivati. Dunque il tratto stilistico più
«avanguardistici» della poesia di Fortini è nello stesso tempo il suo più costruttivistico.
I procedimenti sintattici, in sé e in relazione col metro, più tipici di Questo
muro tendono, ancor più che in passato, verso il recitativo (drammatico) e l’antimelodismo. In molti casi è solo l’impaginazione che appende (non senza ironia) il
26
A. BERARDINELLI, Franco Fortini cit., passim.
Letteratura italiana Einaudi
21
«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
cartello «poesia» a brani perfettamente prosastici: Le difficoltà del colorificio,
L’apparizione (fanno semmai grumo le immagini violente), Ricordo di Borsieri,
ecc. Non è facile stabilire rapporti biunivoci coi temi; con un po’ di azzardo si
può forse azzardare quello «prosa»-onirismo. Altra volta è la manipolazione del
verso ad essere del tutto antilirica: «Era il mese di settembre, c’era una luce così»27 (il deittico rimanda alla realtà e uccide qualsiasi qualificazione abitudinaria);
altra volta lo è una semplice espressione «buttata via», come a p. 301: «[…] e così via»28. Ma lo stigma decisivo della sintassi di Questo muro è la frequentissima
coincidenza della frase col verso, e il suo legarsi sia al proprio interno che con le
successive in forme marcatamente asindetiche, rilevate all’occasione dai punti fermi ed eventualmente dagli spazi bianchi (semmai il connettivo a questa linearità
coatta e scandita potranno essere iperbati e inversioni, propri di una sintassi naturalmente «poetica»: «Un’erba esiste che si chiama persa», «le foglie luccicano
come piccioni | della magnolia altissima», ecc.). Il ritmo va al rallentatore, lo staccato prevale nettamente sul legato, al punto che nei nessi brevi si hanno tipi del
tutto anti-parlati come «la unica forza»: le enunciazioni si vogliono in tutti i modi
chiare e distinte, assertive già nella forma morfosintattica, e pronte ad essere trattate appunto attraverso il montaggio. Vediamo. La linea del fuoco: otto frasi-periodo su dieci versi, tutte staccate da asindeti (si muovono, in tanta fissità, quasi
solo i tempi verbali: il movimento sotterraneo della storia?); Questo non è grido di
vittoria: quattro versi staccati da punti finali e spazi bianchi; Dopo una strage, altro «montaggio»: dieci periodi, di cui sette coincidenti col verso, su otto versi,
nessuna congiunzione; In memoria, III: otto versi con sei periodi, di cui tre di un
verso, due di un verso e mezzo, uno di uno, asindeto generalizzato; A Vittorio Sereni: nove versi per lo più brevi (l’ultimo brevissimo) di cui i primi sei coincidenti con frasi; sia osservato fra parentesi che proprio in queste forme metriche «melodiche» si vede il trattamento antimelodico di Fortini; ognuno potrà continuare
l’esercizio. Il verso insomma è regolato, convenzionalizzato dalla sintassi, e si capisce che in questa metrica-perimetro la riduzione dell’enjambement rispetto alla
raccolte che precedono sia drastica: la confermano per absurdum casi limite come
a p. 303: «Non questi abeti non | il ribrezzo della cascata ma questa la sequenza»,
o a p. 296: «va per | anditi», da confrontare ad esempio con Una volta per sempre,
p. 233: «per | impercettibili respiri», e addirittura, Composita solvantur, p. 59: «se
non || dalla pietà».
Spesso, come ad esempio nel Falso vecchio, IV, il trattamento in questione
27
28
F. FORTINI, Per tre momenti, v. 4, in ID., Una volta per sempre cit..
ID., Consigli, v. 16, ibid.
Letteratura italiana Einaudi
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
colpisce frasi descrittive, che così vengono isolate alla orientale, sì, ma anche trasformate sotterraneamente in assertive: frasi-descrizioni e frasi-giudizio tendono
al limite a coincidere. Per gli asindeti, non meno frequenti, interni al verso o alle
catene sintattiche brevi-medie, basterà citare questi tre individui in scala per una
vasta specie, notevoli – come quasi sempre del resto – anche per le omissioni maggioritarie della virgola (le quali da parte loro indicano quel rimando alla lettura ad
alta voce a cui Fortini, si capisce bene perché, ha sempre tenuto): «Alzati parla»;
«taglia marmo ramo zinco»; «di nebbia fetida, chioschi, conigli sbranati, fari».
Questa paratassi spinta può dar luogo a una specie di stile da verbale, non sai
se più per ricerca di oggettivazione o per distacco giudicante: ad esempio San Miniato e Deducant te angeli, I (qui con indice chiaro di verbalizzazione: «Prima...
Secondo... Terzo...»). Oppure finisce per coniugarsi con la sintassi nominale, e
non necessariamente in zone «liriche»: ecco fra tanto altro Il falso vecchio, VIII;
può anche avvenire che, come in tanta poesia moderna, frasi nominali e verbali si
accostino au pair: è il caso di Deducant te angeli, forse la lirica più complessa del
libro, I: «Tutto chiuso anche la casa cantoniera | gli isolatori tintinnano», ecc. Sottratto al lirismo, lo stile nominale servirà anzitutto a oggettivare il messaggio, quasi visualizzarlo.
D’altra parte la paratassi accusata e scandente si combina con un folto di Parallelismi e ripetizioni dei tipi più vari, dal ritornello all’anafora alla ripetizione
semplice, in parte già adocchiati. Certo sono forme che appartengono anche ad
altre orbite stilistiche attraversate da Fortini, l’influsso dello stile biblico, la fusione della poesia con la didassi, il risparmio lessicale alla cinese; ma all’interno della sua carriera appaiono soprattutto una razionalizzazione, nel senso del martellamento concettuale, di ciò che una volta era soprattutto conversatività realistica o
iteratività popolareggiante (si veda in particolare Poesia e errore, p. 101). Ecco,
per dare un esempio breve, il parallelismo doppio, prima semplice poi parzialmente chiastico, prima statico poi consequenzianio, del Falso vecchio, I: «I legni
sono secchi, le foglie restituite. | La brina è sulle siepi, fumano le fontane. | Chiamano i cacciatori nella nebbia il traghetto. | Nello spazio dove non esisto rema il
barcaiolo» (p. 319): testo a partire dal quale possiamo commentare, semplificando molto, che se la paratassi prolungata è segno della nitida separazione di immagini e concetti, insomma della loro messa a fuoco, le ripetizioni o parallelismi lo
sono di quelle che con parole-chiave fortiniana potremmo chiamare «insistenze».
Ecco ancora, fra le tante, le anafore (discorso che si scandisce su di sé...) di come
in Gli ospiti o di che in Che domani, e non vanno trascurate, entro un linguaggio
poetico a così forte tramatura logica, le anafore puramente grammaticali, come
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«Questo muro» di Franco Fortini - Pier Vincenzo Mengaldo
già nella Linea del fuoco: «Siamo venuti... Abbiamo dato...» Infine, fra le ripetizioni, citiamo quella intorcinata di . In memoria, II: «il nome di mio padre | che è il
nome mio | il nome dei padri...» (p. 299). Mentre in Da un verso di Corneille la ripetizione è arricchita dalla decisiva variazione. Ma insomma, tutta la serie di replicazioni e simmetrie ottiene anche questo risultato, che i testi più paratattici non
sono strutturati solo dal ritmo, ma anche da tralicci sintattici a vista.
Tra i settori in cui lingua e retorica di Fortini più sono plasmate dalla logica vi
è certo, e significativamente, quello delle espressioni della contraddizione, dialettica o meno. Spicca anzitutto la frequenza dei movimenti avversativi, talora variamente attenuati ma talora spinti fino alla forma marcata della correctio, cara al
poeta da tempo (ad esempio p. 286: Ma non... Non...; p. 291: eppure; p. 296: Però
e non.., ma; p. 301: non... ma e e anche; p. 303: Non... non… ma..., ecc.). E forse si
possono collocare nell’area allargata delle correctiones (implicite) le formule frequenti in cui a una partenza interrogativa segue un’asserzione o una constatazione. Quanto alle figure non dinamiche, diciamo, ma statiche della contraddizione,
i paradossi della opposizione e della compresenza si fissano intanto in ossimori,
più concentrati, come «è un vivace saluto l’addio», incardinato fra due sapere
(Un’altra allegoria) e «che cosa tetra e bella» (A Vittorio Sereni), o di più estesa
concettualizzazione, come nel mirabile «nega e ragiona la più giusta lacrima»
(sempre Un’altra allegoria), tra l’altro plastica espressione poetica del nesso ragione-negazione. E c’è la formulazione reciproca di San Miniato: «Non conosco nessuno, nessuno mi conosce» (rincalzata al verso seguente da «Se i morti vedessero,
vedrebbero come me»). E un verso tanto più interessante perché da un lato sembra darci en raccourci il rapporto fra i numeri II e III del Falso vecchio, ma soprattutto risponde, nel gesto retorico e microtematico, a ciò che altrove sono le inversioni e reciprocazioni tematiche in grande: penso specialmente a Le sette di sera:
lo scrivente incontra in sogno un amico morto, ma il morto è lui stesso, vivo è il
morto sognato, che tenta invano di abbracciano.
Finora abbiamo toccato di fenomeni che riguardano in maggioranza il rapporto fra lingua e referenti. Un cenno ora ad alcuni che stanno nella zona dei rapporti lingua-scrivente, lingua-interlocutori o destinatari. Come di regola in Fortini Questo muro trabocca di amici, specie politici. E interessante notare che il gesto verbale nei confronti loro e dei lettori in genere si possa comprendere fra gli
opposti estremi del noi sociativo cui non di rado si allarga il dominante io, e delle
mosse imperative, tutt’al più placate in esortativi (fra Alzati parla, Mangiate.., meditate e Si guardi, intenda...; forma di estrema ma apparente attenuazione è l’esplicito Vi chiedo, p. 301). Tenuto anche conto che il destinatario può essere il lo-
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quente stesso, ne abbiamo una sorta di parallelismo di quell’invertirsi reciproco
che ci colpisce spesso nei Versi a se stesso e Versi a un destinatario; e comunque la
traccia del deviarsi del dialogo in altro, didassi, ordine o invece monologo. Un
passo più avanti e siamo alle esclamative, specie quelle per così dire allargate da
ah, come, ecc. (ad esempio le pp. 281, 309, 336, 338). Páthos personale e interpersonale correggono a fondo un’oggettività che, non dimentichiamolo, è anche falsa oggettività.
In conclusione. In Questo muro si vede particolarmente bene a fuoco quello
che molti hanno chiamato il «classicismo» del linguaggio poetico di Fortini: da intendere però come, letteralmente, un classicismo postmoderno, che si protende
cioè sopra le spalle dello stile dei moderni. Esso adempie a più funzioni. Prima di
tutte a quella di essere l’equivalente sul piano stilistico di ciò che nel comportamento è la cerimonialità, alla cui importanza Fortini ci ha richiamato, ancora coi
cinesi e con Brecht, non poche volte. Secondo punto: la poesia è collocata così
non nel luogo della soggettività chiusa e irresponsabile, della mimesi e dell’immediatezza, ma dell’oggettività partecipabile, della mediazione e della distanza; il
linguaggio non deve coincidere né col soggetto né col puro oggetto. E se il soggetto deve pur parlare, parli dalla lontananza di un testamento, gelato. Di qui anche le note polemiche con l’espressionismo di Pasolini. Ma classico è anche, propriamente, il linguaggio che guarda al passato – e in quanto tale (cfr. soprattutto
la sezione 3) può additare il futuro ben meglio che ogni linguaggio trito della contemporaneità.
Per finire. In Questo muro, come nelle due raccolte successive, Fortini fa scivolare più che in precedenza il classicismo sul piano inclinato dei manierismo: in
questo si allinea in apparenza a un modo tipico della modernità, ma servendosene
ancora una volta per i suoi scopi, che sono di prospettare criticamente una poesia
«come tale» e non come assoluto, contrapponendo e intrecciando poesia «di maniera» (o «da») e «dal vero», e così mostrando la relatività di entrambe.
6. Nota bibliografica.
Esiste un’altra raccolta poetica fortiniana, di testi rifiutati o inediti, che non ho
avuto ragione di utilizzare: F. FORTINI, Versi primi e distanti 1937-1957, Milano
1987. Segnalo le due antologie esistenti della poesia di Fortini: quella curata da
me (ma con strettissima consultazione con l’autore), ID., Poesie scelte (19381973), Milano 1974, e quella allestita più tardi dall’autore medesimo, ID., Versi
scelti (1939-1989), Torino 1990.
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Per un inquadramento generale della figura e dell’opera di Franco Fortini ci
si potrà rifare a: A. BERARDINELLI, Franco Fortini, Firenze 1973; G. BÁRBERI SQUAROTTI, «Fortini, Franco», in Grande Dizionario Enciclopedico, VIII,
Torino 1968, p. 222; G. RABONI, Franco Fortini, in A.AV.V., Letteratura italiana.
I contemporanei, V, Milano 1974, pp. 959-80; R. LUPERINI, La lotta mentale. Per
un profilo di Franco Fortini, Roma 1986; M. ZANCAN e M. GUSSO, «Fortini,
Franco», in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, II,
Torino 1986, pp. 261-68; AA.VV., Seminario in onore del prof. Franco Fortini, Firenze 1987. Utile in questo ambito anche il volume di C. FINI, L. LENZINI e P.
MONDELLI, Indici per Fortini, Firenze 1989, che contiene una bibliografia dei
suoi scritti (che si arresta al 1985), una guida analitica ai soggetti dell’opera saggistica e una scelta della bibliografia critica.
Limitatamente alla produzione poetica di Fortini, segnaliamo i seguenti contributi: G. BARBERI SQUAROTTI, La cultura e la poesia italiana del dopoguerra,
Bologna 1966, pp. 198-201; ID., Franco Fortini, in Poeti italiani del Novecento, a
cura di P. V. Mengaldo, Milano 1978, pp. 827-31; ID., Lettera a Franco Fortini sulla sua poesia, in ID., La tradizione del Novecento (nuova serie), Firenze 1987, pp.
387-406; A. ASOR ROSA, L’uomo, il poeta (1965), in ID., Intellettuali e classe
operaia, Firenze 1973, pp. 231-71; P. V. MENGALDO, Introduzione a F. FORTINI, Poesie scelte (1974), in ID., La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio a
Montale, Milano 1975, pp. 387-401; S. RAMAT, Fortini e la vitalità dell’«errore»,
in ID., Storia della poesia italiana del Novecento, Milano 1976, pp. 571-79, 618-19;
P. V. MENGALDO, Fortini e i «Poeti del Novecento», in «Nuovi Argomenti»,
nuova serie, n. 61 (1979), pp. 159-71; Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, a cura di C. Fini, Padova 1980 (contiene saggi, fra gli altri,
di Alberto Asor Rosa, Giorgio Bàrberi Squarotti, Giacomo Magrini, Pier Vincenzo Mengaldo, Walter Siti, Vittorio Sereni, Giovanni Raboni); A. BERARDINELLI, Franco Fortini, in AA.VV., Poesia italiana. Il Novecento, Milano 1980, pp. 76465; A. ASOR ROSA, Lo stato democratico e i partiti politici, in Letteratura italiana,
diretta da A. Asor Rosa, I. Il letterato e le istituzioni, Torino 1982, pp. 573-75 e
passim; P. SABBATINO, Gli inverni di Fortini, Foggia 1982; R. PAGNANELLI,
Fortini, Ancona 1988; A. MANFREDI, Fortini traduttore di Eluard, Lucca 1992;
A. ZANZOTTO, Franco Fortini: Un’obbedienza e Su Fortini, in, ID., Aure e disincanti nel Novecento letterario, Milano 1994, pp. 223-33; L. LENZINI, Il lungo
scandalo di Fortini, in «Testimonianze», XXXVIII (1995), 2, pp. 69-77.
Per quanto riguarda aspetti specifici della raccolta Questo muro, oltre alle pagine che gli dedicano i testi di cui sopra, vanno ricordati: C. DI GIROLAMO, Re-
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censione a F. FORTINI, Questo muro, in «Belfagor», XXVIII (1973), pp. 756758; G. GRONDA, Un comizio, in AA.VV., Retorica e politica. Atti del II Convegno italo-tedesco, Bressanone 1974, in «Quaderni del circolo filologico e linguistico padovano», n. 9 (1977), pp. 337-99; ID., Il falso vecchio. Connessioni intertestuali in una sezione di «Questo muro», in Per Franco Fortini cit., pp. 87-119; C.
GARBOLI, Le poesie parallele (1980), ibid., pp. 81-86; C. CALENDA, Di alcune
incidenze dantesche in Franco Fortini (1982), in ID., Appartenenze metriche ed esegesi. Dante, Cavalcanti e Guittone, Napoli 1995, pp. 145-53; L. LENZINI, Il tempo della traduzione, in Quattro studi sul tradurre, a cura di G. Lonardi, Verona
1983, pp. 122-24; G. MAGRINI, Il nido del Nido, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia [Università di Siena]», VI (1985), pp. 331-42; E. ZINATO, Il dente della storia. Figure animali nella poesia di Fortini, in «Hortus», n. 16 (1994), p.
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