Considerazioni dopo il 24 ° Forum di Santa Margherita : nell
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Considerazioni dopo il 24 ° Forum di Santa Margherita : nell
Considerazioni dopo il 24 ° Forum di Santa Margherita : nell’ industria immobiliare italiana troppo pochi i giovani, e poca chiarezza sui NPL Pubblicato il 20 settembre 2016 in Editoriali, Primo Piano nella foto, Luca Fantin di Luca Fantin, Consigliere Delegato e Chief Restructuring Officer di Compagnia Investimenti & Sviluppo Ho partecipato alla mia prima edizione di Scenari Immobiliari circa dieci anni fa e allora ero uno dei più giovani in Sala. Quest’anno ho partecipato alla 24esima edizione del Forum e anche questa volta ero, ahimè (anzi, ahi noi), uno dei più giovani. Purtroppo, dall’ inizio della lunga crisi immobiliare , i giovani che hanno avuto la possibilità di emergere e affermarsi in questi quasi dieci anni si contano sulle dita delle mani. Certo il mondo si è fermato per tutti ; e lo tsunami che ha investito l’economia italiana e il real estate in particolare non poteva certo risparmiare le nuove leve. I miei coetanei e io abbiamo avuto la fortuna di entrare nel mondo del lavoro in un momento di euforia che ci ha permesso sin da subito di sedere a “tavoli importanti” e di entrare in contatto con personalità di spicco della comunità economica. Tra coloro che avevano il “vento in poppa” dieci anni fa, molti sono comunque usciti di scena (di qualsiasi età essi siano) ; e molti hanno dovuto ridurre le proprie ambizioni di carriera. A parte questa considerazione sull’innalzamento (o quantomeno sulla mancata riduzione) dell’età media dei partecipanti al Forum, un’altra assenza che mi ha colpito è quella relativa ai protagonisti dell’altra metà della mela del mercato: i venditori. Nel pomeriggio di venerdì 16 settembre e nella mattinata di sabato 17 abbiamo ascoltato il punto di vista di molti investitori (sia domestici che internazionali) ma la platea era in scarsissima parte composta di soggetti “interessati” (nel senso più stretto del termine) ad ascoltare. Mancavano pressoché integralmente le banche, siano esse commerciali o d’affari. Salvo errori, ho visto solo Aareal Bank e Gregorio de Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo. Mancava la maggior parte dei broker sia nazionali che internazionali. Mancava la maggior parte dei potenziali venditori. La cosa che accomuna la prima (le banche) e la terza (i venditori) categoria è il debito, che nella quasi totalità dei casi è “appiccicato” agli immobili e che concorre fortemente a renderli invendibili. Un po’ perché il valore del debito in molti casi è superiore al valore di mercato dell’immobile e un po’ perché le aziende in “ristrutturazione” spesso non sono gestite nel senso più puro del termine o sono totalmente prive di risorse al punto tale da non riuscire a porre in essere nemmeno marginali interventi di valorizzazione dei propri immobili. In queste ultime settimane la stampa, sia specializzata che generica, dedica grandi spazi ai Non Performing Loans ma molto raramente (direi quasi mai) è stata dedicata qualche parola per capire che cosa c’è sotto e dietro a tali crediti non performanti. Ciò di cui si parla ampiamente e diffusamente è legato esclusivamente all’ ”impacchettamento” di tali crediti per consentirne la cartolarizzazione e quindi il deconsolidamento dal bilancio delle banche. Ma nulla si dice su come questi crediti potranno essere incassati, in tutto o in parte. Le banche, per mille motivi anche condivisibili, preferiscono non vedere e non sapere, e comunque non prendono iniziative che portino a valorizzare – o quantomeno a non ulteriormente deprimere – gli asset sottostanti ai crediti incagliati o in sofferenza. Recentemente qualcosa si sta muovendo, ma è una goccia nel mare. Uno dei maggiori gruppi bancari italiani ha da poche settimane deliberato il trasferimento di un portafoglio di crediti immobiliari “rotondi” (i cosiddetti “big ticket”) a un veicolo di cartolarizzazione che verrà gestito da un consorzio di società che di mestiere operano nell’immobiliare. Questo veicolo avrà a disposizione una linea di nuova finanza molto consistente da destinare a favore dei debitori incagliati per consentire loro, sotto l’occhio attento del finanziatore, di valorizzare gli immobili finanziati e ridurre di conseguenza la perdita per la banca. E’ inutile nascondersi che questa, con relative varianti, è l’unica strada percorribile per consentire agli investitori (molti in questo momento) di acquistare immobili oggi sul mercato ma in realtà invendibili in quanto imprigionati in gabbie giuridiche e finanziarie che non lasciano margini di manovra. Servono uomini per fare questo mestiere. Ne servono molti. Bravi. Pazienti. Disponibili a lavorare in società dove anche il singolo euro a disposizione è una conquista. Consapevoli del fatto che i potenziali acquirenti sono seduti sulla riva del fiume ad attendere che passi il cadavere. Io ho iniziato a fare il Chief Restructuring Officer (così, in modo un po’ pomposo, si chiamano le donne o gli uomini chiamati al capezzale delle aziende in crisi) un paio di anni fa. Siamo molto pochi, anche perché è un lavoro faticoso dove la pazienza riveste un ruolo fondamentale e dove le soddisfazioni sono difficili da conseguire. Un processo di ristrutturazione finanziaria di un gruppo di società che coinvolga più banche può durare anche due anni. E in questi due anni le società devono in qualche modo sopravvivere, con tutto quanto ne consegue anche in relazione alle responsabilità personali degli amministratori. Tutto quanto è stato detto al Forum della scorsa settimana è vero e condivisibile , ma non è sufficiente. Se il mercato italiano vuole trovare ascolto presso investitori istituzionali molto più attenti e strutturati di quelli che hanno investito nei primi anni del nuovo millennio è necessario avere venditori in grado di essere definiti tali. E’ necessario che le banche affrontino di petto i “big ticket” che hanno in carico “obbligando” i debitori a servirsi di professionisti (e ce ne sono tanti a disposizione) che lavorino, con concretezza, per portarli fuori dalle secche. Anche perché, nella maggior parte dei casi, gli imprenditori hanno già integralmente perso il loro capitale e non hanno quindi l’interesse a dedicarsi anima e corpo per salvare il credito delle banche. Anche le associazioni e la stampa di settore dovrebbero dedicare maggiori risorse e attenzione a quello che è il vero bacino a cui attingere per far ripartire il mercato. E’ necessaria una cabina di regia che promuova l’incontro, a livello sistemico, di investitori, banche e venditori (in crisi). Tutto il resto è certamente utile e necessario, ma non è sufficiente. E in questo circolo virtuoso potranno portare le loro esperienze i professional che sono stati messi ai margini del mercato dalla crisi e i giovani (con le loro idee nuove) che invece non sono ancora riusciti ad affermarsi. Non lasciamo che i crediti vengano semplicemente “impacchettati”, nella speranza che poi sia qualcun altro a gestire una situazione che il tempo contribuirà sempre più a deteriorare.