Che senso! - Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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Che senso! - Università degli Studi della Repubblica di San Marino
Sabato 9 settembre 2000
S.Marino
Che senso!
Laboratorio a cura de “La testa per Pensare” di Bologna
Perché i sensi?
Per molti anni la scuola ha cercato di convincerci che per imparare è sufficiente stare seduti fermi sul banco,
usare la mente per ascoltare e capire nuovi concetti e immagazzinarli dentro al nostro cervello; come se
fossimo un quaderno bianco che giorno dopo giorno si riempie di parole e concetti.
Così, quando nell'aula dove stavamo ascoltando le parole dell'insegnante, entrava una mosca, o se per caso
esplodeva improvvisa una musica o un rumore da fuori, immediatamente eravamo richiamati all'attenzione e al
controllo delle emozioni: cioè eravamo costretti a dimenticarci di avere un corpo che vede immagini, che sente i
suoni, che percepisce il freddo e il caldo, che annusa gli odori, costretti a non lasciarci "affascinare" dalle cose
che potevano per un attimo rompere la monotonia della lezione.
Così siamo cresciuti pensando che da un lato esista il pensiero, razionale, serio, utile e dall'altra esista
l'emozione, il divertimento, bello ma inutile o addirittura pericoloso perché distrae; da una parte c'è la mente,
dall'altra il corpo che, essendo facile preda di diversi tipi di debolezze, è spesso considerato un ostacolo da
tenere sotto controllo.
Ma non possiamo dimenticare o persino gettare via una parte di noi, bollandola come inutile; considerarla
estranea significa negarla e perdere tutte le sue possibilità creative e in alcuni casi addirittura rendercela nemica,
farla rivoltare contro di noi, perché il nostro corpo è forte e, se si ribella alla nostra mente, sono guai seri.
E' il nostro corpo infatti che permette al cervello di ricevere informazioni, il cervello è chiuso dentro alla scatola
cranica, al buio, isolato dal mondo e dai suoi oggetti e dalle sue parole; è il nostro corpo che gli apre, se vuole,
se ne è capace e come ne è capace, delle finestre sul mondo che gli permettono di immagazzinare un enorme
flusso di informazioni dal mondo esterno: odori - rumori - sapori – contatti - immagini. Sono i cinque organi di
senso che permettono al cervello di "fare esperienza" e quindi di apprendere.
La fantasia e l'apprendimento nascono nel momento in cui il cervello riesce a mettere insieme "pezzi" di cose
viste - sentite - annusate davvero nella realtà, costruendo da questa unione una nuova idea, originale e creativa:
crea così un legame, una associazione che nella realtà non esiste, esiste solo nella nostra mente, ma è nata solo
grazie all'esperienza sensoriale della realtà.
Ogni volta che il nostro cervello crea una associazione, una idea, ne viene per sempre modificato
aggiungendola al suo patrimonio, quindi la capacità creativa dell'uomo consiste nel mettere in relazione due o
più cose che fino a quel momento erano separate e questo avviene attraverso le finestre dei sensi.
Ma sappiamo che ci sono due sensi fra questi cinque che sono sicuramente privilegiati nella nostra storia
scolastica e anche nella nostra vita quotidiana, pensiamo solo al tempo che passiamo davanti al televisore: la
vista e l'udito.
Da sempre gli uomini hanno inventato una grammatica, dei codici precisi per regolare questi due sensi, dando
loro un carattere di cultura e una facile trasmissibilità: l'arte della pittura, della scultura, della grafia,
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dell'architettura, dell'estetica e l'arte del linguaggio e dei suoni con le sette note e con le regole matematiche che
ne stanno alla base. ”Ci sentiamo domani... ci vediamo presto...” preludono a incontri anche di contatto, di
odore “Do' un'occhiata a questo paziente...” sicuramente lo toccherà e anche ne sentirà l'odore. “Vediamo un
po' chi interroghiamo oggi…” non è certo una valutazione estetica.
Si sono persino inventati strumenti sofisticati per ampliare la gamma delle possibilità percettive di questi due
sensi, dal microscopio alla lente degli occhiali, agli occhiali a raggi infrarossi, dal cornetto acustico agli strumenti
che emettono ultrasuoni o che captano i rumori dello spazio, non altrettanto per gli altri sensi.
Evidentemente gli altri tre sensi sono difficili da raccontare, non si sono trovati codici comuni, non sono
oggettivi.
C'è un posto, (anzi, due, ma il secondo è un po' troppo intimo) nel quale l'uomo, o ancor meglio la donna, ha
cercato di unire tutti i sensi, di utilizzare nel rapporto con gli oggetti, tutte le possibilità del corpo: la cucina
come luogo dove si mescolano oggetti con i loro sapori, i loro odori, i rumori, i colori e le forme, le sensazioni
tattili, ma soprattutto luogo dove tutto questo diventa comunicazione e messaggio, proposta e offerta,
apprendimento e insegnamento. E' trasmissione linguistica innanzitutto orale, ma anche scritta nei ricettari
familiari e dotti.
Il rapporto fra scrittura e gastronomia si intravede già in un quadro mitologico: è tramandato infatti che la
scrittura sia stata portata in Grecia da Cadmo che era stato cuoco del re di Sidone.
"Riferiamo" scrive Barthes (1974) "questo tratto mitologico come apologo del rapporto che unisce linguaggio e
gastronomia. Queste due facoltà non hanno forse lo stesso organo e più in generale lo stesso apparato di
produzione e percezione?”
Si tratta delle guance del palato e della cavità nasale di cui Brillat Savarin ricorda il ruolo nella degustazione e
da cui nasce il bel canto: “Mangiare, parlare, cantare (è necessario aggiungere baciare?) sono operazioni nate
nello stesso luogo del corpo: se si taglia via la lingua, non c'è più nè gusto né parola"
Nelle nostre cucine si uniscono con regole precise tutti questi sensi: queste regole sono fissate da tempo
immemorabile e costituiscono la nostra identità di gruppo e personale. Nella cucina c'è la storia di un popolo e
la nostra.
La cucina è il luogo dove la natura si trasforma in cultura dove il cibo e le sue regole si riempiono di storie e di
storia.
Nessuno di noi si sognerebbe di mettere la maionese sulla polenta o di unire i gamberetti al ragù alla bolognese
o di mettere il sale nel caffè o il limone nel latte
Anche se noi non siamo sempre consapevoli delle storie che ci sono alla base delle nostre scelte alimentari, i
cibi che noi cuciniamo sanno bene queste storie e ogni tanto ce le raccontano.
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Il cibo, il corpo, le loro storie e le loro tecniche sono quindi lo sfondo sul quale si muovono i
quattro incontri –laboratorio che giocano sulle diverse istanze che contribuiscono a costituire il senso del sè:
in primo luogo la percezione di avere un corpo proprio -
la capacità di progettare e intraprendere azioni -
Che senso!
settembre 2000
Sensazioni
gennaio 2001
la capacità e la consapevolezza di provare stati d’animo -Incontro senso gennaio 2001
la capacità di interpretare il cambiamento-
Senso comune
gennaio 2001
Dove per senso non intendiamo solo la capacità biologica di percepire il significato di ciò che accade, ma
piuttosto “la possibilità della significazione come tale, ossia la possibilità di porre uomini e cose in
relazione a un orizzonte di significato a cui fare riferimento per la comprensione di sé e del
mondo” (U. Galimberti 1999).
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Gli adolescenti e il senso di sè
Lo sfondo che abbiamo scelto per i laboratori ci pare in sintonia con l’argomento di questo
master poiché il corpo è, nell’adolescenza più che mai, il grande protagonista, il luogo nel
quale si rende manifesto il cambiamento, ma è anche uno strano ospite nelle pareti dell’aula
scolastica dove spesso sembra esserci completamente scollegato dalla mente e dal cuore.
“L’idea stessa che si possa parlare di un corpo come teatro di fatti altri da quelli della mente ci
allontana dalla possibilità di comprendere l’esperienza che l’adolescente vive col mutamento
globale della sua persona, della forma e del senso: mutamento straordinario della presenza.
Proprio perché la crisi ruota intorno ad un vissuto di scollamento del mondo interno da quello
esterno, intorno alla tensione fra essere e apparire, tra fare e pensare, la comprensione dei
fatti e, di conseguenza, l’aiuto all’adolescente non può nascere da un pensiero diviso.
In questa età più che in altre, comprendere quello che accade nel corpo non riguarda mai i fatti
fisici come tali, ma il senso che questi hanno per la persona che li esperisce, il loro permanente
rapporto con la costruzione dei significati.
Il corpo non è un oggetto rispetto al soggetto che lo guarda, che lo osserva analiticamente ed
integra così elementi conoscitivi nuovi. I fatti del corpo sono tutt’uno con lo sguardo di chi li
osserva e le trasformazioni fisiologiche sono orientate dal senso e dal carico affettivo che viene
loro attribuito.
Per comprendere l’adolescente nel suo modo di essere - al – mondo, occorre partire da un corpo
non come cosa posseduta, ma come campo di esperienza che coincide con la presenza stessa del
soggetto.
La vera novità degli eventi adolescenziali che riguardano il corpo non è data soltanto dalla
particolare intensità e velocità dei mutamenti, ma dal fatto che l’adolescente è per la prima volta
spettatore consapevole del mutamento che lo riguarda ed è dunque impegnato in un processo di
controllo, contenimento, attribuzione di senso a ciò che gli accade.
Le tensioni che si vengono a creare anche nel campo relazionale e sociale sono dovute al fatto
che adulto e ragazzo stanno rinegoziando un senso comune da attribuire alle loro rispettive
presenze ed alla relazione che li lega.
La salvaguardia della diversità, la differenza e la specificità dei ruoli, l’indipendenza e la libertà
personale di autodefinirsi, coabitano con la necessità di mantenere il legame affettivo che
sostiene l’autoriconoscimento e il senso di permanenza e di continuità.”
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Fabbrini e Melucci 1992
Noi crediamo che gli stessi giochi, le stesse esperienze, le stesse emozioni che vivremo
durante il tempo dei laboratori, potranno essere riproposte, adattandole, a gruppi di ragazzi e
ragazze, accettando la scommessa che, in fondo, quello che emoziona noi adulti è capace di
toccare profondamente anche loro.
”Le parti adolescenti sopravvivono utilmente in ogni adulto, non come residui irrisolti di crescite
mal digerite,ma come risorse vive,attive e utili ad ogni presente.
Ciò che cambia nel tempo è certamente la capacità di contenimento, di comprensione e di gioco di
cui l’adulto può disporre, cioè la diversa capacità di governare i processi. Con consapevolezza,con
l’abilità via via appresa, ma mai definitiva, di rispondere ai mutamenti (respone – ability).
Questa è la vera, forse l’unica, conquista del crescere.” Fabbrini e Melucci 1992
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Un nuovo ordine dei sensi?
“- Leggere, - egli dice, - è sempre questo: c’è una cosa che è lì, una cosa fatta di scrittura, un
oggetto solido, materiale, che non si può cambiare, e attraverso questa cosa ci si confronta con
qualcos’altro che non è presente, qualcos’altro che fa parte del mondo immateriale, invisibile,
perché è solo pensabile, immaginabile, o perché c’è stato e non c’è più, passato, perduto,
irraggiungibile,…
-…O che non è presente perché non c’è ancora, qualcosa di desiderato, di temuto, possibile o
impossibile, - dice Ludmilla, - leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e nessuno
sa cosa sarà….- Io? Io non leggo libri! – dice Irnerio
- Cosa leggi allora?
- Niente. Mi sono abituato così bene a non leggere che non leggo neanche quello che mi capita
sotto gli occhi per caso. Non è facile: ci insegnano a leggere da bambini e per tutta la vita si
resta schiavi di tutta la roba scritta che ci buttano sotto gli occhi. Forse ho fatto un certo
sforzo anch’io i primi tempi, per imparare a non leggere, ma adesso mi viene proprio naturale.
Il segreto è di non rifiutarsi di guardare le parole scritte, anzi, bisogna guardarle
intensamente fino a che scompaiono.”
Italo Calvino
Vi proponiamo un percorso che ha come sfondo la narrazione: parole lette, tratte da libri vecchi e nuovi,cioè
delle “lessie”.
Il termine Lessia è stato introdotto dal semiologo francese Roland Barthes per denotare “unità di lettura”
ritagliate all’interno del testo. Per Barthes, le lessie sono il risultato della “scomposizione in senso
cinematografico del lavoro di lettura. (…) Questo lavoro di ritaglio, occorre dirlo, sarà quanto possibile
arbitrario;non implicherà alcuna responsabilità metodologica (…).
La lessia comprenderà ora poche parole, ora qualche frase; sarà questione di comodità: basterà che sia il
migliore spazio possibile in cui osservare i sensi; (…) si richiede solo che per ogni lessia non vi siano più di tre
o quattro sensi da enumerare”. R.Barthes 1973
Alla base di questa scelta c’è la nostra esperienza di lavoro con bambini e ragazzi sempre più diffidenti verso
l’ascolto e verso il libro, ma noi sappiamo che una delle caratteristiche dell’animazione è quella di “andare
controcorrente” di opporsi (porsi contro) alle tendenze dominanti e al senso comune.
E’ una sfida difficile e deve perciò essere condotta in modo accattivante e per gradi; la fatica di leggere, non
può competere facilmente con la facilità di guardare e ascoltare le parole di un adulto difficilmente ha lo stesso
fascino di una visione multisensoriale.
Vi sono studiosi che hanno analizzato queste difficoltà dei giovani ad avvicinarsi alla lettura e all’ascolto:
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“Alla base di questo fatto sta un fenomeno nuovo, che possiamo considerare di importanza
storica: la creazione di un nuovo ordine dei sensi, per il quale la vista e l’udito si sono ancora una
volta scambiati di posto dopo secoli di primato della visione alfabetica. Oggi è tornata a
dominare la visione non alfabetica; questo fenomeno è sostanzialmente il rovescio di una
processo che pareva a senso unico – il processo che aveva portato l’uomo dall’intelligenza
simultanea a quella sequenziale.” R.Simone, 2000
La scuola ha ormai a che fare con un universo di bambini e ragazzi che fatica enormemente di più che in
passato a seguire il carattere sequenziale dell’intelligenza a cui è affidata la comprensione del suo sapere
tradizionale; non si tratta di opporsi al nuovo, ma di evitare che la scuola e i suoi metodi appaiano sempre di
più ai ragazzi come una finzione noiosa e assurda, tempo rubato alla realtà vera e autentica che non si articola
in proposizioni verbali, ma in sensazioni totali come la televisione, il walkman, internet e i videogiochi .
“Per i passaggi epocali non ci sono ricette pronte, ma sfide di pensiero e di paziente
sperimentazione”, siamo d’accordo con Umberto Galimberti e pensiamo si possa provare ancora ad
affidare alle parole lette in silenzio e concentrazione e/o ascoltate insieme, la possibilità di trasmettere
emozioni, curiosità, conoscenze.
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Perché la mela
“Quid est malum? Un pomo sferoidale, simbolo di totalità, dalla buccia o scorza (ma si potrebbe
dire pelle) liscia, casto nella polpa docemente odorosa, dalla doppia anima (maschile e
femminile,anche nell’alternanza linguistica fra mela e pomo, variante preferita nel nord est
italiano); dalla equivoca sensualità …
Umido geroglifico del mondo,tumido frutto del cielo e della terra,polposa escrescenza solare e
lunare, questa sfera d’alchimia vegetale è intimamente legata allo spirito del sottosuolo,all’umido
nascosto e opaco, alla “sostanza umida” o prima materia, principio di tutte le cose
emblematizzata nel serpente o nel drago, nell’idra acquattata fra i rami o nel pedale
dell’albero….”
Piero Camporesi 1985
“Nessun altro frutto ha assunto sotto tutti i cieli e in tutte le epoche pari dignità.
Il fatto che la mela sia diventata il simbolo dei simboli potrebbe derivare dal posto d’onore che
ha nel libro dei libri, la Bibbia. Potrebbe, ho detto, perché in effetti esso non parla affatto della
mela come causa della discordia fra Dio e l’uomo.
Come nasce allora la storia del pomo d’Adamo, della mela come frutto del peccato originale
infinite volte rappresentato nell’arte sacra cristiana? La risposta è forse semplice. L’arte
cristiana, come la stessa struttura portante del pensiero cristiano, deriva dal mondo grecoromano dove la mela, come frutto privilegiato, come simbolo dell’immortalità, esisteva. La
mitologia greca e il racconto biblico hanno, d’altronde, alcuni punti di contatto. Per esempio
l’albero della vita e il serpente.
La scenografia dell’Eden e del giardino delle Esperidi è quasi identica.
Nel secondo manca l’altro albero e cambia totalmente l’azione
Nel caso della Bibbia il serpente è tentatore, nel giardino delle Esperidi è difensore del frutto
dell’immortalità contro ogni tentativo dell’uomo, destinato alla morte, di farsi immortale.
Nel Paradiso terrestre c’erano due alberi; quello della vita e quello della conoscenza del bene e
del male. In questo modo veniva opposta all’unità (albero della vita) una dualità (albero del bene
e del male), formando una terna significativa: l’unione del cielo con la terra. L’albero della
scienza del bene e del male è sì lo strumento della caduta di Adamo, ma qualcuno, in epoca
cristiana ci ha assicurato che il suo legno servì a costruire la croce di Cristo, anche se altri
sostengono che essa sia stata tratta dall’albero della vita. Così nella prima ipotesi l’albero della
scienza sarebbe nello stesso tempo anche l’albero del riscatto.
A volte l’albero della vita e quello della scienza si sovrappongono e la mela finisce con l’assumere
significazioni diverse. Se la vediamo in mano ad Eva è certamente il frutto della caduta, se la
vediamo in mano a Gesù bambino o alla Madonna è il frutto dell’immortalità a volte sostituito dal
melograno.
Comunque la mela esaltò l’uomo. La sua sfericità gli richiamò la totalità cielo – terra.
Una sorta di mela è il simbolo del potere massimo terrestre e divino.
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L’uomo divise a metà il frutto e, ormai travolto da una sorta di raptus narcisistico per il
capolavoro della sua coltivazione, vi scorse la stella a cinque punte formata dagli alveoli che
trattengono i semi. Per via della stella, gli iniziati la elevarono a simbolo della conoscenza e della
libertà.
Mangiare la mela significò usare della sua intelligenza per conoscere il male, della sua sensibilità
per desiderare, della sua libertà per agire. “
G Mantovano
Queste parole sono tratte da i seguenti testi:
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Giulio Mezzetti "La natura e la scienza" La Nuova Italia
"Che senso!" percorsi di educazione sensoriale a cura de “La Testa per Pensare” Bologna 1984
Rossano Nistri "Dire fare gustare" Slow food editore,1998
L. Pignotti "I sensi delle arti" Dedalo
Piero Angela "La macchina meravigliosa" De Agostini,1990
Camporesi “Le officine dei sensi”Garzanti, 1985
Calvino “Se una notte d’inverno un viaggiatore” Einaudi, 1979
G.Mantovano “L’avventura del cibo”
Enciclopedia Einaudi volume 12 voce “Sensi”
Umberto Galimberti “Psiche e tecne” Feltrinelli, 1999
Francesco Sofia “L’atto epifanico” da Nuovo albero a elica n.°4, 1991
Quaderni di letteratura per l’infanzia diretti da Emy Beseghi “Adolescenza” Mondadori, 1996
La sacra Bibbia versione ufficiale C.E.I.
Fabbrini Melucci “L’età dell’oro” Feltrinelli,1992
Mario Pollo “L’animazione culturale dei giovani” Editrice elle DICI, 1991
Raffaele Simone “La terza fase “ Laterza 2000
Martin Jelf “Tecniche di animazione” Elle DICI 1986
A. Brillat Savarin “Fisiologia del gusto” 1994
Roland Barthes “Miti d’oggi” Einaudi 1974
Roland Barthes, S/Z,Paris, Seuil 1970, trad. it. Torino, Einaudi,1973 tratto da:
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A cura di Paola Sarti
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