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La riforma non tocca la forma di governo. Falso DISTORSIONE DELLA RAPPRESENTANZA Il combinato disposto tra riforma del Senato e Italicum modifica la forma di governo senza deliberarla esplicitamente: un solo gruppo politico diventa dominante attraverso il premio di maggioranza, attribuito alla lista che al 1° turno raggiunga la soglia minima del 40% dei voti, con una forbice tra voti e seggi che può arrivare fino al 14,9%. Con il ballottaggio poi è possibile che partiti e movimenti che abbiano ottenuto basse percentuali di voti (il 20%, il 15%, il 10%) al primo turno, ma che a causa della frammentazione del sistema politico si siano comunque classificati ai primi due posti, accedano al secondo turno e ottengano il premio di 340 seggi a prescindere dal numero dei votanti. In questo caso la distorsione della rappresentanza può diventare estremamente elevata (ad es. se per effetto dell’astensione la lista che vince il ballottaggio ottiene meno del 25% dei voti realmente espressi, la forbice tra voti e seggi raggiunge quasi il 30%), risolvendosi in un’intollerabile violazione del principio di eguaglianza del voto. ELEZIONE DIRETTA DEL PRIMO MINISTRO Nell’Italicum c’è l’indicazione preventiva del capo della forza politica, che viene di fatto candidato al ruolo di Presidente del Consiglio (i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica. Restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall'articolo 92, secondo comma , della Costituzione). Un limite oggettivo alle prerogative del Capo dello Stato, il quale darà necessariamente l’incarico di formare il governo al capo della lista che ha vinto Nei fatti siamo all’elezione diretta del 1° ministro, che nel ballottaggio ha ricevuto un’investitura diretta, seppure minoritaria: un forte squilibrio di legittimazione tra il capo del governo e l’assemblea, una supremazia del potere esecutivo rispetto al legislativo. Strategie di partito sarebbero in grado di far perdere il ruolo di neutralità che la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica e la titolarità di quella sua funzione che notoriamente è definita di controllo e garanzia, estranea all’indirizzo politico governante o di maggioranza. PREDOMINIO D’UNA MINORANZA A fronte della divisione dei poteri propria dello stato costituzionale, avremmo una minoranza che può non solo approvare le leggi ordinarie e votare la fiducia al Governo, ma anche riforme costituzionali * dichiarare lo stato di guerra * decidere su amnistia e indulto * derogare alle competenze regionali in nome dell’interesse nazionale * imporre alla camera una votazione a data certa su un proprio ddl * decidere i regolamenti parlamentari * precisare il contenuto dello statuto delle opposizioni demandato ai regolamenti parlamentari * CONDIZIONARE L’ELEZIONE DEGLI ORGANI DI GARANZIA quali il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte costituzionale. Sproporzionato poi, data la diversa composizione quantitativa tra le due Camere, che 3 giudici siano espressione della Camera e due del Senato e singolare che all’elezione di un organo costituzionale non territoriale, quale la Consulta, avvenga da parte di un organo, il Senato, che rappresenta le istituzioni territoriali. Tra l’altro con ben 5 voti dei senatori presidenziali. VERO QUESITO ELETTORALE: CHI FARA’ IL CAPO DEL GOVERNO? Pur mantenendo surrettiziamente la forma di governo parlamentare, il quesito elettorale posto agli elettori non potrà che riguardare la formazione del governo. L’elezione dei parlamentari sarà una conseguenza dell’investitura politica del governo. La competizione elettorale verrà totalmente sradicata dalle circoscrizioni elettorali locali e si svolgerà necessariamente come una competizione tra i leader: la scelta reale avverrà tra i Renzi, i Grillo, i Berlusconi, i Salvini ecc. Il voto sarà un plebiscito per il capo, che si trascinerà dietro i parlamentari. Si spezza il meccanismo fondamentale della rappresentatività, il rapporto con gli elettori, le organizzazioni intermedie, i territori. La legittimazione politica dei parlamentari verrà ridotta a zero. Finora non è successo perché c’era almeno il senato, con la riforma costituzionale si è risolto il problema. In questo modo, si dice, si permette la governabilità. Ma quando l’investitura è solo nella leadership, il Paese è ingovernabile perché i parlamentari servono anche per governare: non sono solo espressione di consenso, ma anche agenti di costruzione del consenso, giustificano quanto si decide in modo mediato tra le varie posizioni. Le minoranze interne ai partiti , le cui sorti sono già parzialmente compromesse dalla regola dei capilista bloccati, saranno indotte a uniformarsi sempre più agli indirizzi del “capo”, vero motore politico del sistema, in quanto titolare di un rapporto diretto e privilegiato con gli elettori. La carriera dei singoli parlamentari, la loro riconferma non saranno in base al giudizio che gli elettori daranno su di loro, ma dipenderà sul giudizio sul leader, per cui dal giorno dopo, in una Camera con maggioranza bulgara sempre e comunque, saranno in cerca dell’altro soggetto che garantisca loro la rielezione e saranno fedeli al leader finché quel leader sarà popolare. A conferma di quanto è già avvenuto negli ultimi due anni e mezzo: 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti. DA REPUBBLICA DEI PARTITI A REPUBBLICA D’UN PARTITO L’asimmetria nella legittimazione di Presidente del Consiglio e parlamentari determina una alterazione negli equilibri tra Governo e parlamento, tutta in favore del primo Ne risulta un modello di democrazia maggioritaria, nel quale chi vince prende tutto e chi perde ha soltanto un diritto di tribuna, sia nelle sedi parlamentari sia in quelle di partito: un semplice diritto di parlare, senza poter incidere in alcun modo sulle scelte che riguardano la vita del Paese. Di fatto muta la forma di governo, non potendo più ritenersi il Presidente del Consiglio, in questo nuovo assetto, quel "primus inter pares" prefigurato dalla Costituzione del 1947. Egli divieneil vertice esponenziale del governo, dotato di legittimazione propria e di poteri non adeguatamente contro-­‐bilanciati da un idoneo sistema di check and balances. Il Premier dominerà pertanto la Camera dei deputati cui non potrà contrapporsi alcun potenziale contro-­‐potere: né esterno – essendo il Senato ormai irrilevante – né interno, come il rafforzamento delle commissioni d’inchiesta o le inchieste di minoranza, il cui statuto è rimesso ad un regolamento successivo. UNA LESIONE DEL RUOLO PARLAMENTARE Il Parlamento, nella tradizione democratica, è il luogo della rappresentanza, là dove l’intero popolo è rappresentato. È il luogo del confronto pubblico e trasparente, mentre il governo è, soprattutto, il luogo dell'attuazione dell'indirizzo elaborato nel dibattito parlamentare. Il Governo deve cercare il consenso (almeno) della maggioranza popolare e non di una semplice minoranza organizzata. Se il Governo gode della fiducia del Parlamento significa che è sostenuto dalla maggioranza dei rappresentanti dei cittadini, e dunque, almeno in astratto, dalla maggioranza del popolo. E’ solo in questo che trova la legittimazione per governare e, se necessario, per imporre sacrifici al Paese. UN DISEGNO CHE VIENE DA LONTANO Con la riforma del Senato e soprattutto con la legge elettorale ci troviamo di fronte a una repubblica del presidente: un partito, neppure più una coalizione, si porta a casa la maggioranza del parlamento, che diviene ostaggio di un esecutivo che è nelle mani di quel partito, che è nelle mani dl maggioranza di quel partito, che è nelle mani della corte che tiene in pugno la maggioranza di quel partito. Un uomo solo al comando. Un disegno che è stato per decenni il senso dell’ideologia della “Seconda Repubblica”, una ideologia contro riformatrice, concepita da quando, a partire dalla fine del centrismo democristiano e poi con il progetto di Grande Riforma propugnato pubblicamente da Bettino Craxi e rilanciato dal Governo Berlusconi si cominciò ad auspicare una “nuova repubblica” per realizzare un’idea di governabilità basata sul decisionismo del leader, condotta da un numero ristretto di politici, finalizzata a correggere il metodo parlamentare della concertazione fra partiti. Retta infine su una cittadinanza apatica. GOVERNO NEOPARLAMENTARE possiamo forse parlare di governo neoparlamentare, come quello di Comuni e Regioni, che comporta l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, dove l’esecutivo riceve la fiducia dal Parlamento, ma un'eventuale crisi di governo comporta l'automatico scioglimento del Parlamento. QUESTA RIFORMA NON SI ISPIRA AL PRESIDENZIALISMO E’ sbagliato parlare di governo presidenziale, facendo riferimento in particolare agli Usa. Il nostro modello non si ispira a una repubblica presidenziale: il governo presidenziale si basa sulla divisione del potere. L’esempio Usa ce lo dimostra: il presidente Obama non concentra affatto il potere politico. Egli deve continuamente contrattare con il Congresso come dimostra la difficoltà che incontra per affrontare temi caldi quali la riduzione della circolazione delle armi o la riforma sanitaria, tema nell’agenda dei presidenti Usa dai tempi di Carter. Noi invece produciamo l’elezione di un capo corredato di un simulacro di assemblea che è la sua emanazione. L’antecedente culturale di questo approccio è un germe autoritario che ci appartiene. Non si tratta tanto di una involuzione autoritaria del sistema (es. Erdogan in Turchia), ma del rischio di un principato civile. "...c’è un motivo di fondo che ritorna : la voglia del ‘padre’ o del ‘padrone’, di ‘qualcuno’,insomma, che decide per tutti senza trovare ostacoli e col suo potere aggiusta sempre le cose . Una tendenza antica di secoli, indice “delle tradizioni despotiche italiane , risorgenti dalle viscere sociali” diceva Gaetano Arangio-­‐Ruiz a fine ottocento parlando del potere ‘personale’ di Crispi: “E’ un difetto della razza latina il non trovar salute fuori di un uomo , ed appunto perciò è soggiaciuta a lungo e duro despotismo”. Il sistema parlamentare , invece, “come quello che contraddice alle forme di governo esclusivo, è in antagonismo con la necessità di concentrar tutto in un uomo, che è idea per l’appunto esclusiva” e si basa “sulla utilità di tutti, necessità di nessuno" Questo mentre la maggioranza del parlamento diceva per Crispi, come aveva detto per Depretis, e il paese debole ripeteva come un'eco _non c'è che lui-­‐