La musica incontra la malattia mentale

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La musica incontra la malattia mentale
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
“LA MUSICA INCONTRA LA MALATTIA MENTALE”
interventi di musicoterapia in una comunità psichiatrica
Scuola di Specializzazione: Musicoterapia
Relatore: Elena Gallazzi
Correlatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Comunità psichiatrica
Tesista specializzando: Morena Rodolfi
Anno di corso: secondo anno
Modena, 27-04-2007
Anno accademico 2006-2007
ISTITUTO MEME S.R.L. MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONET A.I.S.B.L. BRUXELLES
MORENA RODOLFI – SST IN MUSICOTERAPIA – SECONDO ANNO –A.A. 2006/07
Indice
PARTE PRIMA
Pag.
1. Premessa …….…………………………………………………….... 5
2. Materiali e metodi: il modello psicodinamico ……………………... 7
3. Il gos………………………………………………………………... 9
4. Il ruolo della coppia terapeutica…………………………………… .12
5. Il transfert e il controtransfert……………………………………… .14
6. Il gruppo: teoria, metodo e prassi delle comunità terapeutiche……. .15
7. La schizofrenia……………………………………………………... .16
7.1 definizione ………………………………………………....16
7.2 caratteristiche……………………………………………….16
7.3 quadri clinici………………………………………………. .22
7.4 interpretazione…………………………………………….. .24
7.5 fattori patogenetici………………………………………… .28
7.6 decorso e terapia…………………………………………….29
8. Comprensione psicodinamica della schizofrenia…………………....30
8.1 farmacoterapia……………………………………………...32
9. Il disturbo bipolare………………………………………………….. 34
10. Musica ed emozioni…………………………………………………. 36
10.1 Il ritmo……………………………………………………. 39
11. Musicoterapia e terapie espressive in ambito psichiatrico…………. 40
11.1 Gli interventi ad alta simbolizzazione……………………. 40
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11.2 Gli interventi a bassa simbolizzazione…………………… 41
11.3 terapie espressive e regolazione delle emozioni…………..42
11.4 Le qualità del mediatore sonoro/musicale……………….. 43
11.5 Ambiti applicativi e finalità……………………………… 44
11.6 Tipologie di fruizione sonoro/musicale e linee d’intervento
nei disturbi psichici dell’età adulta…………………………….. 46
12. La legge Basaglia e i nuovi progetti di riforma…………………….. 49
12.1
Il nuovo progetto obiettivo per la tutela della salute
mentale…………………………………………………………. 52
12.2 L’area organizzativa dei sevizi di salute mentale e di
riabilitazione nell’età evolutiva………………………………... 53
13. Un modello di comprensione delle psicosi nel gruppo……………... 54
14. La crisi psicotica……………………………………………………..56
15. La cronicizzazione………………………………………………….. 58
16. Creatività e schizofrenia……………………………………………..60
17. Esprimersi attraverso la musica nella fase acuta della schizofrenia…67
PARTE SECONDA
1. Musicoterapia attiva e ricettiva: le tecniche d’intervento utilizzate….69
2. Il progetto di musicoterapia alla comunità psichiatrica.……………...70
3. Il setting musicoterapico……………………………………………...72
4. Metodologia e strumenti………………………………………………74
5. Le sedute di gruppo…………………………………………………...76
6. I due gruppi: il percorso musicoterapico……………………………..79
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7. Obiettivi………………………………………………………………98
8. Programma degli incontri ……………………………………….…...99
9. Verifica e documentazione……………………………………….….100
9.1 Protocollo seduta n°1 (primo e secondo gruppo insieme)…101
9.2 Protocollo seduta n°1 (primo gruppo)……………………..105
9.3 Protocollo seduta n°1 (secondo gruppo)…………………..108
9.4 Protocollo seduta n°16 (primo gruppo) …………………...111
9.5 Protocollo seduta n° 18 (secondo gruppo)………………...114
10. Relazione finale del percorso di musicoterapia………………….. 117
10.1 L’investimento degli oggetti e dello spazio…………….. 120
10.2 Piano sonoro-espressivo…………………………………121
10.3 Piano relazionale…………………………………………122
11. Riflessioni conclusive……………………………………….……..123
12. Bibliografia ………………………………………………………..129
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Luoghi e persone sono stati modificati per la tutela della privacy
PRIMA PARTE
1. Premessa
Per questo secondo anno il project work è stato effettuato in una comunità
psichiatrica, residenza con finalità riabilitative per utenti di lungo degenza a
trattamento socio-residenziale, gli ospiti sono utenti dimessi dall’ospedale
psichiatrico, dopo la definitiva chiusura, che non potevano tornare ad una vita
“normale” nelle famiglie d’origine.
Il progetto di musicoterapia arrivato al terzo anno, nasce dal desiderio di alleviare
lo stato di solitudine, di non relazione, a volte di sofferenza attraverso l’utilizzo di
linguaggi ed espressioni musicali, vocali e strumentali.
Il progetto è condotto dalla musicoterapista Elena Gallazzi, il mio ruolo è stato
quello di coterapista come aiuto e sostegno alla musicoterapista tutor del tirocinio.
L’esperienza descrive il percorso musicoterapico effettuato con pazienti psichiatrici
adulti-anziani.
La tesi si apre con il modello psicodinamico con riferimento alla teoria
musicoterapica di Rolando Benenzon, uno dei pionieri di questa disciplina e quella
psicologica di Daniel Stern.
Si parla dell’importanza del GOS (gruppo operativo strumentale) sempre in
riferimento al metodo Benenzon e del ruolo della coppia terapeutica
(musicoterapista e coterapista) fondamentale in un lavoro di gruppo.
Un accenno ai processi di tansfert e controtransfert e al ruolo fondamentale del
gruppo nelle comunità terapeutiche.
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Vi è un inquadramento generale della schizofrenia, delle caratteristiche, dei
differenti tipi di malattia e delle interpretazioni che nel corso del tempo psichiatri e
psicoanalisti hanno cercato di definire facendo riferimento a differenti teorie.
Si parla del disturbo bipolare, un disturbo psicotico che riguarda gli sbalzi e
l’oscillazione dell’umore.
Un capitolo è dedicato alla Musica ed emozioni, in quanto la musica è un eccellente
mediatore terapeutico che procede mediante una regolazione dell’espressione
emotiva. L’attenzione posta al rapporto esistente tra musica ed emozioni è nata in
riferimento al fatto che il paziente psichiatrico presenta spesso una dissociazione tra
emozioni e pensiero.
Si parla dell’importanza del ritmo quale elemento dinamico e potentissimo
strumento di attivazione capace un coinvolgimento da parte del gruppo, in seguito
delle terapie espressive in ambito psichiatrico in particolare delle tecniche
musicoterapiche e del mediatore sonoro-musicale.
Un breve accenno alla legge Basaglia, ai nuovi progetti di riforma e sui
maltrattamenti da ospedalizzazione psichiatrica e del nuovo progetto per la tutela
della salute mentale e la riabilitazione dell’età evolutiva.
Sempre in questa prima parte si parla della psicosi considerata come un disturbo
grave del senso del sé della persona, della crisi psicotica e del consolidarsi dei
sintomi psicotici che portano alla cronicizzazione.
La prima parte di questa tesi si chiude sulla creatività e schizofrenia per quanto
riguarda le arti ed in particolare la musica.
La seconda parte si apre con la mia esperienza del progetto di musicoterapia
effettuata in comunità psichiatrica. Le tecniche d’intervento utilizzate sono la
musicoterapia attiva e ricettiva. Si parla del setting musicoterapico, della
metodologia e degli strumenti utilizzati, delle sedute di gruppo e del percorso
musicoterapico svolto con i partecipanti agli incontri. Gli obiettivi posti, il
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programma degli incontri, la verifica e documentazione con alcuni protocolli delle
tante sedute effettuate con i due gruppi.
La tesi si chiude con la relazione finale del percorso di musicoterapia svolto alla
comunità psichiatrica con i risultati, le verifiche, le valutazioni e le mie riflessioni
conclusive di un percorso di vita per me molto importante e significativo.
2. Materiali e metodi: Il modello psicodinamico
La letteratura musicoterapica riferita al contesto psichiatrico descrive esperienze
rivolte essenzialmente a patologie altamente invalidanti e riconducibili all’ambito
delle psicosi. Il quadro patologico a cui si riferisce prevalentemente è quello delle
schizofrenie di varia natura e gravità, collocabili in diversi contesti istituzionali e di
degenza che determinano differenti possibilità e scelte di applicazione della
musicoterapia. Cercheremo di illustrare su quali presupposti è possibile ipotizzare
un intervento di musicoterapia attiva rivolto a pazienti psichiatrici, cercando di
collocarlo in ambito teorico-metodologico.
Il modello proposto è quello di tipo psicodinamico e fa riferimento alla teoria
musicoterapica di Rolando Benenzon e a quella psicologica di D.Stern.
L’intervento musicoterapico si fonda su processi di “sintonizzazione” e mira allo
sviluppo della “relazione intersoggettiva” (Stern, 1987). I comportamenti di
sintonizzazione secondo Stern “riplasmano l’evento e spostano l’attenzione su ciò
che sta dietro il comportamento, sulla qualità dello stato d’animo condiviso…
L’imitazione comunica la forma, la sintonizzazione, i sentimenti…”.
In musicoterapia per sentimenti intendiamo il modo di “sentire” rappresentato
attraverso l’interpretazione musicale. La sintonizzazione in musicoterapia assume
caratteristiche dinamiche contrapposte alla staticità del processo imitativo. Nella
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teoria benenzoniana l’impiego dell’elemento sonoro-musicale introduce il concetto
fondamentale di oggetto intermediario: lo strumento musicale e/o il materiale
sonoro-musicale acquisiscono valore terapeutico quando diventano mediatori nella
relazione, ovvero mezzi attraverso i quali paziente e musicoterapista comunicano.
L’oggetto intermediario costituisce un ponte fra interno ed esterno, un oggetto su
cui il paziente proietta il proprio mondo interno.
Unitamente al concetto di oggetto intermediario , R.O.Benenzon ha introdotto
anche quello di principio ISO, inteso come identità sonora del paziente; i contenuti
sonoro-musicali che emergono nel corso dell’intervento musicoterapico, condivisi
dal musicoterapista, attengono a questa identità: in realtà ciò che viene investigato,
elaborato e rimandato è il vissuto musicale interno del soggetto, unitamente alle sue
connotazioni sonoro-musicali. Il punto di contatto fra la teoria di R.O. Benenzon e
quella di D.Stern è da ricercarsi nelle analogie esistenti tra l’ISO benenzoniano e il
Sé della teoria psicologica sterniana, entrambi strutturanti lo sviluppo affettivo,
cognitivo e relazionale dell’individuo.
La tecnica utilizzata nell’ambito di questo modello musicoterapico è di tipo non
verbale
e
si
fonda
sull’improvvisazione
sonoro-musicale
che
riprende
empaticamente, attraverso sintonizzazioni affettive, le produzioni sonore dei
pazienti e talvolta quelle mimico-gestuali, con lo scopo di costruire un dialogo
sonoro attraverso un criterio di non direttività e di non invasività (ascolto/attesa).
Attraverso l’interazione con il paziente si ricercano relazione e comunicazione e si
favoriscono talvolta fenomeni catartici e apprendimenti. La restituzione, da parte
del musicoterapisti, sul piano emotivo e sonoro-musicale, si modula in rapporto al
procedere e allo svilupparsi della relazione terapeutica, divenendo sempre più
articolata e complessa.
L’intervento musicoterapico , nel caso di pazienti psichiatrici, si pone
fondamentalmente l’obiettivo di condurre la persona a uno sviluppo o a una
“ricostruzione”, in senso riparatorio, del Sé con conseguenti e positive ripercussioni
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sulle capacità comunicativo-relazionali, sulla regolazione ed espressione delle
proprie emozioni e quindi sulle capacità di interazione nel sociale.
Altri comportamenti su cui sembra agire maggiormente il trattamento
musicoterapico sono quelli di grave disinvestimento affettivo della realtà e quelli
impulsivi sia di tipo auto che etero-aggressivo. Anche l’aspetto della
disorganizzazione e destrutturazione interna del paziente psichiatrico sembra
risentire notevolmente dell’intervento musicoterapico, nel corso dell’intervento si
assiste a una graduale strutturazione e articolazione del discorso musicale (sia a
livello individuale che gruppale) e ciò, oltre a diventare elemento di valutazione del
cambiamento in senso terapeutico, diventa anche una prova del cambiamento
interno alla persona da cui scaturisce la produzione sonoro-musicale.1
3. Il gos
Gli strumenti di cui la musicoterapia si avvale nelle diverse aree della propria
pratica clinica non sono riducibili agli strumenti sonori e musicali usati in seduta e
sinteticamente denominati GOS (Gruppo Operativo Strumentale) dal metodo
Benenzon, ma comprendono tutte le risorse convocate e utilizzate nell’ambito delle
sue specifiche modalità d’intervento. Essi vanno intesi nel senso di insieme degli
elementi che contribuiscono a definire il setting di musicoterapia come spazio di
una relazione terapeutica instaurata e sviluppata attraverso il canale corporeosonoro-musicale. In questa prospettiva, luogo e tempi del trattamento, corpo voce e
consegne del musicoterapisti, strumenti sonoro-musicali utilizzati, codici corporeo-
1
C. Ferrara, “Musicoterapia e psichiatria” pp.. 47-50
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sonoro-musicali condivisi nel corso del processo terapeutico si integrano nel ruolo
fondamentale di mediatori della relazione terapeutica, che caratterizza in senso
forte ciascuno di questi elementi a prescindere dalle proprie peculiarità.
La mediazione operata da questi diversi strumenti viene giocata su due piani che
costituiscono i due piani su cui procede qualsiasi pratica terapeutica:
-
un piano di espressione, all’interno del quale essi lasciano emergere le
peculiarità relazionali di ciascun paziente;
-
un piano d’intervento, all’interno del quale essi veicolano la relazione
terapeutica verso precisi obiettivi, stabiliti sulla base degli elementi
precedentemente emersi.
Ogni strumento è in grado di operare tanto come lente di lettura delle modalità
relazionali di ciascun paziente quanto come strumento terapeutico di intervento su
queste stesse modalità. L’uso del GOS da parte del paziente riveste un ruolo
nodale, sottolineato dal professor Benenzon all’interno di un’ampia ricognizione
sugli strumenti che tiene conto della celebre distinzione di C.Sachs (idrofoni,
aerofoni, membranofoni, cordofoni) e propone tre classificazioni degli strumenti
utilizzati in musicoterapia elaborate sulla base di una lunga esperienza clinica e
didattica. I criteri su cui queste classificazioni si fondono sono differenti:
-
origine, costruzione e modalità di produzione del suono (strumenti corporali,
naturali, quotidiani, creati, musicali ed elettronici);
-
simbolizzazione di tipo analitico- proiettivo (strumenti fetali, materni,
paterni ed ermafroditi);
-
2
uso comportamentale. 2
R.O Benenzon, “La nuova musicoterapia” pp. 21-45
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La nostra attenzione è concentrata su quest’ultimo aspetto.
Secondo Benenzon l’utilizzo degli strumenti in ambito musicoterapico assume una
precisa valenza relazionale, in quanto rivela attitudini e strategie comunicative
messe in atto dal paziente per rispondere ad esigenze diverse più o meno presenti in
seduta: sperimentare e sperimentarsi, scaricare la tensione accumulata, difendersi
dall’ansia o dalla frustrazione, interagire con l’altro. Di qui la loro classificazione
in oggetti:
-
sperimentali o di sperimentazione;
-
catartici o di catarsi;
-
difensivi o di difesa;
-
incorporati o di incorporazione;
-
intermediari o di intermediazione;
-
integratori o di integrazione.
Spetta al musicoterapisti inserirsi nelle modalità d’uso proprio del paziente
sintonizzandosi con esse per poi prenderne le distanze e orientarle verso un
cambiamento.
La patologia psichiatrica, nella sua molteplicità di forme, altera profondamente il
rapporto con la realtà, minando alla base le capacità relazionali e comunicative di
chi ne è colpito. L’appiattimento dell’affettività, la ripetizione compulsava di
comportamenti stereotipati o la presenza massiccia di forme di pensiero delirante –
presenti in diversi disturbi psichiatrici – sono destinati a incidere pesantemente
sulla qualità della vita, molto spesso recidendo qualsiasi possibilità di contatto con
se stessi e con gli altri. L’applicazione della musicoterapia in ambito psichiatrico si
inserisce quindi in un contesto relazione ed espressivo gravemente compromesso e
va collocata all’interno di un progetto terapeutico di rete, l’unico in grado di avere
un’incidenza significativa sulla vita del paziente.
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Il contributo che la musicoterapia può dare in questo ambito è duplice. Da una parte
essa consente, alla stregua di altri tipi d’intervento, l’apertura di una dimensione
terapeutica mirata al recupero da parte del paziente di spazi di autonomia,
continuità di relazione ed esperienza, socializzazione. Dall’altra essa interviene in
maniera specifica sulla patologia psichiatrica, lavorando sul sintomo a partire dalla
sua espressione, secondo la dinamica già messa in luce su un piano più generale.3
4. Il ruolo della
coterapeuta
coppia
terapeutica:
musicoterapeuta
e
È consigliato il lavoro in coppia terapeutica ogni volta che si debba affrontare un
gruppo di pazienti o pazienti individuali con problemi molto gravi, come le persone
affette da psicosi, o da autismo, o i malati terminali e quelli in coma.
In definitiva, il lavoro in coppia terapeutica:
evita il verificarsi dell’acting-out (termine inglese che significa “mettere fuori”,
“portare sul piano dell’azione”. Si usa in psicoanalisi per descrivere una condotta
impulsiva, quando si riattivano nella persona conflitti infantili, ripetendo esperienze
passate nella realtà presente o a interpretare erroneamente la realtà attuale come se
fosse una ripetizione del passato. Il musicoterapeuta deve stare attento a non
commettere un acting-out nella seduta perché il transfert nell’ambito non verbale è
quasi la ripetizione esatta dei conflitti infantili);
-
permette un incontro di riflessione fra i due dopo le sedute;
-
consente lo scambio d’informazione per compilare i protocolli;
-
costituisce una cornice di contenimento forte e più sicura per il paziente;
3
C.Ferrara, “Musicoterapia e psichiatria” pp. 61-63
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La coppia rappresenta uno schermo proiettivo per i diversi aspetti del transfert del
paziente, soprattutto se è composta da individui di sesso diverso.
Il musicoterapeuta è colui che sa gestire l’ascolto e l’espressione dei codici della
comunicazione non-verbale. E’ colui che ha sperimentato e sviluppato al massimo
le proprie possibilità nella comunicazione analogica.
Il musicoterapeuta sviluppa, autorizza e delimita uno spazio che permetterà al
paziente di scaricare le sue energie di comunicazione e ricreare un sistema di
relazione.
Il musicoterapeuta ascolta, osserva e percepisce lo svilupparsi del transfert del
paziente. A partire da qui darà forma a un sistema espressivo di risposta secondo il
controtransfert che gli provoca il paziente. Per mettere in funzione questo sistema
espressivo utilizzerà in tutto il suo insieme il complesso corporeo-sonoro-musicale.
Se il musicoterapeuta è un buon osservatore, se sa realizzare anamnesi profonde e
dettagliate della storia sonora del paziente, se sa riconoscere la propria storia sonora
e redige protocolli accurati e definitivi, il cammino gli sarà più facile.
Il musicoterapeuta è colui che conduce la seduta, che da le consegne e che si
relaziona direttamente con il paziente.
Il coterapeuta può essere un altro musicoterapeuta o un altro terapeuta della salute
con capacità clinica terapeutica. Il suo ruolo è quello di appoggiare ciascuna delle
scelte del musicoterapeuta e favorirne il compito:
-
può dare inizio all’esecuzione di una consegna data dal musicoterapeuta,
offrendo così al paziente un esempio da imitare;
-
può aiutare ad aprire o rafforzare un canale di comunicazione in pazienti che
mostrano una certa difficoltà a farlo;
-
può contenere l’acting-out di un paziente per consentire al musicoterapeuta
di mantenere il normale controllo della situazione. Se un paziente fugge dal
settino è il coterapeuta che lo accompagna;
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-
può facilitare l’impiego di uno strumento a un paziente che abbia difficoltà
ad usarlo.4
5. Il transfert e il controtransfert
Il transfert è uno stato definito da Freud come il processo in cui il paziente, nella
situazione terapeutica, ripropone una versione contemporanea di ricordi persi
dell’infanzia o di fantasie regressive inconsce. Il terapeuta diventa l’oggetto del
transfert e può essere identificato dal paziente con gli stessi tratti e reazioni come
una persona significativa del proprio passato. Per questa ragione il terapeuta si
presenta spesso in modo neutrale per fare in modo che la propria personalità resti
nascosta o poco presente.
Il controtransfert è stato definito da Freud come il processo mediante il quale i
conflitti inconsci e i desideri del terapeuta sono attivati dal contatto sperimentato
con il paziente e sono, poi, trasferiti al paziente stesso. Egli considera il
controtransfert come un elemento di disturbo e negativo per la terapia. Nella
psicoanalisi più recente il controtransfert è definito su di una base più ampia che
comprende la sua accezione di strumento positivo mediante il quale il terapeuta
può avere delle intuizioni profonde sulla personalità e i conflitti inconsci del
paziente5.
4
R. O. Benenzon, “Manuale di musicoterapia” pp. 100-103
5
R. O. Benenzon, “La nuova musicoterapia” pp. 95-99
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6. Il gruppo: teoria, metodo e prassi delle comunità terapeutiche
I presupposti generali, l’ideologia e la prassi a cui si ispirano le Comunità
Terapeutiche sono stati efficacemente sintetizzati da Rapeport.
-
Democraticità: viene presa in considerazione l’opinione di tutti. La
democraticità fa emergere il controllo su di sé e un certo altruismo, poiché
“il soggetto è in grado di contribuire in modo significativo al trattamento
degli altri”.
-
Permissività: i membri della comunità permettono alle dinamiche nascoste
di emergere e di essere utilizzate in senso terapeutico. La permissività
facilita la catarsi, la manifestazione di sé e l’assunzione di responsabilità.
-
Comunitarietà di intenti e di scopi. Il collettivismo favorisce l’interazione
con gli altri, la condivisione delle responsabilità, l’abbandono dei ruoli e
degli atteggiamenti sociali rigidi, lo sviluppo di nuove relazioni.
P.Van der Linden sottolinea come il “grande gruppo” è la caratteristica prioritaria
del setting comunitario. Nell’ambito di una ricerca riguardante i luoghi all’interno
della Comunità in cui si sono verificati secondo i pazienti gli eventi terapeutici più
rilevanti, Van der Linden evidenzia il fatto che più della metà di questi sono
accaduti al di fuori delle sedute di psicoterapia istituzionale e all’interno di quello
che fu denominato il grande gruppo.
Van der Linden, applicando il concetto di Winnicot della “zona transizionale di
esperienza” al grande gruppo all’interno del setting comunitario, riassume così la
sua teoria:
a) il grande gruppo non strutturato è prevalentemente un luogo in cui può
avvenire la riedizione delle primitive rappresentazioni parziali del sé, degli
oggetti e dei relativi affetti;
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b) il grande gruppo è un’area d’illusione, esso esiste sia come realtà psichica
per i partecipanti, sia come un’istituzione più o meno permanente, che fa
parte della cosiddetta realtà oggettiva;
c) il grande gruppo è usato come strumento per promuovere lo sviluppo di
coloro che ne fanno parte: pazienti ma non solo. È usato per favorire il
processo di individuazione-separazione, per aiutarli a fare esperienza di
questa fase di sviluppo.
In musicoterapia, come per tutte le attività in comunità, l’agente di cambiamento è
il gruppo e i fenomeni interpsicologici al suo interno che adoperano come canale
comunicativo privilegiato il mezzo corporeo-sonoro-musicale.
Il vissuto del gruppo si esprime attraverso un “evento” simbolico condivisibile.6
7. La schizofrenia
7.1 Definizione
Il termine "schizofrenia" (che deriva dal greco antico, letterariamente: "mente
divisa") è un termine psichiatrico, coniato da E. Bleuler per definire un tipo
particolare di psicosi endogena, funzionale, a decorso lento e progressivo, la cui
sindrome era stata già definita da E.Kraepelin con il nome di "demenza precoce".
7.2 Caratteristiche
Secondo la psichiatria classica, la malattia può articolarsi in forme diverse, che
presentano quasi sempre, variamente alternate e collegate, alcune caratteristiche
comuni:
6
T.Wingram “Guida generale alla musicoterapia” pp. 290-298
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1) la dissociazione (nella psichiatria tedesca il termine è "spaltung") del pensiero in
parti reciprocamente indipendenti della vita psichica.
Dissociazione come limitazione, distorsione o perdita del normale svolgimento
logico del pensiero, perdita delle comuni associazioni di pensiero, della
corrispondenza tra idee ed emozioni, tra contenuto del pensiero e comportamento
2) l'autismo, termine che proviene dal greco antico e significa "se stesso", e
descrive la situazione di individui interamente assorbiti dalle proprie esperienze
psichiche interiori, ed incapaci di provare interesse per la realtà esterna, le persone,
le cose.
L'autismo quindi implica un distacco dalla realtà con ripiegamento su se stessi e
predominio di una vita interiore popolata da produzioni fantastiche ed incontrollate.
L'autismo schizofrenico si distingue dall'autismo infantile precoce poiché
quest'ultimo è presente fin dalla prima infanzia.
3) disturbi della affettività , sia nel senso di una inadeguatezza affettiva rispetto alla
situazione (paratimia, cioè risposta affettiva inadatta o contraddittoria rispetto alla
situazione), sia in quello della coesistenza di sentimenti o atteggiamenti contrastanti
(ambivalenza);
4) disturbi della personalità con perdita di coscienza della propria identità, dei
limiti del proprio io ed in alcuni casi del proprio corpo che si percepisce con
difficoltà come distinto dal mondo esterno;
5) allucinazioni, cioè percezione senza un oggetto adeguato; in altri termini
percezione di qualcosa che non esiste e tuttavia è ritenuto reale (si distingue
dall'illusione che è una percezione parzialmente corretta, ma alterata su base
emotiva).
Esistono diversi tipi di allucinazione, tra i quali ricordiamo:
-
allucinazione acustica o uditiva: si può instaurare anche in condizioni di
coscienza vigile, rappresenta una tra le più comuni forme di allucinazione
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schizofrenica ed è caratterizzata dal sentire voci o suoni inesistenti; questo
disturbo ha diversi gradi di gravità che vanno dal sentire suoni, rumori,
ronzii, fruscii, sibili, fischi, a forme più gravi nelle quali al soggetto sembra
di sentire vere e proprie voci che sembrano provenire da una o più persone
che il più delle volte insultano, sgridano, minacciano, urlano, commentano o
danno ordini ed il paziente spesso finisce col diventare incapace a
distinguere tra "le voci di dentro", i propri pensieri e "le voci di fuori";
-
allucinazioni visive: si presentano in genere in un quadro psichico
profondamente alterato, sia per il contatto esterno/interno e quindi con
percezione della realtà incerta e scarsa capacità di trarre significato dalle
percezioni, sia per il rapporto interno/esterno e cioè con proiezione di
immagini e fantasie oniriche sul mondo esterno;
-
allucinazioni olfattive o gustative
-
allucinazioni tattili (sensazioni sulla pelle, bruciature, punture, insetti);
-
allucinazioni cenestetiche (che riguardano sensazioni corporee improprie);
-
allucinazioni sessuali (sensazioni di orgasmo o di stupro a distanza);
-
allucinazioni motorie (il soggetto ha la sensazione di essere sospeso o
mosso);
-
allucinazioni extracampali (proiezione del disturbo fuori dal campo
sensoriale);
-
allucinazioni riflesse (la percezione di un oggetto provoca allucinazione in
un altro campo sensoriale);
-
allucinazioni negative (mancata percezione di un oggetto reale);
-
allucinazioni mnestiche (materiale psichico rimosso appare sotto forma di
immagine visiva);
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-
allucinazioni eidetiche (percezione allucinatoria parzialmente controllabile
con la volontà e distinguibile da percezione reale);
Sull'origine ed il significato delle allucinazioni esistono teorie differenti, prodotte
dalle diverse tendenze della psichiatria e psicologia.
La teoria meccanicistica considera le allucinazioni un fenomeno organico causato
da una morbosa imperatività dei centri sensoriali e della corteccia cerebrale; per la
teoria psicogenetica le allucinazioni sono indipendenti dagli organi sensoriali o dal
sistema nervoso centrale, ma la loro origine é psicologica ed appartiene al campo
delle rappresentazioni inconsce di stati affettivi profondamente vissuti; la teoria
fenomenologica le classifica come una errata interpretazione degli stimoli e segnali
che provengono dall'esterno in un quadro di scarsa attività immaginativa basata
sull'esperienza e di relazioni deteriorate nel rapporto tra "io", "corpo" e "mondo
esterno".
6) deliri e cioè: idea o insieme di idee che il soggetto professa e che, nonostante
siano palesemente non reali, vengono ritenute reali, anche se la prova della loro non
realtà viene data al soggetto attraverso discussioni o esperienze pratiche.
Il delirio può essere: acuto, isolato, episodico, ricorrente, cronico, strutturato,
destrutturato, lucido, confuso, e può manifestarsi in varie forme:
-
delirio di colpa: tipico di chi si attribuisce colpe mai commesse per dare un
senso alla propria sofferenza
-
delirio di compensazione: che il soggetto costruisce per rivalersi di una
situazione vissuta come negativa o spiacevole
-
delirio erotico: il soggetto é persuaso di essere segretamente amato da una
persona in genere famosa o altolocata
-
delirio fantastico: costruzione di teorie o idee filosofiche, religiose o
scientifiche per risolvere i mali del mondo
-
delirio di gelosia: una gelosia al di là della razionalità
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-
delirio di grandezza (megalomania)
-
delirio di interpretazione: col quale il soggetto pretende di spiegare tutto in
base a proprie teorie
-
delirio di negazione: in cui il soggetto é convinto che il mondo stia per finire
e che il proprio corpo sia svuotato o morto
-
delirio di persecuzione: il soggetto é convinto di essere al centro di un
complotto ai suoi danni
-
delirio querulomane: converge su un torto realmente subito o immaginato,
ed il soggetto reagisce con cause giudiziarie, citazioni, lettere aperte ai
giornali
-
delirio di riferimento esterno: il soggetto ha l'impressione che tutti si
riferiscano a lui con sguardi e allusioni, oppure che lui stesso sia l'oggetto di
azioni esterne impossibili
-
delirio di rovina: relativo alla situazione economica, familiare, la posizione
sociale ed il prestigio, spesso con sensi di colpa
Il delirio, in generale, é quindi una particolare visione del mondo, del tutto privata,
che non viene condivisa dalla maggior parte della popolazione.
Circa la genesi e la funzione del delirio, si sono alternati nel tempo diversi tentativi
di interpretazione; i maggiori contributi attualmente provengono sia dalla
cosiddetta "antipsichiatria", che si sviluppò negli anni Sessanta con E.Goffman,
Th.S.Szasz, D.Cooper, R.D.Laing, F.Guattari, F.Basaglia e G.Jervis, che dalla
teoria sistemica di G.Bateson, P.Watzlawick e la Scuola di Palo Alto (California).
Secondo queste teorie, in condizioni estreme di isolamento affettivo, passività
imposta dall'ambiente, oppressione, esclusione, ferite narcisistiche profonde,
precoci, ripetute, figure parentali negative, prevalenza di messaggi contrastanti
(cross message, double message, double bind) dall'ambiente domestico, é possibile
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che la familiarità che la persona normale ha con le persone e col mondo, si
destrutturi sempre di più, lasciando campo ad un sentimento di totale estraneità.
Estraneità che a sua volta produce una insopportabile tensione ed ansia poiché il
soggetto si trova quotidianamente privo degli strumenti che gli permettono di
organizzare e padroneggiare in qualche maniera una realtà che gli appare sempre
nuova e diversa.
In questa situazione il paziente cerca di riorganizzare mentalmente il mondo in base
a qualche idea che gli consenta di ricondurre i fatti a dei punti di riferimento, nel
tentativo di dare un senso alle sue esperienze.
Il delirio deriva quindi dalla perdita del rapporto con se stessi e della conseguente
perdita di significato e di controllo sulla realtà alle quali il soggetto cerca di reagire
costruendo una diversa e personale interpretazione della realtà stessa.
Il delirio é inquadrabile nella categoria delle "proiezioni", cioè meccanismi
psicologici con i quali si attribuisce alla realtà esterna e alle persone esterne
intenzioni o atteggiamenti che in realtà sono propri anche se non avvertiti
consciamente.
La funzione del delirio é quindi protettiva, volta a di difendere il soggetto da una
realtà troppo difficile, per questo, definendone le modalità in psichiatria si parla di
"riorientamento nel delirio".
S.Freud affermava in proposito che: ".... il delirante cerca di ricostruire il mondo,
non più splendido in verità, ma almeno tale da poter di nuovo vivere in esso. La
formazione delirante che noi consideriamo il prodotto della malattia, costituisce in
verità il tentativo di guarigione, il tentativo di ricostruzione".
7) disturbi del linguaggio, sia nel lessico, caratterizzato dalla presenza di
neologismi (invenzione di nuove parole), paralogismi (parlare di traverso, non
rispondere a tono, spostamento di argomenti e di risposte), metafore e simboli; sia
nella sintassi spesso alterata, telegrafica, paragrammatica (povertà di produzioni
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verbali, omissione di particelle grammaticali, scorretta coniugazione dei verbi e
declinazione dei sostantivi), fino ad arrivare in certi casi alla totale
incomprensibilità; sintomi tutti definibili come schizofasia.
7.3 Quadri clinici
Data la difficoltà di identificare con precisione i diversi tipi di malattia a seconda
della causa morbosa, si adotta prevalentemente il criterio sintomatologico, in base
al quale possiamo distinguere quattro principali tipi di malattia, pur premettendo
tuttavia che molto spesso i pazienti presentano sindromi miste o marginali o
incomplete:
A) schizofrenia ebefrenica
B) schizofrenia paranoide
C) schizofrenia catatonica
D) schizofrenia simplex
E) schizofrenia pseudoneurotica o stato border
F) pseudoschizofrenie o schizofrenie sintomatiche
A) ebefrenica: il paziente si presenta sconnesso, logorroico, bizzarro, fatuo,
infantile, con impoverimento affettivo, deliri non sistematizzati disturbi del
linguaggio, regressione, condotta inopportuna, manierata, talvolta scandalosa; la
malattia sorge in età adolescenziale
B) paranoide: sintomi dissociativi, compromissione globale della personalità,
presenta deliri sistematizzati, per lo più di persecuzione o di grandezza; la malattia
compare tra i 25 e i 45 anni con episodi acuti che tendono a cronicizzarsi
C) catatonica: é caratterizzata da disturbi psicomotori che possono presentarsi:
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9 in forma acinetica: catatonia (il paziente non si muove quasi mai) , catalessia
(il paziente assume a lungo posizioni del corpo anche rigide e scomode) ,
flexibilitas cerea (il paziente assume posizioni che gli vengono imposte,
come fosse un manichino) , obbedienza automatica, negativismo (il soggetto
oppone resistenza all'esecuzione di un comportamento), mutacismo
(mutismo non causato da fattori organici);
9 in forma ipercinetica (agitazione motoria, spesso violenta, impulsi
aggressivi, crisi pantoclastiche cioè comportamenti violenti o distruttivi,
acting out, schizofasia, catafasia o verbigerazione cioè ripetizione ossessiva
e monotona di frasi o parole o suoni)
D) simplex: la più diffusa; non presenta sintomi evidenti ma emerge da un quadro
di impoverimento affettivo e distacco dalla realtà; é il quadro del cosiddetto
"schizophfrenic feeling"; la malattia si presenta tra i 16 e i 22 anni con evoluzione
molto lenta e cronicizzazione, con sempre maggiore distacco dalla realtà.
E) pseudoneurotica o border: forme camuffate dietro un quadro nevrotico
ossessivo, fobico o ansioso, che ha però un carattere di rigidezza particolare ed
inoltre e i sintomi del paziente sono difficilmente collegabili ad eventi storici o
presenti della vita del paziente; si differenzia dal nevrotico per il carattere di realtà
che viene attribuito al sintomo; altra caratteristica é la rottura della barriera tra l'io
ed il mondo per cui il mondo entra nell'io e l'io influenza il mondo.
F) pseudoschizofrenie o schizofrenie sintomatiche: si distinguono dalle precedenti
endogene, perché in queste forme é riscontrabile una alterazione organica che può
essere patologica, tossica, infettiva, traumatica, endocrina, metabolica, neoplastica,
degenerativa genetica.
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7.4 Interpretazione
Nel corso del tempo psichiatri e psicoanalisti hanno cercato di definire la
schizofrenia e le sue cause, facendo riferimento a differenti teorie, tra le quali
ricordiamo:
-
dal punto di vista psichiatrico: Kraepelin, Bleuler, Meyer, Arieti, il DSM III
americano;
-
dal punto di vista psicoanalitico: Freud, Jung, Klein, Fairbairn, Sullivan,
Pao;
-
dal punto di vista fenomenologico: Jaspers, Schneider, Binswanger, Laing;
-
dal punto di vista sistemico: Bateson, Watzlawick e la Scuola di Palo Alto
California.
•
E.Kraepelin per primo distinse le psicosi endogene in due grandi gruppi:
la psicosi maniaco-depressiva e la demenza precoce, cioè la schizofrenia.
Secondo Kraepelin le cause della schizofrenia potevano essere riferite ad
una patologia organica del cervello o ad un disturbo del metabolismo.
• E.Bleuler chiamò la demenza precoce "schizofrenia" perché "... la
dissociazione (spaltung) delle diverse funzioni psichiche é una delle sue più
importanti caratteristiche"; e mise in luce che questa dissociazione é causata
dal dominio di complessi affettivi che compromettono il normale
funzionamento della mente.
• A.Meyer
raccomandò
di
studiare
la
malattia
su
due
livelli
contemporaneamente, e cioè da una parte fattori biologici, dall'altra la
presenza di conflitti o istinti o complessi di tale portata che la mente é
incapace di attuare un adattamento che non sia dannoso.
• S.Arieti evidenzio che alla base della malattia c'é "... uno stato di ansia e di
vulnerabilità le cui origini sono da ricercarsi nella primissima infanzia e a
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cui il malato non sa far fronte se non ricorrendo a meccanismi arcaici che si
trovano allo stato latente in ogni essere umano".
In seguito a questo il paziente esce dal mondo della realtà e regredisce; il
suo pensiero diventa primitivo e concretizzato ed emerge l'incapacità di
sostenere il rapporto "dentro/fuori".
• il manuale americano DSM III R descrive con estrema precisione le
diverse caratteristiche della malattia.
• S.Freud partì dall'ipotesi che le psicosi hanno in comune con le nevrosi
alcuni meccanismi fondamentali come quello della rimozione, il ritiro
psicologico, la regressione e la fissazione a stadi precedenti dello sviluppo
psichico. La regressione supera lo stato narcisistico e produce l'abbandono
completo dell'amore per la realtà sconfinando quindi nella fase
dell'autoerotismo infantile. La fissazione a questo stato precedente fa
riemergere meccanismi di funzionamento del pensiero "primari", cioè sotto
il dominio incontrollato dell'inconscio.
• G.Jung pose maggiormente in evidenza il fatto che nella malattia si
manifestasse "la forza primaria dell'inconscio", il riemergere di "una
mentalità' arcaica, infantile e primitiva", e il collasso del "complesso
dell'io", fattori tutti che producono una scissione assoluta nella personalità
dell'individuo.
• M.Klein interpreta la schizofrenia a partire dalle "relazioni oggettuali"
definendo "oggetti" i tentativi di mediazione tra le forze opposte di "amore
e aggressività" che ne decidono la valenza negativa o positiva.
Per la Klein la schizofrenia é il risultato della permanenza della "posizione
schizoparanoidea" caratterizzata dalla scissione dell'oggetto in "buono" e
"cattivo".
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• W.R.D.Fairbairn sostiene che la schizofrenia é l'espressione di un uso
esasperato e morboso di meccanismi e tecniche impiegati per difendersi
dalla angoscia. Il soggetto cioè preferisce sentire "cattivo" se stesso,
piuttosto che ammettere l'esistenza di "genitori cattivi"; nel tentativo di
salvare la realtà esterna, compromette totalmente quella interna.
• H.S.Sullivan definisce la schizofrenia come una malattia derivante dalle
difficoltà che si generano nelle relazioni interpersonali in presenza di un
ambiente familiare difficile. Queste difficoltà attivano impressioni
antecedenti, maturate nella primissima infanzia, che vengono proiettate sul
mondo esterno trasformando quindi per il soggetto, la realtà e le persone in
qualcosa di diverso da quello che sono.
Questo a sua volta produce un abbassamento della stima del "Sé" che viene
quindi dissociato dalla integrità della persona.
• P.N.Pao sostiene che né la natura né l'ambiente possono da soli condurre
alla schizofrenia, ma "piuttosto l'interazione dei due fattori nella primissima
infanzia determina alcune esperienze che più tardi si evolvono nei
molteplici sintomi della malattia schizofrenica".
"Disturbi basici" dell'esperienza si verificano "quando la capacità di
rispondere dell'infante é deteriorata da un difetto organico o quando la
madre é incapace di provare empatia per il figlio".
• K.Jaspers sostenne che nel campo della malattie mentali, l'indagine causaeffetto, che é tipica della scienza deve essere abbandonata poiché la
malattia non é un "oggetto naturale" ma "un processo".
• per K.Schneider i segni della malattia mentale non possono essere
considerati "sintomi medici", il che supporrebbe una precisa teoria alle
spalle, ma sono piuttosto dei "significati" che esprimono un qualchecosa di
fondamentalmente diverso dall'esperienza comune.
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• L.Binswanger non si deve parlare di "schizofrenia" quanto di un "tema
schizofrenico" che sarebbe alla base delle "esperienze schizofreniche" che il
soggetto vive e che in base a questo "tema" si può cercare di comprendere.
Il mondo dello schizofrenico non é quindi leggibile col metodo della
"osservazione scientifica", ma ci si può accostare ad esso solo grazie alla
"empatia", operando cioè "la diagnosi attraverso il sentimento", che
permette di superare la barriera tra il mondo comune e quello dello
schizofrenico.
• In maniera analoga D.Laing mette in evidenza l'impossibilità di decifrare il
mondo dello schizofrenico servendosi degli strumenti oggettivanti del
sapere scientifico.
• partendo dalla premessa che é impossibile non comunicare G.Bateson,
P.Watzlawick e la Scuola di Palo Alto (California) hanno ipotizzato che la
schizofrenia nasca da una forma patologica della comunicazione
interpersonale detta di "doppio legame" (double bind) caratterizzata da:
l'individuo é coinvolto in un rapporto intenso e di importanza vitale con un
altro individuo - ad es. bambino/madre -, rapporto nel quale l'esigenza é
quella di capire l'altro e di rispondere in maniera adeguata;
l'altra persona che partecipa al rapporto emette segnali incongrui,
inadeguati, contraddittori, di due tipi di ordine uno dei quali nega l'altro;
l'individuo diventa incapace di discriminare e analizzare i messaggi che
riceve;
quindi é posto in una continua condizione di profondo dilemma e angoscia;
questa condizione disconferma l'individuo fin dalle prime fasi dell'infanzia
impedendogli di formarsi un io solido e portandolo alla convinzione che
tutta la realtà possa essere paradossale e innescando quindi dei
comportamenti conseguenti a questa paradossalità.
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7.5 Fattori patogenetici
L'ipotesi attualmente adottata circa le cause della schizofrenia é quella cosiddetta
"multifattoriale" che collega in sé il "modello medico", il "modello relazionale" , e
il "modello psico-dinamico". In altre parole, per tentare di spiegare le cause della
schizofrenia non si deve pensare solo ad un fattore, ma ad una combinazione di più
cause e fattori fra loro variamente intrecciati.
Tra le cause quindi ricordiamo:
1) fattori genetici o ambientali: intesi solo come la predisposizione ad ammalarsi
da parte di appartenenti ai membri di famiglie in cui uno o entrambi i genitori siano
schizofrenici; non é dimostrata ad oggi nessuna trasmissione organica della
malattia, per cui la maggiore frequenza ad ammalarsi da parte dei figli di genitori
schizofrenici viene interpretata più spesso come influsso ambientale.
2) fattori biochimici: alterazioni riscontrate nella produzione di alcune sostanze del
metabolismo, dei neurotrasmettitori, o la produzione di sostanze tossiche endogene
dalla struttura che presenta alcune somiglianze con quella di allucinogeni come
l'LSD.
3) fattori familiari: tra i quali elenchiamo: madre aggressiva, punitiva, rifiutante
con padre passivo, assente e distaccato, modalità transazionali particolari con cui si
svolgono i rapporti tra i genitori e tra i genitori e i figli ,alleanze distorte tra i
membri della famiglia, situazione simbiotica in età adulta tra madre e figlio o padre
e figlia, comunicazione con messaggi ambigui e contraddittori, la condizione di
essere lo sfogo e il punto focale delle tensioni di tutta la famiglia che provoca nel
soggetto il ritiro in un mondo fantastico, irreale , artistico.
4) fattori sociali: mancanza di sicurezza a livello socioeconomico, cambiamenti
improvvisi e coatti della propria condizione, emigrazione ed altri fenomeni che
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provocano modificazione dei ruoli personali; stress prolungati; situazioni estreme
di catastrofe o reclusione.
5) fattori patologici, tossici, infettivi, traumatici, endocrini, metabolici, neoplastici,
degenerativi , genetici che possono causare le cosiddette schizofrenie sintomatiche
o pseudoschizofrenie, il cui tratto essenziale é la dissociazione.
7.6 Decorso e terapia
La malattia per lo più insorge in età adolescenziale o giovanile sotto ai venti anni
oppure meno frequentemente tra i 25 e i 45 anni e l'osservazione clinica ha rilevato
che più l'episodio psicotico insorge acutamente in seguito ad eventi occasionali, più
alte sono le probabilità che sia breve e che si possa risolvere definitivamente.
Se invece i fattori che portano alla schizofrenia hanno agito insidiosamente e
sistematicamente per molti anni la prognosi é più sfavorevole e la malattia tende a
cronicizzarsi e ad aggravare il deterioramento progressivo della personalità anche
se deliri ed allucinazioni diminuiscono di numero e ampiezza.
La malattia ha un ciclo di circa 15 o 20 anni ed anche risolta può lasciare dei
"difetti schizofrenici" quali un certo restringimento degli interessi, l'inadeguatezza
emotivo affettiva, qualche singolare atteggiamento intellettuale e comportamentale
nel quadro di una personalità un po' inaridita e talvolta irrigidita.
Per quanto concerne la terapia, sono attualmente poco in uso le terapie
elettroconvulsivanti (elettroshock) e l'insulinoterapia; si ricorre a trattamenti
farmacologici mediante neurolettici che agiscono soprattutto sui sintomi
allucinatori, deliranti e comportamentali e riducono l'angoscia e le reazioni
aggressive.
L'approccio psicoterapeutico in associazione ai farmaci ottiene attualmente i
maggiori successi.
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Si tratta di un tipo di psicoterapia particolare; a seconda della gravità della malattia
si esercita sia su pazienti ospedalizzati oppure ospiti di comunità terapeutiche, che
su pazienti ambulatoriali di day hospital.
L'approccio psicoterapeutico é quello cosiddetto "multimodale di staff" e cioè
esercitato da un gruppo di terapeuti che pongono in essere tutta una serie di
differenti tecniche terapeutiche rivolte ad un gruppo di pazienti.
La terapia deve necessariamente essere anche familiare nel senso di coinvolgere i
familiari sia allo scopo di cercare di ridurre tensioni e malintesi col malato, che
quale forma di intervento psicoterapico rivolto anche ai familiari stessi.7
8. Comprensione psicodinamica della schizofrenia
Nei malati schizofrenici tutti gli interventi devono essere confezionati su misura per
i bisogni specifici di ciascun paziente, non esiste una cosa come il trattamento della
schizofrenia. La schizofrenia è una malattia eterogenea, con manifestazioni cliniche
proteiformi. Un’utile strutturazione della sintomatologia descrittiva del disturbo è
la suddivisione in tre raggruppamenti:
• sintomi positivi
• sintomi negativi
• relazioni personali disturbate
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www.village.flashnet.it Pubblicato su "Diagnosi & Terapia" n.10 - 20/12/98
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Proposto per la prima volta da Strass e collaboratori (1974), questo modello
individua tre distinti processi psicopatologici riscontrati nei pazienti schizofrenici. I
sintomi positivi comprendono i disturbi del contenuto del pensiero (come deliri), i
disturbi di percezione (come le allucinazioni) e le manifestazioni comportamentali
(come la catatonia e l’agitazione) che si sviluppano in breve tempo e sono spesso
accompagnate da un episodio psicotico acuto.
Mentre i sintomi positivi floridi costituiscono un’innegabile “presenza”, i sintomi
negativi della schizofrenia possono essere caratterizzati come un’”assenza” di
funzioni. Questi sintomi negativi comprendono un’affettività coartata, povertà di
pensiero, apatia anedonia. I pazienti nei quali predomina un quadro caratterizzato
da una sintomatologia negativa possono presentare una serie di componenti che
suggeriscono l’esistenza di anomalie strutturali del cervello. (Andreasen et al.,1990,
McGlashan, Fenton,1992).
Carpenter e collaboratori (1988) hanno suggerito un’ulteriore distinzione dei
sintomi negativi. Essi hanno evidenziato come certe forme di ritiro sociale possano
essere in realtà secondarie ad ansia, depressione, deprivazione ambientale o
all’effetto di sostanze psicotrope. Queste manifestazioni non dovrebbero pertanto
essere etichettate come sintomi negativi in quanto sono secondarie e di breve
durata. Carpenter e collaboratori hanno proposto la definizione sindrome da deficit
per indicare sintomi negativi chiaramente primari che persistono nel tempo.
Come i sintomi negativi, le relazioni personali disturbate tendono a svilupparsi in
un notevole arco di tempo. Questi problemi sorgono da un substrato caratteriale e
comprendono una miriade di difficoltà interpersonali tanto svariate quanto la
gamma della personalità umana. Manifestazioni preminenti di relazioni
interpersonali
disturbate
comprendono
il
ritiro,
l’espressione
inadeguata
dell’aggressività e della sessualità, la mancanza di consapevolezza dei bisogni
altrui, le pretese eccessive e l’incapacità di consapevolezza dei bisogni altrui, le
pretese eccessive e l’incapacità di avere un contatto significativo con altre persone.
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Questa terza categoria è definita in maniera meno rigorosa rispetto alle altre due
perché, fondamentalmente, ogni paziente schizofrenico ha problemi nelle relazioni
interpersonali. In effetti tutte e tre le categorie si sovrappongono ampiamente, e lo
stesso paziente schizofrenico può spostarsi, nel corso della malattia, da un gruppo a
un altro. L’aspetto più utile di questi tre modelli è che facilitano la categorizzazione
delle manifestazioni predominanti della malattia in qualunque momento, cosicché il
trattamento può essere adattato di conseguenza. Queste distinzioni hanno valore
euristico e pratico non solo a livello dei sintomi ma anche nella valutazione delle
considerazioni psicodinamiche. 8
8.1 Farmacoterapia
Molti studi hanno ampliamente dimostrato che i farmaci antipsicotici sono
altamente efficaci nel trattamento dei sintomi positivi della schizofrenia.
L’accessibilità del paziente schizofrenico a tutte le altre forme d’intervento
terapeutico viene notevolmente accresciuta da un uso giudizioso di neurolettici.
Keith e Matthews (1984) hanno affermato che la “libertà dei sintomi positivi è
quasi una conditio sine qua non per i trattamenti psicosociali”. I sintomi negativi e
le relazioni interpersonali disturbate, tuttavia, sono molto meno influenzati dai
farmaci e richiedono pertanto approcci di tipo psicosociale. Sembra che alcuni dei
nuovi agenti antipsicotici atipici (come la clozapina, il risperidone e l’olanzapina)
abbiano un impatto migliore sulla costellazione dei sintomi negativi.
I nuovi antipsicotici atipici che sono diventati di ampio utilizzo nell’ultima decade
hanno rivoluzionato la terapia della schizofrenia. Questi agenti, fra i quali il
8
Glen O.Gabbard “Psichiatria psicodinamica” pp. 180-1
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risperidone, la clozapina, olanzapina, la quetiapina e il ziprasidone, sono efficaci
almeno come i comuni farmaci antipsicotici rispetto ai sintomi positivi, mentre
sono più efficaci rispetto agli antipsicotici convenzionali nei confronti dei sintomi
negativi. È stato anche dimostrato che la clozapina attenua i sintomi psicotici in una
significativa percentuale di pazienti resistenti al trattamento. Inoltre questi farmaci
evitano ai pazienti tutta una serie di fastidiosi effetti collaterali, così che essi sono
maggiormente disposti ad assumere la terapia e a partecipare ai trattamenti
psicosociali.
L’avvento degli antipsicotici atipici si è tradotto in nuove sfide psicoterapeutiche
per il clinico. Alcuni pazienti cronicamente ammalati da molti, molti anni a causa
di una mancata risposta ai farmaci tradizionali si sono improvvisamente ritrovati in
una condizione di remissione. Alcuni osservatori (Degen, Nasper, 1996;
Duckworth et al., 1997) hanno paragonato queste drammatiche remissioni a ciò che
Oliver Sacks (1973) ha descritto come “risvegli”. La psicosi può assolvere una
funzione difensiva per molti pazienti, così che possono evitare di confrontarsi con
le incertezze delle relazioni, le complessità delle situazioni lavorative e il
significato dell’esistenza. La totalità dell’identità dell’individuo può essere
assorbita dalla consapevolezza di avere una malattia cronica. Quando si realizza
finalmente una remissione dei sintomi, si verifica spesso un processo di lutto
correlato a ciò che è stato perduto e alla sensazione sconcertante di non sapere che
si è in uno stato mentale non psicotico. Come hanno notato Deger e Nasper (1996)
“nonostante il miglioramento inequivocabile per alcuni individui l’improvvisa
assenza di sintomi diventa come minimo altrettanto dolorosa della psicosi”.
L’intervento psicoterapeutico può aiutare il paziente a integrare il vecchio e il
nuovo Sé.
La remissione dei sintomi psicotici rende possibili, per la prima volta dopo molti
anni, coinvolgimenti romantici e sessuali. Di fronte a questa prospettiva diversi
pazienti possono provare un’ansia molto intensa. I rischi di perdita e di rifiuto che
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vi sono connessi devono essere affrontati allorché questi pazienti cominciano ad
avvicinarsi agli altri. Infine, l’emergere dalla psicosi può esporre i pazienti a una
crisi esistenziale sullo scopo e il significato della vita. Riconoscono che una buona
porzione della loro vita è stata perduta a causa della malattia cronica e sono ora
obbligati a ridefinire i loro valori personali e spirituali.
Oltre al training per lo sviluppo delle competenze, di riabilitazione e di interventi di
altro tipo, i pazienti che rispondono bene agli antipsicotici atipici hanno anche
bisogno di una relazione umana di sostegno nella quale poter esplorare questi
adattamenti. 9
9. Il disturbo bipolare
Il Disturbo Bipolare (DB) è un disturbo psicotico nella quale i normali stati
dell’umore, tristezza o felicità, si presentano ciclicamente amplificati (alternarsi di
episodi di Mania e Depressione).
Chi soffre di Disturbo Bipolare fa esperienza di oscillazioni dell’umore molto
intense, con una frequenza variabile, tra due estremi: euforia-irritabilità e tristezzadisperazione,
passando
attraverso
periodi
di
relativa
stabilità
emotiva.
Queste oscillazioni si manifestano in episodi ciclici di depressione (episodio
depressivo) o mania (episodio maniacale), che possono durare da alcune settimane
ad alcuni mesi.
9
Glen O.Gabbard “Psichiatria psicodinamica” pp. 185-7
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Alcune persone possono avere dei ripetuti episodi depressivi, alcuni altri possono
soffrire sia di episodi depressivi che maniacali, pochissime persone, infine, possono
soffrire solo di ripetuti episodi maniacali.
Tra un episodio e l’altro di depressione o di mania, l’umore è normale e possono
non esserci disturbi di alcun genere. Altre volte, invece, tra un episodio e l’altro
possono esserci disturbi più lievi dell’umore, come la ciclotimia (oscillazioni
dell’umore anche nell’arco della stessa giornata, ma senza raggiungere l’intensità
della depressione o della mania).
Infine, gli episodi possono succedersi l’uno all’altro senza alcun ritorno alla
normalità.
Nel Disturbo Bipolare la tristezza, normale reazione agli eventi spiacevoli, diventa
depressione e la normale fatica diventa grande stanchezza, ipersonnia (aumento del
sonno) o insonnia (spesso nelle prime ore del mattino), importante aumento o
riduzione dell’appetito.
Nel corso di un episodio depressivo ci si sente disperatamente infelici, senza
energia e incapaci di affrontare persino le cose più elementari.
Mentre la normale felicità può elevarsi fino ad uno stato di euforia nel corso di un
episodio maniacale, con manifestazioni quali grande stima di sé, ottimismo
eccessivo, espansività delle idee e delle azioni, sensazione di grande energia,
estrema irritabilità; ci si può sentire come al “settimo cielo”, in grado di fare
qualsiasi cosa senza alcun problema e incredibilmente pieni di idee eccitanti.10
10
www.villadeipini.it
35
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10. Musica ed emozioni
Il confine tra emozioni e sensazioni, nasce dall’appartenenza rispettivamente delle
prime alla sfera mentale e delle seconde alla sfera corporea, così come avviene tra
percetto sensoriale (variazione di stato dell’ambiente) e concetto (categoria
globalizzante di percetti). Ma si tratta, per lo più, di una distinzione convenzionale
più che funzionale, derivata dalla oggettivazione dell’unità complessa (ossia
dell’organismo) resa possibile dal fatto di poter pensare separatamente di avere un
corpo, un cervello e una mente. Tuttavia non tutto è effettivamente “pensabile”:
esistono contenuti che assumono una connotazione visceralmente oscura poiché
vengono “sentiti” più che “pensati”. Ciò porta a ritenere che un sistema interattivo
formato da percetti sensoriali, concetti ed emozioni possa favorire una coerente
integrazione degli aspetti “corporei” (emozionali, non pensati) e di quelli
“mentali”.
La musica, in quanto strumento connotativi dotato di capacità evocativa sia a
livello emotivo-corporeo che a livello concettuale-mentale, sembra essere
particolarmente indicata come tramite per costruire tale sistema interattivo. Poiché
il cervello è anatomicamente organizzato come un mosaico di moduli neuronali in
cui ogni modulo è, nello stesso tempo, specializzato e interconnesso con altri
moduli e da qui con tutti i moduli cerebrali, ne consegue che ogni emozione, ogni
percetto e ogni concetto coinvolgono il sistema nervoso nella sua globalità, ma
poiché le reti neuronali che costituiscono i moduli cerebrali sono dotati sia di vie
afferenti che efferenti, ogni stato mentale coinvolge il corpo in tutta la sua
interezza, orientando in tal modo il corso delle azioni e le condotte
comportamentali.
Questo aspetto definisce e legittima la posizione della Musicoterapia stessa e la
colloca nell’ambito terapeutico (anziché educativo) nella misura in cui essa viene
utilizzata per favorire la costruzione e la evoluzione controllata di relazioni
terapeutiche che hanno il suono come mediatore principale.
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La National Association for Music Therapy ha, infatti, esplicitato tale affermazione
formulando la seguente definizione: “Musicoterapia:è l’applicazione dell’arte
musica per raggiungere scopi terapeutici. Il musicoterapeuta usa la musica e se
stesso
per
cagionare
cambiamenti
del
comportamento.
Tramite
questo
cambiamento al paziente si offre l’occasione di comprendere meglio se stesso ed il
suo ambiente, di muoversi più liberamente ed efficacemente in esso e di sviluppare
una migliore stabilità e flessibilità psichica e fisica”.
L’attenzione posta al rapporto esistente tra musica ed emozioni
è nata in
riferimento al fatto che il paziente psichiatrico presenta spesso una dissociazione tra
emozioni e pensiero. Tale dissociazione può consistere in un appiattimento
affettivo, con scarsità di manifestazioni emotive ed isolamento, ma anche in una
conservazione del potenziale affettivo, che tuttavia non viene utilizzato in modo
adeguato e viene vissuto spesso con disagio.
La musica è un eccellente mediatore terapeutico, in grado di promuovere la
consapevolezza dei legami e delle distanze esistenti nei rapporti tra mondo esterno
e mondo interno, tra concreto e simbolico, procedendo mediante una regolazione
dell’espressione emotiva.
E’ importante procedere alla regolazione dei processi emotivi, i quali coinvolgono
anche aspetti prettamente cognitivi ed è opportuno offrire un contesto adeguato,
dove le emozioni possano emergere e dove ne possa essere favorita la loro
espressione e rielaborazione.
La musica, in quanto capace di suscitare emozioni profonde e significative e, come
scrive Sloboda di “elevare il livello della nostra vita emotiva”, si presta a tale
compito.
È importante “sfruttare” la componente simbolica ed affettiva della musica per
promuovere la verbalizzazione, poiché il potere intrinseco dell’oggetto sonoro
abbia una sua validità solo se mantiene le proprie caratteristiche estetiche, le quali
nascondono per ognuno di noi giochi e rimandi simbolici che non possono venire
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indagati attraverso il linguaggio verbale senza che questo inneschi meccanismi di
denaturazione.
Riteniamo che la musica rimanga tanto più vicina all’emozione, quanto più si riesca
a tenere staccata la sua fruizione dal contesto linguisti.
Ascoltare la musica significa ascoltare se stessi, nel senso che l’ascolto implica
l’elaborazione a livello cognitivo non di ciò che è nella musica, ma di ciò che della
musica risuona col nostro mondo affettivo, e che molto spesso non è traducibile e
nemmeno ripetibile.
Dal punto di vista fisico la musica è un’organizzazione di suoni caratterizzati da
altezza, durata, timbro e intensità differenti che vengono caricati di significato dalla
nostra mente passando attraverso una fase cognitiva ed affettiva che implica la
formazione di una rappresentazione interna della musica.
Il fatto di esprimersi attraverso il suono (che non è il suono della propria voce ma
che comunque proviene dal corpo ed è intriso di corporeità poiché, lo strumento
musicale ne è in qualche modo un prolungamento) o attraverso la fisicità del
movimento consente in un primo momento, di facilitare ed avviare la
comunicazione del paziente psichiatrico proprio perché viene riconosciuta una
fonte che non fa parte del proprio corpo (ma che, comunque, è da esso mediata).
Successivamente la familiarizzazione col corpo e l’appropriazione dei propri stati
emozionali può rappresentare l’inizio di una riappropriazione di sé e dei propri
vissuti.11
11
F.Bassoli, R.Frison, “L’arte del corago”, pp. 180-3
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10.1 Il ritmo
Il ritmo è un potentissimo strumento di “attivazione” che crea un coinvolgimento
da parte del gruppo. Il ritmo, quale elemento dinamico, combinandosi con il timbro
e l’altezza e mediante semplici spostamenti di accenti, respiri, battute forti o deboli,
può conferire alla musica capacità evocative completamente diverse, che
determinano in chi ascolta attribuzioni di significati a loro volta diverse.
La percezione soggettiva che ne deriva comprende anche risonanze interne che
sono legate ad un ritmo individuale relativo alla respirazione e al tono muscolare.
Il primo atto di comunicazione è stato un atto di sincronizzazione ritmica del battito
cardiaco con quello dell’ambiente-madre. Siamo perciò predisposti alla
sincronizzazione.
Potremmo affermare che la sincronizzazione costituisce il presupposto “temporale”
(ritmico) della sincronizzazione affettiva, passaggio necessario nella relazione
terapeutica per agire in senso armonizzante sul paziente.
Potrebbe essere questo uno dei motivi per cui il ritmo sembra agisca in modo
diretto ed esplicito su chi ascolta, conferendo uno stato di sicurezza o comunque di
contenimento. Come dice Willems:”La musica è dentro all’uomo prima che intorno
all’uomo”. Essa agisce attivando e risvegliando la dinamicità ritmica che è presente
in ognuno di noi.
L’attività ritmica esercita una stimolazione delle strutture neurofisiologiche di base
attraverso il movimento, così come la melodia ha come bersaglio elettivo
l’emotività, mentre l’armonia, coinvolge l’elaborazione cognitiva.
L’insieme dei tre parametri coinvolge dunque l’intero asse fisico-affettivo e
mentale.
L’attenzione è puntata principalmente sull’elemento ritmico poiché, sempre citando
Willems:” Il ritmo è l’elemento primo in musica … senza ritmo non c’è emozione
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ne intelligenza, senza ritmo non c’è melodia, non c’è armonia” ed in più si tratta di
movimento, di vita fisica: il ritmo vive nel dinamismo corporeo.12
11. Musicoterapia e terapie espressive in ambito psichiatrico
Le tecniche musicoterapiche (musicoterapia attiva/musicoterapia recettiva) possono
essere inserite nell’ambito delle terapie espressive, vale a dire quell’insieme di
interventi essenzialmente non verbali che utilizzano mediatori ‘artistici’ allo scopo
di favorire, ampliare e modellare le modalità espressive e comunicative.
“Il mediatore artistico è uno spazio potenziale che l’individuo crea tra sé e il mondo
esterno
per
giocare,
esercitarsi,
confrontarsi,
attraverso
rappresentazioni
simboliche, con i bisogni del proprio mondo interno e con le esigenze della realtà
esterna”
Le terapie espressive appaiono connotate sia da valenze psicoterapiche che
riabilitative; infatti, consentono di articolare interventi ad alta e a bassa
simbolizzazione.
11.1 Gli interventi ad alta simbollizzazione
Si tratta di un approccio che favorisce un processo di sospensione della realtà
esterna e del controllo dell’Io sul dipanarsi dei contenuti. Tale “… procedura
12
F.Bassoli, R.Frison, “L’arte del corago”, pag. 150, 188
40
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può liberare il mondo fantasmatico del paziente come durante il sogno”; le
tematiche del mondo interno saranno poi “riconfrontate con la realtà esterna e
risimbolizzate” per il tramite del linguaggio artistico.
In questi casi il linguaggio espressivo costituisce “la metafora di una presenza nel
mondo capace di mediare creativamente gli impulsi privati più profondi e
inconfessabili (patologici) con le esigenze di una convivenza che richiede controllo,
contatto costruttivo, identificazione reciproca”.
11.2 Gli interventi a bassa simbollizzazione
In questo caso le terapie espressive “favoriscono il contatto con la realtà esterna,
consentono
di contenere in maniera non traumatica ma concreta e tangibile
l’espressività più disorganizzata, permettono di dare espressione pubblica a
contenuti angoscianti, sgradevoli, vergognosi, attivano la rieducazione delle
funzioni senso-percettive e cognitive, traducono l’operatività in risultati concreti e
visibili,
permettono
di
esprimere
differenziazione
e
aggressività
senza
conseguenze”.
Tale intervento si rivolge a quadri clinici caratterizzati da un deficit delle funzioni
egoiche, “da un difettuoso funzionamento del test di realtà e da un mondo
fantasmatico trabordante”; le terapie espressive possono così permettere un contatto
controllato tra i fantasmi interni e la realtà esterna producendo un’attenuazione dei
sintomi e una maggiore adeguatezza (…) se negli interventi ad alta simbolizzazione
la de-soggettivazione è ottenuta artificialmente, in quelli a bassa è espressione della
malattia”.
Questa duplice declinazione delle terapie espressive(interventi ad alta e/o a bassa
simbolizzazione)consente l’attuarsi di un processo integrativo fra gli aspetti
psicoterapeutici e quelli rieducativo-riabilitativi.
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11.3 Terapie espressive e regolazione delle emozioni
Le terapie espressive dunque non hanno solo il fine di facilitare una libera
espressione, ma cercano altresì di modulare e sviluppare le potenzialità
comunicative, le valenze simboliche ed estetiche del mondo interno del paziente.
Tali metodi tentano quindi di costruire una possibile rappresentazione comunicabile
al mondo, di contenuti ed emozioni che spesso per la loro intensità e concretezza
possono essere vissuti come scompaginanti o viceversa rimanere inesprimibili e
cristallizzati.
“Le terapie espressive delimitano ‘uno spazio transizionale’ in cui giocare tra i
bisogni del mondo interno e le esigenze della realtà esterna, cercando sia di non
essere sopraffatti dalle proprie fantasie interne, sia di non perdere la propria
individualità adeguandosi passivamente alle richieste dell’ambiente esterno”.
Nelle terapie espressive l’accoglienza incondizionata delle modalità espressive del
paziente, l’adesione ai suoi peculiari modi di essere, finalizzata a favorire l’apertura
di canali comunicativi e relazionali, potrà articolarsi quindi con un approccio
maggiormente mirato allo sviluppo di un codice e di processi simbolici
condivisibili; la ‘comunione’ si articolerà con proposte trasformative, evolutive,
con intensità e modi differenti in relazione alle esigenze dei diversi pazienti.
Gli interventi di questo tipo mirano ad una migliore regolazione delle emozioni in
quanto consentono la transizione da una comunicazione diretta (spontanea, non
appresa e afferente a un codice di origine genetica) ad una comunicazione
simbolica (propria di un sistema socialmente condiviso che fa capo a un codice
appreso di origine culturale) e che permette di definire l’emozione sperimentata e
di collocarla in una dimensione spazio-temporale.
Le emozioni oltre ad essere provate e spontaneamente espresse sono così
rappresentate in schemi cognitivi e simbolici fornendo alla parte cosciente una
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nuova dimensione qualitativa; diviene quindi possibile provare emozioni senza
perdere la capacità di pensare.
11.4 Le qualità del mediatore sonoro/musicale
I mediatori usati dalla musicoterapia sono il suono e la musica; si tratta di elementi
connotati da alcune peculiarità che a loro volta qualificano il nostro approccio
suggerendo possibili percorsi e ambiti di intervento.
Musica e suono presentano alcune caratteristiche:
– la musica può essere fruita passivamente, può penetrarci anche contro la nostra
volontà, può entrare dentro di noi, essere ‘assorbita’ e dare vita a trasformazioni
benefiche e terapeutiche
– la musica evoca e sollecita la nostra corporeità; basta pensare al ritmo e a quanto
le variazioni timbriche e di altezza possano trovare immediate risonanze sensopercettive. La musica può così essere connotata da qualità attivanti e stimolanti, ma
anche sensoriali e sensuali;
– la musica mantiene un profondo rapporto con la dimensione nostalgica. Non solo
induce la nostalgia di una dimensione preverbale dove suono e oggetto mantengono
un rapporto di continuità ma rappresenta essa stessa un’esperienza nostalgica. Il
fruirne sottolinea la dimensione nostalgica dell’esistenza (il suo irreversibile
scorrere), ma nello stesso tempo la sua parziale ripetibilità e la sua risonanza
corporea ci consentono di rivivere quasi concretamente il passato, ‘illudendoci’
consapevolmente di riavere ciò che si è perso;
– la musica propone un ordine, una gerarchia di rapporti, rappresenta come afferma
Schon, uno strumento di mediazione tra il caos originario delle emozioni e il
linguaggio articolato dell’intelletto, e oscillando pericolosamente tra questi due poli
acquista valenze perturbanti;
– il suono, la musica, si mostrano nel loro divenire, non sono già dati, costituiscono
un fenomeno ‘eveniente’, si fanno quindi seguire e nel loro delinearsi possono
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indicare una direzione e una durata (orientando lo spazio e il tempo), ma anche
sospendere ogni durata e annullare ogni spazio.
Ulteriori qualità e peculiarità dell’esperienza musicale sono descritte da Antonio Di
Benedetto.
Di Benedetto approfondisce infatti la natura ambivalente del musicale individuando
diverse coppie di opposti (vale a dire la copresenza di simmetria-asimmetria
osservata da differenti angolazioni).
– Ordine/disordine: “la musica introduce un principio di ordine al disordine
emozionale”, dà forma al nostro sentire più antico e profondo;
– Creatività/distruttività: “Il musicista, nel produrre un suono, annulla il precedente,
crea qualcosa di nuovo nell’instante medesimo in cui distrugge qualcos’altro”;
– Presenza/assenza: “il suono diventa testimone di cose non visibili”;
– Consolazione/lutto: La musica “è una forma capace di suscitare un’impressione
di pienezza, seguita da un vuoto (…) nelle arti visive l’opera ha un’esistenza
autonoma che si prolunga nel tempo (…) nella musica l’ascoltatore è impegnato in
una sottile e incessante elaborazione del lutto, le forme musicali sono metafore
dell’incessante cambiamento delle forme vitali”;
– Regressione/progressione: la musica “per certi versi elide i simboli verbali
ridando la priorità al corpo, per altri versi prelude al mondo dei simboli astratti di
una lingua. È insieme toccante e impalpabile, sensibile ed evanescente.
L’esperienza che vi si accompagna tende perciò a configurarsi anch’essa in modo
duplice come regressiva e allo stesso tempo progressiva”.
11.5 Ambiti applicativi e finalità
Relativamente agli aspetti applicativi la musicoterapia può trovare utilizzo in un
contesto preventivo, riabilitativo e psicoterapico.
L’intervento di tipo preventivo è caratterizzato dall’impiego dell’elemento
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sonoro/musicale con finalità globalmente contenitive e maturative; introdurre alla
musica può agevolare un percorso di conoscenza e di crescita personale, può
facilitare lo sviluppo della creatività permettendo di dare forma a modalità
espressive comunicabili e socializzabili al cui interno sciogliere e trasformare
potenziali nuclei patogeni.
La musica per la concretezza che le è propria, per gli aspetti narcisistici e gruppali
che la caratterizzano si presta meglio di altri linguaggi a percorsi finalizzati allo
sviluppo di relazioni (in contesti caratterizzati dal disagio sociale e psichico) e alla
maturazione emotiva, all’individuazione, all’integrazione; costituisce infatti un
prezioso ‘ponte’ versi situazioni connotate dall’agito e dall’omologazione.
– L’intervento con valenze riabilitative si prefigge di riattivare e potenziare settori
deficitari, funzioni non evolute o regredite; in questi casi la gratificazione (sensopercettiva ed estetica) indotta dall’elemento sonoro/musicale può consentire
un’attivazione del soggetto; inoltre l’elemento sonoro/musicale nei suoi aspetti
strutturali e nelle modalità di fruizione e di espressione che propone, rappresenta un
potenziale modello al cui interno articolare e plasmare limiti e potenzialità del
soggetto.
-- Infine negli interventi con valenze psicoterapiche osserviamo due possibili iter
metodologici spesso commisti tra di loro. In alcuni casi il terapista (che in questo
caso sarà uno psicoterapeuta con specifica formazione in ambito musicoterapico)
potrà privilegiare un lavoro centrato sui contenuti evocati e rappresentati dal
musicale (sia in ambito espressivo che recettivo) fornendo riformulazioni ed
interpretazioni; in altri casi (e sono questi quelli più strettamente musicoterapici)
sarà proprio il lavoro espressivo e sull’espressivo che costituirà parte integrante del
processo terapeutico.
La costruzione, l’elaborazione, la trasformazione dell’oggetto sonoro/musicale,
attuata con il maieutico ausilio del terapista, potranno rappresentare altrettante
tappe di un processo di cambiamento e/o di strutturazione.
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L’intervento musicoterapico potrà prefiggersi l’obiettivo di una maggiore
strutturazione del Sé e/o favorire una integrazione intrapsichica in un’ottica
evolutiva.
11.6
Tipologie di fruizione sonoro/musicale e linee d’intervento nei
disturbi psichici dell’età adulta
Il musicoterapista può trovarsi di fronte a differenti modalità d’interazione con
l’elemento
sonoro/musicale;
queste
esprimono
il
ruolo
che
l’elemento
sonoro/musicale svolge all’interno del paziente e altresì il valore simbolico
attribuito ad un certo suono, ad una certa musica.
Con soggetti particolarmente compromessi sul piano della relazione oggettuale,
vale a dire quadri clinici caratterizzati dal ritiro, dall’isolamento, da aspetti artistici
una gratificante attivazione senso/motoria prodotta dalle proposte sonoro/musicali
può sollecitare un reinvestimento corporeo e sensoriale e quindi avviare una
‘rianimazione psicocorporea’ del soggetto. L’interazione con il suono inoltre può
consentire una ridefinizione della percezione spazio/temporale in quanto l’elemento
sonoro propone una direzione, uno sviluppo e in questo senso può attivare e
indirizzare.
Le potenzialità attivanti e stimolanti dell’elemento sonoro/musicale e la possibilità
di fruirne positivamente anche da una posizione sostanzialmente passiva, in sintesi
le sue valenze regressogene e la gratificazione narcisistica che può sollecitare
(senza richiedere un particolare investimento) ne fanno uno strumento adeguato in
casi clinici caratterizzati per l’appunto dalla fragilità, dal ritiro, dalla passività, dal
disinvestimento.
La musica, si potrebbe affermare, dà senza chiedere (cosa che non avviene con
uguale intensità nelle altre forme espressive) e in virtù di tale aspetto può costituire
un approccio adeguato in casi che ‘chiedono’ senza ‘dare’.
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In questi casi il rapporto che si instaura con l’elemento sonoro/musicale acquista
quindi valenze prevalentemente fusionali o adesive.
In soggetti meno regrediti può emergere un rapporto con la dimensione musicale
caratterizzato da alcune qualità protosimboliche se non simboliche e fonte di
gratificazione personale.
Il fare musica (confrontandosi con precisi codici) e il fruirne in quanto oggetto
estetico (ponendosi in rapporto con condivisi valori storico/culturali) possono
divenire allora la metafora di un possibile rapporto con un ‘reale’ limitato, definito
e riconosciuto in quanto tale.
Inoltre la produzione sonoro/musicale all’interno di un ‘gruppo musica’ può
consentire l’espressione e la parziale strutturazione di contenuti interni
evidenziando talora sensibilità e attitudini inaspettate.
A questo livello acquista particolare interesse la costruzione di un ‘oggetto
musicale’ che nei suoi aspetti estetici ed espressivi rimandi al soggetto
un’immagine integrata e gratificante, acquistando così valenze strutturanti. La
conduzione delle sedute (individuali o di gruppo) oscillerà tra aspetti
più o meno direttivi in relazione al livello di destrutturazione dei diversi pazienti.
Questo tipo di intervento può essere pertinente a pazienti caratterizzati da
un’insufficiente struttura egoica, da un rapporto con il reale problematico,
conflittuale; sono pazienti che presentano un rapporto mondo interno/mondo
esterno disarmonico, con il prevalere talora di modalità proiettive. La relazione con
l’elemento
sonoro/musicale
potrà
esprimere
‘idealizzazione’,
‘adesività’,
‘razionalizzazione’.
La dimensione temporale fa della musica l’arte del ricordo, della nostalgia, della
reminiscenza, l’arte della presenza/assenza.
Tutta l’arte ci parla di chi non c’è, ma nella musica questa presenza/assenza si fa
particolarmente presente e drammatica; la musica non si limita a farci ricordare, la
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musica ci fa sentire, ci fa rivivere (in virtù della sua dimensione temporale e della
sua dimensione corporea); la musica rievoca e fa sperimentare una conoscenza
corporea, che, proprio perché tale, viene avvertita come viva e concreta.
Relativamente a tali aspetti i disturbi psichici che trovano una loro matrice nella
perdita, nel ricordo, nella nostalgia, potranno trovare (se non troppo intensi) nella
musica un ‘canto di consolazione. L’ascolto e/o le produzioni musicali, quando
congruenti con l’identità sonoro/musicali del soggetto, risuonano interiormente
amplificando tematiche latenti o non conosciute che emergono e si impongono alla
soggettività con la forza delle emozioni.
La dimensione musicale può contenere e strutturare tali tematiche.
I contenuti nostalgici e depressogeni espressi da un brano possono rappresentare
per il soggetto la riattualizzazione di un lutto, di una separazione; d’altra parte in
alcuni casi l’ascolto può consentirne una parziale e temporanea rielaborazione
attraverso un’esperienza estetica che li rappresenta e simbolicamente li sostituisce.
Questo tipo di intervento può essere pertinente a pazienti caratterizzati da
sufficienti strutture egoiche e sofferenti per disturbi di natura affettiva. La relazione
con l’elemento sonoro/musicale potrà esprimere ‘commozione’, ‘idealizzazione’,
ma anche rifiuto, ‘negazione’ (tali modalità potranno essere distinte o variamente
articolate fra di loro).
In contesti clinici caratterizzati come il precedente da un rapporto con il musicale
connotato da valenza culturali e simboliche e dalla permanenza di adeguate
strutture egoiche, il dialogo sonoro, l’improvvisazione musicale (ma anche
l’ascolto) possono sollecitare un’evidente risposta emotiva; il nostro approccio può
consentire l’amplificazione di contenuti emotivo-affettivi, facilitando la loro
manifestazione e l’avvio di un processo integrativo. Inoltre può essere avviato un
lavoro di riflessione e di analisi relativo alle personali modalità comunicative e
relazionali. Il rapporto che la spontanea produzione sonoro/musicale mantiene con
una comunicazione emotiva diretta, meno condizionata da aspetti culturali e meno
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filtrata da un controllo cosciente, può facilitare l’avvio di un processo espressivo; le
qualità di tale espressione possono evidenziare e amplificare stili e tratti relazionali.
Il livello dell’intensità, la presenza o meno di aspetti melodici, le caratteristiche
timbriche, la velocità di esecuzione, i ritmi osservabili, i tempi d’interazione
evidenziano le qualità della relazione e i rispettivi tratti personologici.
A partire da tali aspetti può essere avviata una riflessione finalizzata
all’acquisizione di una maggiore consapevolezza rispetto al proprio mondo emotivo
e alle proprie modalità relazionali. Si tratta di facilitare una migliore regolazione
della dimensione emotiva modulando la comunicazione emotiva diretta attraverso
le forme simboliche dell’espressività artistica e della comunicazione verbale.
Questo tipo di intervento, come già detto, può essere pertinente a pazienti
caratterizzati da sufficienti strutture egoiche e sofferenti per una coartazione
dell’emotività o per una sua disregolazione, per una soggettiva difficoltà ad
esprimersi e manifestarsi o a modulare la propria espressività.13
12. La legge Basaglia e i nuovi progetti di riforma
Maltrattamenti da ospedalizzazione psichiatrica
Si parla spesso dei maltrattamenti a carico dei ricoverati nelle strutture
psichiatriche, e a questo tipo di notizia viene spesso associato il termine «lager»,
nel significato peggiore che questo termine ha assunto. In realtà, manicomio e lager
sono due parole con significati da chiarire.
13
C.Ferrara, “Musicoterapia e psichiatria”, pp. 37-43 (di G.Manarolo)
49
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Se ci riferiamo a quel tipo di «lager» che l’ultima guerra ci ha presentato come
strumento per l’eliminazione degli avversari politici o di sterminio etnico,
istituzioni create intenzionalmente a questo scopo, organizzate e gestite con sadica
razionalità, evidentemente tali realtà non hanno nulla a che fare con gli Ospedali
Psichiatrici e neppure con i manicomi. I manicomi sono stati creati infatti, sulla
base delle conoscenze scientifiche, mediche, antropologiche del loro tempo, e
corrispondevano allo stato di evoluzione culturale della popolazione.
Il malato, nella concezione allora predominante, era un uomo leso nelle sue facoltà
caratteristicamente umane: l’intelligenza, la volontà, gli affetti e quindi diminuito
come valore, incapace di autoregolarsi, di controllarsi e quindi potenzialmente
pericoloso per gli altri e per se stesso. In conseguenza di ciò, doveva essere
custodito e, se possibile, curato in appositi istituti che dovevano avere
caratteristiche di struttura e metodi di conduzione adeguati a garantire la custodia e
a permettere la cura. In assenza di terapie efficaci erano possibili solo trattamenti
pedagogici, di rieducazione a una convivenza regolata da norme, e di adeguamento
alle istituzioni per pervenire ad una tranquillità normale e inoffensiva. Questo tipo
di istituzione totale era figlia del suo tempo e non era concepita con un’intenzione
aggressiva e intesa comunque a degradare una persona. La custodia era prevalente
perché non vi erano terapie efficaci, ma l’intenzione terapeutica esisteva e trovava
in varie iniziative il modo di esercitarsi, non raramente con successo.
Se invece prendiamo il termine «lager» nel suo significato originale di deposito,
magazzino, luogo di raccolta di persone e di cose, la relazione con il significato del
manicomio è più vicina, anche se mantiene una differenza qualitativamente
sostanziale. Infatti, anche il manicomio ha funzionato sotto molti aspetti come il
luogo di raccolta, magazzino, sia pure magazzino in senso positivo, dove si
raccolgono cose che valgono, si conservano, cercando di evitare il loro
deterioramento se conservate troppo a lungo, perché altrimenti si trasformano in
«fondi di magazzino», in «scarti» (nel nostro caso nel cosiddetto «residuo
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psichiatrico», come è stata definita la popolazione rimasta negli ospedali
psichiatrici dopo la politica della dismissione).
Ma i malati non erano cose e questo le amministrazioni e il personale che operava
negli istituti lo hanno sempre tenuto presente, anche se non sempre si è
accompagnata un’altrettanta consapevolezza di quanto si era tenuti a fare per loro.
Il maltrattamento «attivo» vale a dire intenzionale, operato su malati ricoverati non
era quindi inerente alla natura dell’istituzione ma attuato talora da persone sadiche,
rozze e perverse che ebbero modo di scaricare su malati indifesi la propria
aggressività, così come avviene in qualsiasi altra istituzione, in caserma, in carcere,
a scuola, o nelle stesse famiglie.
Il manicomio, nel suo isolamento, si prestava certamente a nascondere molte
prepotenze e permetteva che il peccato di origine, la malattia mentale con il
conseguente svilimento del paziente, esercitasse i suoi effetti dannosi comprimendo
lo sviluppo della persona, la sua individualità, le iniziative, appiattendone
l’esistenza, riducendo le relazioni interpersonali, l’esercizio delle libertà, la difesa
della dignità personale.
Questa impostazione è stata la vera matrice del maltrattamento, nel senso di avere
promosso un tipo di psichiatria e di assistenza manicomiale che di fatto, anche se
non intenzionalmente, portava a un degrado della persona, alla cronicizzazione e a
forme di condizionamento incompatibili con la realtà sociale, alla regressione delle
capacità utili al reinserimento nella società.
In questa azione negativa consiste il reale maltrattamento che andò via via
attenuandosi con la disponibilità di strumenti farmacologici e psicoterapici, con
l’evoluzione culturale che giustificarono il passaggio dal manicomio all’ospedale
psichiatrico, denominazione indicativa di uno spazio nuovo, aperto alla terapia.
Il passaggio dal manicomio all’ospedale psichiatrico, indicativo di un cambiamento
non solo di etichette, ma di sostanza teorica e pratica, gestionale, di qualità di vita,
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non è avvenuto però di pari passo in tutti i manicomi e che lo stesso superamento
degli ospedali psichiatrici verso modalità di assistenza e cure aperte, frutto di
interventi sanitari, sociali, lavorativi, ecc., che esprimessero una presa in carico
globale della persona sofferente, non sempre si è verificato e dove si è avviato
raramente si è compiuto. In quegli ospedali psichiatrici dove rimasero di uso
abituale modalità di trattamento proprie degli originari manicomi, quali la
restrizione anche fisica, una vita comunitaria senza rispetto della privacy, la
spersonalizzazione del quotidiano, come abbigliamento, igiene, mancanza di
spazio, rispetto di esigenze elementari si può parlare ancora di maltrattamenti, cioè
di trattamenti malevoli, sbagliati, ingiustificati, colpevoli; questo si è verificato e, in
casi isolati, si verifica ancora. Questi comportamenti sono frutto di ignoranza,
insensibilità, pregiudizio, interessi economici; in altre parole, mostrano
un’oggettiva mancanza di cultura e la persistenza di pregiudizi che inducono a
considerare alcuni uomini «diversi» dagli altri, inutili alla comunità, anzi di peso
alla stessa e quindi da mettere in fondo alla lista di attesa nella distribuzione delle
risorse. «Diversi» che ancora qualcuno ritiene «insensibili», incapaci non solo di
intendere, ma anche di «soffrire» e quindi, meno sensibili al danno della
trascuratezza.
12.1 Il nuovo progetto obiettivo per la tutela della salute mentale
Il 24 settembre 1999 il Consiglio dei ministri ha definitivamente approvato il
Progetto Obiettivo (P.O.) “Tutela della salute mentale 1998 - 2000” (D.P.R. 10
novembre 1999): si tratta del testo guida della politica psichiatrica in Italia, con
valore di legge. Ne presentiamo una sintesi.
Il P.O., previsto dal Piano Sanitario Nazionale 1998 - 2000, integra il precedente
P.O. 1994 - 96 soprattutto individuando obiettivi di salute e interventi prioritari;
altro punto qualificante, è l’attenzione all’età evolutiva.
Obiettivi:
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-
la promozione della salute mentale nell’intero ciclo di vita;
-
la prevenzione dei disturbi mentali;
-
la riduzione delle conseguenze disabilitanti attraverso la ricostruzione
del tessuto socio - affettivo dei malati;
-
la salvaguardia della qualità di vita delle famiglie dei pazienti;
-
la riduzione dei suicidi nella popolazione a rischio (specifiche patologie
mentali, adolescenti e persone anziani).
12.2 L’area organizzativa dei Servizi di Salute Mentale e di riabilitazione
dell’età evolutiva
Il nuovo PO “sottolinea la necessità” di un modello organizzativo anche per i
servizi per l’età evolutiva. con lo scopo di realizzare l’integrazione e l’interazione
con i servizi per l’età adulta.
Obiettivi generali:
-
svolgere un’effettiva prevenzione;
-
ridurre l’incidenza e la gravità clinica delle situazioni psicopatologiche;
Obiettivi specifici:
-
costruire una cornice organizzativa per i Servizi per la salute mentale e la
riabilitazione dell’età evolutiva, favorendo la massima integrazione degli
interventi, a oggi frammentati;
-
razionalizzare, integrandoli, i momenti di prevenzione, diagnosi, presa in
carico, terapia e inserimento sociale;
-
realizzare progetti che superino l’istituzionalizzazione in età evolutiva,
impedendo “la tendenza a manicomializzare silenziosamente i casi gravi e
cronicizzati”;
-
istituire centri di spesa autonomi e monitorare la qualità degli interventi;
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-
lavorare in coordinamento con i servizi per adulti, per poter prendere in
carico i pazienti nella fascia d’età “di confine”;
-
collaborare con l’università. 14
13. Un modello di comprensione delle psicosi nel gruppo
Se prendiamo in considerazione i fattori terapeutici del gruppo, in relazione
soprattutto ai pazienti gravi, in particolare psicotici, conviene accennare
brevemente a quello che consideriamo il disturbo fondamentale alla base delle
psicosi, per poi valutare in che modo il gruppo possa fornire delle risposte
terapeutiche adeguate.
Il modello maggiormente utile ed esaustivo per la comprensione delle psicosi, sia
quello che considera il disturbo psicotico, come un grave disturbo del senso di sé
della persona, intendendo per senso di sé un elemento fondante la vita psichica, che
si estrinseca secondo quattro dimensioni principali: la coesione, la vitalità, la
continuità, la proiezione verso il futuro.
Il modo in cui ciascuno rappresenta se stesso, sente se stesso, è in relazione a
quanto si sente coeso, vitale e proiettato verso il futuro. È ovvio, d’altronde, che il
senso di sé assume caratteristiche variabili da un individuo all’altro e in genere si
sviluppa in maniera progressiva nel tempo, a seconda delle esperienze che ognuno
fa, fin dai primissimi anni di vita, e in relazione alla sua natura costituzionale. La
natura sostanzialmente inconscia del senso di sé, nella misura in cui questo
accompagna e fa da sfondo alle azioni e ai pensieri dell’individuo e gli fornisce una
sensazione complessiva di interezza e di coesione della propria persona,
indipendentemente da un atto riflessivo più diretto.
14
www.cestim.it
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Considerare la psicosi come un disturbo importante del senso di sé, vuol dire
considerare il fatto che il paziente psicotico possiede una percezione di sé più
incerta, più discontinua, meno compatta, rispetto all’esperienza, che può avere di sé
un individuo sano. Tale fragilità del senso di sé prende corpo fin dai primi anni di
vita, dalle prime esperienze, e persiste nel tempo, manifestandosi sotto forma di
sensazioni vaghe di irrequietezza, di estraneità, di paura del contatto con le altre
persone, di un desiderio di isolamento e di tutte quelle sensazioni, che
appartengono a quell’area di patologia, che è stata denominata area prepsicotica.
È quindi prevedibile che, proprio nella tarda adolescenza, sopraggiunga, con
maggiore facilità, la prima crisi psicotica, in relazione ai molteplici compiti
evolutivi, richiesti in questa fase dello sviluppo: l’assunzione di una identità adulta,
la trasformazione del corpo tipica della pubertà, lo stabilirsi di una sessualità
genitale adulta, lo svincolo dalla famiglia e dall’autorità genitoriale, il confronto
con il gruppo dei pari, l’investimento nel sociale. In genere, tali crisi vengono
superate, spesso con l’ausilio della terapia farmacologia, ma lasciano un ricordo
così drammatico e angosciante nella mente del paziente, che questi metterà in atto
tutti i mezzi di difesa a sua disposizione, per scongiurare il pericolo di rivivere tali
esperienze di sofferenza estrema.
Il meccanismo di difesa che viene prevalentemente utilizzato è la simbiosi, ovvero
quella particolare modalità di attaccamento, che costituisce un estremo tentativo di
protezione nei confronti delle sensazioni di frammentazione, annichilimento e di
discontinuità del sé, vissute durante l’episodio psicotico.
Il bisogno primario del paziente psicotico sembra essere quindi quello di stabilire
un intenso legame stabile con una figura di riferimento, che in generale è costituita
da un familiare vicino, come la madre o il padre. Il legame che si viene a creare
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protegge dalle sensazioni molto penose e drammatiche consistenti nello
sperimentare la percezione di un senso di sé danneggiato.
L’esperienza di frammentazione, infatti, consiste nella sensazione molto dolorosa
di non sentirsi interno, continuo nel tempo, di viversi come sempre diverso, in ogni
momento, rispetto al precedente e al successivo.
Le modalità più o meno simbiotiche di attaccamento, che si riscontrano nei pazienti
psicotici, rivestono un significato difensivo fondamentale.15
14. La crisi psicotica
La psicosi consiste in un disturbo grave del senso di sé della persona, soggetto ad
oscillazioni e fratture continue nelle dimensioni della continuità, della coesione e
della stabilità.
L’elemento che determina o scatena la comparsa di una frattura più o meno
improvvisa del senso di sé nei pazienti psicotici è, in generale, la brusca perdita di
contatto con una persona significativa, la mancanza improvvisa di una relazione
che fornisce un sostegno, un riconoscimento del senso del valore della propria
persona.
L’esordio di un disturbo psicotico secondo la letteratura scientifica, è datato in un
periodo compreso, grosso modo, tra i diciotto e i venticinque anni. Il più delle volte
l’esordio clinico di un disturbo psicotico è preceduto da una serie di sintomi
prodromici, che ne preannunciano la comparsa e che si possono manifestare anche
in un’epoca molto precoce della vita, quando le scarse capacità di verbalizzazione
ne impediscono la comunicazione. Si tratta, generalmente, di episodi di parziale
15
A. Correale, V.Nicoletti “Il gruppo in psichiatria”, pp. 23-25)
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frammentazione del sé, che si manifestano con sensazioni di estraneità, sentimenti
di depersonalizzazione, di derealizzazione, ma anche con segni meno eclatanti e
chiari.
Per quanto riguarda la crisi psicotica acuta, il concetto più usato ed efficace per
descriverla è probabilmente quello di crisi di frammentazione. Il termine rende
chiaramente l’idea dei vissuti angoscianti di dispersione e di rottura del senso di sé,
che vengono sperimentati in simili situazioni critiche. D’altra parte, è altrettanto
importante ricordare che esistono vari livelli possibili di frammentazione del senso
di sé. Si può andare, infatti, dalla frammentazione totale – con stato confusionale,
ideazione delirante, allucinazioni, angoscia di morte – a vari gradi di
frammentazione, fino alla presenza di semplici minacce di disgregazione.
È importante considerare che l’altra faccia dell’angoscia di frammentazione è
l’angoscia di annullamento. Sentire che il proprio apparato psichico va in pezzi,
significa sentirsi in preda alla morte. L’angoscia di frammentazione, quindi, viene
vissuta anche come mancanza di qualcosa, di vitalità, di convinzione, di slancio
vitale e dà origine al vasto quadro delle cosiddette psicosi con prevalenza di
sintomi negativi.
L’atmosfera che accompagna la crisi psicotica è quella di un’improvvisa e totale
perdita dei significati abituali, del senso comune degli eventi. Quello che, con una
terminologia molto appropriata, gli autori tedeschi hanno chiamato stato d’animo
delirante (Wahnstimmung), consiste appunto nella sensazione angosciante di
ritrovarsi improvvisamente in una realtà nuova e diversa, incomprensibile e strana,
dove tutto ciò che fino a quel momento aveva un senso cambia di significato,
diventa oscuro e pregno di mistero, foriero di messaggi e di comunicazioni
magiche. Tale esperienza si accompagna ad un vissuto di angoscia così profondo,
da essere difficilmente comprensibile e tollerabile. In questi casi, questo tipo di
esperienza dà rapidamente origine all’esigenza di trovare una spiegazione, un
motivo, che sia in grado di giustificare vissuti così estranei e diversi dai consueti.
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Il più delle volte, la spiegazione più convincente, che il soggetto può reperire,
consiste propriamente in un pensiero delirante, che riesce a collegare tra loro le
nuove sensazioni e percezioni del mondo, secondo una direzione apparentemente
logica e razionale, ma di significato diverso da quello condiviso.
Se
partiamo
dall’esperienza
di
annullamento
conseguente
a
quella
di
frammentazione e dalla insopportabilità di questi stati, si può ritenere che gli altri
aspetti della psicosi – deliri, allucinazioni, comportamenti perversi, attaccamenti
esagerati a figure di riferimento – costituiscono in realtà tentativi del paziente, di
fornire un nuovo significato alle sensazioni così angoscianti che sta vivendo, una
specie di compensazione per le angosce di frammentazione e di annullamento.
In sintesi, la crisi psicotica acuta è scatenata dalla brusca e improvvisa perdita di
contatto con una situazione stabilizzante e protettiva e che questo evento provoca
l’attivazione di una profonda angoscia di frammentazione, con perdita di coesione,
di continuità e vitalità del senso di sé, cui può seguire un’intensa e prolungata
angoscia di annullamento. Tale processo disgregativo non può essere tollerato oltre
un certo limite dall’individuo, che tenta perciò di trovare una spiegazione plausibile
e di riorganizzare il proprio sé, secondo una modalità nuova e anomala, costituita
dai sintomi psicotici.16
15. La cronicizzazione
Quali sono i meccanismi che favoriscono il consolidarsi dei sintomi psicotici?
Esiste una dimensione organica non del tutto eliminabile, che può essere aggravata
o alleggerita dalle condizioni ambientali. Esistono almeno tre principali elementi
16
A. Correale, V.Nicoletti “Il gruppo in psichiatria”, pp. 128-131
58
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implicati nel mantenimento dei sintomi nella cronicità che appartengono all’area di
comprensione, che potremmo definire psicodinamica del disturbo.
Un primo elemento fondamentale consiste in una modalità di attaccamento
esasperato e tenace, nei confronti di tutto ciò che si dimostra in grado di tamponare
l’emergenza delle angosce di frammentazione, di disgregazione e di annullamento.
L’aver sperimentato il potere quasi tranquillizzante di alcuni sintomi psicotici
durante la crisi acuta ne sostiene, in molti casi, il consolidamento. Così, il paziente
si attacca tenacemente al suo pensiero delirante, in quanto lo considera l’unica
spiegazione plausibile di quella trasformazione del mondo così angosciante, da non
poter essere tollerata a lungo.
Oltre al sintomo psicotico, il paziente sembra essere particolarmente desideroso di
mantenere tutti quei legami e quei rapporti umani, che, nel momento critico, si sono
dimostrati capaci di proteggerlo dall’angoscia. In questo senso, può essere letto
l’attaccamento disperato e il rapporto simbiotico, che in genere il paziente psicotico
stabilisce, particolarmente nella cronicità, con le figure di riferimento, sia
nell’ambito della famiglia, che in quello dell’equipe curante.
Si può sviluppare un attaccamento alla struttura, alle possibilità riabilitative e
terapeutiche da questa offerte, poiché questo viene sentito come un modo, per
tenere lontano e controllare il rischio di nuove riacutizzazioni.
Una seconda modalità, piuttosto rilevante, con la quale viene controllata l’angoscia
psicotica, consiste nella grandiosità o nell’onnipotenza. Il sentimento di
onnipotenza restituisce, in qualche modo, un senso di unicità, di pecurialità, al
paziente, che si è trovato a vivere un’esperienza angosciante di frammentazione.
Inoltre l’onnipotenza si accompagna al vissuto, di non aver bisogno dell’aiuto di
nessuno, di poter sempre superare da solo le difficoltà incontrate, di riuscire a
controllare ogni cosa soltanto con la propria volontà e il proprio pensiero. Tutto ciò
in parte spiega l’enorme difficoltà che spesso si incontra, nella cura dei pazienti
psicotici, nel fare loro assumere la terapia farmacologia. Il farmaco, così utile e
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risolutivo rispetto all’angosciante presenza dei sintomi psicotici, viene tuttavia
spesso poco tollerato e accettato dai pazienti, in quanto viene soprattutto
considerato come il segnale evidente della presenza di una malattia e come la
negazione dell’infallibilità delle loro stesse possibilità di controllo.
Un terzo elemento di fondamentale importanza nel mantenimento della cronicità
psicotica è quello dell’evitamento. In questi casi, il paziente tende a rinchiudersi in
un modo sempre più isolato, sempre più lontano dalle stimolazioni, dalle
sollecitazioni, che non riesce a tollerare. Egli sembra andare alla ricerca di una
condizione di vita di ritiro, di chiusura, di non esposizione a quei rapporti e a quelle
situazioni dolorose, che possono riacutizzare uno stato franco di frammentazione e
di sofferenza ingestibili. Un’immagine forse troppo forte, ma sicuramente molto
suggestiva, è quella che descrive il paziente cronico come una persona che
mantiene continuamente una postura antalgica. Qualsiasi cambiamento di tale
posizione comporta un livello così forte di sofferenza, che non può essere tollerato
a lungo.
Il processo terapeutico si configura come un procedimento volto ad attivare molto
lentamente i pazienti, ad avvicinarli sensibilmente al rischio di una nuova
riacutizzazione, vigilando attentamente che questa non si verifichi mai. Certamente,
il rischio insito in ogni terapia con i pazienti cronici è senz’altro quello di rimetterli
in contatto con le temute angosce di frammentazione e annullamento del senso di
sé.17
16. Creatività e schizofrenia
La creatività è il complesso delle capacità, competenze ed abilità che consentono ad
un individuo di produrre nuovi modi di associare elementi dati, o nuovi modi di
17
A. Correale, V.Nicoletti “Il gruppo in psichiatria”, pp. 131-3
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porsi problemi intorno a ciò che costituisce l’orizzonte culturale condiviso. In
quanto tale, essa contribuisce all’adattamento psico-sociale dei singoli, e favorisce
anche il successo evolutivo dei gruppi cui quei singoli appartengono.
In ultima analisi, creare significa produrre qualcosa di nuovo: qualcosa che prima
non esisteva in quella forma. Inevitabilmente il creativo si confronta con la
tradizione, che costituisce sfondo irrinunciabile per il riconoscimento della novità,
mettendone in questione la fondatezza e la autorevolezza.
Lo stereotipo dell’artista eccentrico o dello scienziato pazzo ha spesso svolto un
ruolo di protezione, nell’immaginario collettivo, di contro ai timori ed al sospetto
che la diversità altrui, anche quella che si esprime nell’eccellenza, suscita nella
maggioranza ancorata alle tradizioni.
In questo senso, l’idea di una associazione tra genio e follia è stata ripetutamente
avanzata nella storia dell’occidente, già a partire dalle speculazioni dell’autore del
Problema XXX (IV BCE), ottenendo codificazione durante il Rinascimento e
risorgendo poi nel corso del Romanticismo, ove viene compendiata nella figura
dell’artista maledetto proprio a causa del suo talento.
Studi controllati, condotti negli ultimi decenni, hanno rivestito queste antiche
speculazioni di una consistenza che consente, oggi, di affidare al metodo di
indagine scientifico il compito di dare risposta ad una domanda che periodicamente
ritorna: è il talento creativo il frutto di uno stile di pensiero diverso da quello
diffuso nella popolazione generale? E se si, questa diversità si accompagna davvero
ad un aumentato rischio di sofferenza mentale?
La schizofrenia, il grande enigma della psichiatria, è il disturbo mentale che ha
ricevuto in passato le maggiori attenzioni nell’indagine del legame tra
psicopatologia e creatività. In tempi più recenti, una maggiore importanza è stata
attribuita alle oscillazioni dell’umore che accompagnano la psicosi maniacodepressiva, oggi chiamata anche disturbo bipolare.
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Tuttavia, nuovi studi sulla neuropsicologia della schizofrenia hanno riacceso
l’interesse per tale classe psicopatologica, riguadagnando alla più elusiva delle
“malattie mentali” un nuovo ruolo nell’indagine del legame tra creatività e
sofferenza mentale.
L’idea di un legame tra la creatività e la psicopatologia si perde indietro nel tempo,
sin dall’antica Grecia, per poi recuperare un rinnovato interesse col romanticismo,
periodo in cui si affermò un mito parallelo dell’artista e del folle, accomunati dalla
libertà dagli schemi: follia intesa non come perdita delle capacità intellettuali,
demenza, ma come modo particolare e specifico di utilizzarle.
Negli ultimi decenni, tuttavia, studi effettuati con metodologie sempre più accurate
hanno dimostrato che l’incidenza di malattie mentali tra pittori, poeti, musicisti, è
effettivamente superiore a quella attesa nella popolazione generale, e si
accompagna ad un aumentato rischio di suicidio.
Per converso, a partire dai primi anni del Novecento, un sempre maggiore interesse
ha guadagnato la produzione artistica degli internati negli ospedali psichiatrici. La
produzione artistica psicotica è considerata da taluno come un tentativo di arginare
la destrutturazione psichica indotta dalla malattia, nello sforzo di rimanere ancorati
al mondo “normale”. Per altri, lo sforzo creativo del paziente gli consente di
liberare energie che rimarrebbero, nella vita quotidiana, represse o trascurate, e
l’atto creativo riesce a conquistare l’attenzione del fruitore proprio perché
nell’opera costui riesce a specchiare parti di sé che non troverebbero altrimenti
modo di giungere alla consapevolezza.
L’arte degli alienati mentali, dopo aver attirato l’attenzione degli psichiatri e dei
professionisti nel settore, suscitò l’interesse anche di alcune correnti artistiche del
‘900, in particolare il surrealismo.
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Nel 1947 André Breton, Jean Dubufet ed altri, fondano la “Compagnie de l’Art
Brut”, che raggruppa tutte le forme d’arte “non belle”, spontanee, e immaginative:
le opere che sorgono dal puro istinto, compreso quello infantile, arcaico ed
immediato, che dà vita ad opere originali e a nuove tecniche. In seguito, però, il
termine avrà un’accezione più ristretta, riferendosi all’arte dei folli, dei reclusi, e
degli internati.
In grazia del fiorire di numerose iniziative espositive, l’Art Brut diverrà sempre più
nota e prenderà svariati nomi: Raw Art, Arte grezza, Outsider Art. Coloro che ne
sostengono la diffusione, vogliono rendere evidente in essa come la capacità
espressiva sia potenzialmente presente in tutti, indipendentemente dalla cultura,
stato sociale o salute mentale.
Dal punto di vista psichiatrico, l’Art Brut finì per assumere risvolti particolari come
pratica terapeutica, ed in Italia, a partire dagli anni ’50, vennero organizzati
laboratori e ateliers di Arteterapia, il cui obbiettivo è la riabilitazione artistica di
quei malati psichiatrici le cui opere vengono poi esposte, inserite in cataloghi, e
vendute.
Nel 1922, Hans Prinzhorn pubblicò un’opera fondamentale in questa prospettiva:
“L’arte dei folli. L’attività plastica dei malati mentali.” Il libro è dedicato alle
creazioni artistiche dei malati mentali, che Prinzhorn aveva riunito in una
collezione presso la clinica di Heidelberg. Prinzhorn reputava le opere d’arte dei
malati mentali cariche di valore espressivo, tanto da poter essere poste in relazione
con i lavori degli espressionisti.
Secondo Prinzhorn, il livello artistico delle opere di pazienti con diagnosi di
schizofrenia mostra affinità con la produzione artistica dei bambini e dei
“primitivi”, accomunate dal fatto di non contenere né uno scopo né un significato
preciso, ma dall’essere eseguite sulla scia di una spinta puramente ludica.
A suo parere, nelle opere plastiche dei pazienti con diagnosi di schizofrenia vi è il
concretizzarsi del sintomo, ed egli insistette molto sul fatto che la creazione o
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“gestaltung” continua anche nella fase terminale della malattia. Nelle produzioni
artistiche analizzate dallo psichiatra tedesco predominano il gioco, la
monumentalità, i tratti ambigui e la frammentarietà del disegno.
Dal punto di vista contenutistico sono ricorrenti i temi religiosi ed erotici.
Una delle differenze che distingue l'opera di uno schizofrenico da quella di un
artista sano è che l’artista schizofrenico è immerso nel suo mondo autistico, quindi
la sua opera è impermeabile agli eventi esterni. Inoltre, spesso l’artista non
considera fondamentale la conclusione dell’opera ma il raggiungimento espressivo
del proprio vissuto.
Il lavoro di Prinzhorn è sicuramente stato pionieristico, ed ha dato inizio ad un
nuovo modo di “guardare” le produzioni dei malati mentali suscitando nuovo
interesse per queste opere.
Nel 1950 a Parigi, in occasione del primo congresso Mondiale di Psichiatria, venne
inserita un’esposizione internazionale d’Arte psicopatologica. Tutto ciò fu
fortemente voluto dal presidente del Congresso Jean Delay.
Lo scopo di quest’esposizione risiedeva nel riunire opere di interesse scientifico e
di permettere ad un pubblico più esteso di apprezzare il valore estetico delle opere
degli alienati, facilitando così la comprensione dei loro problemi e permettere, così,
di poter dar loro un aiuto più concreto.
La creatività dei pazienti con diagnosi di schizofrenia
Dallo studio del disegno psicotico emergono tre caratteristiche: la rarità, la diversità
e il polimorfismo. Dopo alcuni anni d’internamento, il 2% dei pazienti, la maggior
parte schizofrenici, comincia a dipingere spontaneamente. In questa scelta
probabilmente hanno ruolo due fattori: la noia, e la regressione, che fa emergere le
attitudini infantili. Solo poche opere hanno un rilievo interessante dal punto di vista
artistico o scientifico.
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Nelle opere dei pazienti spesso può essere riconosciuta l’evoluzione stessa della
malattia, con le sue oscillazioni e suoi progressi. Per i pazienti che seguono dei
corsi di Arteterapia, in particolare, il materiale prodotto in serie permette una
comparazione e lo studio dell’evoluzione del trattamento.
La psicosi, in genere, non modifica la tecnica di chi già dipingeva prima della
malattia, ma si assiste tuttavia alla trasformazione dello stile acquisito in
precedenza. In chi prima non dipingeva vi è invece come la ricerca di uno stile
proprio, guidato dalla psicosi, e una certa somiglianza con le opere dei bambini e
dei primitivi.
Nelle opere dei pazienti con diagnosi di schizofrenia sono evidenti le stereotipie e
l’ossessivo riempimento degli spazi. Sono spesso presenti motivi geometrici
ripetuti, forme spezzate e segmentate, come seminate in modo caotico e
disordinato. La penna o la matita rappresentano i mezzi più adeguati a assicurare
rigore e rigidità nei tratti. Utilizzando i pennelli e i colori emerge invece la violenza
del contrasto tra le diverse tinte.
La spaltung (scissione) è sempre presente nelle opere dei pazienti con diagnosi di
schizofrenia: secondo alcuni le espressioni plastiche del malato costituiscono un
prolungamento diretto della sua personalità e della sua struttura mentale.
Sembra possibile, anche se raro, che sia conservata una valida produzione
nonostante l’evolversi della malattia. Quando ciò accade, è probabile che ciò
dipenda da una dote particolare del paziente, unita ad un intenso bisogno di tenersi
in contatto con una normalità sentita come lontana, in qualche modo per un estremo
tentativo di tenere a bada la malattia, come nel caso di Messerschmidt, scultore
austriaco.
Non è possibile prevedere a priori quale sarà il destino creativo di un paziente che
ha ricevuto la diagnosi di schizofrenia. Alcuni casi di artisti che dopo essersi
ammalati hanno continuato a produrre creativamente, ed anche casi di persone che
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hanno incominciato a creare dopo la malattia, raccogliendo così tanti successi dalla
critica da potersi meritare l’appellativo di artisti a tutti gli effetti.
A causa della frequente insorgenza in giovane età della schizofrenia, non è facile
individuare personaggi celebri colpiti da questa malattia, poiché per conseguire una
duratura fama occorre aver trascorso del tempo dedicandosi con continuità ad una
particolare attività.
Tra i personaggi affetti da tale patologia, tra gli altri, si ritrovano i nomi di
Friedrich Hölderlin, scrittore classico spesso assimilato per la profondità delle sue
opere a Goethe, e che, nonostante la sua malattia, continuò seppur in un totale
isolamento a comporre poesie, raccolte in seguito sotto il nome di “ Poesie della
torre”; Dino Campana, il quale, seppur malato da tempo, compose i famosi “Canti
Orfici”; pittori come Ligabue e Wain, che continuarono a dipingere nonostante il
loro stato psichico fortemente compresso; John Nash il matematico, noto al grande
pubblico per aver ottenuto il premio Nobel per la sua “teoria dei giochi”, elaborata
quarantacinque anni prima del riconoscimento, proprio mentre incominciavano a
manifestarsi i primi sintomi della malattia; il ballerino russo Nijinshy, che nel 1918,
all’apice del successo, si ammalò di una grave forma di psicosi schizofrenica, e che
descrisse l’esordio della malattia in un drammatico diario; il jazzista Tom Harrell,
definito da molti il John Nash della musica, che ha lottato strenuamente contro la
schizofrenia divenendo uno dei compositori e trombettisti più noti degli ultimi
trent’anni.
Altri personaggi colpiti dalla schizofrenia nel momento più creativo della loro
esistenza: Hölderlin, Campana, Wain, Messerschmidt, e Zinelli, che, a differenza
dei precedenti, cominciò a produrre dopo essere stato ricoverato in ospedale
psichiatrico, fino a diventare uno dei maggiori esponenti dell’Art Brut.18
18
www.schizophreniaproject.org
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17. Esprimersi attraverso la musica nella fase acuta della
schizofrenia
La terapia musicale può aiutare ad alleviare la depressione, l’ansia e i sintomi della
schizofrenia.
In uno studio britannico in quattro ospedali, i ricercatori dell’Imperial College
London hanno scoperto che incoraggiare i pazienti ad esprimersi attraverso la
musica sembra migliorare i loro sintomi.
“Sapevamo da tempo che le cure psicologiche possono aiutare i malati di
schizofrenia, ma sono stati usati quando le persone erano abbastanza stabili”,
spiega il dottor Mike Crawford, autore dello studio pubblicato sul British Journal of
Psychiatry.
“Questo studio mostra che la terapia musicale fornisce un modo di lavorare con le
persone quando sono nella fase acuta della malattia”, aggiunge.
La schizofrenia colpisce circa l’1% della popolazione in Gran Bretagna e negli Usa.
Di solito inizia alla fine dell’adolescenza ed è caratterizzata da allucinazioni e
modifiche nel comportamento.
Le cure con i farmaci antipsicotici si focalizzano sull’eliminazione dei sintomi, ma
possono causare effetti collaterali come l’aumento di peso, il rischio di diabete e
disfunzioni sessuali.
I pazienti dello studio hanno ricevuto o la terapia standard da sola o con la
componente musicale, che consisteva in otto-dodici sessioni in cui sono stati
incoraggiati ad esprimersi con una serie di strumenti musicali.
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“La terapia musicale può fornire un mezzo per migliorare l’efficacia delle cure
riducendo alcuni dei sintomi”, ha aggiunto Crawford.19
19
www.mtonline.it
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SECONDA PARTE
1. Musicoterapia attiva e ricettiva: le tecniche
d’intervento
utilizzate
Musicoterapia attiva: tecnica che si basa sull’”autoproduzione sonora” del
paziente attraverso l’uso degli strumenti musicali, della voce, dei gesti, dei
movimenti, favorendo la creatività e l’espressione spontanea.
Non necessita una tecnica specifica dello strumento ma porta la persona a crearsi
un mondo di suoni esprimendo se stesso in modo immediato. L’improvvisazione
può diventare un metodo di lavoro collettivo, nel momento in cui il gruppo nel suo
insieme
coopera
all’invenzione
di
una
struttura
musicale,
costruendola
progressivamente in base ai suggerimenti e alle osservazioni di tutti.
Musicoterapia ricettiva: tecnica che si basa sull’ascolto di suoni e di musiche
scelte dal musicoterapeuta che permettano al paziente di rilassarsi, di provare
emozioni, evocare ricordi positivi per osservare gli effetti psicofisilogici musicali
del paziente. Nella musica cosiddetta “passiva” viene messo in primo piano
l’ascolto di brani musicali e di ritmi o sonorità particolari; provoca un processo non
direttamente creativo, in cui il soggetto interpreta i suoni ascoltati e li fa suoi in
rapporto alle proprie individuali esperienze. L’ascolto collettivo provoca delle
interrelazioni personali, derivate dal condividere la stessa esperienza e dal poterla
ricordare insieme dopo tanto tempo.
Se la musica ci dice qualcosa è senza dubbio perché i suoni e le strutture
risvegliano in noi dei ricordi, formano delle figure che evocano un vissuto ed hanno
un potere associativo. La musica esprime però non tanto l’emozione reale, quanto i
suoi analoghi, sensazioni parziali, attenuate, residui di sofferenza o piacere, in una
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parola “emozioni astratte”, ridotte allo stato di ricordo. Chi ascolta cerca di stabilire
un legame tra la melodia ed i suoi stati psichici interiori, ondeggia in un mondo
fatto di sensazioni, di ricordi, di associazione di idee in cui la curiosità
dell’intelligenza gioca un ruolo quasi più importante della memoria. La musica è
quindi in grado di trasmettere sensazioni, in parte dovute alle sue caratteristiche ed
in parte legate alla soggettività cognitività ed emotiva delle persone che la
recepiscono.20
2. Il progetto di musicoterapia alla comunità psichiatrica
La comunità psichiatrica dove è stato effettuato il percorso musicoterapico è una
residenza che ha sede in un paese dell’Emilia Romagna
in una grande villa
indipendente con il giardino e ospita utenti dimessi dall’ospedale psichiatrico, dopo
la definitiva chiusura dei manicomi, che non potevano ritornare a una vita
“normale” nelle famiglie di origine.
È una residenza sanitaria psichiatrica con finalità riabilitative per utenti di lungo
degenza a trattamento socio-residenziale protratto seguiti da operatori, infermieri e
medici della A.U.S.L. della città.
I partecipanti agli incontri di musicoterapia sono dieci persone adulte-anziane (dai
cinquanta agli ottant’anni circa) divisi in due gruppi di cinque
partecipanti
ciascuno, con disturbi di psicosi croniche, disturbi affettivi e schizofrenia, pazienti
istituzionalizzati che vivono in questa struttura apposita seguiti da operatori e
medici.
20
F.Bassoli, R.Frison,
“L’arte del corago”, pp.164-5
70
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Il progetto di musicoterapia arrivato al terzo anno, nasce dal desiderio di alleviare
lo stato di solitudine, di non relazione, a volte di sofferenza attraverso l’utilizzo di
linguaggi ed espressioni musicali, vocali e strumentali.
Gli incontri di musicoterapia fissati sono in totale trenta a cadenza settimanale il
giovedì pomeriggio.
Il progetto è condotto per il terzo anno dalla musicoterapista Elena Gallazzi il mio
ruolo da tirocinante è stato quello di coterapista, come sostegno e aiuto alla
musicoterapista.
L’unica attività svolta in questa comunità è quella della musicoterapia (durante il
periodo estivo vengono effettuate alcune uscite in posti vicini accompagnati dagli
operatori).
Queste persone anche se vivono insieme condividendo alcuni momenti della
giornata insieme come i pasti, il dormire in grandi camerate, sono tutti molto soli,
hanno difficoltà a comunicare, a stare insieme agli altri e trascorrono le loro
giornate a guardare la televisione, qualcuno a scrivere, qualcuno ad ascoltare la
radio, aspettando con impazienza la consegna della sigaretta o del caffè da parte
degli operatori.
I parenti degli ospiti residenziali vengono a fargli visita saltuariamente, alcuni di
loro non vengono accettati dai parenti , altri sono soli altri ancora attendono l’arrivo
di un famigliare o di una persona cara con impazienza.
I pazienti parlano molto spesso delle persone della loro famiglia, chi del marito o
della moglie chi dei figli o di persone care a volte defunte.
Il ruolo degli operatori dovrebbe anche essere quello di dare a queste persone un
conforto, di ascoltarli, di farli sentire accolti e a proprio agio ma purtroppo non è
sempre così.
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La maggior parte degli operatori non vede in loro un futuro, delle speranze e
pensano che per loro la vita sia come finita, anche se non è così e forse i veri
“pazzi” sono proprio loro a pensarla in questo modo.
Un operatore un giorno ha detto “Venite a fare musicoterapia con loro ma tanto non
li guarirete, loro sono così e basta!”, purtroppo alcune persone non riescono a
capire che l’obiettivo non è quello di ottenere una guarigione della malattia ma di
portare a loro un momento piacevole di condivisione dell’esperienza insieme, di
migliorare il loro stato d’animo, il loro umore, di farli partecipare attivamente per
farli sentire soddisfatti e gratificati perché anche loro sono esseri umani con un
cuore e dei sentimenti.
La musica e la condivisione di queste esperienze insieme possono dare tanto, sia a
loro ma anche a noi che condividiamo con loro questi momenti.
3. Il setting musicoterapico
La stanza dove si svolgono gli incontri di musicoterapia è il luogo dove i pazienti si
ritrovano per la colazione, il pranzo, la merenda e la cena.
È una stanza molto grande con tanti tavoli e sedie disposti all’interno della stanza.
Prima di iniziare le sedute è necessario un po’ di tempo per preparare il setting,
spostare tutti i tavoli tranne uno dove verranno disposti gli strumenti e posizionare
le sedie in semicerchio rivolte verso il tavolo degli strumenti in modo che si
possano osservare tutti i partecipanti.
Le sedie vengono disposte nella stanza in modo che al centro rimanga lo spazio
necessario per muoversi liberamente, per andare a prendere uno strumento, per
muoversi e anche per ballare.
E’ importante che il setting strumentale si mantenga il più possibile invariato
durante tutta la durata dell’intervento.
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Il setting di musicoterapia dovrebbe essere percepito dai pazienti come un luogo
protetto, dove ciascuno di loro si possa esprimere liberamente, libero da qualsiasi
tipo di condizionamento.
A volte vi è la presenza di stimolazioni potenzialmente interferenti, che disturbano
il lavoro che si sta effettuando, questo è dovuto al fatto che ci sono persone che
fanno parte della comunità psichiatrica che non vogliono partecipare all’attività ma
che comunque ogni tanto entrano nella stanza.
Lo strumentario è costituito da: strumenti ritmici, melodici, armonici ,
convenzionali (strumentario Orff). Gli strumenti devono possedere le seguenti
caratteristiche: essere di facile impiego, manipolabili, avere forme, dimensioni e
modalità di impiego diverse, avere un suono volto all’esterno e favorire la
mobilizzazione del corpo.
Nelle prime sedute del percorso è importante lasciare i pazienti liberi di esplorare e
interagire con il maggior numero di stimoli sonoro-musicali, per valutare se il
setting è adeguato ai pazienti e nel proseguo dell’intervento si potrà definire un
setting calibrato, adeguato al paziente e al gruppo.
Le consegne che il musicoterapista da ai pazienti possono essere verbali o non
verbali e assumere una connotazione di direttività, semi-direttività e non direttività.
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Fig. 1 La stanza di musicoterapia
4. Metodologia e strumenti
La canzone viene utilizzata come mezzo espressivo, evocativo e comunicativo e
come organizzatore e contenitore di quelle che sono le loro emozioni e pulsioni
legate a vissuti.
Questa scelta è nata dalla valutazione dei percorsi di musicoterapia precedenti che
ha portato a considerare la canzone come espressione musicale preferita dai
partecipanti e soprattutto come mezzo capace di integrare e rassicurare nei momenti
di maggiore disgregazione e dispersione.
La canzone infatti, come forma musicale “completa” (che racchiude in sé gli
elementi ritmo, tempo, melodia, armonia, testo) e accattivante ha sollecitato
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maggiormente la partecipazione spontanea degli ospiti (per alcuni dei quali
l’improvvisazione strumentale risultava troppo ansiogena) permettendo loro di
trovare una forma di partecipazione confacente alle proprie possibilità espressive,
chi con la voce, chi accompagnando con il movimento, chi con gli strumenti, e chi
con le parole.
È servita inoltre, nei momenti più “critici”, a dare da un lato una forma di
contenimento positivo ai soggetti la cui espressione e comunicazione era talvolta
ostacolata o pervasa da idee deliranti (aiutandoli a rimanere agganciati al contesto)
e dall’altro una “spinta” alle personalità più passive o resistenti aiutandole a
mettersi in gioco.
Il potere evocativo della canzone ha favorito talvolta l’emergere di emozioni e
ricordi, legati sia al contenuto della canzone sia ai momenti in cui veniva ascoltata,
che sono stati espressi verbalmente da alcuni partecipanti.
Il canto, l’uso della propria voce portano a smuovere un tipo di energia che nasce
dalla parte più creativa delle persone. Il canto è fondamentalmente comunicazione,
è un’attività espressiva spontanea e naturale. Il cantare in gruppo dà senso di
sicurezza, porta al rilassamento, risolve la tensione emotiva, favorisce
l’aggregazione, porta ad avere un senso di appartenenza al gruppo e a prendere
determinate responsabilità.
Il repertorio usato è stato quello delle canzoni popolari, di una volta ma anche di
cantanti attuali. Le canzoni potevano essere usate come ascolto oppure cantate, a
seconda della consegna del musicoterapista.
Ogni paziente ha espresso la propria preferenza riguardo le canzoni che conosceva,
che apprezzava di più o che faceva scaturire ricordi ed emozioni.
Il genere musicale si è poi indirizzato sul genere “ballabile”, canzoni da balera,
valzer, tango, mazurche, polche sia cantate che suonate anche con lo strumento che
rappresenta il ballo liscio per eccellenza cioè la fisarmonica.
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Abbiamo messo in musica alcune poesie-canzoni scritte da una delle partecipanti al
secondo gruppo usandole come risorsa anche per tutto il gruppo.
Lo strumentario è costituito da tastiera elettronica, strumentario Orff (tamburelli,
cembali, maracas, triangoli, guiro, legnetti, nacchere, bonghi, woodblook,
metallofono, piatti, sheker, conga…), fisarmonica, utilizzo della propria voce,
lettore CD.
Fig.2 Il gos
5. Le sedute di gruppo
Il percorso musicoterapico ha la durata di trenta incontri nel periodo di ottobre
2006- giugno 2007.
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I partecipanti agli incontri sono due gruppi di cinque persone adulte-anziane
ciascuno (dai 50 agli 80 anni circa) con disturbi di psicosi croniche, disturbi
affettivi e schizofrenia, pazienti istituzionalizzati che vivono in una comunità
seguiti da operatori e medici.
Ogni seduta a cadenza settimanale (il giovedì pomeriggio) ha la durata di 45-50
minuti circa.
Primo gruppo : dalle ore 15,15 alle 16,00
Scambio di idee tra la musicoterapista e la coterapista dove, si annotano i momenti
più significativi emersi durante la seduta.
Secondo gruppo: dalle 16,15 alle 17,00
Scambio di idee tra la musicoterapista e la coterapista, dove si annotano i momenti
più significativi emersi durante la seconda seduta.
Una volta che tutti hanno finito di fare la merenda si prepara la stanza, il setting, si
decidono alcune strategie che riguardano le sedute e la musicoterapista e la
coterapista vanno a chiamare i partecipanti che fanno parte dei due gruppi. A volte
il tempo necessario per richiamare l’attenzione di ognuno diventa tanto, ognuno di
loro ha i propri tempi, le proprie esigenze, i momenti intoccabili come quello del
caffè e della sigaretta che vanno rispettati; altri escono in giardino a fare due passi,
altri sono nelle loro camere a riposare ma che aspettano che tu li vada a chiamare.
Con alcuni di loro bisogna cercare di convincerli e a volte bisogna insistere, parlare
con loro e fargli sentire che la loro presenza in seduta è molto importante, mentre
con altri è difficile fare capire l’appartenenza al primo o al secondo gruppo perché
vorrebbero entrare da subito.
Alcuni di loro aspettano con entusiasmo il momento della musicoterapia per poter
cantare, suonare, ballare ma soprattutto per dimostrare a loro stessi e agli altri di
esserci, altri sono molto combattuti se partecipare o meno perché non accettano la
presenza di alcuni partecipanti appartenenti al loro gruppo.
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Lavorare in gruppo non è affatto facile, soprattutto con queste persone che sono
molto concentrate solo su loro stesse e a volte preferiscono la solitudine allo stare
insieme agli altri e non vogliono condividere insieme l’esperienza.
La musica è un mezzo che riesce ad attirare l’attenzione di tutti, e far capire che
“fare musica” può essere accessibile a tutti è molto importante. Ognuno di noi ha
delle capacità e potenzialità creative che deve avere la possibilità di poter
esprimere.
La musica in gruppo ha la funzione di portare la persona al pieno inserimento nel
gruppo e sentirsi ammesso, suscitando un senso di inserimento, di appartenenza e
di partecipazione. La musica è uno strumento valido per entrare in contatto con le
proprie emozioni meno conosciute: è possibile scoprire aspetti di sé imprevisti e a
volte inquietanti. Il lavoro di gruppo aiuta a scoprire ed esprimere questi
sentimenti, riconoscendoli e differenziandoli.
La musica e il canto riescono a mettere insieme in modo sereno pazienti anche
molto diversi tra loro per età, storia e patologia.
La musica offre un mezzo espressivo, più adatto delle parole per scoprire i
contenuti dell’inconscio più nascosti.
I due gruppi sono stati formati in base alla gravità della loro malattia, alle differenti
problematiche soggettive e al differente bagaglio musicale che ognuno di loro ha
dimostrato di avere.
È risultato più facile gestire i due gruppi, lavorare meglio ottenendo maggiori
risultati soprattutto nelle giornate “difficili” e con patologie così importanti, che ha
permesso un lavoro più approfondito e mirato anche alle problematiche individuali.
Al primo gruppo appartengono i cinque più gravi, problematici con difficoltà a
capire la differenza tra realtà e immaginario.
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Essendo tutti molto sedati e sotto una cura di psicofarmaci molto pesanti, a volte
sono in uno stato confusionale, a volte agitati a volte assopiti a volte presentano
deliri ed è per questo che la conduzione delle sedute risulta molto difficile.
Al secondo gruppo fanno parte pazienti sempre gravi ma comunque in grado di
capire e di ragionare, di affrontare un discorso, sono più presenti e partecipi anche
se a volte i farmaci li rendono molto sopiti, alcuni presentano allucinazione uditive
o visive, altre volte presentano sbalzi d’umore, altre volte si trovano in stato
d’agitazione o sofferenza.
Per queste persone è gia un risultato riuscire a rimanere nel gruppo e comunicare
con gli altri essendo molto concentrati su loro stessi e far accettare la presenza degli
altri e la condivisione dell’esperienza “musica” insieme.
Una volta che i partecipanti entrano nella stanza di musicoterapia accolti dalla
canzone di saluto viene chiusa la porta a chiave, decisione non facile presa dopo le
prime sedute, per evitare che alcune persone che sono risultati elementi di disturbo
possano entrare e uscire dalla stanza quando vogliono e interrompere l’attività che
si sta facendo o distrarre i partecipanti.
A fine seduta si effettua uno scambio verbale su quanto è accaduto tra
musicoterapista e coterapista e si compilano i protocolli delle sedute.
6. I due gruppi: il percorso musicoterapico
Le informazioni riguardanti i pazienti ci sono state riferite da alcuni medici che li
seguono, anche se in alcuni casi risultano piuttosto sintetiche e non risultato facile
ottenere queste informazioni.
Al primo gruppo appartengono:
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PIERO: di anni 78.
Diagnosi: psicosi maniaco depressiva.
Entra nella comunità psichiatrica nel 1977.
Presenta crisi d’agitazione dovute all’umore che sale. In passato ha avuto dei
blocchi motori. Attualmente presenta gravi problemi fisici, non è autosufficiente,
ha bisogno del personale per la cura della propria igiene.
È sposato con due figli, è molto legato alla moglie che viene a fargli visita di
frequente. La moglie soffre molto nel vederlo nella comunità, lo vorrebbe tenere a
casa ma le problematiche del marito sono talmente gravi che sarebbe impossibile
seguirlo costantemente e curarlo.
Percorso musicoterapico: partecipa per il secondo anno consecutivo a
musicoterapia in modo costante. Bisogna chiamarlo, prenderlo a braccetto per farlo
entrare nella stanza.
Molto disponibile e partecipe a parte quando non si sente bene o è in fase
maniacale o depressiva (si lamenta molto parlando a voce alta).
Quando parla sembra cantare, voce molto musicale e ritmica, come se fosse una
cantilena.
La sua modalità è quella di continuare a girare per la stanza, si siede ogni tanto e
per poco tempo poi si alza e riprende a girare. Cammina lentamente e in modo
goffo quasi dondolando.
La musicoterapista a volte usa il ritmo del suo camminare come pulsazione per
un’improvvisazione.
Quando parla non si riesce sempre a capire che cosa stia dicendo e molto spesso le
frasi che pronuncia sembrano non avere senso.
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Nel cantare non scandisce le parole, molto spesso canta una canzone dove sono
presenti un ombrello e una cavalla e quando canta si accompagna con i movimenti
delle braccia facendo finta di suonare la fisarmonica.
È molto affettuoso con Giulia, hanno ballato insieme abbracciati stretti stretti e lui
la accarezza, le bacia la mano e quando la canzone finisce si siedono vicini
tenendosi per mano. Questo legame non è presente al di fuori della stanza di
musicoterapia. Gli operatori non hanno notato nessuna vicinanza particolare e
nessuna affettuosità.
Canzoni preferite: Il valzer del moscerino, il ballo del qua qua, Papaveri e
papere…
Strumenti più suonati e preferiti: Conga (usa le due mani facendo una
pulsazione ritmica abbastanza precisa), Piatti (li suona spesso sulle canzoni),
tamburello, tastiera (con la musicoterapista vicina), fisarmonica (schiaccia i bottoni
con la mano destra, è il suo strumento preferito. Molto di frequente fa finta di
suonarla con il movimenti delle proprie braccia e comincia a cantare).
CATERINA: di anni 70.
Diagnosi: schizofrenia disorganizzata.
Primo ingresso in una comunità psichiatrica nel 1988.
All’età di 19 anni presenta una crisi mistica, e segue una forma giovanile di
schizofrenia. Con la morte della madre avviene un grande scompenso, forma
pantoplastica periodica.
Presenta disturbi dell’alimentazione, è affetta da pica, mangia qualsiasi cosa trova.
In alcuni momenti presenta deliri, allucinazioni, attrazioni psicosensoriali.
È molto isolata non ha cura della propria persona non essendo autosufficiente,
alterna momenti di lucidità a momenti di scompensazione.
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Percorso musicoterapico:
partecipa per il terzo anno consecutivo a
musicoterapia saltuariamente.
In alcuni momenti partecipa cantando o suonando ma per poco tempo perché sposta
l’attenzione su altre cose, si alza comincia a girare per la stanza andando a rovistare
nel cestino dell’immondizia per cercare qualcosa da mangiare, una volta ha bevuto
nella ciotola del cane.
Molte volte non sta bene e rimane a letto nella sua camera. Molto isolata, non ha
nessun rapporto con gli ospiti della comunità e viene trattata male ed esclusa da
tutti e accusata di entrare nelle camere degli altri e portare via la loro roba.
Ha una personalità molto resistente, si è passati da un iniziale rifiuto dello
strumento all’accettazione passiva dello stesso, alla disponibilità ad essere
affiancata durante la produzione sonora, all’iniziativa personale spontanea.
Difficoltà a tollerare la forte intensità degli strumenti suonati da alcuni partecipanti
del gruppo che talvolta l’ha portata ad uscire dalla stanza.
È molto disorganizzata, a volte comincia a cantare le canzoni che preferisce, poi
smette, poi riprende. Tende a cambiare continuamente la canzone che sta cantando.
Difficoltà nell’ascoltare gli altri e rispettare i turni.
Canzoni preferite: Vecchio scarpone, Carissimo Pinocchio, Grazie dei fior…
Strumenti più suonati e preferiti: molte volte si rifiuta di suonare, tamburello
(lo batte un po’ poi lo usa come cappello), bonghi (tiene i battenti in mano li suona
per poco poi smette.
GIULIA: di anni 61.
Diagnosi: schizofrenia ebefrenia
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Ingresso in ospedale psichiatrico nel 1960, prima tenta di fuggire da casa perché
dice di avere il diavolo in corpo e come lei tutti i suoi famigliari. Per un lungo
periodo rifiuta il cibo perché pensa che sia stato avvelenato.
Vive in uno stato mutacico e in ozio, passa le giornate seduta su una poltrona,
molto solitaria.
Presenta depressione, a volte crisi d’irrequietezza, allucinazioni, crisi di riso o
pianto.
In passato nasce una “relazione” con un paziente della stessa comunità con cui
scambia alcune parole e trascorrono le giornate seduti vicini per mano.
Non è avvenuto un cambiamento d’atteggiamento significativo con il passare degli
anni.
Percorso musicoterapico: Difficoltà a separare il canto dal
suono dello
strumento, quando suona non riesce a non cantare.
Partecipa attivamente cantando, suonando e ballando in coppia favorendo
l’emergere del contatto fisico anche con gli altri partecipanti, inizialmente restia a
questo tipo di approccio.
In alcuni momenti tende ad esprimersi con foga, in modo incontrollato e senza
momenti di pausa sullo strumento. A volte è da contenere e da riportare ad uno
stato di tranquillità. Usa spesso lo strumento per scaricare tutta la tensione e
l’energia.
È capitato più volte che sul tamburello iniziasse a battere con la mano in un modo
molto forte e irruento, con un ritmo velocissimo, in questi casi con la vicinanza del
terapeuta, si è cercato di riportare il ritmo molto veloce ad uno molto più lento e
cercando di suonare vicino a lei con un’intensità inferiore alla sua per farle
diminuire l’intensità.
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Quando entra in seduta spesso non sta bene, ha lo sguardo perso nel vuoto e fisso,
sembra molto irrequieta. Piano piano si cerca di portarla ad uno stato di calma
attraverso il suono e il canto.
Il più delle volte a fine seduta appare più rilassata e tranquilla.
La sua modalità espressiva è la tendenza, una volta colto l’input a reiterarlo
all’infinito, senza momenti di pausa, con una modalità espressiva di tipo ossessivo.
Attraverso un approccio delicato e non invasivo si è cercato di “contattarla a
distanza” per stabilire un ponte verso l’esterno riportandola il più possibile alla
realtà; tutto ciò attraverso particolari suoni vocali o strumentali, gesti, sguardi e
soprattutto attraverso le “chiusure musicali” (es. rallentare e diminuire l’intensità)
che ha permesso di percepire la fine di un episodio musicale, terminando così
spontaneamente.
È molto musicale, buona pulsazione ritmica, discreto uso della voce (tono basso,
quando non sta bene o non canta o canta molto forte).
Canzoni preferite: Rose rosse (Ranieri), Non son degno di te (Morandi), In
ginocchio da te (Morandi), Ciao ciao bambina, Piove, Scende la pioggia, Santa
Lucia…
Strumenti più suonati e preferiti: tamburello (lo suona con un dito o con tutta la
mano), tastiera (la suona con clusters o per gradi congiunti).
MARIA: di anni 48.
Diagnosi: schizofrenia.
Primo ricovero avviene nel 1993, Presenta irrequietezza. Si recava nei negozi
buttando tutte le cose sotto sopra. Viene effettuato un percorso riabilitativo che
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subito sembra ottenere risultati positivi ma poi presto viene interrotto quando per
più volte tenta di fuggire da casa e tenta il suicidio buttandosi dalla finestra.
Presenta deliri, è una persona socievole anche se non ama la troppa vicinanza delle
persone. È produttiva.
Percorso musicoterapico: partecipa per il secondo anno consecutivo a
musicoterapia saltuariamente. Si cerca di convincerla a partecipare ma alcune volte
non si riesce a farle cambiare idea. È abbastanza agitata, la sua modalità è quella di
girare in continuazione per la stanza, si siede poche volte durante la seduta e per
poco tempo. A volte partecipa attivamente proponendo canzoni o suonando gli
strumenti. È abbastanza intonata e mantiene una pulsazione ritmica regolare. Subito
ha difficoltà ad accettare gli altri, molto concentrata su se stessa, con gli strumenti
suona molto forte, coprendo gli altri, in alcuni momenti è da contenere.
Non vuole che qualcuno la segua o la tocchi, con lei è meglio mantenere le distanze
senza avvicinarsi troppo. A volte è lei ad avvicinarsi ma il contrario non lo accetta.
A volte quando si avvicina continua a girare intorno alle persone facendo un
girotondo di continuo mentre canta.
Nei momenti in cui presenta deliri non si riesce a distoglierla dalle sue convinzioni.
Fa fatica ad accettare la chiusura della porta a chiave e molte volte chiede di voler
uscire.
Non riesce a capire l’appartenenza al proprio gruppo, molte volte vuole entrare e
fare parte del secondo.
A volte l’improvvisazione musicale con gli strumenti parte dal ritmo dei suoi passi
che produce mentre cammina per la stanza.
Canzoni preferite: La canzone di Marinella, La canzone del sole, il valzer del
moscerino…
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Strumenti più suonati e preferiti: tastiera (suona vicino alla coterapista e legge il
testo delle parole per cantare), bonghi (suona a sedere con un battente mantenendo
una pulsazione ritmica precisa per molto tempo).
GILDA: di anni 70.
Diagnosi: disturbo delirante cronico. Ha una storia da ospedale psichiatrico
(manicomio) prima di essere entrata in varie comunità psichiatriche.
Entra nella comunità nel 2006.
Presenta deliri depressivi, irrequietezza, insonnia. Alterna momenti di tranquillità a
deliri di persecuzione, di morte dei fratelli e della sorella. Legame famigliare molto
importante con i due fratelli che spesso la vengono a trovare.
Percorso musicoterapico: partecipa per il primo anno a musicoterapia in modo
regolare. Alterna momenti di tranquillità e partecipazione a deliri di persecuzione
che riguardano i suoi famigliari. A volte dice di non volere cantare o suonare
altrimenti suo fratello o sua sorella moriranno. Quando non presenta deliri propone
canzoni di una volta e comincia a cantare, è difficile interromperla, tende a passare
da una canzone all’altra senza mai fermarsi. Comunica molto poco con il gruppo, è
concentrata su se stessa e sui fratelli.
Prende spesso l’iniziativa anche nel suonare uno strumento. Molte volte si alza di
sua spontanea volontà e sceglie e esplora gli strumenti, altre volte sulla musica si
alza in piedi e comincia a ballare, facendo girare il bacino e muovendo su e giù le
gambe (Gilda fa fatica a camminare, usa una stampella ma la musica riesce a
coinvolgerla anche con i movimenti del corpo).
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Quando presenta deliri si cerca il modo per distrarla e spostare la sua attenzione su
un’altra cosa e riportarla a ciò che si sta facendo, cercando di tenerla agganciata
alla realtà e a quello che sta succedendo in quel momento.
Alcune canzoni le evocano dei ricordi che poi riesce a trasmetterci anche
verbalmente e condividere con il gruppo.
Ogni tanto mentre canta si interrompe e dice di essere stonata perché non ha i denti,
altre volte dice di non ricordare le parole.
Poco ritmica, risulta abbastanza difficile seguire la sua pulsazione perché non è mai
costante.
Canzoni preferite: Mamma, Son tutte belle le mamme del mondo, Canzone da
due soldi, La barchetta in mezzo al mare, Grazie dei fior, Campanaro della val
padana…
Strumenti più suonati e preferiti: esplora e suona più o meno tutti gli strumenti
di sua iniziativa, sembra preferire le maracas (le suona battendole una contro
l’altra), la conga (si appoggia con le braccia e cerca di tenerere il ritmo), tamburello
(lo suona muovendo i sonagli).
Al secondo gruppo appartengono:
ROSA: di anni 65
Diagnosi: disturbo bipolare mistocronico.
Entra in comunità psichiatrica nel 2003.
Tendenza alla logorrea, espansiva a volte invadente. Nel passato presenta idee di
grandezza, a volte scurrile. Alterna momenti di tranquillità a episodi di
eccitamento. Quando si trovava a casa da sola è risultata non autonoma, presenta
scompensi psicopatologici. Non è sposata anche se ha avuto una relazione con un
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uomo dal quale dice di avere avuto un figlio di cui non si sa precisamente se esista
veramente. Presenta problemi fisici.
Si prende cura della propria persona a volte eccessivamente, si mette di frequente il
rossetto, si profuma, ci tiene a dire che è appena stata dalla parrucchiera, porta
collane per lei preziose e gira per la comunità sempre con in mano una borsetta.
In comunità si da dà fare facendo piccoli lavoretti come preparare la tavola, stirare,
ha un grande istinto materno soprattutto con alcuni ospiti.
Percorso musicoterapico: partecipa per il terzo anno a musicoterapia in modo
regolare. Molto attiva, si esprime con foga, a volte in modo incontrollato e senza
momento di pausa sullo strumento. È stato effettuato un lavoro sul rispetto del
proprio turno e sul saper accettare e ascoltare gli altri.
Tende a parlare della sua vita molto di frequente, ricorda spesso il figlio e emerge
un istinto materno molto forte anche su alcuni partecipanti che fanno parte del
gruppo con cui comunica molto spesso (Giovanni, Giuseppe e Ettore).
Subito usava la voce in modo incontrollato, urlando sguaiatamente e forte coprendo
gli altri che cantavano insieme a lei e andava contenuta. Con il tempo è riuscita ad
avere un controllo sulla sua voce riuscendo a cantare con un’intensità più bassa e
ascoltando le voci degli altri.
Propone sempre le solite canzoni, quelle che lei preferisce.
Ama ballare sia con i partecipanti del gruppo che con le terapiste, ricorda spesso
che una volta andava con le sue amiche in balera e a sentire le orchestre di liscio.
Il rapporto con i terapeuti è buono, ogni tanto si fa desiderare per entrare nella
stanza e dice che deve stirare anche se alla fine è sempre tra le prime ad entrare e
l’ultima ad uscire.
Il potere evocativo della canzone ha favorito talvolta l’emergere di emozioni e
ricordi, legati sia al contenuto della canzone sia ai momenti in cui veniva ascoltata,
che sono stati espressi dagli ospiti in particolare da Rosa.
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Canzoni preferite: Ciao mare, Simpatia, Romagna mia (Casadei), Fiume amaro,
Rose Rosse (Ranieri)…
Strumenti più suonati e preferiti: bonghi (li suona forte ma a tempo), tastiera
(va spesso a suonarla anche quando la musicoterapista sta suonando), tamburello.
GIOVANNI: di anni 60
Diagnosi: psicosi cronica.
Entra in comunità psichiatrica nel 2005.
Intollerante ai farmaci. Presenta un’oscillazione del tono dell’umore tendente
all’eccitamento, a volte con disturbi del pensiero con tematiche persecutorie.
Spesso ha allucinazioni acustiche e visive. Logorroico, socievole e collabora nella
comunità.
Molto importante la presenza del fratello e dello zio che lo vengono a trovare
spesso.
Percorso musicoterapico: partecipa per il secondo anno a musicoterapia in modo
regolare, persona con una discreta sensibilità e bagaglio musicale, è stato più volte
un forte stimolo per il gruppo cercando di coinvolgere le persone più inibite.
Difficoltà a tollerare la forte intensità degli strumenti suonati da alcuni partecipanti
in modo incontrollato.
Partecipa suonando, cantando e propone canzoni, disponibile a ballare soprattutto
con Rosa.
Buona capacità di ascolto, rispetto dei turni. Ricorda a memoria molti testi di
canzoni soprattutto anni sessanta.
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Buon rapporto con le terapiste, molto affettuoso, fa complimenti a volte insiste per
volere un bacio.
A volte è assopito e dice di avere sonno, (dovuto ai farmaci), ma rimane sempre per
tutte le sedute fino alla fine. In alcuni momenti ha lo sguardo assente dove dice di
vedere e sentire qualcuno (allucinazioni visive e uditive) in quei momenti si cerca
di riportarlo alla realtà portando la sua attenzione su altre cose.
Giovanni canta tutte le canzoni che conosce con intensità sul mezzo piano, ha una
voce molto bassa, non troppo intonata.
Ricorda a memoria molti testi di canzoni.
Canzoni preferite: Piove, Pugni chiusi (Ribelli), La prima cosa bella (Ricchi e
poveri), Ora sei rimasta sola (Cementano), E tu (Baglioni), Questo piccolo grande
amore (Baglioni), Ho scritto t’amo sulla sabbia…
Strumenti più suonati e preferiti: conga (lo suona spesso tenendo la pulsazione
ritmica sulle canzoni), triangolo (dice che gli piace molto il suono), metallofono.
GIUSEPPE: di anni 62
Diagnosi: schizofrenia con disturbo dell’umore, schizoaffettivo.
Entra in comunità psichiatrica nel 1979.
Presenta deliri su base allucinatoria e persecutoria. In passato sembra autonomo poi
avviene un grande scompenso, tenta il suicidio ingerendo una sostanza tossica,
anche se questo tentativo da lui stesso non è stato mai ammesso. Viene ricoverato
in ospedale psichiatrico per crisi pantoplastiche, in alcuni momenti si dimostra
essere aggressivo e pericoloso.
Due anni fa tenta di soffocare nel sonno un paziente che condivide la sua camera.
(Piero)
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Presenta molti tremori agli arti superiori, probabilmente dovuti ai farmaci molto
pesanti.
Percorso musicoterapico: partecipa per il secondo anno consecutivo a
musicoterapia anche se lo scorso anno veniva saltuariamente e rimaneva per poco
tempo. Quest’anno si è dimostrato curioso e partecipe fin da subito, dimostrando
una buona sensibilità e bagaglio musicale.
Partecipa attivamente, propone canzoni, canta, suona strumenti con molto rispetto
dei partecipanti che appartengono al gruppo. Buono l’ascolto degli altri.
Subito dice di percepire la sua voce brutta, troppo bassa, è stato effettuato un lavoro
sull’autostima, cercando di convincerlo del contrario e valorizzando la sua voce sia
da solo che nel gruppo.
Giuseppe ha un buon rapporto con le terapiste, molto disponibile e gentile e si
dimostra così anche con il gruppo. Ci confida che in passato ha studiato solfeggio e
che ha iniziato a suonare il trombone nella banda del paese. Poi ha smesso anche se
la passione per la musica è rimasta e ricorda ancora qualche nozione di teoria
musicale.
A volte si presenta agitato, con molto tremore alle mani, difficoltà a suonare uno
strumento, dice di voler uscire per andare a fumare, si cerca di tranquillizzarlo
soprattutto attraverso la musica.
Canzoni preferite: Si è spento il sole (Celentano), Volare (Modugno), Il ballo del
qua qua (Pawer)…
Strumenti più suonati e preferiti: bonghi (con un battente), maracas,
tamburello…
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MATILDE: di anni 52
Diagnosi: psicosi delirante con disturbo dell’umore.
Entra in comunità psichiatrica nel 2006.
Subito autosufficiente rimane per un periodo negli appartamenti protetti con altre
due donne, comunque controllata dagli operatori, ma si dimostra aggressiva con le
persone che condividono l’appartamento con lei. In passato, forte tendenza a
spendere tutto il denaro che possedeva.
Presenta momenti di depressione, a volte è aggressiva con deliri di persecuzione.
È separata dal marito con il quale ha avuto una figlia che ogni tanto la viene a
trovare, lei parla spesso dell’ex marito come una persona importante.
Ama scrivere poesie d’amore, riempiendo di parole tanti quaderni che spesso le
regalano.
Percorso musicoterapico: partecipa per il primo anno a musicoterapia non
mancando mai neanche quando non stava bene, si dimostra piuttosto solitaria anche
se accetta il gruppo, chiede e si interessa quando manca qualcuno del gruppo.
Partecipa sia cantando (con un tono più basso rispetto agli altri) che suonando.
Si rifiuta sempre di ballare, non si riesce a convincere e dice che vuole guardare gli
altri oppure accompagna con uno strumento.
Condivide con gli altri i ricordi che emergono dalle canzoni e porta con se i
quaderni dove scrive le sue poesie che vengono trasformate in canzoni e cantate da
lei stessa. È importante dare importanza a quello che lei scrive e condividerlo
verbalmente con tutto il gruppo.
Un suo desiderio sarebbe di fare un disco con tutte le sue canzoni. Si decide che
verranno registrate, cantate da lei e accompagnate alla tastiera, con l’aggiunta di
strumenti da parte del gruppo e al termine del percorso gli verrà dato il cd con tutte
le sue canzoni.
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Di seguito sono citate alcune delle tante poesie/canzoni che Matilde ha scritto nel
suo quaderno, che ha proposto e cantato e che abbiamo condiviso con tutto il
gruppo.
NOI DUE AL MARE
Noi due al mare,
sdraiati sulla sabbia che scotta,
ci ripariamo la testa sotto l’ombrellone,
dopo andiamo a nuotare nell’acqua,
felici sulla barca,tra il mare, il sole, il vento.
Noi due al mare.
IL BOTTONE
Com’è bello il bottone
Il bottone intelligente,
che piace a tutta la gente,
che non costa quasi niente
Com’è bello il bottone,
raro, impertinente, bello e intelligente,
com’è bello il bottone.
IL TUO SORRISO APERTO AL MIO
Io apro il tuo sorriso,
è bellissimo e mi perdo
il tuo sorriso mi fa felice più della felicità,
io sono gelosa del tuo sorriso aperto al mio
anche se poi sono la più felice del mondo.
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IO E TE
Io e te innamorati per sempre
in un sogno perduti,
che un giorno si avvererà
e sarà la felicità del cuore.
IL MONDO
Il mondo gira gira gira
in questo mondo tutto tondo
a girotondo
in questo mondo tutto tondo a girotondo.
LA LUNA PIENA
Io vivo solo per la luna piena,
la sogno sempre la luna piena,
non la tocco e lei si fa più bella
tu sei più felice e io più felice ancora.
INVANO
Invano tenti di sognare amore,
ma tu vivi nell’illusione,
il mio cuore vorresti fermare e io ti sfuggo
invano tenti di sognare per la vita,
invano tenti di sognare, invano.
ANDREMO NEL CIELO
Dammi la mano amore e andremo nel cielo,
giocheremo con le stelle
scegliendo le più belle,
nascondendoci dietro alle nuvole,
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potremmo osservare tante e tante cose belle.
Andremo nel cielo.
IO CANTO PER TE
Io canto per te questa canzone d’amore
Io canto per te perché sei il mio unico amore
Io canto per te, per questa tua gioventù
E sono felice di cantare questa canzone d’amore
Io canto per te che sei il mio sogno d’amore
Io canto per te felice e contento
Io canto per te.
LA MUSICA
La musica è dolce più del sole, della luna e delle stelle del cielo,
la musica fa vivere tutti e tutti l’ascoltano,
la musica è la nostra passione e con la sua dolcezza noi tutti siamo più felici.
La musica porta dolcezza e riempie i cuori di felicità.
Canzoni preferite: non propone canzoni, accetta le proposte degli altri. Molto
concentrata sulle sue canzoni.
Strumenti più suonati e preferiti: maracas (le suona spesso anche quando gli
altri ballano), guiro, tamburello…
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ETTORE: di anni 55
Diagnosi: disturbo da dipendenza alcolica, alcolista con deliri secondari
all’etilismo.
Passa da una clinica all’altra, viene effettuato un percorso di psicoterapia
comportamentale che per un periodo sembra funzionare. Gli viene affidata una
gattina di cui se ne prende cura con grande amore (pet terapy) e pratica alcuni
lavori di giardinaggio.
Grande scompensazione nell’estate 2004 quando si reca da un parente in Marocco,
qui si sposerà e abbandonerà le terapie che fino a quel momento stava facendo.
Torna dal Marocco su convinzione dei famigliari in uno stato scompensazione
ancora più grande. Viene ricoverato più volte presenta momenti di violenza, picchia
un’infermiera che va a fargli visita dopo essere tornato a casa ubriaco.
Nel luglio 2006 entra in comunità psichiatrica, ha la tendenza a fare il boss,
atteggiamenti di supremazia.
Si prende cura della propria persona, è sempre ben vestito con la cravatta e
profumato. Vive in solitudine, preferisce non avere contatti con gli altri ospiti e non
si relaziona con loro non considerandosi malato.
Preferisce non condividere nessun momento con gli altri (pranza e cena e fa
merenda dopo che gli altri hanno già finito).
Ascolta sempre la musica da ballo di orchestre con audiocassette che gli porta sua
nipote.
Percorso musicoterapico: partecipa per il primo anno a musicoterapia
saltuariamente. Bisogna andarlo a chiamare nella sua camera e cercare di
convincerlo a venire anche con la scusa di portartarci le sue canzoni per farle
sentire a noi e al gruppo. Ha una grande passione per la musica, quando è nella sua
camera l’ascolta spesso e anche quando esce in giardino porta con sé la sua
radiolina.
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Non sempre si riesce a farlo partecipare.
È una persona con un forte carattere, con aria di superiorità, non accetta il fatto di
essere malato e non vuole mettersi sullo stesso livello degli altri.
Non ha alcuna relazione e comunicazione con nessuno degli ospiti della comunità,
tranne che con gli operatori e i medici. Con le terapiste si è dimostrato abbastanza
disponibile, ha condiviso vari momenti di comunicazione legati sempre al
l’importanza che da alla musica.
Molte volte entra nella stanza e rimane in piedi, non si siede e dice che vuole
ascoltare una sua canzone e subito esce.
Con il passare del tempo è aumentata la durata del tempo in cui lui rimane
all’interno della stanza di musicoterapia, alcune volte è rimasto fino alla fine della
seduta. Abbiamo notato che era molto combattuto con se stesso sul fatto di
rimanere, essendo molto orgoglioso e dovendo differenziarsi dagli altri molte volte
è stato impossibile convincerlo a restare.
Ha apprezzato molto i momenti di ascolto con la fisarmonica. Le terapiste hanno
provato a coinvolgerlo nel ballo. Le prime due volte ha rifiutato mentre dalla terza
ha cominciato a ballare con la coterapista istaurando una bella relazione e questo è
diventato uno dei motivi per farlo partecipare alle sedute successive.
Non ha mai cantato con il gruppo e si è sempre rifiutato di suonare uno strumento.
Nelle ultime sedute canta alcune frasi di canzoni che lui conosce sottovoce mentre
balla con la coterapista.
Il contatto fisico è molto importante, stringe come per abbracciare mentre balla.
Canzoni preferite: Amore mio non piangere, Canzoni della risaia, canzoni
Baglioni, Morandi, Suona chitarra (Al Rangone), canzoni delle orchestre,
L’emozione non ha voce (Celentano)…
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Strumenti più suonati e preferiti: non ha mai voluto suonare uno strumento
anche se sono stati fatti parecchi tentativi.
7. Obiettivi
Gli obiettivi da raggiungere con queste persone gravemente malate possono
sembrare piccoli ma per loro sono molto grandi e significativi.
-
potenziare le capacità di attenzione e concentrazione;
-
incentivare le capacità espressive di base del soggetto attraverso il canale
sonoro-musicale attraverso l’uso della voce, degli strumenti, del
movimento…
-
favorire la comunicazione, la relazione all’interno del gruppo incentivando
all’ascolto di se stessi e degli altri;
-
promuovere e stimolare l’ascolto, la relazione e l’interazione di ogni
partecipante all’interno del gruppo ;
-
potenziare la capacità di autonomia personale in termini di gestione di sé
all’interno del gruppo;
-
riappropriarsi e avere consapevolezza del proprio corpo attraverso la danza
per riuscire a riconoscere le proprie emozioni e rappresentarle;
-
portare a termine e rispettare le varie consegne;
-
cercare di dare un’organizzazione alla loro espressione sonora molto
frammentaria incentivando la capacità d’inibirsi ed attivarsi;
-
cercare di minimizzare la sofferenza e massimizzare il benessere;
-
cercare di migliorare lo stato d’animo e l’umore di ogni persona.
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8. Programma degli incontri
Questo è il programma generale degli incontri che a volte può variare in base
all’andamento della seduta e allo stato d’animo del gruppo.
È molto difficile seguire un programma e pianificare le sedute con queste persone,
bisogna essere pronti a modificare sul momento quello che si era pensato di fare, e
lavorare sul “qui ed ora”.
La seduta inizia con una canzone di d’accoglienza, sempre la stessa, che viene
eseguita alla tastiera dalla musicoterapista durante l’ingresso nella stanza dei
partecipanti. Successivamente viene suonata e cantata “la canzone dei nomi” che è
basata sulla ripetizione dei nomi di ciascun partecipante da parte di tutto il gruppo.
Questo momento serve per dare la consapevolezza di sé e come dire “ io sono
(nome)…. Ci sono anch’io e faccio parte di questo gruppo”.
Segue solitamente un’improvvisazione che può voler dire accogliere ciò che porta
il gruppo, può essere una canzone, un momento strumentale…
Capita spesso che il gruppo voglia cantare o ballare una canzone. In questo
momento della seduta diamo importanza al movimento corporeo legato al ballo.
Riappropriarsi del proprio corpo attraverso la danza può significare riuscire a
riconoscere le proprie emozioni e rappresentarle. Si è potuto osservare le modalità
di movimento dei partecipanti agli incontri ed ha avuto come obiettivo, il rendere
loro possibile la consapevolezza di una dimensione spaziale, temporale e
relazionale.
Importante è la scelta degli strumenti musicali, l’esplorazione, la modalità di
produrre il suono, il suonare da soli o insieme al gruppo.
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La musicoterapista da delle consegne che possono essere direttive su ciò che è
emerso spontaneamente dal gruppo, oppure qualcosa di diverso, oppure consegne
non verbali.
A volte segue un momento di riflessione, per parlare insieme di quello che è stato
fatto o per confrontarsi sulle emozioni provate, nei ricordi che sono emersi.
Segue una canzone lenta o di ascolto, per portare al rilassamento, alla calma
l’eccitazione e le emozioni che possono essere emerse nei momenti precedenti. Per
queste persone è molto difficile saper ascoltare rimanendo in silenzio e non
partecipando attivamente, sarebbero sempre tentati a cantare o a suonare uno
strumento. Come risulta difficile ascoltare gli altri e rispettare i tempi di tutti.
La seduta termina con la canzone del saluto per darci l’arrivederci alla prossima
volta, ricordando il giorno in cui ci rivedremo.
9. Verifica e documentazione
Prima di iniziare una seduta si riguardano i protocolli delle sedute precedenti, e si
cerca di ricominciare da dove si era rimasti, senza effettuare troppi cambiamenti sia
nel setting che nella struttura della seduta.
Alla fine di ogni incontro, si effettua un confronto di idee e osservazioni tra la
musicoterapista Elena Gallazzi e la coterapista Morena Rodolfi, dove emergevano i
momenti più significativi della seduta, le emozioni provate da noi in quei momenti,
le sensazioni, le impressioni.
Sono importanti i feedback dei partecipanti ad ogni incontro.
Ogni tanto avvengono degli incontri con gli operatori nella struttura che dovrebbero
servire per sapere notizie significative e importanti sui pazienti, anche se questo
non è sempre possibile per alcuni motivi: gli operatori cambiano spesso i turni e
molte volte arrivano nella comunità persone nuove, mentre a volte non c’è
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disponibilità da parte degli operatori a scambiare pensieri, opinioni e molte volte
emerge un disinteressamento totale. È difficile trovare operatori che ritengano
queste persone gravemente malate con possibilità di risorse, la maggior parte di
loro li considera pazzi e inguaribili.
Anche l’attività di musicoterapia viene vista da alcuni “sprecata”, inutile, ma non è
così perché anche queste persone hanno un cuore, dei sentimenti, a volte sono
lucidi, a volte meno ma comunque hanno bisogno di conforto, di essere accettate,
ascoltate e gratificate.
Sono stati effettuati alcuni incontri con i referenti del sistema curante della struttura
per quanto riguarda le diagnosi dei pazienti.
Viene tenuta una documentazione che riguarda la compilazione di protocolli
dettagliati alla fine di ogni seduta (setting, le consegne, lo stato affettivo del
gruppo, gli strumenti usati, la modalità di utilizzo, le caratteristiche della
produzione sonora, il contatto fisico e visivo, i momenti di maggiore
comunicazione, l’utilizzo della voce, il vissuto del silenzio, repertorio eseguito, la
descrizione dell’aspetto corporeo, l’esplorazione dello spazio, il rapporto con i
terapeuti, come si conclude la seduta e le riflessioni).
9.1 PROTOCOLLO SEDUTA N°1 (primo e secondo gruppo insieme)
Data: 19 ottobre 2007
Seduta: 1
Durata: circa due ore
Partecipanti: tutti
Strategia ideata: momento per fare conoscenza con tutti i partecipanti, scambio
verbale con ognuno di loro, lasciare lo spazio e la libertà di esplorazione di tutti gli
strumenti musicali
Distribuzione spaziale degli strumenti nel setting:
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1 tastiera
2 congas
3 guiro
metallofono
legnetti
nacchere
maracas
tamburelli
piatti
bonghi
wood blook
triangolo
cembali
4 lettore cd
Modifiche nel GOS e nel setting: abbiamo messo a disposizione tutto il materiale
per vedere le reazioni dei partecipanti davanti al setting
Consegna: proporre canzoni conosciute e preferite a turno cantando tutti insieme.
Stato affettivo del gruppo: per alcuni di loro emerge l’eccitazione dovuto alla
novità, per altri che partecipavano gli anni scorsi emerge la voglia di ricominciare
da dove erano rimasti, in generale si avverte molta confusione dovuto al numero
elevato dei partecipanti e alle diverse modalità di ognuno di loro, alcuni girano per
la stanza (Piero, Maria) altri entrano ed escono (Caterina, Giulia), altri parlano della
loro vita (Giuseppe, Giovanni, Matilde), Rosa vuole ballare.
Sono tutti concentrati su loro stessi e non sull’appartenenza al gruppo.
Primi strumenti usati (da chi): Giovanni (conga), Rosa (borghi), Giulia
(tamburello), Piero (piatti e tastiera), Giuseppe (metallofono)
Strumenti più usati: tastiera, conga, borghi, tamburello, piatti
Modalità di utilizzo: Giovanni (pulsazione precisa sulla conga mentre cantiamo una
canzone), Rosa (suona i bonghi con i due battenti molto forte con pulsazione
ritmica abbastanza precisa), Giulia (suona il tamburello con la mano subito molto
forte e con una pulsazione veloce poi rallenta e l’intensità diminuisce, si avverte
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una scarica di energia sullo strumento), Piero (suona i piatti per accompagnarsi su
una canzone proposta da lui, successivamente si reca alla tastiera dove esplora lo
strumento suonando i tasti per grado congiunto), Giuseppe suona il metallofono
con i battenti facendo fatica a causa del tremore alle mani. Gilda esplora tutti gli
strumenti posti sul tavolo.
Ultimi strumenti usati: conga e tastiera
Contatto fisico e visivo: contatto fisico non presente, contatto visivo molto intenso
con la maggior parte dei partecipanti. Quando la coterapista si avvicina a qualcuno
di loro lo sguardo rivolto verso il basso o a volte perso nel vuoto si sposta ad un
contatto visivo intenso, che a volte porta a un sorriso e che serve per fare sentire
importante la loro presenza.
Momenti di maggiore comunicazione: scambio verbale sulle canzoni che loro
preferiscono e sui ricordi e le emozioni emerse dopo averle cantate; momento verso
la fine dell’incontro dove Matilde che fino a quel momento era rimasta in disparte
porta un quaderno pieno di poesie scritte da lei che si potranno trasformare in
canzoni.
Caratteristiche della produzione sonora (ritmica, melodica, aleatoria…): ritmica
per quanto riguarda gli strumenti usati per mantenere la pulsazione (conga,
tamburello, bonghi) ma anche melodica per quanto riguarda gli strumenti come il
metallofono e la tastiera e l’utilizzo delle canzoni.
Utilizzo della voce: la voce di Rosa emerge su tutte (da contenere) canta molto
forte e in modo sguaiato, Giulia usa la voce per cantare con un tono basso, buona
intonazione, conosce i testi di molte canzoni a memoria, difficoltà a capire quando
una canzone finisce, lavorare sui finali. Matilde canta poco, accenna una canzone
ma sottovoce (si percepisce la sua voce roca che è la stessa che usa nel parlato),
Giovanni canta accompagnandosi con la conga le canzoni che lui conosce con un
tono molto basso e con un’intonazione scarsa, Giuseppe dice di essere stonato e di
avere una brutta voce, canta lo stesso ma si dimostra essere intonato e con un tono
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di voce baritonale e gradevole. Piero parla e alterna momenti in cui canta una
canzone dove le parole non si riescono a capire bene facendo il gesto con le braccia
di suonare la fisarmonica. Gilda dice che non vuole cantare perché altrimenti suo
fratello muore (deliri), anche se in alcune canzoni canta con la sua voce non troppo
intonata.
Gli altri partecipanti non cantano.
Vissuto del silenzio: Nessun momento di silenzio in questa gran confusione
Repertorio: Canzone del saluto e dei nomi
Proposte di canzoni da ogni partecipante a turno
Ciao Mare (Casadei) proposta da Rosa e Giuseppe
Mamma, proposta da Giulia e da Gilda
Ora sei rimasta sola (Celentano) Proposta da Giovanni
Il ballo del qua qua (Pawer) proposta da Piero
Saluto
Descrizione dell’aspetto corporeo: Piero e Maria hanno la modalità di girare
continuamente per la stanza, Piero cammina in modo goffo strisciando i piedi,
Gilda cammina con le stampelle ma a volte si alza in piedi e comincia a muoversi
come se volesse ballare, Rosa ama ballare e chiede a Giovanni di ballare con lei.
Gli altri rimangono a sedere a parte qualcuno che sente il bisogno di uscire e di
fumare una sigaretta.
Esplorazione dello spazio: Da parte di Maria e Piero in particolare
Rapporto con i terapeuti: Buona accoglienza sia per la musicoterapista che alcuni
di loro conosceva già dall’anno precedente ma anche per la coterapista che essendo
per loro una persona sconosciuta hanno accolto e accettato la presenza da subito.
Con gli ospiti arrivati in comunità da poco ci sono stati molti momenti dove si è
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potuto approfondire la conoscenza reciproca e si è lasciato più tempo per abituarsi a
questo appuntamento settimanale con la musicoterapia.
Conclusione della seduta: saluto cantato ricordando l’appuntamento per l’incontro
successivo. Alcuni di loro non vorrebbero uscire dalla stanza.
Riflessioni: Si decide in che modo dividere i dieci partecipanti in due gruppi e si
comunica a ognuno di loro a che gruppo appartiene e l’orario. Per alcuni risulta
difficile capire a quale gruppo appartenere e anche il rispetto dell’orario soprattutto
per il momento della sigaretta.
Dopo varie riflessioni si è deciso di provare a chiudere la porta a chiave una volta
che i partecipanti entrano nella stanza, si avvertono troppi elementi di disturbo
esterni (in particolare Ida, che è una signora che aveva già partecipato a
musicoterapia gli anni precedenti non collaborando e con il solo obiettivo di fare
scrivere il proprio nome sulla sua agenda e portando solo distrazione e agitazione al
gruppo). Ad alcuni di loro potrebbe dare fastidio tenere la porta chiusa a chiave
(soprattutto per Maria, Piero e Caterina che hanno la modalità di entrare e uscire).
9.2 PROTOCOLLO SEDUTA N°1 (primo gruppo)
Data: 2 novembre 2006
Seduta: 1
Durata: 50 minuti circa
Partecipanti: Caterina, Giulia, Gilda, Maria (per 20 min. poi esce), Piero (per 5
min. poi esce)
Strategia ideata: lasciare spazio ad ogni partecipante di esprimersi sia attraverso il
canto che attraverso gli strumenti.
Distribuzione spaziale degli strumenti nel setting:
1 tastiera
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2 congas
3 guiro
metallofono
legnetti
nacchere
maracas
tamburelli
piatti
bonghi
wood blook
triangolo
cembali
4 lettore cd
Modifiche nel GOS e nel setting: nessuna modifica
Consegna: proporre e cantare le canzoni e suonare uno strumento a scelta a turno
Stato affettivo del gruppo: discreta partecipazione di tutti, Piero dopo 5 minuti
vuole uscire perché non sta bene, Maria non si siede ma rimane più in disparte in
piedi (la troppa vicinanza agli altri le da fastidio), Caterina presenta deliri, parla da
sola si alza più volte per cercare qualcosa da mangiare nel cestino dell’immondizia
poi si risiede.
Primi strumenti usati (da chi): Gilda (maracas), Caterina (tamburello basco),
Maria (bonghi), Giulia (tamburello), Piero (conga).
Strumenti più usati: maracas, tamburelli, bonghi, conga.
Modalità di utilizzo: Gilda suona le maracas una contro l’altra (aritmica), Caterina
con il tamburello basco gira i sonagli poi lo mette in testa come se fosse un
cappello, Maria batte i bonghi molto forte con un ritmo abbastanza preciso con un
battente, l’intensità sembra infastidire gli altri (da contenere), Giulia fa la
pulsazione ritmica col tamburello mentre canta (molto difficile per lei separare il
suono dello strumento dal canto) tende a suonare e cantare all’infinito, Piero suona
in modo preciso la conga anche se per poco tempo alternando un movimento che
ripropone spesso cioè muove le braccia come per suonare la fisarmonica.
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Ultimi strumenti usati: maracas e tamburelli
Contatto fisico e visivo: con Gilda per farla entrare e uscire la prendo sotto braccio
e anche con Piero che ogni tanto va richiamato e riportato al gruppo. Contatto
visivo più o meno presente con tutti, molto intenso con Caterina e Giulia.
Momenti di maggiore comunicazione: sulla canzone dei nomi, dove ogni
partecipante si sente al centro dell’attenzione e importante
Caratteristiche della produzione sonora (ritmica, melodica, aleatoria…):
melodica per le canzoni ma anche ritmica con l’uso degli strumenti
Utilizzo della voce: Giulia canta sempre passando da una canzone all’altra e
proponendo nuove canzoni, difficoltà nel capire quando la canzone o il momento
musicale sta per finire, Maria canta forte solo quando la guardi o cerchi di
avvicinarti a lei e poi si allontana, Caterina canta alcune frasi poi si perde in altre
cose.
Vissuto del silenzio: Il silenzio compare solo in un momento molto breve ma viene
subito interrotto dal parlare e dal cantare
Repertorio: Saluto, canzone dei nomi
Vecchio scarpone (proposta da Giulia), Grazie dei fior (Pizzi), Piove (Modugno),
Carissimo Pinocchio (canzone lenta)
Saluto musicale
Descrizione dell’aspetto corporeo: molto movimento nella stanza dovuto a Piero,
Maria e Caterina che girano continuamente, Caterina si tocca i capelli, i piedi si
alza e va verso la finestra e poi vuole uscire, Maria gira intorno alle persone
Esplorazione dello spazio: da parte di Caterina, Maria e Piero. Gli altri rimangono
a sedere per tutta la seduta.
Rapporto con i terapeuti: molta difficoltà ad istaurare un rapporto, una
comunicazione con loro
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Conclusione della seduta: Canzone lenta per rilassarsi e poi saluto
Riflessioni: difficoltà a condurre la seduta, sull’improvvisazione con gli strumenti a
turno difficile far capire di aspettare e ascoltare gli altri mentre stanno suonando,
alcuni cominciano a cantare, altri a suonare invece di rispettare il proprio momento.
Reiterazione della canzone di saluto anche fuori dalla stanza da parte di Giulia.
Il gruppo è formato da pazienti molto gravi tutti molto sedati. Non sempre stanno
bene e non se la sentono di partecipare.
Lavorare sul fare a turno, sulla comunicazione tra di loro e quindi farli sentire parte
di un gruppo pur essendo molto concentrati su loro stessi.
9.3 PROTOCOLLO SEDUTA N°1 (secondo gruppo)
Data: 2 novembre
Seduta:1
Durata: 50 minuti circa
Partecipanti: Giuseppe, Ettore, Rosa, Giovanni, Matilde
Strategia ideata: accogliere le proposte di tutti i partecipanti
Distribuzione spaziale degli strumenti nel setting:
1 tastiera
2 congas
3 guiro
metallofono
legnetti
nacchere
maracas
tamburelli
piatti
bonghi
wood blook
triangolo
cembali
4 lettore cd
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Modifiche nel GOS e nel setting: nessuna modifica
Consegna: ascolto di una canzone senza l’uso della propria voce
Suonare a turno lo stesso strumento (metallofono)
Stato affettivo del gruppo: buona partecipazione generale, ascolto reciproco,
momenti di comunicazione verbale tra i partecipanti, Ettore non partecipa
attivamente ma sembra gradire, Rosa da contenere
Primi strumenti usati (da chi): metallofono (da tutti tranne Ettore), Giovanni
(conga)
Strumenti più usati: metallofono, conga
Modalità di utilizzo: esplorazione dello strumento da parte di tutti tranne Ettore che
si rifiuta di suonare. Rosa comincia a cantare mentre sta suonando e viene ripresa
dalla musicoterapista, Giuseppe trova difficoltà nel tenere in mano i battenti dovuto
al tremore alle mani, Matilde suona con due battenti per gradi congiunti, Giovanni
suona lo strumento usando il glissando.
Ultimi strumenti usati: metallofono
Contatto fisico e visivo: presente, quando li osservi loro ti guardano e a volte
sorridono.
Contatto fisico sulla canzone Ciao mare (Casadei) dove Rosa balla con Giovanni,
poi con Giuseppe e con la coterapista
Momenti di maggiore comunicazione: scambio verbale su quello che ognuno di
loro ha provato una volta finito di suonare lo strumento, quindi le emozioni, le
sensazioni…
Caratteristiche della produzione sonora (ritmica, melodica, aleatoria…):
soprattutto melodica. Nelle canzoni cantate dove la musicoterapista suona la
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tastiera, la pulsazione ritmica è tenuta dalla coterapista alla conga (importanza di
avere un riferimento ritmico)
Utilizzo della voce: Rosa da contenere, canta più forte degli altri in modo sguaiato,
Matilde canta poco e piano a parte in un momento dove viene accompagnata alla
tastiera per cantare una sua poesia/canzone, Ettore non canta
Vissuto del silenzio: nessun momento significativo di silenzio
Repertorio: saluto, canzone dei nomi
La prima cosa bella (ricchi e poveri) proposta da Giovanni
Ciao Mare (Casadei) proposta da Rosa
La canzone del sole (Battisti) come ascolto
Noi due al mare (canzone scritta da Matilde)
Saluto
Descrizione dell’aspetto corporeo: sempre a sedere a parte il momento del ballo,
Rosangela balla in maniera un po’ goffa e abbraccia Giovanni, lo accarezza, è
molto affettuosa anche con Giuseppe.
Giovanni balla per poco e con movimenti molto lenti.
Esplorazione dello spazio: per ballare all’interno del cerchio formato dalla
disposizione delle sedie.
Rapporto con i terapeuti: buono da parte di tutti, buona accoglienza, Ettore molto
solitario scambia poche parole solo con la musicoterapista e la coterapista, poca
comunicazione con il gruppo
Conclusione della seduta: Dopo la canzone di ascolto, saluto e li accompagno alla
porta
Riflessioni: buona partecipazione del gruppo, Ettore non sembra interessato alle
proposte musicali degli altri, vorrebbe uscire ma riusciamo a convincerlo a
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rimanere. Ci dice che ha tante audiocassette e gli chiediamo se ce le porta a fare
sentire la volta successiva (modo per farlo partecipare).
Valorizzare le poesie di Matilde musicandole può essere molto importante per lei e
per il gruppo riuscendo a condividere l’argomento principale di ogni sua poesia
cioè l’amore anche verbalmente.
9.4 PROTOCOLLO SEDUTA N°16 (primo gruppo)
Data: 22 febbraio
Seduta: 16
Durata: 45 minuti circa
Partecipanti: Piero, Maria, Giulia, Gilda, Caterina (non sta bene è a letto)
Strategia ideata: portare la fisarmonica, subito lasciarla chiusa nella custodia e dire
ai partecipanti che abbiamo una sorpresa
Distribuzione spaziale degli strumenti nel setting:
1 tastiera
2 congas
3 guiro
metallofono
legnetti
nacchere
maracas
tamburelli
piatti
bonghi
wood blook
triangolo
cembali
4 fisarmonica
Modifiche nel GOS e nel setting: presenza di una custodia al centro della stanza
contenente la fisarmonica
Consegna: ascolto di brani musicali
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accompagnamento ritmico con strumenti su un brano musicale
consegna non verbale sul movimento corporeo, legato al ballo
Stato affettivo del gruppo: molta curiosità, Giulia entra molto agitata, Maria molto
scompensata dopo 10 minuti esce
Primi strumenti usati (da chi): Piero (piatti, fisarmonica), Giulia (tamburello),
Gilda (maracas, esplorazione di tutti gli strumenti sul tavolo).
Strumenti più usati: fisarmonica, piatti, tamburello, altri strumentini
Modalità di utilizzo: Piero suona i piatti sulla canzone con una buona pulsazione
ritmica, poi vuole provare a suonare la fisarmonica, si siede e la tiene sulle gambe e
schiaccia con la mano destra alcuni bottoni, Giulia scarica sul tamburello le energie
e lo suona battendo con la mano sinistra in modo velocissimo e con un’intensità
molto forte, piano piano con la vicinanza della musicoterapista il ritmo rallenta e
anche il volume diminuisce, sembra calmarsi. Gilda di sua iniziativa si alza dalla
sedia, anche se fa fatica a camminare e si porta davanti al tavolo dove sono
posizionati tutti gli strumenti e comincia ad esplorarli, suonandoli, usa uno
strumento contro l’altro. Poi si risiede.
Ultimi strumenti usati: strumenti a percussione
Contatto fisico e visivo: in particolare con Giulia guardandola molto intensamente
negli occhi e standole vicina si è riusciti a portarla ad uno stato di tranquillità
Momenti di maggiore comunicazione: scambio verbale sui ricordi e le canzoni
legate alla fisarmonica
Caratteristiche della produzione sonora (ritmica, melodica, aleatoria…): ritmica
con gli strumenti, a volte anche aleatoria e melodica sulle canzoni suonate
Utilizzo della voce: Gilda canta e alterna momenti di deliri sulla sorella che sta
male, sulla canzone “Romagna mia” (Casadei) e comincia a piangere perché dice
che le ricorda la sua mamma, dopo poco riprende a cantare come se non fosse
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successo niente. Pietro canta e sembra eccitato nel vedere e provare la fisarmonica.
Giulia subito non canta, inizia a cantare successivamente quando ritrova la
tranquillità
Vissuto del silenzio: no
Repertorio: Saluto e canzone dei nomi
Papaveri e papere suonata alla fisarmonica e cantata (che Piero canta sempre)
Romagna mia, Santa Lucia, La paloma, Reginella Campagnola, Fashination
(canzone lenta)
Saluto in musica
Descrizione dell’aspetto corporeo: Piero e Giulia ballano insieme abbracciati con
movimenti molto lenti, cantano, lui le bacia la mano, l’accarezza poi alla fine si
siedono uno vicino all’altra sempre tenendosi la mano. Gilda spontaneamente si
alza da sedere tenendosi aggrappata al tavolo inizia a fare movimenti con il bacino
e con le gambe per ballare (ricordiamo che ha difficoltà nel camminare e che usa le
stampelle).
Esplorazione dello spazio: nel ballare, e Maria che gira per tutta la stanza
Rapporto con i terapeuti: buono in generale
Conclusione della seduta: canzone di saluto lenta per rilassarsi dove tutti si
siedono e ascoltano. Saluto e l’arrivederci alla settimana prossima
Riflessioni: diversi momenti importanti durante la seduta, la sorpresa di portare la
fisarmonica è piaciuta a tutti e hanno ascoltato con attenzione e cantato sulle
melodie proposte che conoscevano. Molto importante il contatto fisico durante il
ballo sia tra di loro che con i terapeuti.
Piero che spesso faceva il gesto di suonare la fisarmonica è stato accontentato e ha
provato a suonare il suo strumento preferito.
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9.5 PROTOCOLLO SEDUTA N°18 (secondo gruppo)
Data: 22 marzo 2007
Seduta: 18
Durata: 50 minuti circa
Partecipanti: Matilde, Giovanni, Giuseppe, Rosa, Ettore (entra 10 min. dopo)
Strategia ideata: per fare venire Ettore lo andiamo a chiamare in camera sua e per
farlo venire gli diciamo di portare una sua audiocassetta da ascoltare insieme.
Distribuzione spaziale degli strumenti nel setting:
1 tastiera
2 congas
3 guiro
metallofono
legnetti
nacchere
maracas
tamburelli
piatti
bonghi
wood blook
triangolo
cembali
4 fisarmonica
5 lettore cd
Modifiche nel GOS e nel setting: nessun cambiamento rilevante
Consegna: ascolto di una canzone con la fisarmonica
Accompagnamento ritmico su una canzone
Improvvisazione con uno strumento individuale
Suonare insieme uno strumento insieme al gruppo ascoltandosi
Stato affettivo del gruppo: buono, Giovanni un po’ assopito
Primi strumenti usati (da chi): Rosa (bonghi), Giovanni (triangolo), Giuseppe
(maracas), Matilde (guiro), Ettore (nessuno)
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Strumenti più usati: bonghi, triangolo, maracas, guiro
Modalità di utilizzo: Rosa suona i bonghi con una pulsazione ritmica abbastanza
precisa, più contenuta nel suonare, Giovanni suona il triangolo in diversi modi,
usando la bacchetta all’interno muovendola veloce, poi lo suona lentamente
battendolo all’esterno, Giuseppe suona le maracas una alla volta poi insieme
cercando di seguire il ritmo, Matilde suona il guiro tenendolo quasi abbracciato e
muovendo su e giù la bacchetta, suona piano e osserva molto gli altri che suonano.
Ultimi strumenti usati: gli stessi
Contatto fisico e visivo: presenti entrambi, il contatto fisico nel ballo sia tra di loro
che con i terapeuti. Ettore dopo molto tempo ha cominciato a ballare con la
coterapista, sembra apprezzare anche se cerca di evitare di ballare con le donne del
gruppo (solo una volta ha ballato con Rosa ma per pochi minuti).
Momenti di maggiore comunicazione: la musicoterapista chiede
a ogni
partecipante che cos’è per loro la musica e come li fa sentire.
Caratteristiche della produzione sonora (ritmica, melodica, aleatoria…): con
tutte tre le caratteristiche, ritmica nell’improvvisazione musicale di gruppo dove
ognuno suona il proprio strumento, la musicoterapista esegue la parte melodica al
metallofono e la coterpista tiene la pulsazione ritmica precisa alla conga seguendo
l’andamento della musica.
Utilizzo della voce: Rosa canta in modo più contenuto, non urla ma mantiene il
tono della voce non troppo forte, Giovanni canta con la sua voce molto bassa,
Giuseppe comincia ad accettare la sua voce, che riteneva sgradevole, Matilde canta
alcune frasi ma soprattutto la canzone scritta da lei, Ettore che fino ad ora non ha
mai cantato, inizia a farlo sottovoce con alcune frasi di canzoni che porta lui mentre
balla con la coterapista.
Vissuto del silenzio: poco silenzio
Repertorio: saluto, canzone dei nomi
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Suona chitarra (cassetta Ettore), La paloma (tango), Azzurro (Celentano), La
musica (Matilde), Carissimo Pinocchio (Dorelli)
Saluto musicale
Descrizione dell’aspetto corporeo: Rosa meno agitata del solito, Giovanni un po’
assopito, nel ballo Ettore si muove lentamente abbracciando stretta la coterapista,
Giuseppe balla con Rosa in modo veloce, Matilde viene invitata a ballare dalla
musicoterapista ma preferisce non ballare.
Esplorazione dello spazio: solo nel ballare
Rapporto con i terapeuti: buono, da parte di tutti, anche da Ettore che si relaziona
con noi e ha un contatto fisico nel ballo
Conclusione della seduta: canzone lenta per tornare alla tranquillità
Riflessioni: nella seduta precedente si è chiesto a Matilde di scrivere una canzone
con il titolo “La musica” ed è stata un’opportunità di condividere con gli altri
l’emozioni e le sensazioni che la musica produce in loro.
LA MUSICA (testo di Matilde)
La musica è dolce più del sole, della luna e delle stelle del cielo,
la musica fa vivere tutti e tutti l’ascoltano,
la musica è la nostra passione e con la sua dolcezza noi tutti siamo più felici.
La musica porta dolcezza e riempie i cuori di felicità.
Tutti i partecipanti hanno condiviso le parole della poesia di Matilde aggiungendo:
Giovanni: “Per me la musica è armonia, serve per creare l’atmosfera…”
Rosa: “A me la musica mi emoziona e mi fa venire i brividi…”
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Giuseppe: “ Per me la musica è la vita, colma i vuoti della nostra vita e in alcuni
momenti ci fa compagnia…”
Ettore: “ La musica è bella, mi fa compagnia, mi fa pensare al passato, ai ricordi,
quando si andava a ballare nelle balere…”
10. Relazione finale del percorso di musicoterapia
All’inizio del percorso ciò che ha colpito è stata la buona accoglienza degli ospiti
della struttura (e non solo di quelli che avevano partecipato lo scorso anno
all’attività) che hanno dimostrato di riconoscere la musicoterapista Elena Gallazzi,
di riconoscere l’attività e ricordare ciò che era stato fatto l’anno precedente.
Buona accoglienza anche per la coterapista Morena Rodolfi, accolta e accettata da
tutti sin dall’inizio.
Anche gli ospiti inseriti quest’anno per la prima volta si sono dimostrati curiosi e
partecipi fin da subito, soprattutto Giovanni e Giuseppe che, dimostrando una
discreta sensibilità e bagaglio musicale, sono stati più volte un forte stimolo per il
gruppo cercando di coinvolgere le personalità più inibite.
Dopo un periodo di osservazione partecipe (4/5 sedute), durante la quale si sono
valutate le capacità espressive verbali e non verbali: sonore, vocali, mimicogestuali, la capacità di ascolto, il contatto oculare, la modalità di utilizzo degli
strumenti, l’utilizzo del corpo, il movimento, la relazione all’interno del gruppo si è
notato (oltre all’evidente disparità a livello espressivo data dalla diversa età degli
ospiti, dalle differenti problematiche soggettive e dal differente bagaglio musicale)
da un lato la tendenza da parte di alcuni soggetti ad esprimersi con foga, in modo
incontrollato e senza momenti di pausa sullo strumento (es. Rosa e Giulia) e
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dall’altro la difficoltà di altri (soprattutto Caterina, Giovanni, Giulia) di tollerare la
forte intensità che talvolta li ha portati ad uscire dalla stanza.
L’esplorazione del G.O.S., che comprende la maggior parte degli strumenti
musicali presentati è immediata, come immediata è la produzione vocale (canzoni)
durante la quale emerge maggiore adesione e coinvolgimento da parte di tutti.
La modalità di utilizzo degli strumenti è convenzionale e la produzione sonora
sugli stessi, prevalentemente ritmica, è caratterizzata da pulsazioni più o meno
regolari (deturpate talvolta da discinesie causate dall’assunzione di neurolettici) su
ritmo binario o ternario sostenute da un’intensità medio-elevata. Nella prima fase la
produzione ritmica funge prevalentemente da sostegno ed accompagnamento delle
canzoni. I brevi momenti di produzione strumentale sono piuttosto caotici e
frammentari, con caratteristiche solistiche.
I due gruppi producono molto soprattutto sul piano vocale che si rivela un terreno
fertile su cui poter lavorare e sul quale emergono anche le iniziative personali (pian
piano riaffiorano alla memoria canzoni del passato che vengono intonate
spontaneamente dai singoli partecipanti).
Durante le canzoni l’emissione vocale è piuttosto sguaiata e l’intonazione molto
scarsa. Soprattutto nel primo gruppo, quello più problematico la produzione vocale,
se non è sostenuta dalle terapiste, risulta frammentaria e disorganizzata.
La produzione sonora non conosce momenti di silenzio che vengono
immediatamente riempiti da produzioni verbali degli stessi utenti, talvolta attinenti
al contesto, talvolta con caratteristiche deliranti.
Un’altra caratteristica della modalità espressiva di alcuni soggetti è la tendenza, una
volta colto l’input, a reiterarlo all’infinito, senza momenti di pausa, con una
modalità espressiva di tipo ossessivo. Per questo, attraverso un approccio delicato e
non invasivo si è cercato di “contattare a distanza” queste persone per stabilire un
ponte verso l’esterno e riportarli il più possibile alla realtà; tutto ciò attraverso
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particolari suoni vocali o strumentali, gesti, sguardi e soprattutto attraverso le
“chiusure musicali” (es. rallentare e diminuire l’intensità) che hanno permesso,
anche agli ospiti più chiusi di percepire la fine di un episodio musicale, terminando
così spontaneamente.
Si è evidenziata inoltre la necessità di organizzare e strutturare maggiormente la
seduta dando pochi stimoli attraverso modalità semplici e chiare, cercando di
contenere (attraverso opportune strategie musicoterapiche) le persone che
tendevano a sopraffare gli altri lasciando loro uno spazio “personale” ben definito
nel quale potessero esprimersi liberamente, sentendosi comunque accolti e capiti.
Nei confronti delle persone più inibite si è cercato di trovare la chiave per
contattarli, cogliendo e valorizzando anche le minime forme espressive e
portandole al gruppo.
Fondamentale è stato il rispetto dei tempi di partecipazione e attivazione personali
che hanno permesso che alcuni soggetti (come per esempio Giuseppe che lo scorso
anno non è mai venuto), si inserissero gradualmente nell’attività, aumentando i
tempi di permanenza fino a rimanere per tutta la durata dell’incontro.
Gli obiettivi raggiunti dal gruppo durante il percorso di quest’anno (a livelli
personali differenti) sono stati:
• Miglioramento delle capacità di attivazione e inibizione;
• Miglioramento della capacità di ascolto reciproco;
• Miglioramento della consapevolezza degli altri e del gruppo;
• Maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità espressive;
• Cambiamenti positivi, nel corso degli incontri del tono dell’umore;
• Miglioramento della capacità di rispettare le consegne.
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10.1 L’investimento degli oggetti e dello spazio
Lavorare in due gruppi separati con pochi partecipanti ha permesso un lavoro più
approfondito e mirato anche alle problematiche individuali.
L’investimento degli oggetti, degli strumenti e dello spazio si è evoluto favorendo
l’emergere di momenti d’interazione duale e di gruppo prevalentemente attorno alla
conga e alla tastiera che hanno assunto la funzione di “strumenti integratori” del
gruppo.
Parallelamente si è ampliato il coinvolgimento corporeo durante le fasi di
attivazione motoria che è sfociato in momenti di ballo comune e in coppia che
hanno favorito inoltre l’emergere del contatto fisico tra i partecipanti, inizialmente
restii a questo tipo di approccio.
Si è potuto osservare le modalità di movimento degli ospiti, ed ha avuto come
obiettivo, il rendere loro possibile la consapevolezza di una dimensione spaziale,
temporale e relazionale.
Riappropriarsi del corpo attraverso la danza può significare riuscire a riconoscere le
proprie emozioni e rappresentarle.
Importante la riscoperta della propria fisicità, conoscenza e consapevolezza del
proprio corpo. Il movimento agisce sul corpo, ma anche sul piano sensoriale ed
emotivo prima ancora che su quello razionale e cognitivo.
Sul piano motorio si evidenzia da subito la mobilità di alcuni componenti del primo
gruppo (Piero, Maria, Caterina) che aderisce alle proposte di movimento anche se
la partecipazione corporea è molto limitata ed i movimenti poco fluidi.
L’investimento dello spazio è caratterizzato da percorsi esterni al cerchio formato
dalle sedie o interni (motivati dall’interesse verso gli strumenti) e da movimenti
nella direzione della musicoterapista.
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10.2 Piano sonoro-espressivo
In generale, in modo lento ma costante, il quadro espressivo e prestazionale si è
evoluto in termini di ampliamento del numero degli strumenti suonati e di
maggiore fluidità nell’utilizzo degli stessi, in termini di maggiore controllo della
gamma delle intensità prodotte e soprattutto in termini di autocontenimento delle
proprie produzioni sonore.
Da parte delle personalità più resistenti si è passati da un iniziale rifiuto dello
strumento all’accettazione passiva dello stesso, alla disponibilità ad essere
affiancati durante la produzione sonora, all’iniziativa personale spontanea.
Nella produzione sonora c’è stato un notevole aumento della produzione
strumentale in senso quantitativo che qualitativo (produzioni più agganciate al
contesto) e l’inserimento delle percussioni corporee (mani, piedi, cosce).
Il contatto concreto con gli strumenti musicali è servita ad una elaborazione e
produzione sia individuale che di gruppo in piena libertà espressiva e ha costituito
una tappa importante del percorso verso una migliore coordinazione del pensiero.
L’utilizzo del linguaggio musicale unito a quello verbale ha contribuito al processo
di oggettivazione, organizzazione e strutturazione di questo mondo interiore, che
nel paziente psicotico è particolarmente frantumato e disgregato, in modo tale da
rendere significative queste parti di sé, sia in rapporto alla propria esistenza
personale che nel rapporto con gli altri.
La canzone è rimasta un potente strumento aggregativo dei gruppi soprattutto nei
momenti di maggiore dispersione.
L’importanza del canto, dell’uso della propria voce, cantare è un’attività che
implica un grande investimento emotivo, anche in gruppo dove ognuno porta il suo
personale contributo senza esporsi direttamente, rimanendo “protetto” dal gruppo.
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Rimane un’esperienza particolarmente ricca e costruttiva anche dal lato umano e
relazionale.
Le attività musicali mettono in gioco alcune funzioni specifiche dell’apprendimento
come la memoria, l’attenzione, la concentrazione che spesso nei pazienti
psichiatrici sono particolarmente compromesse a causa di chiusure e personalità
fragili.
10.3 Piano relazionale
La componente relazionale si è sviluppata nei gruppi sin dalle prime sedute.
La capacità di ascolto, che è stato il terreno sul quale sono emerse le maggiori
difficoltà, ha subito una significativa evoluzione grazie anche alle caratteristiche
delle attività proposte basate soprattutto sul “fare a turno”.
Si è lavorato dunque sulla capacità di suonare o cantare a turno, sul rispetto dei
tempi degli altri, sulle capacità di ascolto, di attivazione e inibizione calibrando di
volta in volta le proposte anche sulla base di quanto osservato prima dell’inizio
della seduta (soprattutto il tono dell’umore) nel momento in cui si radunano gli
ospiti.
È cresciuto quindi il livello di attenzione a sé e all’altro da sé e sono diminuiti
anche i comportamenti distruttivi di alcuni partecipanti favorendo una maggiore
tranquillità all’interno dei due gruppi.
Rimane tuttavia, soprattutto nelle giornate “difficili” la difficoltà di gestire i due
gruppi con patologie così importanti e la poca collaborazione degli operatori della
struttura per cercare di limitare il più possibile gli interventi esterni che avvengono
durante l’incontro che oltre ad interrompere le situazioni in atto, destabilizzano
molto il gruppo.
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11. Riflessioni conclusive
Queste sono le mie conclusioni e riflessioni finali di un periodo, di un vissuto, di
una serie di relazioni ed esperienze che mi hanno dato molto in termini umani e
professionali. Questa esperienza segnerà per sempre la mia vita in quanto mi ha
permesso di conoscere un mondo che pensavo molto distante e diverso ma che è
molto vicino e parallelo al nostro. Ho potuto scoprire cosa significhi la malattia
mentale osservando ogni comportamento, ogni situazione, ogni momento
significativo in modo accurato e dettagliato di queste persone che nella vita sono
state sfortunate e che vengono emarginate e isolate dalla società in cui viviamo.
Non dimenticherò mai i volti, le emozioni, i momenti tristi, d’angoscia, di delirio,
ma anche le gioie delle ore passate alla comunità e condivise insieme anche
attraverso la musica.
Credo che la musica, il suono, il canto contribuiscano a realizzare esperienze che
permettono a questi pazienti con malattie molto importanti di utilizzare al meglio le
proprie risorse (per alcuni nascoste o emarginate), di orientare i propri interessi e le
curiosità.
Durante le sedute è stato molto presente, oltre ai suoni e alla musica, il linguaggio
verbale che è rimasto indispensabile per favorire una comunicazione che è servita
per instaurare una relazione importante sia con le terapeute che tra i partecipanti del
gruppo.
Il lavoro di musicoterapia con queste persone, richiede per essere efficace, molto
tempo, precisione e costanza.
Un ruolo importante è stato determinato dalla gratificazione, che ha influito
sull’atteggiamento dei pazienti anche per quanto riguarda l’autostima e la fiducia in
loro stessi.
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Nel lavoro musicoterapico sono state date consegne con un livello di difficoltà
costantemente proporzionale alle abilità dei pazienti, in quanto con i pazienti
psichiatrici bisogna fare molta attenzione alle richieste prestazionali e i terapeuti
non devono avere grandi aspettative, tutto ciò potrebbe portare solo ansia e paura di
non farcela, che può diventare motivo di rinuncia e di sconfitta.
L’autostima e la gratificazione sono importantissime in questo tipo di percorso
soprattutto con persone che hanno paura di deludere se stessi e gli altri. Il prodotto
finale e la produzione sonora non deve essere necessariamente perfetto, anche se
nella nostra cultura lo “scarabocchio sonoro” è considerato un motivo di squalifica
e di disgusto.
Nella seduta di musicoterapia con la musica tutto è permesso, ognuno può
esprimere quello che sente come meglio crede senza pensare ai canoni estetici e al
prodotto finale.
È importante in questo rapporto con la musica partire da cose molto semplici per
giungere gradualmente, attraverso un preciso e strutturato percorso, alle più
complesse.
Durante la mia esperienza, ho potuto registrare alcuni cambiamenti significativi
portati dal lavoro con la musica. Si è potuto notare che ogni partecipante agli
incontro di musicoterapia abbia potuto scoprire o riscoprire in sé possibilità e
capacità nascoste, sopite o ignorate. Ognuno di loro ha avuto la possibilità di
conoscersi e riconoscersi nella propria affettività, sensorialità e nel proprio vissuto
emotivo oltre che nelle potenzialità cognitive e intellettive.
Un elemento di cambiamento è sicuramente l’esperienza positiva, stimolante e
interessante che è servita a modificare alcuni comportamenti e atteggiamenti, modo
di pensare e valutare sé stessi e gli altri che appartengono al gruppo, incidendo sia
sulla propria immagine che sulla vita relazionale.
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Il mondo sonoro-musicale è un mondo tutto da scoprire, da conoscere insieme, da
condividere, che suscita emozioni e ricordi in ognuno di noi e può alleviare lo stato
di sofferenza di queste persone.
La musica ha il potere di fare ritornare il sorriso a queste persone che nella vita
sono molto tristi e sole.
Questa esperienza che ancora sto continuando mi ha dato tanto e mi ha fatto
crescere tantissimo a livello umano, sicuramente è stata un’esperienza di vita molto
forte che lascerà in me un segno indelebile per sempre.
Portare a queste persone un momento di serenità e di sollievo è stato molto
gratificante e penso che questi pazienti abbiano bisogno di tante attenzioni, cure,
tenerezze e a volte può bastare un sorriso o scambiare poche parole con loro.
Sono persone con sentimenti, molto deboli, fragili e insicuri ma con un mondo
infinito che portano dentro di loro e che è tutto da scoprire.
Mi hanno dato la possibilità di scoprire e condividere il loro mondo, le loro storie,
le loro fragilità e debolezze, le loro gioie, i loro ricordi ed è stato fantastico fare
parte della loro vita in tutti i momenti passati insieme.
Un ringraziamento particolare alla mia tutor, la musicoterapista Elena Gallazzi che
mi ha dato questa opportunità e che grazie alla sua professionalità mi ha trasmesso
tanto e fatto scoprire un mondo a me prima sconosciuto. Mi ha fatto riflettere
sull’importanza della musica legata alle sensazioni, emozioni, ricordi in un contesto
difficile come quello della comunità psichiatrica.
Volevo chiudere la mia tesi con la canzone vincitrice di San Remo 2007 di Simone
Cristicchi che ha scritto ispirandosi ad una delle tante lettere ritrovate in un ex
manicomio e mai spedite che un malato di mente ha scritto alla sua amata
Margherita. L’autore della lettera è morto come tutti gli altri che hanno scritto
queste lettere mai spedite indirizzate a persone che non sono mai arrivate a
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destinazione. Venivano allegate alla cartella clinica del paziente. Sono state
occultate, nascoste, dimenticate, censurate. Per rendere giustizia a queste persone,
che come tutti avevano bisogno di un contatto con gli altri, di comunicare con il
mondo è stato restituita una voce alle loro parole, rendendo vivi questi messaggi
d’amore, di delirio, di assoluta lucidità, di speranza e disperazione.
Simone Cristicchi nel suo libro “Centro di igiene mentale, un cantastorie tra i
matti” ha pubblicato queste lettere molto toccanti e tra queste è nata la canzone “Ti
regalerò una rosa” che può sintetizzare come in una lettera ci sia una parte della
nostra vita e che anche i pazienti psichiatrici hanno un cuore e provano emozioni
come tutti noi.
TI REGALERO’ UNA ROSA (Simone Cristicchi)
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore
Mi chiamo Antonio e sono matto
Sono nato nel ’54 e vivo qui da quando ero bambino
Credevo di parlare col demonio
Così mi hanno chiuso quarant’anni dentro a un manicomio
Ti scrivo questa lettera perché non so parlare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E mi stupisco se provo ancora un’emozione
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Ma la colpa è della mano che non smette di tremare
Io sono come un pianoforte con un tasto rotto
L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi
E giorno e notte si assomigliano
Nella poca luce che trafigge i vetri opachi
Me la faccio ancora sotto perché ho paura
Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura
Puzza di piscio e segatura
Questa è malattia mentale e non esiste cura
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore
I matti sono punti di domanda senza frase
Migliaia di astronavi che non tornano alla base
Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole
I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole
Mi fabbrico la neve col polistirolo
La mia patologia è che son rimasto solo
Ora prendete un telescopio… misurate le distanze
E guardate tra me e voi… chi è più pericoloso?
Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto
Ritagliando un angolo che fosse solo il nostro
Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi
Non come le cartelle cliniche stipate negli archivi
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Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare
Eri come un angelo legato ad un termosifone
Nonostante tutto io ti aspetto ancora
E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore
Mi chiamo Antonio e sto sul tetto
Cara Margherita son vent’anni che ti aspetto
I matti siamo noi quando nessuno ci capisce
Quando pure il tuo migliore amico ti tradisce
Ti lascio questa lettera, adesso devo andare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E ti stupisci che io provi ancora un’emozione?
Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare.
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12. Bibliografia
• R. O. Benenzon, Manuale di musicoterapia, Roma, Borla editore, 1998
• R. O. Benenzon, La nuova musicoterapia, Roma, Phoenix , 1998
• T. Wingram, Guida generale alla musicoterapia, Roma, Ismez editore, 2002
• C. Ferrara, Musicoterapia e Psichiatria, Roma, Phoenix, 2002
• Glen O.Gabbard, Psichiatria psicodinamica,Milano, Raffaello Cortina
editore, 2002
• F. Bossoli, R. Frison, L’arte del Corago, Milano,FrancoAngeli,1998
• A.Correale, V.Nicoletti, Il gruppo in psichiatria, Roma, edizioni Borla,
2004
Siti internet
www.village.flashnet.it (La schizofrenia) pubblicato su “Diagnosi e terapia” n°10
www.cestim.it
(La legge Basaglia)
www.schizophreniaproject.org
(Creatività e schizofrenia)
www.villadeipini.it (Il disturbo bipolare)
www.mtonline.it (Esprimersi attraverso la musica nella fase acuta della
schizofrenia)
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