relazione convegno dott. paolo manco

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relazione convegno dott. paolo manco
IL PAZIENTE PSICHIATRICO E’ UNA PERSONA?
Introduzione
Se facciamo un sillogismo la risposta alla domanda se il paziente psichiatrico sia una persona, è molto
semplice e si può così riassumere:
1) Il paziente psichiatrico è un essere umano.
2) Ogni essere umano è considerato una persona.
3) Anche il paziente psichiatrico essendo un essere umano è una persona.
Io credo che tutti e in qualsiasi parte del mondo, non abbiamo difficoltà a condividere la prima affermazione
e cioè che il paziente psichiatrico è un essere umano. Non è verosimile che qualcuno di noi possa considerare
un paziente psichiatrico un cavallo, un uccello o qualunque altro essere vivente. L’essere umano ha
caratteristiche somatiche e psichiche che lo rendono distinto e diverso da qualsiasi altro essere vivente.
I dubbi possono nascere sulla seconda affermazione: ogni essere umano è una persona.
Come si fa a considerare persona chi uccide, chi violenta, chi riduce in schiavitù, chi manipola in maniera
grave altre persone? Come si fa a considerare persona chi distrugge in modo indiscriminato e per il solo
gusto di distruggere? In casi come questi la gente si chiede: ma questi individui sono persone o animali?
Anche la terza affermazione del sillogismo e cioè che il paziente psichiatrico è una persona, si presta a dubbi.
Come considerare persona chi sembra diventato un automa, si fissa sulle stesse idee, è dominato da angosce
che ne limitano l’azione, confondono il suo pensiero, lo rendono aggressivo e senza controllo, condizionano
fortemente le sue risorse?
Quando diciamo che ogni essere umano è una persona che cosa intendiamo?
Questo convegno mi ha costretto ad approfondire il concetto di persona per renderlo più evidente a me prima
che agli altri.
Ognuno di noi ha un’idea su ciò che significa essere persona.
Persona è una parola così densa di significato che è impossibile comprenderne la complessità e la portata.
Persona è nello stesso tempo la semplicità dell’atomo e la complessità dell’universo.
Pur tuttavia essendo questa parola il fondamento del nostro essere e il fondamento del diritto cioè delle
nostre relazioni con gli altri, è bene spendere un po’ del nostro tempo per capire chi siamo.
A conclusione del mio intervento io darò una serie di esemplificazioni su cosa significhi per me essere
persona. Per ora voglio illustrare dei punti cardine che sono essenziali per definire un essere umano come
persona e per far questo ricorro a degli esempi.
Genitori incorporativi e genitori rifiutanti
Molti traumi psichici nascono a causa di genitori incorporativi o rifiutanti.
Genitori incorporativi
L’incorporazione è il tentativo operato dai genitori, spesso in modo inconsapevole, di far diventare i figli una
loro proprietà, una cosa loro. Cercano di costruirli a loro immagine e somiglianza non preoccupandosi di ciò
che vogliono, sentono e desiderano i figli.
Non prevale ciò che il figlio è ma ciò che il genitore vuole.
La volontà del genitore prende il sopravvento sul figlio che diventa un oggetto nelle mani del genitore.
Genitori rifiutanti
Risultano rifiutanti quei genitori che respingono l’identità sessuale dei figli, quei genitori che sono talmente
presi dal rapporto di coppia da trascurare quello coi figli, quei genitori che hanno impegni di lavoro talmente
grandi da affidare ad altri la cura dei figli o che pur garantendo una vicinanza fisica sono psicologicamente
lontani e non percepiscono i bisogni reali dei figli.
Sia l’incorporazione che il rifiuto e l’abbandono conducono allo stesso risultato.
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L’incorporazione porta alla fusione col figlio e quindi all’annullamento del figlio come persona e entità
autonoma, con conseguente confusione e simbiosi.
Il rifiuto cioè la negazione del rapporto affettivo del genitore nei confronti del figlio, porta quest’ultimo
proprio a causa della fortissima carenza affettiva, ad annullare la sua identità e libertà, pur di ricevere un
minimo di affetto.
Nel primo caso come nel secondo caso si va verso lo stesso risultato: si diventa un tutt’uno con il genitore
privandosi di ciò che è più caro ad ognuno di noi: la nostra libertà e la nostra identità.
Sia i genitori incorporativi che quelli rifiutanti corrono il rischio di annullare i figli come persona.
Quando le madri e i padri fanno dei figli una proiezione della loro vita, del loro modo di essere e di vedere le
cose, li stanno espropriando della loro libertà e identità.
Se gli va bene avranno dei figli ribelli che da grandi faranno esattamente il contrario di quanto i genitori si
aspettano da loro; se gli va male avranno dei robot non delle persone, delle fotocopie ma non degli originali
con una loro identità e personalità.
Quando i genitori creano condizioni di forte rifiuto, spingono i figli a una dipendenza piena di rancore e
proprio a causa di questo attaccamento morboso e carico di odio avranno difficoltà a sciogliere le ali della
libertà per muoversi verso l’autonomia e lo sviluppo delle loro risorse.
L’annullamento del figlio o per incorporazione o per rifiuto ci spinge a entrare nella comprensione
dell’elemento fondamentale dell’essere persona.
La persona è un soggetto
Il soggetto non è un oggetto.
La persona non è una cosa.
Quando parliamo di soggetto affermiamo:
1) La persona è un individuo.
Individuo è tutto ciò che caratterizza e distingue un essere umano da qualsiasi altro essere umano.
Come facente parte del genere umano, l’individuo ha però le caratteristiche fondamentali e comuni agli
altri esseri umani.
2) La persona ha un IO come centro di attribuzione di tutto il suo essere: corpo e psiche.
Tutto ciò che l’individuo è, sente e pensa ha nell’IO il suo motore e la sua regìa.
3) E’ consapevole.
Proprio perché ha un IO può conoscere e distinguere e quindi è in grado di stabilire ciò che è bene e ciò
che è male.
4) E’ libero.
E’ in grado di scegliere tra il bene e il male.
È in grado di auto-trascendersi.
È in grado di auto-regolarsi.
È in grado di auto-rivelarsi.
5) Appartiene a se stesso e a nessun altro.
Se il soggetto umano ha un IO che pensa e decide, ha una sua identità e libertà, è ovvio che non può
essere proprietà di nessuno. Egli proviene dalla natura, dai genitori o da Dio per chi ha fede, ma è
intrinsecamente libero e appartenente a se stesso.
Appartiene a lui sia il corpo che la mente.
E qui consentitemi di fare una considerazione.
Poiché la Comunità Lahuèn accoglie pazienti a doppia diagnosi, cioè con sofferenze psichiatriche e
comportamenti di abuso da sostanze stupefacenti, voglio sottolineare un aspetto quanto mai urgente nella
società di oggi che riguarda sia il corpo che la mente.
Le droghe procurano danni gravissimi a tutto il corpo in special modo al cervello, l’organo preposto dalla
natura al funzionamento della psiche.
La natura ha dotato il cervello di una potente scatola cranica protettiva.
Le droghe hanno il potere sotterraneo di entrare in questa fortezza, penetrare nell’intimo del cervello
snaturandolo e intaccando le funzioni psichiche.
Riappropriarsi del funzionamento di questo organo è un diritto-dovere fondamentale se vogliamo decidere in
libertà la nostra vita.
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PERSONA E’: “IL SOGGETTO UMANO CREATIVO”.
Scrivendo questa relazione mi sono messo in testa di cercare una mia definizione di persona. Quella che ho
trovato più pertinente e sintetica per come io considero la persona è proprio questa: persona è “il soggetto
umano creativo”.
Per essere persona non basta avere un IO, essere liberi, appartenere a se stessi, bisogna anche essere creativi.
La creatività è figlia della libertà senza la quale non potrebbe esistere. Noi utilizziamo al meglio quel
grandissimo valore che è la libertà se la orientiamo verso la creatività.
Essere creativo riferito alla persona non significa soltanto produrre qualcosa di nuovo, o qualcosa di bello, o
qualcosa di bello e nuovo insieme.
Essere creativo è la capacità di produrre il bene, da cui discende il ben-essere. Essere creativi significa per la
persona raggiungere e produrre benessere per sé e per gli altri.
Non si può in realtà raggiungere il proprio benessere se non si è in armonia con quello degli altri.
Piacere e benessere
Il benessere non è il piacere.
Mangiare è un piacere ma farlo in maniera smodata ed eccessiva porta alla malattia.
La sessualità è un piacere ma esercitata contro la libertà della persona, verso i bambini, verso persone fragili
in stato di degrado materiale e morale, porta malessere e non benessere.
Le droghe e l’alcool sono un piacere ma se mettono le persone in condizione di non sapere più quello che
fanno, se le allontanano dalla loro coscienza e dal senso di responsabilità, portano malessere e non benessere.
L’odio è un piacere per il nostro orgoglio ferito dalle ingiustizie e i traumi subìti, ma se procura altri danni a
noi e agli altri, non porta benessere ma aumenta il malessere.
La voglia di dominare e sottomettere gli altri è un piacere ma se produce malessere negli altri, diventa un
male anche per noi stessi, a causa dell’odio che scatena.
Accumulare ricchezze è un piacere ma se fatto a danno degli altri produce malessere e non benessere.
Il piacere che produce malessere lavora a danno della persona e contro il suo equilibrio.
Tutto ciò che produce benessere si muove invece verso la realizzazione della persona.
Persona e creatività
Essere persona è nella sua essenza, essere creativi cioè produrre BENE.
Ma cos’è il bene?
Bene è tutto ciò che sviluppa la persona e la società, tutto ciò che la potenzia e non la distrugge, tutto ciò che
porta benessere alla persona e alla società.
Ma definire volta per volta, nelle singole circostanze, cosa è bene e cosa è male, è spesso difficile a causa del
limite umano. Di solito l’evidenza del male o del bene passa attraverso l’esperienza. E’ dopo molto tempo
che noi possiamo ad esempio esperimentare quanto le droghe siano dannose o quanto un’azione educativa
possa essere sbagliata o quanto una scelta possa essere dannosa.
Cercare il bene è un imperativo costante. Bisogna mettere un grande punto di domanda quando noi
affermiamo che il nostro modo di comportaci è un bene, poiché il bene sia per la persona ma soprattutto per
la società, non è facilmente definibile.
Il bene è frutto di intelligenza, di sensibilità, di attenzione, di dialogo, di onestà.
Bene è il risultato di un insieme di valori.
Se riflettiamo profondamente il concetto di persona include solo ciò che fa crescere la persona non ciò che la
distrugge.
La distruttività è effetto della libertà della persona, è figlia della persona, è una sua possibilità, ma non ne
costituisce la sostanza.
Se la distruttività fosse l’essenza della persona, l’essere umano non esisterebbe più. È proprio in virtù della
sua forza costruttiva che l’uomo è esistito fino ad oggi e continuerà ad esserlo nel futuro.
Essere costruttivi è un dato della persona ma è anche un processo cioè qualcosa che si costruisce giorno per
giorno. Persona è essere e divenire, principio e fine.
Essere persona è da intendersi come qualcosa che nella sua essenza è intrinsecamente positivo e creativo.
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Libertà e creatività
Ciò che rende possibile la creatività e quindi il benessere è la libertà.
La libertà può portare la persona verso il malessere ma la massima espressione delle sue potenzialità, la
libertà la ottiene orientandosi verso il bene.
La libertà è come il volante di una vettura e può girare a trecento sessanta gradi. Ma solo se il volante si
muove sulla sua corsia di marcia e nella direzione della meta, ha senso.
Se viene utilizzato per uscire fuori di strada o non si muove verso la meta, non ha senso e può produrre
distruzione e morte. La libertà raggiunge la sua più alta dimensione se si orienta creativamente; negli altri
casi procura danni a sé e agli altri.
La libertà orientata verso la creatività richiede molta attenzione e fatica ma porta certamente alla meta.
La grandezza della libertà è proprio nel fatto che si può muovere in ogni direzione.
Pensate se la libertà avesse una sola direzione. Non vi sarebbe fatica, né crescita, né volontà, né scelta. Non
sarebbe l’uomo e la persona come noi li conosciamo.
La libertà ci rende orgogliosi di noi stessi per le cose che riusciamo a fare sotto la spinta di una scelta libera e
responsabile.
Io ho sintetizzato nella creatività la capacità di produrre benessere. In realtà la creatività è la sintesi di tutti i
valori e potenzialità della persona.
Il paziente psichiatrico
Dopo aver definito la persona come “il soggetto umano creativo”, entriamo nel merito del nostro convegno
che è quello di sapere se il paziente psichiatrico è una persona.
Prima di rispondere a questo vediamo di descrivere un pochino meglio questo personaggio un po’ strano,
poco comprensibile, poco interessato alla vita quotidiana, a volte assente.
Il paziente psichiatrico è una persona che si rivolge al medico psichiatra e in generale agli operatori della
psiche, per aver un aiuto rispetto alle sue sofferenze prevalentemente psichiche ma spesso combinate con
sofferenze organiche. In sintesi il paziente psichiatrico è una persona con traumi psichici.
Questi traumi indubbiamente disturbano il buon funzionamento della persona ma sono un momento, una fase
o un qualcosa di permanente? E se tendono a permanere come nelle patologie gravi, cancellano l’essere
persona o non ne intaccano la sostanza? La persona può diventare un disturbo o rimane tale nonostante il
disturbo?
Io credo che ognuno di noi posto di fronte alla domanda se il paziente psichiatrico è ancora una persona,
risponda immediatamente di sì. Se però la stessa persona è in contatto continuo con un malato che ripete per
giorni, mesi ed anni comportamenti incoerenti, pensiero confuso, rifiuto della vita reale, mancanza di
responsabilità e tutte quelle distorsioni e disturbi di cui sono pieni i libri di psichiatria, qualche dubbio che si
abbia a che fare con delle persone, può venire.
Il dubbio di Daniele
Un giorno ero in seduta analitica con un paziente e sento bussare alla porta. Vado ad aprire. È Daniele, un
bambino di quattro anni, figlio di due operatori della comunità. Non è molto professionale ma per non fargli
sentire un rifiuto visto che è molto legato a me, lo faccio entrare. E continuo ad ascoltare il mio paziente.
Questi oltre ad essere schizofrenico era anche leggermente balbuziente. Stava inciampando sulla lettera “S”
che ha ripetuto per circa un minuto senza riuscire a completare la parola. Il bambino lo guardava incuriosito
e poi è sbottato: “nonno questo è un’ape!”. L’esempio riportato l’ho ritenuto molto illuminante per spiegare
un concetto fondamentale rispetto al tema di questo convegno e cioè di non confondere un aspetto, una
espressione, una manifestazione di una persona con qualcosa di completamente diverso dalla persona, fino a
snaturarla.
Daniele a causa di una “S” che imita il ronzio di un’ape, fa diventare il paziente un’ape.
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Il rischio che corriamo di fronte a sintomi che si ripetono nel tempo, è di far diventare il paziente il suo
sintomo, snaturandolo della sua sostanza che è di essere sempre e comunque una persona.
Non si rende un buon servizio alla verità privando il paziente psichiatrico del suo essere e rimanere
sostanzialmente persona. Così facendo lo si riduce solo a trauma, a sintomo, a sofferenza, a scarse capacità e
quant’altro.
Sarebbe come considerare aggettivo un sostantivo, il particolare come l’insieme, il marginale come
sostanziale.
Per essere ancora più chiari, è come considerare un’ernia, un’appendicite, una sofferenza epatica, cardiaca,
un tumore, come se fossero la persona.
Non c’è dubbio che una malattia psichica o fisica possano intaccare il funzionamento di tutta la persona ma
malattia e persona non sono la stessa realtà.
Si intersecano, si toccano, si condizionano ma sono comunque diverse se pur correlate e facenti parte della
stessa unità.
Non possiamo confondere il bambino con l’acqua con cui l’abbiamo lavato. L’acqua può essere sporca,
appartiene al bambino ma non sono la stessa cosa: un conto è il bambino, un conto è l’acqua sporca.
Parimenti un conto è la persona, un conto è la malattia. La persona è portatrice di malattia ma non si
identifica con essa.
E questo vale pure per il paziente psichiatrico.
Già il solo fatto di chiamarlo “paziente psichiatrico”, se da una parte tale linguaggio chiarisce
immediatamente l’aspetto malato, dall’altra mette in ombra l’essere persona che ne è l’aspetto originario e
fondamentale.
Perciò è bene affermare con forza il concetto che il paziente psichiatrico è e rimane per sempre una persona,
cioè un soggetto con un IO che conosce, decide, sa darsi delle regole, sa distinguere il bene dal male e sa
quindi orientarsi in senso creativo.
Il trauma psichico
Il trauma psichico indubbiamente crea un disturbo nel funzionamento della persona e il disturbo a volte è di
tale gravità da alterare le funzioni della mente come la memoria, l’intelligenza, la conoscenza di sé, la
relazione con gli altri, la vita emotiva, la libertà, la volontà, il senso di responsabilità.
Il trauma psichico è una sofferenza talmente intollerabile e talmente prolungata nel tempo, da non potersi
sopportare.
Il bambino si difende dal trauma attraverso una serie di meccanismi difensivi come la rimozione, la
negazione, la proiezione; l’adulto più frequentemente utilizza i sintomi per nascondere la sofferenza del
trauma. Le fobie, le ossessioni, le paranoie, le droghe, comportamenti isterici o anti-sociali, un certo modo di
utilizzare i farmaci, specie se fatti senza controllo medico, sono delle modalità per non vedere e sentire
quello che ci abita dentro e ci fa soffrire. Si può definire malattia psichica la scarsa capacità o l’incapacità
ove si tratti di traumi molto gravi a entrare in contatto con tutte le parti di sé. C’è una tendenza dentro di noi
a coprire ciò che ci fa male.
Si può definire invece normalità la capacità di toccare tutte le parti di sé: le proprie paure, angosce, la
sofferenza, la solitudine, le proprie fragilità, l’orgoglio, il narcisismo, i limiti, come pure le proprie qualità e
potenzialità.
Nevrosi e psicosi equivale a “ essere carenti di “ a essere poco capaci o incapaci di toccarsi e globalmente e
nei singoli aspetti della personalità.
L’IO normale sa muoversi invece nel quotidiano, nella vita, così come è, senza nascondigli, senza sintomi
che coprono. È ovvio che sia i meccanismi di difesa, come pure i sintomi hanno una funzione terapeutica che
è quella di proteggere la psiche da sofferenze troppo acute, troppo prolungate per poter essere sopportate. Ma
è anche vero che se i sintomi continuano a persistere e a danneggiare le potenzialità e le risorse della persona
bisogna correre ai ripari affrontando il problema.
Trauma psichico e risposta della persona
Abbiamo visto come il trauma psichico è un movimento di chiusura della mente per difendersi da un dolore,
da una tensione, da paure troppo grandi da sopportare. Sappiamo anche che c’è una tendenza a ripetere il
trauma subìto, quasi a contattare lo stesso vissuto e trovare una risposta più adeguata. Ma il trauma psichico
si esprime in maniera deterministica e inalterata nel tempo o è invece subordinato al potere creativo della
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persona? Può la persona dire la sua rispetto a quanto gli succede o è costretto a subirne il danno senza alcuna
possibilità reattiva? I meccanismi di difesa del bambino o lo sviluppo dei sintomi nell’adulto, sono l’unica
possibile risposta o esistono altre possibilità?
Certo quando si tratta di bambini le capacità reattive di fronte alle ingiustizie e ai traumi subiti da parte degli
adulti, non sono molto elevate. Il bambino ha molte fragilità per poter reagire in modo adeguato al danno
subìto.
L’adulto avendo un IO più strutturato, maggiore esperienza, più forza fisica e psichica, può reagire in modo
più adeguato.
Ma c’è dell’altro.
La malattia psichica non è solo chiusura di fronte al dolore. La malattia è anche chiusura all’altro per il
danno ricevuto; è una risposta di odio cosciente ma molto più spesso inconscio, al torto subìto, all’ingiustizia
ricevuta.
È l’orgoglio ferito, è la voglia di vendicarsi che spingono il bambino e l’adulto a mantenere nel tempo la
malattia come testimonianza delle ingiustizie subìte.
Le ferite narcisistiche spingono la persona a utilizzare la malattia come una clava per colpire e vendicarsi del
male ricevuto.
La malattia è chiusura per trauma ma è anche chiusura per scelta.
Ma sia sulla chiusura per trauma, sia sulla chiusura per scelta, si può intervenire per contrastare la malattia e
in molti casi per vincerla.
La riabilitazione psichiatrica nella Comunità Lahuèn
Non vi è dubbio che la medicina e la psichiatria si siano assunte l’onore e l’onere di affrontare e porre
rimedio al malessere psichico.
L’uso dei farmaci e in particolare degli psicofarmaci hanno svolto un importante ruolo nel contenimento
degli aspetti più devastanti della malattia psichica.
Non entro nel merito dell’uso e dell’abuso dei farmaci, essendo uno psicologo e psicoterapeuta e non un
competente in materia.
Nella mia attività di psicologo e come responsabile di comunità ho potuto apprezzare quanto sia
fondamentale l’azione dello psichiatra per creare le condizioni ideali per un trattamento psicologico e
psicoterapico.
La Comunità Lahuèn chiede allo psichiatra di dare ai pazienti dei farmaci che li mettano in condizione di
sentirsi, di ascoltarsi, di viversi, di pensarsi, di riprendersi in mano, di stabilire dei rapporti.
Quando i pazienti li stordiamo con farmaci per tenerli buoni e renderli innocui, li stiamo allontanando da noi.
Così pure l’uso dei farmaci per contenere i pazienti va bene se li aiutano, come dice il significato letterale
della parola con-tenere, a “tenerli con noi”. Ma se li allontanano da noi, se li isolano, se li annullano, hanno
lo stesso significato delle camicie di forza e dei letti di contenzione dei vecchi manicomi.
I farmaci devono creare le condizioni migliori per un buon trattamento ma non sono uno strumento di
punizione e di mortificazione della dignità della persona.
Io lo so quanto possa essere facile per la società, per le famiglie e a volte anche per noi operatori della
psiche, la tentazione di tener buoni i pazienti, far sì che non disturbino, non siano un problema per nessuno.
Quando gli psicofarmaci vengono usati per stendere i pazienti e renderli inoffensivi, non stiamo mettendo in
atto una cura ma un abuso.
Per noi Comunità Lahuèn il fine prevalente di una cura è creare condizioni, possibilità, energie e non
passività, inerzia o catene.
Il contenimento farmacologico tradizionale può essere previsto in qualche raro momento della cura, in acuzie
ma non diventare una riduzione del paziente a uno stato di impotenza psicologica e sterile passività.
L’uso di psicofarmaci deve avere prevalentemente una finalità terapeutica, deve cioè migliorare le condizioni
psichiche della persona. Quando sono utilizzati per bloccare e fermare la persona, è lecito farlo in circostanze
di pericolosità personale e sociale.
La riabilitazione psicologica nella Comunità Lahuèn
Dopo la legge Basaglia e relativa chiusura dei manicomi, si sono moltiplicate in Italia le Comunità
Riabilitative.
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La Comunità Lahuèn nacque sia per offrire una risposta alle tossicodipendenze, sia alle problematiche
psichiatriche. L’identità della comunità si strutturò intorno al disagio, ai traumi presenti sia in chi assumeva
stupefacenti, sia in chi aveva disturbi di natura psichiatrica.
Il trattamento di pazienti con patologie così diverse dava alla comunità una vivacità e una ricchezza d’essere
difficilmente riscontrabile in comunità dal taglio prettamente psichiatrico.
Col tempo e ancora oggi la Comunità Lahuèn anche su suggerimento della Regione dell’Umbria si orientò
più psichiatricamente ma sempre preferendo patologie a doppia diagnosi.
Fu una svolta quasi obbligata visto che la tossicodipendenza evolve sempre più rapidamente verso patologie
di chiara impronta psichiatrica.
La riabilitazione comunitaria si muove verso due direzioni:
individuazione dei traumi e liberazione dal sintomo attraverso un intervento psicologico e
psicoterapico sia individuale che di gruppo.
attivazione delle risorse del paziente attraverso una personale partecipazione all’andamento
comunitario e a tutta una serie di laboratori ed iniziative in campo artigianale, artistico, culturale, sportivo
ecc..
L’operatore è considerato non solo come lo specialista che aiuta a conoscere e a sostenere il trauma ma
anche come un facilitatore nella scoperta e messa in atto delle risorse del paziente.
L’operatore aiuta il paziente con tutto il suo essere persona.
Il paziente diventa il principale protagonista della sua guarigione sia impegnandosi nella conoscenza e
risoluzione del trauma attraverso la competenza degli specialisti con i quali è a contatto quotidianamente, sia
impegnandosi ogni giorno nell’attivazione delle sue risorse.
La riabilitazione attraverso l’uso del potere creativo del paziente e di tutti coloro che si prendono cura di
lui
Il potere creativo è l’unico vero grande potere che abbiamo, perché dipende da noi e solo da noi. La capacità
di essere nel bene, di rimanere in comportamenti costruttivi, è una scelta che dipende solo dalla persona.
Noi abbiamo il potere enorme e a portata di tutti di rispondere in maniera costruttiva di fronte a qualsiasi
provocazione, a qualsiasi ingiustizia, a qualsiasi azione distruttiva, a qualsiasi trauma ricevuto.
Questo è il vero e reale potere in possesso di ogni essere umano, pazienti psichiatrici compresi: quello di
rimanere e operare nella creatività, nella ricerca costante del bene e del benessere nostro e della società.
La messa in atto del nostro potere creativo è l’unica rivoluzione veramente possibile perché dipende da noi e
solo se noi la vogliamo.
Lamentarsi come spesso facciamo, del mondo che non va, è tempo perso dal momento che possiamo mettere
le mani sulla cellula fondamentale della vita sociale: la PERSONA UMANA.
Potere creativo è nella sostanza la capacità di trasformare il male in bene, il limite in possibilità, il trauma e il
dolore in forza, l’oppressione in liberazione, l’ingiustizia in solidarietà, la sconfitta in voglia di vittoria.
Non esistono avvenimenti umani per quanto drammatici che non possano diventare occasione di potenza
creativa e questo grazie alla capacità di ESSERE PERSONA.
Gli alchimisti del passato mescolando le sostanze tentarono di trovare una formula che le trasformasse in oro.
In campo umano e nella profondità della persona c’è la reale possibilità di trasformare se stessi in soggetti di
amore piuttosto che di odio, di forza piuttosto che di debolezza, di verità anzichè di menzogna.
Tutto dipende da come vogliamo orientare la nostra libertà e la nostra volontà, nel senso distruttivo o
costruttivo, verso la morte o verso la vita.
Il binomio comunità-pazienti, persona operatore-persona paziente sono un accumulatore di energie
formidabile per sbloccare i traumi, accoglierli e trasformarli. La comunità si pone come un veicolo potente
per comprendere, sostenere e risolvere i traumi dei pazienti.
Questi ultimi devono trovare nell’IO persona la forza di affrontarli e di superarli attraverso il perdono, il
superamento dell’odio e l’amore verso se stessi e gli altri.
Non c’è terapia che tenga se la persona non vuole cambiare, tutto è possibile se lo vuole veramente.
Errori più comuni nei confronti dei pazienti psichiatrici
1) Il paziente psichiatrico non è un poverino
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Il paziente psichiatrico non è un incapace, non è uno a cui bisogna fare tutto, non è solo una vittima cui tutto
è dovuto in virtù del trauma ricevuto.
Questo modo di trattare il paziente è un buonismo fuori posto, un modo per farlo sentire incapace di reagire e
dire la sua, di metterlo in impotenza di fronte a quanto è successo, di considerarsi solo come vittima e non
come possibile complice del trauma.
Il fatto di aver subìto il trauma non lo mette automaticamente in una presunzione di innocenza.
Abbiamo visto come sia fondamentale nella malattia psichica la risposta che il paziente dà al danno subìto.
L’IO del paziente è in grado di discernere, se lo vuole, il costruttivo dal distruttivo, il comodo dallo
scomodo. Bisogna distinguere dentro di lui gli elementi di gioco da quelli reali, i suoi “non posso” dai suoi
“non voglio”.
Pazzia e stupidità non coincidono.
Voi dovreste vedere con quale attenzione i miei ragazzi seguono le psicoterapie di gruppo e l’interpretazione
finale.
I pazienti più gravi vengono a congratularsi e darmi la mano anche se finito il gruppo, nel quotidiano, il loro
comportamento è quello indolente di sempre. Ma capiscono e quando uno capisce prima o poi può cambiare.
Direi che hanno una intelligenza fuori dal normale anche se la utilizzano male.
Un ragazzo schizofrenico che diceva di vedere le luci e sentire le voci, è stato capace di sfilare le chiavi dalla
tasca del padre, prendere la macchina, fuggire dall’albergo dove era alloggiato con i genitori, raggiungere
l’aeroporto di Fiumicino, fare il biglietto aereo e andare in Sardegna.
Per ottenere i loro obiettivi, basati spesso sul principio del piacere sono capaci di qualsiasi scaltrezza,
mettendo in difficoltà anche operatori di lunga esperienza.
Quello con cui sono ancora poco in contatto, è la capacità di essere pienamente persone, cioè di orientare la
loro vita in senso creativo e costruttivo.
2) Il paziente psichiatrico non è un essere inferiore
Chiunque voglia giustificare il dominio sull’altro comincia col considerarlo inferiore.
Ogni volta che ci si sente superiori per questioni di razza, di sesso, di religione, si mettono le basi per il
dominio, la sopraffazione e lo sfruttamento.
Il rispetto di chi è in difficoltà, di chi ha meno potere, la dice lunga sulla civiltà di una nazione.
Lì dove non c’è rispetto per la fragilità, la debolezza, le difficoltà, la diversità, c’è prepotenza e inciviltà.
Avere traumi non rende inferiori, semmai fragili.
Il trauma psichico più è grande più merita rispetto, proprio perché provoca condizioni di grande fragilità.
Così come va rispettato il bambino piccolo o l’anziano lo stesso rispetto va riservato al malato psichico che
non è in grado a causa del trauma di avere accesso a tutte le potenzialità del suo essere.
Di fronte ad una malattia fisica, impossibile da risolvere, noi siamo vicini al dolore di queste persone
fornendo ogni aiuto possibile e non ci sogniamo mai di considerarle inferiori.
Lo stesso vale per i malati psichici anche se si trovano in condizioni di estrema difficoltà.
Il trauma psichico anche quando non si riesce a capirlo e risolverlo, a causa di difese potenti o troppo
radicate, bisogna imparare ad accompagnarlo.
Il trauma psichico più è grande, più diventa cronico, più merita rispetto.
Così come siamo vicini a chi ha una grave malattia fisica o ha subìto un grave lutto, così dobbiamo essere
vicini e accompagnare con tutto il nostro affetto chi è in stato di grave disagio psichico.
Ne va della nostra dignità di persona, ne va della loro dignità di persona.
3) Il paziente psichiatrico non è un paziente impossibile
Quando si parla di persone, di ogni persona, la parola impossibile è da usare con le molle.
Attenzione a non passare dalla difficoltà alla impossibilità.
Non c’è dubbio che relazionare col malato psichico non è sempre facile.
Ma partiamo dalla nostra esperienza.
Quante volte diciamo “non ci riesco, non ce la faccio”. In realtà è solo difficile non impossibile. Basta
provare, riprovare, insistere e prima o poi ci riusciamo. È questione di tempo e di allenamento.
Molto spesso le impotenze dei nostri pazienti sono le impotenze di noi terapeuti, delle famiglie e della
società.
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Prima di mettere le mani sulle impotenze dei nostri pazienti, dobbiamo mettere le mani sulle nostre
impotenze che abbiamo paura di affrontare.
I pazienti essendo essere umani come noi, ci sono speculari, simili a noi.
Più affrontiamo il nostro mondo interiore, più saremo in grado di conoscere quello dei pazienti, più
conosciamo le nostre fragilità, più le riconosciamo nei nostri pazienti; più siamo in contatto con le nostre
paure, più ci sono chiare quelle dei pazienti; più siamo in contatto con i nostri traumi, più siamo in grado di
capire e solidarizzare con quelli dei nostri pazienti; più riconosciamo la nostra distruttività più la
individuiamo nei pazienti; più non riconosciamo la nostra follia più la proiettiamo sui pazienti.
Molto spesso la bella copia della follia, la riserviamo ai pazienti psichiatrici e la facciamo infiocchettare con
tanto di diagnosi dai trattati di psichiatria, dai DSM e dagli psicologi; la brutta copia della follia, quella
scritta quotidianamente da noi, la teniamo invece ben nascosta e risulta illeggibile persino a noi che la
scriviamo.
La follia è un patrimonio comune ed è saggio che ognuno prenda quello che appartiene a lui. Dividere il
mondo in sani e malati è un’operazione che rende i cosiddetti sani più tranquilli, ma non fa onore alla verità.
Scendere dentro di noi e vedere le nostre parti sane e quelle malate, ci rende tutti più umili, più consapevoli
dei nostri limiti e più solidali tra noi.
4) Il paziente psichiatrico non è solo trauma e non è solo sintomo.
La persona va considerata nel suo insieme, come unità non in un singolo aspetto.
Quando parliamo di un paziente psichiatrico stiamo parlando di una persona con traumi psichici ma non
stiamo dicendo che quella persona è un trauma psichico e basta. Si tratta di persone come ognuno di noi e
quindi con un IO capace di intendere e volere, con una propria identità e progettualità, con una sua libertà e
volontà, con una propria finalità.
Guai a identificarlo solo con i suoi traumi e pensare che la sua malattia non gli dia altra possibilità se non
quella di fare il malato. Identificarlo come malato significa privarlo della cosa che è più sacra, unica e reale,
di essere una persona.
Non facciamo come Daniele che ha fatto diventare ape una persona. Lo stesso errore faremmo noi se
vedessimo il paziente solo come un malato; lo priveremmo della sua essenza, della sua sostanza.
È vero che il trauma specie se prolungato nel tempo diventa come un buco nero, come un tumore che tende
ad assorbire e annullare le energie della persona, ma è anche vero che se noi disconosciamo il potere della
persona di mettere le mani sulla sua malattia noi lo stiamo riducendo a oggetto non a soggetto, a cosa non a
persona.
Stesso discorso vale per il sintomo.
Il sintomo è una espressione della persona ma non ne costituisce l’essenza.
Per cercare di spiegare la differenza fra trauma e persona, fra sintomo e persona ricorro a questo esempio,
alla differenza che passa fra un regista e il suo film, tra un regista e il suo cartone animato.
La persona è il regista, il trauma e il sintomo un’espressione del regista.
Considerare regista il trauma o il sintomo significa annullare qualsiasi tentativo riabilitativo.
Se noi riteniamo che il trauma e il sintomo, rendono schiava la persona e non invece che la persona possa
essere padrona di entrambi, è inutile tentare qualsiasi riabilitazione. È vero che il trauma tende a farla da
padrone ed assoggettare la persona al suo servizio, ma è ancora più vero che esistono nel fatto di essere
persona tutti i presupposti per affrontare e risolvere situazioni anche molto compromesse.
E’ in virtù dell’essere persona, dell’essere registi e non cartoni animati, che noi possiamo puntare al
cambiamento.
E’ in virtù del fatto di essere persona che possiamo chiedere a chi è stato sottoposto a traumi di ogni genere
di perdonare per il male subìto o per quello procurato.
E’ l’essere persona il motore sul quale far leva per qualsiasi cambiamento dentro di noi e negli altri, nei
terapeuti e nei pazienti.
È la consapevolezza che i pazienti sono persone a farli considerare come risorse e non come pesi.
È il loro essere persona che autorizza e impone investimenti di energie umane morali ed economiche, da
parte dei singoli e delle istituzioni per portarli alla massima espressione e consapevolezza di sé.
È l’essere i pazienti delle persone che impone a terapeuti, famiglie, società a non demordere sulla malattia
mentale, a provarci sempre, ad avere fiducia, a credere che la malattia psichica possa essere vinta o per lo
meno affrontata con determinazione e coraggio.
Essere persona è patrimonio di tutti noi grandi e piccoli, ricchi e poveri, potenti della terra e semplici
cittadini, cosiddetti malati e cosiddetti sani.
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Se non sappiamo far risplendere dentro di noi il sole dell’essere persona, saremo portati a pensare che
l’eclisse della malattia psichica sia qualcosa di definitivo e irreparabile.
Se invece consideriamo l’essere persona qualcosa di vivo e inestinguibile, ci batteremo affinché questa
energia presente in ogni essere umano, esploda in tutta la sua forza anche in persone che sembra l’abbiano
sepolta.
C’è una cosa che ci fonda tutti, ci accompagna sempre tutti, dalla vita alla morte: l’ESSERE PERSONA.
È per questo motivo che io mi rivolgo in questa fase finale del mio intervento a tutte le persone presenti per
comunicare cosa significhi per me essere persona.
Il resto lo aggiungerà ognuno di voi.
Io sono una persona
- Io sono una persona se ho una mia voce, se do una mia risposta.
- Io sono una persona se entro in ascolto profondo della voce degli altri.
- Io sono una persona quando assumo il bene e il male che c’è dentro di me.
- Io sono una persona se do voce ai miei bisogni, ai miei diritti e so contemporaneamente dare voce ai
bisogni e ai diritti degli altri.
- Io sono una persona se non consento a nessuno di calpestare i miei diritti, i miei bisogni, la mia dignità,
tutto ciò che è sacro per me.
- Io sono una persona se considero la mia coscienza come un tribunale cui rispondere in ogni circostanza.
- Io sono una persona se non delego ad altri ciò che posso fare io.
- Io sono una persona se non mi faccio considerare come una cosa, un oggetto da usare a piacimento.
- Io sono una persona se so entrare in tutto ciò che costituisce un valore e so uscire da tutto ciò che valore
non è.
- Io sono una persona se vivo senza stampelle di sostanze che mi allontanano da me stesso e mi tolgono la
libertà e la consapevolezza di me.
- Io sono una persona se so toccare la mia sofferenza, i miei limiti, i traumi, le separazioni, le sconfitte, i
tradimenti, tutto ciò che è causa di sofferenza.
- Io sono una persona se so riconoscere il male che è dentro di me e decido di superarlo.
- Io sono una persona se so che la mia libertà apre e chiude le porte, crea e distrugge.
- Io sono una persona se rispondo con una azione costruttiva ad una distruttiva.
- Io sono una persona se so trasformare l’impotenza in potenza, la paura in coraggio, la disperazione in
speranza.
- Io sono una persona quando mi rialzo, quando metto il cuore oltre l’ostacolo, la mente oltre il limite.
- Io sono una persona se amo la mia identità, la mia famiglia, la mia cultura ma ho rispetto sincero di ciò che
sono e sentono gli altri.
- Io sono una persona se difendo la mia libertà e non invado quella degli altri.
- Io sono una persona se so riconoscere la verità da chiunque e da dovunque essa provenga.
- Io sono una persona se so dire sì al bene e no al male, sì alla verità no alla menzogna, sì alla giustizia no
all’ingiustizia.
- Io sono una persona se non delego partiti, organizzazioni, sindacati, istituzioni a pensare al posto mio.
- Io sono una persona se non approfitto dei piccoli, dei deboli, di chi non sa difendersi.
- Io sono una persona se ho occasione di rubare impunemente e non rubo, di manipolare senza conseguenze e
non manipolo, di approfittare delle disgrazie degli altri e non approfitto.
- Io sono una persona se so vedere quel che ci unisce e so trovare una soluzione a ciò che ci divide.
- Io sono una persona se tra la legge dello Stato che me lo consente e la legge della coscienza che me lo
vieta, io scelgo la voce della mia coscienza.
- Io sono una persona se ho sempre qualcosa da aggiungere al mio essere persona perché di ESSERE
PERSONA non si finisce mai in quanto PERSONA E’: “IL SOGGETTO UMANO CREATIVO”.
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