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Corso di Laurea triennale in
Servizio Sociale
IL RUOLO DELL'ASSISTENTE SOCIALE NELLA PROBATION
RELATRICE:
LAUREANDO:
PROF.SSA ELENA MATTEVI
PIETRO ANIM ATOBRA DWOMO
MATRICOLA: 161033
Anno accademico 2014/2015
A EUNICE
INDICE
CAPITOLO I
INTRODUZIONE
1. Definizione e caratteristiche del probation
p.
4
2. L'introduzione dell'affidamento in prova al servizio sociale
nell'ordinamento italiano
»
5
3. I lavori preparatori alle norme sull'ordinamento penitenziario del
1975
»
6
4. Le successive riforme alle norme sull'ordinamento penitenziario
del 1975
»
8
1. Presupposti e struttura dell'affidamento in prova al servizio
sociale
»
14
2. Il ruolo dell'assistente sociale nell'affidamento in prova al servizio
sociale
»
18
CAPITOLO II
L'AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
CAPITOLO III
LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA
DELL'IMPUTATO
1. Introduzione
»
23
2. La ratio legis dell'istituto
»
23
3. I contenuti della legge n. 67/2014
»
25
4. Differenze con la messa alla prova nel processo penale minorile
»
31
5. Le funzioni dell'assistente sociale dell'UEPE nell'istituto della
messa alla prova
»
32
CONCLUSIONI
»
38
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
»
42
1
“The future belongs to those who prepare for it today”
(MALCOM X)
2
3
Capitolo I
INTRODUZIONE
1. Definizione e caratteristiche del probation
Nel nostro ordinamento sono presenti due forme di probation: l'affidamento in prova
al servizio sociale, delineato dall'articolo 49 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio
1975, n.354) e l'istituto della messa alla prova, previsto sia per i minorenni che per i
maggiorenni. Entrambi gli istituti traggono origine dal probation system di origine
anglosassone, nato nel XIX secolo e alla quale si sono ispirati anche altri ordinamenti
europei seppur con qualche differenza.
Il padre della probation è considerato John Augustus che, nel XIX secolo, decise di
pagare la cauzione ad un soggetto alcolizzato sottoposto a processo, ritenendo che il suo
recupero sociale potesse avvenire anche in mancanza di un periodo di detenzione. L'uomo
incriminato, quindi, posto sotto la vigilanza di Augustus per un periodo di prova, divenne
un soggetto esemplare e vi fu una completa rieducazione dello stesso, tanto che il giudice
decise di lasciarlo libero. Augustus diventò così il primo probation officer e, da quel
momento in poi, anche in molti altri casi venne adottata tale soluzione fino a divenire vero
e proprio istituto.
Nel sistema ideato si possono individuare i medesimi caratteri dei sistemi di
probation odierni1. I requisiti essenziali sono: un giudice che dispone la rinuncia
condizionata alla punizione, optando per un percorso che permetta la rieducazione;
l'imposizione al reo di regole di condotta, positive o negative, che non si esauriscono nella
non commissione di reati ma che si estendono ai comportamenti da mantenere nella vita
individuale e sociale; l'affidamento del soggetto ad una persona che si assume il compito
1 LETIZIA GALATI M-RANDAZZO L., La messa alla prova nel processo penale, Giuffre' editore, Milano
2015, pag 131.
4
di vigilanza, di sostegno e di controllo durante il periodo di prova, al fine di ostacolarne la
ricaduta nel delitto e favorirne il reinserimento sociale; l'eventuale revoca del beneficio nel
caso di inosservanza delle regole imposte2.
2.
L'introduzione
dell'affidamento
in
prova
al
servizio
sociale
nell'ordinamento italiano
Con le norme sull'ordinamento penitenziario del 1975 anche nel nostro paese sono
state introdotte delle forme di probation. L'ordinamento antecedente era caratterizzato
solamente dalla compresenza di due categorie di sanzioni, le pene e le misure di sicurezza.
Entrambe sono basate su misure di tipo detentivo, almeno fino al 1975 3. Tuttavia, con
l'entrata in vigore della Costituzione del 1948, si sono affermati alcuni principi che hanno
messo in crisi il precedente sistema penale. L'articolo 27 della Costituzione, per il quale:
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato”, ad esempio dimostra come un sistema
sanzionatorio, basato esclusivamente sulla pena carceraria, non era in linea con la
Costituzione.
Dunque, l'impianto a quel tempo vigente appariva insufficiente a garantire l'idea
Costituzionale di rieducazione e non era in grado di agevolare adeguatamente il contatto
del condannato con il mondo esterno, poiché non favoriva una corretta risocializzazione.
E' a partire dalle necessità di permettere la risocializzazione e la rieducazione dei
condannati che una forma di probation, qual'è l'affidamento in prova al servizio sociale,
viene introdotta nel nostro sistema penitenziario. Seppur non si faccia chiaro riferimento al
concetto di probation, sia nel codice penale che nel nuovo ordinamento penitenziario, le
2 MANTOVANI F., Diritto penale: parte generale, Cedam., Padova, 2009, pag. 748.
3 Il codice Rocco è il codice entrato in vigore nel 1930, il quale ha sostituito il vecchio codice Zanardelli.
Per approfondire http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law-ways/musio/cap1.htm (consultato il
19/11/2015).
5
riforme hanno cercato comunque di introdurre delle forme adattabili al contesto italiano.
Era emerso sempre più chiaramente che per essere in linea con quanto sancito dalla
Costituzione ed avere un efficace trattamento sanzionatorio era necessaria una deflazione
carceraria di quei condannati che non avevano commesso reati gravi, in modo da
concentrare il trattamento intra-murario per i condannati più pericolosi e in modo da
prevedere forme alternative di espiazione della pena per i primi 4. In questo modo, i
condannati avrebbero potuto beneficiare di quell'opera di rieducazione che avrebbe
permesso il loro reinserimento nella società.
La nuova visione di pena, non più carcero-centrica, aveva testimoniato di fatto la
crisi della pena detentiva. Questo scaturiva dalla comune constatazione che la pena
carceraria non sempre era necessaria poiché lo stato moderno aveva ampie possibilità di
creare altri strumenti sanzionatori che permettessero la rieducazione del condannato.
In alcuni casi, la pena detentiva poteva apparire o controindicata ai fini
specialpreventivi oppure troppo stigmatizzante per il soggetto e la sua famiglia, oltre ad
essere costosa per la collettività. Dunque, tali motivazioni hanno fatto sì che la funzione
della pena detentiva assumesse sempre più una connotazione negativa la quale, del resto,
generava il continuo aumento della popolazione carceraria al punto da rendere di fatto
difficile l'umanizzazione, l'ordine ed il trattamento risocializzativo5.
3. I lavori preparatori alle norme sull'ordinamento penitenziario del 1975
La nascita dell'istituto dell'affidamento in prova nell'ordinamento italiano è
contemporanea
all'introduzione
della
Legge
n.
354/1975,
recante
le
norme
sull'ordinamento penitenziario. Per quanto riguarda i lavori parlamentari che hanno portato
all'approvazione di quest'ultimo sono necessarie alcune precisazioni.
4 RISPOLI V., L’affidamento in prova al servizio sociale, Giuffrè Milano, 2006, pag. 13 ss.
5 MANTOVANI F., diritto penale: parte generale, Cedam., Padova, 2009, pag 738 ss.
6
A partire dagli anni quaranta si erano susseguiti dei tentativi di modifica della
legislazione penitenziaria, senza alcun successo. Negli anni sessanta, il ministro Gonella
aveva presentato un disegno di legge che era divenuto la base per tutte le elaborazioni
successive. Anche se l'istituto dell'affidamento in prova non era presente in quest'ultimo,
nel dicembre 1973 il medesimo disegno venne rimesso alla Commissione giustizia del
Senato e attraverso un lavoro preparatorio demandato ad una sottocommissione, il testo
venne approvato con l'apporto di alcune modifiche di carattere sostanziale, fra le quali
spiccava, appunto, l'affidamento in prova al servizio sociale.
Il disegno di legge, inizialmente approvato dal Senato, prevedeva che la misura
dell'affidamento potesse essere concessa: quando la pena detentiva non era seguita da
misura di sicurezza; quando la pena non superava i due anni e sei mesi di reclusione e, in
particolare, nei casi di persone di età inferiore ai ventuno anni o superiore agli ottanta,
quando la pena superava i tre anni. Il condannato, poi, poteva beneficiare dell'affidamento
solo dopo l'osservazione della personalità che veniva compiuta prima dell'esecuzione della
pena, previa istanza dell'interessato. Tale assetto dell'istituto, quindi, era simile ad un
modello di sospensione condizionale con periodo di prova6.
Successivamente, col passaggio alla Camera del disegno di legge, erano state inserite
numerose modifiche di carattere restrittivo. Infatti, la concessione della misura alternativa
era subordinata ai risultati di un'osservazione della personalità condotta per almeno tre
mesi all'interno di un istituto penitenziario e, quindi, si allontanava dai modelli di
probation che si affermavano in Europa e diventava simile al probation con "assaggio di
6 I due istituti, infatti, sono simili proprio per la possibilità di beneficiare della misura solo dopo una
condanna ma prima dell'inizio della sua esecuzione. La misura della sospensione condizionale della pena,
tuttavia, si distingue per il fatto che al reo, la cui condanna non supera i due anni di detenzione, viene
sospesa l'esecuzione della stessa, per un determinato periodo di tempo. Al termine si questo, se non avrà
commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole, suddetto reato viene estinto e non ha
quindi luogo la sua esecuzione.
7
pena", vanificando la funzione di misura preordinata ad evitare il contatto con il carcere
per i condannati a pene di lieve entità7.
Attraverso un'ulteriore modifica, poi, la Camera aveva introdotto anche una
condizione ostativa ai fini della concessione dell'istituto. Infatti, il condannato che era stato
sottoposto a una misura di sicurezza di tipo detentivo era escluso dalla possibilità di
beneficiare della misura. Quest'ultima modifica aveva lo scopo di evitare la contraddizione
che, invece, si sarebbe creata tra la pericolosità sociale dell'individuo che la misura di
sicurezza cerca di prevenire ed allo stesso tempo una sua idoneità alle prescrizioni 8. Infine,
la misura era stata negata anche ai condannati che incorrevano più volte in reati della
stessa indole (art. 101 c.p).
In conclusione, nella sua fisionomia originaria, il legislatore aveva concepito
l'affidamento come una misura di controllo e di sostegno rivolto alla criminalità mediopiccola. Era la stessa legge ad indicare espressamente come l'istituto fosse finalizzato al
superamento delle "difficoltà di adattamento alla vita sociale", con ciò ribadendo
l'individuazione di uno specifico target di destinatari. Dunque, l'istituto del probation in
Italia nacque da una scelta ben precisa, secondo la quale i destinatari della misura
risultavano coloro che, non solo per le loro condizioni personali, ma anche per la loro
ridotta capacità a delinquere, apparivano più idonei al trattamento.
4. Le successive riforme alle norme sull'ordinamento penitenziario del 1975
Dall'approvazione delle norme sull'ordinamento del 1975 ad oggi sono intercorse
numerose riforme nell'ambito penitenziario. L'originaria politica tracciata con l'emanazione
della legge n. 354/1975 ha incontrato notevoli difficoltà attuative. Inoltre, il regime
7 RISPOLI V., cit., pag. 14 ss.
8 GIACOMELLI F., Affidamento in prova al servizio sociale: Aspetti giuridici e sociologici, in
http://www.altrodiritto.unifi.it/index.htm (consultato il 19/11/2015).
8
penitenziario non aveva mostrato grandi progressi rimanendo esattamente come quello
preesistente alla legge. Da allora, una molteplicità di provvedimenti si sono succeduti nel
tempo, incidendo sull'affidamento e più in generale sulla riforma penitenziaria, così da
rendere entrambi più conformi ai valori sanciti dalla Costituzione e alle direttive impartite
dell'Unione Europea in tema di sistema sanzionatorio9.
Due anni dopo l'entrata in vigore della riforma del 1975, il legislatore era intervenuto
nuovamente con la legge 1/1977. Attraverso quest'ultima, era stata eliminata la condizione
ostativa alla concessione in caso di recidiva ed era stata estesa l'applicabilità della misura ai
casi in cui il condannato proponeva ricorso contro l'ordinanza di rigetto motivata sulla
recidiva, senza alcun'altra specifica causa di esclusione.
Successivamente, la stessa norma venne modificata dall'art. 7 della legge 646/1982
con la quale era stata introdotta nell'ordinamento penitenziario una disposizione che
colpiva specificamente la criminalità di stampo mafioso, inserendo fra i reati che ostano
alla concessione delle misure alternative e, quindi, dell'affidamento, anche l'associazione di
tipo mafioso (416 bis c.p). La sezione di sorveglianza di Bologna, invocando il principio
costituzionale di eguaglianza nonché l'esigenza che la pena dovesse tendere alla
rieducazione del condannato, ex articolo 27 della Costituzione, sollevò la questione di
legittimità costituzionale, chiedendo l'intervento della Corte sulla materia. I giudici
supremi,
intervenendo al riguardo, avevano dichiarato non fondata la questione di
legittimità della disposizione nella parte in cui, vietando l'ammissione alle misure
alternative per i condannati di determinati delitti, rendeva di fatto impossibile il fine
rieducativo10.
Negli anni successivi, susseguirono una serie di riforme che limitarono il ricorso alla
9 GIACOMELLI F., cit.
10 Sentenza n. 107/1980 della Corte Costituzionale.
9
carcerazione e depenalizzarono i reati a limitato allarme sociale, come la legge n.
689/1981. Quest'ultima aveva inserito nel nostro ordinamento l'illecito amministrativo. La
legge n. 297 del 1985, invece, aveva ridotto ad un mese il periodo obbligatorio di
osservazione della personalità per la concessione dell'affidamento al fine di evitare che
dalla misura fossero esclusi i condannati a pene detentive brevi o brevissime. La stessa,
poi, aveva adeguato la struttura della misura anche alle esigenze di soggetti
tossicodipendenti e alcoldipendenti (art.47bis ord. Penit.) al fine di consentire il loro
trattamento in un ambiente extra-carcerario. Con l'introduzione dell'affidamento “in casi
particolari”, dunque, si era manifestata chiaramente l'intenzione del legislatore di voler
trovare soluzioni di trattamento dei soggetti condannati affetti da problemi di alcol o
tossicodipendenza. Solo soddisfando l'esigenza di questi ultimi l'esecuzione della pena
poteva dirsi conciliabile sia con i dettami costituzionali di rieducazione e risocializzazione
sia con il diritto alla salute (art. 32 cost.).
Una componente importante delle riforme riguardanti l'affidamento, e più in generale
l'ordinamento penitenziario, è rappresentata dalla legge 633/1986, detta anche legge
Gozzini. Il legislatore aveva introdotto nell'ambito delle misure alternative diversi istituti,
come la detenzione domiciliare, o nuove ipotesi premiali, quali il permesso premio e la
liberazione anticipata. Inoltre, era stata riformulata anche la disposizione relativa
all'affidamento in prova al servizio sociale, e attraverso l'articolo 11 della legge: venne
fissato come limite unico e massimo la pena detentiva di tre anni ai fini della concessione
della misura per tutti i condannati; non venne più considerata preclusiva la circostanza che
alla pena dovesse seguire una misura di sicurezza detentiva.
Inizialmente era stato previsto che il condannato che, dopo un periodo di custodia
cautelare, avesse goduto di un periodo di libertà mantenendo un comportamento tale da
10
consentire di formulare un giudizio di affidabilità, potesse essere ammesso alla misura
senza necessità di osservazione. In tal caso, il soggetto che voleva beneficiare della misura
doveva presentare istanza al pubblico ministero, il quale avrebbe sospeso l'emissione o
l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e avrebbe rimesso gli atti al Tribunale di
Sorveglianza del luogo, il quale, infine, avrebbe dovuto decidere entro quarantacinque
giorni.
Come formulata inizialmente, la nuova norma non aveva permesso che della misura
potessero beneficiare anche i soggetti in libertà. In tal modo, la stessa risultava fonte di
discriminazione poiché non permetteva l'accesso al beneficio proprio ai soggetti di minore
pericolosità i quali, appunto, non erano sottoposti ad alcuna limitazione della libertà
personale. La Corte Costituzionale era stata chiamata ad esprimere un giudizio di
legittimità sulla nuova formulazione. Con particolare riferimento alla finalità rieducativa
della pena, i giudici avevano, quindi, dichiarato illegittima la norma nella parte in cui
richiedeva l'esistenza di una pregressa custodia cautelare per poter formulare istanza di
ammissione alla misura dallo stato di libertà11.
A seguito della pronuncia della Corte, si erano create, dunque, due modalità
d'accesso all'affidamento. Nel primo caso la misura era divenuta quasi un premio alla
disponibilità alla rieducazione dimostrata nel corso dell'osservazione e del successivo,
eventuale, trattamento penitenziario. Nel secondo caso era possibile essere ammessi alla
misura anche prima dell'esecuzione della pena, ovvero quando dalla condotta mantenuta in
libertà, dopo la commissione del reato, poteva essere desunta dalla volontà del condannato
di reinserirsi nella vita sociale. Il fatto che la legge non aveva più riproposto preclusioni
oggettive ma solamente soggettive, ovvero legate alla situazione di ogni singolo
11 Sentenza n. 569/ 1989 della Corte Costituzionale.
11
condannato, ampliava la gamma dei soggetti che potevano accedere e beneficiare
dell'istituto in esame.
Continuando l'analisi delle riforme, bisogna ricordare che negli anni novanta era
stata approvata la legge 165/1998, detta anche legge Simeone e il cui oggetto era
principalmente costituito dal tema dell'esecuzione della pena. La sua entrata in vigore
aveva provocato delle ripercussioni importanti nel sistema delle misure alternative alla
detenzione. Infatti, l'articolo 1 della legge aveva sostituito l’articolo 656 del codice di
procedura penale e, dunque, in caso di pena non superiore a tre anni, quattro per i
tossicodipendenti
o
alcoldipendenti,
il
pubblico
ministero
doveva
sospendere
automaticamente l’esecuzione della pena, ed entro 30 giorni il condannato poteva chiedere
la concessione di una delle misure alternative12. Il tribunale aveva 45 giorni per decidere in
merito alla richiesta. La legge, però, escludeva dalla sospensione dell'esecuzione
automatica coloro che erano stati condannati per delitti di terrorismo, di associazione
mafiosa e di altri gravi reati nonché coloro i quali, al momento della sentenza, si trovavano
in carcere in custodia cautelare. L’affidamento in prova al servizio sociale, dopo tale
riforma, risultava
raggiungibile con maggior facilità, dato che per i condannati non era
più necessario un periodo di custodia cautelare e di libertà per dimostrare la propria
idoneità.
In tempi più recenti, infine, con il decreto legge (n. 146/2013) cosiddetto "svuota12 All'articolo 1, comma 5 della legge165/1998 si legge quanto segue:
Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non e' superiore a tre anni ovvero
a quattro anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto
previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione
sono consegnati al condannato con l'avviso che egli, entro trenta giorni, può' presentare istanza,
corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una
delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47ter e 50, comma 1, della legge 26
luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero
la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso
informa altresì' che, ove non sia presentata l'istanza, l'esecuzione della pena avrà' corso immediato.
12
carceri", convertito con la legge n. 10/2014, il legislatore ha portato il limite massimo di
pena per poter beneficiare dell'affidamento in prova a 4 anni. In conclusione, tutti i
provvedimenti che si sono susseguiti negli anni hanno ampliato le garanzie dei condannati,
i quali possono ora godere di una minor probabilità di dover scontare una pena carceraria e
possono avere maggiori occasioni di reinserimento sociale.
13
Capitolo II
L'AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
1. Presupposti e struttura dell'affidamento in prova al servizio sociale
L'affidamento in prova al servizio sociale è la misura alternativa alla detenzione che
concede più libertà a coloro che hanno possibilità di beneficiarne. L'esecuzione della
misura avviene totalmente in ambiente extra-carcerario e si prefigge l'obiettivo di evitare
alla persona condannata i danni derivanti dal contatto con l’ambiente penitenziario e dalla
condizione di privazione della libertà13.
L'art. 47 dell'ordinamento penitenziario delinea la natura dell'affidamento in prova al
servizio sociale. Per poter beneficiare dell'istituto occorrono determinati presupposti che
possono riferirsi o alla natura e alla struttura dell'istituto oppure alla situazione personale
del reo. L'affidamento in prova, essendo una tipologia di pena, è concesso solamente ai
condannati attraverso sentenza irrevocabile passata in giudicato. Ciò significa che sono
esclusi gli imputati e anche i soggetti sottoposti a misura cautelare personale.
Si può beneficiare dell'affidamento qualora la pena detentiva inflitta o quella residua
di pena maggiore non superi i quattro anni per un periodo uguale a quello della pena da
scontare14. La misura può essere concessa previo un periodo di osservazione della
personalità dal quale scaturisca la valutazione per cui, nel caso in esame, l'affidamento
potrebbe contribuire alla rieducazione del reo ed assicurare la prevenzione dal pericolo che
egli commetta ulteriori reati.
L'osservazione della personalità è condotta collegialmente: per quanto concerne i
detenuti, avviene all'interno dell'istituto per almeno un mese, mentre non vi si ricorre
13 In http://www.ristretti.it/ (consultato il 07/01/2016).
14 Il limite di pena da espiare o residua per poter accedere all'istituto dell'affidamento in prova al servizio
sociale, in precedenza, era di 3 anni. Ciò, fino all'entra in vigore del decreto legge n. 146 del 2013, c.d.
“Svuota-carceri”, convertito nella legge n. 10 del 2014.
14
quando il condannato, ancora in libertà dopo la commissione del reato, abbia serbato un
comportamento tale da ritenerlo meritevole del beneficio della misura. Nei casi in cui la
misura venga accordata ad un condannato libero, il Tribunale di Sorveglianza, organo
competente sulla concessione o meno dell'istituto, non potendo far riferimento alla
relazione di sintesi prodotta in seguito all'osservazione della personalità in istituto, può
comunque trarre indicazioni utili, ai fini della valutazione, dall'indagine socio-famigliare
condotta dagli assistenti sociali dell'UEPE.
L'osservazione della personalità, inoltre, è espletata, secondo quanto disposto dal
regolamento di esecuzione, dal personale dipendente dell'amministrazione penitenziaria
quali educatori, assistenti sociali e personale di polizia penitenziaria. Qualora fosse
necessario, a questi si possono aggiungere esperti di psicologia, di servizio sociale, di
pedagogia, di psichiatria e di criminologia clinica, come indicato dall'art.80
dell'ordinamento penitenziario. Il gruppo di osservazione e trattamento, infine, opera sotto
il coordinamento e la responsabilità del direttore dell'istituto15.
Il legislatore ha previsto due modalità differenti per quanto attiene alla presentazione
dell'istanza ai fini della concessione della misura alternativa dell'affidamento in prova: una
per coloro che al momento della presentazione dell'istanza si trovano in stato di detenzione
e una per coloro ancora in stato di libertà.
Nel caso di presentazione d'istanza dalla detenzione, il detenuto deve presentare una
richiesta al direttore dell'istituto penitenziario, il quale provvede ad inoltrare quest'ultima,
insieme ad una copia della cartella del detenuto e della proposta del gruppo di osservazione
e trattamento, al magistrato di sorveglianza competente, che si determina in base al luogo
ove è in corso l'esecuzione della pena16. Il magistrato, a questo punto, potrebbe sospendere
15 In https://www.giustizia.it (consultato il 08/01/2016).
16 In RISPOLI V., cit., pag. 172.
15
l'esecuzione della pena, ordinando la liberazione dell'istante, quando quest'ultimo offra
garanzie concrete sulla sussistenza di elementi utili al fini della concessione dell'istituto,
ovvero: l'esistenza dei presupposti necessari per l’ammissione all’affidamento, l'esistenza
di un grave pregiudizio che deriverebbe dalla protrazione dello stato di detenzione,
l'assenza di un pericolo di fuga.
La misura può essere concessa solamente quando l'attività di osservazione della
personalità rilevi nel detenuto una personalità e una situazione personale compatibile con
la misura stessa. Al contrario, il magistrato incaricato, qualora l'istante non offra le dovute
garanzie, rigetta e decreta l'inammissibilità dell'istanza. Contro la decisione, secondo la
giurisprudenza, non è ammesso il ricorso per Cassazione17.
Diversamente, in caso di fondatezza della richiesta, il magistrato sospende
l'esecuzione della pena attraverso un decreto che assume carattere provvisorio poiché la
questione e i relativi atti verranno rimessi al Tribunale di Sorveglianza. La sospensione
dell'esecuzione da parte del magistrato di sorveglianza, pertanto, sarà valida fino alla
decisione del Tribunale che avrà quarantacinque giorni per renderla. In caso di rigetto
dell'istanza, l'esecuzione della pena riprenderà il suo corso ed in futuro non potrà essere
accordata al detenuto altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.
Qualora l'istanza di affidamento sia stata proposta da un soggetto condannato che si
trovi ancora in stato di libertà, ma solo nel caso in cui siano presenti i presupposti indicati
dalla legge, il Pubblico Ministero sospende automaticamente l'ordine di esecuzione e il
condannato avrà trenta giorni di tempo per presentare istanza di ammissione alla misura
alternativa18. Quest'ultima dovrà essere presentata al Pubblico ministero competente che
17 In http://www.altrodiritto.unifi.it (consultato il giorno 11/01/2016).
18 I presupposti indicati dalla legge si riferiscono alle pene non superiori ai quattro anni, e non relativi ai
delitti di cui all'articolo 4bis del codice penale. Oppure quando non ricorre l'aggravante di aver commesso
il fatto mentre il colpevole si trovava illegalmente sul territorio nazionale, come indicato nell'articolo 61
comma 11bis.
16
provvederà a trasmettere l'istanza in oggetto al Tribunale di Sorveglianza. Il tribunale, poi,
procederà nelle medesime modalità precedentemente esposte.
Qualora il condannato non presenti l'istanza di ammissione entro il termine stabilito,
il pubblico ministero annullerà il decreto che sospende l'esecuzione. Quest'ultimo, in
particolare, non può essere disposto più di una volta per la stessa condanna, anche qualora
il condannato riproponga una nuova istanza in ordine ad una diversa o alla medesima
misura alternativa19.
L'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario prevede che l'affidato sia soggetto a
delle prescrizioni imposte dal Tribunale di Sorveglianza. Queste sono contenute
nell'ordinanza di concessione della misura che deve, a pena di inammissibilità,
accompagnare la stessa ordinanza.
Le prescrizioni possono essere inerenti al rapporto che il soggetto dovrà mantenere
con il servizio sociale o alla sua dimora o alla libertà di movimento del soggetto. A
quest'ultimo può essere anche imposto il divieto di frequentare determinati locali, o
l'obbligo di attivarsi per trovare un'attività lavorativa, la quale andrà a costituire una parte
importante delle prescrizioni.
Con la stessa ordinanza che permette al soggetto di godere dell'affidamento, può
essere imposto al soggetto anche che, durante tutto o parte del periodo di affidamento in
prova, non soggiorni in uno o più comuni oppure che soggiorni all'interno di un
determinato comune o provincia; in particolare possono essere imposte delle prescrizioni
che impediscono al soggetto di svolgere determinate attività o di avere rapporti personali
che possono portare al compimento di nuovi reati.
Nel verbale, infine, può essere chiesto all'affidato di adoperarsi in favore della
19 RISPOLI V., cit., pag. 182.
17
vittima del reato, oppure, come avviene spesso nella prassi, di svolgere un'attività di
volontariato, ai sensi dell'art.21 dell'ordinamento penitenziario.
Proseguendo l'iter dell'affidamento, la cancelleria del Tribunale di Sorveglianza è
l'organo competente alla trasmissione dell'ordinanza di concessione e, nel caso in cui
l'interessato sia detenuto, questa sarà inviata alla direzione dell'istituto, mentre se
l'interessato è ancora in stato di libertà, verrà semplicemente comunicato a lui, al pubblico
ministero e all'UEPE.
L'ordinanza di affidamento in prova ha effetto solamente a partire da quando il suo
verbale contenente le prescrizioni viene sottoscritto dall'interessato. La sottoscrizione
avviene davanti al direttore dell'istituto se il condannato è detenuto, o davanti al direttore
dell'UEPE se il condannato è libero.
2. Il ruolo dell'assistente sociale nell'affidamento in prova al servizio sociale
Il servizio sociale costituisce un elemento essenziale nell'istituto dell'affidamento in
prova. Infatti, con peculiari metodologie operative, gli operatori del servizio aiutano gli
affidati a portare a termine gli obiettivi prefissati nel piano prescrittivo. A tal proposito,
bisogna ricordare il comma 9 dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario, per il quale il
servizio sociale controlla la condotta dell'affidato e lo aiuta a superare le difficoltà di
adattamento alla vita sociale. I funzionari di servizio ottemperano al loro mandato anche
attraverso la relazione professionale che mantengono con la famiglia dell'utente oppure con
gli altri operatori che, in qualche modo, incidono sugli ambienti di vita dello stesso, ad
esempio i professori nella scuola o i responsabili nel luogo di lavoro.
L'attività di supporto svolta dal servizio sociale nei confronti dell'affidato costituisce
anche parte integrante del mandato professionale degli stessi. L'assistente sociale,
relazionandosi con l'utente, lo aiuta ad intraprendere un percorso di revisione critica del
18
proprio comportamento che è stato alla base della condotta penalmente sanzionata20.
Inoltre, propone interventi volti a risolvere i conflitti personali e le relazioni sociali al fine
di raggiungere la piena rieducazione e risocializzazione del soggetto21.
Nella relazione con l'assistente sociale, l'utente ha la possibilità di avere accanto una
figura competente che lo aiuta ad adempiere responsabilmente agli impegni che derivano
dalla misura a cui è sottoposto. Attraverso un percorso personalizzato, l'affidato può
usufruire di un rapporto con l'autorità basato sulla fiducia nella sua capacità, ovvero è
aiutato a recuperare il controllo del proprio comportamento, senza che con lui si rendano
necessariamente interventi di carattere repressivo. Nel rapportarsi con l'utente, l'assistente
sociale ne valorizza l'autonomia e la sua capacità di assumersi delle responsabilità. Inoltre,
lo sostiene nel processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie e della società nel
prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa
al fine di ridurre i rischi di emarginazione22.
La funzione dell'assistente sociale non si limita solo all'aiuto ed alla rieducazione
della persona in affidamento ma esercita anche la cosiddetta “funzione di controllo” come
stabilito al comma 9 dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario. Quest'ultima è vista
come uno strumento che ha l'obiettivo di responsabilizzare l'affidato durante l'esecuzione
di una misura che potrebbe presentare momenti di difficoltà 23. L'assistente sociale, poi,
invia periodicamente relazioni sul soggetto al Magistrato di sorveglianza, ove riferisce sia
sul comportamento dell'utente sia l'andamento generale della misura. In particolare, le
cadenze con le quali le relazioni dovranno pervenire al Magistrato sono stabilite nel
20 RISPOLI V., cit., pag. 227ss.
21 RISPOLI V., cit., pag. 227ss.
22 Codice Deontologico dell'Assistente sociale (approvato dal Consiglio Nazionale nella seduta del 17 luglio
2009 ), Titolo II., articolo 6.
23 NEPPI MODONA G., PETRINI L., SCOMPARIN L., Giustizia penale e servizi sociali, Editori Laterza
Bari, 2009, pag. 292.
19
verbale delle prescrizioni che accompagnano l'ordinanza di affidamento in prova.
Il grado di controllo da parte del funzionario di servizio sociale deve essere
proporzionato al grado di afflittività imposto dalla misura, in modo da strutturare e
personalizzare quest'ultimo in base alle caratteristiche dell'utente24. L'assistente, poi, può
verificare l'andamento della misura anche attraverso brevi colloqui con l'affidato sia presso
l'UEPE, sia presso il domicilio che presso il luogo di lavoro dello stesso.
Nel corso della misura, le prescrizioni possono essere modificate per un certo
periodo di tempo oppure in via definitiva da parte del magistrato di sorveglianza. Questo
può avvenire o d'ufficio, o su richiesta autonoma da parte dell'affidato oppure su richiesta
motivata dell'UEPE, in accordo con l'utente, al fine di personalizzare al massimo la misura
cosicché questa sia conforme agli eventuali mutamenti oggettivi della vita della persona e
sia in armonia con i progressi e le difficoltà riscontrate durante il periodo di affidamento.
Naturalmente, per ottenere delle modifiche alle prescrizioni che risultino meno
afflittive, è necessario che l'affidato dimostri che nel corso della misura ha partecipato
attivamente, con costanza e cura, alle prescrizioni imposte. Lo stesso, qualora siano
presenti i presupposti di legge, può richiedere il beneficio della liberazione anticipata sia
autonomamente che attraverso l'assistente sociale il quale invierà la richiesta al magistrato.
L'affidamento in prova al servizio sociale, essendo una pena con caratteristiche meno
afflittive, è soggetta a questo tipo di beneficio con qualche peculiarità rispetto alla
detenzione. Sarà concessa solamente nei casi in cui l'affidato abbia dato dimostrazione, nel
periodo di affidamento, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti che
evidenziano l'evoluzione positiva della sua personalità25. Diversamente, per tutte le misure
alternative in generale, è possibile ottenere uno sconto di pena pari a quarantacinque giorni
24 RISPOLI V., cit., pag. 229.
25 Articolo 3 della legge n. 227/2002, che aggiunge il comma 12bis all'articolo 47 ord. pen.
20
ogni semestre di pena effettivamente scontata anziché di settantacinque giorni, come
avviene per la pena detentiva. A tal proposito, bisogna ricordare come la dottrina sottolinei
il fatto che se il Legislatore non avesse ammesso anche gli affidati o, in generale, i
beneficiari di misure alternative a godere di tale istituto, la partecipazione del soggetto
all'opera di rieducazione e l'impegno messo in atto al fine dell'ottenimento di una misura
alternativa sarebbe stato poco conveniente, visto che, sarebbe stato sufficiente attendere la
scadenza dei termini di legge per richiedere una più generica buona condotta carceraria ed
espiare anticipatamente il periodo di pena26.
Qualora l'affidato ponga in essere condotte gravi e contrarie alle prescrizioni a cui è
sottoposto, il Tribunale di Sorveglianza potrebbe decidere di revocare la misura e ciò anche
sulla base delle comunicazioni o delle relazioni ricevute dall'assistente sociale incaricato
del caso. La revoca dovrà avvenire attraverso un'ordinanza motivata da parte del Tribunale,
ove il collegio manifesterà la sua contrarietà rispetto alla prosecuzione della misura poiché
la condotta posta in essere da parte dell'affidato risulta incompatibile con la misura stessa27.
Si deve precisare che la condotta, grave e contraria alle prescrizioni, comporta
semplicemente la revoca della misura e non costituisce un reato di per sé, a meno che la
stessa non sia essa stessa una fattispecie di reato28.
La misura potrebbe cessare prima del previsto, oltre che nel caso di revoca della
stessa, anche nel caso in cui sopravvengano nuove condanne a carico dell'affidato o nuovi
titoli di esecuzione di pena detentiva, che rendano la situazione dell'affidato non più
compatibile con le condizioni di ammissibilità stabilite dalla legge. A tal proposito, in una
sentenza della Corte di Cassazione, si legge che "possono essere valutate come cause di
26 RISPOLI V., cit., pag. 247.
27 IOVINO F. P., L'affidamento in prova al servizio sociale, in AA.VV. Sospensione della pena ed espiazione
extra moenia, Giuffrè, 1998.
28 RISPOLI V., cit., pag. 261.
21
revoca anche i casi ove alla persona in affidamento vengano contestati fatti costituenti
ipotesi di reato, o siano rivolte denunce e querele, indicativi di un comportamento
complessivamente contrario alle prescrizioni a cui è sottoposto ed alla legge". Dunque, in
questi casi non occorre attendere la definizione del relativo procedimento29.
Se al termine del periodo di affidamento non si verificano eventi che costituiscono
cause di revoca dell'istituto, la pena ed ogni altro effetto penale si estinguono, come
previsto dal comma 12 dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario. Al termine
dell'affidamento, l'assistente sociale redige una relazione finale su tutto il periodo di
affidamento, esprimendo le proprie valutazioni. Successivamente, il Tribunale di
Sorveglianza decreta l'esito finale della misura.
Ci si chiede, in dottrina e giurisprudenza, se il periodo di tempo che intercorre tra la
fine dell'affidamento e il giorno in cui il Tribunale di Sorveglianza si pronuncerà sull'esito
della prova, debba essere rilevante o meno ai fini della decisione di quest'ultimo. Secondo
la Corte di Cassazione, il tribunale, nella valutazione dell'esito finale della misura,
dovrebbe tener conto anche della condotta del soggetto mantenuta in tale periodo, infatti, la
stessa potrebbe costituire un sintomo del mancato recupero sociale a cui tende
l'affidamento in prova al servizio sociale.
29 RISPOLI V., cit., pag. 262.
22
Capitolo III
LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA DELL'IMPUTATO
1.
Introduzione
La sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato è un istituito
presente sia nel rito minorile che nel processo ordinario. La messa alla prova per gli adulti
è stata inserita nel nostro ordinamento di recente, con la legge n. 67 del 28 aprile 2014
mentre, quella minorile, è presente fin dal 1988.
L'istituto, sia quello contemplato per il processo ordinario che per il processo
minorile, può essere ricompreso tra le misure di probation. Tuttavia, a differenza
dell'affidamento in prova interviene nel corso del processo e non in una fase successiva.
Anche i due omonimi istituti, previsti dalla legge n. 67 e dal DPR 448/1988, non
sono del tutto simili. Infatti, si vedrà meglio in seguito, questi differiscono sia per la ratio
alla base della legge, sia per le modalità di attivazione del rito. Entrambi, invece,
comportano per il beneficiario lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità, la
sottoposizione a delle prescrizioni emanate dal giudice competente e la riparazione del
danno cagionato, ove possibile30. Infine, peculiare caratteristica è quella di essere appunto
una misura che interviene nel corso del processo e non in una fase successiva ad esso.
2.
La ratio legis dell'istituto
Le ragioni che hanno portato il legislatore ad introdurre l'istituto della messa alla
prova hanno diversa natura. Ad ogni modo, con l'introduzione di tale rito, il nostro
ordinamento si è accostato agli altri sistemi europei che prevedono modalità di risoluzione
delle controversie alternative al processo.
Per la maggior parte della dottrina, "gli scopi che il legislatore si è prefisso sono assai
30 TABASCO G., La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti, in
http://www.archiviopenale.it/, (sito consultato il 21/11/2015).
23
lodevoli"31. Infatti, la messa alla prova costituisce sia un nuovo rito alternativo al
dibattimento, sia una nuova causa di estinzione del reato e, quindi, è destinata a risolvere,
almeno parzialmente, in conformità alle direttive europee, il problema sia del
sovraffollamento carcerario che del sovraccarico di lavoro dei tribunali.
Le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) sono un primo punto
di partenza per il legislatore italiano 32. Infatti, l'Italia è stata condannata a causa della
violazione dell'articolo 3 della CEDU, poiché non ha garantito, a ciascuno dei detenuti
ricorrenti, uno spazio minimo accettabile di almeno tre metri quadri, «il quale è stato
considerato accettabile dal Comitato per la prevenzione della tortura»33.
Accanto all’esigenza di ovviare alla drammaticità del sovraffollamento carcerario,
poi, vi erano le sollecitazioni dell'Unione Europea, la quale esigeva che il nostro legislatore
individuasse sia forme alternative al processo penale, sia delle misure alternative alla
detenzione, idonee a dare una diversa risposta a determinate categorie di reati 34.
Introducendo la possibilità di sospensione del processo con messa alla prova sin dalla fase
procedimentale, il legislatore ha voluto realizzare direttamente una deflazione processuale,
che di conseguenza avrebbe portato, indirettamente, anche a una riduzione della
popolazione carceraria. In questo modo si è cercato di offrire agli imputati un percorso di
reinserimento alternativo nonché di alleggerire l'attuale carico dei procedimenti penali
pendenti, poiché l'esito positivo della messa alla prova estingue il reato35.
31 LETIZIA GALATI M-RANDAZZO L., cit., pag XI.
32 Nelle sentenze Torreggiani e altri contro Italia, ricorsi n. 4351/09, 46882/09, 55400/06, 57875/09,
61535/06, 35315/10, 3781810.
33 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a
Roma il 4/11/1950. All'articolo 3 si legge: nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o
trattamenti inumani o degradanti.
34 MURRO O., Le nuove dimensioni del probation per l’imputato adulto, in www.treccani.it.(consultato il
23/11/2015)
35 Intervento deputata Amodio Sofia alla Camera dei Deputati, il 25/06/2013. in http://www.camera.it
(consultato il 23/11/2015).
24
Da come strutturato, l'istituto della messa alla prova sembra quasi un accordo tra lo
Stato e l'imputato. Infatti, come commentato dalla dottrina, con questa forma di probation,
da un lato “lo Stato rinuncia alla sua pretesa punitiva, alla certezza della pena in cambio di
un recupero possibile del reo; dall'altro, l'imputato rinuncia all'accertamento dei fatti di cui
avrebbe diritto, in cambio di un trattamento sanzionatorio meno afflittivo rispetto a quello
cui andrebbe incontro in caso di pieno accertamento della sua responsabilità”36.
3.
I contenuti della legge n. 67/2014
La legge 67/2014 è suddivisa in tre capi: il primo contiene la delega al Governo in
materia di pene detentive non carcerarie, il secondo disciplina l'istituto della sospensione
del procedimento con messa alla prova; infine, l'ultimo capo tratta la sospensione del
procedimento nei confronti degli irreperibili.
Per quanto concerne il secondo capo, entrato fin da subito in vigore, questo ha
introdotto delle modifiche al codice penale, ove ha inserito l'art. 168 bis, ter e quater, che
disciplinano rispettivamente la natura dell'istituto della sospensione del procedimento con
messa alla prova, gli effetti della misura e infine la revoca della sospensione. La norma,
inoltre, ha apportato delle modifiche al codice di procedura penale, alle norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (D.Lgs. 28
luglio 1989, n. 271) e infine al T.U delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da
reato e dei relativi carichi pendenti.
Sono previsti taluni limiti alla concessione della messa alla prova. Il beneficio in
esame può essere richiesto “nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale
pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola,
36 TABASCO G., cit.
25
congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2
dell'articolo 550 del codice di procedura penale” 37. Gli imputati maggiorenni che vogliano
beneficiare della messa alla prova, poi, non devono esser stati dichiarati delinquenti
abituali, contravventori abituali, professionisti del reato o tendenti a delinquere 38. Inoltre,
non è possibile beneficiare di questo istituto per più di una volta39.
La legge prevede che la concessione della messa alla prova comporti non solo lo
svolgimento di un lavoro di pubblica utilità, ma anche che l'imputato metta in atto delle
condotte volte "all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal
reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato" (art. 168-bis
c.p.). Tale formulazione utilizzata dal legislatore per delineare i contenuti della prova, fa sì
che la misura vari in concreto a seconda delle esigenze del caso. La legge, poi, prevedendo
che il richiedente venga affidato al servizio sociale, permette a quest'ultimo di godere di un
trattamento individualizzato.
Per quanto attiene al lavoro di pubblica utilità è stabilito che “consiste in una
prestazione non retribuita, che nella scelta della prestazione occorre tenere conto delle
capacità professionali della persona messa alla prova e le sue attitudini lavorative. Il
legislatore ha stabilito che l'attività non può avere una durata inferiore ai dieci giorni,
anche non continuativi e la durata giornaliera non può superare le otto ore. Il lavoro di
37 I delitti indicati dal comma 2 di suddetto articolo del C.p.p sono: violenza o minaccia a pubblico ufficiale,
resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a un magistrato in udienza aggravato , violazione di sigilli
aggravata, rissa aggravata(con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia
riportato lesioni gravi o gravissime), furto aggravato, ricettazione. Da precisare, a questo proposito, che la
dottrina e giurisprudenza concordano nel sostenere che non sono rilevanti, ai fini dell'applicabilità
dell'istituto della sospensione con messa alla prova, tutte le circostanze aggravanti, incluse quelle per le
quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale.
38 Ai sensi degli articoli: 102, 103, 104, 105 e 108 del Codice penale.
39 MUZZICA R., La sospensione del processo con messa alla prova per gli adulti: un primo passo verso
un modello di giustizia riparativa?, in http://www.processopenaleegiustizia.it/, (consultato il 01/12/2015).
Per quanto concerne la condizione di recidività dell'imputato, la dottrina ritiene che non dovrebbe essere
considerata “un limite soggettivo all’operatività dell’istituto ed, anzi, la finalità di recupero sociale della
messa alla prova potrebbe esigere un’applicazione privilegiata per il delinquente recidivo, il quale mostra
maggiore necessità di un trattamento alternativo alla giustizia ordinaria".
26
pubblica utilità, poi, deve essere svolto in favore della collettività, presso enti statali, le
regionali, provinciali, comunali o, ancora, presso le aziende sanitarie, enti e organizzazioni
anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.
La prestazione può essere svolta solamente presso enti che abbiano sottoscritto con il
Ministro o con i Presidenti dei Tribunali delegati, le convenzioni che disciplinano le
modalità di svolgimento del lavoro, nonché le modalità di raccordo con le autorità
incaricate di svolgere le attività di verifica40. La legge precisa altrettanto che le prestazioni
in favore della collettività non devono compromettere le esigenze lavorative, di studio,
della famiglia e di salute dell'imputato.
Per quanto riguarda “l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti
dal reato, e ove possibile, il risarcimento”, occorre precisare che l'espressione si riferisce ai
comportamenti dell'imputato nei momenti successivi alla commissione del reato. Infatti la
locuzione si riferisce alla riparazione del danno commesso: le condotte riparative e il
risarcimento del danno andranno ad incidere entrambi sulle conseguenze del reato e sul
danno commesso, successivamente, sarà il giudice poi a “valutare se le condotte
riparatorie, messe in atto dall'imputato, siano sufficienti a soddisfare le esigenze di
riprovazione e di prevenzione del reato”41. Il giudice, poi, può imporre all'imputato
l'osservanza di prescrizioni che potrebbero essere inerenti ai rapporti che quest'ultimo
dovrà mantenere con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, oppure attinenti alla
dimora, alla libertà di movimento o al divieto di frequentare determinati locali.
La sospensione del procedimento con messa alla prova ha una durata limitata: non
può essere disposta per un periodo “superiore a due anni quando si procede per reati per i
quali e' prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria” e
40 Voce: Lavoro di pubblica utilità, in https://www.giustizia.it (consultato il 03/12/2015).
41 LETIZIA GALATI M-RANDAZZO L., cit., pag. 23.
27
non può essere “superiore a un anno quando si procede per reati per i quali e' prevista la
sola pena pecuniaria”. Questi termini, “decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa
alla prova dell'imputato”.
Il legislatore prevede un termine massimo entro cui presentare la richiesta di messa
alla prova differente a seconda del rito. Infatti, ai sensi dell'art. 464-bis c.p.p., l'istanza può
essere presentata: nel caso di giudizio direttissimo o di procedimento di citazione diretta a
giudizio, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o
fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e, nel caso in cui sia
stato notificato il decreto di giudizio immediato o il decreto penale di condanna, entro
quindici giorni dalla notificazione degli stessi. Ancora, “nel procedimento per decreto, la
richiesta è presentata mediante l'atto di opposizione”. Al momento di presentazione
dell'istanza di ammissione, l'imputato deve allegare un programma di trattamento,
elaborato insieme all'Ufficio di esecuzione penale esterna (U.E.P.E). Qualora ciò sia
impossibile, il soggetto è tenuto ad allegare una dichiarazione dell'UEPE che attesti
l'avvenuta richiesta di elaborazione del programma.
Il giudice, decidendo in merito all'istanza di ammissibilità presentata dall'imputato,
deve tenere conto della gravità del reato, sulla base dei parametri previsti all'articolo 133
del codice penale. Qualora il programma di trattamento presentato dall'imputato sia idoneo
e si ritenga che egli si asterrà dal commettere ulteriori reati e che il domicilio indicato nel
programma sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato, allora
il giudice potrà sospendere il procedimento ai sensi dell'articolo 168-bis c.p. Ad ogni
modo, egli avrà la facoltà di integrare o modificare il contenuto del programma di
trattamento
stabilito
dall'UEPE,
sempre
con
il
consenso dell'imputato,
anche
successivamente. A questi fini, ai sensi dell'articolo 464-bis c.p.p., il giudice può'
28
acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le
ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale,
familiare, sociale ed economica dell'imputato, le quali dovranno essere portate
tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato.
Nell'ordinanza con cui il soggetto viene messo alla prova, il giudice deve stabilire i
termini entro cui le prescrizioni, le condotte per riparare al danno cagionato ed eventuali
risarcimenti devono essere assolti. Per gravi motivi e per una sola volta, la persona
imputata può richiedere una proroga dei termini. La legge dispone la possibilità per
l'imputato, il Pubblico ministero o per la persona offesa dal reato di ricorrere in Cassazione
contro l'ordinanza emessa dal Giudice, in merito alla concessione o meno della misura.
Precisa altrettanto che suddetto ricorso non sospende il procedimento”42.
Nel corso della misura, l'ordinanza contenente le prescrizioni può essere modificata
dal giudice, sentiti l'imputato e il Pubblico ministero, a patto che le nuove prescrizioni
siano in armonia ed idonee alle finalità dell'istituto.
Il legislatore ha previsto delle condizioni al verificarsi delle quali deve essere
disposta la revoca della messa alla prova. L'articolo 168-quater del codice penale
disciplina che quest'ultima intervenga nel caso “di grave o reiterata trasgressione al
programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione
del lavoro di pubblica utilità” oppure “in caso di commissione, durante il periodo di
prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a
quello per cui si procede”. E' possibile impugnare suddetta ordinanza, ricorrendo presso
l'organo al vertice del potere giudiziario. Al giudice, invece, è data la sola facoltà di revoca
42 Comma 7 dell'articolo 4 "Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia" della legge 28 aprile
2014, n. 67.
29
del beneficio quando si presentino situazioni in cui “l'indagato abbia compiuto una
violazione né grave né reiterata al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte,
ovvero lo stesso abbia effettuato una prestazione del lavoro di pubblica utilità non
perfettamente corrispondente a quanto imposto o da ultimo abbia commesso durante il
periodo di sospensione con messa alla prova un delitto colposo o una contravvenzione di
indole diversa”43.
In caso di revoca dell'istituto e qualora un eventuale ricorso contro l'ordinanza di
revoca sia divenuto definitivo, il procedimento precedentemente sospeso riprende il
proprio regolare corso e le prescrizioni e gli obblighi in precedenza imposti decadono.
Una volta trascorso il periodo di sospensione, il giudice ha il compito di valutare
l'esito finale della misura. A questo proposito, lo stesso tiene conto del comportamento
avuto dall'imputato nel corso della prova e del rispetto delle prescrizioni. Al fine della
valutazione “acquisisce la relazione conclusiva trasmessa dall'ufficio di esecuzione penale
esterna che ha avuto in carico l'imputato e fissa l'udienza per la valutazione dandone avviso
alle parti e alla persona offesa”.
Occorre sottolineare che secondo la dottrina, non basta il semplice decorso del
periodo di sospensione senza che il soggetto abbia ricevuto la revoca della misura per
considerare positiva la prova. Il giudice deve valutare in modo approfondito il periodo di
prova, a prescindere dall’eventuale mancata revoca della misura. Deve accertare, infatti, se
durante il periodo il soggetto ha effettivamente raggiunto una certa responsabilizzazione 44.
Qualora il giudice, valutasse negativamente l'esito della prova, come nel caso di revoca
della misura, “dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso”. Al contrario in
43 CALABRETTA M.S., MARI A., La sospensione del procedimento, in il Penalista., Giuffè., 2014.,
pag.38-39.
44 TABASCO G., cit.
30
caso di valutazione positiva, quest'ultimo dichiara mediante sentenza l'estinzione del reato.
Tale tipologia di pronuncia “non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative
accessorie, ove previste dalla legge ”. L'articolo 168-ter del codice di procedura penale,
infine, precisa che durante il periodo in cui l'imputato beneficia della sospensione del
procedimento, il corso della prescrizione del reato viene momentaneamente sospeso.
4. Differenze con la messa alla prova nel processo penale minorile
L'istituto della messa alla prova per gli imputati adulti presenta alcuni caratteri
differenti rispetto a quelli del processo minorile.
Anzitutto, una prima differenza concerne i limiti per poter beneficiare dell'istituto:
per gli imputati adulti sono previsti dei casi oggettivi specifici in cui l'imputato può
richiedere il beneficio, come stabilito all'articolo 168-bis. Diversamente, nella messa alla
prova per i minori, "non sono previste preclusioni oggettive in merito alla gravità del reato
o alla pena edittale, nemmeno per quanto riguarda i reati puniti con l'ergastolo" 45. Ulteriori
limiti per l'applicabilità della messa alla prova per gli adulti derivano da condizioni
soggettive. Infatti è previsto che l'istituto non si applichi nei casi degli articoli 102, 103,
104, 105 e 108 c.p.”, ovvero, nei casi in cui l'imputato sia dichiarato delinquente abituale,
contravventore abituale, professionista nel reato o, infine tendente a delinquere. Nel
processo minorile, invece, anche tali preclusioni non sono previste. Infine, la legge
67/2014 ha stabilito che l'istituto per gli adulti non possa essere concesso per più di una
volta, mentre, il minore può beneficiare della misura senza limiti.
Sempre dal punto di vista dell'applicabilità, una delle finalità principali della
probation minorile è quello di educare il minore cercando di "eliminare le conseguenze
dannose o pericolose derivanti dal reato e ad assicurare, dove sia possibile, il risarcimento
45 LETIZIA GALATI M-RANDAZZO L., cit., pag. 110.
31
del danno commesso"46. Per quanto riguarda gli imputati adulti invece, l'istituto ha due
anime. Il legislatore non solo ha voluto offrire un percorso alternativo al processo con
caratteri rieducativi ma, soprattutto, ha voluto perseguire finalità di deflazione processuale
e di “prevenzione dell'accesso al carcere nel casi di reati di modesto allarme sociale”47.
L'articolo 28 DPR 448/1988 stabilisce che il giudice, sentite le parti, può disporre la
sospensione del processo con messa alla prova sia d'ufficio che su iniziativa delle parti.
Diversamente, nel caso dell'imputato maggiorenne, deve essere presentata richiesta di
sospensione del processo con messa alla prova48.
Infine, un'ultima differenza riguarda la durata della sospensione: per i minorenni “il
processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i
quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici
anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno". Nel caso dei minori, quindi,
non è prevista una durata minima ma solo un limite massimo. Mentre, per gli adulti, il
periodo di sospensione non può essere inferiore ai dieci giorni e non può superare i tre
anni.
In ogni caso "la decisione sulla richiesta di messa alla prova in entrambi i casi è
emessa con ordinanza nella quale vengono indicate prescrizioni e contenuto del
progetto"49.
5.
Le funzioni dell'assistente sociale dell'UEPE nell'istituto della Messa alla
prova
46 Bove V., L’istituto della messa alla prova “per gli adulti”: indicazioni operative per il giudice e
provvedimenti adottabili. Su http://www.penalecontemporaneo.it/ (consultato il 27/11/2015).
47 LETIZIA GALATI M-RANDAZZO L., la messa alla prova nel processo penale, Giuffre' editore, Milano
2015, pag. 113
48 Nel processo minorile, il giudice quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito
della prova”, dispone d'ufficio la misura. Per quanto riguarda la richiesta, questa può essere presentata
anche dal difensore del minore o dai suoi genitori.
49 LETIZIA GALATI M-RANDAZZO L., cit., pag. 117.
32
Per quanto concerne l'esecuzione del beneficio della messa alla prova, il legislatore
ha affidato un ruolo di rilievo all'ufficio di esecuzione penale esterna. Questi ultimi sono
stati istituiti dall'art. 72 della Legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modifiche, e
costituiscono degli uffici periferici del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria
del Ministero della Giustizia.
Agli uffici EPE sono affidati i compiti di gestione delle misure alternative alla
detenzione concesse dai Tribunali di Sorveglianza ai condannati che, per il fatto di essere
in possesso di particolari requisiti, hanno la facoltà di espiare la loro pena in un ambiente
esterno agli istituti penitenziari. Gli UEPE su richiesta dell'autorità giudiziaria svolgono
anche le "inchieste sociali" e le "indagini socio-familiari" ed, infine, prestano consulenza
negli istituti penitenziari per favorire il buon esito del trattamento penitenziario. Nello
svolgimento dei propri compiti l'ufficio può collaborare con le istituzioni pubbliche e
private nonché con i servizi sociali territoriali50.
Quando l'imputato ritiene di voler presentare istanza di ammissione al beneficio della
messa alla prova, deve presentare personalmente o tramite il suo legale, munito di procura
speciale, una domanda formale per l'elaborazione di un programma di trattamento
all'ufficio EPE competente. La competenza territoriale dell'ufficio dipende dal luogo di
residenza o domicilio dell'utente. La richiesta deve essere accompagnata da un insieme di
documentazioni, ad esempio, gli atti rilevanti del processo penale e il certificato generale
del casellario giudiziario. Per quanto concerne la domanda formale, l'imputato deve
riportare i suoi dati anagrafici, i reati a lui contestati per i quali si sta procedendo, la
dichiarazione di non aver mai usufruito in precedenza dell’istituto e di non trovarsi nelle
condizioni di cui agli articoli 102-103-104-105-108 di c.p. Inoltre, lo stesso deve fornire
50 UEPE in http://www.esecuzionepenaleesternaancona.gov.it/ (consultato il 04/01/2016).
33
brevi informazioni riguardanti le sue condizioni lavorative e famigliari, riferire se intende
porre in essere condotte riparatorie per il danno cagionato o, se già stato fatto in
precedenza, allegare anche le documentazioni relative, proporre le azioni che intende
mettere in atto per la mediazione con la persona offesa. In particolare, la domanda deve
contenere la dichiarazione di disponibilità dell'ente presso il quale l'interessato intende
svolgere il lavoro di pubblica utilità. Come previsto dal regolamento attuativo, questo potrà
essere soltanto tra quelli convenzionati con il tribunale competente per territorio.
Solo qualora la richiesta sia completa in tutte le sue parti, l'ufficio rilascia al
richiedente un certificato che attesta l'avvenuta richiesta di elaborazione del programma di
trattamento e apre un fascicolo in cui inizialmente sono contenuti i documenti dell'imputato
già in possesso dall'ufficio come il certificato generale del casellario giudiziale, gli atti
rilevanti del processo ed i dati anagrafici dell'imputato. A questi, successivamente, vengono
aggiunti ulteriori documenti come le registrazioni dei colloqui tra l'utente e l'assistente
sociale incaricato del caso, le comunicazioni che l'ufficio scambia con l'imputato, gli enti
presso cui quest'ultimo svolge il lavoro di pubblica utilità, comunicazioni con il tribunale e
altre documentazioni riguardanti il soggetto. A suddetto fascicolo viene assegnato un
codice, relativo alla tipologia di intervento.
Il giudice, una volta presentata istanza di messa alla prova anche all'UEPE, opera un
primo vaglio di ammissibilità al beneficio; in caso positivo, rinvierà l'udienza al fine di
permettere all'UEPE di predisporre un programma di trattamento, al contrario, in caso di
esito negativo, la cancelleria trasmette all'ufficio l'ordinanza di rigetto cosicché
quest'ultimo possa archiviare il fascicolo.
Qualora il procedimento di messa alla prova sia ammissibile, l'utente viene contattato
dall'assistente sociale incaricato per la fissazione di un colloquio. Come da legge, il
34
servizio sociale effettua un'indagine socio-famigliare al fine di acquisire informazioni sul
suo contesto famigliare, sulla storia e sulle attività lavorative. L'assistente sociale
approfondisce anche le circostanze che hanno successivamente portato la persona alla
condizione di imputato e le sue osservazioni inerenti ai reati a lui contestati. Nel caso in cui
l'utente non si sia presentato agli appuntamenti fissati, nonostante le sollecitazioni del
funzionario di servizio sociale, quest'ultimo comunica al giudice competente e al difensore
dell'istante l'impossibilità di procedere con l'indagine socio-famigliare. La mancata
presentazione dell'imputato all'UEPE sarà poi valutata dal giudice ai fini della decisione
sull'ammissibilità della misura51.
Occorre che l'utente mostri un certo impegno nel portare avanti le attività della messa
alla prova, a tal fine è importante che l'assistente sociale mantenga i rapporti
principalmente con l'imputato e non con il suo difensore, lasciando a quest'ultimo solo gli
interventi di tipo legale.
Acquisite le informazioni necessarie, l'assistente sociale redige la relazione,
basandosi sia su quanto acquisto durante i colloqui e, ove lo ritenesse necessario, anche
sulle sue impressioni riguardanti il caso. Nella relazione viene descritta la storia di vita del
soggetto, quanto accaduto durante la sua gioventù e durante i periodi scolastici. Parte della
stessa è dedicata alla condizione di vita attuale della persona, alle sue affettività e alla sua
situazione lavorativa. Altra parte è dedicata ai capi d'imputazione, e in particolare,
agli
atteggiamenti dell'imputato nei confronti del reato contestato e nei confronti della vittima
del reato.
Assieme alla relazione, l'UEPE invia al giudice anche il programma di trattamento
elaborato d'intesa con l'imputato. Esso contiene indicazioni sul lavoro di pubblica utilità, se
51 Linee guida operative per la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato nel foro di
Bolzano. Punto 14.
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sono previste forme di risarcimento del danno cagionato e se si prevede la mediazione tra
imputato e vittima del reato. A tal fine, alcuni UEPE hanno stipulato una convenzione con i
Centri di mediazione penale del proprio territorio. Nello specificare le attività, l'UEPE deve
tener conto che, in nessun caso le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità
potranno pregiudicare “le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del
condannato” e che suddette prestazioni non potranno superare le otto ore giornaliere52.
Trasmessa la relazione e il programma alla cancelleria del giudice, viene fissata
un'udienza, ove sarà valuto l'idoneità. Qualora il giudice lo ritenesse necessario, come
previsto dall'articolo 464-quater c.p.p., potrà disporre eventuali modifiche o integrazioni al
programma e, in caso di giudizio positivo, dispone l'ordinanza di sospensione del processo
con messa alla prova dell'imputato. All'interno della stessa, il giudice indica anche l'esatto
ammontare delle ore di lavoro di pubblica utilità da effettuare, la durata esatta del periodo
in cui il procedimento è sospeso e, ove previsto, l'ammontare del risarcimento del danno.
La cancelleria del giudice trasmette copia dell'ordinanza all'UEPE, allegandovi anche il
programma di trattamento definitivo, e consegna copia dell'ordinanza all'imputato.
L'UEPE, a questo punto, aprirà un nuovo fascicolo, con un codice specifico che indica che
è in corso l'esecuzione della messa alla prova.
Durante la misura l'assistente sociale incaricato mantiene i rapporti con l'utente, i
quali variano in base al caso specifico ed in base a quanto previsto dal programma del
trattamento. Come stabilito dall'articolo 141-ter c.p., l'assistente sociale invia al giudice
relazioni periodiche, “con cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque
non superiori ai tre mesi”. Il giudice viene informato del percorso che l'utente sta
52 Si precisa che l'UEPE, nel redigere la relazione socio-famigliare e il programma di trattamento, non si
esprime su prescrizioni eventuali, relative alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati
locali o persone o altre prescrizioni. Questi vengono valutati dal giudice in sede di ammissione.
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svolgendo, dell'andamento del lavoro di pubblica utilità, degli eventuali problemi sorti,
della possibilità di apportare qualche modifica alle prescrizioni, delle eventuali gravi e
reiterate trasgressioni delle prescrizioni da parte dell'utente ed, eventualmente, se è
necessaria una revoca della misura. Nelle relazioni periodiche, quindi, assumono rilevanza
le osservazioni dell'ente dove l'utente svolge il lavoro di pubblica utilità e i fogli firma che
attestano le presenze di quest'ultimo. Infine, l'assistente sociale esprime una propria
valutazione inerente al periodo in considerazione. Durante la messa alla prova è utile che
l'utente e l'assistente sociale tengano ben presenti le scadenze relative al termine della
misura ed alla data in cui è prevista l'udienza finale, ciò al fine di evitare inutili rinvii delle
udienze.
Alla scadenza del periodo di prova, l'assistente sociale dell'UEPE redige e trasmette
al giudice una relazione finale dettagliata sul decorso del beneficio e indica l'esito dello
stesso. La relazione finale deve essere più dettagliata rispetto alle periodiche. La stessa
deve essere depositata nella cancelleria a non meno di dieci giorni prima dell’udienza, in
modo da permettere alle parti di prenderne visione ed estrarne copia, se necessario, come
previsto dall'articolo 141-ter. c.p.
Infine, in caso di esito positivo, all'udienza di verifica il giudice dichiarerà estinto il
reato. L'ufficio di esecuzione penale esterna attenderà la comunicazione da parte della
cancelleria inerente all'esito dell'istituto per poter archiviare il fascicolo. Diversamente,
qualora il giudice dovesse ritenere negativo l'esisto della messa alla prova e condannare
successivamente l'imputato, il suddetto fascicolo verrà riaperto se l'imputato dovesse essere
condannato e dovesse scontare una misura alternativa, in quanto diverrebbe nuovamente
utente dell'UEPE.
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CONCLUSIONI
L'affidamento in prova al servizio sociale è un istituto che ha subito diverse
modifiche nel corso degli anni. Ad esempio, la legge 297 del 1985 adeguò la misura alle
esigenze di soggetti tossicodipendenti e alcoldipendenti, permettendo loro di avere un
trattamento adatto alle loro necessità terapeutiche. Ancora, la legge Gozzini (legge 633 del
1986) introdusse la possibilità di beneficiare dell'istituto, accedendovi direttamente dallo
stato di libertà, dunque, dando la possibilità alle persone condannate per reati di lievi entità
di evitare totalmente il contatto con il carcere e di usufruire di un trattamento rieducativo in
un ambiente libero. Dunque, attraverso le modifiche in questione, il legislatore ha cercato
di rendere l'ordinamento quanto più possibile in linea con i dettami costituzionali.
In altre occasioni, l'obiettivo del legislatore è stato quello di ovviare al problema del
sovraffollamento carcerario. Ad esempio, la legge 10 del 2014, ha innalzato il limite
massimo di pena a quattro anni per beneficiare dell'affidamento in prova e così
permettendo a molti dei condannati in stato di detenzione di beneficiarne anticipatamente.
In generale, si può dire che se da una parte il legislatore ha cercato di allineare il più
possibile il sistema penale italiano con i principi costituzionali, dall'altra, ha cercato di
apportare delle modifiche anche per rispettare le sentenze della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo (CEDU). Inoltre, si è risposto anche alle sollecitazioni dell'Unione europea, la
quale, chiedeva di individuare sia dei meccanismi alternativi al processo che delle misure
alternative alla detenzione idonee a dare una risposta differente a determinate tipologie di
reati.
È in questo contesto che l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla
prova dell'imputato (legge n. 67/2014) entra nell'ordinamento italiano. Introducendo tale
possibilità sin dalla fase procedimentale, il legislatore ha cercato di realizzare una
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deflazione processuale, che lo avrebbe portato indirettamente anche alla riduzione della
popolazione carceraria. Tutto questo senza ricorrere ad un atto di indulgenza, vista la
natura comunque afflittiva della messa alla prova. Tale istituto, che assume delle
caratteristiche che variano in base alla particolarità dei singoli casi, permette la
rieducazione e la risocializzazione della persona messa alla prova, o meglio un
procedimento di responsabilizzazione della stessa, vista la mancanza di un accertamento
della responsabilità vero e proprio, valorizzando anche le istanze della persona offesa del
reato grazie alla mediazione penale e alle condotte riparatorie.
Anche la Suprema Corte ha avuto una grande importanza. Infatti, spesso è dovuta
intervenire per offrire un valido supporto nell’interpretazione delle norme, oppure per
stimolare il legislatore ad introdurne delle nuove ove mancassero, contribuendo
attivamente allo sviluppo del sistema di probation nel nostro paese.
Nonostante i tentativi del legislatore degli ultimi anni che, per certi versi, possono
considerarsi lodevoli, comunque, non sono mancate delle criticità.
Innanzitutto, per quanto riguarda gli UEPE, se da una parte c'è stato un aumento del
numero degli utenti dell'UEPE a causa dell'innalzamento del limite di pena per poter
godere dell'affidamento in prova e a causa dell'introduzione della messa alla prova,
dall'altra non c'è stato un aumento di personale, di risorse e mezzi. In certi casi, si è
addirittura assistito ad una riduzione di quest'ultimi, a causa del taglio dei fondi che
l'esecuzione penale esterna e in generale il carcere hanno dovuto subire. E' da rilevare che
questo aumento del carico di lavoro può avere un'influenza “sulla qualità degli interventi
professionali, con possibili ricadute oltre che sulle scadenze ed i tempi necessari per
effettuare gli interventi richiesti, anche sulla stessa efficacia della loro attività" 53. Visto il
53 Comunicato stampa del 15 giugno 2015 degli assistenti sociali di Milano. In http://www.ristretti.org/
39
ruolo di special-prevenzione delle misure alternative, occorre potenziare ulteriormente
l'area dell'esecuzione penale esterna. Inoltre, studi statistici rilevano una recidiva del 19%
circa per i condannati che abbiano scontato la pena in misura alternativa mentre la
percentuale di recidiva per coloro i quali hanno scontato la pena in carcere si attesta
intorno al 70%54. Dunque, il problema è rilevante e potrebbe gravemente influire sulle
misure alternative.
Ulteriori criticità riguardano le difficoltà che gli stranieri incontrano nell'accesso alle
misure alternative, specialmente coloro che al momento della condanna si ritrovano senza
permesso di soggiorno e quindi in condizioni di “clandestinità”. Si pensi ad esempio alle
difficoltà a cui gli stessi vanno incontro nel reperire un alloggio oppure una regolare
attività lavorativa. Talvolta, poi, si aggiunge l'assenza di effettivi e praticabili riferimenti di
sostegno sul territorio55. Tali difficoltà fanno sì che per molti stranieri l'unica soluzione sia
quella di scontare una pena solamente all'interno del carcere, cosa che oltre ad aumentare
la quota della popolazione straniera in stato di detenzione, non garantisce un'effettiva parità
nella funzione rieducativa e risocializzante alle quali le misure alternative alla detenzione
mirano.
In conclusione, il percorso intrapreso dal legislatore, in tema di misure alternative
alla detenzione, deve considerarsi, tutto sommato, in modo positivo. Egli, infatti, creando e
sviluppando tale sistema di probation, ha fatto in modo che la risposta ai possibili reati non
fosse incentrata solamente sulla privazione della libertà e, quindi, sulla pena detentiva, ma
ha cercato anche di percorrere strade diverse. Pertanto, si è cercato di offrire al reo percorsi
alternativi ove si privilegiano sia le sue necessità che quelle della persona offesa del reato.
54 DONATELLA S., Meno recidiva, più crescita, in http://www.ilsole24ore.com/ (consultato il 02/02/2016).
55 AA.VV., Gli stranieri detenuti e le misure alternative alla detenzione, in http://www.meltingpot.org
(consultato il 02/02/2016).
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Quindi, da un lato si è cercato di sostenere il condannato e il soggetto messo alla
prova in un percorso di responsabilizzazione, che mira al reinserimento positivo nella
società, anche per mezzo di un operatore sociale che, per lavorare al meglio, deve essere
stimolato e non logorato dal carico di lavoro. Dall’altro lato, attraverso le condotte
riparatorie e i possibili percorsi di mediazione, anche la vittima del reato ha avuto un giusto
spazio in tali percorsi alternativi.
Dunque, solamente proseguendo su tale strada e risolvendo le possibili criticità del
sistema, si potrà abbandonare, almeno in parte, l’attuale visione carcero-centrica del
sistema penale e allineare il nostro paese agli standards europei.
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