Riconciliazione: dono che ci impegna -Paulus Sugino, scj

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Riconciliazione: dono che ci impegna -Paulus Sugino, scj
ACCOGLIERE UN COMPITO
RICONCILIAZIONE: DONO CHE CI IMPEGNA
Paulus Sugino, scj
“Il sentirsi amati da Dio rivoluziona la forma di guardare se stessi, gli
altri e il mondo. Cambia il modo di vedere i propri limiti e mancanze, di
scoprire la propria dignità e valore, di accettare di essere piccolo e anche
debole, nelle mani di un Padre che è potente, buono e misericordioso. È la
sorgente di nuova energia e di nuova speranza, che non isola egoisticamente
la persona, ma la colloca dentro un’ampia famiglia, per la costruzione di un
mondo nuovo. In questo senso, la costatazione del limite e del male può
convertirsi in esperienza di misericordia e in cammino di speranza”.
Vorrei fare una riflessione sulla riconciliazione partendo dalla lettera del
p. Generale alla Congregazione per la festa del Sacro Cuore 2013 sopra
citata che ci offre elementi interessanti da approfondire. Mi limito a riflettere
su tre elementi che a mio avviso sono molto importanti.
1. Il sentirsi amati da Dio …
Il motivo fondamentale per cui si è capaci di perdonare e di riconciliarsi è
il sentirsi amati da Dio. Abbiamo bisogno di renderci conto di questa verità e
di sperimentarla personalmente, maturando la convinzione che siamo stati
voluti, creati da un gesto d’amore, visitati dalla misericordia di Dio,
perdonati da lui sempre e ogni giorno immersi nella sua misericordia.
Troviamo qui che la riconciliazione è un dono gratuito offerto per
misericordia del Padre ai peccatori, affinché tutti possano essere partecipi
della purificazione, della santificazione e del rinnovamento personale e
sociale nella comunione di amore. È un dono dall’alto. È Dio che ci ha
riconciliati con sé mediante Cristo (2Cor 5,18) e davanti al quale esprimiamo
anzitutto l’azione di grazia e la lode (Ef 1,3-23; Col 1,3-13). Dio è il vero
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autore di questa riconciliazione e rappacificazione interiore. Noi possiamo
solo chiedere e disporci a riceverla, ma ne è lui l’artefice “grazie al sangue di
Cristo, egli infatti è la nostra pace”, ed ha già fatto pace con noi (cf. Ef 2,1315). Questa verità oggettiva, rivelata, dovrebbe essere soggettivamente
sperimentata.
Da parte nostra, c’è bisogno del riconoscimento dell’assoluta gratuita
iniziativa di Dio. Su questo fondamento dell’iniziativa divina si innestano le
implicazione concrete e le prestazioni umane della riconciliazione.
2. … rivoluziona la forma di guardare se stessi, gli altri e il mondo
Avendo sperimentato di essere amati come si è, e sentendo che Dio ci ha
riconciliato con sé, si ha il coraggio di guardare se stessi, di riconoscere e
accettare realisticamente se stessi, i propri limiti, il male che c’è. I limiti e il
male potrebbero essere una minaccia per la propria stima o immagine di sé,
quindi si ha bisogno di difenderla, eliminandoli o ignorandoli. Ma è una
illusione, perché un uomo non potrà mai eliminare totalmente il male dalla
sua vita. L’esperienza di essere amati da Dio, anzi, fa crescere la presa di
coscienza dei propri limiti e dei propri peccati. Questa esperienza porta alla
riconciliazione con se stessi e con la propria storia.
Quando siamo riconciliati con noi stessi e con la nostra storia non ci
stanchiamo di chiedere il perdono al Padre, perché Dio non si stanca mai di
perdonarci e di riconciliarci con sé. Noi, peccatori, possiamo sempre sperare
d’essere riconciliati e possiamo rimettere la nostra vita nelle mani
misericordiose di Dio. La riconciliazione di Dio rivela noi stessi, mostrando
in particolare la nostra colpa, i nostri peccati e nello stesso tempo la nostra
dignità. Dio riconciliandoci si fida di noi e ci rende nuovamente degni del
suo amore.
Camminare nella vita con amore e nell’amore, vivere da riconciliati,
nonostante tutto, non significa ignorare o negare il male fuori di noi e
nemmeno quello dentro di noi, ma significa, innanzitutto, imparare a
guardarlo proprio dentro di noi, per riconoscerlo ed accettarlo. Riconoscerlo
e accetterlo vuol dire integrarlo nella nostra vita, elaborandolo e
trasformandolo in bene.
Il male fatto può ferirci. Questo ci permette di riconoscersi umilmente e
nella verità come creature fragili, ma capaci di sostenere una realtà che se
pur terribile non ci ha distrutto, né ci ha condotto alla morte. La ferita per
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essere sanata deve essere identificata, riconosciuta, accettata e guardata con
consapevolezza, misericordia e benevolenza.
Il significato è chiaro: la ferita non accettata e non riconosciuta, la ferita
di cui si tace, rimane aperta e continua a far male e a sanguinare; la ferita
guardata, assunta consapevolmente come parte di sé da accogliere ed amare,
tende a guarire spontaneamente e può fare di noi dei guaritori. La ferita
accettata ed amata, non vissuta come oltraggio, punizione, castigo, ma
accolta come dono e opportunità, diventa un elemento decisivo per una
conversione e trasformazione da cui scaturisce la luce che ci aiuta a guardare
noi stessi e gli altri con nuovi occhi di misericordia e benevolenza.
La ferita accettata, guardata in faccia, e accolta come opportunità e dono
diventa momento decisivo di cambiamento. Il racconto di Genesi 32,23-33 ci
presenta questo messaggio: Giacobbe, dopo aver lottato una notte intera con
l’Angelo del Signore, fu ferito all’anca da lui e per il resto della sua vita
rimase zoppicante, ma da quell’evento maturò in lui un’autocoscienza di se
stesso e della sua missione tale da renderlo capo delle dodici tribù di Israele.
3. Riconciliazione: dono gratuitamente ricevuto e costruzione di una
comunità riconciliata
Possiamo dire che la riconciliazione e il perdono sono il cuore della vita
comunitaria. Una comunità non può costruirsi e restare in vita al di fuori
della logica di riconciliazione e perdono, perché la riconciliazione è l’unica
via per la comunione. Il vivere insieme ci fa scoprire la verità del nostro io, i
suoi limiti, le ferite, l’area oscura della nostra vita, e imparare ad accettarli.
Quando c’è accettazione fraterna, camminiamo più spediti e leggeri. E noi,
peccatori riconciliati abbiamo la possibilità di trovare noi stessi e la
comunione perdonadoci a vicenda, e riscopriamo ogni giorno la bellezza del
vivere insieme. Il p. Generale nella sua lettere scrive: “Nel Vangelo non c’è
posto per una riconciliazione con Dio che non includa la riconciliazione
nella comunità... L’esperienza delle proprie cadute e della misericordia di
Dio nei confronti di ognuno di noi deve aprirci il cuore al perdono degli
altri”.
Qui viene accentuata la dimensione interpersonale e sociale della
riconciliazione che indica e sottolinea sia la ricostituzione dell’alleanza tra
Dio e l’uomo, sia anche la concomitante necessità di una riconciliazione tra
gli uomini: “se stai offrendo la tua offerta e ti ricordi che tuo fratello ha
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qualcosa contro di te, và prima a riconciliarti con tuo fratello”; “se voi non
perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”
(cf. Mt 5,23-24; 6,15). Il dono di Dio è impegnativo (cf. Mt 18,33: “Non
dovevi anche tu avere misericordia?”). È impegno costante perché siamo
imperfetti e viviamo in comunità imperfette, eppure, siamo chiamati ad
essere servitori della riconciliazione. La riconciliazione tra noi è condizione
preliminare perché ci si possa poi proporre un compito di rinconciliazione tra
tutti gli uomini. Riconciliazione interna e annuncio missionario della
riconciliazione si influenzano reciprocamente. È un cammino di vita e
impegno d’amore verso Dio e gli altri, seguendo il legame obbligatorio tra la
riconciliazione offerta e i rapporti di carità, giustizia, misericordia e perdono
verso gli altri.
Il movimento di riconciliazione che parte da Dio e ha come termine la
comunione dell’umanità con lui, tende a coinvolgere tutto e tutti: “Attirerò
tutti a me” (Gv 12,32). Attrae la comunità umana dispersa e divisa per farla
entrare nel dinamismo della comunione: “Gesù stava per morire per la
nazione, e non per la nazione soltanto, ma anche per radunare insieme
nell’unità i figli dispersi di Dio” (Gv 11,52).
Vorrei concludere questa riflessione citando l’esortazione di Papa
Francesco perché possa essere una presa di coscienza importante ed efficace,
anche se difficile, per costruire e testimoniare una comunità riconciliata: “A
coloro che sono feriti da antiche divisioni risulta difficile accettare che li
esortiamo al perdono e alla riconciliazione, perché pensano che ignoriamo il
loro dolore o pretendiamo di far perdere loro memoria e ideali. Ma se
vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate,
questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come
in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a
diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia,
desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che
sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare
con questi comportamenti?” (Evangelii Gaudium, n. 100).
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