Tra le guglie del Duomo e l`uovo di Colombo

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Tra le guglie del Duomo e l`uovo di Colombo
VITA DI RICERCATORE
LL
Marilena Iorio
In questo articolo:
ricerca
microRNA
biomarcatori
Tra le guglie del Duomo
e l’uovo di Colombo
Milanese di nascita, una carriera iniziata
all’Istituto tumori di Milano e transitata per
Philadelphia e Columbus: per la giovane
ricercatrice il ritorno all’Istituto da cui era partita
è un’occasione per continuare gli studi
sui biomarcatori del cancro del seno
a cura di FABIO TURONE
hi chiede a Marilena Iorio se
si sente arrivata riceve una
risposta immediata, diretta:
“No, sono appena all’inizio!”
Se prima di aver compiuto
trentacinque anni dirige il proprio laboratorio all’Istituto tumori di Milano,
spiega, è stato grazie all’incontro con le
persone giuste e a una buona
dose di fortuna. Quando c’è di
mezzo la ricerca scientifica
d’eccellenza, però, la fortuna
aiuta solo le menti preparate,
meglio se assecondate da un
carattere molto determinato.
D’altra parte, che la minuta
ricercatrice milanese fosse
molto brillante e determinata
era apparso chiaro a molti già
una decina d’anni fa. Dopo il
periodo di formazione trascorso nel laboratorio di Sylvie Ménard nello stesso istituto milanese, culminato nel 2002 con
una tesi sperimentale e la laurea in biotecnologie mediche
con 110 e lode all’Università
degli Studi di Milano, arriva la prima
borsa AIRC, e pochi mesi più tardi l’occa-
C
La piccola
Beatrice
è arrivata
insieme
al nuovo
grant
di AIRC
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sione della vita: l’opportunità di passare
un anno presso il Kimmel Cancer Center
dell’Università Thomas Jefferson di Philadelphia, diretto dal genetista Carlo
Croce, uno tra i più prolifici e apprezzati
ricercatori italiani all’estero, esperto nel
campo dei microRNA (vedi box a p. 6).
La sfida di partire...
Solo pochi anni prima, mentre frequentava il liceo scientifico Francesco Severi, cullava il sogno di fare l’etologa, poi
di iscriversi a Lettere moderne per fare la
scrittrice: “Leggo di tutto, anche romanzi
leggeri” racconta, “ma il mio libro preferito è La Storia di Elsa Morante”. A scuola
è sempre andata
molto bene, anche
se non sempre è
stato facile fare i
conti con quel fisico
minuto, che alle
medie la faceva
sembrare ancora una bambina delle elementari: “Diciamo che col tempo mi sono
presa alcune rivincite” sorride serena.
Una di queste si è presentata in forma
di assegno di ricerca per un anno con alle-
gato biglietto aereo per Philadelphia. “Conoscevo il francese, ma di inglese non capivo quasi nulla, per cui è stata una vera
scommessa” prosegue. “A Philadelphia il
laboratorio era pieno di colleghi italiani e
io dividevo un piccolo appartamento in
centro con una collega in un palazzo abitato da altri connazionali, ma anche se
con molti di loro ho instaurato un rapporto bellissimo ho fatto di tutto per imparare l’inglese perché non volevo rischiare di
rinchiudermi in un ghetto”. La vita è scandita dalle esigenze della ricerca: “I weekend non esistevano, e spesso si tornava in
laboratorio anche dopo cena per sfruttare
al massimo il tempo”. D’altra parte l’esempio fornito dal direttore dell’Istituto era
chiaro: “Croce lo si trovava in laboratorio
alle ore più strane, persino nel pieno della
notte” rievoca la giovane ricercatrice meneghina. “Però l’indomani mattina alle
nove era sempre al suo posto in ufficio,
pronto a sottolineare i miei ritardi anche
se mi aveva visto impegnata al bancone
fino oltre l’una di notte. ‘Iorio, le devo
mettere una sveglia al collo!’ mi diceva”.
... e quella di tornare
Ora la sveglia la suona, più volte per
notte, la piccola Beatrice, che è nata a Milano come la mamma e il papà Andrea e
ha da poco compiuto dieci mesi: “Tornare a Milano è stato proprio difficile, in un
certo senso una tragedia, dettata unicamente da motivi affettivi” racconta ricordando la sofferta decisione di rientrare,
che però non è stata immediata: “Mentre
ero a Philadelphia da pochi mesi il direttore dell’Istituto decise di accettare un
nuovo incarico all’Università di Columbus, in Ohio, per
cui mi trovai a
dover scegliere tra
anticipare il rientro
in Italia o prolungare la permanenza
negli Stati Uniti per
seguirlo, anche se soffrivo la lontananza
dalla mia famiglia e dal mio fidanzato”.
Decise di puntare ancora una volta sulla
ricerca e seguì Croce nella città dedicata
al grande esploratore genovese.
All’estero
tutto è organizzato
per facilitare
il ricercatore
“Lì nel campus la vita era, se possibile, ancor più scandita dal lavoro in laboratorio, ma per me è stato più facile socializzare con ricercatori di tutto il
mondo” ricorda. “Con Croce non è facilissimo lavorare: è sempre molto disponibile ma occorre essere totalmente autonomi”. Un’autonomia che lei mostra
di avere anche se, formalmente, il dottorato di ricerca verrà solo qualche anno
più tardi, nel 2010.
L’occasione di AIRC
Alla fine del 2005, dopo aver pubblicato insieme al suo tutor il lavoro grazie al
quale ha acquisito una statura internazionale (vedi box a p. 6), la sofferta decisione
di spostare il baricentro nuovamente in
Italia: “Sono tornata nel laboratorio della
dottoressa Ménard, pur continuando a
passare circa metà dell’anno a Columbus.
Alla fine del 2008 ho ottenuto il My First
AIRC Grant, un finanziamento triennale
per le mie ricerche nell’Unità bersagli molecolari diretta da Elda Tagliabue”.
Nel frattempo portava avanti il dottorato di ricerca della Open University di
Londra, che prevede di presentare ogni
anno a un supervisore lo stato di avanzamento del lavoro di ricerca: “Ricordo ancora lo shock per la lingua quando la
mia tutor mi venne a prendere con le figlie piccole in occasione della prima visita in Inghilterra” rievoca ridendo.
“Salii in macchina e subito realizzai che
la permanenza negli Stati Uniti non mi
aveva preparato all’accento di Oxford.
Siccome mi aveva gentilmente invitato
a stare a casa sua, nella stanza lasciata libera dalle bambine, mi offrii di leggere
loro la fiaba della buonanotte, ma durò
poco. Quasi subito la più piccola tagliò
corto: ‘“Te la raccontiamo noi’ mi disse”.
La conquista
dell’autonomia
Ancora oggi si rammarica di non aver
potuto partecipare alla cerimonia ufficiale di conferimento del titolo, presa com’era dai mille impegni legati alle ricerche in
corso di qua e di là dell’oceano, che continuavano a produrre pubblicazioni su riviste importanti, e dai progetti di vita:
“Dopo il rientro in Italia ho vissuto un
paio d’anni con mio fratello Fabio, di un
VITA DI RICERCATORE
Marilena Iorio con le collaboratrici
Ilaria Plantamura ed Elvira D’Ippolito
“
MICRORNA
AD ALTISSIMO IMPATTO
correndo l’elenco delle
pubblicazioni di Marilena
Iorio si nota subito
un’anomalia, segno di una
precocità non comune: il terzo
articolo firmato in assoluto, frutto
di una ricerca davvero sua e
indipendente, è stato citato da
altri ricercatori la bellezza di
1.375 volte. Uscito sulla rivista
Cancer Research nell’agosto del
2005, in occasione del congresso
per il centenario dell’American
Association for Cancer Research,
è stato inserito nell’elenco degli
articoli che hanno segnato la
storia della ricerca oncologica.
Dopo quell’articolo, grazie
anche alla collaborazione con
Carlo Croce, ha partecipato
a ricerche pubblicate sulle
massime riviste internazionali,
dal New England Journal of
Medicine a PNAS (gli atti
dell’Accademia Americana delle
Scienze) fino al Journal of Clinical
Oncology e al Journal of the
National Cancer Institute.
La sfida attorno cui ruotano
le sue ricerche è quella di
S
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”
comprendere sempre meglio il
ruolo che i cosiddetti microRNA
svolgono nell’insorgenza e nello
sviluppo del tumore del seno,
con l’obiettivo di sfruttare la
conoscenza ottenuta a scopo
terapeutico. Ed è proprio
raccogliendo questa sfida che
AIRC le ha assegnato uno
Start-up Grant per creare il
proprio laboratorio negli Amadeo
Lab, sede distaccata dell’Istituto
nazionale tumori di Milano non
lontana dalla storica via Venezian.
Lì le capita ogni tanto di girare con
i jeans strappati sotto il camice
e le All Star colorate ai piedi, cosa
che in passato non faceva mai:
“Finché lavoravo in Istituto, a
contatto coi pazienti, facevo molta
attenzione al decoro formale”.
anno più grande di me, prima di sposarmi
con Andrea, che lavora come ricercatore
al Policlinico di Milano, nel settembre del
2011”. Poco dopo il matrimonio, mentre
sta finendo la borsa di ricerca triennale,
l’inizio della gravidanza: “Una sfida anche
questa” sottolinea. Perché il futuro è incerto: ancora una volta, però, è AIRC a
scommettere su di lei, che ogni giorno
consulta il portale per sapere se la sua richiesta per uno Start-up Grant è stata accolta: “È andata davvero bene, perché ho
potuto aprire il mio laboratorio all’interno dell’Istituto in cui mi sono formata
con un gruppo di lavoro diverso” racconta. “Questo è stato reso possibile anche
dalla grande disponibilità della dottoressa
Tagliabue”. E così la “piccola” Iorio si ritrova a mettere in piedi da zero il suo laboratorio mentre il pancione aumenta, tra cali
di pressione e svenimenti, fino alla nascita di Beatrice, che riuscirà no-nostante
tutto ad allattare per molti mesi. Ora la
bambina cresce, tenendo sveglia la famiglia di notte, e cresce anche lo staff, tenendo occupata Marilena di giorno e dopo
cena: “In laboratorio ci sono oggi tre ragazze, cui forse si aggiungerà un uomo
grazie a un grant che ho ottenuto dal Ministero” spiega. “Certo, essere la responsabile non è facile, e a causa degli impegni
gestionali il tempo al bancone si riduce”.
C’è anche molto meno tempo per gli
amati viaggi – dopo le nozze è stata in
Kenya, e avrebbe voluto portare il marito a New York e Philadelphia, ma ha rinviato (“ci andremo con la bimba”) – e
persino per il nuoto, la danza e la vita
sociale, ma nella sua voce non c’è alcun
rimpianto: “Questo lavoro è una passione. Se non c’è la passione può diventare
molto frustrante, perché la quantità di
lavoro non è commisurata ai risultati.
Oggi mi trovo in una situazione idilliaca: ho avuto un’occasione e so di doverla sfruttare” afferma con sicurezza.
Se poi le si domanda che cosa le
manca per sentirsi arrivata, la risposta richiede un po’ più di tempo: “Contribuire
concretamente con le mie ricerche alla
cura dei malati di cancro”. In un certo
senso, una risposta semplice come l’uovo di Colombo.