“La figura di Abramo, richiamata nel capitolo 11 della lettera agli

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“La figura di Abramo, richiamata nel capitolo 11 della lettera agli
“La figura di Abramo, richiamata nel capitolo 11 della lettera agli Ebrei e che farà da icona biblica
di riferimento all’intero Piano Pastorale, vuole essere proprio un invito per tutti noi – singolarmente
e comunitariamente considerati – ad avere una fede costante, che sa riconoscere l’invisibile e sa
aderire a Dio anche quando non ci sono dei risultati immediati, e quindi delle consolazioni dirette.
Abramo, sulla cui storia meravigliosa vorrei che tutte le comunità della Diocesi, durante il prossimo
anno – Anno della fede – riflettessero in una serie di lectio e catechesi sui capitoli dal 12 al 24 del
libro della Genesi così come sugli altri numerosi passi biblici che rendono testimonianza alla sua
fede operante, al fine di imparare a vivere di fede, una fede che fonda un nuovo umanesimo;
Abramo, dicevo, è modello di come il credente, pervaso dallo Spirito di Dio, è chiamato a
camminare nel pellegrinaggio della propria esistenza. Abramo, infatti, è paradigma dell’esistenza
“per fede” che noi e le nostre comunità dobbiamo ogni giorno nuovamente riscoprire.
Vieni Spirito Santo, vieni nostro Consolatore,
vieni nostro avvocato, vieni nostro difensore,
vieni con i tuoi sette santi doni, vieni
e rendici capaci di portare al mondo i tuoi frutti
(…)affinché tutti noi possiamo, come Abramo,
vivere di fede, una fede reale, una fede pervasa dallo Spirito
che è amore e per questo si diffonde, una fede che arde,
ci trasforma in uomini e donne nuovi.
Amen
 Mauro Parmeggiani
Vescovo
Dall’ Omelia alla Veglia di Pentecoste
Sabato 26 maggio 2012
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INTRODUZIONE
Dio parla
“Dio disse” in questo sta l’essenza di Dio. Il Dio della Bibbia è un Dio che parla, questo è lo
straordinario del Dio di Israele. Proprio il volto del Dio che parla e si comunica è stato rivelato da
suo figlio Gesù di Nazaret, che è Logos, Parola fatta carne. E’ un Dio che non rimane lontano,
chiuso e appagato della sua perfezione, bensì attraverso la Parola si fa conoscere, chiama, interpella,
orienta e plasma la vita di chi lo ascolta. È molto importante cogliere questo, è lo specifico
dell'ebraismo e del cristianesimo: un Dio che parla. Ed è anche il fondamento teologico della Bibbia
che sin dalla prima pagina dopo aver detto "...in principio Dio creò il cielo e la terra..." (Gen. 1,1),
presenta un Dio che dice e dicendo realizza: Dio disse “sia la luce!”. E la luce fu ( Gen.1,3). Dio
dunque ha creato con la Parola. Il parlare di Dio è il filo rosso che accompagna tutta la Bibbia. Il
partner di Dio è colui che ascolta. L'ascolto crea un'appartenenza, un legame, fa entrare
nell'alleanza. Ad Israele è richiesto l’atteggiamento dello “shèma” (ascolta) che lo rende popolo di
Dio. Nel Nuovo Testamento l'ascolto è diretto alla persona di Gesù, il Figlio di Dio: "Questi è il mio
Figlio amato, in cui mi sono compiaciuto. Ascoltatelo" (Mt 17,5). La Scrittura contiene dunque un
appello di Dio e chiede all’uomo di farsi ascoltatore. Leggere la Scrittura allora significa compiere
un “esodo da sé stessi” in vista di un incontro, significa aprirsi a una relazione, entrare nel dialogo
in cui essenziale è il movimento dell' ascolto. Il credente è"1'ascoltante". Chi ascolta confessa la
presenza di colui che parla ed esprime il desiderio di coinvolgersi; chi ascolta scava in sé uno spazio
all'inabitazione dell' altro; chi ascolta si dispone con fiducia all'altro che parla. Perciò il Vangelo
chiede discernimento su ciò che si ascolta (cf. Mc 4,24) e su come si ascolta (cf. Lc 8,18), poichè
“noi siamo ciò che ascoltiamo”! La figura antropologica che la Bibbia vuole costruire è dunque
quella di un uomo capace di ascoltare, abitato da un "cuore che ascolta" (1Re 3,9). È il cuore che
ascolta, cioè la totalità dell'uomo: il suo nucleo più profondo è forgiato dall'ascolto. Quando ci si
apre con verità alla Scrittura, Dio parla e opera una “nuova creazione” nell’uomo e nella storia. E’
scritto in Isaia: “Oracolo del Signore: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi
ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare … così sarà
della mia Parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò
che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” ( 55,8.10-11). Essendo questo ascolto
non una mera audizione di frasi bibliche, ma discernimento della parola di Dio, esso richiede la fede
e deve avvenire nello Spirito santo. Condizioni che ci rinviano alla lettura biblica nello spazio
liturgico e nella lectio divina.
La Lectio Divina
Scopo della lectio divina è la ricerca di Dio nella sua parola scritta. Si tratta di una lettura meditata
della Scrittura. È una lettura spirituale che vale non per quello che ci fa acquisire, ma per quello che
ci fa diventare. Ecco perché si parla di lettura sapienziale. Sapienza è gusto delle cose di Dio, è una
contemplazione delle Scritture, una lettura in vista della preghiera. E’ quindi una lettura sacra e
divina che conduce a “pregare la parola”. Nella Parola Dio si fa presente, tocca e penetra i cuori;
allora la persona è disarmata e si arrende. La Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata
attraverso l’intervento dello Spirito Santo. Con la guida dello Spirito Santo, nell’esperienza di
meditazione e silenzio, di contemplazione e condivisione, la Parola diventa sorgente di grazia,
dialogo orante, appello alla conversione, proposta profetica e orizzonte di speranza. Benedetto XVI
ha invitato tutti alla creatività: “Quale punto fermo della pastorale biblica, la lectio divina va
ulteriormente incoraggiata, anche mediante l’utilizzo di metodi nuovi, attentamente ponderati, al
passo con i tempi” (Ai biblisti, 16.IX.2005). “L'ascolto della Parola di Dio è per il singolo credente
e per la Chiesa nel suo insieme un potente quanto semplice strumento di evangelizzazione e
rinnovamento" (Sinodo 2012, Instrumentum Laboris, n. 15).
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La “lettura pregata” della Scrittura
La lectio divina ha un suo ordine interno. Essa è un cammino con determinate tappe in cui il
credente è invitato a sostare. Queste tappe si susseguono secondo un ordine prestabilito. Se si
rispetta quest’ordine, non si tralascia alcunché di importante e si evita di leggere la Scrittura in
modo superficiale. Ci sono tappe progressive o gradini:Lettura,Meditazione,Preghiera,
Contemplazione, Discernimento, Azione.
Il “Maestro interiore”
La Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata attraverso l’intervento dello Spirito Santo, “poiché
non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli
uomini da parte di Dio” (2 Pt.1,21). Gesù afferma:“Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi
guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito”
(Gv.16,13) E’ lo Spirito che abita già nel credente per mezzo del Battesimo e della Confermazione,
che viene quasi “destato” e messo in azione. Egli illumina gli occhi del cuore per permettere di
vedere; apre l’orecchio spirituale per ascoltare; è il maestro interiore che insegna e introduce nel
mistero della presenza di Dio. Lo Spirito di Dio è in ultimo l’autore della Scrittura e dunque egli la
conosce perfettamente e può introdurre alla sua perfetta conoscenza.
Lettura
Questo aspetto consiste nella lettura di un passo della Scrittura al fine di comprendere il significato
che l’autore sacro, ispirato, intendeva comunicare ai suoi lettori o ascoltatori. È il punto di partenza.
Il brano va letto, se necessario, più volte. Nella lettura si cerca di capire il brano nel suo contesto
originale storico, geografico, culturale. Qual era lo scopo spirituale che l’autore aveva in mente?
Quando lo scrisse? Dove? In quali circostanze?
Meditazione
In questo secondo momento, che non può essere distinto nettamente dal primo, si passa dalla lettura
all’approfondimento. Si tratta di un ritornare sul testo, richiamandone le parole, per ritrovare il tema
centrale e imprimerlo nel cuore. È un cercare il sapore della Scrittura, non la conoscenza. La
meditazione cerca di conoscere ciò che il testo dice a noi oggi. Si tratta di un lavoro paziente di
approfondimento, un gustare la parola di Dio. In questo lavoro ci serviamo anche degli strumenti
culturali e scientifici che abbiamo anche se dobbiamo ricordare che il fine è la meditazione del testo
stesso. Nella meditazione – ci si pone la domanda: Che cosa dice a me? Quale messaggio riferito
all’oggi mi viene proposto autorevolmente dal brano come parola del Dio vivente?
Preghiera
Questo aspetto consiste nella preghiera che scaturisce dalla meditazione. È una spontanea reazione
del cuore in risposta al testo. È una richiesta dell’aiuto divino per riconoscere e per rispondere alle
provocazioni che emergono attraverso le parole del testo per la vita. Lo Spirito guidato da Dio
ispirò il testo proprio avendo in mente queste richieste, perciò lo Spirito è pronto a rispondere a tali
richieste. I momenti precedenti conducono alla preghiera. E’ la risposta alla lettura, è entrare in
dialogo. La parola è venuta all’uomo e ora torna a Dio sotto forma di preghiera. Ed è la vera
preghiera: quella che sgorga dal cuore al tocco della parola divina. È un pregare con la parola di
Dio. Si tratta di far propria la parola della Scrittura, di farla entrare nel cuore per poi restituirla a
Dio dopo averla accettata con la propria adesione. Se un salmo è preghiera, preghiamo; se è gemito,
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gemiamo; se è riconoscenza, siamo nella gioia; se è un testo di speranza, speriamo; se ispira timore,
tremiamo. È una risposta nell’umiltà, nella nostra piccolezza, ma anche nella franchezza possibile
proprio quando si parla a Dio con le sue parole.
Contemplazione
La contemplazione avviene quando la molteplicità dei sentimenti, delle riflessioni e della preghiera
si concentra su Gesù che è presente: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt.
28,20) Contemplare è entrare in un rapporto di fede e di amore con il Dio vivente, che in Gesù si è
rivelato (Gv 14,9). La contemplazione diventa adorazione nella lode e nel silenzio davanti a Dio
tenendo esposto il cuore, centro dell’essere. La vera contemplazione rivelerà sempre più l’uomo a
se stesso, aiuterà a scorgere chi è veramente e ciò che è chiamato ad essere secondo il punto di vista
di Dio. La contemplazione è dono dello Spirito Santo, è esperienza viva di fede.
Gesù entra nella parte più intima dell’ essere: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre
mio lo amerà, e verremo da lui e faremo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Contemplare è dimorare
con amore nel testo, passando dal testo, al messaggio, alla contemplazione di Colui che ha parlato.
Contemplazione è giungere alla meta del cammino: l’adorazione, la lode e il silenzio davanti al
Padre.
Discernimento
Venendo in contatto con la parola di Dio l’uomo riceve una sensibilizzazione, una specie d’istinto
per le scelte della sua vita. Scelte in armonia con il volere di Dio: non solo per la vita personale, ma
anche per la vita comunitaria. Fondamentalmente, si tratta di quel discernimento che sa distinguere
tra le varie inclinazioni che sollecitano l’attenzione per scorgere quella che proviene da Dio. Il
discernimento comporta di entrare nella mentalità di Gesù, di ricevere i suoi stessi sentimenti per
“vedere la storia come Lui, giudicare la vita come Lui, scegliere ed amare come Lui, sperare come
insegna Lui, vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo” ( Il rinnovamento della
Catechesi n°38). “Ora noi abbiamo la mente di Cristo” (1Cor 2,16). Questa capacità di discernere,
nelle ordinarie emozioni e nei momenti della vita, l’aspetto spirituale, è un dono così grande che
Paolo lo chiedeva per tutti i fedeli: “E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in
conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed
essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo ricolmi di quei frutti di giustizia che si
ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. (Fil 1,9-11).
Azione
Questo aspetto consiste nel mettere in pratica il frutto di tutte le altre tappe descritte sopra. Se ci si
impegna nella lectio divina è per capire meglio come rispondere a Dio con il modo di vivere.
L’agire segue l’essere. La lectio divina cerca di dar forma all’ essere. L’azione riguarda soprattutto
le scelte di vita e il modo di portare avanti queste scelte e rappresenta il frutto maturo di tutto il
cammino. L’uomo legge e medita affinché sgorghino queste decisioni e affinché la forza
consolatrice dello Spirito Santo aiuti a mettere in pratica le scelte fatte. Non si tratta di pregare di
più per agire meglio, ma di pregare di più e meglio per capire ciò che si deve fare e per poterlo fare
bene a partire dalla scelta interiore.
Il frutto
Gesù disse: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv
15,11). La Sua Parola è dono per la gioia autentica della vita. Diceva Sant’Agostino"Non si può
trovare uno che non voglia essere felice". Una fede che porta alla gioia è una fede di cui non si
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sente il bisogno. Quale Dio cercare, quale Dio seguire? Non un Dio lontano, disincarnato, ma un
Dio che, in Gesù, ha azzerato ogni distanza, si è fatto vicino all’uomo anzi è entrato dentro di lui,
dentro la sua storia, per abitarla; un Dio che è la risposta all’anelito insopprimibile della gioia e
della pace che alberga nel cuore di ciascuno e rappresenta la radice del suo agire. Questo è il Dio
necessario all’uomo: che combatte le brutture, che risana le ferite, che libera ciò che è incatenato,
che illumina ciò che è nelle tenebre, che risorge ciò che è morto; che riaccende nel cuore, contagia
della luce della Resurrezione. Il mondo attende di incontrare questo Dio attraverso la vita “bella”
dei cristiani. Non è dunque la gioia effimera che da il mondo: passeggera, apparente, fugace e
mutevole. È la gioia che nasce dalla profonda consapevolezza di essere radicati in Dio e di vivere in
perfetta armonia con la Sua volontà: "non è certo che tutti vogliano essere felici; poiché chi non
vuole avere gioia di Te, che sei la sola felicità, non vuole la felicità" diceva S. Agostino. E ancora
sta scritto: "State sempre lieti...: questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi" (1Ts
5,18). La gioia è un dovere per gli uomini, è il distintivo dei cristiani, è la testimonianza più
credibile e avvincente. La gioia che emana dal cristiano non può essere un fatto eccezionale, come
un abito che si indossa nelle feste solenni: deve essere un fatto quotidiano, feriale, perché Gesù,
nostra gioia, risorto, è con noi e dentro di noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).
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ABRAMO
UN CAMMINO DI FEDE
Iniziamo il percorso biblico di approfondimento della vicenda di Abramo, figura cara a Paolo che lo
chiama “nostro padre nella fede”e alla tradizione giudaica che lo definisce “la radice”. È, infatti,
radice sradicata da Ur dei Caldei per essere trapiantata in Palestina: dalla terra mirabile della cultura
dei Sumeri ad una terra misera, sassosa e arida quale la Palestina. Noi parliamo di “Abramo nostro
padre nella fede”. Chi è Abramo? Nel nostro percorso approfondiamo l’opera che Dio ha
compiuto “con” e “attraverso” lui.
 Abramo è importante non solo per la sua vicenda personale; il suo “uscire” si carica di un
carattere profetico e fa di Abramo un “tipo”. Egli incarna il popolo di Israele. Quando Dio si
rivela ama definirsi il “Dio di Abramo, di Isacco,di Giacobbe”. Abramo è il cercatore di Dio che
accetta di fidarsi perdutamente di Lui: così diventa il padre dei credenti, riconosciuto tale da ebrei,
cristiani, musulmani. “Guardate la rupe da cui siete stati tagliati, la gola del pozzo da cui siete stati
estratti. Guardate Abramo vostro padre” (Is 51,1s). Il popolo di Dio è anche il popolo di Abramo
l’antenato, come affermeranno i giudei in polemica con Gesù (Gv.8,33). Egli diviene il principio
unificatore di tutto il popolo e della sua storia, colui che rivela il progetto divino su Israele. Così
l’uscita da Ur dei Caldei diventa simbolo per l’Israele in esilio, a lasciare la terra della Mesopotamia
e a rientrare nella terra promessa. Per cogliere il senso di ciò che sta vivendo, Israele è chiamato a
rileggere la vicenda di Abramo per comprendere la logica dell’azione di Dio. Egli è colui che
precede nel cammino ed indica la via, insegnando quali siano gli atteggiamenti da assumere davanti
a Dio e alla Sua Parola. Abramo è anche “tipo” dell’uomo che cerca Dio e se stesso perché “noi
riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore e veniamo trasformati, di gloria in gloria,
nella medesima immagine (2 Cor. 3,18). Conoscere Dio è comprendere chi è l’uomo, la sua
vicenda, la sua vita, la sua storia. Possiamo dire che, contemplando Dio, l’uomo contempla se
stesso.
 Abramo è padre in senso biblico: genera alla vita ma anche alla fede, trasmettendo la storia di
salvezza e aprendo alla conoscenza del Dio delle promesse. Così, anche noi, veniamo generati alla
vita e alla fede in Dio secondo quel mirabile ordito che troviamo nel primo capitolo di Matteo:
“Abramo generò Giacobbe…” fino a “Giacobbe generò Giuseppe lo sposo di Maria, dalla quale è
nato Gesù chiamato Cristo”. Abramo è padre di Gesù Cristo e anche nostro, incorporati in Cristo
mediante il Battesimo. Perciò Paolo non esita ad affermare che “figli di Abramo sono quelli che
vengono dalla fede” (Gal 3,7).Abramo non mostra solo un modo di vivere ma la dimensione
radicale dell’atto di fede, in quanto accoglienza e disponibilità. La nostra fede assume, dunque, il
carattere abramitico perché siamo chiamati a divenire “come Abramo” nel suo cercare, accogliere,
arrendersi di fronte alla Parola di Dio: una resa difficile, progressiva, tormentata, caratterizzata dallo
sperare contro ogni speranza. Egli incarna quella fede che è “l’atto con cui l’uomo affida a Dio se
stesso, totalmente, liberamente” (GS n.5) che poi si esprime nella vita concreta.
 La vita di Abramo è un pellegrinaggio di fede che ha un punto di partenza, delle tappe e una
meta. Non si tratta di uno spostamento geografico o da una situazione di vita all’altra. È, invece,
uno spostamento di senso: da sé a Dio, dalla propria logica alla Sua volontà. È un lasciarsi sradicare
dal terreno della storia, intesa come semplice successione di fatti e di avvenimenti entro un
orizzonte puramente umano, per lasciarsi innestare nel tronco della storia della salvezza che passa
“dentro” e “attraverso” le vicende umane ed il cui germoglio è Gesù Cristo. La fede è come
l’itinerario percorso da Abramo, è conoscere nuovamente quel Dio che credeva già di conoscere,
ma di cui in realtà sapeva così poco. La fede non è mai un’acquisizione definita e compiuta, ma
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“peregrinatio”, esperienza di quel Dio che ci invita ad “uscire” e ad andare, forti della sua Parola e
della certezza che Egli compie sempre le promesse pur tra le contraddizioni umane della; un Dio
che mentre si dona sfugge per diventare meta di un cammino ulteriore; un Dio che mai si lascia
catturare dall’uomo, riducendosi ai suoi schemi, ma che sempre invita l’uomo ad innalzarsi verso
orizzonti infiniti e inediti; un Dio che è pace per ciò che dona e “sana inquietudine” per ciò che
promette.
 Gli studiosi ritengono che il popolo di ritorno dall’esilio ha avuto bisogno di comprendere la
propria storia, le proprie radici: chi siamo? Da dove veniamo? Inoltre era importante ridare luce e
vigore alla triplice promessa: la terra, la discendenza, l’alleanza con Dio. La vicenda di Abramo
viene collocata attorno al XVIII secolo a.C. quando gruppi di nomadi vagavano nel Medio Oriente.
Ciò che aiuta nell’individuare temporalmente la vicenda dei Patriarchi sono le usanze riportate nella
Bibbia. Ad esempio nei testi commerciali e giuridici dei popoli mediorientali è citato l’uso di
adottare il figlio avuto dalla schiava (come fa Abramo con Ismaele) oppure l’uso di avere una
schiava come concubina (Abramo e Agar). Gli scrittori non sono preoccupati di dimostrare
l’attendibilità storica, ma di radicare l’identità del popolo; è una teologia quella che viene descritta,
una storia che rivela l’agire di Dio, il suo progetto sull’umanità.
Poniamoci anche noi in cammino, approfondendo la Parola, per specchiarci in essa e comprendere
noi stessi e la nostra storia, passata, presente e futura alla sua luce
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I
La Parola
La Parola:
Gen. 12,1: Il Signore disse ad Abram…
per la…Meditazione
Al versetto 1 possiamo notare che l’inizio della storia di Abramo è del tutto diversa dalle storie lette
in Genesi 1-11: essa inizia con una parola diretta del Signore ad un uomo. La storia di Abramo
comincia con una parola di Dio. Anche la creazione è incominciata allo stesso modo (cfr. Gen.1,1
segg.). Possiamo dire che siamo dinanzi ad una svolta, ad un nuovo cominciamento che riporta
ordine e armonia nel mondo e nella storia, sovvertite dalla disobbedienza dell’uomo. Quella di
Abramo infatti è una storia che ha forti collegamenti con il passato e si riallaccia alla storia delle
origini (Genesi 2-11). Una storia in cui si incontra l’eterno sogno di bene di Dio e la realtà
dell’uomo che sembra volerlo contraddire e stravolgere. Questa storia aveva avuto inizio con la
creazione di Adàm (che viene dal suolo, dall’ebraico Adamah, terra) in un contesto di bellezza e di
armonia, quale il giardino dell’Eden. Già i racconti della creazione sono pervasi e attraversati da
questo senso di armonia con cui Dio opera e che è mirabilmente espressa nel testo. Si dice che “la
terra era informe e deserta, le tenebre ricoprivano l’abisso…” (Genesi 1,2), in ebraico troviamo le
parole tohu (il deserto) e bohu (il vuoto). Dio crea (bara’) il cielo come frutto dell’opera di
illuminazione (1,3) e la terra come separazione ordinata (1,6 segg.) successione ordinata del tempo
(1,14). Questo quadro di perfezione e di bellezza che Dio realizza nel caos informe, rappresenta il
contesto in cui l’uomo viene creato e posto nello svolgimento della signoria e nella “convivenza con
Dio” che passeggia nel giardino. Il libro della Genesi ci fa intuire che Dio era solito andare a
“passeggiare” nell’Eden per intrattenersi, alla brezza del giorno, a parlare con l’uomo (Gen 3,8).
Dunque il Creatore, prima che l’uomo peccasse, si soffermava affabilmente con la sua creatura più
bella. Tanto più che l’uomo, creato per ultimo al sesto giorno, viene introdotto da Dio nel grande
Tempio della creazione in qualità di custode, di liturgo. Egli è come un sacerdote chiamato a
custodire l’ordine, l’armonia e quindi la bellezza dell’intera creazione e far risuonare, nell’ambito
delle cose create, l’inno di lode e di adorazione. Una liturgia di vita che trasmette vita! A questa
storia di armonia e di bellezza seguono le vicende della disobbedienza, fonte di maledizione (nella
Genesi per cinque volte viene pronunciata la parola di maledizione: 3,14.17; 4,11; 5,29; 9,25).
Segue la vicenda della costruzione della torre di Babele (Genesi 11, 1-9). La chiamata di Abramo si
staglia sullo sfondo della dispersione e della confusione di Babele. Già in questo è racchiusa una
lezione. Dio non si rassegna alla dispersione dell'umanità e, come aveva già fatto dopo il diluvio,
così anche dopo Babele ricomincia da capo e intraprende un nuovo cammino di riunificazione.
Dall'inizio della storia, l'uomo si ostina a peccare e Dio non cessa di circondare l'uomo di amore
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misericordioso. L'uomo si ostina a distruggere il disegno di Dio, ma Dio è ancora più ostinato e lo
ricomincia. La chiamata di Abramo è il segno appunto di un inizio nuovo sullo sfondo del peccato
dell'uomo (Babele). La vita di Abramo è il “luogo teologico” in cui Dio può operare e realizzare il
suo sogno di salvezza. L'intervento di Dio non è la risposta a un merito, né il riconoscimento di una
particolare virtù. L'uomo non ha nessun titolo personale per essere chiamato. Spesso i protagonisti
della storia di Dio, compreso Abramo, sono uomini come tutti, con lati positivi e con le loro
debolezze. Il divino si inserisce nella storia di uomini veri, uomini come altri. L'alleanza di Dio non
poggia su un legame di sangue o sull'appartenenza a una razza (cosa che in seguito Israele sarà
invece tentato di immaginare), ma unicamente sulla fede: Abramo è un uomo come tutti e l'unica
caratteristica che lo distingue è la sua disponibilità alla fede. Nella chiamata di Abramo l'azione di
Dio appare libera e gratuita: perché chiama Abramo? È il Dio di tutti, tuttavia si concentra su un
uomo solo: perché? Non c'è che una risposta: la chiamata di Dio non è mai la chiamata a un
privilegio, a una salvezza per se stessi, ma sempre per un servizio e per una responsabilità nei
confronti dell'intera umanità. Il breve racconto della chiamata non dice nulla, assolutamente nulla,
sulle modalità dell'incontro fra Dio ed Abramo. Dice, però, due cose molto importanti. La prima:
non è Abramo che ha incontrato Dio, ma è Dio che ha incontrato Abramo. E la seconda: Dio si
rivolge direttamente ad Abramo con il «tu», come avviene fra due persone che si incontrano lungo
la medesima strada e come il testo biblico riporta a proposito di Dio e di Adamo nel giardino
dell’Eden. Non c’era alcuna mediazione allora ed ora torna ad esserci nessuna mediazione. Abramo
incontra il Dio vivente, un Dio che non rimane circoscritto al tempio e al culto e la sua Parola si
inserisce nella sua vita e la spezza in due.
Giovanni Damasceno Esposizione della fede ortodossa, 4,17
Dice l’Apostolo: Molte volte e in molti modi anticamente Dio parlò ai nostri padri per mezzo dei
profeti; ma in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2). Per mezzo dello
Spirito Santo, dunque, hanno parlato la legge, i profeti, gli evangelisti, gli apostoli, i pastori e i
maestri. Perciò ogni Scrittura è ispirata da Dio ed è anche certamente utile (cf. 2Tm 3,16). È bello
dunque e salutare indagare le divine Scritture. Come un albero piantato lungo corsi d’acqua, così
anche l’anima, irrigata dalla Scrittura divina, cresce e porta frutto alla sua stagione (Sal 1,3), cioè
la fede retta, ed è sempre adorna di foglie verdeggianti, cioè le opere gradite a Dio. Dalle Scritture
sante infatti veniamo condotti alle azioni virtuose e alla contemplazione pura. Troviamo in esse lo
stimolo a ogni virtù e la dissuasione da ogni vizio. Se dunque impareremo con amore, impareremo
molto: infatti, con la diligenza, la fatica e la grazia di Dio che dà tutto, tutto si ottiene, poiché chi
chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (Lc 11,10). Battiamo dunque a questo
magnifico giardino delle Scritture, olezzante, soave, fiorente, che rallegra le nostre orecchie con il
canto molteplice di uccelli spirituali, pieni di Dio, che tocca il nostro cuore, consolandolo se è
triste, calmandolo se è irritato, riempiendolo di eterna letizia; che innalza il nostro pensiero sul
dorso dorato, rutilante, nella divina colomba (cf. Sal 67,14), che con le sue ali raggianti ci porti al
Figlio unigenito ed erede del padrone della vigna spirituale e per mezzo di lui al Padre dei lumi
(Gc 1,17). Ma non battiamo fiaccamente, bensì con ardore e costanza; e non stanchiamoci di
battere. In questo modo ci sarà aperto. Se leggiamo una volta e due volte e non comprendiamo
quello che leggiamo, non scoraggiamoci, ma persistiamo, riflettiamo, interroghiamo. Il detto
infatti: Interroga tuo padre e te lo annuncerà, i tuoi vecchi e te lo diranno (Dt 32,7). La scienza non
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è di tutti (cf. 1Cor 8,7). Attingiamo alla sorgente di questo giardino le acque perenni e purissime
che zampillano nella vita eterna (cf. Gv 4,14). Ne godremo e ce ne delizieremo senza saziarcene:
possiede una grazia inesauribile. Se possiamo cogliere qualcosa di utile anche da quelli «di fuori»
[scrittori pagani], nulla lo vieta; comportiamoci come cambiavalute esperti, che raccolgono l’oro
genuino e puro e ripudiano quello adulterato. Accogliamo i loro buoni insegnamenti e gettiamo ai
cani le loro divinità e miti assurdi, poiché da quelli trarremo una maggiore forza per combatterli.
Benedetto XVI, Verbum Domini. Esortazione Apostolica Postsinodale, 22
Dio parla e viene incontro all’uomo, facendosi conoscere nel dialogo. Certo, come hanno
affermato i Padri sinodali, «il dialogo quando è riferito alla Rivelazione comporta il primato della
Parola di Dio rivolta all’uomo». Il mistero dell’Alleanza esprime questa relazione tra Dio che
chiama con la sua Parola e l’uomo che risponde, nella chiara consapevolezza che non si tratta di
un incontro tra due contraenti alla pari; ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un
atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio. Mediante questo dono del suo amore Egli,
superando ogni distanza, ci rende veramente suoi «partner», così da realizzare il mistero nuziale
dell’amore tra Cristo e la Chiesa. In questa visione ogni uomo appare come il destinatario della
Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d’amore con una risposta libera.
Ciascuno di noi è reso così da Dio capace di ascoltare e rispondere alla divina Parola. L’uomo è
creato nella Parola e vive in essa; egli non può capire se stesso se non si apre a questo dialogo.
Dal Piano Pastorale
Vi propongo allora di lasciarci orientare dal “tipo” di Abramo, dalla sua figura e dalla sua
vicenda che divengono paradigmatici per noi per due motivi: Abramo rappresenta Israele che
cerca Dio, la Chiesa che cerca Dio! Abramo è l’uomo che cerca Dio, è una moltitudine, è tutti
coloro che cercano Dio, è ciascuno di noi in cammino alla ricerca di Dio per adeguarsi alla Sua
Parola. È dunque per noi padre nel pellegrinaggio della fede. Egli è nostro padre nella
disponibilità e nell’apertura della fede e della speranza.
(Dal Piano Pastorale, Per fede Abramo, della Chiesa Tiburtina per gli anni 2012-2016, 2).
per la …Preghiera
dal Salmo 118, 1-16
Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore.
Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore.
Non commette ingiustizie, cammina per le sue vie.
Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente.
Siano diritte le mie vie, nel custodire i tuoi decreti.
Allora non dovrò arrossire se avrò obbedito ai tuoi comandi.
Ti loderò con cuore sincero quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
Voglio osservare i tuoi decreti: non abbandonarmi mai.
Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Custodendo le tue parole.
Con tutto il cuore ti cerco: non farmi deviare dai tuoi precetti.
Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato.
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Benedetto sei tu, Signore; mostrami il tuo volere.
Con le mie labbra ho enumerato tutti i giudizi della tua bocca.
Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene.
Voglio meditare i tuoi comandamenti, considerare le tue vie.
Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola
Mt. 17,1-8
per il…Discernimento e l’Azione
1. Nonostante l’uomo si sia allontanato, Dio non si rassegna e inizia un nuovo cammino con
Abramo. Vivo l’esperienza di Dio che mai mi abbandona ma sempre mi circonda con il suo
amore anche quando mi sembra di essermi allontanato/a da Lui?
2. Qual’è il mio rapporto con la Parola di Dio? Cos’è per me e che posto ha nella mia vita?
Quali sono le forme e i momenti nei quali faccio spazio alla Parola?
3. C’è in me la disponibilità verso Dio per realizzare la salvezza in me e attraverso di me?
Noi pensiamo che la parola di Dio ha cessato ormai da tanto tempo
di echeggiare sulla terra da essere quasi logora;
una parola nuova dovrebbe essere in arrivo,
ne avremmo il diritto.
E non badiamo che siamo noi, noi soli, i logori,
gli alienati mentre la Parola è viva e sorgiva
come prima e a noi vicina come sempre.
Hans Urs von Balthasar
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II
La chiamata
La Parola
Gen. 12, 1-2: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese
che io ti indicherò”
per la…Meditazione
“Vattene”. La storia di Abramo inizia e termina con lo stesso comando: “va’…” (Genesi 22,2). Il
primo quando deve lasciare la sua terra, la sua patria e la casa di suo padre, quando, cioè, deve
staccarsi dal suo ambiente di origine, deve rompere con il suo clan e con il suo passato. Il secondo
quando gli è chiesto di sacrificare il figlio Isacco, di rinunciare alla promessa, al suo futuro. In
entrambi i casi, Abramo “partì senza sapere dove andava” (Ebrei 11,8): verso una terra, verso un
monte che gli sarebbero stati rivelati soltanto dopo essere partito. “Da un capo all’altro della storia
di Abramo è questione di spaesamento” (Midrash Rabbà). Per Abramo si tratta sempre di
ricominciare da capo, di mettersi in cammino verso l’ignoto. Di rinunziare sia alle garanzie del
passato, sia alle promesse del futuro. È a questo che allude il Midrash.
“Poi Terach prese Abram, suo figlio e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio e uscì con loro
da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan” (Gen 11,31). Quando viene chiamato, Abramo è
già dentro una storia di cui, però, ancora non è protagonista perché c’è la presenza di suo padre,
Terach. Abram è già partito, ha già lasciato Ur, è già alla ricerca della terra di Canaan. Ma finora è
tutto costruito sulla libera iniziativa umana, è un progetto solo umano. La Parola di Dio, entrando
nella storia di Abramo non la trasforma, ma da semplice storia personale la trasforma in storia di
salvezza per tutti i popoli. Così avverrà anche per una giovane che essendo già “promessa sposa di
un uomo della casa di Davide” vede la propria storia trasformarsi ed il suo progetto familiare
diviene il luogo in cui Dio si fa presente e da cui si diffonderà la salvezza universale. Abramo e
Maria sono, per i contemporanei, persone qualsiasi. Ad Abramo Dio formula un semplice invito:
“vattene”, che in ebraico suona: “Lek-leka”, letteralmente: “mettiti in cammino”, “va’ per te”, o
anche “va’ verso te stesso”. Queste diverse sfumature, dicono la densità dell’invito a ricercare Dio e
allo stesso tempo se stesso. Dio si presenta anzitutto come colui che conosce la verità di ciò che
Abramo è e lo sprona a scoprirla. Così Abramo è invitato a comprendere che la verità del suo
esistere non viene da fuori, da ciò che ha, da ciò che fa, dal clan cui appartiene ma che è scritta
dentro di lui da Colui che lo ha fatto “a sua immagine e somiglianza”. Per i rabbini l’invito di Dio è
“vattene per il tuo bene”, poniti in cammino per scoprire quale sia il tuo vero bene. Abramo, su
comando di Dio, deve prendere in mano la vita e diventarne protagonista.
“il tuo paese, la tua patria, la casa di tuo padre….” Il punto cruciale sta proprio nel “tuo” che
deve essere abbandonato. Ma cosa è racchiuso dentro questo “tuo”? La logica che sottente ogni
aggettivo possessivo: ciò che è mio, mi appartiene, fa parte di me, è la mia sicurezza, fino
all’estrema conseguenza: io sono ciò che posseggo. Questo è sempre vero, ma soprattutto nella
società ebraica in cui la terra e il clan familiare costituivano l’identità essenziale dell’uomo. Dio
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chiama a sciogliersi da una vita costruita sulle sicurezze umane e invita a scommettere in una storia
in cui Lui diviene l’unica certezza. Dio esige di essere l’unico Dio, l’unico fondamento. Si è
chiamati a passare da un Dio a cui si da “tanto” a un Dio a cui si deve consegnare “tutto”, perché
Lui diventi “tutto”. Abramo è chiamato a vivere l’esperienza del deserto, non considerato nella sua
realtà fisica, bensì esistenziale. Cosa accade nel deserto? Nel deserto non c’è la sicurezza della casa,
del cibo, dell’acqua, non è il luogo dell’incontro e della relazione ma della solitudine; vengono a
mancare tutte le certezze, si è esposti al pericolo senza potersi difendere, ci si perde facilmente e si
sperimenta la fragilità e la precarietà dell’esistenza. Ma nel deserto si scopre che Dio c’è e non è
accessorio alla vita umana; Egli protegge, provvede, guida. Nel deserto si recupera una radicale
dipendenza da Dio; possiamo dire che nel deserto o c’è Dio che protegge, che provvede, che guida
oppure si muore.
“verso la terra che io ti indicherò”.Abramo va via da un luogo, ma soprattutto abbandona una
mentalità di vita per entrare nella dimensione di Dio, segnata da importanti elementi: il dono,
poichè è il Signore che prepara e dona la terra; la gratuità, poiché la promessa di Dio non si fonda
sui meriti dell’uomo e non è frutto di conquista e di appropriazione. La terra è di Dio, appartiene a
lui e questo dono è per tutti, poiché egli è il Dio che “fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt.
5,44). Quando invece la terra è “cosa dell’uomo” essa non è più per tutti, ma è l’uomo a deciderne
le sorti. La logica di Dio è l’universalità, che fa sì appunto che i doni siano per tutti.
I caratteri del dono e della gratuità sono essenziali nell’agire di Dio e l’uomo non può tentare di
sovvertirli. Consideriamo, ad esempio, l’episodio della manna nel deserto (Esodo 16, 1ss). Mosè
riferisce il comando del Signore (v. 16) di prendere quanto ciascuno può mangiarne. Cosa accade,
invece? Gli Israeliti, contravvenendo al comando di Mosè di non far avanzare niente, conservarono
la manna (v. 20). Il testo dice: “vi si generarono vermi e imputridì” e il dono non servì più per ciò
per cui era stato dato. Così è anche per la fede: non conservare ciò che già si possiede ma essere
protesi in avanti, verso un futuro che ancora non si possiede. Si progredisce nel totale affidamento,
abbandonando la pretesa umana di sapere tutto, di avere tutto pianificato e programmato. E’
assaporare la libertà che promette Gesù con quella Sua Parola: “il vento soffia dove vuole e ne senti
la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque e nato dallo Spirito” (Gv. 3,8).
Il paese verso cui Abramo è invitato ad andare non è subito nominato (“che io ti indicherò”). Verso
quale terra? Verso quale luogo? Il problema primario non è sapere dove si sta andando; Abramo ci
ricorda che non è solo della destinazione che ci si deve preoccupare, ma anche di che cosa fare
lungo il cammino, di come procedere. Il tema centrale di Abramo è come mettersi in cammino,
come cominciare. E non si finisce mai di iniziare. Abramo in fondo comincia tardi (Genesi 12,4) ma
è capace di mettersi comunque in cammino. Questo, se da una parte rende paradossale il suo
viaggio, dall’altra lo rende “eternamente giovane”, nonostante l’età avanzata. Così anche per noi, in
qualsiasi età della vita, non possiamo smettere di “cominciare ogni volta”, liberi dalla
rassegnazione, rinfrancati dalle stanchezze. Da questo terreno del cuore nasce il germoglio della
“speranza”. Anche noi non sappiamo, come Abramo, dove Dio ci porta, ma sappiamo che cosa fare
durante il cammino. Abramo allora è “chi ricomincia sempre, ogni mattino”.
Dei Verbum 2
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua
volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno
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accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt
1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore
parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar
3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione
comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella
storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole,
mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità,
poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in
Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.
Filosseno di Mabbug, Hom. 4, 75-76
E` cosí che Abramo fu chiamato e uscí alla sequela di Dio: egli non si fece giudice della parola
rivoltagli e non si sentí impedito dall`attaccamento alla razza e ai parenti, al paese e agli amici, né
da altri vincoli umani; ma appena intese la parola e seppe che era di Dio, l`ascoltò semplicemente
e, in spirito di fedeltà, la ritenne veritiera; […] Dio non gli rivelò qual fosse questo paese per far
trionfare la sua fede e mettere in risalto la sua semplicità; e quantunque sembri che lo conducesse
al paese di Canaan, gli prometteva di mostrargli un altro paese, quello della vita che è nei cieli,
secondo la testimonianza di Paolo: "Egli aspettava la città dalle solide fondamenta, il cui architetto
e costruttore è Dio" (Eb 11,10). E ha detto ancora: "E` certo che ne desideravano una migliore del
paese di Canaan, cioè quella celeste" (Eb 11,16). […] Guarda dunque a questa uscita, o discepolo,
e che la tua sia come quella, e non tardare a rispondere alla voce vivente di Cristo che ti ha
chiamato. Là, egli chiamava solo Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e invita ad uscire
dietro di lui tutti quelli che lo vogliono; ha infatti fatto sentire un appello generale a tutti gli uomini
quando ha detto: "Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua"
(Mt 16,24); e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire simili ad Abramo.
Dal Piano Pastorale
La comunità ecclesiale diocesana non vuole chiudere gli occhi davanti alle nuove problematiche e
sfide prodotte da un contesto culturale per molti versi inatteso; mostra di lasciarsi interrogare da
esse e cerca al tempo stesso, nella fedeltà al Magistero e alla Tradizione della Chiesa, di
individuare e percorrere nuove strade e nuove opportunità per rispondervi. Questo è un segno di
grande importanza, che ci fa guardare con fiducia e speranza all’impegnativa partita per
l’evangelizzazione che siamo chiamati a giocare tutti insieme.
(Dal Piano Pastorale, Per fede Abramo, della Chiesa Tiburtina per gli anni 2012-2016, 6).
per la …Preghiera
Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male,
perché tu sei con me.
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Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.
Lc. 1,26-38
per il…Discernimento e l’Azione
1. Abramo prima di essere chiamato da Dio a lasciare la sua terra, ha già un suo progetto di
vita.Che ruolo svolge la mia terra (la mia vita, il mio passato la mia storia personale) nel
mio cammino di fede? Ne sono solo io il protagonista oppure lascio che Dio vi entri per dire
la Sua parola e manifestare la Sua volontà?
2. Di fronte al contesto attuale, mi lascio mai interrogare circa la mia fede ed il mio rapporto
con Dio? E che risposta do alla domanda: perché credi?
3. Vivo la fede con la disponibilità ad annunciare Dio a chi non ne ha più o non ne ha ancora
fatto esperienza, con le scelte e gli atteggiamenti di ogni giorno?
Per giungere a ciò che non sai devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei.
Giovanni della Croce
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III
La benedizione
La Parola
Gen. 12, 2-3: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e
diventerai una benedizione; benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno
maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”
per la…Meditazione
Accanto
all’invito
ad
andare
c’è
la
promessa
e
la
benedizione.
“In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. La chiamata di Dio ha due scopi: la
scelta di Abramo e di un popolo e, poi, l'universalità. Il primo scopo - la scelta di Abramo e di un
popolo - è in funzione del secondo. Lo scopo ultimo è l'universalità. Abramo è chiamato a divenire
benedizione per tutte le genti. Elezione e universalità non sono dunque in contraddizione ma si
fecondano vicendevolmente. L'imperativo «Vattene» è solo la condizione, l'annuncio è la promessa.
Per cinque volte si usa il verbo benedire, il verbo della vita e della fecondità. In ebraico la sua
radice è brk (berakah, che indica il ginocchio, un eufemismo per indicare l’organo sessuale), è la
visione orientale che vede nella vita il segno di Dio. Dove c’è vita, c’è Dio e dunque c’è
benedizione. Due particolari confermano quel “nuovo inizio di Dio” rappresentato dalla vicenda di
Abramo. Il primo: la berakah è all'inizio della storia dell'uomo ("Dio li benedisse dicendo: siate
fecondi e moltiplicatevi" Gen 1,22). Nel nostro testo il verbo benedire è ripetuto cinque volte perché
per cinque volte, nei testi precedenti, viene pronunciata la parola di maledizione (cfr. 3,14.17; 4,11;
5,29; 9,25). Questo elemento fa comprendere come Abramo, mediante l’obbedienza, recuperi
pienamente, ciò che Adamo aveva distrutto con la disobbedienza. L’altro particolare è nella
promessa divina di rendere grande il nome di Abramo è, cioè, il possesso di un grande potere. La
promessa richiama il racconto della torre di Babele dove l’umanità, ancora indivisa, aveva voluto
farsi un nome e con esso una potenza, mediante la costruzione della torre (cfr. Gn 11,4). Questo
tentativo aveva condotto alla dispersione. Ora, invece, Abramo diventa strumento di quell’unità che
non ha lo scopo di aumentarne il potere ma di realizzare un bene che viene da Dio e riguarda tutti.
In contatto reale con Dio l’uomo vede la vita con i Suoi occhi e ne scopre l’ampiezza e la
profondità; è “storia per…”, non chiusa in se stessa ma benedizione di Dio a favore di tutti. Dio non
ama fare tutto da sé ma si fa bisognoso dell’uomo per realizzare il bene che desidera; svela, così,
l’intima essenza della comunione, quella trinitaria, che si apre per coinvolgere l’uomo. L’uomo è
chiamato a percepirsi in modo diverso dentro il lembo di terra dove vive e nella storia in cui è
inserito. Ci aiutano nella riflessione alcuni esempi. Nell’episodio dell’uccisione di Abele si legge:
“Il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele tuo fratello?”. Ed egli rispose: “ Non lo so. Sono forse io
il custode di mio fratello?” (Gen 4,6). Caino è chiamato ad essere custode di suo fratello. Dio, cioè,
ci coinvolge nella Sua continua ricerca dell’uomo. Così anche nei profeti, a cui viene chiesto di fare
della storia personale un “tipo”, un messaggio di conversione, di speranza, di verità per tutto il
popolo; “Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: “Va', prenditi in moglie una
prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal
Signore»”(Os 1,2) e ancora: “Alla fine dei sette giorni avvenne che la parola dell'Eterno mi fu
rivolta, dicendo: «Figlio d'uomo, io t'ho stabilito come sentinella per la casa d'Israele quando udrai
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una parola dalla mia bocca, li avvertirai da parte mia. Se io dico all'empio: "Certamente morirai"
e tu non l'avverti e non parli per avvertire l'empio di abbandonare la sua via malvagia perché salvi
la sua vita, quell'empio morirà nella sua iniquità, ma del suo sangue domanderò conto a te. Ma se
tu avverti l'empio, ed egli non si ritrae dalla sua empietà e dalla sua via malvagia, egli morirà nella
sua iniquità, ma tu avrai salvato la tua anima” (Ez 3,16-19). Nel contesto biblico nessuno vive per
se stesso, ma dentro relazioni nuove di autentica comunione e di corresponsabilità reciproca. L’altro
non è accessorio, ma diventa essenziale per la propria salvezza. Possiamo dire che nella sua
salvezza sta la salvezza di se stessi.
Dio fa sei promesse perché ha un suo progetto a lunga scadenza, concepito nell'eternità e per
l'eternità. Per questo dice ad Abramo: 1. Io farò di te una grande nazione 2. Ti benedirò 3.Renderò
grande il tuo nome 4. Tu sarai fonte di benedizione 5.Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò
chi ti maledirà 6. In te saranno benedette tutte le famiglie della terra.
Cogliamo in queste promesse un respiro ampio, universale. Riecheggia nel testo la benedizione
annunciata a Maria dall’angelo: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e
regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc. 1,31). Anche la vita di
Maria diventa il “luogo” da cui, Gesù, la benedizione di Dio per eccellenza, prende forma umana.
La promessa ad Abramo avviene nel segno della contraddizione ed ha del paradossale, se si pensa
che è fatta ad un uomo di settantacinque anni, con una moglie sterile; la loro età avanzata faceva
supporre una vita nella tranquillità del paese natìo, senza futuro e senza ulteriore sviluppo. Ma Dio è
misterioso e imprevedibile nelle sue vie. E' scritto: "Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per
il Signore?” (Gen. 18:14; Ger. 32.17). Così Abramo, a cento anni, inizia una grande discendenza
che avrà in Cristo Gesù la realizzazione totale e piena. È il segno della contraddizione che appare
anche a Nazaret: Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le
rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza
dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche
Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei,
che tutti dicevano sterile:nulla è impossibile a Dio». (Lc. 1,34-37). Accogliere la dimensione del
mistero negli avvenimenti è la logica di Dio, sapendo che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri,
le sue vie non sono le nostre vie e che quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le sue vie sovrastano le
nostre vie, i suoi pensieri sovrastano i nostri pensieri (cfr. Is. 55,8-9). La fede non è deduzione
logica bensì abbandono radicato nell’amore, umile fiducia in Dio che compie sempre le sue
promesse; non è ridurre Dio ai propri schemi ma è lasciarsi innalzare alla sua logica. “Fammi
conoscere le tue vie, insegnami i tuoi sentieri, guidami nella tua verità…” (Sal. 25, 4), non è Dio
che viene piegato ad abitare la via dell’uomo, ma si invoca che l’uomo sia sradicato dai suoi sentieri
e sia innestato nella via di Dio.
Ambrogio, Exp. in Luc., 7, 176-186
Cristo è il seme, in quanto è seme di Abramo: "Poiché le promesse furono fatte ad Abramo e al suo
seme. Egli non dice: ai suoi semi, come parlando di molti; ma, come parlando di uno solo: al suo
seme, che è il Cristo" (Gal 3,16). E non soltanto Cristo è il seme, ma è il piú piccolo di tutti i semi,
perché non è venuto né nella regalità, né nella ricchezza, né nella sapienza di questo mondo.
Orbene, subito egli ha allargato, come un albero, la cima elevata della sua potestà, in modo che
noi possiamo dire: "Sotto la sua ombra con desiderio mi sedetti" (Ct 2,3). Sovente, credo, egli
appariva contemporaneamente albero e granello. E` granello quando si dice di lui: "Non è costui il
figlio di Giuseppe l`artigiano?" (Mt 13,55). Ma, nel corso di queste stesse parole, egli subito è
cresciuto, secondo la testimonianza dei giudei, perché essi non riescono neppure a toccare i rami di
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quest`albero divenuto gigantesco: "Donde gli viene" - essi dicono - "questa sapienza"? (Mt 13,54).
E` dunque granello nella sua apparenza, albero per la sua sapienza.
Dei Verbum 3
Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle
cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via di una
salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la
promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua
cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la
perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un
gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei
profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e
stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via all'Evangelo.
Dal Piano Pastorale
Un impegno del genere (l’evangelizzazione) non può evidentemente essere azione sporadica di
qualche volenteroso; esso richiede invece una convinta adesione da parte di tutto il popolo di Dio
ed uno sforzo congiunto nel convergere verso obiettivi comuni e condivisi. […] La Chiesa, cattolica
per il suo orizzonte universale, è comunità di comunità, dove ciascuno per la sua parte adempie
l’unica missione dell’unico popolo di Dio; che altro non è che l’annuncio di salvezza che il Padre
ha destinato nel Figlio a tutti gli uomini, perché questi possano elevare il canto di lode che lo
Spirito suggerisce nei loro cuori. La corresponsabilità è perciò la condizione essenziale che
pervade il corpo ecclesiale: nella Chiesa tutti i fedeli – presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate,
laici –, in comunione e sotto la guida pastorale del Vescovo, sono chiamati a farsi carico
dell’evangelizzazione. È la Chiesa nella sua interezza il soggetto evangelizzante.
(Dal Piano Pastorale, Per fede Abramo, della Chiesa Tiburtina per gli anni 2012-2016, 7-8).
per la …Preghiera
Salmo 127
Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda nell'intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d'ulivo intorno alla tua mensa.
Ecco com'è benedetto l'uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! Pace su Israele!
Lc. 1,46-55
per il…Discernimento e l’Azione
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1) Come per Abramo, anche la mia vita è chiamata ad essere benedizione per le persone che mi
circondano. Vivo con questa consapevolezza bella e quali sono i comportamenti che manifestano
questa realtà?
2)L’uomo è chiamato a contribuire all’opera di Dio e per fare ciò deve assumere la logica di Dio.
Quali sono le logiche umane che impediscono a Dio di operare in me e attraverso di me
nell’ambiente dove vivo?
3)L’azione di Dio appare, alcune volte, come un segno di contraddizione, come paradossale,
misteriosa agli occhi di chi non ha fede. So accogliere e vivere i momenti di contraddizione che la
fede mi chiede, senza pretendere che tutto segua la sola logica umana?
La benedizione è sempre dedizione personale. Guardo l'altro.
Mi immedesimo in lui attraverso la meditazione,
per sentire di che cosa abbia bisogno questa persona in particolare,
quale sia il suo anelito più profondo.
La benedizione non dev' essere una frase pia qualsiasi,
staccata da quella persona in particolare,
bensì una promessa e una dedizione personale,
una riposta all'anelito più profondo
e ai veri bisogni di quella persona.
(Anselm Grun)
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IV
L’obbedienza
La Parola
Gen.12, 4.5b.6-7: Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot….
Arrivarono al paese di Canaan e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem,
presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei. Il Signore apparve ad
Abram e gli disse: “Alla tua discendenza io darò questo paese”. Allora Abram costruì in quel
posto un altare al Signore che gli era apparso.
per la…Meditazione
E Abramo obbedisce. In alcuni racconti biblici di chiamata l'uomo risponde dopo aver esitato o
dopo aver posto domande: così la chiamata di Mosè, di Geremia e di altri. La Bibbia riconosce a
colui che viene chiamato da Dio il diritto di esitare e di interrogare. Ma nella chiamata di Abramo
nulla di tutto questo: Abramo non esita né pone domande. Semplicemente parte. E’ davvero
esemplare questa fede di Abramo. Nessuna parola esce dalla sua bocca come risposta, nessuna
domanda di chiarimento od obiezione. Un’irruzione così intensa della benedizione di Dio nella
storia dell’uomo ha bisogno di spazio, tutto lo spazio di una vita interamente coinvolta
nell’adesione a quel dono. Davvero non è importante “come” e “dove” si realizzerà la promessa:
certamente si compirà. La forza del dono è così grande che sussiste in ogni situazione, purchè la
libertà dell’uomo le conceda spazio, accogliendola. In patria o in terre lontane, nella forza della
stabilità e dell’ambito familiare oppure nella debolezza di un continuo e debole peregrinare, nella
malattia o nella salute, attraverso i momenti di gioia e gli spazi della sofferenza, la salvezza di Dio
si
compie
mescolandosi
alla
libera
storia
di
ogni
persona.
“Allora Abram partì” (v.4); con queste parole l’autore sacro descrive la risposta del chiamato alle
parole intense di Dio. È un silenzio pieno di vita e speranza, il coraggio umile di cui aveva bisogno
la benedizione di Dio per tornare ad irrigare, sulla terra, gli aridi campi dell’umano fallimento. Il
silenzio di Abramo è in contrasto netto con quanto accade in Genesi 11, di cui rappresenta la
successione. Gli uomini sarebbero stati animati dal disegno di ribellione contro Dio, decidendo di
salire verso il cielo per esautorare anche le regioni celesti. Nel versetto 4 è scritto: “venite
costruiamoci una città ed una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non
disperderci su tutta la terra” (Gen. 11,4). L’uomo parla per esprimere il desiderio di onnipotenza e
la volontà di costruire una vita, un nome con le sue mani. L’illusione è quella di sempre:
onnipotenza ed eternità. La sua azione si contrappone ed entra in contrasto con l’opera di Dio. Ma
Dio non è concorrente all’uomo e non entra in contrasto con lui. Perché Dio parli è necessario che
l’uomo faccia silenzio, perché Dio agisca è necessario che l’uomo stia fermo. Il silenzio di Abramo
non è allora mera assenza di parole, ma è spazio che Dio viene ad abitare e che riempie con la
Parola che realizza quanto annuncia, che opera ciò che promette (cfr. Is. 55, 10-11). E’ il silenzio la
condizione essenziale che Dio richiede per rivelarsi e per operare la salvezza. In I Re 19,11-12
troviamo: “Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e
spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un
terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era
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nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.” Il Signore non era nel vento, né nel
terremoto, né nel fuoco, il Signore si rivela ad Elia in una voce di silenzio che svanisce, come
potrebbe essere tradotta l’espressione ebraica. Qôl demamâ daqqâ: voce del tenue mormorio.
Quello biblico è un silenzio abitato da Dio che plasma l’uomo e il suo agire secondo la Sua volontà;
è il silenzio in cui la parola, grazie alla libera accoglienza dell’uomo, diventa carne, fatto concreto,
azione, perché “non chi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del
Padre che è nei cieli” (Mt. 7,21). La storia della salvezza è segnata dal silenzio umano che
accompagna l’agire di Dio e che culmina nel silenzio di Maria che permette al Verbo di incarnarsi e
di diventare “storia” in Gesù di Nazaret. Abramo parte e si dirige verso il paese dove Dio gli ha
detto di andare. E non è una “terra di nessuno”, ma essa è abitata dai Cananei (v.6). La promessa
sembra paradossale, ma anche questo fa parte del cammino di fede. Dio promette una terra che è già
occupata. Perché? Come è possibile? Perché come recita un canto: Dio è la mia terra, Dio è la mia
casa, Dio è la mia parte di eredità in eterno. Abramo è chiamato ad abitare in nessun’altra terra che
nel cuore di Dio: questa è la sua vera patria e sulla terra si vive l’esilio dalla propria casa. Paolo a tal
proposito afferma: “Siamo Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano
dal Signore finché abitiamo nel corpo, camminiamo infatti nella fede e non nella visione, siamo
pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia
abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi” (2 Cor. 5,6-9) .
Abramo viene presentato, nei continui spostamenti e nel cambiare dimora continuamente, nella
dimensione essenziale di pellegrino. Tutto muta e ciò che resta uguale a se stessa è la promessa.
Al versetto 7 troviamo “Il Signore apparve ad Abram e gli disse: “Alla tua discendenza io darò
questo paese”. Dio sembra voler continuare ed approfondire fino alle sue estreme conseguenze, la
sfida della fede. Abramo non ha discendenza, il paese è abitato da altri eppure il Signore dona la
promessa. Abramo “guarda” e non vede nulla. Abramo “ascolta” e tutto acquista senso. La
“contraddizione” nella quale Dio fa entrare Abramo rappresenta già in sé un cammino di fede: da
una fede fondata sul vedere ad una fede radicata nell’ascoltare e nel fidarsi al di là di ogni certezza
o evidenza. Non ha una terra ferma, non è proprietario di questa terra, continua a essere portatore
della promessa, obbediente, credente, senza possedere e senza fermarsi ed erige una stele dove il
Signore gli parla: “Allora Abram costruì in quel posto un altare al Signore che gli era
apparso”(v.7) . Egli costruisce degli altari per custodire il carattere sacro della sua esperienza. Questa
attenzione nel ricordare e celebrare le tappe fondamentali dell’incontro con Dio è particolarmente
significativa, poiché equivale a riconoscere l’intervento del Signore nella vita e ravvivare in questo modo la
certezza che Dio non abbandona il suo eletto e che compie sempre le promesse. L’uomo biblico, di cui
Abramo è il tipo, non è smemorato, ma viene ricondotto continuamente a “fare memoria” del passato: non in
chiave nostalgica o di semplice ricordo, ma come esperienza fondamentale da cui attingere certezze per il
presente. L’uomo biblico è l’uomo centrato nel cuore e ri-cor-da, cioè attinge costantemente dal cuore la
certezza per continuare il cammino. Tale atteggiamento è segno di una profonda libertà interiore che l’uomo
biblico realizza, poiché egli non è condizionato da ciò che lo circonda, non attinge il senso della sua
esistenza dalle alterne vicende della storia, tanto più il senso di se stesso: è l’uomo radicato profondamente
ed esclusivamente in Dio e solo da lui attende e riceve “il nome”, cioè la sua vera identità. Si tratta di quella
centralità del cuore che ritroviamo in Maria, di cui si dice che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo
cuore” (Lc. 2,18). Comprendiamo come avere fede non significhi “vedere Dio”, bensì imparare a “vedere la
storia con gli occhi di Dio”. La lettera agli Ebrei sottolinea questo atteggiamento dicendo: “Per fede
Abramo soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende,
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come anche Isacco, Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città
dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso”(11,9)
Dei Verbum 5
A Dio che rivela è dovuta « l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la
quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli « il pieno ossequio
dell'intelletto e della volontà » (4) e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa.
Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli
aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello
spirito e dia « a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità » (5). Affinché poi l'
intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona
continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.
Da un Discorso attribuito a un ignoto autore renanofiammingo. Sermon pour le dimanche de la
Sexagésime. OEuvres complètes de Jean Tauler. Trad. Noël, Tralin, Paris, 1911, t.II, pp. 77-79. 8283.
Se mai aspiri, o uomo, a diventare un perfetto cristiano, devi uscire completamente. Tu mi dirai:
"Uscire da dove?". Dalla tua volontà propria, dal tuo giudizio soggettivo, dal tuo modo proprio di
vedere e sentire. Questa è la strada, non ce ne sono altre. Avrai Dio per unico scopo di tutta la tua
esistenza, amerai lui solo, bramando il suo onore e la sua gloria. Ossèrvati con cura minuziosa e se
scorgi in te, nell'anima o nel corpo, un angolino in cui ti ritrovi e ti possiedi, sappi che da lì tu devi
uscire. Qualora la società oppure qualcosa di creato, non solo materiale ma anche bene dello
spirito, ti stia a cuore e in esso ti ricerchi, è assolutamente necessario staccarti da ciò. Occorre
sottrarsi dalla dispersione della molteplicità se vuoi che Dio operi in te con efficacia. Ma non
basta: esaminerai attentamente l'attività che ti è propria, le tue facoltà e abitudini inveterate e
malsane, gli atteggiamenti, ciò che vincola l'affettività, in una parola quanto ti avvolge e ti blocca:
tutto questo lo devi piegare, ridurre, spezzare, abbandonare virilmente.(…) Gli studiosi ci
insegnano che l'uomo esce da se stesso mediante la volontà illuminata dall'intelletto. Quando
conosco qualcosa, l'attiro dentro di me; allora la volontà trova che è un bene, vi si slancia e vuole
raggiungerlo per trovare in esso quiete.(…) Il vero fedele, nel suo amore per Dio, si sforzerà di
uscire da se stesso: avendo di mira unicamente lui, non cercherà il proprio piacere, la propria
ricompensa o qualche altro vantaggio personale. Tutto invece farà, patirà, lascerà esclusivamente
per amor di Dio e per la sua gloria, quand'anche non dovesse mai riceverne in cambio la minima
ricompensa. Senz'altro sa bene, può contare che non sarà così, ma il pensiero, il desiderio della
ricompensa devono rimanere nell'ombra, non assurgere a motivazione intenzionale. Quando ti
sentirai abbandonato da tutte le creature, sprofóndati nell'immensa povertà di Cristo, rimetti il tuo
libero arbitrio all'Onnipotente con totale rinuncia della tua volontà: essa è troppo nobile perché
Dio le faccia violenza. E poiché nulla è più caro all'uomo della volontà e del libero arbitrio, nessun
sacrificio sarà più gradito a Dio di questo. Non esiste opera, non c'è povertà di Cristo o di un uomo
qualsiasi, che riesca più gradita a Dio e più utile a chi la compie, dell'abnegazione della volontà.
La buona volontà è una virtù così grande e così nobile che attraverso un desiderio perfetto può
acquisire una certa conformità con le opere esterne di Cristo stesso. Per povero che uno sia, ha
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sempre la possibilità di possedere e quindi potrà abbandonare tutte le ricchezze dell'uomo più
facoltoso, se abbandona tutto quello che ha.
Dal Piano Pastorale
Possiamo lasciarci interrogare e porre in cammino accompagnati da un “vecchio”. Se ci
sentiamo un po’ “vecchi” nelle nostre attese e speranze per il futuro, il “tipo” di Abramo
illumina la nostra ricerca, aprendola all’ospitalità di quanto il Signore vuole farci cogliere e
toccare per questo tempo della nostra storia nella quale, come cristiani, come uomini di fede e
di speranza siamo chiamati a testimoniare la gioia dell’incontro con Lui, il Dio fedele ed amico
dell’uomo.
“Aver fede: da qui dobbiamo ripartire per poter essere all’altezza del compito che ci è stato
assegnato, per poter affrontare la sfida che viene lanciata alla comunità dei credenti in Cristo
dalla cultura contemporanea. (…)L’avanzante processo di cristianizzazione che ha intaccato
anche il territorio tiburtino non annulla questa testimonianza di fede che le comunità
parrocchiali continuano pur tra mille difficoltà a dare. Ma proprio questo processo ci obbliga a
ripensare la nostra fede, a rinvigorirla a conformarla sempre meglio al modello che Gesù
Cristo ci ha presentato nella sua vita, a radicarla nelle profondità dello Spirito di Dio, per
poter essere icone del Dio vivente tra gli uomini e le donne nostri contemporanei.”
(Dal Piano Pastorale, Per fede Abramo, della Chiesa Tiburtina per gli anni 2012-2016, 2.19).
per la …Preghiera
Salmo 39
Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore.
Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel Signore
e non si volge verso chi segue gli idoli
né verso chi segue la menzogna.
Quante meraviglie hai fatto, tu, Signore, mio Dio,
quanti progetti in nostro favore: nessuno a te si può paragonare!
Se li voglio annunciare e proclamare, sono troppi per essere contati.
Sacrificio e offerta non gradisci,gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo.
Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo”
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Mt 7,21.24-27
per il…Discernimento e l’Azione
1)Cosa significa, per me, oggi, partire? Cosa sono chiamato a lasciare? Quali sono le sicurezze
umane sulle quali confido e che debbo purificare per essere totalmente consegnato a Dio?
2)Come vivo il silenzio nella mia vita? Mi spaventa oppure lo coltivo come dimensione essenziale
in cui incontro Dio e ritrovo me stesso?
3)Da dove nascono le scelte, le decisioni di ogni giorno: da me (dal mio istinto, dai miei desideri)
oppure dal silenzio in cui Dio abita e parla?
“Per grazia di Dio sono uomo e cristiano,
per azioni grande peccatore,
per vocazioni pellegrino della specie più misera
errante di luogo in luogo.
I miei beni terreni sono una bisaccia sul dorso
con un po’ di pane secco
e nella tasca interna
del camiciotto la sacra Bibbia,
null’altro”
(Racconti di un pellegrino russo)
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V
Un cammino
di purificazione e di fedeltà
La Parola:
Genesi 12,10-20: Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi,
perché la carestia gravava sul paese. Ma, quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla
moglie Sarai: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando gli Egiziani ti
vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita.
Di' dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per
riguardo a te». Appunto quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era
molto avvenente. La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la
donna fu presa e condotta nella casa del faraone. Per riguardo a lei, egli trattò bene Abram,
che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli. Ma il Signore colpì il
faraone e la sua casa con grandi piaghe, per il fatto di Sarai, moglie di Abram. Allora il
faraone convocò Abram e gli disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era
tua moglie? Perché hai detto: È mia sorella, così che io me la sono presa in moglie? E ora
eccoti tua moglie: prendila e vàttene!».Poi il faraone lo affidò ad alcuni uomini che lo
accompagnarono fuori della frontiera insieme con la moglie e tutti i suoi averi.
Genesi 13,1-18: Dall'Egitto Abram ritornò nel Negheb con la moglie e tutti i suoi averi; Lot
era con lui.Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro.Poi di accampamento in
accampamento egli dal Negheb si portò fino a Betel, fino al luogo dove era stata già prima la
sua tenda, tra Betel e Ai, al luogo dell'altare, che aveva là costruito prima: lì Abram invocò il
nome del Signore. Ma anche Lot, che andava con Abram, aveva greggi e armenti e tende. Il
territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non
potevano abitare insieme.Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di
Lot, mentre i Cananei e i Perizziti abitavano allora nel paese. Abram disse a Lot: «Non vi sia
discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli.Non sta forse
davanti a te tutto il paese? Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a
destra, io andrò a sinistra».Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era
un luogo irrigato da ogni parte - prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra -; era
come il giardino del Signore, come il paese d'Egitto, fino ai pressi di Zoar. Lot scelse per sé
tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l'uno
dall'altro:Abram si stabilì nel paese di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le
tende vicino a Sòdoma.Ora gli uomini di Sòdoma erano perversi e peccavano molto contro il
Signore. Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi
e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente
e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per
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sempre.Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere
della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti.Alzati, percorri il paese in lungo e in largo,
perché io lo darò a te». Poi Abram si spostò con le sue tende e andò a stabilirsi alle Querce di
Mamre, che sono ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore.
per la…Meditazione
Il cammino iniziato da Abramo non è mai compiuto nella sua realizzazione concreta. Ha sempre
bisogno di essere alimentato di due dimensioni fondamentali: la purificazione e la fedeltà. E anche
questo è un cammino mai compiuto. Abramo si è fidato di Dio ed ha creduto nella promessa, eppure
la promessa è in pericolo.“Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi,
perché la carestia gravava sul paese”(v.10) .L’annuncio e la promessa sembrano già svanire.
Abramo è passato nella terra di Canaan e non ha potuto fermarsi a causa della carestia. Entra in
Egitto e incontra la prova. Il testo dice: “Vedi io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando
gli egiziani ti vedranno penseranno: costei è sua moglie e mi uccideranno, mentre lasceranno te in
vita. Dì dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per
riguardo a te” (vv.11-13). Si fa riferimento ad un antico costume degli Hurriti, una specie di
matrimonio in cui la moglie diventava sorella, quindi assumendo anche dei diritti all’interno della
famiglia. Cosa si vuole porre in evidenza in questo racconto? Si mette in luce la logica dell’uomo e
della sua fede. Riflettiamo: nel paese c’è la carestia e la promessa sembra svanire e Abramo tenta di
salvarsi con il suo ingegno, mettendo in atto delle strategie umane. I versetti 14-16 pongono in luce
l’attuazione di ciò che Abramo temeva: gli Egiziani pongono gli occhi su Sara e il faraone decide di
prenderla nel suo harem. Abramo ne ottiene così la dote in greggi, armenti e asini, schiavi, schiave,
asini e cammelli. Ma al versetto 17 interviene Dio “il Signore colpì il faraone e la sua casa con
grandi calamità, per il fatto di Sarai, moglie di Abramo”. Questa dinamica è la medesima che
caratterizzerà la permanenza di Israele nell’Egitto. Come Mosè ha continui contatti con il faraone,
così Abramo ha rapporti con il faraone e quelle che saranno le piaghe d’Egitto, le grandi calamità
che segnano la liberazione del popolo, sono anticipate da queste grandi calamità che colpiscono il
faraone. Ciò che possiamo rilevare in questo episodio è il contrasto tra l’atteggiamento di Abramo,
che tenta umanamente di salvare la situazione, rischiando di annullare la promessa, e l’intervento di
Dio che riconduce Abramo alla libertà dalla “schiavitù” e dalla menzogna. Dio rimette Abramo
nella dimensione della libertà: quella esteriore dall’Egitto e quella interiore da una forma di vita
segnata dalla logica del costruire sulle proprie forze umane e sulle logiche della menzogna e del
tentativo di salvarsi da sé. Quella che viene chiesta è una fedeltà, non solo ad un cammino bensì alla
logica di non appropriarsi mai del progetto di salvezza e di plasmarlo con le proprie mani, secondo i
propri scopi, confidando sull’abilità umana. Quando si entra nella “dimensione di Dio”, tutto deve
essere mantenuto nell’assoluta fedeltà alla Parola, senza alterare o sovvertire alcuna dinamica, senza
porre scelte in dissonanza con la Sua volontà. Ciò rappresenta il segno autentico della fedeltà, un
atteggiamento da rinnovare sempre, in ogni istante, davanti ad ogni scelta. Significa essere sempre
attenti alla tentazione di non affermare il proprio io, mentre si percorre il sentiero di Dio; non usare
la via di Dio per raggiungere le proprie mete umane. Si vive così una dinamica che potremmo
definire “cammino nel cammino”.
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Proseguendo incontriamo Abram che alle prese con un'altra situazione che comporterà un ulteriore
passo in avanti nel “cammino” di affidamento a Dio. L’episodio che è narrato al capitolo 13 è da
ricollegarsi al capitolo 12,5-6. Abramo parte. Ma questo atto di obbedienza, seppur segnato da fede
eroica, ha bisogno di purificazione. C’è un particolare che dobbiamo cogliere. Nel racconto è
presente Lot, il figlio di Aran , fratello di Abramo. In Genesi 11, 28, si dice che Aran morì. Lot è
figlio senza padre. In Genesi 12, 4 si dice “Abram partì…e con lui partì anche Lot”. Cosa significa?
E’ una indicazione importante. Abramo, anziano e senza discendenza, porta con sé Lot che è la
nuova discendenza senza padre. Possiamo dire che Abramo aveva bisogno di un figlio e Lot aveva
bisogno di un padre. Così Abramo adotta Lot e in questo gesto c’è il tentativo umano di crearsi da
sè una discendenza. Egli porta con sé “tutti i beni e tutte le persone che avevano acquistati in
Carran” (Gen 12,5). Sono ancora presenti le certezze umane e il tentativo di costruirsi con le
proprie mani la storia e il futuro. In Genesi 13,1-8 ci si ricollega a questa situazione. Si presenta un
problema interno. Le tribù, i due gruppi di Abramo e di Lot litigano per pascoli e pozzi. Essi sono
troppo numerosi per poter abitare insieme e sono costretti a separarsi. Le ricchezze che Abramo
aveva e il figlio adottato sono il simbolo del tentativo umano di costruirsi e assicurarsi un futuro.
Ma tutto ciò che è umano è destinato ad entrare in crisi: le ricchezze da motivo di gioia diventano
fonte di disagio e di distruzione di quella promessa di vita che Abramo aveva tentato di costruire
con le sue mani. Risuona in queste pagine il richiamo di Dio a “lasciare tutto”. Ecco chi è l’uomo
biblico: è colui che fa continua esperienza di quanto siano precarie le certezze umane su cui si
costruisce il futuro e di quanto siano destinate a mutarsi nel loro contrario repentinamente, perché
sta scritto: “Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui
cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non
lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere”
(Ger. 17,5-6); è colui che tutto lascia per ricevere tutto da Dio; è colui che è abitato dalla certezza
che “chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio
nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt.19,29); è colui che fa proprio
l’atteggiamento del “perdere” che, quando viene fatto in nome di Dio, non equivale a “smarrire” ma
a “ritrovare”; è colui che non vive più considerando ogni cosa come conquistata, ma riconosce in
tutto il segno del dono e della gratuità; è colui che non dimentica che “chi vorrà salvare la propria
vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. (Mc. 8,35; Lc. 9,24).
Così Abramo inizia un viaggio, ma soprattutto inizia un percorso di purificazione della fede che
passerà attraverso le contraddizioni e le prove per le quali “divenne l’amico di Dio”(Gdt. 8,26).
Abramo e Lot si separano. Abramo si presenta come nobile magnanimo e generoso, portatore di un
principio di fraternità che si esprime nel monito: “Non vi sia discordia tra me e te…perché noi
siamo fratelli” (v.8). La sua magnanimità sta nel lasciare la scelta al nipote. Egli non riafferma la
sua supremazia e la precedenza; non trasforma la promessa di Dio, di cui continua ad essere
portatore, in vessillo da ergere per poter esercitare il potere. Lascia a Lot la scelta. E’ da notare la
finezza con la quale vengono poste in contrapposizione le due scelte. Come sceglie l’uomo da sé e
come sceglie chi è guidato da Dio? C’è un richiamo stilistico rappresentato dall’”alzare gli occhi”.
Di Lot si dice: “allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato
da ogni parte prima che il Signore distruggesse Sodoma e Gomorra; era come il giardino del
Signore” (13,10). Lot ha alzato gli occhi e sceglie di piantare le tende vicino a Sodoma, in una terra
bella, gradevole, allettante ma depravata. Anche Abramo è invitato ad “alzare gli occhi” ma lo fa su
comando del Signore. Uno fa da sé, l’altro dipende dal Signore; Lot sceglie, seguendo canoni umani
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di apparenza, la terra che riteneva migliore; Abramo riceve solo la promessa di possedere tutto il
paese. Lot rimarrà senza discendenza, Abramo riceverà una discendenza senza numero. Lot
possiede subito, ma perderà tutto, Abramo deve attendere il compimento futuro, ma il suo possesso
durerà per sempre. Lot rappresenta l’uomo che confida su se stesso, che vuole tutto è subito.
Abramo lascia fare al Signore, rinuncia in nome della fraternità, sa attendere, guarda oltre il
contingente, il visibile. E la promessa si rinnova. Dopo un tempo di contraddizione, di “lotta” e di
purificazione della fede, Abramo viene ristabilito nella dimensione della fede vera, proprio perché
passata al vaglio della prova.
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (2517-2519)
Il cuore è la sede della personalità morale: « Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli
omicidi, gli adultèri, le prostituzioni » (Mt 15,19). La lotta contro la concupiscenza carnale passa
attraverso la purificazione del cuore e la pratica della temperanza:« Conservati nella semplicità,
nell'innocenza, e sarai come i bambini, i quali non conoscono il male che devasta la vita degli
uomini ». La sesta beatitudine proclama: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5,8). I
« puri di cuore » sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza e la propria volontà alle
esigenze della santità di Dio, in tre ambiti soprattutto: la carità, la castità o rettitudine
sessuale,l'amore della verità e l'ortodossia della fede. C'è un legame tra la purezza del cuore, del
corpo e della fede. I fedeli devono credere gli articoli del Simbolo, « affinché credendo,
obbediscano a Dio; obbedendo, vivano onestamente; vivendo onestamente, purifichino il loro
cuore, e purificando il loro cuore, comprendano quanto credono ». Ai « puri di cuore » è promesso
che vedranno Dio faccia a faccia e che saranno simili a lui. La purezza del cuore è la condizione
preliminare per la visione.
Dal Piano Pastorale
Essere credibili per un cristiano significa qualcosa di più che essere moralmente irreprensibile e
allontanare da sé ogni ipocrisia e finzione. Il cristiano è credibile nella misura in cui riesce a
rendere presente con la sua vita e nelle condizioni di esistenza il Signore Gesù. E’ credibile
quando, anche sbagliando, sa riconoscere di essere un povero peccatore e si lascia investire
dall’amore di Dio, risponde ad esso e pone così segni di amore autentico nella storia. In tal modo
egli diventa icona del Cristo risorto. E questa condizione non si ottiene d’incanto, quasi fosse una
conseguenza di una professione fatta una volta per tutte, ma suppone l’attitudine a lasciarsi
plasmare nella preghiera dalla Parola di Dio e dal Suo Spirito, ritrovando sempre di continuo la
forza della grazia che il Padre ci dona nei sacramenti.
(Dal Piano Pastorale, Per fede Abramo, della Chiesa Tiburtina per gli anni 2012-2016, 26)
per la …Preghiera
Salmo 106
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre.
Lo dicano quelli che il Signore ha riscattato,che ha riscattato dalla mano dell'oppressore
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e ha radunato da terre diverse,dall'oriente e dall'occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno.
Alcuni vagavano nel deserto su strade perdute, senza trovare una città in cui abitare.
Erano affamati e assetati,veniva meno la loro vita.
Nell'angustia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angosce.
Li guidò per una strada sicura,perché andassero verso una città in cui abitare.
Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini,
perché ha saziato un animo assetato,un animo affamato ha ricolmato di bene.
Nell'angustia gridarono al Signore,ed egli li salvò dalle loro angosce.
Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte e spezzò le loro catene.
Ringrazino il Signore per il suo amore,per le sue meraviglie a favore degli uomini,
perché ha infranto le porte di bronzo e ha spezzato le sbarre di ferro.
Mt. 19,16-22
per il…Discernimento e l’Azione
1) La fede che vivo mi rende “credente” o anche “credibile”?
2) La logica delle strategie, del salvarsi la vita a spese dell’altro, della menzogna, del potere,
del garantirsi il futuro da sé. Quali sono gli atteggiamenti concreti che rintraccio nella mia
vita e che contraddicono con la fede che il Signore mi chiede?
3) Il sacramento della riconciliazione è l’occasione perché ogni volta io mi lasci ricondurre da
Dio nella Sua via e accolga ogni volta la Sua promessa di vita. Quanto coltivo nella mia
vita di fede il sacramento della riconciliazione?
Maledetto l'uomo che confida nell'uomo,
che pone nella carne il suo sostegno
e dal Signore si allontana il suo cuore.
Egli sarà come un tamerisco nella steppa,
quando viene il bene non lo vede;
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l'uomo che confida nel Signore
e il Signore è sua fiducia.
Egli è come un albero piantato lungo l'acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi;
nell'anno della siccità non intristisce,
non smette di produrre i suoi frutti.
Geremia 17,5-8
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