Sistemi di innovazione e dinamiche di integrazione europea
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Sistemi di innovazione e dinamiche di integrazione europea
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali Sistemi di innovazione e dinamiche di integrazione europea Relatore: Ch.mo Prof. Roberto Zoboli Tesi di specializzazione di Nicola STRAZZARI Matr. N. 2706330 Anno Accademico 1999-2000 INDICE Introduzione p. 1 1. L’INNOVAZIONE 1.1. Il nuovo paradigma dell’economia moderna 1.2. Economia della conoscenza e innovazione 1.3. L’innovazione nel pensiero economico 1.3.1. L’eredità di Schumpeter 1.4. Le teorie della crescita p. 5 p. 8 p. 13 p. 14 p. 18 2. I SISTEMI DI INNOVAZIONE 2.1. L’approccio sistemico allo studio dell’innovazione 2.1.1.I principali autori dei sistemi di innovazione 2.2. Le principali caratteristiche dell’approccio sistemico 2.3. I sistemi di innovazione: tra nazionalismo e globalizzazione p.22 p.24 p.26 p.31 3. DINAMICHE DI INTEGRAZIONE EUROPEA 3.1. Le tappe dell’integrazione europea nel campo della scienza, tecnologia e ricerca 3.2. Il traguardo dello spazio europeo della ricerca 3.3. Analisi delle interrelazioni tra i sistemi di innovazione p.34 p.41 p.45 CONCLUSIONI p.49 BIBLIOGRAFIA p. 54 Introduzione L’interesse dimostrato dagli economisti nei confronti del processo innovativo è stato alterno ma si è recentemente consolidato intorno all’intuitiva osservazione di quanto esso incida sull’economia. È quasi universalmente riconosciuto che il cambiamento tecnologico ed organizzativo sono le più importanti fonti della crescita e della produttività. I contributi sono pertanto innumerevoli, va tuttavia osservato una certa ambiguità nella definizione e concettualizzazione della stessa attività innovativa. Tali difficoltà nascono dai molteplici aspetti che l’innovazione inevitabilmente tocca e dalle implicazioni che ne conseguono. Da una parte le imprese, i settori e i sistemi economici; dall’altra la conoscenza scientifica, la ricerca e sviluppo, e le dinamiche dell’apprendimento; infine le interazioni tra i soggetti economici e le istituzioni. Inoltre, i processi attraverso i quali ha luogo l’innovazione sono estremamente complessi: comportano non solo lo sviluppo e la diffusione di elementi conoscitivi (scientifici e tecnologici, per l’appunto) ma anche il trasferimento e la diffusione di questi in nuovi prodotti e processi produttivi. Questa evoluzione non segue un andamento lineare dalla ricerca di base a quella applicata fino all’implementazione dei nuovi processi e prodotti; avviene nel tempo ed è influenzata da molti fattori. A fronte di tale complessità le imprese non innovano in condizioni di isolamento, bensì interagiscono con altre organizzazioni per guadagnare, sviluppare, e scambiare vari tipi di conoscenza e risorse utili ad innovare. Queste organizzazioni possono essere altre imprese (fornitori, clienti, o concorrenti) ma anche università, centri di ricerca, scuole e ministeri. Pertanto, gli assunti di questo saggio, sui quali affrontiamo l’argomento, è che l’innovazione sia un processo contraddistinto dalla continua interazione tra molteplici soggetti e caratterizzato da apprendimento e conoscenza. L’innovazione è il risultato di una serie di relazioni e interazioni tra attori diversi, i quali vi contribuiscono in varia misura con diverse capacità e specializzazioni. Essendo, quindi, un fenomeno collettivo che avviene in un sistema, vi è la necessità di avere un approccio sistemico al suo studio. A fronte di tale complessità abbiamo consapevolmente limitato il campo di indagine, scegliendo di trattare taluni aspetti e non considerandone altri. Lo schema di seguito riportato, vuole quindi visualizzare l’orientamento che si intende qui adottare. INNOVAZIONE EDUCAZIONE R&S STRUTTURA ISTITUZIONI INDUSTRIALE 2 Col triangolo si vuole evidenziare che alla base dell’innovazione ci sono le istituzioni e la struttura industriale, dalla cui interazione ha luogo lo sviluppo di programmi di R&S e di educazione che determinano l’output innovativo. Intendiamo esaminare in particolare il ruolo delle istituzioni e delle politiche tecnologiche nel condizionare e promuovere l’attività innovativa delle imprese. Crediamo, infatti, che tale attività sia influenzata dalle infrastrutture economiche e sociali e dal contesto istituzionale in cui tale imprese agiscono. L’idea che l’insieme delle organizzazioni, delle istituzioni e delle infrastrutture di supporto all’innovazione delle imprese costituisca un sistema, e che tale sistema sia nazionale, è nata negli anni ottanta. Il concetto di sistema innovativo è stato utilizzato1 nel tentativo di spiegare alcuni fatti stilizzati che, in quegli anni, hanno richiamato l’attenzione degli economisti e dei policy makers, in particolare il grande recupero in termini di livello di esportazioni e di sofisticatezza tecnologica di alcuni paesi dell’Est asiatico, specialmente del Giappone. A fronte di una storia economica ricca di esempi di ascesa e declino economico di nazioni,2 vorremmo verificare - sulla base delle linee guida di tale approccio - l’esistenza di un sistema di innovazione a livello comunitario. Nei capitoli che seguono si introduce il fenomeno dell’innovazione, inserendolo nell’ambito delle nuove dinamiche dell’informazione e della conoscenza che contraddistinguono oggi la società economica. Si caratterizza i sistemi di innovazione come approccio allo studio del fenomeno. Infine si verifica l’esistenza di un sistema 1 Tale concetto è apparso per la prima volta in una pubblicazione scientifica nel 1987 per mano di Freeman, il quale tuttavia attribuisce a Lundvall l’invenzione del concetto 2 Oltre al Giappone, gli esempi di ascesa sono quelli della Corea del sud e delle altre tigri asiatiche. Mentre per il declino, l’esempio più illustre è quello dell’ex Unione Sovietica. 3 innovativo a livello comunitario attraverso l’analisi delle tappe dell’integrazione europea che hanno portato alla recente comunicazione della Commissione sulla realizzazione di uno spazio europeo di ricerca. 4 1. L’INNOVAZIONE 1.1. Il nuovo paradigma dell’economia moderna In questi giorni si stanno decidendo le sorti di Napster. Il sito americano, che ha cambiato per sempre i contorni di Internet, dell'industria musicale e la definizione di proprietà intellettuale, è alla ribalta della cronaca perché citato in giudizio da alcune case discografiche che ne pretendono la chiusura e il risarcimento per i diritti d’autore violati.3 Napster rappresenta il paradigma di questa economia: nasce dall’idea di un giovane ventenne che, sfruttando le conoscenze informatiche acquisite alla facoltà di scienze informatiche, sviluppa un programma grazie al quale collegandosi al sito medesimo è possibile scaricare gratuitamente musica da Internet sul proprio computer. La sua crescita, misurata in termini di utenti, è fenomenale: in due anni raccoglie un pubblico di cinquantasette milioni di iscritti. Certo, il suo modello è discutibile; scaricare file musicali da Internet è una minaccia sia per il concetto di copyright che per quello di diritto d'autore. Tuttavia ciò che qui si vuole sottolineare è la base del successo di Napster, ciò che gli ha permesso di imporsi sul mercato: l’innovazione tecnologica. Esempi più illustri di un recente passato sono Microsoft e Intel. Quell’accoppiata di giganti, che attualmente domina l’industria informatica mondiale con il programma di software Windows e il microprocessore Pentium, nacque fuori dalla grande industria informatica preesistente, rea di non essere stata in grado di approfittare delle maggiori occasioni 3 Le vicende legali tuttavia, non hanno impedito a Napster di ricevere un allettante offerta e siglare un accordo con una famosa multinazionale del settore che ne vuole sfruttare il marchio e il servizio 5 innovative. E nella sfida di Internet la giovanissima CISCO ha bruciato sul traguardo colossi del telefono come AT&T che avevano un’estimabile patrimonio di conoscenze tecnologiche. Ciò che accomuna queste imprese e altre - indubbiamente diverse per dimensioni, beni prodotti, capitalizzazione in borsa e popolarità del marchio – ma tutte affermatisi in breve tempo protagoniste nuove dell’economia, è la loro capacità di innovare. Non è un caso che le imprese riportate provengano dagli Stati Uniti, un Paese la cui ultima espansione economica è dipesa in larga misura dalla sua capacità di favorire il cambiamento, di accelerare i tempi dell’inevitabile trasformazione ma anche di saperne guidare il cambiamento. Proprio negli Stati Uniti si stima che siano 355.000 le imprese che negli ultimi quattro anni hanno sempre registrato tassi di crescita del fatturato annuale superiori al venti per cento. Queste imprese – le cosiddette gazelles – hanno generato il settanta per cento dei nuovi posti di lavoro creati dall’economia tra il 1993 e il 1996. Molte operano nel settore dell’Information and Communication Technology (ICT). Secondo l’“Economist” un attento osservatore dei fenomeni in atto nella nostra società “l’innovazione è diventata la religione industriale della fine del XX secolo. Le imprese la vedono come lo strumento chiave per aumentare profitti e quote di mercato. I governi si affidano ad essa quando cercano di migliorare l’economia. Nel mondo la retorica dell’innovazione ha recentemente rimpiazzato quella dell’economia del benessere, presente dal secondo dopoguerra. È la nuova teologia che unisce sinistra e destra a livello politico [...]. Ma cosa precisamente è l’innovazione è difficile dirlo, ancora di più misurarlo”.4 4 “Economist”, 20 febbraio 1999, Survey of Innovation in Industry 6 L’affermazione dell’autorevole rivista inglese è soltanto una tra le innumerevoli che in questi anni hanno sottolineato la centralità che ricopre l’innovazione nelle economie moderne. Negli ultimi anni, infatti, l’innovazione ha giocato un ruolo sempre più rilevante per le imprese, per la loro crescita, per la competitività delle nazioni, per lo sviluppo dei paesi arretrati, per la nascita e il declino di settori e tecnologie. Si pensi ad esempio al ruolo delle strategie di ricerca e sviluppo (da qui in avanti R&S), alla rilevanza per le piccole imprese dell’adozione di avanzate tecnologie informatiche o di nuovi macchinari che incorporano elettronica, all’importanza dei settori ad alta tecnologia (come l’elettronica o la farmaceutica) o di quelli basati sulla biotecnologia (come l’alimentare) per la competitività internazionale e la crescita dei paesi avanzati, ai problemi del trasferimento di tecnologia e del suo assorbimento per i paesi emergenti, alla nascita di nuove industrie come la biotecnologia. L’innovazione ha insomma influito sul modo di agire, competere e cooperare delle imprese e degli attori economici. 7 1.2. Economia della conoscenza e innovazione In un’economia moderna, soprattutto quella dei paesi avanzati, che viene definita come technology-driven, e knowledge biased, l’informazione e la conoscenza diventano fattori principi dello sviluppo. Nella economia in cui viviamo, si osserva che sempre più è la conoscenza il maggior input e il principale output del processo produttivo. Parafrasando Sraffa, possiamo dire che l’economia realizza la produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza.5 Nell’economia della conoscenza, caratterizzata cioè da una domanda di capitale umano di alta qualità soggetta a rapido cambiamento nell’interazione con le nuove tecnologie, l’innovazione diventa asse portante per la crescita.6 Gli economisti hanno dedicato molti contributi allo studio del mercato. Essendo la conoscenza il mercato di riferimento dell’innovazione è necessario chiarire alcuni concetti prima di procedere con l’analisi del processo innovativo. Innanzitutto, è utile precisare che la conoscenza non è un bene con caratteristiche analoghe a quelle dei beni economici convenzionali e, in particolare, dei beni fisici per i quali esiste una teoria economica più o meno assestata (ad esempio teoria dei mercati, teorie della produzione) che potrebbe estendersi naturalmente al bene economico “conoscenza”. Il problema sorge perché la conoscenza è un bene con caratteristiche diverse da quelle dei beni fisici (Arrow, 1994). “A differenza dei beni materiali, la conoscenza ha caratteristiche di un bene pubblico, cioè può essere utilizzata 5 Sraffa titola “La rivoluzione industriale ha avviato un processo di crescita della produzione di merci a mezzo di merci” 6 Questa linea interpretativa emerge in particolare dai rapporti dell’OECD su tecnologia, produttività e risorse umane (OECD 1996a e 1996b ) oltre che dai lavori nell’ambito del progetto TEP (Technology Economy Programme), ma è stata fatta propria anche dalla Commissione Europea (Caracostas e Muldur, 1997) 8 contemporaneamente da soggetti diversi (non rivalità e non escludibilità della conoscenza); ha un alto costo fisso di produzione e un basso costo marginale di riproduzione. L’effetto forse più importante di queste proprietà particolari è che i “mercati” della conoscenza, o gli stessi mercati della tecnologia presentano imperfezioni notevoli, tali da renderli inesistenti o da limitarne la dimensione e la crescita. Arrow utilizza questo argomento per dimostrare che la produzione di conoscenza/informazione rappresenta un caso classico di market failure. La produzione e lo scambio di conoscenze non possono avvenire attraverso i meccanismi classici del mercato e, in generale, i soggetti economici privati, tipicamente le imprese, hanno inadeguati incentivi subottimali a produrre questo bene. Si delinea, pertanto, l’esigenza di un ampio spettro di politiche pubbliche a sostegno della produzione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche, nella forma di iniziative di intervento sui processi di formazione di capitale umano, di finanziamenti diretti, o attraverso la creazione di scarsità artificiali e di diritti di proprietà. Come sostiene lo stesso Arrow, il motivo principale per cui è necessario un intervento pubblico a sostegno della produzione di conoscenze è che, a causa della sua naturale trasferibilità, non rivalità e non escludibilità, la conoscenza, una volta creata, genera benefici che ricadono ben al di là dei soggetti che hanno investito per produrla (spillover). Ma, come è noto, in presenza di spillover il vantaggio marginale privato del soggetto economico che effettua l’investimento è inferiore a quello sociale. Per questa ragione, l’agente economico investe meno di quanto farebbe un operatore, come il sistema pubblico, che tiene conto dei vantaggi complessivi dell’investimento in R&S o nella produzione di conoscenze. 9 La conclusione di Arrow è dunque che lo sviluppo della conoscenza all’interno dei sistemi economici deve fondarsi su incentivi diversi da quelli di mercato e dalla massimizzazione dei profitti. Sicuramente, i brevetti o i diritti di proprietà intellettuale possono dare e, soprattutto in tempi recenti, hanno dato, impulsi non trascurabili alla produzione di conoscenza da parte delle imprese. Tuttavia, anche in presenza di tali diritti, la bassa appropriabilità della conoscenza non elimina completamente il mismatch tra vantaggi sociali e benefici privati. Resta pertanto attuale la considerazione di Arrow secondo cui, nelle moderne società avanzate, buona parte della conoscenza è prodotta da istituzioni diverse dalle imprese e, in particolare, dalla comunità scientifica, che investe nella produzione di conoscenza per motivi di prestigio e curiosità intellettuale e non solo per realizzare rendite economiche. Ma proprio perché non realizza rendite dalla produzione di conoscenza, la comunità scientifica deve essere sostenuta attraverso finanziamenti pubblici. Arrow conclude che l’esistenza stessa di soggetti quali i ricercatori universitari e gli scienziati in genere, le cui motivazioni dipendono dalla ricerca di fama e prestigio intellettuale, anziché solo dal denaro, costituisce di per sé un “incidente” fortunato” (lucky accident) della storia. La tesi di Nelson (1959) è simile a quella si Arrow. Anche Nelson sottolinea come la bassa appropriabilità della conoscenza spieghi perché le imprese private abbiano incentivi subottimali a investire nella ricerca di base. Nelson, tuttavia, esplicita le ragioni che fanno sì che, all’interno dei sistemi industriali, gli investimenti in produzione di conoscenza sono realizzati soprattutto da grandi imprese diversificate. La conoscenza è, infatti, un bene impiegabile in diversi settori di applicazione a valle. Pertanto, le grandi imprese diversificate, che operano in molti settori, possono 10 fronteggiare meglio i livelli di incertezza associati alle attività di ricerca di nuove conoscenze, distribuire meglio il costo fisso associato a tali attività di ricerca e di nuove conoscenze, distribuire meglio il costo fisso associato a tali attività e internalizzare un volume più elevato di spillover prodotti dall’investimento in conoscenza. Recentemente, Dasgupta e David (1994) hanno ripreso l’analisi di Nelson e Arrow sottolineando l’importanza di studiare la natura e il comportamento delle istituzioni della comunità scientifica. In questo senso, i due autori pongono l’accento sul fatto che il carattere pubblico o privato della scienza debba essere analizzato come prodotto del contesto istituzionale e non solo come proprietà intrinseca della conoscenza/informazione come bene economico.”7 Dasgupta e David sostengono che la produzione di conoscenza scaturisce dalle attività di due tipi di soggetti e istituzioni, con caratteristiche profondamente diverse, distinguendo la comunità scientifica in senso stretto dalla comunità dei “tecnologi”. Tale approfondimento procede dalla considerazione secondo cui, a differenza di quanto accade per i tecnologi, le radici della comunità della scienza risalgono a ben prima dell’inizio dello sviluppo capitalistico. Già nel rinascimento, gli scienziati avevano bisogno di protezione, che cercavano presso patron in grado di sostenere le attività. Proprio al fine di guadagnare visibilità in modo da essere impegnati nelle corti dei re e dei principi, essi erano chiamati a pubblicizzare le proprie abilità particolari. Ciò ha dato vita a un modello di organizzazione della comunità scientifica che incoraggia la diffusione dei risultati. Le analisi e le ricostruzioni storiche di Dasgupta e David risolvono, in questo senso, la contraddizione degli investimenti in ricerca segnalata da Arrow e da Nelson e 7 Si veda in particolare Malerba, Franco, 2000, L’economia dell’innovazione, Roma Carrocci 11 spiegano perché società fondate sul mercato possono comunque avvantaggiarsi dei risultati di questi investimenti. D’altro canto, Dasgupta e David sottolineano che, contrariamente a quanto accade per la comunità degli scienziati, la comunità dei tecnologi investe in ricerca per appropriarsi delle rendite economiche degli investimenti. Ciò ha implicazioni opposte sugli incentivi alla diffusione dei risultati. Nel caso dei tecnologi, infatti, la diffusione dei risultati scoraggerebbe le opportunità di beneficiare di rendite economiche. Le imprese, pertanto, incoraggiano la segretezza e l’appropriabilità della ricerca attraverso brevetti e altri mezzi. Ai giorni nostri, i governi sono i nuovi patron della scienza. A partire soprattutto dal secondo dopoguerra, gli stati nazionali hanno compreso l’importanza dei finanziamenti pubblici alla ricerca, riconoscendo la contraddizione tra i benefici di lungo periodo associati al modello della open science e gli incentivi di breve periodo del sistema industriale. Ma se il supporto pubblico alla ricerca dovesse ridursi, le imprese potrebbero diventare i nuovi patron della scienza. I contributi di Arrow e Nelson sul tema della conoscenza e la distinzione tra scienza e tecnologia sottolineata da Dasgupta e David, sono fondamentali a chiarire il contesto nel quale l’innovazione ha luogo e a suffragare la scelta dell’approccio usato in questo saggio. 12 1.3. L’innovazione nel pensiero economico Il fenomeno innovativo non è esclusivo della presente organizzazione economica. Si pensi alle innovazioni tessile e all’introduzione della macchina a vapore, seguita dall’introduzione della ferrovia e dell’acciaio, per giungere infine alle innovazioni chimiche e alle applicazioni dell’elettricità e del motore a combustione interna. D’altro canto fin dagli albori della storia del pensiero economico l’innovazione è stata oggetto di studio. Nelle Ricchezza delle Nazioni, pubblicato nel 1776, Adam Smith considera l’innovazione da un punto di vista particolare. Egli si concentra non sulla generazione di innovazioni, ma sulla incorporazione del progresso tecnologico nei beni capitali e sui suoi effetti sulla produttività del lavoro, sulla specializzazione e sulla occupazione. Come Smith, anche David Ricardo nel capitolo On Machinery dei Principles of Political Economy (1817), è principalmente interessato alle conseguenze del progresso tecnologico ed al progresso tecnico incorporato. In Ricardo è presente una chiara analisi dei meccanismi di natura endogena (aumento della domanda come conseguenza della diminuzione dei prezzi dovuta al progresso tecnico) ed esogena (produzione di nuove macchine) attraverso i quali il cambiamento tecnologico ha effetti sulla occupazione. Marx invece enfatizza il ruolo chiave della tecnologia nelle moderne economie. Innanzitutto per Marx le macchine incorporano e codificano sempre più le varie fasi della produzione. Inoltre, emerge un settore specializzato in macchine, con un ciclo di vita nel quale esse passano da inefficienti a standardizzate. In terzo luogo, Marx sottolinea che l’innovazione è un processo sociale e non individuale: la storia delle invenzioni non è solo la storia degli inventori, ma deve essere inserita nell’esame delle relazioni e dei conflitti 13 che esistono tra gruppi e classi di soggetti economici. Infine, esiste in Marx una discussione del ruolo degli incentivi nel cambiamento tecnologico: lo stimolo ad innovare proviene dalla pressione competitiva capitalistica e dall’ampiezza dei mercati. Fin da allora quindi era chiaro il significato economico dell’innovazione. Secondo il pensiero dei suddetti economisti l’innovazione incide sulla performance produttiva, sulla competitività delle imprese, e sullo sviluppo inteso come aumento dell’occupazione. In altre parole sulla crescita economica. 1.3.1. L’eredità di Schumpeter Il primo, però, che ha esaminato l’innovazione in modo ampio e sistematico, segnando con il suo contributo un’eredità per studi successi, è stato Joseph Schumpeter. Egli ha fornito numerosi contributi rilevanti riguardanti l’innovazione ed il mutamento tecnologico. Alcuni di questi sono molto conosciuti e sono stati ampiamente analizzati e discussi dalla letteratura economica; altri o sono meno conosciuti, o sono stati sviluppati solo recentemente.8 Per l’economista austriaco l’innovazione consiste in nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’introduzione di nuovi beni e/o di nuovi metodi di produzione, nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti di approvvigionamento.9 L’innovazione non è altro che una risposta creativa, che si verifica “ogniqualvolta l’economia o 8 Si veda, in particolare, L’eredità schumpeteriana in tema di innovazione, in Filippini, Porta (1985) 9 Schumpeter, J.A., 1934, The Theory of Economic Development, Lipzig, Duncker and Humboldt, English translation, Harrand 14 un settore, od alcune aziende di un settore danno qualcosa di diverso, qualcosa che è al di fuori della pratica esistente” (Schumpeter, 1967, p.68). È noto che Schumpeter considera l’innovazione come la determinante principale del mutamento industriale. Egli distingue l’invenzione dall’innovazione. L’invenzione rimane qualcosa di puramente scientifico o tecnologico. L’innovazione, invece, consiste nel “far qualcosa di nuovo nel sistema economico, e non deriva necessariamente da una invenzione.” Per Schumpeter, infatti, l’innovazione è possibile senza una invenzione corrispondente. L’innovazione origina un profitto, che è temporaneo. Esso può perdurare nel tempo se l’attività innovativa dell’impresa rimane sostenuta; in caso contrario, esso scompare in seguito alla reazione delle altre imprese. Nei suoi contributi Schumpeter non approfondisce tre importanti aspetti del mutamento tecnologico: l’importanza della scienza e della tecnologia nel determinare il tasso innovativo di un settore, la continuità del mutamento tecnologico e la rilevanza del processo di diffusione delle innovazioni. Ciò che all’economista austriaco preme è sottolineare la centralità dell’innovazione nella dinamica economica, la discontinuità e la disarmonia del mutamento industriale e l’importanza dell’imprenditore nel processo innovativo. La centralità dell’innovazione nel suo schema di dinamica economica porta Schumpeter a separarla nettamente dall’invenzione. L’invenzione e lo sviluppo scientifico e tecnologico sono considerati esogeni rispetto al sistema economico; di conseguenza, non sono analizzati né l’effetto che fattori economici e sociali hanno sullo sviluppo scientifico e tecnologico, né l’influenza che quest’ultimo ha sull’innovazione. L’eredità schumpeteriana in tema di comprensione del progresso tecnologico non consiste solo negli aspetti 15 accennati. Schumpeter infatti ha fornito ulteriori contributi riguardanti le caratteristiche del processo innovativo: il concetto di innovazione come evento ad esito incerto e di imprenditore come di soggetto a razionalità limitata; il raggruppamento delle innovazioni nel tempo ed i specifici settori, e infine la distinzione delle imprese in nuove e vecchie. Esaminiamoli brevemente. Innanzitutto Schumpeter caratterizza l’innovazione come un processo ad esito incerto. L’innovazione (cioè la reazione creativa) “ha almeno tre caratteristiche essenziali. Innanzitutto, dal punto di vista dell’osservatore che possieda tutti i fatti rilevanti, essa può essere compresa solo ex post, mentre non lo può essere praticamente mai ex ante, vale a dire che non può essere prevista applicando le regole ordinarie di inferenza dai fatti preesistenti”(1967, p.68). L’innovazione, cioè “la scelta di nuovi metodi, non è un elemento insito nel concetto di attività economica razionale né una cosa ovvia, ma un processo distinto che necessita una particolare spiegazione” (1971, p.90, nota). Durante il processo innovativo l’imprenditore ha una razionalità limitata. L’imprenditore, infatti non può afferrare esaurientemente tutti gli effetti e le ripercussioni dell’impresa progettata. Una terza caratteristica delle innovazioni riguarda il loro raggruppamento nel tempo e in specifici settori. Secondo Schumpeter “le innovazioni non rimangono eventi isolati e non sono distribuite in modo uniforme nel tempo, ma tendono al contrario ad ammassarsi, a sorgere in grappoli; le innovazioni non sono in nessun momento distribuite casualmente in tutto il sistema economico, ma tendono a concentrarsi in certi settori e nei loro dintorni” (1977b, p.128). Schumpeter afferma che gli stessi cicli economici degli ultimi due secoli sono legati a numerose innovazioni occorse in specifici settori. Tale posizione sottolinea quindi la 16 storicità e la irregolarità del fenomeno innovativo ed il suo intensificarsi in settori di volta in volta differenti e legati alla dinamica industriale. Un quarto contributo schumpeteriano riguarda le imprese e l’innovazione. Schumpeter analizzò la dinamica innovativa di un’industria distinguendo non soltanto tra imprese di piccole e di grandi dimensioni, ma pure tra imprese “giovani” e imprese “vecchie”. Per Schumpeter l’età dell’impresa riveste grande importanza nello spiegare il livello innovativo e l’investimento nelle nuove tecnologie. Infatti (Schumpeter, 1977b, pp.121-2 e 124): tutte le innovazioni sono incorporate in una nuova impresa fondata a questo scopo. La maggior parte delle imprese nuove sorgono con un’intenzione e per uno scopo preciso. Muoiono quando quell’intenzione, o quello scopo, si sono realizzati o sono diventati obsoleti, o hanno cessato di essere nuovi […]. Le innovazioni emergono in primo luogo dalle imprese giovani e le imprese vecchie mostrano di regola sintomi di ciò che eufemisticamente viene chiamato conservatorismo. Il contributo di Schumpeter allo studio dell’innovazione è quindi notevole e complesso. Alcune tematiche, da lui discusse diffusamente, ne hanno caratterizzato fortemente l’opera: la distinzione tra invenzione e innovazione, il ruolo dell’imprenditore e il profitto temporaneo risultante dall’innovazione. L’analisi di Schumpeter risente però delle finalità ultime di tutta la sua opera, che riguardano lo studio della dinamica del sistema capitalistico e non dell’innovazione in se stessa. Di conseguenza, in Schumpeter si trova più una descrizione del processo innovativo e un’analisi delle sue conseguenze sul sistema economico che un esame delle sue determinanti. 17 1.4. Le teorie della crescita Sebbene sin dalla nascita dell’economia come moderna disciplina di studio la crescita e il ruolo del cambiamento tecnologico abbiano costituito oggetto di analisi, è soltanto a partire dal secondo dopoguerra - dopo un vuoto di oltre un secolo - che analisi articolate su questa materia riprendono vitalità. Fino agli anni ’80 l’approccio dominante è costituito dalla teoria neoclassica secondo la quale gli input che determinano il cambiamento della funzione di produzione - e di conseguenza la crescita - sono capitale e lavoro. Alla tecnologia è attribuito gran parte della crescita senza però essere in grado di quantificarla (Solow, 1957).10 Sulla base di questi studi si sviluppano modelli che mirano proprio a misurare l’apporto di ciascun fattore produttivo senza però dare stima precisa del cambiamento tecnologico (Denison, 1967; Maddison, 1987). La teoria neoclassica manca nell’analisi delle determinanti dell’innovazione. Il contributo della tecnologia alla crescita economica rimane indefinito, essa infatti viene considerata esterna e indeterminabile: “manna dal cielo”. Alla teoria neoclassica sfuggono due punti sostanziali. Innanzitutto una parte importante del cambiamento tecnologico è incorporato nel capitale fisico e umano. Inoltre ignora gli spillover associati al cambiamento tecnologico e l’importanza di learning by doing e learning by using (Arrow, 1962). Le nuove teorie della crescita endogena cercano di superare le manchevolezze di quella neoclassica; il 10 Alla fine degli anni cinquanta un famoso studio precursore di Moses Abramovitz mostrava come la crescita di lungo periodo del prodotto nazionale statunitense risultasse spiegata solo in minima parte, circa il 15 per cento, dalla crescita dei fattori produttivi tradizionali (capitale e lavoro). Il restante 85 per cento, il cosiddetto “residuo”, era 18 cambiamento tecnologico non viene più considerato come manna dal cielo ma interno al processo di crescita. Importanti fattori alla base dell’innovazione tecnologica – capitale umano, investimenti in Ricerca e Sviluppo, le infrastrutture per la ricerca – sono inclusi nel modello. Inoltre questo filone di studi riconosce ritorni crescenti degli investimenti in capitale umano, tecnologia e conoscenza. Strettamente legata ai filoni di ricerca nati con le nuove teorie della crescita endogena e ispirata dagli studi di Schumpeter, si è sviluppata una nuova teoria economica basata su modelli evolutivi (Nelson and Winter, 1982). A partire dal lavoro seminale di Nelson e Winter, la teoria evolutiva ha come elemento caratterizzante un forte interesse alla dinamica ed ai processi. Essa focalizza l’attenzione sulla conoscenza, 11 sui processi dinamici collegati alla ricerca e all’innovazione e sull’impresa che apprende, è depositaria di conoscenze e ha competenze specifiche. La teoria evolutiva pone attenzione ai processi di generazione di varietà a livello di tecnologie, prodotti, comportamenti e organizzazioni, di selezione tra la varietà esistente e di sviluppo di meccanismi inerziali (tecnologici, comportamentali ed organizzativi) alla base della continuità del sistema economico. Essa considera le imprese come agenti eterogenei che apprendono ed agiscono in ambienti incerti e in cambiamento. La teoria evolutiva sostiene che l’innovazione ha luogo in conseguenza ad asimmetrie informative e mercati imperfetti. A dispetto dei neoclassici, che pongono attenzione all’equilibrio del sistema economico, gli evolutivi sono più spiegato da altri fattori, che Abramovitz stesso etichettò con l’espressione “la misura della nostra ignoranza” (Abramovitz, 1956) 11 Il modello lineare è utilizzato più o meno esplicitamente in numerosi modelli di innovazione tecnologica. Esso è caratterizzato da una sequenza di fasi diverse. Il processo che conduce all’innovazione 19 interessati a situazioni del sistema economico al di fuori dell’equilibrio, ai processi di innovazione ed alle dinamiche ad essi associate. Le imprese sono fortemente legate ai contesti storici settoriali, tecnologici ed istituzionali in cui operano. inizia con l’attività di ricerca base, prosegue con la ricerca applicata e finisce con lo sviluppo, che conduce il nuovo artefatto. 20 Caratteristiche stilizzate dell’approccio neoclassico ed evolutivo nell’esame dell’innovazione Neoclassici Evolutivi Equilibrio Non equilibrio Statica e dinamica Processo e dinamica Tecnologia come Informazione Tecnologia come conoscenza Apprendimento come acquisizione di informazioni e learning by doing Apprendimento come accumulazione di conoscenza, processo multimensionale Razionalità sostantiva e Massimizzazione Razionalità limitata e comportamento soddisfacente Intervento pubblico trade-off evolutivi, ruolo delle istituzioni e dei sistemi innovativi Intervento pubblico: fallimenti del mercato e ruolo dei brevetti e dei sussidi alla R-S 21 2. I SISTEMI DI INNOVAZIONE 2.1. L’approccio sistemico allo studio dell’innovazione Nel contesto della scuola evolutiva12, si inserisce l’approccio che considera l’innovazione un fenomeno complesso dall’esito incerto caratterizzato da una continua interazione tra molteplici soggetti. Nasce così l’idea di un sistema, ossia di un insieme di componenti economiche e sociali tra loro interrelate, che contribuisce a determinare il comportamento innovativo delle imprese. Questa tesi giustifica e avvalora un approccio sistemico che prende in considerazione tutti i fattori che danno forma e influenzano l’innovazione. L’approccio dei sistemi di innovazione si propone proprio di descrivere, capire, analizzare, spiegare – e forse influenzare – i processi innovativi. La prospettiva sistemica fornisce un articolato insieme di categorie utilizzabili sia in termini di analisi “positiva” dei processi innovativi e delle determinanti del successo competitivo delle imprese, sia in chiave normativa. Innanzitutto essa contribuisce a rispondere alle questioni di cosa determini i vantaggi competitivi nazionali, perché essi siano normalmente concentrati in un gruppo di settori e quali siano i meccanismi di co-evoluzione fra lo sviluppo di competenze all’interno delle imprese, la struttura istituzionale e i sentieri nazionali di specializzazione. 12 Vedi Bart Verspagen, 9 January 2001, Economic growth and technological change: an evolutionary interpretation, STI Working Papers, OECD, 22 In particolare il contributo “positivo” più rilevante riguarda lo sviluppo di una serie di concetti e metodologie che aiuta a capire in quale modo e per quali motivi vi sia una varianza tra paesi nella relazione fra impresa e struttura istituzionale e come tale varianza concorra a spiegare la diversità fra imprese, in termini di performance innovativa. Non si tratta però di una teoria formale: non fornisce chiare ipotesi sul comportamento di variabili, prevedendo esiti a secondo delle relazioni tra gli input. Piuttosto formula delle congetture, sottolineando con forza la necessità di considerare vari fattori - in primo luogo le istituzioni e l’apprendimento come importanti determinanti dell’innovazione tecnologica. Di conseguenza, mancando di un sufficiente grado di astrazione e, viceversa, assegnando a fattori endogeni tipici di ciascun sistema economico nazionale le determinanti dell’innovazione, non ha, allo stato dell’arte, un valore teorizzante.13 Rimane, quindi, una struttura concettuale o un approccio - come fin qui è stato definito – che non è approdato ancora a un insieme coerente di concetti e metodologie anche se gran parte degli autori fanno riferimento esplicitamente o implicitamente alle teorie evolutive. Tuttavia, ha avuto una diffusione sorprendentemente veloce nei circoli accademici; inoltre, ha suscitato un certo interesse da parte dei governi nazionali e delle organizzazioni internazionali come OCSE e Unione Europea nell’analisi e nella formulazione di politiche rivolte all’innovazione. 13 Vedi Charles Edquist, 1997, Systems of Innovation Technologies, Institutions and Organizations, p.28,29 23 2.1.1.I principali autori dei sistemi di innovazione Chris Freeman è stato il primo ad usare l’espressione sistemi nazionale di innovazione nel suo libro del 1987 sulle politiche tecnologiche e la performance economica del Giappone. Egli, studiando il sistema giapponese, sottolinea le specificità nazionali di un sistema che trova nello stretto rapporto fra il ministero del Commercio internazionale e dell’Industria (MITI) e le imprese il suo punto di forza. Gli altri autori di riferimento nella letteratura sono Richard Nelson e Bengt Ake Lundvall.14 I due libri da loro pubblicati nei primi anni ‘90 costituiscono i testi fondamentali di questo approccio. Il libro di Nelson, “National Systems of Innovation: A Comparative Study” del 1993 raccoglie dei case studies sui sistemi di innovazione di quindici paesi, scritti in maggior parte da autori residenti in questi paesi. Scopo del libro è di descrivere e comprendere i sistemi nazionali piuttosto che teorizzare e poi calibrare la teoria sull’evidenza empirica. Il libro di Lundvall invece ha un orientamento diverso da quello di Nelson, ma è complementare. Come indicato dal titolo “National Systems of Innovation: Towards a Theory of Innnovation and Interactive Learning” ha un approccio teorico corroborato da un’analisi empirica basata su un paese, la Danimarca. L’opera vuole dimostrare la necessità di sviluppare una valida alternativa alla consolidata tradizione neoclassica, incentrando il focus dell’analisi sui processi interattivi dell’apprendimento e dell’innovazione. 14 Il primo tentativo sistemico basato sui sistemi di innovazione nazionale è da attribuirsi a Friedrich List (1841/1859). Il suo contributo risulta interessante anche perché nasce in aperta contrapposizione ad Adam Smith e ad altri economisti a lui contemporanei. List distingue tra l’approccio cosmopolita di Smith incentrato sullo scambio e 24 Il concetto di sistema innovativo nazionale è stato spesso usato con accezioni diverse. Carlsson, per esempio, sostiene che ad ogni settore tecnologico appartiene un sistema con caratteristiche uniche. Il suo approccio è quindi settoriale.15 Nel libro del 1987 Freeman lo definisce “come una rete di istituzioni nel settore pubblico e privato le cui attività e interazioni introducono, importano, modificano e diffondono le nuove tecnologie.” Egli si concentra su 4 elementi: 1. Il ruolo del ministero del Commercio internazionale e dell’Industria (MITI) 2. Il ruolo della Ricerca & Sviluppo interna alle imprese alle imprese 3. Il ruolo della formazione e della struttura industriale giapponese 4. Il ruolo dei gruppi e delle conglomerate. Anche Nelson (1993) fa riferimento soprattutto alle organizzazioni che, intenzionalmente o no, promuovono l’attività innovativa delle imprese. Lundvall invece utilizza un’accezione più ampia, includendo non solo le organizzazioni coinvolte nel processo innovativo, ma anche tutti gli aspetti della struttura istituzionale che influenzano l’apprendimento e la ricerca della novità. Vi è inoltre mancanza di accordo sul ruolo dei policy makers nella determinazione dei sistemi di innovazione. A questo proposito Nelson sostiene che non si può assegnare loro il ruolo di costituire i sistemi di innovazione.16 Lundvall l’allocazione, e la sua prospettiva che sottolinea lo sviluppo delle forze produttive 15 A fianco di Carlsson altri autori come Malerba e Orsenigo hanno evidenziato che il processo innovativo e le tipologie sistemiche di tale processo dipendono dal settore industriale che si prende in considerazione 16 Edquist, autore di Systems of Innovation Technologies, Institutions and Organizations, (1997) nel quale illustra una completa rassegna dei 25 invece afferma che non si possono determinare dei rigidi confini del sistema innovativo: la definizione di un sistema di innovazione deve restare flessibile e aperta così da accogliere di volta in volta sottosistemi, processi ed altri fattori che influenzano lo sviluppo e la diffusione delle innovazioni. L’autore svedese sostiene altresì che le istituzioni e la struttura industriale sono gli elementi più importanti che definiscono i sistemi di innovazione. 2.2. Le principali caratteristiche dell’approccio sistemico Tutte le versioni di questo approccio pongono l’innovazione al centro dell’analisi. E attribuiscono ai molteplici processi di apprendimento gli elementi fondamentali all’innovazione. In contrapposizione all’ approccio tradizionale adottato dall’OCSE, che si limita ad attribuire alla Ricerca & Sviluppo l’unica risorsa del cambiamento tecnologico, i sistemi di innovazione evidenziano il contributo delle attività esterne alla Ricerca & Sviluppo allo sviluppo tecnologico.17 contributi della letteratura dell’innovazione, sostiene che alcuni elementi dei sistemi di innovazione sono frutto dell’intervento dei policy makers a livello del governo; altri, invece, si sviluppano spontaneamente nell’arco del tempo. 17 Le spese per la Ricerca & Sviluppo sono considerati tra i principali indicatori di innovazione. A fianco di questi i brevetti sono comunemente considerati un indicatore di output innovativo, anche se verifiche econometriche hanno mostrato una contemporaneità tra Ricerca & Sviluppo e brevetti, indicando la possibilità che il brevetto possa essere richiesto assai presto nel processo innovativo. In questa accezione, i brevetti possono rappresentare un indicatore di output inventivo, e non necessariamente di innovazione in quanto numerosi brevetti non si tramutano in successo commerciale. Altri indicatori forniscono informazioni complementari rispetto alla Ricerca & Sviluppo ed ai 26 Vale a dire learning by doing (processo di miglioramento dell’efficienza di produzione attraverso il lavoro)18, learning by using (aumento dell’efficienza dell’utilizzo di sistemi complessi)19 e learning by interacting (miglioramento attraverso l’interazione di produttori e consumatori). 20 Si tratta di processi di apprendimento che coinvolgono molti soggetti e attori impegnati nelle varie attività economiche. Le tecnologie, infatti, non sono solo sviluppate ma anche prodotte, diffuse e usate. Tutti questi aspetti sfuggono all’approccio che si limita a considerare la Ricerca & Sviluppo come l’unico input dell’innovazione. I sistemi di innovazione vanno oltre questo schema e includono non solo i fattori economici che influenzano l’innovazione ma anche fattori istituzionali, sociali, e politici. In questo senso si tratta di un approccio interdisciplinare.21 L’approccio dei sistemi di innovazione mantiene una prospettiva dinamica dato che l’innovazione rappresenta l’elemento di movimento e di disequilibrio del sistema economico. Di conseguenza non si può definire un ottimo e non esiste un sistema ideale al quale fare riferimento. L’approccio è quindi comparativo: paragonando i diversi sistemi è possibile sottolineare e spiegare le differenze. Le innovazioni non sono determinate solo dagli elementi che costituiscono il sistema ma anche e soprattutto dalle brevetti. Pubblicazioni e citazioni scientifiche forniscono un’indicazione dell’output scientifico di un paese o di una istituzione. 18 Vedi Kenneth Arrow, 1962, “The Economic implications of learning by doing”, Review of Economic Studies, 29 (80), 155-73 19 Vedi Rosenberg, N., (1982) Inside the black box: technology and economics. Cambridge:Cambridge University Press 20 Lundvall, B.-A (1988) Innovation as an Interactive process: from user-producer interaction to the national system of innovation. In G.Dosi et al. (eds) 21 Fabrizio Guelpa e Stefania Trenti in “Human capital and the competitiveness of the Italian industry”, (2001) sottolineano l’impossibilità di misurare l’attività innovative delle PMI italiane utilizzando indicatori tradizionali della ricerca & sviluppo 27 relazioni che intercorrono tra gli stessi elementi. Per esempio, la performance di lungo periodo delle imprese che operano nei settori ad alto contenuto di R&S dipende in gran parte dall’interazione con le università. Queste relazioni sono complesse e non sono affatto caratterizzate da processi causali e lineari. Sottolineare la non linearità e l’interdipendenza dei rapporti che caratterizzano gli elementi dei sistemi di innovazione, significa considerare la domanda come una delle determinanti dell’innovazione. Lundvall introduce questo concetto quando evidenzia l’importanza della relazione tra le imprese produttrici e quelle fornitrici. Porter esplicita la tesi di Lundvall individuando nella qualità della domanda del mercato la spinta ad innovare delle imprese. Includendo la domanda tra le determinanti dell’innovazione si allarga lo spettro degli interventi utili a sostenere la stessa. È così possibile intervenire non solo sul lato dell’offerta, con i tipici strumenti dei sussidi alla Ricerca & Sviluppo, ma anche dal lato della domanda, attraverso leggi, tasse, regolamenti che contribuiscono a favorire la diffusione di tecnologie.22 Lo scarto temporale che intercorre tra lo sviluppo di una tecnologia, la sua applicazione a fini economici e la sua diffusione è spesso lungo. Oltre a ciò, come si è detto in precedenza, l’innovazione è caratterizzata dalla continua interazione di molteplici soggetti, un processo dinamico e cumulativo nel quale ogni singolo evento incide sul successivo. È quindi necessario adottare una prospettiva storica per essere in grado di catturare questi processi. Sebbene non ci sia uniformità nel definire l’innovazione, se l’obiettivo dell’analisi è capire gli effetti dell’innovazione sulla crescita e sull’occupazione, diventa necessario 22 Vedi Porter, M.E., 1990, The Competitive Advantage of Nations. London, Macmillian 28 considerare non solo le innovazioni a livello di prodotti ma anche e soprattutto quelle introdotte a livello organizzativo nei processi produttivi. Una delle caratteristiche principali che i sistemi di innovazione hanno in comune è l’enfasi sul ruolo delle istituzioni. Freeman si riferisce nella sua definizione alla rete delle istituzioni. Per Lundvall la struttura istituzionale è la seconda dimensione più importante del sistema di innovazione. Nelson sottolinea le istituzioni e i meccanismi che sostengono le innovazioni tecnologiche. È pertanto una forza dei sistemi di innovazione che le istituzioni siano centrali in tutte le versioni. Tuttavia, è una debolezza dell’approccio che i vari autori non attribuiscano lo stesso significato al termine istituzione. Il termine istituzioni sembra essere usato con due significati diversi: regole, norme, leggi che influenzano il comportamento, e strutture formalizzate con uno scopo specifico. Spesso non si precisa quale significato gli si attribuisce, rischiando così di comprendere entrambi. A questo punto, includendo tutti questi fattori, le istituzioni diventano per forza importanti. Vi è la tendenza, frutto dell’osservazione empirica, a considerare come istituzioni le università, i centri di ricerca, gli istituti tecnici, ed altri enti che portano avanti l’attività innovativa. Si confondono, quindi, le regole con i giocatori. Chiariamo allora l’accezione utilizzata nel presente studio. Le istituzioni sono quell’insieme di regole, leggi, norme e pratiche consolidate che regolano le relazioni e interazioni fra individui e gruppi. Le organizzazioni, invece, sono strutture formali costituite consapevolmente con un compito preciso. Secondo North, le organizzazioni sono sì formate dalla struttura istituzionale ma, allo stesso tempo, sono il veicolo di cambiamento: i giocatori seguono le regole ma 29 inevitabilmente le influenzano.23 Nell’ambito dell’innovazione le imprese, le università, i centri di ricerca sono considerati organizzazioni dato che sono importanti motori del cambiamento tecnologico. Se il processo innovativo è caratterizzato dall’apprendimento e dalla conoscenza, alla cui base vi è la continua interazione dei soggetti, risulta evidente che le istituzioni possono influenzare in maniera significativa la dinamica innovativa. Il rapporto tra istituzioni e innovazione è onnicomprensivo e si instaura a molti livelli. Esiste a livello delle imprese, dove le istituzioni influenzano la relazione tra R&S, produzione e marketing. Esiste a livello del mercato tra le stesse imprese e i consumatori. In generale le funzioni che svolgono le istituzioni sono: ridurre l’incertezza, mediante la diffusione di informazioni; gestire conflitti e cooperazione; fornire incentivi. Le istituzioni sono necessarie per limitare l’alto livello di incertezza insito nell’attività innovativa. Innanzitutto il grado di incertezza può essere ridotto attraverso delle chiare leggi che regolano le concessioni dei brevetti e tutelano la proprietà intellettuale. Inoltre, avendo l’attività innovativa un alto costo è necessario che vi sia una disciplina finanziaria che metta a disposizione dei soggetti coinvolti agevolazioni per l’attività innovativa e un sistema bancario che non penalizzi l’iniziativa imprenditoriale. 23 North, Douglass C., 1994, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Bologna, Il Mulino 30 2.3. I sistemi di innovazione: tra nazionalismo e globalizzazione Il processo di globalizzazione sembra, in apparenza, indebolire la coerenza e l’importanza di un approccio che evidenzia il ruolo delle specificità nazionali o locali nella produzione di innovazioni. Tanto più che le tecnologie – come d’altra parte la conoscenza - hanno sempre avuto una natura internazionale, andando oltre i confini nazionali. In effetti è stata proprio l’ampia diffusione delle tecnologie informatiche, delle telecomunicazioni e dei computer a sostenere l’aumento e l’intensificarsi delle relazioni su scala mondiale. Si osserva così un processo secondo il quale la tecnologia è veicolo della diffusione delle informazioni e della conoscenza attraverso i confini, e allo stesso tempo, il suo sviluppo è stimolato dall’apertura e internazionalizzazione dei mercati. L’importanza relativa delle forze nazionali e (passatemi il termine) globali è stata, e continua ad essere, l’oggetto di una vasta letteratura. Alcuni autori sostengono che gli attuali processi di globalizzazione stanno erodendo il peso delle nazioni nel guidare il cambiamento tecnologico.24 Altri, invece, ritengono che le stesse dinamiche hanno reso i sistemi di innovazione sempre più importanti nel sostenere e stimolare i processi di innovazione.25 Il caso delle imprese multinazionali (IMN), che svolgono un ruolo importante nell’avanzamento delle conoscenze tecnologiche attraverso i propri dipartimenti di Ricerca & Sviluppo - e che per definizione difficilmente si limitano a produrre e a vendere semplicemente su scala nazionale aiuta a capire l’apparente contraddizione. 24 Chesnais, F. 1994, La mondialisation du capital, Paris, Syros Patel, P. e Pavitt, K. 1991. Large firms in the production of the world’s technology: an important case of “non-globalisation”, Journal of International Business Studies, 22: 1-21 25 31 A partire dagli anni ottanta e novanta la forte crescita degli investimenti diretti esteri (IDE) nei paesi OCSE suggerisce che le IMN hanno svolto un ruolo di importanza sempre crescente nelle relazioni economiche internazionali. Accanto alla crescita degli IDE si è manifestata anche un’accelerazione nei processi di fusione fra imprese e di acquisizione internazionale. Le cause di tale fenomeno sono molteplici e coinvolgono la maggior parte dei settori economici. In primo luogo vi è l’aumentato grado di deregolamentazione dei mercati finanziari, il buon andamento delle borse e, con riferimento all’Europa, la progressiva integrazione economica e monetaria (OCSE 1992, p.215). Gli IDE, le acquisizioni e le fusioni internazionali accrescono il grado di concentrazione del capitale (Chesnais, 1992, p.283). A tale proposito si può osservare che la quota del prodotto mondiale totale delle prime dieci imprese è maggiore del 60% nei seguenti settori: computer, telecomunicazioni, semiconduttori, automobili, attrezzature mediche, petrolchimica e infine anche nei servizi di consulenza di management strategico. Se i processi di globalizzazione e concentrazione di capitale riguardano i settori ad alta intensità di Ricerca & Sviluppo, allora ci si può aspettare che la ricerca sia sempre di più sviluppata a livello internazionale. In realtà la tendenza alla globalizzazione nella produzione di tecnologia, come sottolinea Patel, non è corroborata dai fatti. Patel evidenzia che le attività innovative tendono ad essere localizzate vicino all’impresa madre. Gli incentivi a delocalizzare l’attività di ricerca emergono solo in quei prodotti con domanda differenziata fra paesi (alimentazione, bevande), o in presenza di industrie particolarmente regolamentate (costruzioni e farmaceutica), oppure di settori basati su specifiche risorse naturali (alimentazione, settori connessi all’industria estrattiva). L’evidenza empirica 32 prodotta da Patel tende a confermare la rilevanza dei sistemi di innovazione e della concentrazione geografica dell’attività innovativa nei settori ad alta tecnologia.26 26 Per un’analisi più approfondita sul ruolo dell’innovazione nell’economia globale si veda Daniele Archibugi, Jeremy Howells, e Jonathan Michie, 1999, Innovation Policy in a global economy, Cambridge,Cambridge University Press 33 3. DINAMICHE EUROPEA DI INTEGRAZIONE 3.2. Le tappe dell’integrazione europea nel campo della scienza, tecnologia e ricerca La ricerca e la cooperazione tecnologica sono stati elementi fondanti del processo di integrazione europea. Sin dai primi anni cinquanta era chiaro agli Stati membri, visto il costo e la complessità della ricerca e sviluppo e delle infrastrutture per sostenerla, la necessità di unire gli sforzi nazionali e collaborare in questo campo. L’obiettivo, naturalmente, era rivolto a riacquistare i livelli di crescita precedenti la guerra. Nel 1949, in seguito al Congresso di Hague, si istituì il Consiglio d’Europa allo scopo di incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri in campo legale, sociale, amministrativo e scientifico. Molto del merito di aver incluso la scienza nella sfera delle materie di interesse europeo, va attribuito ai francesi Dautry e Auger, e all’italiano Annali; importanti dirigenti nel campo scientifico che mediante la loro influenza misero le basi per una cooperazione scientifica a livello europeo. Nacque così nel 1953 il CERN, Centro europeo per la ricerca nucleare, tuttora esistente e che collabora con altri 19 Paesi. L’incertezza dei primi tentavi di cooperazione europea svanì con le prime due tappe che hanno strutturato il processo di integrazione. Nel 1952 si istituì la Comunità dell’Acciaio e del Carbone, nata principalmente con lo scopo di integrare e armonizzare le risorse naturali a livello 34 europeo ma che presentava anche un obiettivo di ricerca e sviluppo definito dall’articolo 16 del trattato di Roma. Nel 1956 con l’EURATOM, strumento di politica energetica, si formalizzò in una organizzazione la ricerca tecnica e scientifica nel campo nucleare. A tal proposito, è utile ricordare che alla fine degli anni cinquanta, l’energia nucleare era percepita - allo stesso modo di come sono oggi percepite le Information and Communication Technologies la base della rivoluzione industriale. Grazie al forte appoggio dell’Inghilterra27 da una parte, e della Germania dall’altra – interessata per ovvi motivi ad un’integrazione più stretta – si maturò un chiaro impegno per la ricerca e lo sviluppo a livello europeo che, tuttavia, finì per mancare di obiettivi ben delineati e di massa critica. Anche gli Stati Uniti contribuirono all’impeto iniziale, trasferendo tecnologia. EURATOM, invece, non produsse risultati concreti. Il settanta per cento dei fondi era occupato dai contratti di associazione che permettevano agli Stati non membri e ai centri di ricerca esterni di partecipare ai programmi di ricerca e sviluppo, lasciando così poco spazio allo sviluppo di conoscenza e tecnologia a favore degli Stati membri. Come è spesso accaduto il processo di integrazione ha vissuto alterne vicende, seguendo gli umori europeistici degli Stati membri. Ogni qualvolta sono stati toccati gli interessi vitali degli Stati membri, l’evoluzione comunitaria ha subito una battuta di arresto. Uguale sorte ha avuto la cooperazione in ambito di ricerca. Il ritorno al potere in Francia del generale De Gaulle nel 1958, che intraprese un programma strategico di acquisizione di capacità nucleare, ridusse notevolmente le potenziali di sviluppo dell’EURATOM. Da 27 Il politico che più di ogni altro si espresse in favore di una politica nucleare comune in Europa rivolta a scopi pacifici fu Eisenhower. Celebre, a questo proposito, fu la sua dichiarazione “Atoms for Peace”. 35 allora l’organizzazione per la ricerca nucleare non ha più recuperato lo slancio iniziale. I problemi legati al deficit tecnologico erano ampiamente noti ai policy makers; così come la necessità di aprire a livello europeo programmi di ricerca e sviluppo tecnologico volti ad acquisire tecnologia, e ridurre la fuga dei cervelli. Ciononostante, nella prima metà degli anni sessanta non si svilupparono grandi progetti in campo scientifico, se non isolate iniziative come la nascita della Fondazione delle Scienze europee o altre tese a colmare i fallimenti della Comunità.28 In un tentativo di periodizzare l’integrazione europea nel campo della ricerca, si possono delineare tre fasi. La prima fase (1957-1967) della costituzione di una struttura istituzionale comunitaria a sostegno della ricerca è caratterizzata da un approccio fortemente federale. In teoria, il trattato EURATOM definiva il ruolo di una commissione sovranazionale (antenato dell’attuale Commissione europea) come organo coordinatore al quale ciascun programma nazionale doveva fare riferimento, creando così una divisione di lavoro e di competenze a livello comunitario. Dopo due programmi di ricerca però, i conflitti tra francesi e tedeschi resero impossibile la prosecuzione dei programmi comuni di ricerca.29 L’impasse fu superata nel 1969 quando le proposte del francese Pierre Aigrain si concretizzarono nella nascita del “Committee of European Cooperation in the field of scientific and technical research” (COST). Un programma di ricerca à la carte – risultato della tensione tra l’approccio 28 La NATO, dietro la spinta del premier inglese Harold Wilson, nel 1966 propose la creazione di una Comunità Tecnologica europea 29 Nello sviluppo di un reattore, il campo dagli effetti più promettenti, la Germania era contraria a sussidi sopranazionali che distorcessero il mercato; la Francia, invece, era contraria a sussidi che favorissero la tecnologia degli Stati Uniti 36 Comunitario di integrazione e quello intergovernativo di interdipendenza, che coinvolse da una parte gli Stati membri e dall’altra Stati non membri, parzialmente inquadrato nel sistema comunitario. La seconda fase (1967-79) si può definire di crisi e transizione. Tuttavia, è in questo periodo che si possono rintracciare gli elementi costitutivi della futura struttura istituzionale europea nel campo della ricerca. Infatti, il nucleo centrale della politica comunitaria nasce nel 1974 con la decisione di creare il “Committee for Co-ordination of Scientific and Technological Research (CREST) incaricato di promuovere progetti di interesse comunitario. Fu il commissario Davignon, nei primi anni ottanta, a capire l’importanza di indirizzare le iniziative europee verso i bisogni dell’industria. In quegli anni, infatti, l’Europa occupava solo il dieci per cento del mercato mondiale dell’Information technology e il quaranta per cento di quello comunitario. In primo luogo, per far fronte alla perdita di competitività dell’Europa, il Commissario promosse la nascita di un gruppo di interesse di industriale nei settori dell’informatica, elettronica e telecomunicazioni. L’iniziativa, nata per promuovere il confronto con i governi nazionali, si formalizzò nel 1982 nel “European Strategic Program for Research and Development in Information Technology” (ESPRIT). Questo programma, a dispetto delle critiche sugli effettivi risultati raggiunti, ha avuto un ruolo importante per i successivi programmi europei nel campo della ricerca e dello sviluppo. In particolar modo, il sistema di condivisione dei costi nella collaborazione tra imprese, università e istituti di ricerca provenienti da almeno due Stati membri ha costituito un modello di riferimento. Nel 1983, in seguito ad una proposta della Commissione, il Consiglio dei ministri della ricerca decise di accorpare 37 tutte le attività di ricerca e sviluppo portate avanti a livello europeo in un unico sistema pianificatore, “il programma quadro”. Il Primo Programma Quadro (1984-87) risultò essere un’organizzazione innovativa ad hoc senza una base legale. Per assicurare la compatibilità delle nuove istituzioni europee nel campo della ricerca con le norme precedenti che regolavano la concorrenza, si sviluppò la nozione di precompetitività.30 Nel terzo periodo (1980- ) si assiste quindi ad un intensa fase di costruzione delle istituzioni che culmina con la revisione dei trattati nelle tre storiche tappe del 1986, 1992 e 1997. L’Atto Unico ha formalizzato le regole che governano l’attività di ricerca e sviluppo a livello europeo. In primo luogo ha definito come obiettivo la competitività industriale. Ha stabilito quattro tipi di azioni comuni: ricerca e sviluppo, cooperazione internazionale, diffusione e sfruttamento, addestramento e mobilità dei ricercatori. Delineato un approccio organico caratterizzato dai programmi quadro, da programmi specifici, programmi supplementari e da forme di partecipazione e sostenuto da procedure decisionali. Introduce, infine, i mezzi per il coordinamento delle politiche nazionali. Il Trattato di Maastricht del 1993 ha introdotto ulteriori cambiamenti che influenzano la ricerca e l’innovazione: • l’articolo 2 attribuisce alla Comunità europea il mandato di promuovere crescita sostenibile e senza 30 Per regolare gli aiuti di stato, la Commissione europea ha distinto tra ricerca e sviluppo pre-competitiva, ovverosia ricerca industriale di base e ricerca e sviluppo rivolta al mercato. Nell’ambito degli aiuti di stato nel campo della ricerca e sviluppo la Comunità definisce dei criteri comuni. Pertanto, può essere finanziato da fonti pubbliche fino al 100 per cento la ricerca scientifica di base, fino al 50 per cento per la ricerca industriale di base, dal 50 fino al 100 per cento la ricerca applicata 38 inflazione nel rispetto dell’ambiente e un alto livello di occupazione e protezione sociale; • l’articolo 3B codifica il principio di sussidiarietà che limita l’azione della Comunità; • il nuovo titolo XV, riguardante la ricerca e lo sviluppo tecnologico, definisce gli obiettivi della Comunità europea non solo in relazione alla competitività internazionale della propria industria ma anche per promuovere le attività di ricerca ritenute necessarie al fine di sostenere altre politiche comunitarie; • il nuovo articolo 130H definisce il coordinamento tra la Comunità e gli Stati membri al fine di assicurare l’efficacia e la coerenza delle politiche; • la procedura di co-decisione attribuisce al Parlamento europeo il diritto a partecipare alle decisioni, come il programma quadro, di carattere strategico. Infine, le ultime due tappe del processo di integrazione, il Trattato di Amsterdam e Agenda 2000 hanno contribuito sensibilmente ad inserire il ruolo della ricerca negli obiettivi generali della politica della Comunità. Entrambi hanno confermato l’esigenza di considerare con la massima priorità i temi dell’occupazione, della competitività, dello sviluppo sostenibile, sviluppando la Comunità nella direzione di una società fondata sulla conoscenza. Raggiungendo una chiara maturità nel campo della politica di ricerca, il Trattato di Amsterdam ha rimosso dalla procedura di co-decisione il requisito del voto unanime in seno al Consiglio, equiparando così ad altre politiche come quella del Mercato Unico, l’area della ricerca. Lo snellimento della procedura ha reso più celere il processo decisionale per l’adozione del Programma Quadro. Agenda 2000, invece, ha delineato la strategia da seguire a fronte dei grandi cambiamenti – geopolitici, ambientali, tecnologici e economici – che l’Europa deve affrontare. 39 L’obiettivo di assicurare occupazione e sviluppo sostenibile, nell’ambito di una società caratterizzata dall’alta qualità della vita, richiede imprese dinamiche, cittadini preparati e dotati degli strumenti conoscitivi per gestire il cambiamento. Di conseguenza, le politiche che intervengono nel campo della conoscenza – ricerca, innovazione, educazione, e addestramento – diventano di fondamentale importanza e devono essere sostenute finanziariamente. Nell’ambito di un restringimento del budget, Agenda 2000 ha invitato caldamente a stanziare maggiori risorse rispetto al livello attuale del Quinto Programma Quadro. La Commissione ha riconosciuto nella ricerca e nell’innovazione i motori fondamentali del progresso economico e sociale, fattori chiave della competitività delle imprese, dell’occupazione e della qualità della vita. È precisamente in questa ottica che ha proposto nel gennaio del 2001 la creazione di uno “Spazio europeo della ricerca”. Progetto, conseguente alle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona il 15 giugno 2000, per il quale il Consiglio di ricerca ha invitato gli Stati membri e la Commissione a adottare le misure necessarie per avviarne la realizzazione pratica. 40 3.1. Il traguardo dello spazio europeo della ricerca All’inizio degli anni ottanta, venne lanciato l’allarme, a livello nazionale e a livello europeo, per mettere in guardia contro il rischio di una perdita di velocità dell’Europa rispetto agli Stati Uniti nei grandi settori della terza rivoluzione industriale. A distanza di quasi venti anni, la ricerca s’impone come una componente fondamentale dell’economia e della società della conoscenza che si sviluppano su scala mondiale. Oggi più che mai, si rivela uno dei motori fondamentali del progresso economico e sociale, un fattore chiave della competitività delle imprese, dell’occupazione e della qualità della vita. La scienza e la tecnologia costituiscono d’altra parte un elemento centrale del processo decisionale. La ricerca è chiamata a svolgere un ruolo ancora più importante e centrale nel funzionamento dell’economia e della società europea. Ciò richiede un consolidamento delle attività pubbliche e private di ricerca nell’Unione, ma anche il coordinamento delle azioni di ricerca degli Stati membri tra loro e con quelle dell’Unione. Le istituzioni dell’Unione europea hanno recepito pienamente le nuove espressioni dell’economia ed hanno delineato una serie di azioni rivolte alla costruzione di una società europea della conoscenza. Oggi, l’Unione europea con l’impegno degli Stati membri e degli operatori della ricerca vuole realizzare uno “Spazio europeo della ricerca”. Per raggiungere questo traguardo la Commissione ha ridefinito nella forma e nel contenuto le azioni in materia di ricerca. E, in concreto, vuole attuare una serie di azioni di natura giuridica e regolamentare rivolte a rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei ricercatori, delle conoscenze e delle tecnologie in Europa in vari settori: carriere scientifiche, sistemi di previdenza sociale, regimi di 41 proprietà intellettuale, disposizioni in materia di trasferimento delle conoscenze e di diffusione dei risultati. Nella comunicazione sullo “spazio europeo di ricerca” la Commissione afferma che le azioni di sostegno alla ricerca nell’Unione dovranno tenere conto delle esigenze europee in questo settore nelle loro varie dimensioni: le esigenze della competitività; la necessità di promuovere l’eccellenza come pure l’esigenza di uno sviluppo tecnologico e coerente nell’insieme dell’Unione; le esigenze più strettamente legate alla definizione, all’attuazione e al monitoraggio delle politiche dell’Unione. Ma soprattutto dovranno essere concepite in maniera da esercitare sulla ricerca europea un’azione più strutturante rispetto all’impatto che esercitano attualmente. Inoltre, i programmi quadro dell’Unione, integrando le iniziative di cooperazione scientifica europea intergovernativa avviate sin dagli anni cinquanta, hanno contribuito significativamente al consolidamento delle capacità europee di ricerca. Le reti di collaborazione e le cooperazioni cui hanno portato (250000 rapporti di cooperazione transnazionali dal 1995 al 1999) hanno costituito un patrimonio di valore. Nel complesso, questi programmi quadro si sono solo aggiunti ai 15 programmi nazionali svolti indipendentemente gli uni dagli altri. Per svolgere un ruolo di “strutturazione” a favore della realizzazione dello “Spazio europeo della ricerca”, questi programmi devono collegarsi più strettamente con le azioni nazionali e le iniziative di cooperazione intergovernativa. Il progetto presuppone che si attribuisca tutto il valore necessario al principio di complementarietà delle azioni dell’Unione europea e degli Stati membri menzionato nel Trattato. 42 Nel documento si propongono una serie di orientamenti per le azioni future di sostegno alla ricerca dell’Unione, in particolare per gli anni 2002-2006. Sulla base del titolo XVIII del Trattato gli obiettivi della politica di ricerca e di sviluppo tecnologico da perseguire sono: rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell’industria della Comunità; favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale; promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie ai sensi della altre politiche dell’Unione. Nell’attuazione di queste azioni si deve tenere conto di tre dimensioni specifiche. Innanzitutto, la dimensione di coerenza globale della cooperazione scientifica e tecnologica europea: migliorare il coordinamento delle attività delle varie organizzazioni tra loro e con gli organismi dell’Unione e ricorrere in maniera più sistematica alle azioni congiunte e convergenti. In secondo luogo, la dimensione regionale. Le azioni svolte dall’Unione devono essere concepite in modo da favorire la massima valorizzazione della dinamica e del potenziale delle regioni mediante il collegamento in rete delle loro capacità e attività nel campo della ricerca, dell’innovazione e del trasferimento tecnologico e la giusta considerazione delle specificità territoriale, geografiche o economiche nella realizzazione delle attività di ricerca in Europa. Infine, la dimensione internazionale. Lo “Spazio europeo della ricerca”, pur mirando alla piena integrazione dei paesi candidati, costituisce una realtà aperta sul mondo. Per tenere conto di queste tre dimensioni è necessario adottare programmi di azioni comuni o complementari rispetto alle azioni avviate nei grandi settori dello “Spazio europeo della ricerca” e di quelle svolte da, rispettivamente: le strutture e le organizzazioni di cooperazione scientifica europea intergovernativa da un lato, di carattere generale 43 come la Fondazione europea della Scienza, COST e EUREKA, dall’altro di natura specialistica come l’ESA, l’EMBL, l’ESRF e il CERN31; i Fondi strutturali, le iniziative regionali e le azioni della Banca europea per gli investimenti; i programmi di assistenza economica e tecnica ai paesi d’Europa centrale e orientale e ai paesi terzi mediterranei, nonché gli altri strumenti finanziari della cooperazione internazionale. 31 ESA: Agenzia spaziale europea; EMBL: Laboratorio europeo di biologia molecolare; ESRF: European Synchroton Radiation Facility; CERN: Organizzazione europea per la ricerca nucleare 44 3.3. Analisi innovazione delle interrelazioni tra i sistemi di Dal succinto riassunto delle tappe storiche che hanno caratterizzato l’integrazione europea nel campo della ricerca risulta evidente che non si è ancora giunti se non in linea teorica a un sistema europeo di innovazione. L’obiettivo, tuttavia, va proprio in questa direzione. Malgrado il programma di mercato unico inaugurato nel 1987 abbia spinto verso un’armonizzazione e integrazione maggiore dei mercati degli Stati membri, persistono ancora forti differenze. Sia a livello di infrastrutture, dove i quattro Stati membri beneficiari del fondo di Coesione, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, non hanno ancora annullato il gap con gli altri Stati membri; sia come quantità e qualità delle risorse destinate a educazione, formazione, e ricerca e sviluppo. Questi elementi, sommati alla struttura industriale e ai rapporti che intercorrono tra i soggetti istituzionali e le organizzazioni private di ciascun Stato membro, hanno contribuito al mantenimento di significative differenze fra le economie dell’Unione. Ciascun tra i sistemi di innovazione nell’Unione si contraddistinguono per specializzazioni settoriali, diversi regolamenti e routine e vari sistemi istituzionali che ne determinano livelli differenti di performance. A questo proposito è utile presentare i risultati preliminari del secondo “Community Innovation Survey”, pubblicato nel 1999 da Eurostat, l’ente che elabora le statistiche a livello di Unione. Sulla base delle risposte di 33.700 imprese è risultato che Austria, Danimarca, Germania, Inghilterra, Olanda, e Svezia detengono la più alta percentuale di imprese innovative nell’industria manifatturiera. Secondo l’indagine, 45 un impresa è innovativa se negli ultimi tre anni ha introdotto nuovi prodotti, o nuovi processi. I settori con la più alta percentuale di innovazioni sono stati nei prodotti chimici, macchinari elettrici e ottici. Non sorprende che le grandi imprese siano risultate le più innovative. L’ottantuno per cento delle imprese con più di duecentocinquanta dipendenti, il cinquantanove per cento per le aziende medie e il quarantaquattro per cento di quelle piccole. In Germania e Irlanda il tessuto imprenditoriale è più equilibrato e lo scarto percentuale tra le grandi, medie e piccole imprese è meno marcato che altrove. Le differenze sono invece maggiori in Spagna, Lussemburgo e Finlandia. Risultati preliminari e dati parziali (non sono presenti tutti gli Stati membri) non permettono di utilizzare la ricerca per trarre conclusioni di carattere comparativo sulla propensione ad innovare dei sistemi nazionali. Tuttavia indicano chiaramente la non omogeneità del tessuto imprenditoriale degli Stati membri. Di conseguenza, risulta difficile formulare politiche sull’innovazione a livello di Unione che possano dare seguito con efficacia alle precipue caratteristiche degli Stati membri. Proprio per questo, però, diviene necessario un approccio di sistema. L’Unione europea deve delineare politiche rivolte all’innovazione senza sostituirsi agli Stati membri, ma coordinando gli sforzi dei governi nazionali. Lo sforzo delle istituzioni comunitarie nel creare le condizioni ideali per sostenere l’innovazione non ha ancora raggiunto nella realtà i risultati sperati. In alcuni casi i programmi sono stati attuati senza considerare la compatibilità con quelli già esistenti. È stato il caso del programma quadro - destinato a svolgere un ruolo di networking molto importante in Europa attraverso il principio di finanziare principalmente consorzi di ricerca plurinazionali 46 – che a volte ha finito per duplicare lo sforzo dei fondi strutturali in materia di ricerca e sviluppo tecnologico. Le dimensioni più importanti dei progetti di ricerca del Quinto programma quadro (7 partner per progetto in media) sono tese ad accentuare l’effetto di "mobilità virtuale" che stimola ed incoraggia la mobilità "reale" dei ricercatori. I 1.500 progetti di RST avviati fino al marzo 2000 (sul bilancio 1999) hanno così creato più di 36.000 legami di cooperazione, di cui più di 30.000 transnazionali. L’intento di rimuovere le barriere alla circolazione dei ricercatori, data dal carattere transfrontaliero del programma quadro, contrasta fortemente con l’assenza di una normativa sui brevetti a livello europeo. Fin dal 1997 la Commissione ha promosso attraverso la pubblicazione del Green Paper il dibattito per la realizzazione di un sistema europeo di protezione della proprietà intellettuale. Ad oggi, però, malgrado esista un ufficio europeo a Monaco di Baviera, mancano ancora gli accordi tra gli Stati membri per armonizzare la materia. A parte i differenti criteri di classificazione, la normativa nazionale di ciascun Stato membro rende il sistema economicamente svantaggioso. 32 Il Quinto Programma Quadro ha subito delle modifiche tese a orientare la ricerca verso l’innovazione: sono state ridotte le azioni e tra gli obiettivi chiave è stata inserita l’innovazione. Ciò che manca a livello europeo è una disciplina in campo finanziario che promuova strumenti finanziari - come il private equity - al sevizio delle imprese innovatrici. La Banca Europea per gli Investimenti e il Fondo Europeo per gli investimenti da soli non possono ottenere gli stessi risultati di una disciplina comune europea. Il venture capital, leva finanziaria dell’innovazione - deve liberarsi dei 32 Negli Stati membri ci sono considerevoli differenze nella disciplina dei brevetti. In alcuni Paesi, per esempio, la scoperta di un ricercatore non assegna a quest’ultimo la paternità del brevetto, bensì al centro di ricerca nel quale ha svolto le proprie ricerche 47 lacci imposti dalla normativa europea sulla concorrenza, che assegna un ruolo marginale se non nullo ai governi degli Stati membri nel private equity. Le varie organizzazioni comunitarie – strutture formali costituite consapevolmente - create dai policy makers durante il processo di integrazione hanno senza dubbio contribuito a far convergere gli sforzi innovativi degli Stati membri. Tuttavia, non si è ancora raggiunta a livello europeo quell’architettura istituzionale, definita da North come l’insieme di regole, leggi, norme e pratiche consolidate che regolano le relazioni e interazioni fra gli Stati membri nel campo dell’innovazione. L’importanza di una regolamentazione a livello comunitario e, quindi del ruolo delle istituzioni, è dimostrata dall’esempio di successo della telefonia mobile di seconda generazione. Il successo è stato ottenuto, innanzitutto, mediante l’incentivazione a sviluppare un solo standard, in secondo luogo, al momento della realizzazione della tecnologia, si è imposta la concorrenza tra i mercati degli Stati membri. 48 Conclusioni Come punto di partenza lo studio ha evidenziato il ruolo sempre più importante che l’innovazione occupa nell’economia moderna. Infatti, oggi più che mai i settori trainanti, che determinano la competitività internazionale e la crescita soprattutto dei Paesi avanzati, sono caratterizzati sempre più dall’alta tecnologia. Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione mediante le quali è avvenuta una notevole semplificazione e accelerazione della diffusione di informazione - hanno giocato il duplice ruolo di determinare, da una parte un’espansione economica trascinata dall’ Information and Communication Technology e, dall’altra la domanda di capitale umano di alta qualità soggetta a rapido cambiamento nell’interazione con le nuove tecnologie. Le dinamiche in atto hanno dato luogo a cambiamenti sia nel funzionamento dell’economia sia nei suoi schemi interpretativi. L’economia moderna viene così definita technology-driven, knowledge biased, laddove cioè l’informazione e la conoscenza diventano fattori principi dello sviluppo. Si osserva che sempre più è la conoscenza il maggior input e il principale output del processo produttivo. Negli ultimi anni, infatti, le imprese vedono l’innovazione come lo strumento chiave per aumentare profitti e quote di mercato e i governi si affidano ad essa quando cercano di migliorare l’economia. L’analisi economica ha analizzato ampiamente il ruolo del cambiamento tecnologico nella crescita. Le nuove teorie della crescita endogena hanno superato le manchevolezze di quella neoclassica, considerando l’innovazione non più come “manna dal cielo” ma interna al processo di crescita e 49 includendo importanti fattori come capitale umano e investimenti in R&S. Tuttavia, l’innovazione rimane un processo complesso dall’esito incerto contraddistinto dalla continua interazione tra molteplici soggetti e caratterizzato da apprendimento e conoscenza. Come sottolineato dalla trilogia di Schumpeter l’innovazione ha origine da un invenzione, applicata poi in un contesto di mercato a prodotti o processi e infine diffusa. È il risultato di una serie di relazioni e interazioni tra attori diversi, i quali vi contribuiscono in varia misura con diverse capacità e specializzazioni. Essendo, quindi, un fenomeno collettivo che avviene in un sistema dove l’insieme di componenti economiche e sociali tra loro interrelate contribuiscono a determinare il comportamento innovativo delle imprese, vi è la necessità di avere un approccio sistemico. Se il processo innovativo è caratterizzato dall’apprendimento e dalla conoscenza, alla cui base vi è la continua interazione dei soggetti, risulta evidente che le istituzioni possono influenzare in maniera significativa la dinamica innovativa. Per meglio cogliere tali aspetti si è scelto di utilizzare l’approccio dei sistemi di innovazione, che prende in considerazione tutti i fattori che formano e influenzano l’innovazione. In particolar modo sottolinea il ruolo delle istituzioni e delle politiche tecnologiche nel condizionare e promuovere l’attività innovativa delle imprese. La prospettiva sistemica, sicuramente lontana da una formalizzazione teorica, fornisce tuttavia un articolato insieme di categorie utilizzabili sia in termini di analisi “positiva” dei processi innovativi sia in chiave normativa. In particolar modo, essa contribuisce a rispondere alle questioni di cosa determini i vantaggi competitivi nazionali, aiuta a capire in quale modo e per quali motivi vi sia una varianza 50 tra paesi nella relazione fra impresa e struttura istituzionale e come tale varianza concorra a spiegare la diversità fra imprese, in termini di performance innovativa. Tale approccio si presta ad essere applicato all’analisi del contesto europeo. L’importanza dell’innovazione è stata sottolineata dal Consiglio europeo tenutosi a Lisbona nel marzo 2000. In risposta alle sfide della globalizzazione e della nuova economia fondata sulla conoscenza, il Consiglio europeo ha invocato un programma ambizioso per la creazione di infrastrutture per la conoscenza, la promozione dell’innovazione e della riforma economica, e la modernizzazione dei sistemi di assistenza sociale e d’istruzione. Va però sottolineato la mancanza di un insieme di regole, norme, leggi, e pratiche a livello europeo che definiscano i rapporti tra gli Stati membri e l’Unione nel campo dell’innovazione. Le varie organizzazioni create durante il processo d’integrazione, il titolo XVIII del Trattato che definisce gli obiettivi di ricerca e di sviluppo tecnologico dell’Unione e il programma quadro, non possono costituire un’architettura sufficiente per armonizzare e integrare le iniziative di 15 Stati membri nel campo dell’innovazione. Nell’Unione manca poi una normativa comune che disciplini la proprietà intellettuale e un sistema finanziario che incentivi l’attività innovativa delle imprese. L’iniziativa della Commissione di realizzare uno Spazio europeo della ricerca sembra allinearsi con quanto prescritto dall’approccio dei sistemi di innovazione. La sua ambizione è infatti creare le condizioni che consentano di incrementare l’impatto delle attività europee di ricerca, rafforzando la coerenza delle attività e delle politiche di ricerca svolte in Europa da ciascun Stato membro. L’obiettivo è di ottenere 51 gli stessi effetti di crescita conseguiti con la creazione del Mercato unico. L’Unione europea si trova a un bivio. Se la comunicazione della Commissione dovesse seguire ugual sorte rispetto alle iniziative precedenti delineate nel Libro Bianco e nel Libro Verde e mai realizzate, non solo non nascerebbe una sistema europeo di innovazione ma l’Unione si troverebbe svantaggiata rispetto agli altri concorrenti del mercato globale. 52 Arrivati alla fine di un percorso significativo come lo è stato per me l’ASERI, è spontaneo pensare a ciò che si è fatto. Come nei viaggi molti dei ricordi che custodiamo nella memoria sono episodi legati a persone. Mi piace immaginare la Scuola di specializzazione come un viaggio scandito da molteplici incontri. Sarei tentato a nominare tutti – compagni di corso, studenti del Master, i docenti e lo staff amministrativo - .che ho conosciuto durante l’ASERI:. La lista è lunga e forse risulterebbe spropositata rispetto alla presente trattazione. Mi limito allora a un…….. Grazie a tutti 53 Bibliografia Archibugi, Daniele, Michie, Jonathan. 1997. Technology, globalisation and economic performance. Cambridge, Cambridge University Press Archibugi, Daniele, Howells, Jeremy, Michie, Jonathan. 1999. Innovation policy in a global economy. Cambridge, Cambridge University Press Arrow, K., “The economic implications of learning by doing”, 1962, Review of Economic Studies 29(3), 155-73 Baldwin, Richard, “The growth effects of 1992”, in Economic Policy, October 1989 no. 9, pp.247-282 Blaas, Wolfgang, Foster, John. 1992. Mixed economies in Europe. Vienna, European Association for evolutionary political economy Caracostas, Paraskevas, Muldur, Ugur. 1997. Society, the endless frontier. Brussels, European Commission Chesnais, F. 1994, La mondialisation du capital, Paris, Syros Dasgupta, P., P. David. 1991. Resource allocation and the institutions of science. mimeo, CEPR, Stanford University Dyker, David. 1997. The technology of transition. 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