Sistemi di innovazione e dinamiche di integrazione europea

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Sistemi di innovazione e dinamiche di integrazione europea
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO
Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali
Sistemi di innovazione e dinamiche di integrazione
europea
Relatore: Ch.mo Prof. Roberto Zoboli
Tesi di specializzazione di
Nicola STRAZZARI
Matr. N. 2706330
Anno Accademico 1999-2000
INDICE
Introduzione
p. 1
1. L’INNOVAZIONE
1.1. Il nuovo paradigma dell’economia moderna
1.2. Economia della conoscenza e innovazione
1.3. L’innovazione nel pensiero economico
1.3.1. L’eredità di Schumpeter
1.4. Le teorie della crescita
p. 5
p. 8
p. 13
p. 14
p. 18
2. I SISTEMI DI INNOVAZIONE
2.1. L’approccio sistemico allo studio dell’innovazione
2.1.1.I principali autori dei sistemi di innovazione
2.2. Le principali caratteristiche dell’approccio sistemico
2.3. I sistemi di innovazione: tra nazionalismo e globalizzazione
p.22
p.24
p.26
p.31
3. DINAMICHE DI INTEGRAZIONE EUROPEA
3.1. Le tappe dell’integrazione europea nel campo
della scienza, tecnologia e ricerca
3.2. Il traguardo dello spazio europeo della ricerca
3.3. Analisi delle interrelazioni tra i sistemi di innovazione
p.34
p.41
p.45
CONCLUSIONI
p.49
BIBLIOGRAFIA
p. 54
Introduzione
L’interesse dimostrato dagli economisti nei confronti del
processo innovativo è stato alterno ma si è recentemente
consolidato intorno all’intuitiva osservazione di quanto esso
incida sull’economia. È quasi universalmente riconosciuto che
il cambiamento tecnologico ed organizzativo sono le più
importanti fonti della crescita e della produttività. I contributi
sono pertanto innumerevoli, va tuttavia osservato una certa
ambiguità nella definizione e concettualizzazione della stessa
attività innovativa.
Tali difficoltà nascono dai molteplici aspetti che
l’innovazione inevitabilmente tocca e dalle implicazioni che
ne conseguono. Da una parte le imprese, i settori e i sistemi
economici; dall’altra la conoscenza scientifica, la ricerca e
sviluppo, e le dinamiche dell’apprendimento; infine le
interazioni tra i soggetti economici e le istituzioni.
Inoltre, i processi attraverso i quali ha luogo
l’innovazione sono estremamente complessi: comportano non
solo lo sviluppo e la diffusione di elementi conoscitivi
(scientifici e tecnologici, per l’appunto) ma anche il
trasferimento e la diffusione di questi in nuovi prodotti e
processi produttivi.
Questa evoluzione non segue un andamento lineare dalla
ricerca di base a quella applicata fino all’implementazione dei
nuovi processi e prodotti; avviene nel tempo ed è influenzata
da molti fattori. A fronte di tale complessità le imprese non
innovano in condizioni di isolamento, bensì interagiscono con
altre organizzazioni per guadagnare, sviluppare, e scambiare
vari tipi di conoscenza e risorse utili ad innovare. Queste
organizzazioni possono essere altre imprese (fornitori, clienti,
o concorrenti) ma anche università, centri di ricerca, scuole e
ministeri.
Pertanto, gli assunti di questo saggio, sui quali
affrontiamo l’argomento, è che l’innovazione sia un processo
contraddistinto dalla continua interazione tra molteplici
soggetti e caratterizzato da apprendimento e conoscenza.
L’innovazione è il risultato di una serie di relazioni e
interazioni tra attori diversi, i quali vi contribuiscono in varia
misura con diverse capacità e specializzazioni. Essendo,
quindi, un fenomeno collettivo che avviene in un sistema, vi è
la necessità di avere un approccio sistemico al suo studio.
A fronte di tale complessità abbiamo consapevolmente
limitato il campo di indagine, scegliendo di trattare taluni
aspetti e non considerandone altri. Lo schema di seguito
riportato, vuole quindi visualizzare l’orientamento che si
intende qui adottare.
INNOVAZIONE
EDUCAZIONE
R&S
STRUTTURA
ISTITUZIONI
INDUSTRIALE
2
Col triangolo si vuole evidenziare che alla base
dell’innovazione ci sono le istituzioni e la struttura industriale,
dalla cui interazione ha luogo lo sviluppo di programmi di
R&S e di educazione che determinano l’output innovativo.
Intendiamo esaminare in particolare il ruolo delle
istituzioni e delle politiche tecnologiche nel condizionare e
promuovere l’attività innovativa delle imprese. Crediamo,
infatti, che tale attività sia influenzata dalle infrastrutture
economiche e sociali e dal contesto istituzionale in cui tale
imprese agiscono.
L’idea che l’insieme delle organizzazioni, delle istituzioni
e delle infrastrutture di supporto all’innovazione delle imprese
costituisca un sistema, e che tale sistema sia nazionale, è nata
negli anni ottanta. Il concetto di sistema innovativo è stato
utilizzato1 nel tentativo di spiegare alcuni fatti stilizzati che, in
quegli anni, hanno richiamato l’attenzione degli economisti e
dei policy makers, in particolare il grande recupero in termini
di livello di esportazioni e di sofisticatezza tecnologica di
alcuni paesi dell’Est asiatico, specialmente del Giappone.
A fronte di una storia economica ricca di esempi di ascesa
e declino economico di nazioni,2 vorremmo verificare - sulla
base delle linee guida di tale approccio - l’esistenza di un
sistema di innovazione a livello comunitario.
Nei capitoli che seguono si introduce il fenomeno
dell’innovazione, inserendolo nell’ambito delle nuove
dinamiche dell’informazione e della conoscenza che
contraddistinguono oggi la società economica. Si caratterizza i
sistemi di innovazione come approccio allo studio del
fenomeno. Infine si verifica l’esistenza di un sistema
1
Tale concetto è apparso per la prima volta in una pubblicazione
scientifica nel 1987 per mano di Freeman, il quale tuttavia attribuisce a
Lundvall l’invenzione del concetto
2
Oltre al Giappone, gli esempi di ascesa sono quelli della Corea del
sud e delle altre tigri asiatiche. Mentre per il declino, l’esempio più
illustre è quello dell’ex Unione Sovietica.
3
innovativo a livello comunitario attraverso l’analisi delle
tappe dell’integrazione europea che hanno portato alla recente
comunicazione della Commissione sulla realizzazione di uno
spazio europeo di ricerca.
4
1. L’INNOVAZIONE
1.1. Il nuovo paradigma dell’economia moderna
In questi giorni si stanno decidendo le sorti di Napster. Il
sito americano, che ha cambiato per sempre i contorni di
Internet, dell'industria musicale e la definizione di proprietà
intellettuale, è alla ribalta della cronaca perché citato in
giudizio da alcune case discografiche che ne pretendono la
chiusura e il risarcimento per i diritti d’autore violati.3
Napster rappresenta il paradigma di questa economia:
nasce dall’idea di un giovane ventenne che, sfruttando le
conoscenze informatiche acquisite alla facoltà di scienze
informatiche, sviluppa un programma grazie al quale
collegandosi al sito medesimo è possibile scaricare
gratuitamente musica da Internet sul proprio computer. La sua
crescita, misurata in termini di utenti, è fenomenale: in due
anni raccoglie un pubblico di cinquantasette milioni di iscritti.
Certo, il suo modello è discutibile; scaricare file musicali da
Internet è una minaccia sia per il concetto di copyright che per
quello di diritto d'autore. Tuttavia ciò che qui si vuole
sottolineare è la base del successo di Napster, ciò che gli ha
permesso di imporsi sul mercato: l’innovazione tecnologica.
Esempi più illustri di un recente passato sono Microsoft e
Intel. Quell’accoppiata di giganti, che attualmente domina
l’industria informatica mondiale con il programma di software
Windows e il microprocessore Pentium, nacque fuori dalla
grande industria informatica preesistente, rea di non essere
stata in grado di approfittare delle maggiori occasioni
3
Le vicende legali tuttavia, non hanno impedito a Napster di ricevere
un allettante offerta e siglare un accordo con una famosa multinazionale
del settore che ne vuole sfruttare il marchio e il servizio
5
innovative. E nella sfida di Internet la giovanissima CISCO ha
bruciato sul traguardo colossi del telefono come AT&T che
avevano
un’estimabile
patrimonio
di
conoscenze
tecnologiche.
Ciò che accomuna queste imprese e altre - indubbiamente
diverse per dimensioni, beni prodotti, capitalizzazione in
borsa e popolarità del marchio – ma tutte affermatisi in breve
tempo protagoniste nuove dell’economia, è la loro capacità di
innovare. Non è un caso che le imprese riportate provengano
dagli Stati Uniti, un Paese la cui ultima espansione economica
è dipesa in larga misura dalla sua capacità di favorire il
cambiamento, di accelerare i tempi dell’inevitabile
trasformazione ma anche di saperne guidare il cambiamento.
Proprio negli Stati Uniti si stima che siano 355.000 le
imprese che negli ultimi quattro anni hanno sempre registrato
tassi di crescita del fatturato annuale superiori al venti per
cento. Queste imprese – le cosiddette gazelles – hanno
generato il settanta per cento dei nuovi posti di lavoro creati
dall’economia tra il 1993 e il 1996. Molte operano nel settore
dell’Information and Communication Technology (ICT).
Secondo l’“Economist” un attento osservatore dei
fenomeni in atto nella nostra società “l’innovazione è
diventata la religione industriale della fine del XX secolo. Le
imprese la vedono come lo strumento chiave per aumentare
profitti e quote di mercato. I governi si affidano ad essa
quando cercano di migliorare l’economia. Nel mondo la
retorica dell’innovazione ha recentemente rimpiazzato quella
dell’economia del benessere, presente dal secondo
dopoguerra. È la nuova teologia che unisce sinistra e destra a
livello politico [...]. Ma cosa precisamente è l’innovazione è
difficile dirlo, ancora di più misurarlo”.4
4
“Economist”, 20 febbraio 1999, Survey of Innovation in Industry
6
L’affermazione dell’autorevole rivista inglese è soltanto
una tra le innumerevoli che in questi anni hanno sottolineato
la centralità che ricopre l’innovazione nelle economie
moderne. Negli ultimi anni, infatti, l’innovazione ha giocato
un ruolo sempre più rilevante per le imprese, per la loro
crescita, per la competitività delle nazioni, per lo sviluppo dei
paesi arretrati, per la nascita e il declino di settori e tecnologie.
Si pensi ad esempio al ruolo delle strategie di ricerca e
sviluppo (da qui in avanti R&S), alla rilevanza per le piccole
imprese dell’adozione di avanzate tecnologie informatiche o
di
nuovi
macchinari
che
incorporano
elettronica,
all’importanza dei settori ad alta tecnologia (come
l’elettronica o la farmaceutica) o di quelli basati sulla
biotecnologia (come l’alimentare) per la competitività
internazionale e la crescita dei paesi avanzati, ai problemi del
trasferimento di tecnologia e del suo assorbimento per i paesi
emergenti, alla nascita di nuove industrie come la
biotecnologia. L’innovazione ha insomma influito sul modo di
agire, competere e cooperare delle imprese e degli attori
economici.
7
1.2. Economia della conoscenza e innovazione
In un’economia moderna, soprattutto quella dei paesi
avanzati, che viene definita come technology-driven, e
knowledge biased, l’informazione e la conoscenza diventano
fattori principi dello sviluppo. Nella economia in cui viviamo,
si osserva che sempre più è la conoscenza il maggior input e il
principale output del processo produttivo. Parafrasando
Sraffa, possiamo dire che l’economia realizza la produzione di
conoscenza a mezzo di conoscenza.5
Nell’economia della conoscenza, caratterizzata cioè da
una domanda di capitale umano di alta qualità soggetta a
rapido cambiamento nell’interazione con le nuove tecnologie,
l’innovazione diventa asse portante per la crescita.6
Gli economisti hanno dedicato molti contributi allo studio
del mercato. Essendo la conoscenza il mercato di riferimento
dell’innovazione è necessario chiarire alcuni concetti prima di
procedere con l’analisi del processo innovativo.
Innanzitutto, è utile precisare che la conoscenza non è un
bene con caratteristiche analoghe a quelle dei beni economici
convenzionali e, in particolare, dei beni fisici per i quali esiste
una teoria economica più o meno assestata (ad esempio teoria
dei mercati, teorie della produzione) che potrebbe estendersi
naturalmente al bene economico “conoscenza”.
Il problema sorge perché la conoscenza è un bene con
caratteristiche diverse da quelle dei beni fisici (Arrow, 1994).
“A differenza dei beni materiali, la conoscenza ha
caratteristiche di un bene pubblico, cioè può essere utilizzata
5
Sraffa titola “La rivoluzione industriale ha avviato un processo di
crescita della produzione di merci a mezzo di merci”
6
Questa linea interpretativa emerge in particolare dai rapporti
dell’OECD su tecnologia, produttività e risorse umane (OECD 1996a e
1996b ) oltre che dai lavori nell’ambito del progetto TEP (Technology
Economy Programme), ma è stata fatta propria anche dalla Commissione
Europea (Caracostas e Muldur, 1997)
8
contemporaneamente da soggetti diversi (non rivalità e non
escludibilità della conoscenza); ha un alto costo fisso di
produzione e un basso costo marginale di riproduzione.
L’effetto forse più importante di queste proprietà particolari è
che i “mercati” della conoscenza, o gli stessi mercati della
tecnologia presentano imperfezioni notevoli, tali da renderli
inesistenti o da limitarne la dimensione e la crescita.
Arrow utilizza questo argomento per dimostrare che la
produzione di conoscenza/informazione rappresenta un caso
classico di market failure. La produzione e lo scambio di
conoscenze non possono avvenire attraverso i meccanismi
classici del mercato e, in generale, i soggetti economici
privati, tipicamente le imprese, hanno inadeguati incentivi
subottimali a produrre questo bene. Si delinea, pertanto,
l’esigenza di un ampio spettro di politiche pubbliche a
sostegno della produzione di nuove conoscenze scientifiche e
tecnologiche, nella forma di iniziative di intervento sui
processi di formazione di capitale umano, di finanziamenti
diretti, o attraverso la creazione di scarsità artificiali e di diritti
di proprietà.
Come sostiene lo stesso Arrow, il motivo principale per
cui è necessario un intervento pubblico a sostegno della
produzione di conoscenze è che, a causa della sua naturale
trasferibilità, non rivalità e non escludibilità, la conoscenza,
una volta creata, genera benefici che ricadono ben al di là dei
soggetti che hanno investito per produrla (spillover). Ma,
come è noto, in presenza di spillover il vantaggio marginale
privato del soggetto economico che effettua l’investimento è
inferiore a quello sociale. Per questa ragione, l’agente
economico investe meno di quanto farebbe un operatore,
come il sistema pubblico, che tiene conto dei vantaggi
complessivi dell’investimento in R&S o nella produzione di
conoscenze.
9
La conclusione di Arrow è dunque che lo sviluppo della
conoscenza all’interno dei sistemi economici deve fondarsi su
incentivi diversi da quelli di mercato e dalla massimizzazione
dei profitti. Sicuramente, i brevetti o i diritti di proprietà
intellettuale possono dare e, soprattutto in tempi recenti,
hanno dato, impulsi non trascurabili alla produzione di
conoscenza da parte delle imprese. Tuttavia, anche in
presenza di tali diritti, la bassa appropriabilità della
conoscenza non elimina completamente il mismatch tra
vantaggi sociali e benefici privati. Resta pertanto attuale la
considerazione di Arrow secondo cui, nelle moderne società
avanzate, buona parte della conoscenza è prodotta da
istituzioni diverse dalle imprese e, in particolare, dalla
comunità scientifica, che investe nella produzione di
conoscenza per motivi di prestigio e curiosità intellettuale e
non solo per realizzare rendite economiche. Ma proprio
perché non realizza rendite dalla produzione di conoscenza, la
comunità scientifica deve essere sostenuta attraverso
finanziamenti pubblici.
Arrow conclude che l’esistenza stessa di soggetti quali i
ricercatori universitari e gli scienziati in genere, le cui
motivazioni dipendono dalla ricerca di fama e prestigio
intellettuale, anziché solo dal denaro, costituisce di per sé un
“incidente” fortunato” (lucky accident) della storia.
La tesi di Nelson (1959) è simile a quella si Arrow. Anche
Nelson sottolinea come la bassa appropriabilità della
conoscenza spieghi perché le imprese private abbiano
incentivi subottimali a investire nella ricerca di base. Nelson,
tuttavia, esplicita le ragioni che fanno sì che, all’interno dei
sistemi industriali, gli investimenti in produzione di
conoscenza sono realizzati soprattutto da grandi imprese
diversificate. La conoscenza è, infatti, un bene impiegabile in
diversi settori di applicazione a valle. Pertanto, le grandi
imprese diversificate, che operano in molti settori, possono
10
fronteggiare meglio i livelli di incertezza associati alle attività
di ricerca di nuove conoscenze, distribuire meglio il costo
fisso associato a tali attività di ricerca e di nuove conoscenze,
distribuire meglio il costo fisso associato a tali attività e
internalizzare un volume più elevato di spillover prodotti
dall’investimento in conoscenza.
Recentemente, Dasgupta e David (1994) hanno ripreso
l’analisi di Nelson e Arrow sottolineando l’importanza di
studiare la natura e il comportamento delle istituzioni della
comunità scientifica. In questo senso, i due autori pongono
l’accento sul fatto che il carattere pubblico o privato della
scienza debba essere analizzato come prodotto del contesto
istituzionale e non solo come proprietà intrinseca della
conoscenza/informazione come bene economico.”7
Dasgupta e David sostengono che la produzione di
conoscenza scaturisce dalle attività di due tipi di soggetti e
istituzioni, con caratteristiche profondamente diverse,
distinguendo la comunità scientifica in senso stretto dalla
comunità dei “tecnologi”. Tale approfondimento procede
dalla considerazione secondo cui, a differenza di quanto
accade per i tecnologi, le radici della comunità della scienza
risalgono a ben prima dell’inizio dello sviluppo capitalistico.
Già nel rinascimento, gli scienziati avevano bisogno di
protezione, che cercavano presso patron in grado di sostenere
le attività. Proprio al fine di guadagnare visibilità in modo da
essere impegnati nelle corti dei re e dei principi, essi erano
chiamati a pubblicizzare le proprie abilità particolari. Ciò ha
dato vita a un modello di organizzazione della comunità
scientifica che incoraggia la diffusione dei risultati.
Le analisi e le ricostruzioni storiche di Dasgupta e David
risolvono, in questo senso, la contraddizione degli
investimenti in ricerca segnalata da Arrow e da Nelson e
7
Si veda in particolare Malerba, Franco, 2000, L’economia
dell’innovazione, Roma Carrocci
11
spiegano perché società fondate sul mercato possono
comunque avvantaggiarsi dei risultati di questi investimenti.
D’altro
canto,
Dasgupta
e
David
sottolineano
che,
contrariamente a quanto accade per la comunità degli
scienziati, la comunità dei tecnologi investe in ricerca per
appropriarsi delle rendite economiche degli investimenti. Ciò
ha implicazioni opposte sugli incentivi alla diffusione dei
risultati. Nel caso dei tecnologi, infatti, la diffusione dei
risultati scoraggerebbe le opportunità di beneficiare di rendite
economiche. Le imprese, pertanto, incoraggiano la segretezza
e l’appropriabilità della ricerca attraverso brevetti e altri
mezzi.
Ai giorni nostri, i governi sono i nuovi patron della
scienza. A partire soprattutto dal secondo dopoguerra, gli stati
nazionali hanno compreso l’importanza dei finanziamenti
pubblici alla ricerca, riconoscendo la contraddizione tra i
benefici di lungo periodo associati al modello della open
science e gli incentivi di breve periodo del sistema industriale.
Ma se il supporto pubblico alla ricerca dovesse ridursi, le
imprese potrebbero diventare i nuovi patron della scienza.
I contributi di Arrow e Nelson sul tema della conoscenza
e la distinzione tra scienza e tecnologia sottolineata da
Dasgupta e David, sono fondamentali a chiarire il contesto nel
quale l’innovazione ha luogo e a suffragare la scelta
dell’approccio usato in questo saggio.
12
1.3. L’innovazione nel pensiero economico
Il fenomeno innovativo non è esclusivo della presente
organizzazione economica. Si pensi alle innovazioni tessile e
all’introduzione
della
macchina
a
vapore,
seguita
dall’introduzione della ferrovia e dell’acciaio, per giungere
infine
alle
innovazioni
chimiche
e
alle
applicazioni
dell’elettricità e del motore a combustione interna. D’altro
canto fin dagli albori della storia del pensiero economico
l’innovazione è stata oggetto di studio. Nelle Ricchezza delle
Nazioni, pubblicato nel 1776, Adam Smith considera
l’innovazione da un punto di vista particolare. Egli si
concentra non sulla generazione di innovazioni, ma sulla
incorporazione del progresso tecnologico nei beni capitali e
sui suoi effetti sulla produttività del lavoro, sulla
specializzazione e sulla occupazione.
Come Smith, anche David Ricardo nel capitolo On
Machinery dei Principles of Political Economy (1817), è
principalmente interessato alle conseguenze del progresso
tecnologico ed al progresso tecnico incorporato. In Ricardo è
presente una chiara analisi dei meccanismi di natura endogena
(aumento della domanda come conseguenza della
diminuzione dei prezzi dovuta al progresso tecnico) ed
esogena (produzione di nuove macchine) attraverso i quali il
cambiamento tecnologico ha effetti sulla occupazione.
Marx invece enfatizza il ruolo chiave della tecnologia
nelle moderne economie. Innanzitutto per Marx le macchine
incorporano e codificano sempre più le varie fasi della
produzione. Inoltre, emerge un settore specializzato in
macchine, con un ciclo di vita nel quale esse passano da
inefficienti a standardizzate. In terzo luogo, Marx sottolinea
che l’innovazione è un processo sociale e non individuale: la
storia delle invenzioni non è solo la storia degli inventori, ma
deve essere inserita nell’esame delle relazioni e dei conflitti
13
che esistono tra gruppi e classi di soggetti economici. Infine,
esiste in Marx una discussione del ruolo degli incentivi nel
cambiamento tecnologico: lo stimolo ad innovare proviene
dalla pressione competitiva capitalistica e dall’ampiezza dei
mercati.
Fin da allora quindi era chiaro il significato economico
dell’innovazione. Secondo il pensiero dei suddetti economisti
l’innovazione incide sulla performance produttiva, sulla
competitività delle imprese, e sullo sviluppo inteso come
aumento dell’occupazione. In altre parole sulla crescita
economica.
1.3.1. L’eredità di Schumpeter
Il primo, però, che ha esaminato l’innovazione in modo
ampio e sistematico, segnando con il suo contributo
un’eredità per studi successi, è stato Joseph Schumpeter. Egli
ha fornito numerosi contributi rilevanti riguardanti
l’innovazione ed il mutamento tecnologico. Alcuni di questi
sono molto conosciuti e sono stati ampiamente analizzati e
discussi dalla letteratura economica; altri o sono meno
conosciuti, o sono stati sviluppati solo recentemente.8
Per l’economista austriaco l’innovazione consiste in
nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè
nell’introduzione di nuovi beni e/o di nuovi metodi di
produzione, nella creazione di nuove forme organizzative,
nell’apertura di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti
di approvvigionamento.9 L’innovazione non è altro che una
risposta creativa, che si verifica “ogniqualvolta l’economia o
8
Si veda, in particolare, L’eredità schumpeteriana in tema di
innovazione, in Filippini, Porta (1985)
9
Schumpeter, J.A., 1934, The Theory of Economic Development,
Lipzig, Duncker and Humboldt, English translation, Harrand
14
un settore, od alcune aziende di un settore danno qualcosa di
diverso, qualcosa che è al di fuori della pratica esistente”
(Schumpeter, 1967, p.68).
È noto che Schumpeter considera l’innovazione come la
determinante principale del mutamento industriale. Egli
distingue l’invenzione
dall’innovazione. L’invenzione
rimane qualcosa di puramente scientifico o tecnologico.
L’innovazione, invece, consiste nel “far qualcosa di nuovo
nel sistema economico, e non deriva necessariamente da una
invenzione.” Per Schumpeter, infatti, l’innovazione è
possibile
senza
una
invenzione
corrispondente.
L’innovazione origina un profitto, che è temporaneo. Esso
può perdurare nel tempo se l’attività innovativa dell’impresa
rimane sostenuta; in caso contrario, esso scompare in seguito
alla reazione delle altre imprese.
Nei suoi contributi Schumpeter non approfondisce tre
importanti aspetti del mutamento tecnologico: l’importanza
della scienza e della tecnologia nel determinare il tasso
innovativo di un settore, la continuità del mutamento
tecnologico e la rilevanza del processo di diffusione delle
innovazioni. Ciò che all’economista austriaco preme è
sottolineare la centralità dell’innovazione nella dinamica
economica, la discontinuità e la disarmonia del mutamento
industriale e l’importanza dell’imprenditore nel processo
innovativo. La centralità dell’innovazione nel suo schema di
dinamica economica porta Schumpeter a separarla nettamente
dall’invenzione. L’invenzione e lo sviluppo scientifico e
tecnologico sono considerati esogeni rispetto al sistema
economico; di conseguenza, non sono analizzati né l’effetto
che fattori economici e sociali hanno sullo sviluppo
scientifico e tecnologico, né l’influenza che quest’ultimo ha
sull’innovazione.
L’eredità schumpeteriana in tema di comprensione del
progresso tecnologico non consiste solo negli aspetti
15
accennati. Schumpeter infatti ha fornito ulteriori contributi
riguardanti le caratteristiche del processo innovativo: il
concetto di innovazione come evento ad esito incerto e di
imprenditore come di soggetto a razionalità limitata; il
raggruppamento delle innovazioni nel tempo ed i specifici
settori, e infine la distinzione delle imprese in nuove e
vecchie. Esaminiamoli brevemente.
Innanzitutto Schumpeter caratterizza l’innovazione come
un processo ad esito incerto. L’innovazione (cioè la reazione
creativa)
“ha
almeno
tre
caratteristiche
essenziali.
Innanzitutto, dal punto di vista dell’osservatore che possieda
tutti i fatti rilevanti, essa può essere compresa solo ex post,
mentre non lo può essere praticamente mai ex ante, vale a
dire che non può essere prevista applicando le regole
ordinarie di inferenza dai fatti preesistenti”(1967, p.68).
L’innovazione, cioè “la scelta di nuovi metodi, non è un
elemento insito nel concetto di attività economica razionale
né una cosa ovvia, ma un processo distinto che necessita una
particolare spiegazione” (1971, p.90, nota).
Durante il processo innovativo l’imprenditore ha una
razionalità limitata. L’imprenditore, infatti non può afferrare
esaurientemente tutti gli effetti e le ripercussioni dell’impresa
progettata.
Una terza caratteristica delle innovazioni riguarda il loro
raggruppamento nel tempo e in specifici settori. Secondo
Schumpeter “le innovazioni non rimangono eventi isolati e
non sono distribuite in modo uniforme nel tempo, ma
tendono al contrario ad ammassarsi, a sorgere in grappoli; le
innovazioni non sono in nessun momento distribuite
casualmente in tutto il sistema economico, ma tendono a
concentrarsi in certi settori e nei loro dintorni” (1977b,
p.128). Schumpeter afferma che gli stessi cicli economici
degli ultimi due secoli sono legati a numerose innovazioni
occorse in specifici settori. Tale posizione sottolinea quindi la
16
storicità e la irregolarità del fenomeno innovativo ed il suo
intensificarsi in settori di volta in volta differenti e legati alla
dinamica industriale.
Un quarto contributo schumpeteriano riguarda le imprese
e l’innovazione. Schumpeter analizzò la dinamica innovativa
di un’industria distinguendo non soltanto tra imprese di
piccole e di grandi dimensioni, ma pure tra imprese “giovani”
e imprese “vecchie”. Per Schumpeter l’età dell’impresa
riveste grande importanza nello spiegare il livello innovativo
e l’investimento nelle nuove tecnologie. Infatti (Schumpeter,
1977b, pp.121-2 e 124):
tutte le innovazioni sono incorporate in una nuova impresa fondata a
questo scopo. La maggior parte delle imprese nuove sorgono con
un’intenzione e per uno scopo preciso. Muoiono quando
quell’intenzione, o quello scopo, si sono realizzati o sono diventati
obsoleti, o hanno cessato di essere nuovi […]. Le innovazioni emergono
in primo luogo dalle imprese giovani e le imprese vecchie mostrano di
regola sintomi di ciò che eufemisticamente viene chiamato
conservatorismo.
Il contributo di Schumpeter allo studio dell’innovazione è
quindi notevole e complesso. Alcune tematiche, da lui
discusse diffusamente, ne hanno caratterizzato fortemente
l’opera: la distinzione tra invenzione e innovazione, il ruolo
dell’imprenditore e il profitto temporaneo risultante
dall’innovazione. L’analisi di Schumpeter risente però delle
finalità ultime di tutta la sua opera, che riguardano lo studio
della dinamica del sistema capitalistico e non
dell’innovazione in se stessa. Di conseguenza, in Schumpeter
si trova più una descrizione del processo innovativo e
un’analisi delle sue conseguenze sul sistema economico che
un esame delle sue determinanti.
17
1.4. Le teorie della crescita
Sebbene sin dalla nascita dell’economia come moderna
disciplina di studio la crescita e il ruolo del cambiamento
tecnologico abbiano costituito oggetto di analisi, è soltanto a
partire dal secondo dopoguerra - dopo un vuoto di oltre un
secolo - che analisi articolate su questa materia riprendono
vitalità. Fino agli anni ’80 l’approccio dominante è costituito
dalla teoria neoclassica secondo la quale gli input che
determinano il cambiamento della funzione di produzione - e
di conseguenza la crescita - sono capitale e lavoro. Alla
tecnologia è attribuito gran parte della crescita senza però
essere in grado di quantificarla (Solow, 1957).10 Sulla base di
questi studi si sviluppano modelli che mirano proprio a
misurare l’apporto di ciascun fattore produttivo senza però
dare stima precisa del cambiamento tecnologico (Denison,
1967; Maddison, 1987). La teoria neoclassica manca
nell’analisi delle determinanti dell’innovazione. Il contributo
della tecnologia alla crescita economica rimane indefinito,
essa infatti viene considerata esterna e indeterminabile:
“manna dal cielo”.
Alla teoria neoclassica sfuggono due punti sostanziali.
Innanzitutto una parte importante del cambiamento
tecnologico è incorporato nel capitale fisico e umano. Inoltre
ignora gli spillover associati al cambiamento tecnologico e
l’importanza di learning by doing e learning by using
(Arrow, 1962).
Le nuove teorie della crescita endogena cercano di
superare le manchevolezze di quella neoclassica; il
10
Alla fine degli anni cinquanta un famoso studio precursore di
Moses Abramovitz mostrava come la crescita di lungo periodo del
prodotto nazionale statunitense risultasse spiegata solo in minima parte,
circa il 15 per cento, dalla crescita dei fattori produttivi tradizionali
(capitale e lavoro). Il restante 85 per cento, il cosiddetto “residuo”, era
18
cambiamento tecnologico non viene più considerato come
manna dal cielo ma interno al processo di crescita. Importanti
fattori alla base dell’innovazione tecnologica – capitale
umano, investimenti in Ricerca e Sviluppo, le infrastrutture
per la ricerca – sono inclusi nel modello. Inoltre questo filone
di studi riconosce ritorni crescenti degli investimenti in
capitale umano, tecnologia e conoscenza.
Strettamente legata ai filoni di ricerca nati con le nuove
teorie della crescita endogena e ispirata dagli studi di
Schumpeter, si è sviluppata una nuova teoria economica
basata su modelli evolutivi (Nelson and Winter, 1982).
A partire dal lavoro seminale di Nelson e Winter, la
teoria evolutiva ha come elemento caratterizzante un forte
interesse alla dinamica ed ai processi. Essa focalizza
l’attenzione sulla conoscenza, 11 sui processi dinamici
collegati alla ricerca e all’innovazione e sull’impresa che
apprende, è depositaria di conoscenze e ha competenze
specifiche. La teoria evolutiva pone attenzione ai processi di
generazione di varietà a livello di tecnologie, prodotti,
comportamenti e organizzazioni, di selezione tra la varietà
esistente e di sviluppo di meccanismi inerziali (tecnologici,
comportamentali ed organizzativi) alla base della continuità
del sistema economico. Essa considera le imprese come
agenti eterogenei che apprendono ed agiscono in ambienti
incerti e in cambiamento.
La teoria evolutiva sostiene che l’innovazione ha luogo
in conseguenza ad asimmetrie informative e mercati
imperfetti. A dispetto dei neoclassici, che pongono attenzione
all’equilibrio del sistema economico, gli evolutivi sono più
spiegato da altri fattori, che Abramovitz stesso etichettò con
l’espressione “la misura della nostra ignoranza” (Abramovitz, 1956)
11
Il modello lineare è utilizzato più o meno esplicitamente in
numerosi modelli di innovazione tecnologica. Esso è caratterizzato da
una sequenza di fasi diverse. Il processo che conduce all’innovazione
19
interessati a situazioni del sistema economico al di fuori
dell’equilibrio, ai processi di innovazione ed alle dinamiche
ad essi associate. Le imprese sono fortemente legate ai
contesti storici settoriali, tecnologici ed istituzionali in cui
operano.
inizia con l’attività di ricerca base, prosegue con la ricerca applicata e
finisce con lo sviluppo, che conduce il nuovo artefatto.
20
Caratteristiche stilizzate dell’approccio neoclassico ed
evolutivo nell’esame dell’innovazione
Neoclassici
Evolutivi
Equilibrio
Non equilibrio
Statica e dinamica
Processo e dinamica
Tecnologia come
Informazione
Tecnologia come conoscenza
Apprendimento come
acquisizione di
informazioni e learning
by doing
Apprendimento come
accumulazione di
conoscenza, processo
multimensionale
Razionalità sostantiva e
Massimizzazione
Razionalità limitata e
comportamento
soddisfacente
Intervento pubblico trade-off
evolutivi, ruolo delle
istituzioni e dei sistemi
innovativi
Intervento pubblico:
fallimenti del mercato e
ruolo dei brevetti e dei
sussidi alla R-S
21
2. I SISTEMI DI INNOVAZIONE
2.1. L’approccio sistemico allo studio dell’innovazione
Nel contesto della scuola evolutiva12, si inserisce
l’approccio che considera l’innovazione un fenomeno
complesso dall’esito incerto caratterizzato da una continua
interazione tra molteplici soggetti. Nasce così l’idea di un
sistema, ossia di un insieme di componenti economiche e
sociali tra loro interrelate, che contribuisce a determinare il
comportamento innovativo delle imprese.
Questa tesi giustifica e avvalora un approccio sistemico
che prende in considerazione tutti i fattori che danno forma e
influenzano l’innovazione. L’approccio dei sistemi di
innovazione si propone proprio di descrivere, capire,
analizzare, spiegare – e forse influenzare – i processi
innovativi.
La prospettiva sistemica fornisce un articolato insieme di
categorie utilizzabili sia in termini di analisi “positiva” dei
processi innovativi e delle determinanti del successo
competitivo delle imprese, sia in chiave normativa.
Innanzitutto essa contribuisce a rispondere alle questioni di
cosa determini i vantaggi competitivi nazionali, perché essi
siano normalmente concentrati in un gruppo di settori e quali
siano i meccanismi di co-evoluzione fra lo sviluppo di
competenze all’interno delle imprese, la struttura
istituzionale e i sentieri nazionali di specializzazione.
12
Vedi Bart Verspagen, 9 January 2001, Economic growth and
technological change: an evolutionary interpretation, STI Working
Papers, OECD,
22
In particolare il contributo “positivo” più rilevante
riguarda lo sviluppo di una serie di concetti e metodologie
che aiuta a capire in quale modo e per quali motivi vi sia una
varianza tra paesi nella relazione fra impresa e struttura
istituzionale e come tale varianza concorra a spiegare la
diversità fra imprese, in termini di performance innovativa.
Non si tratta però di una teoria formale: non fornisce
chiare ipotesi sul comportamento di variabili, prevedendo
esiti a secondo delle relazioni tra gli input. Piuttosto formula
delle congetture, sottolineando con forza la necessità di
considerare vari fattori - in primo luogo le istituzioni e
l’apprendimento
come
importanti
determinanti
dell’innovazione tecnologica. Di conseguenza, mancando di
un sufficiente grado di astrazione e, viceversa, assegnando a
fattori endogeni tipici di ciascun sistema economico
nazionale le determinanti dell’innovazione, non ha, allo
stato dell’arte, un valore teorizzante.13
Rimane, quindi, una struttura concettuale o un approccio
- come fin qui è stato definito – che non è approdato ancora
a un insieme coerente di concetti e metodologie anche se
gran parte degli autori fanno riferimento esplicitamente o
implicitamente alle teorie evolutive. Tuttavia, ha avuto una
diffusione sorprendentemente veloce nei circoli accademici;
inoltre, ha suscitato un certo interesse da parte dei governi
nazionali e delle organizzazioni internazionali come OCSE e
Unione Europea nell’analisi e nella formulazione di politiche
rivolte all’innovazione.
13
Vedi Charles Edquist, 1997, Systems of Innovation Technologies,
Institutions and Organizations, p.28,29
23
2.1.1.I principali autori dei sistemi di innovazione
Chris Freeman è stato il primo ad usare l’espressione
sistemi nazionale di innovazione nel suo libro del 1987 sulle
politiche tecnologiche e la performance economica del
Giappone. Egli, studiando il sistema giapponese, sottolinea
le specificità nazionali di un sistema che trova nello stretto
rapporto fra il ministero del Commercio internazionale e
dell’Industria (MITI) e le imprese il suo punto di forza.
Gli altri autori di riferimento nella letteratura sono
Richard Nelson e Bengt Ake Lundvall.14 I due libri da loro
pubblicati nei primi anni ‘90 costituiscono i testi
fondamentali di questo approccio. Il libro di Nelson,
“National Systems of Innovation: A Comparative Study” del
1993 raccoglie dei case studies sui sistemi di innovazione di
quindici paesi, scritti in maggior parte da autori residenti in
questi paesi. Scopo del libro è di descrivere e comprendere i
sistemi nazionali piuttosto che teorizzare e poi calibrare la
teoria sull’evidenza empirica.
Il libro di Lundvall invece ha un orientamento diverso da
quello di Nelson, ma è complementare. Come indicato dal
titolo “National Systems of Innovation: Towards a Theory of
Innnovation and Interactive Learning” ha un approccio
teorico corroborato da un’analisi empirica basata su un
paese, la Danimarca. L’opera vuole dimostrare la necessità
di sviluppare una valida alternativa alla consolidata
tradizione neoclassica, incentrando il focus dell’analisi sui
processi interattivi dell’apprendimento e dell’innovazione.
14
Il primo tentativo sistemico basato sui sistemi di innovazione
nazionale è da attribuirsi a Friedrich List (1841/1859). Il suo contributo
risulta interessante anche perché nasce in aperta contrapposizione ad
Adam Smith e ad altri economisti a lui contemporanei. List distingue tra
l’approccio cosmopolita di Smith incentrato sullo scambio e
24
Il concetto di sistema innovativo nazionale è stato spesso
usato con accezioni diverse. Carlsson, per esempio, sostiene
che ad ogni settore tecnologico appartiene un sistema con
caratteristiche uniche. Il suo approccio è quindi settoriale.15
Nel libro del 1987 Freeman lo definisce “come una rete di
istituzioni nel settore pubblico e privato le cui attività e
interazioni introducono, importano, modificano e diffondono
le nuove tecnologie.”
Egli si concentra su 4 elementi:
1. Il ruolo del ministero del Commercio internazionale e
dell’Industria (MITI)
2. Il ruolo della Ricerca & Sviluppo interna alle imprese
alle imprese
3. Il ruolo della formazione e della struttura industriale
giapponese
4. Il ruolo dei gruppi e delle conglomerate.
Anche Nelson (1993) fa riferimento soprattutto alle
organizzazioni che, intenzionalmente o no, promuovono
l’attività innovativa delle imprese. Lundvall invece utilizza
un’accezione più ampia, includendo non solo le
organizzazioni coinvolte nel processo innovativo, ma anche
tutti gli aspetti della struttura istituzionale che influenzano
l’apprendimento e la ricerca della novità. Vi è inoltre
mancanza di accordo sul ruolo dei policy makers nella
determinazione dei sistemi di innovazione. A questo
proposito Nelson sostiene che non si può assegnare loro il
ruolo di costituire i sistemi di innovazione.16 Lundvall
l’allocazione, e la sua prospettiva che sottolinea lo sviluppo delle forze
produttive
15
A fianco di Carlsson altri autori come Malerba e Orsenigo hanno
evidenziato che il processo innovativo e le tipologie sistemiche di tale
processo dipendono dal settore industriale che si prende in
considerazione
16
Edquist, autore di Systems of Innovation Technologies, Institutions
and Organizations, (1997) nel quale illustra una completa rassegna dei
25
invece afferma che non si possono determinare dei rigidi
confini del sistema innovativo: la definizione di un sistema
di innovazione deve restare flessibile e aperta così da
accogliere di volta in volta sottosistemi, processi ed altri
fattori che influenzano lo sviluppo e la diffusione delle
innovazioni. L’autore svedese sostiene altresì che le
istituzioni e la struttura industriale sono gli elementi più
importanti che definiscono i sistemi di innovazione.
2.2. Le principali caratteristiche dell’approccio sistemico
Tutte le versioni di questo approccio pongono
l’innovazione al centro dell’analisi. E attribuiscono ai
molteplici processi di apprendimento gli elementi
fondamentali all’innovazione.
In contrapposizione all’ approccio tradizionale adottato
dall’OCSE, che si limita ad attribuire alla Ricerca &
Sviluppo l’unica risorsa del cambiamento tecnologico, i
sistemi di innovazione evidenziano il contributo delle attività
esterne alla Ricerca & Sviluppo allo sviluppo tecnologico.17
contributi della letteratura dell’innovazione, sostiene che alcuni elementi
dei sistemi di innovazione sono frutto dell’intervento dei policy makers a
livello del governo; altri, invece, si sviluppano spontaneamente nell’arco
del tempo.
17
Le spese per la Ricerca & Sviluppo sono considerati tra i principali
indicatori di innovazione. A fianco di questi i brevetti sono comunemente
considerati un indicatore di output innovativo, anche se verifiche
econometriche hanno mostrato una contemporaneità tra Ricerca &
Sviluppo e brevetti, indicando la possibilità che il brevetto possa essere
richiesto assai presto nel processo innovativo. In questa accezione, i
brevetti possono rappresentare un indicatore di output inventivo, e non
necessariamente di innovazione in quanto numerosi brevetti non si
tramutano in successo commerciale. Altri indicatori forniscono
informazioni complementari rispetto alla Ricerca & Sviluppo ed ai
26
Vale a dire learning by doing (processo di miglioramento
dell’efficienza di produzione attraverso il lavoro)18, learning
by using (aumento dell’efficienza dell’utilizzo di sistemi
complessi)19 e learning by interacting (miglioramento
attraverso l’interazione di produttori e consumatori). 20
Si tratta di processi di apprendimento che coinvolgono
molti soggetti e attori impegnati nelle varie attività
economiche. Le tecnologie, infatti, non sono solo sviluppate
ma anche prodotte, diffuse e usate. Tutti questi aspetti
sfuggono all’approccio che si limita a considerare la Ricerca
& Sviluppo come l’unico input dell’innovazione. I sistemi di
innovazione vanno oltre questo schema e includono non solo
i fattori economici che influenzano l’innovazione ma anche
fattori istituzionali, sociali, e politici. In questo senso si tratta
di un approccio interdisciplinare.21
L’approccio dei sistemi di innovazione mantiene una
prospettiva dinamica dato che l’innovazione rappresenta
l’elemento di movimento e di disequilibrio del sistema
economico. Di conseguenza non si può definire un ottimo e
non esiste un sistema ideale al quale fare riferimento.
L’approccio è quindi comparativo: paragonando i diversi
sistemi è possibile sottolineare e spiegare le differenze.
Le innovazioni non sono determinate solo dagli elementi
che costituiscono il sistema ma anche e soprattutto dalle
brevetti. Pubblicazioni e citazioni scientifiche forniscono un’indicazione
dell’output scientifico di un paese o di una istituzione.
18
Vedi Kenneth Arrow, 1962, “The Economic implications of
learning by doing”, Review of Economic Studies, 29 (80), 155-73
19
Vedi Rosenberg, N., (1982) Inside the black box: technology and
economics. Cambridge:Cambridge University Press
20
Lundvall, B.-A (1988) Innovation as an Interactive process: from
user-producer interaction to the national system of innovation. In G.Dosi
et al. (eds)
21
Fabrizio Guelpa e Stefania Trenti in “Human capital and the
competitiveness of the Italian industry”, (2001) sottolineano
l’impossibilità di misurare l’attività innovative delle PMI italiane
utilizzando indicatori tradizionali della ricerca & sviluppo
27
relazioni che intercorrono tra gli stessi elementi. Per
esempio, la performance di lungo periodo delle imprese che
operano nei settori ad alto contenuto di R&S dipende in gran
parte dall’interazione con le università. Queste relazioni
sono complesse e non sono affatto caratterizzate da processi
causali e lineari.
Sottolineare la non linearità e
l’interdipendenza dei
rapporti che caratterizzano gli elementi dei sistemi di
innovazione, significa considerare la domanda come una
delle determinanti dell’innovazione. Lundvall introduce
questo concetto quando evidenzia l’importanza della
relazione tra le imprese produttrici e quelle fornitrici.
Porter esplicita la tesi di Lundvall individuando nella
qualità della domanda del mercato la spinta ad innovare
delle imprese. Includendo la domanda tra le determinanti
dell’innovazione si allarga lo spettro degli interventi utili a
sostenere la stessa. È così possibile intervenire non solo sul
lato dell’offerta, con i tipici strumenti dei sussidi alla Ricerca
& Sviluppo, ma anche dal lato della domanda, attraverso
leggi, tasse, regolamenti che contribuiscono a favorire la
diffusione di tecnologie.22
Lo scarto temporale che intercorre tra lo sviluppo di una
tecnologia, la sua applicazione a fini economici e la sua
diffusione è spesso lungo. Oltre a ciò, come si è detto in
precedenza, l’innovazione è caratterizzata dalla continua
interazione di molteplici soggetti, un processo dinamico e
cumulativo nel quale ogni singolo evento incide sul
successivo. È quindi necessario adottare una prospettiva
storica per essere in grado di catturare questi processi.
Sebbene non ci sia uniformità nel definire l’innovazione,
se l’obiettivo dell’analisi è capire gli effetti dell’innovazione
sulla crescita e sull’occupazione, diventa necessario
22
Vedi Porter, M.E., 1990, The Competitive Advantage of Nations.
London, Macmillian
28
considerare non solo le innovazioni a livello di prodotti ma
anche e soprattutto quelle introdotte a livello organizzativo
nei processi produttivi.
Una delle caratteristiche principali che i sistemi di
innovazione hanno in comune è l’enfasi sul ruolo delle
istituzioni. Freeman si riferisce nella sua definizione alla rete
delle istituzioni. Per Lundvall la struttura istituzionale è la
seconda
dimensione
più
importante
del
sistema
di
innovazione. Nelson sottolinea le istituzioni e i meccanismi
che sostengono le innovazioni tecnologiche. È pertanto una
forza dei sistemi di innovazione che le istituzioni siano
centrali in tutte le versioni. Tuttavia, è una debolezza
dell’approccio che i vari autori non attribuiscano lo stesso
significato al termine istituzione.
Il termine istituzioni sembra essere usato con due
significati diversi: regole, norme, leggi che influenzano il
comportamento, e strutture formalizzate con uno scopo
specifico. Spesso non si precisa quale significato gli si
attribuisce, rischiando così di comprendere entrambi. A
questo punto, includendo tutti questi fattori, le istituzioni
diventano per forza importanti.
Vi è la tendenza, frutto dell’osservazione empirica, a
considerare come istituzioni le università, i centri di ricerca,
gli istituti tecnici, ed altri enti che portano avanti l’attività
innovativa. Si confondono, quindi, le regole con i giocatori.
Chiariamo allora l’accezione utilizzata nel presente studio.
Le istituzioni sono quell’insieme di regole, leggi, norme
e pratiche consolidate che regolano le relazioni e interazioni
fra individui e gruppi. Le organizzazioni, invece, sono
strutture formali costituite consapevolmente con un compito
preciso. Secondo North, le organizzazioni sono sì formate
dalla struttura istituzionale ma, allo stesso tempo, sono il
veicolo di cambiamento: i giocatori seguono le regole ma
29
inevitabilmente
le
influenzano.23
Nell’ambito
dell’innovazione le imprese, le università, i centri di ricerca
sono considerati organizzazioni dato che sono importanti
motori del cambiamento tecnologico.
Se
il
processo
innovativo
è
caratterizzato
dall’apprendimento e dalla conoscenza, alla cui base vi è la
continua interazione dei soggetti, risulta evidente che le
istituzioni possono influenzare in maniera significativa la
dinamica innovativa. Il rapporto tra istituzioni e innovazione
è onnicomprensivo e si instaura a molti livelli. Esiste a
livello delle imprese, dove le istituzioni influenzano la
relazione tra R&S, produzione e marketing. Esiste a livello
del mercato tra le stesse imprese e i consumatori.
In generale le funzioni che svolgono le istituzioni sono:
ridurre l’incertezza, mediante la diffusione di informazioni;
gestire conflitti e cooperazione; fornire incentivi. Le
istituzioni sono necessarie per limitare l’alto livello di
incertezza insito nell’attività innovativa. Innanzitutto il
grado di incertezza può essere ridotto attraverso delle chiare
leggi che regolano le concessioni dei brevetti e tutelano la
proprietà intellettuale. Inoltre, avendo l’attività innovativa un
alto costo è necessario che vi sia una disciplina finanziaria
che metta a disposizione dei soggetti coinvolti agevolazioni
per l’attività innovativa e un sistema bancario che non
penalizzi l’iniziativa imprenditoriale.
23
North, Douglass C., 1994, Istituzioni, cambiamento istituzionale,
evoluzione dell’economia, Bologna, Il Mulino
30
2.3. I sistemi di innovazione: tra nazionalismo e
globalizzazione
Il processo di globalizzazione sembra, in apparenza,
indebolire la coerenza e l’importanza di un approccio che
evidenzia il ruolo delle specificità nazionali o locali nella
produzione di innovazioni. Tanto più che le tecnologie –
come d’altra parte la conoscenza - hanno sempre avuto una
natura internazionale, andando oltre i confini nazionali. In
effetti è stata proprio l’ampia diffusione delle tecnologie
informatiche, delle telecomunicazioni e dei computer a
sostenere l’aumento e l’intensificarsi delle relazioni su scala
mondiale. Si osserva così un processo secondo il quale la
tecnologia è veicolo della diffusione delle informazioni e
della conoscenza attraverso i confini, e allo stesso tempo, il
suo
sviluppo
è
stimolato
dall’apertura
e
internazionalizzazione dei mercati.
L’importanza relativa delle forze nazionali e (passatemi il
termine) globali è stata, e continua ad essere, l’oggetto di
una vasta letteratura. Alcuni autori sostengono che gli attuali
processi di globalizzazione stanno erodendo il peso delle
nazioni nel guidare il cambiamento tecnologico.24 Altri,
invece, ritengono che le stesse dinamiche hanno reso i
sistemi di innovazione sempre più importanti nel sostenere e
stimolare i processi di innovazione.25
Il caso delle imprese multinazionali (IMN), che svolgono
un ruolo importante nell’avanzamento delle conoscenze
tecnologiche attraverso i propri dipartimenti di Ricerca &
Sviluppo - e che per definizione difficilmente si limitano a
produrre e a vendere semplicemente su scala nazionale aiuta a capire l’apparente contraddizione.
24
Chesnais, F. 1994, La mondialisation du capital, Paris, Syros
Patel, P. e Pavitt, K. 1991. Large firms in the production of the
world’s technology: an important case of “non-globalisation”, Journal
of International Business Studies, 22: 1-21
25
31
A partire dagli anni ottanta e novanta la forte crescita
degli investimenti diretti esteri (IDE) nei paesi OCSE
suggerisce che le IMN hanno svolto un ruolo di importanza
sempre crescente nelle relazioni economiche internazionali.
Accanto alla crescita degli IDE si è manifestata anche
un’accelerazione nei processi di fusione fra imprese e di
acquisizione internazionale.
Le cause di tale fenomeno sono molteplici e coinvolgono
la maggior parte dei settori economici. In primo luogo vi è
l’aumentato grado di deregolamentazione dei mercati
finanziari, il buon andamento delle borse e, con riferimento
all’Europa, la progressiva integrazione economica e
monetaria (OCSE 1992, p.215). Gli IDE, le acquisizioni e le
fusioni internazionali accrescono il grado di concentrazione
del capitale (Chesnais, 1992, p.283). A tale proposito si può
osservare che la quota del prodotto mondiale totale delle
prime dieci imprese è maggiore del 60% nei seguenti settori:
computer, telecomunicazioni, semiconduttori, automobili,
attrezzature mediche, petrolchimica e infine anche nei
servizi di consulenza di management strategico.
Se i processi di globalizzazione e concentrazione di
capitale riguardano i settori ad alta intensità di Ricerca &
Sviluppo, allora ci si può aspettare che la ricerca sia sempre
di più sviluppata a livello internazionale. In realtà la
tendenza alla globalizzazione nella produzione di tecnologia,
come sottolinea Patel, non è corroborata dai fatti. Patel
evidenzia che le attività innovative tendono ad essere
localizzate vicino all’impresa madre. Gli incentivi a
delocalizzare l’attività di ricerca emergono solo in quei
prodotti con domanda differenziata fra paesi (alimentazione,
bevande), o in presenza di industrie particolarmente
regolamentate (costruzioni e farmaceutica), oppure di settori
basati su specifiche risorse naturali (alimentazione, settori
connessi all’industria estrattiva). L’evidenza empirica
32
prodotta da Patel tende a confermare la rilevanza dei sistemi
di innovazione e della concentrazione geografica dell’attività
innovativa nei settori ad alta tecnologia.26
26
Per un’analisi più approfondita sul ruolo dell’innovazione
nell’economia globale si veda Daniele Archibugi, Jeremy Howells, e
Jonathan Michie, 1999, Innovation Policy in a global economy,
Cambridge,Cambridge University Press
33
3. DINAMICHE
EUROPEA
DI
INTEGRAZIONE
3.2. Le tappe dell’integrazione europea nel campo della
scienza, tecnologia e ricerca
La ricerca e la cooperazione tecnologica sono stati
elementi fondanti del processo di integrazione europea. Sin
dai primi anni cinquanta era chiaro agli Stati membri, visto il
costo e la complessità della ricerca e sviluppo e delle
infrastrutture per sostenerla, la necessità di unire gli sforzi
nazionali e collaborare in questo campo. L’obiettivo,
naturalmente, era rivolto a riacquistare i livelli di crescita
precedenti la guerra.
Nel 1949, in seguito al Congresso di Hague, si istituì il
Consiglio d’Europa allo scopo di incoraggiare la
cooperazione tra gli Stati membri in campo legale, sociale,
amministrativo e scientifico.
Molto del merito di aver incluso la scienza nella sfera
delle materie di interesse europeo, va attribuito ai francesi
Dautry e Auger, e all’italiano Annali; importanti dirigenti
nel campo scientifico che mediante la loro influenza misero
le basi per una cooperazione scientifica a livello europeo.
Nacque così nel 1953 il CERN, Centro europeo per la
ricerca nucleare, tuttora esistente e che collabora con altri 19
Paesi.
L’incertezza dei primi tentavi di cooperazione europea
svanì con le prime due tappe che hanno strutturato il
processo di integrazione. Nel 1952 si istituì la Comunità
dell’Acciaio e del Carbone, nata principalmente con lo scopo
di integrare e armonizzare le risorse naturali a livello
34
europeo ma che presentava anche un obiettivo di ricerca e
sviluppo definito dall’articolo 16 del trattato di Roma.
Nel 1956 con l’EURATOM, strumento di politica
energetica, si formalizzò in una organizzazione la ricerca
tecnica e scientifica nel campo nucleare. A tal proposito, è
utile ricordare che alla fine degli anni cinquanta, l’energia
nucleare era percepita - allo stesso modo di come sono oggi
percepite le Information and Communication Technologies la base della rivoluzione industriale. Grazie al forte appoggio
dell’Inghilterra27 da una parte, e della Germania dall’altra –
interessata per ovvi motivi ad un’integrazione più stretta – si
maturò un chiaro impegno per la ricerca e lo sviluppo a
livello europeo che, tuttavia, finì per mancare di obiettivi
ben delineati e di massa critica.
Anche gli Stati Uniti contribuirono all’impeto iniziale,
trasferendo tecnologia. EURATOM, invece, non produsse
risultati concreti. Il settanta per cento dei fondi era occupato
dai contratti di associazione che permettevano agli Stati non
membri e ai centri di ricerca esterni di partecipare ai
programmi di ricerca e sviluppo, lasciando così poco spazio
allo sviluppo di conoscenza e tecnologia a favore degli Stati
membri.
Come è spesso accaduto il processo di integrazione ha
vissuto alterne vicende, seguendo gli umori europeistici degli
Stati membri. Ogni qualvolta sono stati toccati gli interessi
vitali degli Stati membri, l’evoluzione comunitaria ha subito
una battuta di arresto. Uguale sorte ha avuto la cooperazione
in ambito di ricerca. Il ritorno al potere in Francia del
generale De Gaulle nel 1958, che intraprese un programma
strategico di acquisizione di capacità nucleare, ridusse
notevolmente le potenziali di sviluppo dell’EURATOM. Da
27
Il politico che più di ogni altro si espresse in favore di una politica
nucleare comune in Europa rivolta a scopi pacifici fu Eisenhower.
Celebre, a questo proposito, fu la sua dichiarazione “Atoms for Peace”.
35
allora l’organizzazione per la ricerca nucleare non ha più
recuperato lo slancio iniziale.
I problemi legati al deficit tecnologico erano ampiamente
noti ai policy makers; così come la necessità di aprire a
livello europeo programmi di ricerca e sviluppo tecnologico
volti ad acquisire tecnologia, e ridurre la fuga dei cervelli.
Ciononostante, nella prima metà degli anni sessanta non si
svilupparono grandi progetti in campo scientifico, se non
isolate iniziative come la nascita della Fondazione delle
Scienze europee o altre tese a colmare i fallimenti della
Comunità.28
In un tentativo di periodizzare l’integrazione europea nel
campo della ricerca, si possono delineare tre fasi. La prima
fase (1957-1967) della costituzione di una struttura
istituzionale comunitaria a sostegno della ricerca è
caratterizzata da un approccio fortemente federale. In teoria,
il trattato EURATOM definiva il ruolo di una commissione
sovranazionale (antenato dell’attuale Commissione europea)
come organo coordinatore al quale ciascun programma
nazionale doveva fare riferimento, creando così una
divisione di lavoro e di competenze a livello comunitario.
Dopo due programmi di ricerca però, i conflitti tra francesi e
tedeschi resero impossibile la prosecuzione dei programmi
comuni di ricerca.29
L’impasse fu superata nel 1969 quando le proposte del
francese Pierre Aigrain si concretizzarono nella nascita del
“Committee of European Cooperation in the field of
scientific and technical research” (COST). Un programma di
ricerca à la carte – risultato della tensione tra l’approccio
28
La NATO, dietro la spinta del premier inglese Harold Wilson, nel
1966 propose la creazione di una Comunità Tecnologica europea
29
Nello sviluppo di un reattore, il campo dagli effetti più promettenti,
la Germania era contraria a sussidi sopranazionali che distorcessero il
mercato; la Francia, invece, era contraria a sussidi che favorissero la
tecnologia degli Stati Uniti
36
Comunitario di integrazione e quello intergovernativo di
interdipendenza, che coinvolse da una parte gli Stati membri
e dall’altra Stati non membri, parzialmente inquadrato nel
sistema comunitario.
La seconda fase (1967-79) si può definire di crisi e
transizione. Tuttavia, è in questo periodo che si possono
rintracciare gli elementi costitutivi della futura struttura
istituzionale europea nel campo della ricerca. Infatti, il
nucleo centrale della politica comunitaria nasce nel 1974 con
la decisione di creare il “Committee for Co-ordination of
Scientific and Technological Research (CREST) incaricato
di promuovere progetti di interesse comunitario.
Fu il commissario Davignon, nei primi anni ottanta, a
capire l’importanza di indirizzare le iniziative europee verso
i bisogni dell’industria. In quegli anni, infatti, l’Europa
occupava solo il dieci per cento del mercato mondiale
dell’Information technology e il quaranta per cento di quello
comunitario. In primo luogo, per far fronte alla perdita di
competitività dell’Europa, il Commissario promosse la
nascita di un gruppo di interesse di industriale nei settori
dell’informatica,
elettronica
e
telecomunicazioni.
L’iniziativa, nata per promuovere il confronto con i governi
nazionali, si formalizzò nel 1982 nel “European Strategic
Program for Research and Development in Information
Technology” (ESPRIT).
Questo programma, a dispetto delle critiche sugli effettivi
risultati raggiunti, ha avuto un ruolo importante per i
successivi programmi europei nel campo della ricerca e dello
sviluppo. In particolar modo, il sistema di condivisione dei
costi nella collaborazione tra imprese, università e istituti di
ricerca provenienti da almeno due Stati membri ha costituito
un modello di riferimento.
Nel 1983, in seguito ad una proposta della Commissione,
il Consiglio dei ministri della ricerca decise di accorpare
37
tutte le attività di ricerca e sviluppo portate avanti a livello
europeo in un unico sistema pianificatore, “il programma
quadro”. Il Primo Programma Quadro (1984-87) risultò
essere un’organizzazione innovativa ad hoc senza una base
legale. Per assicurare la compatibilità delle nuove istituzioni
europee nel campo della ricerca con le norme precedenti che
regolavano la concorrenza, si sviluppò la nozione di precompetitività.30
Nel terzo periodo (1980- ) si assiste quindi ad un intensa
fase di costruzione delle istituzioni che culmina con la
revisione dei trattati nelle tre storiche tappe del 1986, 1992 e
1997.
L’Atto Unico ha formalizzato le regole che governano
l’attività di ricerca e sviluppo a livello europeo. In primo
luogo ha definito come obiettivo la competitività industriale.
Ha stabilito quattro tipi di azioni comuni: ricerca e sviluppo,
cooperazione internazionale, diffusione e sfruttamento,
addestramento e mobilità dei ricercatori. Delineato un
approccio organico caratterizzato dai programmi quadro, da
programmi specifici, programmi supplementari e da forme di
partecipazione e sostenuto da procedure decisionali.
Introduce, infine, i mezzi per il coordinamento delle politiche
nazionali.
Il Trattato di Maastricht del 1993 ha introdotto ulteriori
cambiamenti che influenzano la ricerca e l’innovazione:
•
l’articolo 2 attribuisce alla Comunità europea il
mandato di promuovere crescita sostenibile e senza
30
Per regolare gli aiuti di stato, la Commissione europea ha distinto
tra ricerca e sviluppo pre-competitiva, ovverosia ricerca industriale di
base e ricerca e sviluppo rivolta al mercato. Nell’ambito degli aiuti di
stato nel campo della ricerca e sviluppo la Comunità definisce dei criteri
comuni. Pertanto, può essere finanziato da fonti pubbliche fino al 100 per
cento la ricerca scientifica di base, fino al 50 per cento per la ricerca
industriale di base, dal 50 fino al 100 per cento la ricerca applicata
38
inflazione nel rispetto dell’ambiente e un alto livello di
occupazione e protezione sociale;
•
l’articolo 3B codifica il principio di sussidiarietà
che limita l’azione della Comunità;
•
il nuovo titolo XV, riguardante la ricerca e lo
sviluppo tecnologico, definisce gli obiettivi della Comunità
europea
non
solo
in
relazione
alla
competitività
internazionale della propria industria ma anche per
promuovere le attività di ricerca ritenute necessarie al fine di
sostenere altre politiche comunitarie;
•
il nuovo articolo 130H definisce il coordinamento
tra la Comunità e gli Stati membri al fine di assicurare
l’efficacia e la coerenza delle politiche;
•
la procedura di co-decisione attribuisce al
Parlamento europeo il diritto a partecipare alle decisioni,
come il programma quadro, di carattere strategico.
Infine, le ultime due tappe del processo di integrazione,
il Trattato di Amsterdam e Agenda 2000 hanno contribuito
sensibilmente ad inserire il ruolo della ricerca negli obiettivi
generali della politica della Comunità. Entrambi hanno
confermato l’esigenza di considerare con la massima priorità
i temi dell’occupazione, della competitività, dello sviluppo
sostenibile, sviluppando la Comunità nella direzione di una
società fondata sulla conoscenza.
Raggiungendo una chiara maturità nel campo della
politica di ricerca, il Trattato di Amsterdam ha rimosso dalla
procedura di co-decisione il requisito del voto unanime in
seno al Consiglio, equiparando così ad altre politiche come
quella del Mercato Unico, l’area della ricerca. Lo
snellimento della procedura ha reso più celere il processo
decisionale per l’adozione del Programma Quadro.
Agenda 2000, invece, ha delineato la strategia da seguire
a fronte dei grandi cambiamenti – geopolitici, ambientali,
tecnologici e economici – che l’Europa deve affrontare.
39
L’obiettivo di assicurare occupazione e sviluppo sostenibile,
nell’ambito di una società caratterizzata dall’alta qualità
della vita, richiede imprese dinamiche, cittadini preparati e
dotati degli strumenti conoscitivi per gestire il cambiamento.
Di conseguenza, le politiche che intervengono nel campo
della conoscenza – ricerca, innovazione, educazione, e
addestramento – diventano di fondamentale importanza e
devono essere sostenute finanziariamente. Nell’ambito di un
restringimento del budget, Agenda 2000 ha invitato
caldamente a stanziare maggiori risorse rispetto al livello
attuale del Quinto Programma Quadro.
La Commissione ha riconosciuto nella ricerca e
nell’innovazione i motori fondamentali del progresso
economico e sociale, fattori chiave della competitività delle
imprese, dell’occupazione e della qualità della vita.
È precisamente in questa ottica che ha proposto nel
gennaio del 2001 la creazione di uno “Spazio europeo della
ricerca”. Progetto, conseguente alle conclusioni del
Consiglio europeo di Lisbona il 15 giugno 2000, per il quale
il Consiglio di ricerca ha invitato gli Stati membri e la
Commissione a adottare le misure necessarie per avviarne la
realizzazione pratica.
40
3.1. Il traguardo dello spazio europeo della ricerca
All’inizio degli anni ottanta, venne lanciato l’allarme, a
livello nazionale e a livello europeo, per mettere in guardia
contro il rischio di una perdita di velocità dell’Europa
rispetto agli Stati Uniti nei grandi settori della terza
rivoluzione industriale.
A distanza di quasi venti anni, la ricerca s’impone come
una componente fondamentale dell’economia e della società
della conoscenza che si sviluppano su scala mondiale. Oggi
più che mai, si rivela uno dei motori fondamentali del
progresso economico e sociale, un fattore chiave della
competitività delle imprese, dell’occupazione e della qualità
della vita. La scienza e la tecnologia costituiscono d’altra
parte un elemento centrale del processo decisionale. La
ricerca è chiamata a svolgere un ruolo ancora più importante
e centrale nel funzionamento dell’economia e della società
europea. Ciò richiede un consolidamento delle attività
pubbliche e private di ricerca nell’Unione, ma anche il
coordinamento delle azioni di ricerca degli Stati membri tra
loro e con quelle dell’Unione.
Le istituzioni dell’Unione europea hanno recepito
pienamente le nuove espressioni dell’economia ed hanno
delineato una serie di azioni rivolte alla costruzione di una
società europea della conoscenza. Oggi, l’Unione europea
con l’impegno degli Stati membri e degli operatori della
ricerca vuole realizzare uno “Spazio europeo della ricerca”.
Per raggiungere questo traguardo la Commissione ha
ridefinito nella forma e nel contenuto le azioni in materia di
ricerca. E, in concreto, vuole attuare una serie di azioni di
natura giuridica e regolamentare rivolte a rimuovere gli
ostacoli alla libera circolazione dei ricercatori, delle
conoscenze e delle tecnologie in Europa in vari settori:
carriere scientifiche, sistemi di previdenza sociale, regimi di
41
proprietà intellettuale, disposizioni in materia di
trasferimento delle conoscenze e di diffusione dei risultati.
Nella comunicazione sullo “spazio europeo di ricerca” la
Commissione afferma che le azioni di sostegno alla ricerca
nell’Unione dovranno tenere conto delle esigenze europee in
questo settore nelle loro varie dimensioni: le esigenze della
competitività; la necessità di promuovere l’eccellenza come
pure l’esigenza di uno sviluppo tecnologico e coerente
nell’insieme dell’Unione; le esigenze più strettamente legate
alla definizione, all’attuazione e al monitoraggio delle
politiche dell’Unione.
Ma soprattutto dovranno essere concepite in maniera da
esercitare sulla ricerca europea un’azione più strutturante
rispetto all’impatto che esercitano attualmente. Inoltre, i
programmi quadro dell’Unione, integrando le iniziative di
cooperazione scientifica europea intergovernativa avviate sin
dagli anni cinquanta, hanno contribuito significativamente
al consolidamento delle capacità europee di ricerca.
Le reti di collaborazione e le cooperazioni cui hanno
portato (250000 rapporti di cooperazione transnazionali dal
1995 al 1999) hanno costituito un patrimonio di valore. Nel
complesso, questi programmi quadro si sono solo aggiunti ai
15 programmi nazionali svolti indipendentemente gli uni
dagli altri.
Per svolgere un ruolo di “strutturazione” a favore della
realizzazione dello “Spazio europeo della ricerca”, questi
programmi devono collegarsi più strettamente con le azioni
nazionali e le iniziative di cooperazione intergovernativa.
Il progetto presuppone che si attribuisca tutto il valore
necessario al principio di complementarietà delle azioni
dell’Unione europea e degli Stati membri menzionato nel
Trattato.
42
Nel documento si propongono una serie di orientamenti
per le azioni future di sostegno alla ricerca dell’Unione, in
particolare per gli anni 2002-2006.
Sulla base del titolo XVIII del Trattato gli obiettivi della
politica di ricerca e di sviluppo tecnologico da perseguire
sono: rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche
dell’industria della Comunità; favorire lo sviluppo della sua
competitività internazionale; promuovere le azioni di ricerca
ritenute necessarie ai sensi della altre politiche dell’Unione.
Nell’attuazione di queste azioni si deve tenere conto di
tre dimensioni specifiche. Innanzitutto, la dimensione di
coerenza globale della cooperazione scientifica e tecnologica
europea: migliorare il coordinamento delle attività delle
varie organizzazioni tra loro e con gli organismi dell’Unione
e ricorrere in maniera più sistematica alle azioni congiunte e
convergenti.
In secondo luogo, la dimensione regionale. Le azioni
svolte dall’Unione devono essere concepite in modo da
favorire la massima valorizzazione della dinamica e del
potenziale delle regioni mediante il collegamento in rete
delle loro capacità e attività nel campo della ricerca,
dell’innovazione e del trasferimento tecnologico e la giusta
considerazione delle specificità territoriale, geografiche o
economiche nella realizzazione delle attività di ricerca in
Europa.
Infine, la dimensione internazionale. Lo “Spazio europeo
della ricerca”, pur mirando alla piena integrazione dei paesi
candidati, costituisce una realtà aperta sul mondo.
Per tenere conto di queste tre dimensioni è necessario
adottare programmi di azioni comuni o complementari
rispetto alle azioni avviate nei grandi settori dello “Spazio
europeo della ricerca” e di quelle svolte da, rispettivamente:
le strutture e le organizzazioni di cooperazione scientifica
europea intergovernativa da un lato, di carattere generale
43
come la Fondazione europea della Scienza, COST e
EUREKA, dall’altro di natura specialistica come l’ESA,
l’EMBL, l’ESRF e il CERN31; i Fondi strutturali, le
iniziative regionali e le azioni della Banca europea per gli
investimenti; i programmi di assistenza economica e tecnica
ai paesi d’Europa centrale e orientale e ai paesi terzi
mediterranei, nonché gli altri strumenti finanziari della
cooperazione internazionale.
31
ESA: Agenzia spaziale europea; EMBL: Laboratorio europeo di
biologia molecolare; ESRF: European Synchroton Radiation Facility;
CERN: Organizzazione europea per la ricerca nucleare
44
3.3. Analisi
innovazione
delle
interrelazioni
tra
i
sistemi
di
Dal succinto riassunto delle tappe storiche che hanno
caratterizzato l’integrazione europea nel campo della ricerca
risulta evidente che non si è ancora giunti se non in linea
teorica a un sistema europeo di innovazione. L’obiettivo,
tuttavia, va proprio in questa direzione.
Malgrado il programma di mercato unico inaugurato nel
1987 abbia spinto verso un’armonizzazione e integrazione
maggiore dei mercati degli Stati membri, persistono ancora
forti differenze. Sia a livello di infrastrutture, dove i quattro
Stati membri beneficiari del fondo di Coesione, Grecia,
Irlanda, Portogallo, Spagna, non hanno ancora annullato il
gap con gli altri Stati membri; sia come quantità e qualità
delle risorse destinate a educazione, formazione, e ricerca e
sviluppo. Questi elementi, sommati alla struttura industriale
e ai rapporti che intercorrono tra i soggetti istituzionali e le
organizzazioni private di ciascun Stato membro, hanno
contribuito al mantenimento di significative differenze fra le
economie dell’Unione.
Ciascun tra i sistemi di innovazione nell’Unione si
contraddistinguono per specializzazioni settoriali, diversi
regolamenti e routine e vari sistemi istituzionali che ne
determinano livelli differenti di performance.
A questo proposito è utile presentare i risultati preliminari
del secondo “Community Innovation Survey”, pubblicato nel
1999 da Eurostat, l’ente che elabora le statistiche a livello di
Unione. Sulla base delle risposte di 33.700 imprese è risultato
che Austria, Danimarca, Germania, Inghilterra, Olanda, e
Svezia detengono la più alta percentuale di imprese
innovative nell’industria manifatturiera. Secondo l’indagine,
45
un impresa è innovativa se negli ultimi tre anni ha introdotto
nuovi prodotti, o nuovi processi. I settori con la più alta
percentuale di innovazioni sono stati nei prodotti chimici,
macchinari elettrici e ottici. Non sorprende che le grandi
imprese siano risultate le più innovative. L’ottantuno per
cento delle imprese con più di duecentocinquanta dipendenti,
il cinquantanove per cento per le aziende medie e il
quarantaquattro per cento di quelle piccole. In Germania e
Irlanda il tessuto imprenditoriale è più equilibrato e lo scarto
percentuale tra le grandi, medie e piccole imprese è meno
marcato che altrove. Le differenze sono invece maggiori in
Spagna, Lussemburgo e Finlandia.
Risultati preliminari e dati parziali (non sono presenti tutti
gli Stati membri) non permettono di utilizzare la ricerca per
trarre conclusioni di carattere comparativo sulla propensione
ad innovare dei sistemi nazionali. Tuttavia indicano
chiaramente la non omogeneità del tessuto imprenditoriale
degli Stati membri.
Di conseguenza, risulta difficile formulare politiche
sull’innovazione a livello di Unione che possano dare seguito
con efficacia alle precipue caratteristiche degli Stati membri.
Proprio per questo, però, diviene necessario un approccio di
sistema. L’Unione europea deve delineare politiche rivolte
all’innovazione senza sostituirsi agli Stati membri, ma
coordinando gli sforzi dei governi nazionali.
Lo sforzo delle istituzioni comunitarie nel creare le
condizioni ideali per sostenere l’innovazione non ha ancora
raggiunto nella realtà i risultati sperati. In alcuni casi i
programmi sono stati attuati senza considerare la
compatibilità con quelli già esistenti. È stato il caso del
programma quadro - destinato a svolgere un ruolo di
networking molto importante in Europa attraverso il principio
di finanziare principalmente consorzi di ricerca plurinazionali
46
– che a volte ha finito per duplicare lo sforzo dei fondi
strutturali in materia di ricerca e sviluppo tecnologico.
Le dimensioni più importanti dei progetti di ricerca del
Quinto programma quadro (7 partner per progetto in media)
sono tese ad accentuare l’effetto di "mobilità virtuale" che
stimola ed incoraggia la mobilità "reale" dei ricercatori. I
1.500 progetti di RST avviati fino al marzo 2000 (sul bilancio
1999) hanno così creato più di 36.000 legami di
cooperazione, di cui più di 30.000 transnazionali.
L’intento di rimuovere le barriere alla circolazione dei
ricercatori, data dal carattere transfrontaliero del programma
quadro, contrasta fortemente con l’assenza di una normativa
sui brevetti a livello europeo. Fin dal 1997 la Commissione
ha promosso attraverso la pubblicazione del Green Paper il
dibattito per la realizzazione di un sistema europeo di
protezione della proprietà intellettuale. Ad oggi, però,
malgrado esista un ufficio europeo a Monaco di Baviera,
mancano ancora gli accordi tra gli Stati membri per
armonizzare la materia. A parte i differenti criteri di
classificazione, la normativa nazionale di ciascun Stato
membro rende il sistema economicamente svantaggioso. 32
Il Quinto Programma Quadro ha subito delle modifiche
tese a orientare la ricerca verso l’innovazione: sono state
ridotte le azioni e tra gli obiettivi chiave è stata inserita
l’innovazione. Ciò che manca a livello europeo è una
disciplina in campo finanziario che promuova strumenti
finanziari - come il private equity - al sevizio delle imprese
innovatrici. La Banca Europea per gli Investimenti e il Fondo
Europeo per gli investimenti da soli non possono ottenere gli
stessi risultati di una disciplina comune europea. Il venture
capital, leva finanziaria dell’innovazione - deve liberarsi dei
32
Negli Stati membri ci sono considerevoli differenze nella
disciplina dei brevetti. In alcuni Paesi, per esempio, la scoperta di un
ricercatore non assegna a quest’ultimo la paternità del brevetto, bensì al
centro di ricerca nel quale ha svolto le proprie ricerche
47
lacci imposti dalla normativa europea sulla concorrenza, che
assegna un ruolo marginale se non nullo ai governi degli Stati
membri nel private equity.
Le varie organizzazioni comunitarie – strutture formali
costituite consapevolmente - create dai policy makers
durante il processo di integrazione hanno senza dubbio
contribuito a far convergere gli sforzi innovativi degli Stati
membri.
Tuttavia, non si è ancora raggiunta a livello
europeo quell’architettura istituzionale, definita da North
come l’insieme di regole, leggi, norme e pratiche consolidate
che regolano le relazioni e interazioni fra gli Stati membri
nel campo dell’innovazione.
L’importanza di una regolamentazione a livello
comunitario e, quindi del ruolo delle istituzioni, è dimostrata
dall’esempio di successo della telefonia mobile di seconda
generazione.
Il successo è stato ottenuto, innanzitutto, mediante
l’incentivazione a sviluppare un solo standard, in secondo
luogo, al momento della realizzazione della tecnologia, si è
imposta la concorrenza tra i mercati degli Stati membri.
48
Conclusioni
Come punto di partenza lo studio ha evidenziato il
ruolo sempre più importante che l’innovazione occupa
nell’economia moderna. Infatti, oggi più che mai i settori
trainanti, che determinano la competitività internazionale e la
crescita soprattutto dei Paesi avanzati, sono caratterizzati
sempre più dall’alta tecnologia.
Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione mediante le quali è avvenuta una notevole semplificazione e
accelerazione della diffusione di informazione - hanno
giocato il duplice ruolo di determinare, da una parte
un’espansione economica trascinata dall’ Information and
Communication Technology e, dall’altra la domanda di
capitale umano di alta qualità soggetta a rapido cambiamento
nell’interazione con le nuove tecnologie.
Le dinamiche in atto hanno dato luogo a cambiamenti
sia nel funzionamento dell’economia sia nei suoi schemi
interpretativi. L’economia moderna viene così definita
technology-driven, knowledge biased, laddove cioè
l’informazione e la conoscenza diventano fattori principi
dello sviluppo. Si osserva che sempre più è la conoscenza il
maggior input e il principale output del processo produttivo.
Negli ultimi anni, infatti, le imprese vedono
l’innovazione come lo strumento chiave per aumentare
profitti e quote di mercato e i governi si affidano ad essa
quando cercano di migliorare l’economia.
L’analisi economica ha analizzato ampiamente il ruolo del
cambiamento tecnologico nella crescita. Le nuove teorie della
crescita endogena hanno superato le manchevolezze di quella
neoclassica, considerando l’innovazione non più come
“manna dal cielo” ma interna al processo di crescita e
49
includendo importanti fattori come capitale umano e
investimenti in R&S.
Tuttavia, l’innovazione rimane un processo complesso
dall’esito incerto contraddistinto dalla continua interazione
tra molteplici soggetti e caratterizzato da apprendimento e
conoscenza.
Come
sottolineato
dalla
trilogia
di
Schumpeter
l’innovazione ha origine da un invenzione, applicata poi in un
contesto di mercato a prodotti o processi e infine diffusa. È il
risultato di una serie
di relazioni e interazioni tra attori
diversi, i quali vi contribuiscono in varia misura con diverse
capacità e specializzazioni. Essendo, quindi, un fenomeno
collettivo che avviene in un sistema dove l’insieme di
componenti economiche e sociali tra loro interrelate
contribuiscono a determinare il comportamento innovativo
delle imprese, vi è la necessità di avere un approccio
sistemico. Se il processo innovativo è caratterizzato
dall’apprendimento e dalla conoscenza, alla cui base vi è la
continua interazione dei soggetti, risulta evidente che le
istituzioni possono influenzare in maniera significativa la
dinamica innovativa.
Per meglio cogliere tali aspetti si è scelto di utilizzare
l’approccio dei sistemi di innovazione, che prende in
considerazione tutti i fattori che formano e influenzano
l’innovazione. In particolar modo sottolinea il ruolo delle
istituzioni e delle politiche tecnologiche nel condizionare e
promuovere l’attività innovativa delle imprese.
La prospettiva sistemica, sicuramente lontana da una
formalizzazione teorica, fornisce tuttavia un articolato
insieme di categorie utilizzabili sia in termini di analisi
“positiva” dei processi innovativi sia in chiave normativa. In
particolar modo, essa contribuisce a rispondere alle questioni
di cosa determini i vantaggi competitivi nazionali, aiuta a
capire in quale modo e per quali motivi vi sia una varianza
50
tra paesi nella relazione fra impresa e struttura istituzionale e
come tale varianza concorra a spiegare la diversità fra
imprese, in termini di performance innovativa. Tale
approccio si presta ad essere applicato all’analisi del
contesto europeo.
L’importanza dell’innovazione è stata sottolineata dal
Consiglio europeo tenutosi a Lisbona nel marzo 2000. In
risposta alle sfide della globalizzazione e della nuova
economia fondata sulla conoscenza, il Consiglio europeo ha
invocato un programma ambizioso per la creazione di
infrastrutture
per
la
conoscenza,
la
promozione
dell’innovazione e della riforma economica, e la
modernizzazione dei sistemi di assistenza sociale e
d’istruzione.
Va però sottolineato la mancanza di un insieme di regole,
norme, leggi, e pratiche a livello europeo che definiscano i
rapporti tra gli Stati membri e l’Unione nel campo
dell’innovazione. Le varie organizzazioni create durante il
processo d’integrazione, il titolo XVIII del Trattato che
definisce gli obiettivi di ricerca e di sviluppo tecnologico
dell’Unione e il programma quadro, non possono costituire
un’architettura sufficiente per armonizzare e integrare le
iniziative di 15 Stati membri nel campo dell’innovazione.
Nell’Unione manca poi una normativa comune che disciplini
la proprietà intellettuale e un sistema finanziario che
incentivi l’attività innovativa delle imprese.
L’iniziativa della Commissione di realizzare uno Spazio
europeo della ricerca sembra allinearsi con quanto prescritto
dall’approccio dei sistemi di innovazione. La sua ambizione
è infatti creare le condizioni che consentano di incrementare
l’impatto delle attività europee di ricerca, rafforzando la
coerenza delle attività e delle politiche di ricerca svolte in
Europa da ciascun Stato membro. L’obiettivo è di ottenere
51
gli stessi effetti di crescita conseguiti con la creazione del
Mercato unico.
L’Unione europea si trova
a un bivio. Se la
comunicazione della Commissione dovesse seguire ugual
sorte rispetto alle iniziative precedenti delineate nel Libro
Bianco e nel Libro Verde e mai realizzate, non solo non
nascerebbe una sistema europeo di innovazione ma l’Unione
si troverebbe svantaggiata rispetto agli altri concorrenti del
mercato globale.
52
Arrivati alla fine di un percorso significativo come lo è
stato per me l’ASERI, è spontaneo pensare a ciò che si è
fatto. Come nei viaggi molti dei ricordi che custodiamo nella
memoria sono episodi legati a persone. Mi piace immaginare
la Scuola di specializzazione come un viaggio scandito da
molteplici incontri. Sarei tentato a nominare tutti – compagni
di corso, studenti del Master, i docenti e lo staff
amministrativo - .che ho conosciuto durante l’ASERI:. La
lista è lunga e forse risulterebbe spropositata rispetto alla
presente trattazione. Mi limito allora a un……..
Grazie a tutti
53
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