parte2 – scarica il pdf - Il Quaderno di Mauro Scardovelli

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PARTE 2
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Trascrizione a cura di
Alessandro Brazzoni
La prima realtà che non viene accolta è la nostra umanità, sembra
strano, ma proprio ciò che siamo non viene accolto, e la grande
alternativa in cui sia noi che le istituzioni siamo, è l’alternativa tra
l’accoglienza ed il potere in tutte le dinamiche di vita.
Questa, funziona già nel rapporto con noi stessi.
In questa scoperta, pensavo che ovunque noi vogliamo una trasformazione
dell’esistenza o una trasformazione della convivenza, che vanno in qualche
modo insieme, questa sequenza per cui la vita c’è data misteriosamente,
adesso noi cerchiamo spiegazioni, però la vita è un dono misterioso, c’è data in
affidamento non in prestito, però non sappiamo la fonte.
Ecco perché abbiamo tante filosofie e religioni, tanti ateismi, tanti agnosticismi.
In questa pluralità, nella sua bellezza si colgono i tentativi che l’essere umano ha
fatto per interpretarsi, però quest’apertura dice:
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L’origine del dono ci è sconosciuta, ciò non toglie che sia dono nel senso
che la vita è ricevuta e non fabbricata, ci costituisce responsabili.
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Noi non veniamo da una colpa, tutti noi abbiamo assorbito la
dottrina del peccato originale, con tutto il suo disprezzo per
l’essere umano che quello comporta, e dove c’è il disprezzo per
l’essere umano c’è la stima per il potere, infatti noi siamo rimasti lì,
non abbiamo superato questa cosa.
Al di là dell’origine che sia dono, cioè ci costituisce nella responsabilità - altro
crollo culturale - non ci costituisce nella proprietà. Sia rispetto alla nostra dignità,
rispetto agli altri, rispetto alla natura, sbaglio approccio se ci vado con l’ottica
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della proprietà, cioè del far mio, sentite quanta insicurezza c’è nel bisogno di
proprietà.
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C’è il bisogno di una garanzia assoluta che quella cosa non sparisce,
non se ne va, non la perdo. La grande angoscia della perdita, gli
psicanalisti la chiamano il lutto, tu perdi qualcosa di essenziale, una
proprietà dovrebbe essere l’esorcismo, l’antidoto che ti protegge dalla
perdita.
Al di là del mistero che siamo a noi stessi, ci sono culture, per esempio
nell’Induismo, dove il primo mistero non è la verità se Dio c’è o
non c’è. Per loro non è un problema riconoscere che Dio c’è,
anzi c’è in tantissime dimensioni: personale e impersonale.
Non si fanno scrupoli della contraddizione; noi occidentali ci
scandalizziamo se c’è una contraddizione. Per loro il vero
mistero è l’essere umano: chi sono io? Quella è la questione
più difficile.
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La musica è un percorso d’interpretazione di questo mistero, prima avrei
risposto a Mauro che la musica parte dal silenzio.
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Come ogni arte è la risposta al silenzio, che poi tu usi la poesia, la
musica, l’architettura, la pittura... tu sei un traduttore, stai decifrando il
silenzio e stai traducendo.
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In ogni caso io credo che ci siano alcuni passaggi che sono un po’
obbligati nel senso buono per noi, cioè la vita va accolta, un dono
non si compie se non viene accolto, vivere non è un fatto
meccanico perché dormo, mi nutro, bevo, mi riproduco, cioè non è
mai un fatto di pura sussistenza meccanica.
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Diceva Albert Camus: Respirare è un giudizio di valore, vivere vuol
dire aderire alla vita.
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Nietzsche avrebbe detto: Dire sì alla vita
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Sei impegnato a dire un sì, se ti lasci andare, non vivi più, al massimo fai
un’esperienza della morte dentro la vita, quindi la vita va accolta, va
intensificata. A me piace il termine intensità che associo a
trasformazione, cioè noi non siamo fatti per ripetere la vita tale e quale.
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Se ci facessero vivere 500 anni grazie alle scoperte della medicina, verso il
duecentesimo chiederemmo di morire se fosse solo ripetere quello che siamo
oggi, capite, prolungare ogni giorno quello che siamo.
Quando ci riduciamo a quello, la vita somiglia molto di più alla morte, invece
vivere significa intensificarla, riempirla di passioni, trasformarla, portarla a
bellezza, altro che sopravvivenza.
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La trasformazione non è un procedimento straordinario perché
c’è una situazione di crisi, la trasformazione è il cammino della
vita, cambiare forma.
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Va condivisa, accolta, trasformata, intensificata e condivisa. Quel cammino
che lui raccontava mi faceva venire in mente questo come prima cosa; secondo,
noi riusciamo a realizzare qualcosa di adeguato a questa nostra dignità che
continuamente fraintendiamo se cresciamo in umanità.
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L’ u n i c a v e r a c re s c i t a c h e p e r n o i è o b b l i g a t o r i a , è
fondamentale, è proprio questo crescere in umanità.
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Questo sì, richiede le sapienze con questo respiro interculturale, interreligioso.
Un altro vicolo cieco è pensare che noi adesso ci sforziamo di trovare
una soluzione ai problemi dell’economia e della società attingendo a
questa nostra esausta coscienza europea che di fronte a questa parabola
delle migrazioni di massa - parabola nel senso evangelico cioè un racconto che
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parla di noi - dice: primo se tu per secoli semini colonialismo, sfruttamento e ti
ricade addosso naturalmente, ti chiedi perché vengono qui ma dopo secoli.
Immaginate se nei secoli passati loro ci respingevano, non ci facevano entrare,
gli sarebbe andata meglio forse a loro, ma è l’effetto storico di questo tipo di
dominazione che non è affatto finito con la decolonizzazione.
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Ti racconta questa parabola che il mondo non sta in piedi
sul fondamento della competizione, bisogna proprio essere
stupidi di cuore, stupidi eticamente.
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Sul fondamento della competizione non stiamo insieme neppure io e Mauro
come amici, neppure un condominio, neppure Fortunago, figurarsi il mondo
intero, è proprio una follia!
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I processi della vita umana crescono grazie alla cooperazione e
alla cura
Pensate, mi nasce un fratello, caspita è una ferita, ho il terrore di perdere
l’affetto dei miei genitori, certo che nasce il conflitto, il contrasto, perché
noi siamo capaci di avere paura e dove c’è paura c’è il
contrasto.
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Allora la saggezza vuole che noi impariamo a disinnescare quel
conflitto dalla distruttività. Allora possiamo anche dire che il
conflitto ci ha fatto crescere, sì però dobbiamo prima disinnescarlo,
disinquinarlo dall’elemento distruttivo.
Se noi cresciamo in umanità, se riusciamo ad accogliere
l’umanità sia in noi che negli altri, allora la capacità di
trovare soluzioni per le forme di convivenza dal punto di
vista politico, economico, educativo, informativo, pensate
a questi grandi sistemi che dovrebbero essere nostri
servitori, loro sono mediatori della vita sociale, sono
alienati perché loro da mediatori sono diventati sovrani.
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Cioè la modernità purtroppo non è tanto l’età dell’autonomia
dell’individuo o della divisione delle sfere... la religione qua, la
scienza qua, l’arte di qua, la politica di qua... è diventata da un lato
l’egemonia schiacciante dell’economia e dall’altro è diventato
l’età dell’egemonia schiacciante dei sistemi organizzativi
autoregolati: la burocrazia, il mercato, la tecnologia. Quale
individuo può dirsi libero dentro questi grandi meccanismi?
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Quindi la modernità con una mano ti dà libertà, con l’altra come
diceva Michel Foucault la consuma completamente perché t’inserisce
in un ingranaggio sistemico che praticamente ti funzionalizza, tu perdi la
tua umanità e diventi una funzione del sistema.
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C rescere in umanità significa dal punto di vista delle sapienze del
mondo, non chiudersi solo nella nostra tradizione. O gni tradizione
che si chiude in se stessa è già morta, è già un reperto da museo.
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Le culture non diventano interculturali, lo sono alla nascita,
cioè nascono grazie all’incontro con altre tradizioni, altre
popolazioni, grazie alla mediazione aperta.
Quando uno si chiude diventa come una riserva indiana, ormai un reperto del
passato ma senza vita.
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L’interdisciplinarietà che rischia di essere la moltiplicazione del
disciplinarismo. Lì qual è l’errore?
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Normalmente le discipline naturali, umane, economiche sono
autoreferenziali, cioè mentre affrontano un problema parlano di se
stesse, tornano a se stesse, assolutizzano i loro modelli esplicativi,
la filosofia c’è caduta, l’economia c’è caduta, la psicologia c’è caduta.
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Allora invece come dovrebbe essere costituito un sapere? Come una
forma di partecipazione alla realtà. Tu cerchi un’approssimazione alla realtà
nel suo grado più profondo. Allora ogni approccio che sia di scienze umane
o di scienze naturali o che sia teologico o mistico va alla scuola della realtà e
sviluppa il suo sapere sempre e solo in funzione della partecipazione alla
realtà, non in funzione dell’affermazione di se stesso.
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Il sapere autoreferenziale è uno dei fondamenti di una politica, di un’economia
autoreferenziale. L’autoreferenzialità diventa poi nei piccoli sistemi viventi
che siamo noi e nei grandi sistemi organizzativi la logica di Nanfang.
Invece, crescere in umanità significa integrare queste fonti, le discipline,
le sapienze, integrare le persone.
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Tutti i critici della modernità hanno detto che la modernità ha
prodotto disintegrazione, cioè vuol dire scissione interiore, persone
esternamente apparentemente intere, ma profondamente scisse,
spezzate.
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Allora, il cammino di cui parlava Mauro lo chiamerei anche un cammino
d’integrità, cioè vuol dire, io arrivo all’armonia di tutti i nuclei della mia
persona e solo in questo modo posso veramente esprimere quell’unicità
che è costitutiva dell’umano che infatti è irriducibile alla presunta natura
umana.
Fate caso che tutte le teorie dominative, iniziano dicendo, che cosa noi
siamo per natura, vi fanno una rappresentazione più o meno mitica della
natura umana.
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Il capitalismo all’inizio diceva che l’uomo è egoista, è calcolatore, è
aggressivo, è inaffidabile, ovviamente si preoccuperà del suo interesse e ti
dice che questo è per natura. Notate che la parola natura significa la parola
necessità, destino, cioè un dispositivo da cui tu non puoi uscire, quindi
già la libertà te la sei giocata lì, quindi tu sei un esemplare di questa natura
per cui tutti siamo individui interscambiabili che esprimono questo corso
necessario delle cose.
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Per cui in realtà, l’essere umano è l’essere che fa eccezione alla
sua natura.
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Cioè lui elabora in modo plurale, imprevedibile un rapporto con sé ed un
rapporto con la realtà. Il gatto fa il gatto, il criceto fa il criceto, l’essere
umano no.
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L’essere umano può diventare sublime, può diventare mostruoso perché lui
elabora, quindi ognuno di noi diceva Maria Zambrano ha la sua di delirio,
quando conoscete una persona cercate di capire la follia che si porta, in quale
delirio sta, anch’io che parlo, naturalmente, conosco pochissime persone che
sono arrivate a questa integrità.
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Tutti noi a volte vediamo la realtà con la lente dell’errore,
convinti proprio che quella sia la saggezza e magari stiamo
dentro un errore e non ci accorgiamo.
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Detto in un altro modo, le piccole contraddizioni che vediamo davanti agli
occhi possiamo anche affrontarle, nelle grandi contraddizioni ci prendiamo
casa, cominciamo ad abitarci dentro, ce le teniamo strette, guai a chi le
tocca e dovremmo chiederci come mai siamo così attaccati alla scissione.
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La scissione significa sofferenza. Gran parte della sofferenza
che abbiamo non viene dai fatti della vita, viene dal modo in cui
viviamo e ce lo teniamo stretto, perché preferiamo soffrire.
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Allora ecco che le sapienze, le discipline, la relazione con gli altri che è
la nostra grande maestra anche rispetto alla vita interiore, dovrebbero
trovare un percorso di sviluppo per permettere alle persone di portare
alla luce la loro umanità.
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Finché non c’è questa nascita, il cosiddetto male viene dalla
condizione di non nascita, dall’oscurità, di delirio in cui noi
anziché accogliere l’umanità nostra e degli altri preferiamo il
potere, preferiamo tutti quegli strumenti che sono distruttivi e
che visti così sembrano dirci non solo la natura umana è
cattiva ma che il male è più forte del bene, la morte è più forte
della vita, questa è la realtà e dobbiamo adattarci.
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U scire da questa mentalità significa una liberazione interiore delle
persone; il percorso che lui raccontava mi faceva pensare questo. In piccoli
gruppi, per quanto arduo, questo è ancora possibile.
Come Freud si chiedeva nel “Disagio della civiltà ” (Freud era un genio
che ha scoperto strade nuove, aveva delle chiusure pesantissime, basta vedere
come concepisce l’Eros o la felicità fisica; secondo lui sarebbe uno scarico della
tensione e della frustrazione di quando non puoi esprimere la libido. Secondo lui
è tutta lì la felicità, è una concezione molto riduttiva e meccanica) se con il
singolo posso fare la terapia, ad una società che sbaglia come
faccio terapia? Come arrivo alla consapevolezza? Il grande
scoglio dell’umanizzazione non è tanto il singolo o il piccolo
gruppo , lì ancora ce la facciamo ad essere umani, non è facile ma ce la
possiamo ancora fare.
Nella vita collettiva, nella vita delle istituzioni e dei sistemi
organizzativi, il nucleo roccioso di resistenza sembra proprio
l’economia.
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Se voi guardate, in passato noi abbiamo avuto esperienze d’incontro
interculturale, esperienze d’inizio di vera democrazia, cioè ci sono state
primavere della storia ed in tutte le primavere (e questo c’incoraggia) c’erano
almeno questi tre elementi:
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1) Intelligenza della speranza, cioè la capacità di vedere strade dove
tutti vedono un muro, detto retoricamente tu vedi primavera
mentre è inverno, sai riconoscere la possibilità che al momento è
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negata, però sai capire che la realtà ha la profondità di quella
possibilità.
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2)Poi c’era un metodo, non una tecnica, una strada che ti libera
dal narcisismo, l’importante e che tu fai quella strada con
altri, la non violenza è una strada che non è solo una tecnica,
è una forma di convivenza e quindi ti liberi di quegli
individualismi ridicoli.
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3)Persone integre. C’era stata la crescita dell’umanità e dove la
vedi la persona integra, non è tanto un’operazione
estetizzante sarebbe un narcisismo raffinato, dici: “Io sono
completamente armonico nelle abilità manuali, intellettuali,
quanto sono bravo...” L’integrità la vedi nell’uscita da sé, cioè
nelle persone che vivevano l’azione politica come servizio,
che non si preoccupavano di essere centrali loro. Fateci
caso, voi quando vi decentrate dovreste provare piacere e
non sentimento di mortificazione.
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Diceva l’architetto italiano Giancarlo De Carlo:
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“È un tratto tipico della genialità non preoccuparsi di essere
riconosciuti”.
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La gratuità, il godere dell’essere e non tanto di quello che otterrò in
cambio. Persone integre che erano disposte ad uscire da sé per
praticare come servizio la prassi politica.
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Ci sono state primavere così, scegliete voi: quella della Non violenza, la
Primavera di Praga, la democratizzazione, storicamente ce ne sono state
parecchie, anche primavere economiche.
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L’economia tocca proprio il nodo spirituale e non solo fisico. Di che cosa
vivo io? Quali sono i beni essenziali senza i quali non posso vivere?
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Su questo, la legge della prevaricazione, della competizione,
dell’egoismo, fino ad ora quasi sempre ha primeggiato. Per noi il vero
scoglio della storia è proprio un’altra economia.
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Io cerco di dirlo anche a questi dell’altra economia che parlano
tanto di pratiche, perché è una parola più leggera, non è tanto
impegnativa; dico loro: “attenti perché è un’operazione spirituale,
una fede profonda nella realtà come comunione”.
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Altrimenti tu prima o poi cadrai nello scandalo della delusione .
Dici: sono vent’anni che faccio l’equo-solidale, che faccio la banca etica, faccio i
gas… il risultato è tutto qui? Ho investito cento ed ho ottenuto uno. Tanti
si scandalizzano e alla fine smettono.
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Richiede una fede profonda perché sciogliere il nodo
dell’economia fondata sulla divisione, sul fatto che io
sopravvivo se tu vai in rovina, vuol dire arrivare ad una
liberazione piena non solo dei singoli ma delle relazioni, della
forma di convivenza.
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Oggi questa è la frontiera non valicata della nostra umanizzazione,
la frontiera più difficile.
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Solo che siamo arrivati ad un punto in cui la strozzatura è tale che se non la
affrontiamo seriamente questo compromette non tanto la vita della natura (io
penso che alla fine la natura se la cava), siamo noi che ci distruggiamo,
facciamo la fine dei dinosauri, entriamo dentro una spirale di autodistruzione.
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