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MALALA YOUSAFZAI
A cura di
Ludovica Mazzuccato
IDEE A PROVA DI PROIETTILE
«
Le idee sono a prova di proiettile». Una giovanissima donna pakistana sta vivendo alla lettera questa battuta della famosa pellicola V per vendetta, nel suo cuore, però c’è spazio
solo per la giustizia e non per il rancore.
Lei è Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace 2014, che – così recita la motivazione di
Oslo – attraverso la sua lotta eroica è diventata una portavoce importante del diritto delle bambine all’istruzione.
Malala – come l’omonima eroina di Maiwand che è riconosciuta la Giovanna D’Arco afgana – aveva
sedici anni quando, nell’ottobre del 2012, i talebani le spararono su un bus mentre tornava da scuola,
ferendola gravemente sul lato sinistro della fronte. La sua colpa è quella di aver denunciato le continue
violenze e i soprusi sul suo blog, creato a tredici anni e da lei curato per la BBC con lo pseudonimo Gul
Makai (fiore di mais, il nome di un’eroina di una leggenda pasthun).
I terroristi pensavano di cambiare i suoi obiettivi – ha raccontano lei stessa nel suo discorso all’ONU – ma nulla è cambiato nella
sua vita se non in positivo. Paure e debolezze si sono trasformate in coraggio e forza. Sembrava quasi Biancaneve, avvolta nel candido scialle che fu di Benazir Bhutto, mentre parlava ai potenti della terra, ma le sue parole risuonavano piene di saggezza. Malala non è
semplicemente un’attivista del Terzo Mondo, è una donna moderna che insegna all’Occidente quali frutti possa dare l’interculturalità .
Quando le chiedono cosa farebbe se incontrasse il suo attentatore lei risponde: «Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in
piedi di fronte a me, non gli sparerei. Questa è il sentimento di compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la spinta al cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed
Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa».
Malala è figlia di quella che noi chiamiamo pedagogia interculturale capace di sviluppare e mettere in pratica l’idea che ogni cultura
ha aspetti preferibili in grado di migliorare la nostra realtà; pedagogia interculturale, quella che erroneamente crediamo sia rivolta
solo agli stranieri e, invece, piano piano, diventiamo noi stessi stranieri di una cultura troppo impermeabilizzata, tanto da non lasciar
passare l’ossigeno. L’esempio di questa giovane eroina rischia di spegnersi all’unisono con l’attenzione dei Mass Media, ma Malala non
è una meteora dello spettacolo, è un cuore nobile che insegue quell’utopia di cui noi del Vecchio Continente, un po’ per pigrizia e un po’
per indifferenza, travisiamo il significato.
La vita di Malala parla ai nostri giovani che vivono il diritto all’istruzione come una pena, che trascinano il peso dei libri come una
palla al piede senza rendersi conto che, al contrario è proprio ciò che li rende liberi; l’impegno di Malala incoraggia le nostre ragazze
a lottare per ottenere qualcosa di più del permesso di farsi il pircing, le prepara a difendersi da un’eventuale lupo travestito da principe azzurro. Malala è un monito anche per gli adulti: non tutti le nuove generazioni si lasciano rubare la speranza.
Forse ha ragione lei, ci rendiamo conto dell'importanza della nostra voce quando ci mettono a tacere, ma chi può parlare ha anche il
dovere di farlo anche per chi non può.
Se qualche Addolorata (questa è la traduzione di Malala), magari leggendo l’autobiografia Io sono Malala, scritta con la giornalista
internazionale Christina Lamb, sentirà il desiderio di diventare un’insegnante desiderosa di trasmettere la passione per lo studio quale arma in grado di migliorare il mondo, allora la giovane premio Nobel comincerà a far paura non solo ai talebani, ma anche al nostro
relativismo culturale che, a modo suo, taglia teste.
MA CHI È MALALA?
M
alala Yousafzai – nata il 12 luglio 1997, a Mingora, nello Swat, zona di
confine del Pakistan – è di cultura Pashtun e di religione islamica.
Proprio nella regione delle Swat, i talebani hanno raso al suolo 401 scuole, tra il 2001
e il 2009, di cui il 70% erano scuole femminili.
Il territorio natale di Malala non è riarso e ostile come il Sachel, il Sudan, parti della
Somalia. È una zona montuosa verde e fiorente, abitata dalle tracce delle culture più
varie, dal ricordo di Alessandro Magno alle testimonianze in pietra degli Stupa buddisti.
Il padre di Malala è colto, fa politica attiva, è sostenitore del progetto “laico” di Benazir
Butto; è un insegnante che dopo molti sacrifici, ai nostri occhi inenarrabili, è riuscito ad aprire la “sua” scuola,
una scuola privata, per sfuggire alle discriminazione e dal fanatismo religioso che spesso contraddistinguono la
scuola statale del luogo.
Ziauddin Yousazai, il padre di Malala, è per lei e per i suoi due fratelli minori una vera e propria fonte di ispirazione. Per Malala, infatti, si può parlare di una situazione “da erede soggettivamente reattivo” alla cultura del proprio
Paese e della propria famiglia, secondo il senso che è stato dato al concetto da Massimo Recalcati in Il complesso
di Telemaco (Feltrinelli, 2013). Certamente, nel caso di Malala non c’è il tramonto della figura paterna, come invece
viene individuato da Recalcati per la nostra cultura contemporanea, ma la ragazzina è riuscita a non ereditare una
tradizione stratificata da rinunce e umiliazioni sicura fucina di violenza. Malala “canta” la sua protesta, la scrive e
la recita, sulla scia del dire teatralizzato più sentito della sua gente. La sua “femminilità” si è soggettivata attraverso la lente di ingrandimento della fatica della mamma: una donna analfabeta, piena di fervore religioso, ma anche di desiderio di “città”, di timida condivisione degli intenti della figlia, che il giorno dell’attentato, si era recata a
scuola per il suo “primo giorno di scuola”. Il 10 ottobre 2013, l’attivista pakistana, è stata insignita del Premio Sakharov per la libertà di pensiero. L'annuncio è stato dato dal presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz,
che nella motivazione non ha mancato di definirla una ragazza eroica. Il premio le è stato consegnato in occasione
della Sessione Plenaria, a Strasburgo, il 20 novembre 2013.
Il 10 ottobre 2014 è stata insignita del premio Nobel per la Pace, insieme all'attivista indiano Kailash Satyarthi,
diventando con i suoi diciassette anni la più giovane vincitrice di un premio Nobel.
Dopo l’attentato, di cui porta ancora i segni sul volto, Malala è stata curata a Birmingham, in Gran Bretagna, dove
oggi vive con la famiglia poiché i talebani continuano a minacciarla di morte.