La Cina nel Mediterraneo
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La Cina nel Mediterraneo
N. 3 3 aprile 2008 Valeria Talbot La Cina nel Mediterraneo Il tema Si conclude in questi giorni la visita di Li Changchun, numero cinque del Politburo del Partito comunista cinese, in alcuni paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Nuovi accordi di cooperazione sono stati firmati con Algeria, Marocco, Tunisia e Siria, a conferma della crescente importanza che i paesi dell’area hanno assunto negli ultimi anni per la Cina. Quasi del tutto assente dalla regione mediterranea all’inizio degli anni Novanta, la Cina oggi è diventata un attore di rilievo la cui influenza è destinata ad aumentare nei prossimi anni. Infatti, la Cina è già uno dei principali fornitori di molti paesi dell’area e sta acquisendo posizioni di rilievo anche nell’assegnazione delle grandi commesse pubbliche e negli investimenti diretti, non solo negli idrocarburi, ma anche in settori come cemento, chimica, alluminio, automobili, telecomunicazioni. L’Italia sembra resistere alla concorrenza cinese meglio di altri paesi europei, come indica l’andamento delle esportazioni nel 2007. L’analisi Durante la guerra fredda le relazioni della Cina con i paesi mediterranei erano basate su motivi ideologici: prima il sostegno ai movimenti anti-coloniali e poi la contrapposizione alla presenza sovietica nella regione. Successivamente sono state soprattutto le motivazioni economiche a definire le relazioni. Infatti sul piano politico la Cina ha finora evitato di assumere posizioni nette sul conflitto arabo-israeliano e sulle altre questioni politiche regionali, riuscendo così a mantenere relazioni amichevoli con tutte le parti (ad esempio sia con Israele sia con la Siria). Questa cautela politica le permette di sfruttare la regione come fonte di risorse energetiche e come sbocco commerciale e, progressivamente, di estendere la sua presenza anche alle grandi commesse e agli investimenti diretti. La penetrazione commerciale e gli investimenti cinesi si sono intensificati a partire dagli anni Novanta con un’accelerazione nell’ultimo quinquennio. Nel 2007 le esportazioni cinesi totali sono cresciute del 25,7%, ma quelle verso il Medio Oriente e verso l’Africa sono cresciute a tassi assai più elevati (rispettivamente del 48% e del 40%). Nel 2007 Pechino risulta il primo fornitore della Siria, il terzo di Algeria e Turchia, il quarto di Egitto, Israele e Marocco. Nei confronti dei paesi della riva Sud del Mediterraneo la Cina ha inoltre adottato una politica di aiuti che evita di condizionarli a riforme politiche ed economiche come fa invece l’Unione europea. La prima motivazione delle accresciute relazioni economiche è quella energetica. A partire dal 1993, quando è diventata importatrice netta di petrolio, e in modo ancora più evidente dal 2003, quando la guerra in Iraq ha contribuito ad aumentare l’instabilità nella regione mediorientale (da cui proviene circa il 60% degli approvvigionamenti energetici cinesi), la Cina ha guardato a ogni potenziale fornitore di risorse energetiche a prescindere dalla quantità delle sue riserve. In ambito mediterraneo la Cina si è interessata soprattutto all’Algeria e alla Siria, dove detiene già una limitata partecipazione nella produzione petrolifera (grafico). Chi dà un’interpretazione benevola della politica economica estera cinese ritiene che le relazioni con la Siria (come quelle con il Sudan) siano motivate dalla debolezza di un attore che entra in ritardo sul mercato energetico e deve perciò posizionarsi dove i grandi attori preferiscono non avventurarsi. Chi al contrario valuta la politica economica estera cinese in modo negativo vede in queste relazioni un’esplicita contrapposizione alle posizioni statunitensi e, in genere, occidentali, un’interpretazione che sembra eccessiva se si tiene conto della modesta dimensione di queste relazioni e del fatto che i dirigenti cinesi sanno bene che il loro paese resta dipendente dagli Usa per la sicurezza delle rotte navali attraverso cui riceve energia dal Medio Oriente. Verso la Libia, nonostante il suo grande potenziale energetico, la Cina nutre una certa diffidenza, legata alla questione di Taiwan: ottenuto il riconoscimento diplomatico di tutti gli stati mediterranei, la Cina vuole ora evitare che Taiwan ottenga riconoscimenti informali o semi-ufficiali. Da qui le relazioni difficili con la Libia, soprattutto in seguito alla visita a Taiwan del figlio di Gheddafi nel 2006 ricambiata successivamente dal presidente taiwanese Chen. L’intensità di queste relazioni è confermata dall’apertura (febbraio 2008) di un ufficio commerciale taiwanese a Tripoli che segue l’investimento (34 milioni di dollari su 3 anni) avviato nel 2007 dalla taiwanese Chinese Petroleum Corp nell’esplorazione petrolifera in Libia. Ciò non ha comunque impedito alla Cina, attraverso la China Railway Construction Corp (CRCC), di aggiudicarsi due contratti del valore di 2,7 miliardi $ per la costruzione di una ferrovia litorale di 352 km e di una tratta sud-nord della lunghezza di 800 km per il trasporto di minerali verso il mare. Un altro aspetto rilevante nelle relazioni della Cina con i paesi del Mediterraneo è il commercio di armi. Qui il flusso riguarda essenzialmente l’importazione cinese di materiale sofisticato da Israele e la fornitura di materiale meno sofisticato a diversi stati dell’area (Egitto, Libia, Siria); materiale militare di produzione cinese, probabilmente giunto via Iran, è stato peraltro utilizzato dall’Hezbollah libanese nella guerra del 2006. A scopo solo civile vuole invece essere la fornitura cinese di tecnologia nucleare, come nel caso dell’Algeria e potenzialmente dell’Egitto. Gli investimenti cinesi si sono estesi al di là del settore energetico, interessando settori assai diversi quali minerali, cemento, chimica, alluminio, automobili, telecomunicazioni, ecc. Secondo la banca dati MIPO, nel 2003-2006 la Cina ha investito nel Mediterraneo 1.475 milioni €, di cui 701 in Egitto, 543 in Algeria, 108 in Siria e cifre inferiori in Tunisia, Israele, Giordania e Turchia. Un approfondimento meritano i tre casi più significativi: Algeria, Siria ed Egitto. Quella con l’Algeria, che attualmente fornisce solo l’1% delle importazioni energetiche cinesi, sembra la relazione energetica più promettente. Nonostante l’intensa concorrenza statunitense ed europea, gli investimenti cinesi nel settore energetico algerino si sono moltiplicati: la Cina ha firmato accordi per la costruzione di raffinerie e potrebbe diventare cliente del Gnl algerino. Nel giro di pochi anni la presenza cinese si è affermata inoltre nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici, dove il gruppo cinese CITIC ha vinto insieme alla CRCC l’appalto per la costruzione dei tratti centrale e occidentale dell’autostrada Est-Ovest. Ma è in campo commerciale che la Cina ha la performance migliore: nel 2007 è stata il terzo fornitore dell’Algeria (2,3 miliardi $) subito dietro all’Italia; ma mentre le importazioni dalla Cina hanno registrato un incremento del 34,5%, quelle dall’Italia si sono limitate a un +1,1%. Ulteriori tasselli nelle relazioni bilaterali sono stati messi in occasione della visita di Li Changchun: un accordo per la realizzazione di un centro di formazione per grandi progetti pubblici e un’intesa per la cooperazione nello sviluppo del nucleare civile. Le relazioni economiche della Cina con la Siria hanno iniziato a intensificarsi a partire dal 2000 e un ulteriore incremento si è avuto dopo la visita del presidente Bashar al-Assad in Cina nel 2004 e la creazione del Business council sino-siriano. Nel giro di pochi anni le esportazioni cinesi verso la Siria sono notevolmente aumentate tanto che nel 2006 la Cina è diventata il secondo fornitore (691 milioni $ contro i 174 del 2000) dopo la Russia, mentre nel 2007 dovrebbe essere balzata al primo posto (1,8 miliardi $, secondo i dati cinesi). Inoltre, nel 2006 la Cina è risultata il secondo investitore non arabo in Siria. L’intensificarsi delle relazioni economiche tra Siria e Cina si spiega in parte anche alla luce delle tensioni con i paesi occidentali, e in particolare delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Grazie alla collaborazione di paesi come la Cina le sanzioni statunitensi sulle forniture di tecnologie non sono riuscite a bloccare lo sviluppo del settore energetico siriano. Nel 2004 è stata creata una società mista per lo sviluppo del campo petrolifero di Kawkab. Negoziati sono in corso con la CNPC per la costruzione di una raffineria che dovrebbe avere una capacità di 70.000 b/d. La compagnia cinese collabora anche all’ammodernamento di cinque giacimenti petroliferi. La Siria ha anche proposto la creazione di una zona industriale cinese, di una banca d’investimento sino-siriana e di un parco delle telecomunicazioni. Per quanto riguarda infine l’Egitto, accordi per lo sfruttamento del gas sono stati firmati nel 2006. Particolarmente significativa è l’intesa di ottobre 2007 che prevede la creazione di una zona industriale vicino a Suez. La zona, che si estenderà su un’area di cinque chilometri quadrati, dovrebbe ospitare aziende cinesi del settore tessile, elettronico, dell’auto e componenti, dei materiali per l’industria energetica. La strategia cinese tende in prospettiva a utilizzare l’Egitto come base produttiva non solo per il consumo interno ma anche per l’esportazione verso l’Europa, sfruttando l’accordo di libero scambio che l’Egitto ha con l’Unione europea. La presenza cinese va dunque al di là della ricerca di risorse energetiche e la Cina è ormai anche nel Mediterraneo un concorrente temibile tanto sul piano commerciale quanto nelle grandi commesse e negli investimenti diretti. Sebbene in misura inferiore ad altri paesi europei (ad esempio nel Maghreb la Francia perde maggiori quote di mercato), l’Italia patisce sensibilmente questa concorrenza. Tuttavia, la fase più difficile sembra conclusa, come mostrano gli ottimi risultati dell’interscambio con i paesi mediterranei nel 2007: le esportazioni italiane verso l’area sono cresciute a un tasso più elevato delle esportazioni totali (+14% rispetto a +10%) e la composizione settoriale segnala una forte ripresa dei comparti tradizionali. Si conferma così l’importanza per l’Italia di questa regione e l’interesse prioritario per la revisione in corso della politica europea verso il Mediterraneo.