5 - Axada Catania

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5 - Axada Catania
AxadActivity
News Odontoiatria
News Medicina
Osteopatia e
Infermieristica
Editoriale
AppMed
Curiosità
Dura Lex… Sed Lex!
Storia della
Medicina
Rubrica di
Psicologia
SOMMARIO
Editoriale
REDAZIONE
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Una nuova moda: fare ricorso per accedere in Medicina
AxadActivity
5
Quattro anni di Axada!
News Medicina
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L’immunoterapia contro i tumori
Nanotecnologie e tumori: nuove speranze per il tumore del
pancreas?
News Odontoiatria
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Infermieristica e Osteopatia
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Dura Lex…sed Lex!
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La saliva e la predisposizione alla depressione
Il trattamento delle lesioni cutanee con metodi naturali
Benefici dell'attività motoria preventiva e adattata nei
soggetti asmatici
L’importanza del consenso informato nel rapporto
medico paziente
Numero chiuso al capolinea? E il sistema francese?
La R.C. medica. Ciò che esce dalla porta rientra dalla
finestra.
Storia della Medicina
22
AIC mobile
Rubrica di Psicologia
23
Professionisti della mente: un primo step nell'approccio
alla salute psichica
Curiosità
Il Lindy Hop approda in Sicilia e cattura Catania
CONTATTACI
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CAPO REDATTORE
Paola Tirrò
REDAZIO NE
Antonio Arena
Salvatore Biondi
Elena Cammarata
Ludovica Fuochi
Patrizia Minona
Alessio Platania
Salvo Privitera
Stefano Rizza
Marco Romano
Giuseppe Sarpietro
Giacomo Scuderi
Maria Vittoria Trimarchi
Stefano Zanghì
21
La strumentazione chirurgica
AppMed
DIRETTORE
Mario Ragusa
Simona Zappalà
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SEDE
Sede Axada Catania,
Policlinico di Catania,
Edificio 1, I piano.
Editoriale
UNA NUOVA MODA: FARE RICORSO PER
ACCEDERE IN MEDICINA
Simona Zappalà
Tra i temi “caldi” che da qualche mese sentiamo trattare in ambito
universitario, i più discussi riguardano i ricorsi che molti aspiranti medici
hanno presentato al Tar e al Consiglio di Stato per poter accedere
all’ambitissima facoltà di Medicina e Chirurgia.
Sebbene anche negli anni scorsi un certo numero di studenti abbia presentato ricorso nel tentativo,
spesso vano, di entrare in facoltà da canali diversi, quest’anno si può dire che si sia diffusa la “moda del
ricorso” e le motivazioni per poterlo fare, a detta degli avvocati, sono state parecchie.
Molti studenti hanno denunciato anomalie durante lo svolgimento dei quiz in alcune aule di determinati
atenei: ad esempio l’apertura, prima del tempo prestabilito, dei plichi nella facoltà di Bari. Altri hanno
sottolineato la possibilità di risalire ai nominativi dei partecipanti, attraverso il codice presente in ogni
plico, contenente i fogli con le domande dei quiz, cosa che violerebbe le norme dell’anonimato e che
quindi favorirebbe il riconoscimento dei candidati, alimentando il circolo vizioso delle
“raccomandazioni”. Gli aspiranti medici, inoltre, diversamente dagli anni scorsi, hanno dovuto
affrontare la difficile prova dei quiz nella parte finale dell’anno scolastico, proprio quando avrebbero
dovuto impegnarsi per gli esami di Stato.
In questa situazione di disordine, la parte del “leone” l’hanno fatta alcuni avvocati, i quali hanno
approfittato di queste elevatissime richieste di ricorsi per pubblicizzarsi, rendersi noti a livello nazionale
e ricavarne notevoli guadagni, promettendo ai ricorsisti probabili vittorie e, ad onor del vero, sembra
che nella prima fase abbiano avuto ragione: infatti, al contrario degli anni scorsi, il Tar del Lazio ha
accolto i ricorsi e attualmente si sono immatricolati con riserva circa 5350 studenti, circa il 50% in più
rispetto ai 10 mila posti inizialmente fissati e suddivisi tra i vari atenei italiani.
Un numero così elevato di studenti ha già mostrato i limiti della vociferata “Riforma Giannini”, che
prevede l’apertura degli atenei a tutti gli aspiranti medici almeno per il primo anno, perché le aule delle
facoltà di medicina e i laboratori annessi non sono predisposti ad accogliere una massa tale di studenti.
Ciò comporta sovraffollamento, confusione durante le lezioni e rischi per la sicurezza (vi sono ragazzi
costretti a seguire le lezioni dalle scalinate delle aule, ostacolando le vie di fuga). Oltre alle aule, il
problema riguarderà anche l’organizzazione
dei tirocini nei reparti ospedalieri, cosa
particolarmente utile per la formazione dei
medici.
Tale situazione ha scatenato il disappunto di
molti docenti e rettori, i quali hanno anche
minacciato le dimissioni in massa.
A causa di quanto accaduto inoltre l’inizio
delle lezioni è stato posticipato in molti atenei
e addirittura la Facoltà di Palermo ha ben
pensato di eseguire le lezioni in streaming via
internet per gli studenti “ripescati”.
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I ricorsi inoltre non hanno tenuto conto del merito e molti degli studenti che sono riusciti a
immatricolarsi con riserva ai test di ingresso, avevano ottenuto un punteggio eccessivamente basso, tale
da risultare molto distante dalla graduatoria dei posti disponibili.
Ciò appare poco corretto sia nei confronti dei ragazzi che
con grande impegno sono riusciti a classificarsi nei posti
regolari, sia di quelli che magari non hanno ottenuto
l’accesso alla Facoltà per poco.
Alla luce di queste novità, da studente di medicina, chiedo
al ministro Giannini che, quantomeno, si faccia chiarezza
sul futuro della nostra facoltà e che non si debbano
ripetere negli anni a venire tutti quegli errori legati
all’organizzazione sia dei test d’ingresso al primo anno
che di quelli per le scuole di specializzazione al termine
dei sei anni, poiché dalla serietà dell’accesso e
dall’organizzazione dei corsi dipende la formazione dei futuri medici e di conseguenza la salute dei
cittadini.
Bacheca
ISCRIVITI
Visita la sezione Iscriviti del sito
dell’Associazione, qui troverai tutte
le informazioni utili per l’iscrizione
ad Axada e gli scopi che si prefigge
l’Associazione!
Potrai scaricare direttamente la
domanda di iscrizione, compilarla
e presentarla presso la sede
dell’Associazione durante gli orari
di ricevimento.
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AxadActivity
QUATTRO ANNI DI AXADA!
Dott. Mario Ragusa
Era esattamente il 6 luglio
di 4 anni fa quando
nasceva una splendida
realtà
associativa
territoriale:
l’Associazione
socio-culturale Axada Catania.
Da suo socio, sin dai primi passi di questa
Associazione, posso affermare con certezza che la
crescita esponenziale di Axada è stata guidata in
primis dalla voglia e dalla determinazione di ogni
suo singolo membro.
La passione, la voglia di fare e la necessità, talora, di
fare qualcosa di più di quello che ci viene offerto dal
nostro territorio, hanno guidato questi anni di
attività frenetica in ogni singolo ambito di cui si
occupano i membri di Axada: i corsi e i
congressi, riservati ai giovani medici, agli
studenti e agli operatori della sanità, le splendide
iniziative, dalla campagna di donazione del
sangue alla Clown Therapy, ai cineforum, alle
serate insieme, alle opere di beneficienza.
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Se vuoi far parte del progetto Magazine o proporre un’idea
o un articolo da pubblicare sui numeri successivi.
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La stessa passione che ha guidato i veterani è
stata trasmessa ai nuovi appartenenti
all’Associazione, perché soltanto così è possibile
riconfermarsi di anno in anno come una delle
realtà più attive nel panorama associativo
catanese.
Forse le immagini possono rendere meglio l’idea di
quanto espresso a parole. Posso solo augurare il
meglio per questa grande famiglia che basa la sua
forza sull’unione e lo spirito di gruppo, per
raggiungere, attraverso le asperità, le stelle.
Per Aspera ad Astra!
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News Medicina
L’IMMUNOTERAPIA CONTRO I TUMORI
Giuseppe Sarpietro
Alla fine di ogni anno la rivista scientifica “Science” sceglie “the
breakthrough of the year”: nel 2013 il passo in avanti nel panorama medico è
stato l’introduzione dell’immunoterapia in oncologia.
L’immunoterapia segna un ruolo totalmente differente nel trattamento dei
tumori: prende di mira il sistema immunitario e non il tumore stesso. Una
rivoluzione nelle terapie oncologiche che vede i primi passi già negli anni ’80,
quando James Allison, immunologo dell’Anderson Cancer Center di Houston, Texas, identificò il
recettore CTLA-4 (o CD152) dei linfociti T.
Questo recettore, a seguito dell’interazione con uno dei suoi ligandi (B7 1 e B7 2), trasmette segnali che
inibiscono l’attività dei linfociti T citotossici. Da qui l’intuizione che ha permesso ai ricercatori delle
principali multinazionali farmaceutiche di sperimentare farmaci che riescano a potenziare il sistema
immunitario grazie ad un meccanismo indiretto.
Uno di questi, l’Ipilimumab, è un anticorpo monoclonale che
legando il recettore CLTA-4 ne impedisce l’interazione con i suoi
ligandi: si blocca, quindi, la segnalazione inibitoria a carico dei
linfociti T citotossici, che possono cosi essere arruolati dal sistema
immunitario per aggredire le cellule cancerogene.
Di recente un secondo anticorpo monoclonale, il Nivolumab, ha
come bersaglio un altro recettore inibitorio: PD-1 (programmed
death – 1).
Gli studi clinici hanno solidificato il potenziale dell’immunoterapia,
dimostrando come in pazienti con tumori in fase avanzata
aumentava la sopravvivenza. Le neoplasie trattate con il primo
farmaco, con il secondo o con entrambi sono: il melanoma
metastatico, il carcinoma polmonare non a piccole cellule e il
carcinoma renale.
Infine un altro promettente approccio dell’immunoterapia è in fase di sviluppo: la CAR therapy
(chimeric antigen receptor therapy). Questa mira a rendere le cellule T più combattive nei confronti dei
tumori mediante l’utilizzo dell’ingegneria genetica. In pratica vengono raccolte le cellule T migrate
all’interno dei tumori, modificate in laboratorio e reintrodotte nel paziente.
Questa tecnica però presenta dei limiti in quanto è possibile effettuarla solo quando il tessuto tumorale è
facilmente reperibile, come ad esempio nei tumori del sangue.
Difatti l’ingegnerizzazione delle cellule T, attualmente utilizzata come terapia sperimentale nel
trattamento delle leucemie, sta dando risultati incoraggianti. Questi studi ci consentono di affermare
che si è aperto un nuovo capitolo nell’ambito dell’oncologia medica.
Si tratta di un primo importante traguardo scientifico, che altro non è se non il trattare il cancro
utilizzando il sistema immunitario, ovvero sfruttando la potenza di quell’insieme di organi, tessuti,
cellule circolanti che rappresentano un vero e proprio scudo silenzioso, preposto alla protezione
dell’organismo.
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NANOTECNOLOGIE E TUMORI: NUOVE SPERANZE PER IL
TUMORE DEL PANCREAS?
Stefano Rizza
Una vera e propria rivoluzione ha investito, negli ultimi anni, la pratica
clinica e nuovi percorsi terapeutici hanno fatto il loro ingresso, alimentando
grandi speranze verso malattie di fronte alle quali le armi della medicina si
rivelano da tempo impotenti.
Stiamo parlando della “nanomedicina”, non più fantascienza ma realtà. Quello della
nanomedicina è un affascinante settore che sembra costituire sempre più la strada da seguire per la
ricerca futura, specialmente per quella in campo oncologico. Le nanotecnologie si sono così confermate
come un’innovazione trasversale, in grado di portare benefici in tantissimi settori: dal campo
agroalimentare a quello industriale, passando per il settore della genomica fino al campo medico.
Già nel 2012 Mauro Ferrari, l’inventore della
nanomedicina oncologica e presidente del
Methodist Hospital Research Institute of Houston,
dichiarava che entro i successivi 10 anni il mondo
della farmaceutica sarebbe stato dominato dai
nano-farmaci ed i successi recenti nel campo della
ricerca non possono che dargli ragione. Dopo aver
così aperto nuove prospettive per il tumore al seno
metastatico, la nanomedicina si appresta a fare
irruzione anche nel tumore pancreatico, dalla
prognosi notoriamente infausta e dall’incidenza
purtroppo sempre crescente.
L’adenocarcinoma pancreatico è a oggi una delle prime cinque cause di morte nell’età compresa tra i 50
e i 70 anni. Malattia subdola e dai sintomi aspecifici, si caratterizza anche per l’assenza di marker
specifici e ciò rende la diagnosi precoce molto difficile. Le stime suggeriscono che, alla diagnosi, il
tumore è metastatico nel 60% dei casi, mentre è localmente avanzato nel 30% dei casi e solo nel 10% è
resecabile chirurgicamente. Succede così che nella maggior parte dei casi il paziente va incontro a morte
entro il primo anno dalla diagnosi.
I ricercatori però sembrano aver trovato una nuova via, che permette di poter guardare con più
ottimismo a questo male “invincibile”. Il nuovo farmaco, proposto come trattamento di prima linea per
il carcinoma pancreatico avanzato, è il paclitaxel legato all’albumina in nanoparticelle (detto nabpaclitaxel), in combinazione con gemcitabina: se la corazza di tessuto connettivo, che caratterizza questo
tumore, l’ha reso per anni impenetrabile ai chemioterapici finora a disposizione, questo farmaco si è,
invece, rivelato altamente in grado di raggiungere il suo target. Studi preclinici hanno dimostrato che la
formulazione paclitaxel-albumina raggiunge il microambiente tumorale in modo più efficiente rispetto a
paclitaxel disciolto in solvente: l’albumina permette al paclitaxel di superare le cellule endoteliali,
legandosi al recettore gp60, formando caveole che racchiudono il complesso recettore-albuminapaclitaxel. L’apertura delle caveole fa in modo che paclitaxel-albumina sia veicolato in modo mirato
nell’interstizio tumorale, dove l’albumina si accumula legandosi abbondantemente con la proteina
SPARC, consentendo cosi la penetrazione di maggiori quantità di principio attivo.
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Le nano particelle agiscono, pertanto, come “Tir” o “droni”, che trasportano il farmaco direttamente al
loro bersaglio, cioè la cellula tumorale. Nel nostro specifico caso, è possibile ottenere livelli di paclitaxel
libero nell’organismo 10 volte superiori rispetto a quelli rilasciati dalla formulazione tradizionale e
raggiungere concentrazioni più alte del 33% all’interno delle cellule tumorali. Tutto questo senza
provocare reazioni allergiche in quanto non vengono utilizzati solventi chimici.
La nuova indicazione si basa sui risultati positivi dello studio MPACT (Metastatic Pancreatic
Adenocarcinoma Clinical Trial), un trial internazionale di fase III, randomizzato e in aperto, che ha
coinvolto 861 pazienti con carcinoma pancreatico metastatico: nel gruppo trattato con il nuovo farmaco
si è osservato un aumento del 59% della sopravvivenza a un anno e un raddoppio della sopravvivenza a
2 anni.
Ad oggi, dopo l’approvazione da parte della FDA, si attende che anche l’AIFA faccia lo stesso, evitando
tempi lunghi che, sicuramente, mal si conciliano con l’urgenza dei pazienti oncologici in fase
metastatica a cui questo farmaco è rivolto. L’auspicio è, come spiega Stefano Cascinu, Presidente
dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), è che i farmaci hi-tech “siano sempre più
accessibili a tutti, senza ritardi per ragioni economiche o di burocrazia”, un pensiero che non possiamo
far altro che condividere.
Bacheca – Sito Web
AREA
STUDENTI
Visita l’Area Studenti del sito
dell’Associazione, qui troverai
tanti materiali utili per il tuo
corso di studi.
L’area si compone di due parti:
- Studenti Medicina e
Chirurgia
- Studenti Odontoiatria e
Protesi Dentaria
All’interno della sezione potrai trovare appunti, dispense, linee guida, manuali interattivi, materiali dei
congressi e tanto altro!
LINK:
http://www.axadacatania.com/area-studenti/
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News Odontoiatria
LA SALIVA E LA PREDISPOSIZIONE ALLA
DEPRESSIONE
Dott. Salvo Privitera
Uno dei mali oscuri che da centinaia di anni affligge l’animo della
popolazione umana si chiama depressione. Con il tempo gli studiosi sono
riusciti a identificare quello che per primo Ippocrate chiamò “melanconia”
osservando le oscillazioni di umore nelle persone. I disturbi dell’umore
rappresentano una patologia molto diffusa e un frequente motivo di consulto
medico. Circa il 20 % della popolazione nell’arco della vita può andare incontro a questi disturbi, con un
picco di incidenza tra i 18 e i 44 anni e una media di 30 anni.
Una recentissima ricerca inglese, direttamente da Cambridge e
pubblicata su una autorevole rivista scientifica, pone
l’attenzione sul crescente aumento di giovani depressi e
identifica questa patologia come uno dei problemi più urgenti da
affrontare in previsione del prossimo decennio.
I ricercatori per la prima volta hanno identificato un bio-marker
in grado di individuare i livelli di stress nella saliva umana
prelevata durante una comune visita odontoiatrica.
L'esame dei campioni di saliva, eseguito dagli odontoiatri durante un periodo di 3 anni, ha rivelato che i
soggetti di sesso maschile, rispetto a quelli di sesso femminile, hanno una maggiore probabilità di
sviluppare la depressione. I livelli di cortisolo, l’ormone dello stress per eccellenza, misurato nella saliva
di tali pazienti, erano più alti al mattino nei maschi che avevano una probabilità maggiore di sviluppare
depressione clinica rispetto a quelli che non mostravano tali livelli.
La depressione clinica è una malattia grave e comune, che colpisce
una persona su sei ad un certo punto della loro vita. Le cause
d’insorgenza della depressione possono essere molteplici: fattori
genetici, temperamento individuale, eventi precoci, eventi di vita o
stress fisici e psicologici ma al momento nessuna di queste è
considerata più rilevante delle altre.
Solitamente alla depressione sono associati problemi con la
famiglia o con i coetanei, uno scarso rendimento scolastico o
universitario, la disoccupazione, l’abuso di alcol o droghe e cosa molto rilevante un alto tasso di
suicidio. I sintomi principali della depressione negli adolescenti sono rappresentati dall’irritabilità,
dalla stanchezza, dal mal di testa, mal di stomaco, nausea, vomito, inappetenza, disinteresse (apatia) e
incapacità di divertirsi.
Circa 7 ragazzi depressi su 10 non hanno più voglia di fare ciò che prima trovavano piacevole, circa 8
adolescenti depressi su 10 hanno cambiamenti del peso e dell'appetito, mentre circa 9 ragazzi depressi
su 10 non riescono a dormire bene.
La depressione negli adolescenti può avere sintomi diversi in base all'età. I ragazzi e le ragazze fino a 1013 anni hanno più frequentemente ansia, comportamenti di attaccamento eccessivo ai genitori, paure
senza motivi reali e sintomi legati al mal di pancia, mancanza di appetito, nausea, vomito e mal di testa.
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I ragazzi e le ragazze più grandi hanno in genere una
forte perdita di interesse e piacere per ciò che prima
facevano volentieri e pensano spesso alla malattia, alla
morte e di non poter diventare qualcuno nella vita.
Questa sofferenza non sempre è colta dalla famiglia, anzi
spesso viene nascosta e non curata per vergogna o
pregiudizio e anche da parte dello stesso ammalato.
Anche per questo probabilmente sono ancora pochi i casi
che vengono diagnosticati in modo corretto e ancora
meno quelli trattati correttamente.
Attraverso questa ricerca, adesso c’è un modo semplice
nonché affidabile ed economico per identificare gli
adolescenti e gli adulti che sono più a rischio di sviluppare una depressione clinica. L’utilizzo di questo
marker e la prevenzione come principale forma di aiuto volta ad arrestare il progredire di questo male, è
qualcosa che potrebbe veramente fare la differenza e ottenere risultati migliori in termini di qualità di
vita del paziente e la risoluzione definitiva del problema.
Bacheca – Sito Web
AREE
DEDICATE
Visita il nostro sito web e le
varie aree in esso presenti.
Nell’Area Giovani Medici e
nell’Area Giovani Dentisti
troverai tanti materiali utili
riguardo:
- Specializzazione;
- Corso specifico di
Medicina Generale;
- Offerte di Lavoro e Avvisi;
- News Mediche;
- Linee Guida (su Diagnosi,
Terapia e non solo);
- Calcolatori Medici;
- Prontuario Farmaceutico;
- Manuali Interattivi;
- Codici Deontologici.
LINK DIRETTI:
http://www.axadacatania.com/area-giovani-medici/
http://www.axadacatania.com/area-giovani-dentisti/
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Infermieristica e Osteopatia
IL TRATTAMENTO DELLE LESIONI CUTANEE
CON METODI NATURALI
Dott. Antonio Arena
Con il termine di lesione cutanea si intende l’interruzione dei tessuti causata
da agenti esterni. Molte sono le tipologie di lesione tessutale e tra queste
quella con maggiore impatto sociale è sicuramente la lesione da decubito. È
una lesione ad evoluzione necrotica che interessa la cute e gli strati
sottocutanei, fino a raggiungere, nei casi più gravi, la muscolatura e le ossa,
conseguenza diretta di una elevata e/o prolungata compressione, o di forze di taglio
(oppure di stiramento), causanti uno stress meccanico ai tessuti e l’angolatura dei vasi sanguigni. Sia
l’incidenza sia la prevalenza delle lesioni cutanee sono difficili da determinare a causa delle barriere
metodologiche che impediscono di formulare generalizzazioni dai dati disponibili. Negli anni l’uomo ha
dedicato tempo e denaro allo sviluppo di sostanze prevalentemente sintetiche per il trattamento delle
lesioni cutanee, superando così i rimedi naturali. Questi metodi possono essere classificati in metodi
‘‘vegetali’’ o ‘‘animali’’.
Trattamenti vegetali:
il miele è un antico rimedio per curare le ferite infette: favorisce la guarigione e la riduzione della
contaminazione batterica. Queste proprietà derivano dalla capacità del miele di stimolare la produzione
delle citochine (proteine molto importanti nella risposta immunitaria) e la proliferazione dei monociti
(cellule del sistema immunitario). Durante una sperimentazione effettuata con miele di Manuka, è stato
isolato un componente che stimola la produzione di TNF-alpha (citochina proinfiammatoria sintetizzata
in seguito a stimoli infiammatori e infettivi). Il miele di Manuka deriva dai fiori del Leptospermum
scoparium, originario della Nuova Zelanda e dell'Australia, e viene utilizzato da moltissimo tempo nella
medicina tradizionale Maori: esso si è dimostrato attivo contro il batterio Staphylococcus aureus.
Già nell'antichità il miele era ampiamente utilizzato per la rimarginazione delle ferite. Antichi papiri
egizi riguardanti le tecniche chirurgiche lo citano come rimedio, così come anche testi greci, cinesi e
della medicina ayurvedica tradizionale. Più recentemente, nella seconda guerra mondiale, bendaggi al
miele erano comunemente usati come antibiotici locali.
È stato utilizzato con successo in interventi di fissazione degli innesti cutanei, nel piede diabetico e nel
trattamento delle ulcere da pressione. Lo studio condotto dal ricercatore neozelandese Andrew Jull,
dimostra che spalmare il miele sulle ustioni può ridurre il tempo di guarigione della lesione fino a
quattro giorni. Il miele secca le ferite e contiene perossido di idrogeno: queste proprietà contribuiscono
all'eliminazione dei batteri.
Per curare le ferite e le ulcere dei pazienti ricoverati o operati, il dott. Bernard Descottes, capo del
Dipartimento di chirurgia interna e trapianti dell'ospedale di Limoges, ha sperimentato questa
“apiterapia”, trovando più efficaci i mieli di timo e di melata, dopo averne provati diversi tipi. Sono state
curate con successo le ulcere e le piaghe di difficile cicatrizzazione di oltre 3mila persone, grazie al
perossido di idrogeno e alle molecole benefiche del miele: lo zucchero contenuto nella squisita sostanza
cicatrizza le ferite asciugandole per osmosi, mentre altri composti organici agevolano la produzione di
citochine e interleuchine precicatrizzanti. Il protocollo terapeutico specifico usato a Limoges consente
cure 2 volte più rapide e 100 volte meno costose delle medicazioni grasse.
Olio di iperico: è un olio ottenuto dalla macerazione dei fiori di Hypericum perforatum in un olio
vegetale, e dotato di una potente azione cicatrizzante, utilissimo in caso di ustioni, scottature, ferite e
piaghe da decubito.
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“Serbatoio” naturale di carotene e flavonoidi, l’olio di iperico è conosciuto anche col nome di olio di San
Giovanni. L’olio di iperico è impiegato fin dall’antichità per le sue proprietà cicatrizzanti ed emollienti,
capaci di stimolare la rigenerazione cellulare. Per questo il motivo è usato da sempre contro le ustioni,
l’eritema solare, contro le macchie della pelle, la psoriasi, la secchezza della cute del viso e del corpo,
l’invecchiamento cutaneo, le piaghe da decubito, le smagliature, le cicatrici e i segni provocati dall'acne.
Amido di mais e ossido di zinco: sono sostanze adatte a contrastare l'intertrigine (dermatite della
pelle causata dallo sfregamento continuo di due zone del corpo, disturbo molto frequente in persone
sovrappeso ed obese). La pelle appare screpolata e le piaghe faticano e rimarginare, solitamente a causa
dell'aumento eccessivo del peso: la cute perde la sua naturale elasticità e il tessuto, meno irrorato, si
apre e crea piaghe dolorose. L'amido di mais e l'ossido di zinco sono adatti per le ferite che suppurano e
agiscono anche come astringenti, lenitivi ed anti-prurito.
Fitosteroli derivati dai semi di colza (Brassica napus): i fitosteroli stimolano la divisione cellulare,
migliorano le funzionalità di membrana agendo come riepitelizzanti. Hanno effetto antinfiammatorio,
riducono la desquamazione e l'arrossamento.
Aloe vera: è una sostanza con proprietà riepitelizzanti, antinfiammatorie e rinfrescanti, che danno al
soggetto una sensazione di sollievo immediata. È ricco di polisaccaridi, vitamine e acidi organici che
favoriscono l'attività cicatrizzante e pseudo-analgesica.
Burro di Karitè : con proprietà eudermiche, elasticizzanti, nutritive ed emollienti. Forma un leggero
film protettivo sulla pelle che le permette di traspirare senza tuttavia disperdere troppa umidità e
protegge l'epidermide. Il Burro di Karitè assicura inoltre l'apporto di preziosi lipidi: questo significa che
non si otturano i pori, apportando sostanze utili ed equilibranti.
Trattamenti animali:
Larve: negli ultimi anni si è manifestato un crescente interesse sull’applicazione di larve per il
debridement di ulcere cutanee. L’efficacia di questa terapia era già stata segnalata durante la guerra
civile americana e successivamente durante la prima guerra mondiale, dopo che i soldati che
presentavano delle larve nelle loro lesioni non andavano in contro a gangrena dell’arto interessato.
Dopo l’introduzione degli antibiotici e di cure alternative, l’uso delle larve è diminuito drasticamente.
Le larve utilizzate nel debridement di ulcere cutanee originano dalla Lucilia Sericata, hanno una
lunghezza di 2-3 mm. e sono prodotte e commercializzate in condizioni di sterilità. Dopo la loro
applicazione sulla lesione, le larve si nutrono solamente del tessuto necrotico e producono dei potenti
enzimi proteolitici che degradano e dissolvono il tessuto devitalizzato. In condizioni ambientali
favorevoli, le larve crescono rapidamente, raggiungendo dimensioni di 8-10 mm dopo circa 3 giorni. A
questo punto sono pronte per essere rimosse. In aggiunta alla rimozione del tessuto devitalizzato dal
fondo dell’ulcera, è emerso che le larve producono una secrezione che ha spiccata attività antibatterica.
Il numero di larve da applicare è di circa 10 per cm2 e questo gruppo viene coperto da una fine rete, che
applicata sulla lesione ed ancorata su un idrocolloide consente un drenaggio dell’essudato.
Normalmente un’unica applicazione di larve è sufficiente per ottenere una buona granulazione, tuttavia
ripetute applicazioni possono rendersi necessarie per lesioni particolarmente critiche.
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BENEFICI DELL'ATTIVITÀ MOTORIA
PREVENTIVA E ADATTATA NEI SOGGETTI
ASMATICI
Dott. Marco Romano
L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Piano Sanitario Nazionale
sottolineano che l’attività fisica è uno degli strumenti più efficaci per la
prevenzione e la regressione di molte patologie. L’esercizio fisico però nella maggior
parte dei soggetti asmatici e in un’elevata percentuale di soggetti allergici (anche in assenza di
precedenti episodi asmatici) può scatenare ostruzione bronchiale e “affanno”, limitando la possibilità di
praticare diverse attività motorie e discipline sportive.
I progressi in ambito sportivo, medico e farmacologico hanno permesso la convivenza tra Asma e Sport,
dimostrando che un’adeguata attività fisica, rappresenta un importante mezzo di prevenzione per asma
e allergie.
L’Asma è una delle malattie respiratorie croniche più diffuse nel mondo, che si manifesta attraverso
un’infiammazione cronica delle vie aeree, caratterizzata dai cosiddetti “attacchi d’asma”: tosse, senso di
costrizione toracica, respiro sibilante (Wheezing), difficoltà respiratorie, sono sintomi conseguenti a un
restringimento reversibile delle vie aeree.
L’Asma da sforzo
Uno stimolo causa di asma è lo sforzo fisico intenso e duraturo in soggetti predisposti. Le cause sono
diverse: la bronco-ostruzione può essere causata dall’aumento della frequenza respiratoria, che provoca
una perdita notevole di calore e di umidità nei bronchi infiammati che reagiscono riducendo il lume e
quindi aumentando la resistenza dell’aria. Per lo stesso motivo gli ambienti freddi e poco umidi (sport
invernali, jogging invernale ecc.) sono sfavorevoli al soggetto asmatico, di contro le attività motorie
svolte in ambienti umidi, come il nuoto o discipline sportive praticate in condizioni climatiche miti,
sono favorevoli.
Che attività fisica bisogna praticare? Quali sono rischi? La risposta sta nel cogliere la correlazione che
c’è tra sforzo fisico e attività motoria. L’attività motoria specifica e adattata è una pratica
individualizzata, scelta dopo un’oculata valutazione Medica e Sportiva, sicura e funzionale, che
“potenzia” il corpo da un punto di vista organico, metabolico, psichico e immunologico, un adattamento
a 360° che si traduce con il tempo in una possibile regressione dei sintomi. La possibilità di un soggetto
“sedentario” di avere un attacco d’asma, semplicemente salendo le scale, è di gran lunga superiore
rispetto a un soggetto “allenato”, che risponderà meglio a tale sforzo fisico. I miglioramenti in termini di
“qualità di vita” non sono assolutamente trascurabili.
I benefici della “sport-terapia”
Lo sviluppo psicofisico non è l’unico motivo per avvicinare ed educare tutti ad una sana e controllata
attività fisica. Una pratica specifica e individualizzata, è da considerarsi una vera e propria terapia,
riducendo quei fattori di rischio, che scatenano l’attacco d’asma.
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• Benefici Cardiorespiratori: meccanismo di adattamento fisiologico. L’organismo sottoposto ad un
allenamento risponde in modo ottimale attraverso un aumento gittata sistolica, una riduzione della
frequenza cardiaca e una migliore capacità di estrazione dell’ossigeno (dipende dalla capacità delle
cellule di estrarre ossigeno, dalla densità del letto capillare e dalla ventilazione polmonare).
Soggetti allenati possono eseguire, a parità di tempo, esercizi di intensità più elevata o, a pari intensità,
esercizi di più lunga durata rispetto a soggetti non allenati.
• Benefici respiratori: la capacità ventilatoria aumenta parallelamente al massimo consumo di ossigeno.
La ventilazione aumenta sia per aumento della profondità sia per la frequenza. I soggetti allenati
ventilano con una bassa frequenza rispetto ai non allenati e questo è molto utile, poiché
l’iperventilazione è tra le cause principali da cui deriva l’asma da sforzo.
• Benefici Neurofisiologici della “Broncodilatazione”: all'inizio dell'attività fisica la broncodilatazione è
causata dalla liberazione di catecolamine, che agiscono sui muscoli lisci della parete bronchiale.
Un’attività fisica adattata e controllata può sfruttare al meglio questo effetto neurofisiologico
prevenendo la broncocostrizione e la conseguente crisi asmatica.
• Vantaggi sul piano psicologico: un forte stimolo emotivo come una gara o l’esibizione davanti al
pubblico potrebbe scatenare un attacco asmatico. Con l’esperienza e il tempo, i soggetti imparano a
gestire e controllare queste situazioni di forte stress emozionale. E’ stato dimostrato che un’attività fisica
regolare favorisce una condizione psicologica positiva, inducendo una riduzione dell’ansia e della
depressione, un miglioramento dell’umore, della stima in se stessi e del proprio valore.
•Controllo respiratorio: un soggetto che si avvicina all’attività fisica impara a controllare e a gestire l’atto
respiratorio durante lo svolgimento dell’attività durante la quale è preferibile la respirazione nasale (sia
in inspirazione che in espirazione), capace di umidificare e riscaldare l’aria inalata durante gli esercizi e
favorire la profondità piuttosto che la frequenza degli atti respiratori.
•Benefici sul Sistema immunitario: anche se i meccanismi non sono del tutto noti, l’attività fisica
rafforza il sistema immunitario, inducendo una migliore risposta a infezioni o riducendo le allergie.
•Riduzione del peso corporeo: l’aumento di massa magra e la diminuzione della massa grassa negli
asmatici obesi si traducono in un miglioramento nella funzione polmonare, nei sintomi di asma, e nella
riduzione dell’uso di farmaci per asma.
Che attività scegliere?
Le attività consigliate sono quelle svolte nei luoghi umidi e miti. Sono da preferire le attività che
prevedono delle pause (nuoto, sport di squadra, attività aerobica/anaerobica intervallata).
Le attività più rischiose sono quelle svolte nei luoghi freddi con rapidi cambiamenti climatici. Da
preferire attività di lunga durata a intensità costante (giochi invernali, sci di fondo, corsa prolungata).
L’attività motoria è un mezzo efficace per la prevenzione e il controllo dell’asma, non è un pericolo.
L’esclusione dei soggetti asmatici dalla pratica sportiva è assolutamente ingiustificato. Non tutte le
attività motorie però sono favorevoli: nasce quindi la necessità di un attività sempre più specifica e
adattata alle esigenze individuali, somministrata da un equipe esperta (Medico specialista e specialista
delle attività motorie adattate). Purtroppo ancora oggi le collaborazioni tra medici e laureati in scienze
motorie sono davvero poche, bisognerebbe dare più peso a queste attività, per fornire all’asmatico un
servizio sicuro e di qualità.
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Dura Lex… sed Lex!
L’IMPORTANZA DEL CONSENSO INFORMATO
NEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
Dott.ssa Ludovica Fuochi
“Se qualcuno desidera recuperare la salute bisogna innanzitutto chiedergli
se è pronto ad eliminare le cause della sua malattia. Solo allora è possibile
aiutarlo” (Ippocrate).
Sin dagli albori della professione medica il concetto di “consenso informato”, seppur non ben delineato,
veniva ricondotto essenzialmente alla necessità di preoccuparsi di non far soffrire il paziente e di non
risultare coinvolto nella sua possibile morte. Il medico dunque aveva il dovere di ripristinare l’ordine
della natura sconvolto dalla patologia ed il paziente, dal canto suo, doveva accettare quanto proposto dal
medico. Pertanto, il consenso all’atto medico veniva considerato implicito nella stessa richiesta di aiuto
da parte del paziente.
Tale visione “paternalistica” si incrinò in primis con l’avvento del pensiero illuministico, grazie al quale
iniziò il processo di riconoscimento dell’opportunità di dare al paziente informazioni circa il suo stato di
salute e sulla terapia in atto. Alcuni anni dopo, nel 1847, Thomas Percival pubblicò un lavoro che fu la
base del primo codice di deontologia medica della American Medical Association.
In esso veniva codificato il diritto del malato all’informazione, pur persistendo il diritto del medico alla
“benevolent deception”, inganno caritatevole, nei soli casi di prognosi sfavorevole. Furono poi sia il
processo con la sentenza di Norimberga, sia la dichiarazione di Ginevra del 1948 ad introdurre
internazionalmente il principio del diritto del malato alla autodeterminazione.
Il consenso informato consiste dunque nel fatto che il
paziente autorizza il medico, previa adeguata ed accurata
informazione, ad avviare un programma diagnosticoterapeutico che lo riguarda.
Pertanto, quello che un tempo era considerato un
affidamento “cieco” della propria salute al medico, oggi si
è trasformato nella c.d. therapeutic alliance, una
“alleanza” tra il paziente ed il proprio medico.
In questo frangente il consenso informato rappresenta un
fattore di espressione della libertà del singolo e si colloca
tra i diritti fondamentali riconosciuti dal nostro
ordinamento giuridico: in particolare, l’art.13 della Costituzione sancisce l’inviolabilità della libertà
personale, includendovi anche la libertà di salvaguardare la propria salute, e l’art.32 della Costituzione
che vieta, fra l’altro, l’imposizione di trattamento sanitario se non per disposizione di legge e, in ogni
caso, la legge stessa non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
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Nell’ambito della responsabilità medica, la portata del consenso informato è di tale rilievo che, secondo
i principi guida tracciati nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità, il trattamento sanitario effettuato
senza il preventivo consenso prestato dal paziente, sarebbe fonte di responsabilità risarcitoria
imputabile al medico e/o alla struttura sanitaria che abbiano omesso di richiederlo.
Passiamo infine alle caratteristiche del consenso: esso deve essere caratterizzato dalla piena
consapevolezza al trattamento sulla scorta delle informazioni specifiche ed esaustive sul tipo di
intervento predisposto, ivi comprese le alternative ad esso, i possibili esiti infausti e le relative
conseguenze, i rischi connessi ed anomali o collaterali (al riguardo, cfr. Cass. Civ., n. 2483/2010), gli
effetti sul paziente e quant’altro concerna il trattamento nel suo complesso; il consenso, inoltre, deve
essere offerto personalmente dal paziente, salvo i casi di incapacità totale.
A tal proposito, la Corte di Cassazione con una recente pronuncia (terza sezione civile, sentenza n. 19731
del 19 Settembre 2014) ha sottolineato che è sempre necessario informare il paziente dei rischi che un
intervento può comportare.
“Il fondamento del consenso informato (…) viene ad essere configurato come elemento strutturale dei
contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi
da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del
debitore della prestazione di garanzia è idonea a ledere diritti inviolabili della persona cagionando
anche pregiudizi non patrimoniali.
Pertanto l’informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su
un trattamento sanitario per accertamenti in prevenzione o in preparazione, se costituisce di per sé un
obbligo o dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed è elemento
indispensabile per la validità del consenso che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e
chirurgico, è inoltre un elemento costitutivo della protezione del paziente con rilievo costituzionale,
per gli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione assieme ad altre norme di diritto positivo, che nel corso del
tempo abbiano da aumentare le garanzie a favore dei consumatori del bene della salute”.
Per concludere, possiamo affermare che tra i meriti maggiori attribuibili alla pratica del consenso
informato vi è di certo quello di avere contribuito a migliorare il dialogo tra il medico ed il paziente che,
come abbiamo visto, non è mai stato particolarmente sviluppato.
Il consenso potrebbe dunque essere considerato un modo per trovare un equilibrio tra l’autonomia del
paziente e l’espressione della qualità professionale e umana del medico.
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NUMERO CHIUSO AL CAPOLINEA? E IL
SISTEMA FRANCESE?
Dott. Salvo Biondi
In questi ultimi mesi si è parlato spesso di ricorsi al Tar dovuti alla presenza
del numero chiuso nelle Facoltà di Medicina. Tutto questo è vero, tant'è che
diversi Tar in tutta Italia si sono pronunciati o si stanno pronunciando nella
direzione di dire “basta al numero chiuso”, ritenuto in contrasto con la
normativa e i principi europei. Sicuramente, da un lato, questa rappresenta una
buona occasione per tutti quelli che sognano l'ingresso in medicina, ma è anche vero che le strutture per
la loro formazione ideale non ci sono o non sono sufficienti.
Il Ministro dell'istruzione, università e ricerca Giannini, interrogata sul punto, ha ammesso che, a
partire dal 2015, il test d'ingresso alle facoltà di medicina sarà con molta probabilità sostituito “sistema
francese”.
Vediamo di capire in pillole su cosa è basato questo sistema.
Il primo anno di studi è comune a tutti gli indirizzi, quali
medicina, odontoiatria, farmacia e le altre simili. Al termine dei
sei mesi iniziali, gli studenti sono sottoposti a delle prove per
testare le competenze acquisite e, quelli che non si classificano,
possono essere orientati verso altri rami dell'Università. Nel
secondo semestre poi si scelgono una o più unità didattiche con
un percorso più specifico, oltre alla formazione congiunta.
Al termine di questi dodici mesi ci si trova davanti il primo vero spartiacque: l'esame di sbarramento.
Questa prova è basata su temi specifici di medicina, esplorati durante l'anno e si può tentare solo due
volte. In caso di fallimento, non resta che gettare la spugna, a meno di ottenere una deroga eccezionale.
I due anni successivi completano un ciclo e gli studenti ottengono il Diploma di formazione generale in
scienze mediche, titolo che chiude la prima parte di studi per il Diploma statale di dottore in medicina.
In tutto, però, il percorso di studi per arrivare a indossare il camice bianco si divide in tre cicli: il primo
di formazione generale che dura 3 anni, seguito da un altro triennio di formazione approfondita e da
ulteriori 3 o 5 anni di studi specializzati. La durata totale della formazione di un medico varia dunque da
9 (medicina generale) a 11 anni (specialità) e i banchi di prova sono due: l'esame del primo anno e le
prove di classificazione nazionale alla fine del sesto anno.
Ora resta da vedere come penserà di intervenire il Ministro e quale modello di accesso alle facoltà
porterà avanti. Ma ad oggi ci chiediamo se il sistema francese sia tutto rose e fiori. L’esultanza degli
eterni oppositori al numero chiuso dovrà insomma fare i conti con un nuovo sistema che, se da una
parte risolverà vecchi problemi, dall’altra potrebbe aprire nuove questioni.
Uno su tutti quello del sovraffollamento delle aule: in Francia, sono in genere disponibili più posti per
un minor numero di aspiranti medici, rispetto che in Italia (quasi 13mila per poco più di 54mila
studenti), ma, nonostante questo, il sovraffollamento dei corsi di primo anno fa sentire i suoi effetti
sulla didattica.
Mi auguro, quindi, che si trovi un sistema in grado di coniugare il diritto allo studio con le esigenze
didattiche. Ci riusciremo?
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LA R.C. MEDICA. CIÒ CHE ESCE DALLA PORTA
RIENTRA DALLA FINESTRA
Avv. Stefano C. Zanghì
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 17.07.2014, ha affermato che, a
seguito della Legge Balduzzi (L. 189/2012, art. 3, co. 1), la responsabilità
civile del medico “ospedaliero”1 per danno iatrogeno nei confronti del paziente
va inquadrata nell’alveo della responsabilità extracontrattuale o aquiliana.
Andiamo con ordine. In assenza di una legge ad hoc, per anni la giurisprudenza ha tentato di inquadrare
il rapporto tra paziente e medico all’interno di uno dei due grandi istituti del codice civile: la
responsabilità contrattuale (artt. 1218 e ss. c.c.) o quella extracontrattuale (artt. 2043 e ss. c.c.).
L’accostamento all’una o all’altra figura, infatti, comporta rilevanti conseguenze in ordine alla
ripartizione dell’onere della prova tra le parti (rispettivamente a carico del medico -quella liberatoria- e
a carico del paziente -quella positiva-) e della prescrizione (cinque anni nella seconda e dieci anni nella
prima).
Superando l’orientamento precedente e prendendo le mosse dalla tesi del “contatto sociale”, con
sentenza 589/1999, la Cassazione ha ritenuto operante l’art. 1218 c.c. quando il medico, pur legato da
rapporto di collaborazione con l’ospedale, “nel corso di un intervento operatorio o di una terapia
medica di facile o routinaria esecuzione, provochi un danno alla salute del paziente per omissione di
diligenza ed inadeguata preparazione”. Ed allora, tale medico “per andare esente da responsabilità
deve provare che l'insuccesso dell'operazione non è dipeso da un difetto di diligenza proprio”1. Il
rapporto tra il paziente e la struttura ospedaliera che lo aveva preso in cura veniva anch’esso inquadrato
nell’art. 1218 c.c. e la sua fonte era per alcuni un contratto obbligatorio atipico (definito di “spedalità” o
di “assistenza sanitaria”), per altri la legge istitutiva del Servizio Sanitario (L. n. 833 del 1978).
Tale impostazione, avallata anche dalle Sezioni Unite (sent. 577/2008), si è tradotta nella c.d. medicina
difensiva (positiva e negativa): controlli medici superflui, trattamenti non necessari, condotte omissive
nelle situazioni molto a rischio.
Al fine di ridurre l’aggravio economico a carico del S.S.N. della medicina difensiva è intervenuta la Legge
Balduzzi che, dopo avere introdotto una “parziale abolitio criminis degli articoli 589 [c.p., omicidio
colposo] e 590 [c.p., lesioni personali colpose]” (che, precisa il Giudice milanese, fa “dubitare del
rispetto dell’art. 77 Cost”) prevede che “in tali casi resta fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del
codice civile”.
A parere del Giudice ambrosiano l’inciso in questione non è una svista del legislatore (come ritenuto
dalla Cassazione nella recentissima sentenza 8940/2014), bensì una concreta e reale intenzione di
inquadrare nell’alveo dell’art. 2043 c.c. la responsabilità del medico ospedaliero, con onere del paziente
di provarne tutti gli elementi costitutivi: il fatto, l’illiceità del fatto, l’imputabilità del fatto al
danneggiante, il dolo o la colpa del danneggiante, il nesso causale fra fatto ed evento dannoso (c.d.
danno-evento), il danno (c.d. danno-conseguenza)1.
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Bacheca – Contattaci
ORARI RICEVIMENTO
Sul nostro sito, periodicamente, saranno disponibili i giorni e gli
orari settimanali di ricevimento della sede Axada sita al
Policlinico, Edificio 1, Primo Piano.
Lì potrai incontrare alcuni membri dell’Associazione e ricevere
tutte le informazioni su Axada, sulle modalità di iscrizione
all’Associazione e su tutte le attività che si eseguiranno nel
breve periodo.
Vienici a trovare!
Laddove il malato dovesse convenire in giudizio sia il medico che la struttura sanitaria cui quest’ultimo è
legato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta operando l’art. 2043 c.c. per il medico e l’art. 1218
c.c. per la struttura con diverso atteggiarsi dell’onere della prova e della prescrizione. Tuttavia, essendo
unico il fatto dannoso, qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi
“saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell’art. 2055 c.c.”.
Nel caso de quo il Giudice milanese ha ritenuto responsabile sia il medico ex art. 2043 c.c. che la
struttura sanitaria ex art. 1218 c.c., dichiarandoli in solido responsabili dell’aggravamento riportato dal
malato.
Ma vi è di più.
La struttura sanitaria, in subordine, aveva chiesto la condanna del medico ad essere tenuta indenne
dalle conseguenze economiche della soccombenza, producendo copia del contratto di collaborazione con
il medico contenente il patto di manleva1 (tale pattuizione è prassi nei contratti di collaborazione
professionale, specie in ambito medico).
Il medico non aveva contestato l’esistenza di un interesse meritevole di tutela alla conclusione di siffatto
accordo e non aveva sollevato eccezioni in merito alla validità e all’efficacia dell’accordo atipico di
manleva. Il Giudice, di conseguenza, ha accolto la domanda della struttura, condannando il medico a
“restituire a Policlinico … la somma complessiva che … fosse costretta a pagare all’attore …, oltre
interessi legali dalla data del pagamento del saldo”: con l’escamotage della manleva l’alleggerimento
dell’onere della prova che era uscito dalla porta rientra dalla finestra.
Per fortuna del medico, il Giudice ha anche condannato la sua assicurazione a garantirlo (sarebbe
curioso sapere quanto aumenterà il premio assicurativo per il medico dopo la condanna).
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Storia della Medicina
LA STRUMENTAZIONE CHIRURGICA
Dott.ssa Paola Tirrò
Dalla storia della chirurgia si apprende come fino dagli antichissimi tempi
fossero in uso ingegnosi strumenti per compiere operazioni chirurgiche. La
strumentazione chirurgica spesso era rudimentale e somigliava molto a
strumenti di tortura di vario genere piuttosto che a presidi medico-chirurgici.
Nel De Medicina libri VIII di Aulo Cornelio Celso è possibile rilevare numerosi
strumenti chirurgici di vario materiale, dimensione e forma.
Tra gli strumenti citati dall’autore romano ci sono ad esempio:
acia, un filo doppio e attorcigliato per suture;
acus, un ago multiuso;
clyster, un clistere che serviva per introdurre
liquidi nell’ano e in altre cavità;
corvus,
un
bisturi
particolare
usato
nell’incisione del sacco scrotale erniato;
cucurbitula, una ventosa usata per estrarre
o disperdere la materia peccans (ovvero la
sostanza che causa la malattia) e applicabile in
varie parti del corpo;
fibula, tradotto come fibbia ma era un mezzo per accostare i lembi di una ferita;
forfex, una forbice;
hamus, un uncino di forme e dimensioni differenti che aveva
molteplici funzionalità come estrarre corpi estranei o
sollevare lembi di ferite o afferrare una parte molle da
recidere come ad esempio le tonsille;
lanula, un batuffolo di lana paragonabile al nostro fiocco di
cotone;
membranae custos, una lamina di rame smussata e liscia
nella parte esterna che si introduceva tra il cranio e la
meninge in caso di trapanazione;
rizagra, una tenaglia per estrarre i denti;
scalpellus, un bisturi utilizzabile dal lato della lama ma anche
del manico;
vulsella, una pinza che aveva varie forme e funzioni come prensione ed estrazione
di frammenti ossei, sollevamento ed estensione di parti molli, estrazione di dardi…
Nonostante Celso riporti nel suo capolavoro un lungo elenco di strumenti chirurgici, va comunque
sottolineato che l’antica Roma per diversi secoli non conobbe gloria in questo settore a causa della bassa
considerazione che i romani avevano nei confronti della medicina in
generale, considerandola un esercizio lasciato in mano a schiavi greci
e plebei. Tramite Giulio Cesare (I sec. a.C.) i medici ottennero diritti
politici e più tardi, con l’imperatore Augusto (I sec. a.C. – I sec. d. C.)
furono esentati dal pagamento delle tasse.
Proprio in questo periodo di riconoscimenti da parte di Roma, Aulo
Cornelio Celso scrisse il suo capolavoro.
21
AppMed
AIC MOBILE
Dott. Alessio Platania
Bentornati, l’app di oggi non si può definire una
vera e propria app “medica”, ma la sua conoscenza vi
ritornerà sicuramente utile sia a lavoro, che nella vita personale. La
celiachia è una malattia gravemente sottostimata e più diffusa di quanto
si pensi, secondo gli ultimi dati si stima ne sia affetto circa 1 persona su
150 e non sarà quindi raro trovare nelle proprie cerchie di amici o tra i
propri pazienti, un buon numero di persone celiache. Diventa quindi
importante, se non fondamentale, poterli consigliare nella più comune e
problematica
situazione
che
deve
affrontare un celiaco ogni volta che decide
di uscire con i suoi amici: dove/cosa
andare a mangiare?
A darci la risposta ci ha pensato la
presente app, realizzata dall’Associazione
Italiana Celiaci e da cui prende il nome,
dal facile e subito comprensibile utilizzo,
disponibile gratuitamente per i principali
sistemi operativi mobile: iOS, Android e
Windows.
Una volta lanciata l’app, nella prima
sezione troveremo risposta alla domanda
“cosa posso mangiare?” fornendoci un
aggiornato prontuario degli alimenti,
dove sarà possibile trovare (cercando in
base al nome, all’azienda, al marchio o al
tipo di prodotto) l’elenco dei cibi presenti nei supermercati che possono
essere consumati dai celiaci, anche se non presentano il marchio “senza
glutine”.
Nella seconda sezione troviamo invece risposta a “dove posso
mangiare?”, utilizzando il GPS presente ormai in tutti gli smartphone,
sarà quindi possibile localizzare tutti i locali vicini a noi che hanno
ricevuto l’attestazione di qualità dall’AIC; per ogni locale sarà disponibile
il nome, l’indirizzo, il prezzo medio che vi si spende ed eventuali note. È
inoltre possibile utilizzare dei filtri per cercare il tipo di locale che ci
interessa (ristorante, pizzeria, etc…).
Per questo numero è tutto, a presto e…buon appetito!
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Rubrica di Psicologia
I PROFESSIONISTI DELLA MENTE: UN PRIMO
STEP NELL'APPROCCIO ALLA SALUTE PSICHICA
Dott.ssa Patrizia Minona
Andare dallo psicologo appare ancor oggi qualcosa di innaturale. Il processo
che ci porta, in qualità di pazienti, dal sintomo (malessere o disagio) alla
richiesta di intervento da parte di un professionista esperto, e quindi alla cura,
non appare così scontato per la professione di psicologo.
Mi spiego meglio. Se si ha un problema di tipo fisico si ricorre subito ad un professionista, un medico
che ci fornirà la terapia adeguata come risposta al nostro malessere, ma se si avverte una sofferenza di
tipo psicologico il “recarsi” dallo psicologo non è un passo così semplice, lineare e scontato. Come a
dire: cerco di risolvere questa problematica da solo, chiamo un amico, prendo tempo! Albert Einstein
direbbe a questo punto: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a
fare le stesse cose”!
Per capire bene di cosa sto parlando bisognerebbe esplicitare, con poche parole, che cosa è la psicologia.
Una scienza? Una pseudoprofessione? E chi è lo psicologo? Un professionista esperto nell'ambito della
salute mentale? Una sorta di cartomante? Un amico dai buoni consigli? Ebbene, letteralmente
“psicologia” deriva dal greco psyché (ψυχή) = spirito, anima e da logos (λόγος) = discorso, studio. Tale
termine è stato utilizzato per la prima volta nel XVI secolo per indicare lo “studio dello spirito o
dell'anima” fino ad assumere, poi, il significato generico di “scienza della mente”. All'interno di essa è
possibile, ancor oggi, rintracciare le elucubrazioni dei grandi filosofi con la differenza, però, che a
partire dal XIX secolo, queste sofisticate riflessioni e domande sull'agire umano si sono erette a partire
da moderne metodologie, da nuove tecniche e prospettive che ne hanno sancito il carattere scientifico.
Nonostante ciò, troppo spesso si sente ancora parlare della Psicologia come qualcosa di opinabile,
interpretabile in modo esclusivamente soggettivo. Ebbene, trattando le relazioni, le emozioni, non
possiamo mantenerci nell'ottica di assoluta rigorosità e freddezza intellettuale e questo non deve, però,
ingannarci e farci sospettare della valenza terapeutica e scientifica del metodo di cui la Psicologia si
avvale.
Ecco alcune perplessità che svelano un'irrisolvibile diffidenza o mancata conoscenza di tale professione.
Parlare con lo psicologo per alcune persone è una mera chiaccherata. So bene che questa è la prima
impressione ma, dietro a quelle parole, a quei colloqui, ci sono tecniche, sensibilità, direzioni che
vogliamo dare al paziente, riflessioni guidate e domande che nascondono in sé una strategia terapeutica
che anni di studio ci hanno fornito. Alcuni affermano: “sono già stata da uno psicologo e non ho
concluso niente. Ci sono andata un paio di volte...”. Prima cosa, un paio di volte non sempre possono
essere sufficienti (dipende dalla domanda di aiuto e dalla problematica che si palesa) ma soprattutto
non tutti gli psicologi sono competenti o non con tutti si crea una relazione di piena fiducia (condizione
necessaria per poter lavorare efficacemente). Questo vale per qualsiasi professionista! Non credo che
tutte le donne si siano fermate al primo parrucchiere conosciuto durante la loro vita. Ne avranno
provati diversi (lasciatemelo passare... è un esempio che funziona spesso!!). Chissà perché, per lo
psicologo, vige invece, in modo esclusivo, l'idea che tutti gli appartenenti alla categoria siano uguali,
perciò se ti dovessi trovare male con uno... farai lo stesso con gli altri! Quasi a dire “tutti come uno, uno
come tutti”!! Andare dallo psicologo, inoltre, per altre persone, non è proprio una cosa positiva; dietro si
cela il sospetto e la paura di essere matti, deboli, non stabili, vi è il timore di scoprirsi o di aprire lati
spaventosi di sé. In altri casi, si ha una certa confusione rispetto ai vari professionisti della mente cui
rivolgersi (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri...).
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A tal proposito chiariamoci un po’ le idee. La professione di psicologo, a seguito della laurea in
Psicologia, dell’abilitazione alla professione e dell’iscrizione all’albo, comprende l’uso degli strumenti
conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di
sostegno. L’attività consiste essenzialmente nell'azione di prevenzione e di intervento sul disagio
psichico attraverso la promozione della consapevolezza dei modi di pensare, di sentire e di agire. Gli
strumenti conoscitivi di cui si avvale sono i colloqui e i test psicologici.
Lo psicoterapeuta, invece, si occupa proprio del trattamento e della cura dei disturbi psicopatologici.
Può essere sia un Medico che uno Psicologo che dopo la laurea (nel rispettivo ambito professionale) ha
frequentato una Scuola di Specializzazione quadriennale in psicoterapia riconosciuta dallo Stato.
Lo psicoterapeuta utilizza come strumenti d’elezione la relazione, l’ascolto e la parola con tecniche che
variano a seconda della teoria di riferimento, orientamento teorico e tecnico delle diverse scuole
(Psiconalisi, Psicoterapia sistemico relazionale, Psicoterapia cognitivo comportamentale..). Egli può
dunque curare con diverse modalità d’intervento, dettate dalla sua formazione, disturbi psichici anche
intensi e cronici, disturbi di personalità, traumi psicologici ai fini della normale espressione della
maturità psicologica dell'individuo. Sia lo psicologo che lo psicoterapeuta non possono prescrivere
farmaci, a differenza dello psichiatra che è l’unico professionista della mente che cura i disturbi psichici
e le malattie mentali con la liceità di farlo. La modalità di approccio di quest’ultimo appare
inevitabilmente più medicalizzata a seguito della formazione di base prevalentemente medicofarmacologica, non necessariamente improntata all’ascolto di tipo psicologico ed alla comprensione
delle cause che bloccano il processo evolutivo e normativo del proprio ciclo di vita.
Come possiamo ben capire, per chi non è addetto ai lavori, la differenziazione tra queste figure appare
poco chiara. Le persone andrebbero orientate per comprendere a pieno le peculiarità di ogni
professionista della mente affinché abbiano chiaro cui rivolgersi e per veicolare una cultura della salute
mentale ed una maggiore comprensione del benessere di tipo psicologico. È d’uopo, inoltre, che i vari
professionisti della mente utilizzino un approccio integrato poiché interventisti, con ottica differente,
nello stesso ambito della salute psichica con l’obiettivo comune di aiutare le persone a essere
maggiormente autonome, a sentirsi più libere di scegliere, più sicure, attraverso un accrescimento della
consapevolezza di sé, di come si funziona e del proprio benessere psichico. Il risultato che si spera di
ottenere, sia come professionisti sia come utenti di Psicologia, è quello di cambiare qualcosa, di
modificare il ruolo di passività per far divenire l’individuo protagonista del proprio mondo interiore e
partecipante attivo di quello relazionale.
L’obiettivo che mi preme, in qualità di professionista che opera nell'ambito della salute psichica, è quello
di fornire il giusto valore alla sofferenza emotiva così come si dà al dolore fisico. E questo si può fare
partendo dall’eliminare, a mio parere, in maniera graduale, le perplessità che permeano il mondo della
salute mentale. Per questi e altri motivi si è deciso di fare questa breve ma necessaria iniziale
differenziazione professionale e di creare una rubrica di Psicologia ad hoc affinché ci si possa occupare,
di volta in volta, di diverse problematiche che suscitano interesse scientifico e curiosità intellettuali.
Nei prossimi articoli tratterò la sofferenza psicologica nelle sue differenti declinazioni con un'attenzione
particolare al mondo della Sessuologia. Per chiunque volesse porre delle domande, avere chiarimenti,
soddisfare alcune curiosità, chiedere dei consigli ecco la mail alla quale potrete contattarmi:
[email protected]
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Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia Familiare
Sistemico Relazionale, Consulente in Sessuologia.
e
Curiosità
IL LINDY HOP APPRODA IN SICILIA E CATTURA
CATANIA
Dott.ssa Elena Cammarata PGR
Cari lettori... Amate la musica? Vi piace ballare ma a volte siete stanchi del
solito ritmo? In questo caso non dovete far altro che tornare un po’ indietro
nel tempo per scoprire un genere del tutto nuovo, da un po’ approdato anche in
Sicilia e a Catania che ha preso piede davvero velocemente che sta già iniziando a
spopolare: il Lindy Hop. Facile da imparare e da ballare già dalle prime lezioni,
gli
permette a chiunque di sentire la musica e farla propria, di entrare in connessione con
altri e, volendo, di improvvisare, senza imbarazzarsi o mettere in imbarazzo i rispettivi partner o chi stia
ad osservare. E’ quel ballo che fa muovere chiunque in modo libero, creativo e acrobatico, tuffandosi in
una musica swing energica, veloce o lenta realizzata su note di jazz.
Il Lindy Hop è infatti una forma di danza swing afroamericana, nata
e diffusasi ad Harlem, a New York negli anni 20 e 30 ed esplosa poi
nella Swing Era degli anni ’30 e ’40. A differenza però degli altri
balli nati successivamente, come il Boogie Woogie, il Rock’ n Roll o
altri, questo si balla solo su musica jazz-swing. A conferirgli questo
nome è stato il ballerino Shorty George Snowden che, durante una
sua esibizione, commentando alcuni dei passi che stava realizzando,
disse che stava facendo del “Lindy Hop”, riferendosi al pioniere
dell’aviazione Charles Lindbergh e alla sua attraversata, o salto hop-, da New York a Parigi, sull’Atlantico.
Nonostante questo ballo sia quasi centenario, è arrivato nelle scuole
e accademie di ballo italiane solo da un po’ di anni. Oggi in Sicilia
esistono scuole di Lindy Hop principalmente a Palermo e a Catania.
A far arrivare qui questo ballo è stato nel 2012 l’insegnate di ballo
Enzo Mercuri in collaborazione col noto ballerino francese
Pitruzzella. Già insegnante di tango argentino all’interno del
contesto artistico-culturale di Scenario pubblico, Mercuri, da poco
più di due anni a questa parte insegna Lindy Hop e insieme alle
insegnati e collaboratrici Valeria Catania, Antonella Russo e Daniela Zappalà, si occupa del progetto
Sicily in Swing, organizzando mensilmente serate e numerosi workshop aperti a tutti, per conoscere e
acquisire confidenza col genere. Lo definisce un ballo sociale che unisce tutte le età e lo consiglia a tutti.
Inoltre lo swing è divertente come genere e durante le serate è possibile imbattersi in giovani ballerini
catanesi mentre si cimentano nelle classiche acrobazie proprie del Lindy. Ciò che spiazza nell’osservare i
ballerini è il loro atteggiamento e la mimica. Infatti si è come teletrasportati in un musical. Si sentono la
musica e ci si atteggia con modi ed espressioni originali, proprie di questo ballo. Alla domanda posta di
conseguenza a Mercuri, su come avesse insegnato ai suoi allievi quella mimica o su come poterla
acquisire, l’insegnante ha risposto semplicemente che non c’è un modo per insegnarla, perché nasce
spontaneamente già in chi inizia a ballare e sentire il ritmo. A chi quindi voglia mettersi in gioco e
intraprendere quest’avventura nel mondo del Lindy Hop non resta che ricordare che con questo ballo,
anche quando si sa tutto… non si smette mai di imparare, proprio perché si diventa autori di proprie
coreografie uniche e irripetibili. Perciò non tiratevi indietro e “non smettete mai di cercare il
vostro swing”!
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Progetto CARE
Il progetto CARE (acronimo di Continous Advances for Reaching Excellence) è un progetto promosso
dall’Associazione socio-culturale Axada Catania.
Ideato e sviluppato dai membri dell’Associazione per rispondere all'esigenza di pragmaticità che hanno
mostrato gli Specializzandi ai primi anni delle Scuole di Specializzazione e gli studenti del Corso di
Laurea in Medicina e Chirurgia dell’ateneo catanese. Si promuovono, a cadenze regolari, una serie di
incontri che hanno la finalità di formare l’eccellenza direttamente sul territorio, senza obbligare
necessariamente il medico o lo studente di Medicina a formarsi altrove.
Con questo spirito prendono parte alle attività promosse dall’Associazione tutti i Medici, i Professori
Universitari e le Autorità che intervengono agli incontri e che mettono volentieri a disposizione la loro
esperienza per gli studenti e i medici in formazione.
Bacheca –Progetto CARE
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