Elogio del dubbio - bibliofilosofiamilano

Transcript

Elogio del dubbio - bibliofilosofiamilano
Loris Bellina
N° matr. 897305
Scienze Filosofiche
ELOGIO DEL DUBBIO: AGOSTINO, MONTAIGNE E CARTESIO
Introduzione
C'è una classe di studenti del liceo e, ad un certo punto, al cambio dell'ora, entrano in aula la
professoressa di matematica ed una bidella: lo sguardo severo ed il fermo portamento fanno presagire guai per gli alunni. Raccontano di aver visto, il pomeriggio precedente, un ragazzo di quella classe rigare la macchina della stessa docente. Tra i discenti lo stupore e l'imbarazzo si diffondono,
mentre si insinuano nella mente di uno di questi dei terribili pensieri: «Non sarò mica stato io? - Ma
no, quali motivi avrei avuto? - Eppure non ricordo cosa ho fatto ieri nel tragitto scuola-casa, e poi
questa è veramente insopportabile!». Il dubbio si è fatto avanti; certo, parliamo di un ragazzo dai
buoni voti, di buona famiglia, ma lui si chiede se, in un momento di perdita delle proprie facoltà ra zionali, non abbia davvero rigato la macchina della tanto odiata professoressa. Forse ha solo sognato di farlo, e la sua immaginazione in quel momento di sgomento crea l'immagine di lui che, chinandosi per non farsi vedere, lascia un bel segno sulla portiera della fiammante auto della professoressa. Il panico lo prende, lo scuote fino a farlo sbiancare, ma in qualche modo sa che di quel dubbio si
può liberare: può infatti pensare che al momento del fatto lui si trovava a casa e che c'era suo padre
con lui, ma anche su questo si può sbagliare. Tornato a casa, sentendosi irrimediabilmente colpevole, ma anche sicuramente innocente, il dubbio si dilegua perché il ragazzo è rassicurato dalle parole
confortanti del padre, ma ha colpito, ha scosso la coscienza di quel giovane, e l'ha costretto a porsi
domande circa la realtà delle sue azioni e a constatare che a volte non solo distinguere sogno da veglia è davvero difficile, ma che anche la più solida delle certezze può vacillare.
Il dubbio è uno stato mentale che il soggetto prova nel momento in cui esperisce un fatto in
contraddizione con le proprie credenze. Ad esempio, ricordando l'esperimento di Guglielmini, colui
che aveva la credenza che la terra fosse piatta è stato costretto, perché smentito dai fatti, a dubitare
di questa sua credenza. Il dubbio è quindi un esercizio di continua revisione delle proprie credenze
da parte del soggetto, e dubitare è interrogarsi sulla nostra conoscenza in generale e sulla sua affidabilità. Alla base del dubbio vi è già una conoscenza pregressa che, tuttavia, non ha la solidità che la
ponga al di là di ogni ragionevole dubbio, ma che, in qualche modo, può essere contraddetta. Alla
base del dubbio vi è quindi il sapere e «il molto sapere dà motivo di più dubitare»1. Ma è possibile
1 Michel de Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini e A. Tournon, Bompiani, 2012, Milano, p. 919
dubitare di ogni conoscenza? Per converso, è possibile pervenire alla verità? Il dubbio è nella presente trattazione inscindibile dall'approccio filosofico scettico che è quello che, in misura maggiore,
si avvale del dubbio per mettere in crisi le fondamenta di ogni conoscenza umana perché, non trovandone nessuna, si serve della sospensione del giudizio circa lo statuto di realtà dei fenomeni, ammettendone solo la dignità di apparenze.
Alcuni grandi autori della storia della filosofia si sono confrontati con questa problematica
circa lo statuto delle nostre conoscenze e vi hanno risposto diversamente: quelli della corrente accademica sostenevano, secondo la testimonianza di Sesto Empirico, l'«incomprensibilità» della verità;
Agostino, feroce oppositore di questa scuola, invece sosteneva che la verità esiste e che è possibile
accedervi mediante un atto di fede che, in seguito, sarebbe stato approfondito con la ragione; Montaigne, a sua volta, sosteneva che la verità è irraggiungibile a causa dell'imperfezione della ragione
umana sempre contraddittoria che, non solo non riesce a determinare una legge morale, ma anche
non giunge a stabilire niente circa la natura delle cose e, quindi, deve fermarsi ad attestare i fenomeni che, in quanto tali, si danno in un movimento mai afferrabile; Cartesio, infine, riprende il dubbio
come artificio metodico finalizzato alla fondazione del sapere.
Nel testo ci si interrogherà circa la valenza del dubbio in Agostino, Montaigne e Cartesio,
tentando di comprendere come essi cerchino di costruire una teoria della conoscenza che consideri
il problema etico e teoretico dello scetticismo, il quale ci impone di dubitare ciò che appare e mette
in discussione la possibilità di una scienza. Questi autori tentano di scampare all'annichilimento epistemico riferendosi, di volta in volta a certezze indubitabili, garantite dalla fede o dalla ragione. Di
fronte a questo problema i Nostri hanno intrapreso strade differenti che, sembra, siano scandite dal
primo di questi autori, Agostino, che, nella propria dottrina, fa da stazione di testa per due binari sui
quali correranno le teorie di Montaigne prima e di Cartesio poi.
§1. L'euristica del dubbio
Aurelio Agostino, filosofo della tarda antichità e padre della Chiesa, incontrò per la prima
volta la corrente dello scetticismo a Roma, dopo che, a Milano, si era convertito alla religione cristiana grazie al vescovo Ambrogio2. Egli consacrò diverse opere all'apologia del cristianesimo; questa difesa era da attuare, secondo la sua concezione, prima di tutto nei confronti dello scetticismo
che, nella sua veste più radicale, intendeva eliminare ogni fondamento del conoscere umano secondo un fine prettamente etico: la serenità dell'animo. Lo scettico infatti usa un'arma potentissima contro la pretesa dei filosofi di indagare il mondo: egli sostiene che nonostante diversi sapienti abbiano
tentato di dare una spiegazione razionale del mondo, tutti ne hanno formulata una in contraddizione
con l'altra e quindi, afferma lo scettico, il mondo è inconoscibile e la nostra ricerca non è altro che
2 Cfr. J. Heil, Augustine's Attack on Skepticism: The Contra Academicos. in The Harvard Theological Review ,65.1
(1972), pp. 99-116.
la pretesa di ordinare ciò che si dà sotto così tante forme da non essere scientificamente ordinabile;
inoltre i nostri sensi spesso sono in contraddizione tra loro perché, caso celebre, quello che ci appare
alla vista in un modo al tatto ci sembra essere diversamente. Quindi, conclude il demolitore di certezze, non ci restano che le apparenze, alle quali il nostro giudizio si ferma, non potendo proseguire
con certezza verso l'essere. La verità non è raggiungibile, e di fronte alla pretesa di verità di una
proposizione o di un dato, dobbiamo sospendere l'assenso, praticare la famosa epoché, per evitare di
cadere in errore; possiamo tutt'al più muoverci sul terreno del probabile e del verosimile.
Ma come giustifica lo scettico questa sua posizione? Non è anche lui convinto che il mondo sia così
com'è? Le argomentazioni che lo scettico utilizza per legittimare il dubbio fino ad eliminare ogni
pretesa conoscitiva sono molteplici: il mondo ci appare come ci appare perché siamo fatti in un certo modo, e gli altri esseri viventi percepiscono l'oggetto in modo diverso da noi; in questo caso affermare che il nostro punto di vista sia privilegiato è una petitio principii ingiustificata; inoltre le
cose ci appaiono in modo diverso a seconda del medio in cui sono inserite e a seconda del senso con
cui le percepiamo, infatti il remo appare in acqua come spezzato mentre al tatto esso è rigido; le nostre percezioni, inoltre, sono influenzate dalle circostanze in cui il soggetto percepente si trova
quando ne fa esperienza, come, ad esempio, lo stesso oggetto ci appare in un modo se siamo svegli
ed in un altro se dormiamo3. Insomma, lo scettico non sostiene una posizione dogmatica che afferma che la realtà è fatta così e così, piuttosto si limita, avendo constatato la finitezza dell'umana ra gione e gli errori cui siamo sensorialmente indotti, a sospendere il giudizio circa la natura ultima del
reale. Lo scettico quindi non si dispone sul terreno del giudizio, come potrebbe fare il filosofo relativista che sostiene che l'uomo è misura di tutte le cose, ma si ferma ai fenomeni sospendendo il
giudizio sulle apparenze e sostenendo che oltre non si può andare. Quindi è impossibile, secondo
questa prospettiva, giungere alla formulazione di leggi circa la natura e l'uomo, e, in ultima istanza,
la verità ultima delle cose è inaccessibile. È proprio questa constatazione che rende felice il filosofo
scettico che sospende il giudizio e che, così, raggiunge la propria imperturbabilità. Si potrebbe
obiettare, proprio come si fece a Pirrone, all'epoca in cui scappò da un cane che lo inseguiva rifugiandosi in cima ad un albero, che alla vita si deve dare una risposta, un assenso, proprio per potersi
muovere nel mondo. Probabilmente, Pirrone avrebbe risposto ad una simile obiezione che era proprio quell'apparenza di cane a fargli paura e che, conseguentemente, egli è scappato.
Per un filosofo come Agostino, fermamente convinto che la verità delle cose esista e che
questa coincida con Dio, la posizione scettica è semplicemente inammissibile e, per ribattere ai detrattori della verità, scrive numerosi testi tra i quali si trova il Contra Academicos, oggetto di studio
della presente dissertazione. Si è visto come lo scettico affermi l'inafferrabilità della verità e si disimpegni nel campo del probabile e dell'incerto. Agostino è però contrario a questa visione, ma
3 Questi sono solo alcuni dei famosi tropi di Enesidemo descritti da Sesto Empirico ne Schizzi pirroniani.
come conoscere la verità? L'ipponense sostiene una posizione, poi divenuta famosa, che tenta di
unire la fede e la ragione che può essere sintetizzata con due semplici proposizioni latine: credo ut
intelligam e intelligo ut credam. La loro successione è temporale: si deve prima credere per comprendere ed, infine, si può comprendere per credere. La ragione non è così esclusa dal processo conoscitivo e le ragioni di questa posizione si possono ritrovare nella matrice platonica e neoplatonica
del pensiero agostiniano, sicuramente legato alla tradizione classica: «Tale è infatti la mia attuale disposizione: apprendere ciò che è vero non solo con la fede ma anche con la ragione.»4.
Il Contra Academicos è un'opera che può essere analizzata sotto due differenti piani: uno
teoretico/speculativo e uno morale/pratico. Riguardo al primo, lo scettico, obiettivo polemico di
Agostino, esamina le fondamenta del sapere mettendole in dubbio, e dubitando giunge ad affermare
che manca un criterio di verità e che, quindi, fondare la conoscenza significa, di fatto, lasciarsi andare ad un atto di fede ingiustificato. Il dubbio apre così le porte all'affermazione dell'impossibilità
del conoscere.
Ma se non ci sono che apparenze, secondo quale criterio vive, sceglie ed agisce lo scettico? Egli si
muove nel mondo aderendo alle apparenze e persegue, secondo la consuetudine della filosofia antica, la saggezza, che coincide con un'ideale di imperturbabilità. La sospensione del giudizio deriva
direttamente dall'impossibilità di fondare razionalmente un criterio di verità e, infatti, ogni volta che
se ne pone uno, il dubbio è sempre dietro l'angolo, pronto a distruggere questa certezza appena formatasi. L'uomo pertanto, essendo una creatura finita, non può che giungere ad una conoscenza finita
ed imperfetta che si ferma alle apparenze delle cose e non riguarda l'essere; questo è il punto per lo
scettico ma, nonostante ciò, non si può parlare di un uomo infelice perché in questo confrontarsi con
la conoscenza l'uomo si scopre e scopre i propri limiti. In questo modo si può giungere alla tranquillità dell'anima che coincide con l'accettazione del proprio ruolo nel mondo.
Agostino non esprime un giudizio totalmente negativo nei confronti di questo indirizzo scettico che abbiamo appena descritto, perché afferma che la ragione da sola non possa giungere ad una
fondazione delle proprie conoscenze. Il dubbio apre le porte, secondo Agostino, alla fede, al riconoscimento della nostra natura inferiore nei confronti dell'essere divino che è l'Altro per eccellenza il
quale, in quanto tale, non può essere conosciuto mediante i nostri mezzi finiti ed imperfetti, sensi e
ragione. Si ricordi, circa quest'ultimo punto, che Agostino aveva un'idea molto precisa dell'uomo,
una ''razza dannata'', che solo mediante la fede e la grazia poteva risollevarsi dall'infima condizione
in cui era caduto. È proprio questa intrinseca inferiorità del soggetto conoscente nei confronti dell'oggetto conosciuto che permette, ad Agostino, di legittimare la presa di posizione secondo la quale
l'atto di fede dev'essere all'origine di ogni conoscenza. Questa lotta, condotta con l'arma del ragionamento, che Agostino intraprende nei confronti degli scettici, necessita di un chiarimento.
4 Agostino d'Ippona, Contra Academicos. III, 20, 43.
Il contendente principale del suo pensiero, lo scetticismo come corrente filosofica, potremmo dire
che si divide in due momenti in sintesi tra loro: la negazione che la ricerca possa condurre ad una
conoscenza indubitabile e l'affermazione che sia necessario, nonostante ciò, perseguire le proprie ricerche secondo il senso etimologico di scetticismo 5. Agostino intende rigettare il primo momento, si
potrebbe dire, per difendere il secondo poiché la negazione di ogni possibilità di conoscenza potrebbe facilmente coincidere con una posizione fortemente dogmatica che impedirebbe ogni proseguimento della ricerca. È proprio questo lo scetticismo che Agostino combatte: si tratta di un atteggiamento antifilosofico proprio perché antiscettico, in quanto rifiuta la ricerca in nome di una verità già
trovata, che coincide con l'impossibilità di trovare una verità. Questo indirizzo è la strada ferrata su
cui si muoverà la trattazione di Montaigne che, in tal senso, è fortemente debitrice dell'antropologia
agostiniana nel momento in cui il valore dell'uomo è annichilito di fronte alla potenza ed al sapere
divino.
Poiché il dubbio è ciò che desta, apre e conduce la ricerca e poiché la ricerca assume un'importanza fondamentale per la filosofia agostiniana, possiamo dire che questo dubbio assume una posizione centrale nella costruzione della sua dottrina. Nel celebre testo di filosofia della storia, La
città di Dio, il dubbio che l'accademico pone all'autore è risolto attraverso il superamento del dubbio stesso: «Se m'inganno, esisto». Questa affermazione, oltre a eliminare il dubbio, ci apre le porte
verso una verità iniziale indubitabile, per quanto Agostino affermi l'esistenza di un dualismo gnoseologico secondo il quale la conoscenza umana non può che essere subordinata alla verità che Dio
è: l'uomo non è la verità ma è nella verità. La celebre formulazione del Si fallor sum è la seconda
delle strade tracciate verso il futuro da Agostino, infatti sarà ripresa secondo altre forme, ma con i
medesimi fini, da Cartesio.
§ 2. Il vero non alberga tra gli uomini.
«In verità noi siamo nulla. Le nostre forze sono così lontane dal concepire l’altezza divina,
che fra le opere del nostro creatore, quelle che più chiaramente portano impresso il suo segno […],
noi le comprendiamo meno»6. È questo il nucleo concettuale attorno a cui ruota la riflessione di Michel de Montaigne: la verità è inafferrabile, indipendentemente dal mezzo attraverso cui ci impegniamo a ricercarla. La ragione, nonostante voglia conoscere tutto, perché bramosa di sapere, cade
sempre in errore, o in contraddizione, lasciando agli uomini una serie di teorie che, nonostante siano
tutte diverse tra loro, hanno in comune il fatto di non essere vere.
La scienza, tuttavia, «è una gran cosa, e utilissima» 7 e «non c'è desiderio più naturale del de5 Questo rimanda al greco skepsi che significa, propriamente, ricerca.
6 M. de Montaigne, op. cit. p. 455.
7 Ivi, p. 394. Nonostante queste parole Montaigne scrive della scienza: «Così gli uomini, dopo aver tutto saggiato e
tutto sondato, non avendo trovato in quell'ammasso di scienza e in quella provvista di tante cose diverse niente di
solido e sicuro, e nient'altro che vanità, hanno rinunciato alla loro presunzione e riconociuto la loro condizione
siderio di conoscenza»8 Ma cosa intende l'autore per scienza? Lo studio dell'essere o dell'apparire?
L’autore, pur non interessandosi direttamente alle questioni epistemologiche, ci dà molte informazioni circa la sua teoria sull'essere e circa le possibilità degli uomini di pervenire alla conoscenza
della verità. Egli infatti sostiene che il vero essere, di natura divina, che è Verità, è inconoscibile per
gli uomini perché è al di fuori della potenzialità umana di comprensione; si tratta di un oggetto di ricerca per essenza inintelligibile, quindi dobbiamo affidarci solamente alla fede circa la sua esistenza
e per indagare la sua natura, perché non può essere investigata mediante argomentazione razionale.
Infatti egli spiega: «In una cosa tanto divina e tanto alta, e che sorpassa di tanto l'intelligenza uma na, come è quella verità con la quale è piaciuto alla bontà di Dio d'illuminarci, è ben necessario che
egli ci porga ancora il suo aiuto, con favore straordinario e privilegiato, perché possiamo concepirla
e accoglierla in noi»9. Si ritrova in queste parole buona parte della dottrina di Agostino, il quale,
come già detto, aveva suggellato la propria gnoseologia con le due massime: «Credo ut intelligam»
e «Intelligo ut credam». Si nota come venga ripresa, qui, la teoria secondo cui l'indagine razionale,
dopo l'accettazione per fede dei misteri, sia una «bellissima e lodevolissima impresa»10.
Montaigne, tuttavia, prosegue oltre, fino a sostenere un rigido fenomenismo, ma procediamo con
ordine. Poiché dell'essere non ci è consentito né sapere né parlare propriamente, cosa ci rimane? I
fenomeni. Essi sono tutto ciò che il mondo esprime e la conoscenza dei fenomeni è l'unica cui gli
uomini possano accedere. L'essere è assolutamente trascendente: nel mondo in cui sono dati solo i
fenomeni gli uomini possono limitarsi a indagare il movimento, il passaggio da un fenomeno all'altro, ma la Verità in quanto tale è loro preclusa. Si noti che l'indagine sul movimento non riguarda le
cause ultime che sono a noi oscure perché «la conoscenza delle cause appartiene solo a colui che
governa le cose, non a noi che le subiamo soltanto»11. La Verità appartiene e coincide solo con Dio e
il vero saggio lo sa, e per questo non incappa nell'errore di presunzione credendo di poter tutto indagare e tutto scoprire; il saggio sa che «i nostri ragionamenti e i nostri discorsi umani sono come la
materia rozza e sterile; la grazia di Dio ne è la forma: è lei che dà solo foggia e pregio» 12. La saggezza si configura quindi, stoicamente, in una comprensione del nostro ruolo nel mondo, e della nostra finitezza, la quale ci rende inadeguati di fronte all'essere, e sarebbe tacciabile di «presunzione»
un atteggiamento che cerca di risolvere la verità nella ragione. Allo stesso tempo Montaigne riscopre il tema della grazia che lo conduce a sostenere che il sapere è un privilegio riservato a pochi, e
precisamente a coloro che godono della grazia divina; infatti la conoscenza non può risiedere in un
8
9
10
11
12
naturale» (Ivi, p. 457). Questo fa pensare al fatto che l'«utilità» della scienza sia proprio quella di svelare la
condizione imperfetta dell'uomo.
M. de Montaigne, op. cit. p. 996. In questo passaggio, e in molti altri, ritroviamo il debito di Montaigne con
Aristotele, qui in particolare con la frase di apertura della Metafisica.
Ivi, p. 396
Ivi, p. 396.
Ivi, p. 960.
Ivi, p. 403.
corpo umano perché misero e imperfetto, ed è necessario l'intervento divino che riforma e fortifica
il corpo con la grazia ed il suo favore particolare. Può essere questa una prospettiva etica che annichilisce l'uomo paragonandolo a tutti gli altri esseri viventi? Montaigne in questo è chiaro non solo
nel celebre capitolo sui cannibali (I, 31) dove sostiene non esserci metro di paragone per definire
qualsiasi individuo «un selvaggio», ma anche per ciò che riguarda la differente dignità tra uomo e
animale egli sostiene non esserci differenza; è solamente l'esistenza di Dio, afferma l'autore, ciò che
legittima una visione antropocentrica perché, per il resto, gli animali sono come noi: comunicano, si
comprendono e sono intelligenti. Se vogliamo afferrare con maggior presa la concezione antropologica di Montaigne ed il suo rapporto con la verità, questa è la frase, tratta dal saggio Degli zoppi
(III, 11) che illumina questo rapporto: «Il corpo e l'anima ostacolano e alterano il diritto che hanno
dell'esperienza del mondo, mescolandovi la pretesa della scienza. Il determinare e il sapere, come il
dare, appartiene al dominio e alla sovranità; all'inferiorità, alla soggezione e al noviziato appartiene
il godere, l'accettare»13.
Il valore del dubbio nei Saggi è quello di affermare l'impossibilità di pervenire alla Verità e,
allo stesso tempo, il dubbio si riferisce alla deficienza della ragione umana non solo perché presume
di poter sapere, ma anche perché, invece di sapere, cade in gravi errori. Il dubbio sorge, qui, a partire dall'attestazione delle diverse teorie filosofiche e scientifiche sul mondo che, essendo in contrasto, provano la distanza tra l'uomo e il Vero. Il dubbio, inoltre, è ciò che mette alla prova il senso comune, le conoscenze pregresse, ponendo quelle che sono in contrasto tra loro sulla bilancia e accordando la verità, o meglio un'apparenza di verità, ad una o ad un'altra. Questo dubbio ci porta a mettere al vaglio i fenomeni e a guardarci dall'affermare la nostra compatibilità con la Verità e di dire
qualcosa sulle cose, perché ogni giudizio sul mondo non è mai scevro dalla nostra condizione interiore e dalle condizioni esteriori; non si tratta pertanto di giudizi indipendenti, ma subordinati a ciò
che siamo e a ciò che ci circonda. Il nostro giudizio, come specchio dei fenomeni, è ondeggiante 14 e
può sempre essere posto in dubbio da qualche inedita esperienza. Ciò che possiamo conoscere è
quindi solo ciò che ci proviene dai sensi, e non cogliamo l'essenza delle cose poiché, in questo caso,
il processo conoscitivo sarebbe uguale per tutti, in quanto questa essenza si dovrebbe manifestare
ugualmente presso ogni individuo. Tale quidditas è comunque irraggiungibile perché «niente ci perviene se non falsato ed alterato dai nostri sensi»15 anche se ogni nostra cognizione circa i fenomeni è
proprio dai sensi che ci è fornita 16. La percezione gioca quindi un ruolo ambiguo: su di essa si deve
sì fare affidamento per poterci muovere nel mondo, ma non si deve, stando a Montaigne, presumere
che a partire dalla percezione si sia in grado di costruire un sapere vero circa il mondo. La ricerca fi13
14
15
16
M. de Montaigne, op. cit. p. 960.
Montaigne scrive: «Il mio giudizio non va sempre avanti, ondeggia, vaga qua e là». Ivi, p. 525.
Ivi, p. 560.
Ivi, p. 574, Montaigne afferma: «I sensi sono il principio e la fine della conoscenza umana».
losofia è proprio finalizzata a questa comprensione, come egli stesso enuncia: «Lo stupore è la base
di ogni filosofia, la ricerca ne è l'avanzamento, l'ignoranza la fine»17.
Potremmo, in ultima istanza, definire il dubbio di Montaigne un dubbio naturale che nasce dall'attestazione della relatività dei giudizi sul mondo, delle interpretazioni e delle teorie sulla realtà, fermo
restando che colui che conosce il mondo e che emette corretti, quindi veri, giudizi sul reale è Dio 18,
e gli uomini possono partecipare all'alba del vero solo attraverso una «divina e miracolosa metamorfosi»19, cioè solo nel regno dei cieli, dopo la morte.
§3. E se un Genio mi ingannasse?
La vita di Cartesio non è uno degli aspetti più interessanti di questo autore. Tuttavia, può essere utile, ai fini della comprensione della sua opera e del suo pensiero, accennare ad una sua testi monianza, tratta dal Discorso del metodo, da cui traspare una grande insoddisfazione verso il sapere
del proprio tempo: «Fin dall'infanzia sono stato educato alle lettere, e poiché mi promettevano che
con queste si potesse acquisire una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile alla vita, nutrivo un estremo desiderio di apprenderle. Ma non appena ebbi compiuto l'intero corso di studi [...]
cambiai completamente opinione. Infatti mi trovai gravato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava
di non avere tratto altro beneficio, cercando di istruirmi, se non la consapevolezza sempre più chiara
della mia ignoranza»20. I «dubbi» di cui ci parla l'autore l'hanno costretto ad ammettere la propria
ignoranza che, nonostante i diversi anni di studi, sembra essere un tratto che non abbandona la psicologia dell'autore. Tutto quello che ha imparato in gioventù si è rivelato illusorio e fallace, un nonsapere e, per questo, l'azione del dubbio lo invalida. Il valore che l'autore conferisce al dubbio è
quindi quello di distruggere e respingere le opinioni incerte con il fine di rifondazione del sapere,
infatti egli scrive: «Riguardo a tutte le opinioni cui avevo dato credito fino a quel momento, non potevo fare di meglio che risolvermi, una buona volta, a eliminarle per sostituirle in seguito con altre
migliori o addirittura per ripristinare le stesse, dopo averle commisurate alla ragione»21.
Il dubbio deve quindi liberarci dalla sospensione del giudizio che nasce dall'incertezza delle opinioni, ed è un esercizio speculativo che, se non riesce ad avvicinarci alla verità, per lo meno ci allontana dal falso. Sia chiaro che Cartesio non intende dubitare per negare che l'uomo possa pronunciarsi
sulla verità, perché vedremo presto che una verità inscalfibile l'autore la trova, ma egli intende dubitare per costruire, su basi indubitabili, il sapere, affinché esso sia completo e perfetto: «Non che
imitassi in questo (i.e. nel dubitare) gli Scettici, che dubitano solo per dubitare e vogliono mostrarsi
sempre irrisoluti: al contrario, tutto il mio progetto mirava unicamente a rendermi più sicuro e a ri17
18
19
20
21
M. de Montaigne, op. cit. p. 964.
Ivi, p. 404. Solo alla maestà divina «appartiene la scienza e la sapienza».
Ivi, p. 564
R. Descartes, Discorso del metodo, a cura di G. Gori, trad. it. M. Barsi e A. Preda, RCS Libri, 2010, Milano, p. 17
Ivi, p. 25
muovere il terreno instabile e la sabbia per trovare la roccia e l'argilla»22.
Questo dubbio, detto metodico perché pone l'accento sul metodo che si deve attuare per ricercare la verità, è un espediente per realizzare questo tipo di una certezza che fondi il sapere, in
mancanza della quale dobbiamo affidarci solo alle opinioni più probabili. Questo tipo di dubbio si
differenzia rispetto al dubbio naturale, che nasce dal contrasto tra opinioni e dall'affacciarsi di nuove
esperienze di cui Montaigne, come abbiamo visto, è un fautore, e rispetto al dubbio scettico, che si
risolve in epoché, nella sospensione del giudizio sul mondo.
Cartesio si pone così il problema del fondamento della conoscenza, a guisa di fine teoretico,
che è affrontato attraverso il rigetto come falso di tutto ciò di cui è possibile dubitare; il progetto
dell'autore è quindi di riformare i propri pensieri e di edificare il sapere su un terreno esclusivamente soggettivo23; in questo modo, ci spiega l'autore, si può pervenire a scovare, tra le proprie convinzioni, qualcosa di indubitabile che faccia da base per la costruzione del sapere. Questo è il dubbio
che muove la Prima Meditazione nella quale abbiamo una forte critica al senso comune. Ma di che
cosa si dubita? Si dubita di ciò che proviene esclusivamente dai sensi, che spesso sono in errore, «e
prudenza vuole che non ci si fidi mai del tutto di chi ci abbia ingannati anche una sola volta»24, e da
ciò che proviene dalla ragione la quale, anch'essa, può cadere in sillogismi fallaci e condurci a errate conclusioni. Inoltre, Cartesio aggiunge che, durante il sonno, percepiamo un rapporto di continuità e di contrasto rispetto alla veglia e, nonostante le impressioni che ricevo durante la veglia siano di
gran lunga più nitide, persisto a non avere un criterio che mi permetta di distinguere il sonno dalla
veglia e, quindi, continuo a non avere un criterio che mi permetta di discernere ciò che è vero da ciò
che non lo è. Questo problema sarà risolto nell'ultima meditazione, la Sesta, in cui l'autore definirà
un criterio discriminante tra questi due stati: la coerenza dell'esperienza.
Cartesio, attraverso questa astuta pratica dubitatrice, porta al collasso la certezza sensibile
che, presso il senso comune, rappresenta la fonte prima della conoscenza e il criterio del vero; l'autore ci suggerisce così che non vi è un criterio che ci permetta di distinguere la falsità dalla verità.
C'è qualcosa che resiste a questo dubbio? Sì, e si tratta delle verità matematiche che non perdono il
loro valore di verità sia che si sia svegli sia che si dorma: infatti 2+3 farà sempre 5 in entrambi i
casi. Tuttavia, dice Cartesio, introducendo un ormai celeberrimo esperimento mentale, potremmo
essere tutti ingannati da un Dio malvagio che ci inganna sempre facendoci credere vero ciò che è
falso, sia per ciò che concerne la conoscenza sensibile, sia per ciò che riguarda quella intellettiva,
all'interno della quale ritroviamo le conoscenze matematiche che erano scampate al primo esercizio
del dubbio. In questo modo la verità mi sarà preclusa proprio per la natura del Genio che non vuole
farmi scovare ciò che è vero. Ma vi è una verità che nessun dubbio può far cadere, cioè che io esi22 R. Descartes, Discorso del metodo, op. cit. p. 38
23 Ivi, p. 26
24 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, a cura e trad. it. S. Landucci, Laterza, 1997, Roma-Bari, p. 29
sto, perché, ingannandomi, il Genio presuppone la mia esistenza. Si noti, in questo caso, la vicinanza dell'argomento cartesiano con quello di Agostino: in entrambi i casi mettiamo sotto scacco il
dubbio appellandoci al fatto che se ci sbagliamo, se dubitiamo, se siamo ingannati, siamo sempre
noi ad esserlo e quindi è presupposta l'esistenza del soggetto che si sbaglia, dubita e che è ingannato.
Il dubbio in Cartesio è esercitato in due modi differenti e secondo differenti finalità: il dubbio metodico è quello che mette in crisi le certezze stabilite, quelle apprese negli anni di scuola che,
se ben analizzate ed indagate, sono scoperte essere senza un fondamento e quindi vanno rigettate. Il
dubbio metafisico, quello che vede l'entrata in gioco del Genio maligno, è un dubbio che permette,
la costruzione di una prima verità indubitabile a partire dalla quale la costruzione dell'edificio del
sapere può cominciare.
Conclusione
In questo scritto si è cercato di porre in evidenza alcuni tratti in comune, ma anche di disaccordo, circa l'utilizzo del dubbio in autori quali Agostino, Montaigne e Cartesio. Si è visto, attraverso l'analisi di alcune loro opere, come il dubbio sia stata sì una costante della loro teoresi ma che
esso abbia condotto, di volta in volta, a conclusioni differenti. Il dubbio di Agostino ha la funzione
di aprire le porte verso la fede: l'esercizio dubitativo ci conduce ad ammettere la nostra inadeguatezza nei confronti della Verità, che sta altrove, ma che possiamo comunque raggiungere mediante un
atto di fede e, in seguito, con la ragione; in Montaigne, invece, il dubbio riguarda la pretesa di verità
delle nostre parole sul mondo, non tanto per ciò che concerne il legame tra logos e realtà, ma per
quanto riguarda le tante, infinite, teorie, idee, intuizioni sulla natura delle cose e sull'uomo che si
sono succedute nella storia. Poiché nessuna di queste merita più credito delle altre, la conclusione è
che gli uomini non devono cercare di andar oltre ai fenomeni ma devono fermarsi all'αἴσθησις, alla
sensazione. L'essere infatti è solo Dio il quale, in quanto Altro, è assolutamente inconoscibile. Infine, in Cartesio, abbiamo una doppia formulazione del dubbio: metodico e metafisico. Questi riguardano rispettivamente la sensibilità e la razionalità e vengono posti con il fine di fondare su solide
basi il sapere. Il dubbio metafisico ha una portata sistematica e nella sua soluzione vi è una verità
indubitabile, l'io esisto.
L'esercizio del dubbio rimane nella storia della filosofia uno spartiacque con il pensiero precedente: Agostino si stacca dal classicismo e inaugura la patristica, Cartesio dà avvio alla filosofia
moderna con il dubbio ed il cogito, e l'epoché di Husserl è una conseguenza del dubitare, alla ricerca di un'evidenza. Inoltre, di riflesso, molti grandi filosofi si sono confrontati con la corrente dello
scetticismo per fondare la propria teoria o, come in Hegel, per precisare il proprio metodo. 25 Ma
oggi il dubbio gioca ancora un ruolo rilevante? Di fronte a questi pensatori, che «con serietà e libertà»26 hanno messo in pratica un modo di filosofare interrogante prima di tutto essi stessi e, in seguito, le cose, si deve cercare di fare proprio ciò che ci insegnano: avere un forte spirito critico nei confronti del pensiero dominante. Agostino era impegnato in una battaglia intellettuale contro nientemeno che i discepoli di quell'Accademia fondata da Platone stesso; Montaigne si discosta da tutte le
autorità filosofiche per mostrare come tutte dicano qualcosa ma nessuna dica il vero; infine Cartesio, forse quello che con più forza si scaglia contro il sapere tradizionale, ci fornisce le basi per superare questo vecchio sapere. Il problema dell'oggi è proprio quello di non abbassarsi a posizioni
già date senza farle passare dal vaglio della ragione, che funziona ancora da bilancia che misura le
opinioni; è proprio la ragione che deve condurre un'opera di messa in dubbio di tutto ciò cui non
25 Nella Fenomenologia dello Spirito l'autore si premura di precisare che la negazione che avvia il percorso dialettico
non è una negazione assoluta, propria dello scettico, ma una negazione determinata dalla quale, in seguito, si avvia il
percorso di sintesi.
26 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, op. cìt. 27
può accordare credito; nella fattispecie questo compito può essere meglio affrontato nel momento in
cui ci troviamo in una realtà contraddittoria che può essere costantemente interrogata dalla nostra
razionalità che, dubitando, perviene sempre a nuovi saperi, districando e sottoponendo ad analisi ciò
di cui il reale è composto.
Bibliografia
Agostino d'Ippona, Contra Academicos. http://www.augustinus.it/italiano/contr_acc/index2.htm
Descartes R., Discorso del metodo, a cura di G. Gori, trad. it. M. Barsi e A. Preda, RCS Libri, 2010,
Milano.
Descartes R., Meditazioni metafisiche, a cura di S. Landucci, Laterza, 1997, Roma-Bari.
Heil J., Augustine's Attack on Skepticism: The Contra Academicos. in The Harvard Theological Review ,65.1 (1972).
de Montaigne M., Saggi, a cura di F. Garavini e A. Tournon, Bompiani, 2012, Milano.