Zoonosi-zecche MANUALE

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Zoonosi-zecche MANUALE
Zoonosi trasmesse da zecche
Rischi occupazionali e misure di prevenzione
Dipartimento di Medicina del Lavoro
Commissario Straordinario: Antonio Moccaldi
Sub Commissario Straordinario: Umberto Sacerdote
Zoonosi trasmesse da zecche
Rischi occupazionali e misure di preven-
Dipartimento di Medicina del Lavoro
Centro Ricerca Monte Porzio Catone (Roma)
Direttore del Dipartimento: Sergio Iavicoli
Manuale realizzato nell’ambito del progetto di ricerca:
Valutazione del rischio associato alla presenza di patogeni trasmessi da zecche in ambiente lavorativo
(Contributo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale—Fondo Infortuni; D.M. 3/12/04)
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Zoonosi trasmesse da zecche
Rischi occupazionali e misure di prevenzione
a cura di:
contributo
redazionale:
contributo
editoriale:
Paola Tomao
Nicoletta Vonesch
Dip. Medicina del Lavoro
Dip. Medicina del Lavoro
Wanda D’Amico
Dip. Medicina del Lavoro
Paola Melis
Dip. Medicina del Lavoro
Donatella Vasselli
Dip. Medicina del Lavoro
Diego De Merich
Dip. Processi Organizzativi
Maria Concetta D’Ovidio
Dip. Medicina del Lavoro
Agnese Martini
Dip. Medicina del Lavoro
Simona Di Renzi
Dip. Medicina del Lavoro
Wanda D’Amico
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Sommario
Presentazione
Introduzione
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L’ambiente
Zecche
2.1Cenni storici
2.2Gli ospiti
2.3Agenti patogeni
2.4Tassonomia, sistematica, evoluzione
2.5Ixodidae o zecche dure
2.6Argasidae o zecche molli
2.7Controllo
2.8Raccolta, identificazione e conservazione delle zecche
2.9Controllo della popolazione di zecche
2.9Controllo della popolazione di zecche
2.10Misure di prevenzione
2.11Rimozione della zecca
Le malattie infettive trasmesse da zecche
3.1Rickettsiosi: Febbre Bottonosa del Mediterraneo
3.2Ehrlichiosi – Anaplasmosi
3.3Borreliosi di Lyme
3.4Febbre Ricorrente da zecche
3.5Tularemia
3.6Meningoencefalite da zecche (TBE)
3.7Babesiosi
3.8Bartonellosi
3.9Febbre Q
L’uomo
Le zoonosi
5.1Definizione e principali riferimenti normativi
5.2Le zoonosi occupazionali
Evoluzione della normativa italiana in ambito occupazionale
Il Rischio Biologico: definizioni e quadro normativo
7.1 Rischio Biologico nel Settore Agricolo – Forestale
Approfondimenti
Centri per lo studio di zoonosi trasmesse da zecche
Schede Zecche
Bibliografia
Normativa
Glossario
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Presentazione
Tra i compiti istituzionali dell'ISPESL l’attività di ricerca costituisce
una parte rilevante ed è caratterizzata da multidisciplinarietà e aggiornamento continuo sulla base delle priorità e dei rischi emergenti. Inoltre
sforzi importanti sono sempre stati fatti per promuovere e favorire la più
ampia diffusione delle conoscenze nel settore della prevenzione e sicurezza del lavoro, attraverso una valida ed efficace azione di trasferimento dei
risultati della ricerca ai settori della produzione e dei servizi.
Il rischio biologico ha assunto negli ultimi anni un ruolo preminente in molteplici ambiti occupazionali. Ogni anno muoiono in tutto il
mondo circa 320.000 lavoratori a causa delle malattie infettive, di cui 5.000
nell’Unione Europea. Nonostante ciò ancora oggi l’obbligo di valutare i
rischi biologici, imposto dalla Direttiva 2000/54/CE, nonché dalla recente
emanazione del D.Lgs. 81/08, e degli adempimenti che ne conseguono
continuano ad essere disattesi e le conoscenze e le informazioni trasmesse
ai lavoratori sui pericoli biologici continuano ad essere piuttosto scarse.
Infatti la correlazione tra le malattie infettive e l’attività lavorativa non
sempre viene valutata pienamente a causa delle differenti caratteristiche
eziologiche e per la complessità dei cicli biologici degli agenti infettivi. Il
confine tra gli aspetti lavorativi e non lavorativi risulta ancora oggi spesso
incerto, soprattutto in ambito agricolo-forestale.
Tra le infezioni occupazionali le zoonosi vettore-trasmesse, in particolare quelle veicolate da zecche, rappresentano un rischio emergente tra i
lavoratori. I mutamenti climatici, l’alterazione e la trasformazione degli
ecosistemi naturali, la maggiore suscettibilità alle infezioni da parte dell’uomo per i cambiamenti nelle abitudini di vita, di lavoro e di relazione
hanno permesso negli ultimi anni una maggiore e diversificata diffusione
delle zecche sul territorio nazionale e di conseguenza una circolazione non
sempre controllabile dei patogeni da esse trasmesse.
Il manuale nasce dalla necessità di fare chiarezza sui rischi reali a cui
l’uomo, ed in particolare il lavoratore che opera in ambienti all’aria aperta,
può andare incontro qualora venga punto da una zecca. Inoltre l’analisi
accurata che viene fatta dei microrganismi patogeni che possono essere
veicolati dalle zecche contribuisce alla comprensione del perché è necessario adottare comportamenti specifici, atti ad evitare l’interazione con tali
patogeni.
Dott. Sergio Iavicoli
Direttore del Dipartimento di Medicina del Lavoro
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Introduzione
L’insorgenza e la diffusione delle zoonosi vettore-trasmesse, in particolare quelle veicolate da zecche, rappresentano a tutt’oggi un fenomeno
di rilevanza notevole e in progressivo aumento in diverse aree geografiche
di più continenti.
Secondo una valutazione promossa dall’ECDC (European Centre for
Disease Prevention and Control) la globalizzazione e i cambiamenti climatici e ambientali, sotto forma di temperatura e umidità più elevate, favoriscono il diffondersi di vettori o ospiti intermedi, e in ultima analisi delle
infezioni stesse.
É ben noto che i fattori climatici possano condizionare la comparsa o la
ricomparsa di malattie infettive in determinate aree geografiche in interazione con altri fattori di carattere biologico, socio-economico, ecologico. Il
rapporto “Cambiamenti climatici ed eventi estremi: rischi per la salute in
Italia”, risultato di una collaborazione tra l’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) e il Centro Europeo per Salute
e Ambiente dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha esaminato, tra l'altro, i possibili effetti dei cambiamenti climatici sulla diffusione
delle malattie infettive, soprattutto di quelle trasmesse da vettori, ritenute
più suscettibili ai cambiamenti climatici stessi e in particolare all'aumento
della temperatura media.
Tale rapporto evidenzia che l'aumento della temperatura media dovuto ai cambiamenti climatici potrebbe:
• contribuire ad ampliare l'area di distribuzione dei vettori indigeni;
• ridurre la durata dei cicli di sviluppo dei vettori indigeni;
• ridurre la durata della riproduzione del patogeno negli artropodi
vettori;
• prolungare la stagione idonea alla trasmissione degli agenti patogeni;
• favorire l'importazione e l'adattamento di nuovi artropodi vettori;
• favorire l'importazione e l'adattamento di nuovi agenti patogeni
attraverso vettori o serbatoi.
L'Italia, per la sua particolare posizione geografica (tra i Paesi più a
sud dell'Europa e ponte ideale tra l'Europa e l'Africa), potrebbe essere particolarmente coinvolta da questo fenomeno e assistere, con l'aumento previsto della temperatura media, a un'amplificazione della densità dei vettori delle malattie infettive, quali zanzare, zecche e pappataci e a variazioni
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significative nella loro distribuzione geografica, fattori che determinerebbero una maggiore diffusione anche degli agenti patogeni da
essi trasportati. In effetti, l'aumento della temperatura media potrebbe avere effetti sull'ampliamento dell'area di distribuzione dei
vettori, anche se la probabilità che un vettore proveniente da zone
endemiche possa stabilirsi in Italia resta molto bassa, perché richiederebbe
la realizzazione di complesse condizioni ecologiche.
In tutti i paesi d’Europa, dal 1974 al 2003, si è registrato un aumento
medio di incidenza dell’infezione da virus TBE (Tick-Borne Encephalitis)
del 400%. In Europa, Russia e Siberia si sono registrati 15.000 casi di TBE
per anno; tuttavia si può presumere che il numero di casi non registrati sia
molto elevato. Piccoli focolai si sono sviluppati anche in Francia, Svizzera
e Austria. In Germania si stima che il numero di casi di malattia di Lyme
abbia un range tra 60.000 e 80.000 l'anno.
L'unica eccezione è l'Austria, dove il 90% della popolazione è vaccinata contro la TBE e ciò ha portato ad una diminuzione dei casi dai 600-700,
rilevati a partire dalla metà degli anni ’70, ai 50-100 casi odierni.
Vari sono i fattori che possono contribuire alla diffusione delle malattie trasmesse da zecche.
Principalmente:
1
L’ambiente
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Le zecche
3
L’uomo e i suoi comportamenti
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Ambiente
1 L’ambiente
L’ambiente svolge un ruolo essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo delle zecche.
L’habitat preferito delle zecche è
rappresentato da luoghi ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva con microclima possibilmente fresco e umido,
anche se oggi non è raro il loro riscontro in aree con clima decisamente caldo e asciutto, e con vegetazione più
rada. Un tasso di umidità > 85%, una
temperatura dell’aria compresa tra 6 e
7°C e un gran numero di ospiti per
potere effettuare un pasto di sangue,
sono i requisiti fondamentali per rendere una zecca "felice".
Il forte incremento delle temperature medie si registra in particolare
nel nord del mondo, in alcune regioni d'Europa, nord America e nord Africa. Inoltre, l'incremento della quantità media di pioggia sembra giocare
a favore della maggiore sopravvivenza delle zecche (regioni con un’elevata presenza di zecche registrano un forte incremento medio nella quantità
di precipitazioni).
Le infezioni trasmesse da zecche sono più frequenti nei mesi estivi e
autunnali e colpiscono prevalentemente escursionisti, campeggiatori, cacciatori, guardie forestali, veterinari, agricoltori e tutti quelli che soggiornano a lungo in campagna o in collina. Questi artropodi vivono abitualmente nell’erba umida, si nutrono di pasti ematici a danno di vari vertebrati e
possono entrare accidentalmente in contatto con l’uomo se questi si spinge
in mezzo alla vegetazione senza rispettare le norme basilari di un comportamento preventivo; in particolare la presenza di sottobosco cespuglioso
(terreni incolti con abbondante erba alta, sentieri poco curati, ecc.) crea
delle condizioni microclimatiche favorevoli.
Nei Paesi a clima temperato, come il nostro, l’attività delle zecche è
massima nei periodi maggio-ottobre. Con l’inizio della bella stagione le
zecche abbandonano lo stato di letargo per andare alla ricerca di un pasto
di sangue. È sufficiente che l’ospite sfiori la zecca, che questa, si porti sui
peli, sulla cute o sugli abiti.
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L’alternarsi di periodi caldi/freddi ha sempre caratterizzato la
storia climatica della Terra e le specie animali e vegetali hanno potuto adattarsi, ma la rapidità con cui avvengono questi cambiamenti rende
di fatto impossibile l’adattamento. Come risposta alle mutevoli sollecitazioni climatiche le specie, sia animali che vegetali, hanno mutato la loro
distribuzione sul territorio alpino. Nel corso dell’ultimo secolo si è già assistito a un progressivo spostamento ad altitudini maggiori delle specie
vegetali al quale, assieme a fattori antropici, ha sicuramente contribuito il
cambiamento climatico. Questo trend è destinato sicuramente a progredire; si prevede ad esempio che la linea boschiva potrebbe spostarsi verso
l’alto di alcune centinaia di metri nel corso del prossimo secolo. Già allo
stato attuale si sta assistendo a un rischio concreto di perdita di biodiversità d’alta quota, soprattutto nivale, dal momento in cui specie sommitali si
troveranno a competere con specie più adattabili, in arrivo dalle quote inferiori.
Il possibile incremento nella diffusione di particolari insetti patogeni è
legato anche al semplice aumento delle temperature. I dati che si riferiscono a quest’ultimo tipo di fenomeno scarseggiano, tuttavia è già stato osservato che alcuni insetti infestanti mostrano una tendenza allo spostamento altitudinale, più pronunciato in particolare nei pendii meridionali
delle montagne italiane. Parallelamente, in alcune aree del territorio nazionale, la densità faunistica degli ungulati selvatici ha raggiunto livelli molto elevati, tali da causare notevoli danni alle colture agricole e al patrimonio forestale. In conseguenza di ciò potrebbe aumentare il numero di zecche presenti in questi ambienti, nonché il numero dei casi riportati di morsi di zecche e il rischio di malattie vettore-trasmesse.
10
Zecche
2 Le zecche
2.1
Cenni storici
Storicamente le zecche sono state riconosciute come parassiti umani
già nell’antica Grecia e descritte da numerosi autori, come Omero e Aristotele, sebbene la prima dimostrazione che esse potessero trasmettere
malattie infettive è stata evidenziata alla fine del 19° secolo, quando Smith
e Kilbourne scoprirono che il Boophiulus annulatus trasmetteva il protozoo
Babesia bigemina (agente della febbre del gatto del Texas).
La febbre ricorrente da zecche causata da Borrelia duttonii e trasmessa
da Ornithodoros moubata, fu descritta nel 1905, e Ricketts dimostrò che Dermacentor andersoni è responsabile della trasmissione di Rickettsia rickettsii,
l’agente noto per la Febbre delle Montagne Rocciose (Rocky Mountain Fever). Nel 1910 il primo caso noto come Febbre del Mediterraneo fu riscontrato a Tunisi da Conor e Bruch, e intorno agli anni ’30 è stato riconosciuto
il ruolo di Rhipicephalus sanguineus (zecca marrone del cane) nella trasmissione della malattia. Nel 1929 Francis descrisse l’epidemiologia della tularemia e il ruolo degli artropodi “succhia sangue”, tra cui le zecche. Dopo
la seconda guerra mondiale, un numero crescente d’infezioni da virus,
protozoi, batteri furono rilevati sia in uomini sia in animali. Negli anni ’80
fu descritta la malattia di Lyme da B. burgdorferi e attualmente la malattia
è considerata la più importante malattia vettore trasmessa in Europa e negli Stati Uniti. Più recentemente, un certo numero di rickettsiosi emergenti
sono state registrate in ogni parte del mondo, e anche batteri del genere
Ehrlichia sono ritenuti agenti patogeni di malattie trasmesse da zecche negli Stati Uniti e in Europa.
2.2
Gli ospiti
I due fattori principali che rendono le zecche pericolose sono le variazioni climatiche e gli ospiti. È opinione di numerosi ricercatori che le zecche abbiano una più spiccata predilezione per l’ambiente naturale, anziché
per gli ospiti; nei diversi areali in cui vivono possono parassitare rettili,
uccelli, piccoli e grossi mammiferi. Alcuni autori ritengono che larve e
ninfe parassitino più frequentemente piccoli animali mentre gli adulti preferiscano i grossi mammiferi. In ogni caso esse presentano una bassa specificità di specie per cui, in assenza dell’ospite preferito, possono attaccarsi
11
al primo ospite utile di passaggio: occasionalmente, in questo senso,
anche l’uomo può fungere da ospite in ciascuna fase di sviluppo; gli uccelli sembrano essere coinvolti nel trasferimento di focolai endemici a distanza.
2.3
Agenti patogeni
La presenza di agenti patogeni nel sangue dei soggetti che forniscono
il pasto di sangue è indispensabile affinché le zecche possano fungere da
vettori di patologie infettive.
La durata del pasto di sangue, ad esempio in una zecca Ixodes ricinus,
dipende dal punto in cui si trova il proprio ciclo vitale al momento del
morso, e può variare da 2 giorni, in larve, fino a 10 giorni in femmine adulte. Una volta ingerito, il sangue si concentra da due a cinque volte; l’avanzo di acqua è secreto nell’ospite. Questo è il processo decisivo per la
trasmissione di tutti gli agenti patogeni tramite le ghiandole salivari per
mezzo di un meccanismo a pompa.
Gli agenti infettivi che possono essere trasmessi dalle zecche sono numerosi e in parte correlati con le specie di zecche e con l’ambiente in cui
queste vivono.
Molti batteri e parassiti sono trasmessi da zecche tra cui: Borrelia burgdorferi sensu latu (sl), Coxiella burnetii, Babesia divergens/Babesia microti,
Ehrlichia chaffeensis, Bartonella henselae, Francisella tularensis, Anaplasma phagocytophilum, alcune specie di Rickettsia ecc..
Anche il numero di virus patogeni umani rilevato in zecche tipo Ixodes
ricinus è molto alto. La più importante famiglia di virus è Flaviviridae, seguita da Bunya-, Reo-, Orthomyxo- e Togaviridae.
In Italia, soprattutto centro-meridionale, il Rhipicephalus sanguineus è
più frequentemente in causa nella trasmissione di alcune rickettsiosi (R.
rickettsii, R. conoriii, R. burnetii) e di diversi virus. Lungo l’arco alpino invece si riscontra più frequentemente Ixodes ricinus come responsabile della
trasmissione, oltre che di alcune rickettsiosi, del virus TBE (Tick-Borne
Encephalitis), di Borrelia burgdorferi, di Ehrlichia e di alcune Babesie (B.
bovis, microti, divergens), agenti di patologie d’interesse sia medico che veterinario.
I principali fattori che aumentano l’insorgenza e il numero delle infezioni in questione sono:
• la capacità di adattamento e la variabilità dei microrganismi;
• l’aumento delle resistenze agli antibiotici e agli antielmintici in nu-
12
•
merosi agenti patogeni;
la maggiore suscettibilità alle infezioni da parte dell’uomo
(invecchiamento, diffusione di immunodeficienze) e degli animali d’allevamento.
2.4
Tassonomia, sistematica, evoluzione
Le zecche sono artropodi (ordine Acarina, classe Arachnida) ematofagi
“obbligati” (non possono vivere autonomamente senza l’organismo ospitante), che infestano ogni categoria di vertebrati in quasi ogni regione del
mondo. L’ordine Ixodida conta circa 900 specie in tutto il mondo raggruppate in tre sole famiglie: Argasidae, Ixodidae e Nuttalliellidae, quest’ultima è
rappresentata da una sola specie: Nuttalliella namaqua Bedford, segnalata
esclusivamente in sud Africa.
Argasidae e Ixodidae possono essere distinte in base a numerosi caratteri
morfologici evidenti soprattutto negli stadi ninfali e negli adulti, primo tra
tutti la presenza o meno dello scudo dorsale chitinizzato da cui derivano i
nomi popolari di zecche “dure” (Ixodidae) e di zecche “molli” (Argasidae).
Le zecche compiono il proprio ciclo vitale in un periodo di tempo variabile da meno di un anno, nelle aree tropicali, a oltre tre anni nei climi
freddi; sono particolarmente sensibili all’essiccamento e sono presenti specialmente nei pascoli e nei boschi. Ogni specie ha condizioni ambientali
ottimali e biotipi che determinano la loro distribuzione geografica. Il ciclo
vitale delle zecche attraversa quattro stadi: uovo>larva>ninfa>adulto. Alcune specie compiono l’intero ciclo su uno stesso ospite, oppure su due o
tre ospiti diversi, sia nel maschio che nella femmina.
rostro
rostro
scudo
occhio
occhio
scudo
Maschio Ixodidae
Faccia dorsale
Femmina Ixodidae
Faccia dorsale
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2.5
Ixodidae o zecche dure
Rappresentano la famiglia più importante degli artropodi in termini
numerici e per importanza medica.
Le Ixodidae sono caratterizzate dalla presenza di uno scudo dorsale
chitinoso, mentre il resto del corpo è in grado di espandersi durante il nutrimento, e da un rostro (apparato buccale della zecca) sporgente e ben
visibile dorsalmente. Lo scudo copre tutto il dorso nel maschio, mentre
nella femmina è presente solo anteriormente. La parte posteriore del corpo
della femmina è costituita da tessuto elastico che consente l'ingestione di
grosse quantità di sangue.
Gli occhi sono assenti nei generi Ixodes e Haemaphysalis, presenti negli
altri.
Le zecche dure comprendono in Italia 6 generi: Ixodes, Boophilus, Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis.
Cicli di vita ed ecologia
Il ciclo biologico delle Ixodidae consta di quattro stadi: uovo, larva, ninfa, adulto.
Per passare da uno stadio all'altro la zecca necessita di un pasto di sangue, che può compiere su uno stesso ospite (parassiti monoxeni) o, più
frequentemente, su due o più ospiti (dixeni e eteroxeni), avendo generalmente come primo ospite (per la larva e la ninfa) roditori, uccelli o rettili e
come secondo ospite (per la zecca adulta) un mammifero, soprattutto bovini e equini.
Una zecca Ixodidae trascorre più del 90% della sua vita attaccata a un
ospite; prima di nutrirsi, può vagare parecchie ore intorno ad esso: durante le prime 24-36 ore della fase di attacco, non c’è ingestione di sangue e le
attività predominanti sono la penetrazione e l’aggressione.
A ogni stadio di crescita la zecca ricerca un ospite. Il rostro è strutturato per forare l’epidermide e agganciare il corpo alla pelle dell’ospite; è dotato di uncini rivolti all’indietro. La zecca non deve pertanto essere strappata a forza durante la rimozione dall’ospite per evitare l’intrappolamento
del rostro sotto l’epidermide e il conseguente possibile sviluppo di infezioni.
L’assunzione di sangue avviene molto lentamente: le zecche dure possono rimanere attaccate sullo stesso animale per giorni o per settimane, in
funzione della specie di zecca e del tipo di ospite. Una volta approvvigionata, la zecca si stacca.
14
Una caratteristica particolare delle zecche è la capacità di sopravvivere
per alcuni mesi senza alimentarsi, se si trovano in un ambiente con condizioni sfavorevoli.
ninfa
larva
adulti
uova
Femmina dopo un pasto
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Ecologia di Ixodes Ricinus
Zecca a 3 ospiti: durata del ciclo 3 anni
la larva parassita il I° ospite
1 anno
la larva cade sul terreno
e muta in ninfa
larva
ninfa
uova
la ninfa aggredisce il II° ospite
e si nutre
2° anno
la femmina aggredisce ilI III° ospite
3° anno
Femmina adulta
2.6
Argasidae o zecche molli
Le Argasidae sono definite zecche molli perché prive di scudo
chitinoso dorsale.
Sono piuttosto differenti dalle Ixodidae:
• il rostro non è visibile dorsalmente negli stadi ninfali e adulti;
• le loro ghiandole salivari non producono una sostanza cementante e contengono sostanze anticoagulanti e citologiche, perché impiegano un tempo relativamente breve per nutrirsi;
• possono nutrirsi più di dieci volte, durante le quali si riempiono in poche ore.
Le specie di argasidi più frequenti sono: Argas reflexus e Ornithodoros coniceps, ectoparassiti temporanei dei colombi.
Cicli di vita ed ecologia
Notevoli differenze si osservano anche nel ciclo biologico: le zecche
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Femmina Agasidae
rostro
apertura genitale
ano
Faccia dorsale
Faccia ventrale
molli si sviluppano attraverso numerosi stadi ninfali; a ogni
stadio successivo si avvicinano sempre di più alla forma da
adulto.
La zecca molle si alimenta sull’ospite per periodi che possono
variare da pochi minuti a giorni. In aggiunta alla trasmissione di
numerosi agenti patogeni, attacchi prolungati (5-7 giorni) di certe specie di zecche possono dare come esito la paralisi dell’ospite. Ciò può essere causato da sostanze neurotossiche prodotte
dalle ghiandole salivari.
Il ciclo di sviluppo delle zecche molli è solitamente più lungo
di quello delle zecche dure e può durare svariati anni (non è ancora chiaro il meccanismo tramite cui le zecche molli possono
sopravvivere a lungo senza assumere il pasto di sangue). Durante ciascuno stadio di sviluppo le zecche molli assumono più volte il loro pasto di sangue e le femmine mature sono in grado di
deporre le uova più volte nel corso della loro vita.
Spesso le zecche molli attendono l’ospite in luoghi riparati:
caverne, tane scavate nel terreno, nidi di volatili.
17
Ecologia di Argas reflexus Ixodes ricinus
Nelle regioni temperate il ciclo vitale si svolge in 2-4 anni
la larva aggredisce
un ospite
ac
co
p
pi
am
en
to
uova
la larva dopo il pasto di
sangue si lascia cadere e
muta in nifa
adulti
ninfa
la ninfa aggredisce
un ospite
adulto
la ninfa dopo il pasto di sangue si
lascia cadere e
muta in adulto
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2.7
Controllo
Pericolosità delle Zecche
Le zecche possono agire non solo come vettori, ma anche come riserve
di batteri, quali le rickettsie (febbre esantematica), le borrelie (febbri ricorrenti) o la Francisella tularensis. In questi casi i batteri sono trasmessi per
stadi, anche di generazione in generazione, attraverso il deposito ovarico
delle femmine.
Esistono condizioni ambientali ottimali e biotipi per ogni specie di zecca e questi determinano la distribuzione geografica delle zecche medesime
e le aree di rischio per le malattie causate da queste. Molte specie di Ixodidi
sono serbatoi per protozoi, virus e batteri: il rischio di trasmissione di malattie cresce in proporzione all’aumento del periodo di attaccamento all’ospite
Durante il pasto di sangue le zecche tendono a raggrupparsi in
“cluster” rendendo possibile il trasferimento di microrganismi da zecca a
zecca tramite meccanismi di “co-feeding”, anche quando si alimentano su
ospiti sani. In tal modo oltre alla trasmissione che vede la presenza di una
zecca non infetta su un ospite infetto, (una volta infettata la zecca è in grado infettare un nuovo ospite, nel corso del successivo pasto di sangue), va
considerata la trasmissione diretta tra zecche che, richiamate da sostanze
ferormonali, compiano il pasto di sangue nello stesso cluster; la trasmissione co-feeding prevede la trasmissione da una zecca infetta a una zecca
sana durante un pasto di sangue.
Come ATTORI, quindi come responsabili diretti di patologie grazie
alle tossine presenti nella saliva e non ancora ben riconosciute, esse causano la singolare "paralisi da zecche"; frequente in America e Australia. Questa colpisce persone, cani e bestiame e si manifesta con una grave paralisi
che inizia dagli arti posteriori o inferiori e si estende in seguito a tutto il
corpo; può avere, non raramente, esito mortale per insufficienza respiratoria o cardiaca. Il mezzo più semplice per eliminare la paralisi è rimuovere
la zecca.
Le zecche sono inoltre causa di anemia, per il "prelievo" giornaliero di
sangue, e di dermatiti causate dalla secrezione salivare. Esse possono attaccarsi all’uomo in numerose zone, ma sono state rinvenute più frequentemente intorno a testa, collo e inguine.
La disseminazione delle malattie da zecche richiede la dispersione dei
vettori e degli ospiti. Per rendere possibile il mantenimento delle infezioni
in nuove aree, le zecche vettori, o gli ospiti-serbatoio, devono trovare ospi-
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ti o zecche, rispettivamente, che siano sensibili alle infezioni e che possano
garantire la sopravvivenza dell’organismo patogeno. Le zecche possono
disperdersi nell’ambiente quando gli animali su cui esse si sono lasciate
cadere si spostano, ma questo accade solo su brevi distanze, raramente
superiori ai 50 metri; possono invece essere disperse su distanze più ampie quando si trovano attaccate a ospiti “viaggiatori”, come nel caso di
uccelli in migrazione o mammiferi. L’uomo può contribuire a disperdere le
zecche nell’ambiente sia per brevi sia per lunghe distanze, attraverso pratiche
di natura agricola, modificando l’habitat delle zecche o ancora mediante la
spedizione di un carico di bestiame infestato da zecche.
Azione traumatica
La zecca, per prelevare il sangue, deve infiggere il proprio apparato
buccale nella sottocute dell’ospite. Con la prima coppia di arti foggiata a
mo’ di forbice, il parassita incide la pelle senza provocare dolore, perché
nella saliva è presente una sostanza a forte azione anestetica. Il rostro è
fissato saldamente ai lembi della ferita, grazie ad una sostanza cementante, sempre presente nella saliva della zecca.
Azione anemizzante
Una volta che si è ben ancorato alla cute dell’ospite, il parassita inizia
il pasto. Il prelievo di sangue è facilitato da una sostanza ad azione emorragica secreta dall’acaro con la saliva. La zecca, a differenza della zanzara,
non spreca energia per aspirare il sangue ma sfrutta l’onda elastica derivante dall’attività cardiocircolatoria dell’ospite. Essa trattiene la parte corpuscolata del sangue e rigurgita la parte liquida. Questo significa che una
zecca acquisisce una grande quantità di materiale ematico, pari a 3–4 volte
il proprio peso a digiuno. Nel caso in cui l’ospite è interessato da un certo
numero di zecche, va pericolosamente incontro a uno stato di anemia.
Azione allergizzante
Alcuni ospiti, compreso l’uomo, possono andare incontro a uno stato
allergico quando vengono a contatto con la saliva della zecca, con esito
talvolta letale se subentra lo shock anafilattico.
Azione neurotossica
La zecca, sempre tramite la saliva, può inoculare delle sostanze lesive
al sistema nervoso nell’ospite, provocando fenomeni di paresi e paralisi.
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L’azione neurotossica è facilitata dal fatto che essa preferisce localizzarsi nei siti anatomici che, oltre a essere riccamente vascolarizzati, sono
allo stesso tempo abbondantemente innervati per cui la lesione nervosa
assume una rapida diffusione ascendente.
Azione vettoriale di malattie
Nel caso in cui l’animale ospite sia portatore di infezioni le zecche, con
il prelievo di sangue, assumono gli agenti infettivi, i quali sono inoculati a
un altro animale dalla stessa zecca, oppure,tramite l’apparato ovarico,
passano alle nuove generazioni di zecche.
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2.8
Raccolta, identificazione e conservazione delle zecche
La raccolta delle zecche può essere effettuata con il metodo della coperta strisciata (dragging sample) che consiste nel raccogliere le zecche allo
stato libero trascinando lentamente un panno bianco (1m2) su una superficie di terreno di 100 m2.
Il metodo si basa sul caratteristico comportamento (ambushing) di molti Ixodidi, tra cui Ixodes ricinus, che attendono appostati sull’erba, sui cespugli o sulla lettiera, il passaggio di un potenziale ospite cui attaccarsi.
Durante il campionamento è bene effettuare diverse fermate di controllo, per impedire il distaccamento delle ninfe e degli adulti dalla coperta, mentre le larve, che solitamente s’insinuano tra le fibre del tessuto, possono essere prelevate alla fine della raccolta.
Esse possono essere identificate in conformità alla famiglia, al genere,
alla specie di appartenenza, attraverso l’uso di numerose chiavi tassonomiche provenienti da diverse regioni del mondo.
Gli stadi prematuri sono spesso difficili da riconoscere e può essere
necessario consentire alle zecche di passare allo stadio adulto dell’identificazione definitiva.
Le metodiche innovative di biologia molecolare sono in grado di identificare le zecche e ci si attende che già nel prossimo futuro possano essere
utilizzate di routine per la genotipizzazione di specie strettamente correlate.
Per rilevare rapidamente la presenza delle zecche molli possono essere
utilizzate le trappole a ghiaccio secco che emettono anidride carbonica,
poste vicino al luogo ove gli animali ospiti sono soliti sostare.
2.9
Controllo della popolazione di zecche
La riduzione e il controllo della popolazione delle zecche sono difficili:
le modificazioni dell’habitat, la gestione della vegetazione attraverso operazioni di taglio, bruciature, trattamenti erbicidi, nonché il prosciugamento e la bonifica di aree umide rappresentano strategie di controllo, ma i
loro effetti durano poco e possono causare seri danni dal punto di vista
ecologico.
In alcune aree l’esclusione dell’ospite o il calo demografico può produrre una riduzione della densità delle zecche, ma tale soluzione è per lo
più impraticabile.
L’uso di organofosfati o pesticidi piretroidi, che possono essere combinati con ferormoni, può causare contaminazioni ambientali molto tossiche
24
per uomini e animali, anche quando applicati solo a habitat selezionati.
Gli acaricidi possono essere applicati direttamente a ospiti domestici o selvatici al fine di uccidere le zecche già attaccate e interrompere il loro processo di nutrimento.
Anche i metodi di controllo biologico delle zecche sono validi. Questi
includono lo sviluppo di predatori naturali (coleotteri, ragni e formiche),
parassiti (insetti, acari e nematodi) e patogeni batterici delle zecche, il
massiccio rilascio di maschi sterilizzati da irradiazioni, nonché l’immunizzazione degli ospiti contro le zecche.
Attualmente il controllo delle zecche è per lo più basato sul concetto di
gestione integrata dei parassiti, nell’ambito del quale differenti metodi di
controllo sono adattati a una zona o contro una specie di zecche, con la
dovuta considerazione dei loro effetti sull’ambiente.
2.10 Misure di prevenzione
Per la prevenzione occorre predisporre programmi d’intervento che
puntino ad un triplice obiettivo:
• igiene personale;
• igiene ambientale;
• igiene degli animali domestici.
Relativamente al primo punto è necessaria la sensibilizzazione della
popolazione nei confronti del problema attraverso adeguate campagne
d’informazione, poiché la migliore protezione contro le malattie trasmesse
da zecche è rappresentata dalla capacità di riconoscere, identificare e quindi trattare le zone infettate
Ecologia di Rhipicephalus sanguineus
e da una particolare attenzione ai primi segni di malattia.
Per quanto riguarda
l'igiene ambientale e degli
animali domestici, bisogna
puntare al risanamento delle zone infestate da zecche
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25
non solo per i riflessi sulla salute umana, ma anche nei confronti della
salute animale.
È bene ricordare che esiste una differenza fondamentale tra ecologia di
Rhipicephalus sanguineus, la zecca del cane e Ixodes ricinus, la zecca dei boschi.
Rhipicephalus sanguineus è in assoluto la zecca che ha più opportunità di coabitare con l’uomo, avendo come ospite abituale il cane e potendosi moltiplicare abbondantemente nei pressi di cucce e canili.
Il biotipo ideale è l’interfaccia casa-giardino con uno o più cani, dove è
possibile lo svolgimento dell’intero ciclo di R. sanguineus. In inverno rimane protetta dalle avversità atmosferiche nelle crepe e nelle fessure. Nelle
stagioni favorevoli al suo sviluppo, si ritrova lungo i muri, i marciapiedi e
le strade, anche all’interno delle abitazioni, alla ricerca dei cani, dei gatti
ed eventualmente dell’uomo per un pasto di sangue.
Rhipicephalus sanguineus
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rostro
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Femmina
Faccia dorsale
Maschio
Faccia dorsale
26
Ixodes ricinus è la zecca del capriolo, di altri ungulati selvatici e domestici e frequenta soprattutto boschi di latifoglie e privilegia esposizioni
non dirette. E’ maggiormente attiva dalla primavera all'autunno avanzato,
soprattutto nelle ore più calde della giornata. Per la sua bassa specificità è
parassita di numerosi animali selvatici e domestici ed occasionalmente
anche dell'uomo. In ragione del rischio che possiamo correre nella frequentazione di habitat dove I. ricinus è presente, non essendo realizzabile
per ragioni pratiche una disinfestazione su vasta scala, la prevenzione
principale consiste nell’evitare la puntura.
Dermacentor marginatus ha particolare affinità con il cinghiale ed ovviamente è presente soprattutto nelle aree frequentate da questi animali; si
tratta di pascoli o prati di mezza collina, asciutti ed esposti, quindi un
habitat diverso da quello di I. ricinus, come differente è il picco massimo
della densità dell’adulto, l’unico stadio che sembra parassitare l’uomo, e
che raggiunge il massimo nei mesi freddi.
In ambiente domestico è fondamentale il regolare sfalcio dei prati e la
rimozione di erba e foglie cadute per evitare depositi di materiale e la potatura degli alberi e delle siepi per consentire una maggiore penetrazione
dei raggi solari. Le possibilità di esposizione alle zecche possono essere
ridotte limitando l’accesso dei roditori alle cantine e alle soffitte delle case
e delle baite adibite alle vacanze ed eliminando le potenziali tane dei roditori negli edifici e intorno a questi.
Gli animali domestici devono essere periodicamente controllati, ponendo particolare attenzione alla presenza di ninfe, che per le loro ridotte
dimensioni possono sfuggire all’ispezione e che in genere tendono a localizzarsi sul capo e nella zona periorbitale. È consigliabile eseguire il trattamento anti zecche a cani e gatti ricorrendo a preparati di pratica applicazione, come spray o spot-on, in genere a base di piretroidi. In caso di infestazione di zone peridomestiche, la deltametrina e i piretroidi in generale,
mostrano una buona attività.
Per le zecche adattate ad ambienti naturali, il rischio di infestazione da
parte dell’uomo è legato alla frequentazione di determinati luoghi e si è
visto essere particolarmente elevato nello svolgimento di alcune attività:
passeggiate in campagna, camping, ricerca di funghi, pesca e caccia. Quest’ultima attività presenta un ulteriore fattore di rischio legato alla manipolazione di selvaggina spesso massivamente infestata. Come precauzioni
risulterà utile indossare indumenti di colore chiaro, che permettono una
facile identificazione della zecca.
27
Prevenzione comportamentale
Alcune categorie professionali sono particolarmente esposte al morso
di zecca come i boscaioli, i contadini, i cacciatori, i forestali, i guardiacaccia, i cercatori di funghi e gli escursionisti.
Per questi soggetti esiste una profilassi attiva mediante la vaccinazione
per le patologie per le quali il vaccino è disponibile (anti-TBE), ma in caso
di escursioni o permanenza in zone a rischio sono consigliabili alcune misure di protezione individuale che possiamo riassumere come segue:
Usare repellenti prima di mettersi in cammino nei boschi:
gli insetto-repellenti cutanei più efficaci contro le zecche sono il dimetilftolato (DMP) e il ben noto N,N-dietiltoluammide (DEET) principio attivo
di molti prodotti in commercio (5-30% di principio attivo).
• Il DMP agisce ad una concentrazione del 40% ed ha una durata di
azione di circa due ore, non si è rivelato né cancerogeno né mutageno e non presenta particolari problemi per la cute.
Il DEET si è rivelato più efficace del DMP in particolar modo contro le
zecche. Agisce ad una concentrazione compresa tra 35 e 50% ed è efficace per circa quattro ore; viene deterso dal sudore, dalla pioggia, dallo
strofinamento degli abiti, per cui l’applicazione va rinnovata
•
È considerato piuttosto sicuro essendo in commercio dal 1954; circa
il 9% del prodotto viene assorbito sulla cute, ed eliminato in massima parte con le urine, ma può provocare gravi encefalopatie tossiche
dopo l’uso prolungato a concentrazioni elevate. Sono stati tuttavia
segnalati casi di dermatite allergica e di orticaria da contatto e reazioni anafilattiche.
Il prodotto non va applicato su ferite, su cute infiammata, vicino agli
occhi, alla bocca e sulle mani dei bambini (l’ingestione può essere mortale) Sugli abiti si può utilizzare lo stesso DEET dove sembra avere un
tempo di permanenza di circa due giorni perché fotolabile e facilmente
evaporabile.
E’ stato recentemente immesso in commercio un nuovo repellente a
base di acido 1-pipetidincarbossilico, 2-(2-idrossietil)-,1metilpropilestere dotato di efficacia pari al DEET ma senza azione
dannosa su plastica e materiali sintetici. Il prodotto è stato raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO: Report of the
28
fourth WHOPES Working Group Meeting, WHO/CDS/WHOPES/2001.2
Geneva: WHO, 2001) ed è stato autorizzato in molti paesi per adulti e
per bambini sopra i 2 anni di età.
•
La Permetrina, utilizzata nelle infestazioni da pidocchi e nella scabbia, ha un’azione insetticida anche contro le zecche. In USA è utilizzata dall’esercito e sembra avere un’efficacia superiore a quella del
DEET e un’azione più prolungata (circa un mese); è utilizzata in
spray allo 0,5% e dopo progressiva riduzione di concentrazione, a
seguito di ripetuti lavaggi, si verifica una riduzione dell’effetto insetticida ma non di quello repellente. Gli effetti collaterali della Permetrina sono scarsi e costituiti quasi esclusivamente da rash cutanei,
eritemi ed edemi, ma non sono riportati in letteratura effetti sistemici.
Percorrere sentieri ben battuti:
sono da evitare, per quanto possibile, sentieri di montagna poco frequentati, con erbe alte, perché la vegetazione incolta costituisce il sito ideale in cui le zecche attendono il passaggio di qualche animale per potersi
aggrappare
Evitare luoghi visibilmente frequentati da animali:
bisogna evitare percorsi che costituiscono passaggi obbligati per branchi di animali selvatici, perché diventa maggiore il rischio di trovare zecche; tali percorsi possono essere individuati con un po' di pratica, avendo
cura di osservare attentamente la vegetazione (cotica erbosa ripetutamente calpestata, rami spezzati o parti vegetali tenere brucate) oppure individuando direttamente le impronte o gli escrementi.
Procedere, in caso di lavoro o sosta in aree conosciute come infestate, a periodiche ispezioni degli indumenti e delle parti scoperte (ogni 34 ore) per verificare l’eventuale presenza di zecche:
le zecche non si attaccano subito alla pelle, prima di infiggere il rostro
camminano sulla pelle in cerca di una posizione favorevole: un controllo
frequente riduce la possibilità di essere morsi.
Effettuare lavaggi accurati dopo ogni uscita:
se una zecca è riuscita a oltrepassare la coltre dei vestiti, ma non si è
29
infissa nell’epidermide umana, è sufficiente un accurato lavaggio corporeo per allontanarla.
Effettuare un’ispezione meticolosa del corpo:
soprattutto in corrispondenza dei punti con reticolo venoso superficiale più rappresentato (ascelle, inguine, cuoio capelluto, ecc.).
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2.11 Rimozione della Zecca:
Come rimuovere la zecca
Se individuate sulla pelle, le zecche vanno prontamente rimosse perché la probabilità di
contrarre un'infezione è
direttamente proporzionale alla durata della
permanenza del parassita sull'ospite.
Bisogna comunque
tenere presente che non
tutte le zecche sono infette.
Durante l’operazione,
proteggere le mani con
guanti o un fazzoletto, per evitare la possibilità di infezione attraverso
piccole lesioni della pelle o di autoinoculazione per via congiuntivale o
orale.
La rimozione della zecca deve essere fatta in modo accurato, facendo
attenzione a non causare il distacco
dell’ apparato buccale che può rimanere infisso nella cute dell’ospite e
rappresentare un possibile punto di
ingresso per i microrganismi patogeni.
La zecca va afferrata saldamente con una pinzetta il più
possibile aderente alla cute, e
va rimossa senza strappi mediante una delicata rotazione
per evitarne la rottura.
L’operazione può essere effettuata presso il Pronto Soccorso.
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nella zecca
Che cosa fare dopo la rimozione della zecca.
Alla rimozione della zecca dovrebbe seguire un periodo di osservazione della durata di 30-40 giorni per individuare la comparsa di eventuali
segni e sintomi di infezione.
La somministrazione di antibiotici per uso sistemico nel periodo di
osservazione è sconsigliata, poiché può mascherare eventuali segni di malattia e rendere più complicata la diagnosi.
Nel caso in cui, per altre ragioni, fosse necessario iniziare un trattamento antibiotico, è opportuno impiegare farmaci di cui è stata dimostrata
l’efficacia nel trattamento delle rickettsiosi e delle borreliosi (ad esempio:
doxiciclina, amoxicillina, cefuroxime); il trattamento va continuato per
almeno tre settimane.
32
In caso di morso di zecca è bene consultare sempre un medico per ricevere le informazioni in merito al rischio d’infezione.
Per ulteriori informazioni è possibile rivolgersi alle Unità Operative
di Igiene e Sanità Pubblica dei Dipartimenti di Prevenzione.
Come lavorare in sicurezza
1. Prevenzione Comportamentale (vedi pag. 28)
2. Presenza di servizi igienico-assistenziali:
• Docce;
• Lavabi;
• WC;
• Spogliatoti;
• Armadietti personali a doppio scomparto (abiti da lavoro/abiti
personali).
3. Protezione personale:
• Indumenti quali tute, guanti, stivali, cappelli e cappucci con copri
collo;
• Specifici DPI (Dispostivi di Protezione Individuale) vanno utilizzati a seguito dei risultati della valutazione dei rischi (ai sensi del
D.Lgs. 81/08).
4. informazione/formazione/addestramento specifici per il personale (ai
sensi del D.Lgs. 81/08).
33
Le malattie infettive trasmesse da zecche
3
Le malattie infettive trasmesse da zecche
L’ impatto più grande sulla salute pubblica negli Stati Uniti e in Europa è stato riconosciuto con l’emergenza di B. burgdorferi come agente eziologico della malattia di Lyme nel 1982; da allora sono state descritte otto
rickettsiosi. Attualmente le zecche sono considerate seconde solo agli insetti in importanza quali vettori d’infezioni umane nel mondo, ma prime
nel nord America, come dimostrato dal sempre crescente numero di centri
adibiti alla cura delle malattie trasmesse da zecche.
Le zecche Ixodidae sono in grado di trasmettere all’uomo numerose e
differenti patologie: la febbre bottonosa, l’ehrlichiosi, la febbre Q, la borreliosi di Lyme, la tularemia, la meningoencefalite virale (TBE) e la babesiosi. Le zecche Argasidae sono vettori di patologie meno rilevanti dal punto
di vista epidemiologico: le febbri ricorrenti da zecche e la febbre Q.
3.1
Rickettsiosi
Le rickettsiosi appartengono al gruppo delle febbri esantematiche e
sono causate da Rickettsie, batteri trasmessi da zecche dure ampiamente
distribuite in tutto il mondo.
Il gruppo delle rickettsiosi comprende:
• febbre esantematica delle montagne rocciose, diffusa in tutti gli Stati
Uniti;
• febbre da morso di zecca africana;
• tifo da zecca di Queensland;
• febbre da zecca dell’Asia settentrionale;
• febbre bottonosa.
Le Rickettsiae sono batteri Gram negativi, di dimensioni comprese tra
0,25-0,3 µm di lunghezza e 0,3-0,5 µm di larghezza. Tale microrganismo, a
metà strada tra i batteri ed i virus, è un parassita simbionte degli artropodi; il suo ciclo biologico comprende una prima fase che si svolge in alcune
specie di artropodi (pidocchio, pulce, zecche) ed una seconda nell'uomo, il
quale rappresenta l'unico serbatoio a sangue caldo. Le Rickettsiae sono in
grado di sopravvivere a lungo solo all’interno delle cellule, mentre vengono inattivate molto rapidamente nell’ambiente esterno; quasi tutte mostrano una spiccata predilezione per gli endoteli; si riproducono nel citoplasma ospite e più raramente nel nucleo, per scissione binaria.
34
Le Rickettsie infettano e si moltiplicano in quasi tutti gli organi
delle zecche, in particolare nelle ghiandole salivari, che consentono
loro di essere trasmesse agli ospiti vertebrati durante l’approvvigionamento di sangue.
La zecca deve rimanere attaccata almeno per 4-6 ore nutrendosi di sangue, prima che le rickettsie possano riattivarsi e divenire infettive per l’uomo.
Solo le Ixodidi sono state riconosciute come vettori di malattie ed è
noto che le rickettsie si mantengono all’interno di queste attraverso la trasmissione per stadi e per generazioni.
Delle diverse specie di rickettsie esistenti in natura la sola presente nel
bacino del Mediterraneo è Rickettsia conorii, agente eziologico della Febbre
Bottonosa del Mediterraneo (FBM).
Febbre Bottonosa del Mediterraneo
La Febbre Bottonosa del Mediterraneo viene trasmessa da diverse specie di zecche dure e soprattutto da Rhipicephalus sanguineus, un parassita
abituale di cani e altri animali domestici e selvatici (conigli, lepri, ovini,
caprini e bovini). L’agente patogeno della Febbre Bottonosa del Mediterraneo è rappresentato dalla Rickettsia conorii e da altri microrganismi strettamente correlati.
Epidemiologia e ciclo biologico
La febbre esantematica mediterranea, chiamata febbre “bottonosa” per
la caratteristica eruzione cutanea (papulare piuttosto che maculare), causata da Rickettsia conorii, è stata descritta nel 1910 a Tunisi. L’escara nel sito
di puntura della zecca fu descritta a Marsiglia nel 1925 da Boinet e Pieri.
In Italia, dopo la prima segnalazione nel 1927 in Sicilia da Ingrao, dalla
seconda metà degli anni ’70 si è avuto un notevole incremento dei casi soprattutto lungo la costa tirrenica e al sud. Attualmente in Sicilia vengono
notificati quasi 500 casi/anno, un quinto dei quali si verifica in età pediatrica. Le altre regioni maggiormente colpite sono: Sardegna, Lazio, Calabria e Campania
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento
La malattia viene trasmessa all’uomo dalla comune zecca del cane Riphicephalus sanguineus, che al momento della puntura trasmette le rickettsie presenti nelle sue ghiandole salivari.
35
La zecca infetta é dunque vettore della malattia e, poiché a seguito dell’infezione non va incontro a morte ma trasmette la rickettsia alla sua progenie, è anche il principale serbatoio.
Il cane è semplicemente un ospite occasionale e la sua presenza non è
necessaria per la trasmissione dell’infezione all’uomo dal momento che
nell’ambiente possono essere presenti zecche nate infette. La presenza degli animali è importante per il mantenimento dell’endemia, dal momento
che il passaggio della zecca attraverso i diversi stadi maturativi
(larva>ninfa>adulto) è condizionato dalla possibilità di espletare pasti ematici; il principale ruolo del cane è quello di portare in prossimità degli
ambienti abitativi le zecche infette.
La malattia si presenta nella maggior parte dei casi nel periodo fra
maggio ed ottobre.
Dopo inoculazione Rickettsia conorii si replica nelle cellule endoteliali
dei vasi cutanei in corrispondenza del punto di inoculo, quindi passa in
circolo, penetra e si moltiplica nelle cellule endoteliali di tutti i piccoli vasi
causando una vasculite generalizzata.
Le manifestazioni cliniche, che insorgono dopo un periodo d’incubazione di 6-13 giorni, sono costituite da una triade caratteristica:
• la febbre;
• la tache noire;
• l’esantema maculo papuloso.
Nelle prime fasi può essere confusa con l’ehrlichiosi, la meningite e
con le infezioni da enterovirus; la febbre insorge improvvisamente con
brivido, è elevata, spesso superiore a 39°C, ed è accompagnata da cefalea,
artralgie, mialgie. A questi sintomi possono aggiungersi anche fotofobia,
nausea, dolori addominali, vomito e diarrea.
La cosiddetta “tache noire” all’inizio si presenta come un rilievo di pochi cm di diametro, di colorito rosso scuro, poi rapidamente diviene nerastro al centro trasformandosi in escara necrotica, nell’arco di una settimana guarisce lasciando una piccola cicatrice.
La febbre bottonosa può portare complicazioni a carico del sistema
cardiovascolare, renale e del sistema nervoso centrale. È letale in un numero molto basso di casi (inferiore al 3%). Le persone a rischio maggiore
sono quelle che presentano già condizioni di salute compromesse.
36
Elementi per la diagnosi
La diagnosi clinica della FBM è facilitata dalla conoscenza delle caratteristiche epidemiologiche della malattia: la stagione estiva, la provenienza da aree rurali endemiche per la malattia, il contatto con cani ed un eventuale storia di morso di zecca sono tutti fattori che aumentano la probabilità di essere di fronte ad un caso di FBM.
La diagnosi clinica può essere confermata da quella di laboratorio, che si
basa essenzialmente sulla ricerca degli anticorpi specifici sia di classe IgM
che IgG anti-R. conorii con diverse metodiche, la più sensibile e specifica
delle quali è l’immunofluorescenza indiretta (IFI). La reazione di WeilFelix, in passato impiegata come principale metodica diagnostica, va oggi
preferibilmente abbandonata, in quanto poco affidabile per la sua scarsa
specificità.
In fase acuta di malattia, poiché è possibile che non si siano ancora formati gli anticorpi, l’IFI può dare esito negativo, è allora necessario effettuare un controllo sierologico in fase di convalescenza.
Altre metodiche di laboratorio impiegate in laboratori specializzati sono:
• Ricerca di R. conorii all’interno di cellule endoteliali mediante IFI;
• Isolamento colturale in vivo (embrioni di pollo) e in vitro (colture cellulari);
• PCR su sangue, siero, liquor e materiale bioptico.
Terapia
Il trattamento antibiotico di elezione della FBM è rappresentato dalle
tetracicline in somministrazioni giornaliere per 5-7 giorni, e per almeno 48
ore dopo lo sfebbramento; il cloramfenicolo costituisce l’antibiotico di seconda scelta, che va utilizzato solo se esiste una controindicazione assoluta all’uso delle tetracicline.
Il trattamento deve essere iniziato non appena ci siano dei sospetti clinici ed epidemiologici d’infezione, senza attendere conferma di diagnosi
dal laboratorio.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10
Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11
Rimozione della Zecca).
Non esiste un vaccino.
37
Febbre Bottonosa del Mediterraneo
Classe di notifica:II (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:3 (D.Lgs 81/08, allegato XLV)
3.2
Ehrlichiosi – Anaplasmosi
Malattia febbrile che ricorda la Febbre maculosa delle montagne rocciose causata da un batterio simile a una rickettsia del genere Ehrlichia e
trasmessa all'uomo dalle zecche.
Le Ehrlichie sono batteri obbligati e intracellulari che appaiono come
piccole inclusioni citoplasmatiche nei linfociti e nei neutrofili.
Le infezioni sono trasmesse all'uomo a volte tramite punture di zecca e
a volte per contatto con cani parassitati dalla “zecca marrone”. La maggior
parte dei casi è stata identificata nella zona sud-orientale e in quella centro-meridionale degli Stati Uniti.
Attualmente si riconoscono varie specie di ehrlichie patogene per l'uomo:
• E. sennetsu, responsabile di un quadro di febbre linfoghiandolare
descritto in Giappone nei primi anni '50;
• E. chaffeensis, agente dell'Ehrlichiosi umana monocitica (HME) osservata negli Stati Uniti e trasmessa dalla zecca Amblyomma americanum;
• E. phagocytophila, responsabile dell'Ehrlichiosi Umana Granulocitica
(HGE) osservata negli Stati Uniti ed in Europa e trasmessa da zecche
del genere Ixodes;
• E. edwingii.
Le zecche vettore delle ehrlichiosi umane appartengono al genere Ixodes.
Il probabile serbatoio ospite dell’E. chaffeensis è il cervo dalla coda
bianca (Odocoileus virginianus) e, sebbene i cani domestici possono essere
38
infettati, il loro ruolo preciso come serbatoio di infezioni deve ancora essere stabilito.
Piccoli mammiferi, in particolare topi con zampe bianche, sono stati
ritenuti responsabili in qualità di serbatoi ospiti dell’agente HGE negli Stati Uniti dell’ovest e centro-occidentale, mentre in Europa i serbatoi dell’agente HGE sono ancora poco conosciuti.
Epidemiologia e ciclo biologico
Il primo caso umano di ehrlichiosi monocitica è stato descritto nel 1987
e si presume sia stato dovuto all’agente dell’ehrlichiosi canina. L’agente
attuale, Ehrlichia chaffeensis, è stato isolato nel 1991 negli Stati Uniti; sempre qui nel 1994 è stato descritto per la prima volta l’HGE. Nel 1999 è stato
scoperto che l’agente dell’ehrlichia granulocitica, Ehrlichia edwingii, poteva
anche causare malattia nell’ uomo. Nel 2001, sulla base del sequenziamento del gene rRNA 16S, le ehrlichie sono state incluse nel genere Anaplasma
e suddivise in tre specie: Anaplasma, Neorickettsia ed Ehrlichia.
I casi di ehrlichiosi monocitica si riscontrano prevalentemente negli
USA, ove è presente la zecca vettore Amblyomma americanum. L’ehrlichiosi
granulocitica, causata da A. phagocytophila, è veicolata da Ixodes scapularis
(USA) e Ixodes ricinus (Eurasia), gli stessi vettori che trasmettono Borrelia
burgdorferi; l’epidemiologia delle due infezioni risulta, infatti, sovrapponibile. Ben più di 1000 casi di ehrlichiosi granulocitica sono stati registrati
negli USA; in Europa solo recentemente, nell’ultimo decennio, i primi dodici casi sono stati individuati in Slovenia, cui sono seguite fino a 50 segnalazioni in Polonia, Svezia, Norvegia, Belgio, Spagna, Repubblica Ceca
e anche in Italia.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento
I batteri del genere Ehrlichia sono noti da molto tempo come patogeni
degli animali e solo negli ultimi dieci anni hanno risvegliato l’interesse del
microbiologo medico, poiché alcuni di essi (E. chaffeensis, E. canis ed E. phagocytophila) sono stati identificati come responsabili di forme acute febbrili
insorte nell’uomo in seguito al morso di zecca.
Il decorso dell’ehrlichiosi umana è per lo più subclinico e comunque
aspecifico. Il quadro clinico è quello di una malattia multisistemica da moderata a severa: dopo un periodo d’incubazione di 7-10 giorni compaiono
febbre, raffreddore, cefalea, mialgie e malessere generale; spesso si aggiungono nausea, inappetenza e perdita di peso. L’anamnesi spesso evi-
39
denzia una recente puntura di zecca o, nel periodo maggio-settembre, la
residenza in zone endemiche.
L’aspecificità della sintomatologia clinica e la non ancora standardizzata diagnosi microbiologica rendono questa infezione di non facile identificazione, ma di rimarchevole importanza nella diagnosi differenziale
verso altre patologie.
L'ehrlichia, penetrata nella cute, si diffonde per via linfatica ed ematica
raggiungendo le cellule bersaglio del sangue e del sistema reticolare: si
possono osservare le caratteristiche “morule”, oltre che in macrofagi, monociti, linfociti e talora poliformonucleati, anche in cellule di midollo osseo, sinusoidi epatici, linfonodi, cordoni splenici, macrofagi del liquor, rene
ed epicardio.
Meno della metà dei pazienti (più spesso bambini) presentano esantema maculopapulare, talora petecchiale. Nelle forme severe degli adulti è
presente tosse, diarrea e linfoadenopatia; nei bambini è possibile osservare edema delle mani o dei piedi, leucopenia, trombocitopenia, elevati livelli plasmatici di transaminasi epatiche (ASAT). Importanti complicanze
comprendono insufficienza respiratoria, insufficienza renale, alterazioni
del SNC ed emorragie digestive; la letalità è intorno al 2%.
Elementi per la diagnosi
Con quest’ampio panorama di manifestazioni cliniche, che va dall’assenza di sintomi alla malattia con brusco esordio e rapido exitus, la diagnosi clinica è difficile e quindi diventa di notevole ausilio una rapida e
corretta diagnosi di laboratorio anche per accertare la presenza dell'infezione in maniera precoce, prima ancora della risposta anticorpale.
Grazie alle metodiche di biologia molecolare oggi è possibile la ricerca
diretta di Ehrlichia spp. con la PCR, test precoce, utile per un tempestivo
inizio della terapia di elezione. Inoltre la genotipizzazione del gruppo infettante ed il monitoraggio, durante e dopo la cura, aiutano nella prognosi, dando indicazioni sia sulla capacità aggressiva del microrganismo, sia
sulla possibilità di una cronicizzazione o sulla eradicazione dello stesso.
La diagnosi di laboratorio si ottiene anche mediante l’identificazione
delle morule nei leucociti periferici dei pazienti (dopo colorazione di
Wright o Giemsa), o con l’ausilio della tecnica di immunofluorescenza indiretta (IFA).
40
Terapia
È consigliabile iniziare la terapia prima che i risultati di laboratorio
confermino la diagnosi. Se iniziata precocemente, i pazienti generalmente
rispondono rapidamente e con esito positivo; in caso di terapia ritardata,
possono seguire complicanze serie, comprese superinfezioni virali, micotiche e morte.
Possono essere somministrati la tetraciclina, la doxiciclina, ed anche il
cloramfenicolo, sebbene anche i chinolonici e la rifampicina si siano dimostrati attivi in vitro; la terapia deve protrarsi per almeno 7 giorni.
Non esiste un vaccino.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10
Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca).
Ehrlichiosi – Anaplasmosi
Classe di notifica:V (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:2 (D.Lgs. 81/08, allegato XLV)
41
3.3
Borreliosi di Lyme
La borreliosi di Lyme (BL), detta anche “eritema migrante” o “eritema
cronico migrante”, è un’antropozoonosi causata da spirochete appartenenti al complesso Borrelia burgdorferi sensu lato di cui almeno 3 specie
sono state identificate come patogene per l’uomo: Borrelia burgdorferi sensu
strictu (ss)
(presente in Europa e unico agente d’infezione nell’America settentrionale), Borrelia afzelii e Borrelia garinii (presenti in Europa, Asia
e Africa).
Le tre genospecie possiedono diverso organotropismo e possono provocare diverse manifestazioni cliniche. Le borrelie responsabili della BL
vengono trasmesse all’uomo attraverso la puntura di zecche dure appartenenti al genere Ixodes (ricinus, persulcatus, scapularis, pacificus) e forse anche
Amblyomma e Dermacentor (zecca del cane). Il serbatoio naturale delle borrelie è costituito da vari vertebrati, quali rettili, uccelli, roditori, mammiferi di media e grossa taglia (alci, cervi, cani, cavalli).
Epidemiologia e ciclo biologico
La malattia deve la sua attuale denominazione a un’insolita epidemia
di artrite giovanile osservata nel 1975 tra gli abitanti della contea di Old
Lyme, nel Connecticut (Stati Uniti). Nel 1977 Steere dimostrava la correlazione tra il morso della zecca e la successiva insorgenza di eritema cutaneo e sintomi articolari; una malattia con sintomi simili era stata osservata in
Europa ben 100 anni prima. Nel 1982 Burgdorfer e Barbour isolavano una
spirocheta (poi denominata Borrelia burgdorferi) nell’intestino della zecca
di genere Ixodes e, due anni più tardi, la stessa borrelia veniva isolata nelle
lesioni cutanee, nel sangue e nel liquor cefalorachidiano dei pazienti affetti
dalla malattia.
Successivamente anche la zecca Ixodes scapularis (precedentemente Ixodes dammini) è stata individuata come vettore del microrganismo e la borreliosi di Lyme ed è ora la malattia vettore-trasmessa più comune negli
Stati Uniti. In Europa le specie Apodemus sono considerate il più importante serbatoio di B. burgdorferi ss e B. afzelii. Diverse specie di uccelli (tordi,
merli, pettirossi, piccioni) sono considerati probabili serbatoi di B. garinii.
In Italia la specie di zecca maggiormente responsabile della trasmissione di Borrelia burgdorferi è la Ixodes ricinus. La presenza d’infezione da B.
afzelii, B. burgdorferi, B. garinii nelle zecche è stata dimostrata in varie regioni italiane, principalmente nell’area centro-settentrionale (le segnala-
42
zioni dalle regioni dell’Italia centro-meridionale e insulare sono sporadiche).
Studi sieroepidemiologici hanno dimostrato la presenza di positività
per anticorpi specifici anti-borrelia in percentuali significativamente più
alte in soggetti appartenenti a categorie maggiormente esposte a rischio di
punture da zecche (forestali, cacciatori) che nella popolazione generale.
Differenze nelle manifestazioni cliniche della malattia in pazienti residenti negli Stati Uniti e in quelli provenienti dall’Eurasia si pensa siano
dovute a differenze nell’organotropismo delle diverse specie di borrelia in
queste zone.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento
B. afzelii risulta spesso associata all’eritema migrante, ma è anche la
causa principale di acrodermatiti croniche atrofizzanti. Un’infezione da B.
garinii è frequentemente associata a disturbi neurologici, mentre soggetti
infetti da B. burgdorferi ss manifestano più spesso disturbi reumatici. La
disseminazione ematica delle borrelie sembra più frequente nelle infezioni
diagnosticate negli Stati Uniti, mentre in Europa l’eritema cronico migrante rimane più spesso un’infezione localizzata.
La diagnosi di malattia di Lyme, anche se spesso difficile, è strettamente clinica e l'eritema migrante (EM) è l'unica lesione patognomica ma,
a causa dei diffusi timori correlati a questa patologia, l'uso dei test sierologici è purtroppo divenuto frequente. Le limitazioni della tecnologia diagnostica spesso portano a confusione piuttosto che fare chiarezza dal momento che i test diagnostici, generalmente usati e disponibili, sono test
indiretti che indicano una possibile esposizione all'agente eziologico e non
un'infezione attiva in atto. Numerosi sono i fallimenti clinici che derivano
dall’utilizzo di test sierologici differenti, soprattutto in pazienti con bassa
probabilità di essere affetti da BL. Ciò è spesso vero anche per i test eseguiti nei Laboratori di Riferimento: molte delle attuali controversie sulla
diagnosi e terapia della BL possono essere ricondotte direttamente ad una
incompleta comprensione delle limitazioni dei test sierologici. Vari studi
documentano un’estrema variabilità, sia intra- che inter-laboratorio, dei
risultati dei test sierologici per la BL, per non parlare delle notevoli variabilità antigeniche fra i vari ceppi di B. burgdorferi, per cui i risultati falsi
negativi e più frequentemente i falsi positivi costituiscono un serio problema.
43
La scarsa presenza di borrelie nei tessuti e nei liquidi circolanti, la loro
estrema adattabilità all’ospite e, di conseguenza, la loro difficoltà di adattamento al terreno artificiale, fanno in modo che la diagnosi diretta di malattia di Lyme, mediante l’isolamento di B. burgdorferi in terreno, non sia
una pratica diagnostica utilizzata da tutti i laboratori. Rimane tuttavia la
prova più certa, in assenza di altre indicazioni, dell’eziologia dell’infezione. L’isolamento di Borrelia burgdorferi dall’uomo ha successo soprattutto
se fatto dall’eritema cronico migrante e dal liquor (nei casi di neuroborreliosi).
Concludendo appare chiaro che:
• l'uso indiscriminato dei test di screening per la BL è di scarso o nullo
valore e deve essere evitato;
• una reattività sierologica non è sinonimo di malattia dal momento
che false positività intervengono frequentemente;
• false negatività intervengono altrettanto frequentemente per cui il
medico non può escludere la diagnosi di BL solo sulla base di un test
negativo o, in pazienti clinicamente molto sospetti, anche sulla base
di più test negativi;
• in assenza dell'EM nella sua forma tipica, la diagnosi differenziale è
difficile.
Elementi per la diagnosi
La diagnosi di BL è pressoché clinica e i test sierologici per la ricerca
di anticorpi specifici, insieme ad un’anamnesi altamente sospetta, aiutano
il medico a confermarla.
Una metodica di diagnosi diretta, prospettata spesso in alternativa all’isolamento, è costituita dall’amplificazione polimerasica a catena (PCR)
di sequenze B. burgdorferi specifiche. L’utilizzo della PCR per la diagnosi
di malattia di Lyme ha valore diagnostico solo se associato ad altri dati,
sia clinici sia di laboratorio, in quanto tale metodica, allo stato attuale poco standardizzata, non dà indicazioni sulla fase dell’infezione (se acuta o
persistente) e non sembra essere correlata all’esito della terapia.
L’analisi sierologica è di norma effettuata in conformità alle linee guida dei CDC di Atlanta, che raccomandano un primo test di screening, test
immunoenzimatico legato a fase solida (ELISA), test di enzimoimmunologia (EIA) o test d’immunofluorescenza indiretta (IFA), seguito da un test
più specifico di conferma (Western Blot o WB). In aggiunta, tenuto conto
della complessità antigenica delle spirochete che appartengono al com-
44
plesso B. burgdorferi sl, al fine di aumentare il livello di sensibilità di questo metodo, dovrebbe essere eseguito il WB con più di una genospecie allo
stesso tempo, soprattutto perché a fasi diverse della malattia possono corrispondere genospecie differenti.
Anche per il WB vi sono almeno tre grosse limitazioni:
• spesso può essere negativo durante la fase precoce localizzata di malattia;
• una terapia antibiotica, soprattutto se incongrua, instaurata nella fase
precoce localizzata, può smorzare o bloccare la risposta immunitaria
portando ad una perdita di reattività e creando così una pericolosa
causa di falsa sieronegatività anche nella fase disseminata precoce di
malattia;
• la non standardizzazione dei criteri interpretativi, da cui deriva una
variabilità estrema nelle risposte.
Reazioni sierologiche falsamente positive sono state riscontrate in soggetti affetti da Lue (anche con VDRL negativa), in pazienti con altre infezioni batteriche (Rickettsia in particolare) e virali (mononucleosi con reazione di Paul Bunnel positiva). Si deve concludere pertanto che il dato sierologico e di laboratorio va considerato un utile e indispensabile ausilio
nel procedimento diagnostico della malattia di Lyme, che deve comunque
e sempre essere essenzialmente basato sul dato clinico e su una accurata
anamnesi.
Gli anticorpi anti-Borrelia, prodotti in seguito ad esposizione all’agente infettante, permangono per mesi o per anni, anche qualora il paziente
sia stato sottoposto a terapia antibiotica con successo. Inoltre l’immunità
nei confronti di borrelia non è protettiva ai fini di una successiva reinfezione.
Terapia
Nell’ infezione precoce localizzata possono essere somministrati doxiciclina, tetraciclina e amoxicillina e penicillina; nell’infezione precoce
disseminata ed infezione cronica tardiva ceftriaxone, cefotaxime, penicillina e cloramfenicolo.
La durata della terapia va da 3 a 4 settimane; vi sono ragioni per ritenere che 10 - 14 giorni di terapia siano insufficienti.
Per le manifestazioni neurologiche (precoci e tardive) è previsto l’uso
del ceftriaxone o della penicillina. Infine l’artrite (intermittente o cronica)
è trattata con successo con doxiclina (o amoxicillina).
45
Prevenzione e profilassi
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca).
Osservare (tutti i giorni per almeno un mese) sia la lesione cutanea per
cogliere l’insorgenza dell'EM, sia la possibile comparsa di altri sintomi per
potere così instaurare in tempo utile un adeguato trattamento. È opportuno che tale osservazione venga effettuata non solo dal soggetto punto ma,
nei casi sospetti, anche dal medico curante, che sarà così in grado di cogliere l'insorgenza della malattia, e di attivare gli opportuni canali di diagnosi, consulto e terapia ritenuti necessari.
Vaccino
Negli Stati Uniti sono stati sperimentati due vaccini nei confronti di B.
burgdorferi. Entrambi sono stati prodotti con metodiche di ingegneria genetica, utilizzando la proteina ricombinante OspA come immunogeno: il
LYMErix (SmithKline Beecham Pharmaceuticals) e l'ImuLyme (Pasteur
Mérieux Connaught). Tra questi solo il primo ha ottenuto l'approvazione
dalla US Food and Drug Administration per il suo utilizzo in America.
Dal 2004 il LYMErix è stato ritirato dal mercato in quanto commercialmente non conveniente. Inoltre non sarebbe stato efficace contro le genospecie di borrelie presenti in Italia e in Europa.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione.
Borreliosi di Lyme
Classe di notifica:V (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:2 (D.Lgs81/08, allegato XLV)
46
3.4
Febbre ricorrente da zecche
Febbre ricorrente è la denominazione applicata a febbri periodiche clinicamente simili ma eziologicamente distinte, può essere causata da molte
differenti specie di Borrelie; i vettori prevalenti sono le zecche molli del
genere Ornithodorus, in grado di parassitare tanto l’uomo che piccoli animali (roditori). Questa malattia può essere provocata anche dai pidocchi:
se trasmessa da zecche può assumere un carattere endemico, se gli agenti
sono i pidocchi è invece a carattere epidemico. L'uomo rappresenta un
ospite occasionale per questa zoonosi che, peraltro, è presente in varie
parti del mondo, tra cui alcuni Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo.
Epidemiologia e ciclo biologico
La febbre ricorrente da zecche è stata già documentata in tempi antichi
e riconosciuta come malattia trasmessa da zecche nel 1905, quando Dutton
e Todd dimostrarono la presenza di spirochete in Ornithodoros moubata, in
Africa occidentale. In seguito è stato accertato che è causata da almeno 13
specie di Borrelia, trasmesse all’uomo da alcune zecche molli del genere
Ornithodoros. Negli USA la malattia è in genere limitata agli Stati dell'ovest, con massima frequenza tra maggio e settembre.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento
La febbre ricorrente da zecche inizia con l’insorgenza di un acuto picco
febbrile, mal di testa, artralgia e tosse. Il periodo d’incubazione va da 3 a
11 giorni (in media 6 giorni). Brividi repentini segnano l'attacco e sono
seguiti da febbre elevata, tachicardia, cefalea grave, vomito, dolori muscolari e articolari e spesso da delirio. Precocemente può comparire un'eruzione eritematosa maculare o purpurea al tronco e agli arti; possono essere presenti anche emorragie congiuntivali, sottocutanee o sottomucose,
oltre a una lieve leucocitosi polimorfonucleare. Più avanti nel decorso si
manifestano ittero, epatomegalia, splenomegalia, miocardite e insufficienza cardiaca. La febbre rimane alta per 3-5 giorni e poi scompare rapidamente a indicare una svolta nel decorso.
La durata della malattia va da 1 a 54 giorni (in media 18 giorni). Il paziente è solitamente asintomatico per diversi giorni, fino a 1 settimana o
più. La recidiva, da mettere in relazione con lo sviluppo ciclico dei parassiti, si verifica con un brusco ritorno della febbre e, spesso, dell'artralgia e
degli altri sintomi e segni descritti; l'ittero è più frequente durante le reci-
47
dive. La malattia scompare nuovamente, ma a intervalli di 1-2 settimane
possono susseguirsi 2-10 episodi febbrili analoghi.
Gli episodi diventano progressivamente meno gravi e la guarigione è
possibile se il paziente sviluppa un'immunità.
La febbre ricorrente è stata diagnosticata in tutto il mondo ad eccezione di Australia e Nuova Zelanda.
Elementi per la diagnosi
La diagnosi è effettuata rilevando la presenza di Borrelia nel sangue
periferico dei pazienti affetti da febbre. Questo test ha una sensibilità di
circa il 70%, quando si esegue uno striscio di sangue esaminato mediante
microscopia in campo oscuro, dopo colorazione con Giemsa o con colorazione di Wright su goccia spessa e su striscio.
Le borrelie sono di solito assenti dal sangue negli intervalli tra le recidive. La diagnosi differenziale include artrite di Lyme, malaria, dengue,
febbre gialla, leptospirosi, tifo esantematico, influenza e febbri enteriche.
Il tasso di mortalità è generalmente dello 0-5%, ma può essere ben più
alto nei bambini, nelle donne in gravidanza, negli anziani, negli individui
malnutriti o debilitati o durante epidemie di febbre da pidocchi.
Terapia
La terapia va intrapresa o all'inizio della fase febbrile o durante lo stadio di apiressia. Si somministra tetraciclina o eritromicina, ugualmente
efficace è la doxiciclina.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca).
Febbre ricorrente da zecche
Classe di notifica:V (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:2 (D.Lgs 81/08, allegato XLV)
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3.5
Tularemia
La Tularemia è una patologia estremamente infettiva. L’agente eziologico è Francisella tularensis, uno dei batteri con più alta infettività che può
causare patologie gravi e mortali nell’uomo. Per alcuni ceppi di tipo A è
sufficiente l’inoculazione o l’inalazione di dieci batteri per indurre la malattia. Per questo motivo F. tularensis è considerata un potenziale agente di
bioterrorismo.
Clinicamente si manifesta in modi diversi a seconda della via di contagio e in base alla virulenza dell’agente patogeno. Si può contrarre attraverso il contatto diretto con animali infetti, per l’ingestione di acqua contaminata o di carne poco cotta proveniente da animali infetti, ma anche attraverso la puntura di diversi artropodi, come le zecche.
L’impatto maggiore sulla popolazione, in termini di morbilità e mortalità, si ha in seguito all’inalazione di un ceppo altamente virulento.
F. turalensis è un piccolo cocco bacillo, aerobico, intra ed extracellulare , Gram–negativo, che si replica nei macrofagi. La posizione tassonomica
del genere Francisella è piuttosto complessa: nel passato era stata classificata nei gruppi di Brucella o Pasteurella. La tassonomia attuale considera all'interno del genere Francisella due specie: F. tularensis e F. philomiragia.
Nella F. tularensis sono descritte cinque subspecie o biotipi: F.tularensis
o neartica, conosciuta anche come tipo A, holarctica biotipo I, holarctica biotipo II, che formano il tipo B, mediaasiatica e novicida, classificata come tipo C.
Tali biovarianti differiscono per caratteristiche biochimiche, di virulenza
ed epidemiologiche. I biotipi tipo A sono estremamente patogeni per l'uomo, quelli tipo B lo sono molto meno, mentre quelli tipo C sono scarsamente patogeni.
Epidemiologia e ciclo biologico
La vastità degli ecosistemi coinvolti nel ciclo della tularemia, il numero di specie recettive, la presenza di biotipi a diversa patogenicità, la relativa resistenza di Francisella in natura, specie nei climi freddi, rende veramente complessa una definizione del ciclo di questa malattia.
Nel 1911 McCoy descrisse una malattia simile alla peste che colpiva
gli scoiattoli della California: l'agente responsabile fu chiamato Bacterium
tularense, dal nome della contea di Tulare. La malattia umana fu descritta
da Francis nel 1921 come tularemia e, in suo onore, il batterio fu ribattezzato Francisella tularensis. L'infezione è presente nell'emisfero settentrionale, nelle zone comprese fra il 30° e il 70° grado di latitudine: negli Stati U-
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niti orientali durante l'inverno nel periodo della caccia al coniglio, e in
quelli occidentali durante l'estate, in relazione al momento di maggior diffusione delle zecche. In Europa e in Asia sembra che nei tempi passati abbia avuto larga diffusione, visto il gran numero di potenziali specie infette
e di vettori.
I meccanismi principali della persistenza in natura della tularemia
vanno ricercati negli artropodi vettori: le zecche [Amblyomma, Dermacentor,
Haemaphysalis, Ixodes, Ornithodoros]. Francisella può essere isolata anche
mesi dopo la fine di un’epidemia ed è trasmessa anche per via verticale; le
zanzare (generi Aedes, Culex, Anopheles) e i tafani (Chrysops spp.) possono
giocare un ruolo non secondario in molti territori.
Nell’uomo la tularemia può essere acquisita attraverso la puntura di
artropodi infetti, soprattutto nei mesi estivi, oppure la manipolazione di
tessuti animali infetti, l’ingestione di acqua o cibo contaminato, l’inalazione di particelle infettive aerosolizzate manipolando, ad esempio, fieno infetto.
Le carcasse di animali infetti rappresentano una fonte di primaria importanza anche per quelle specie, come i gatti che, vivendo a stretto contatto con l'uomo, diventano veicolo dell'infezione zoonosica: il semplice
contatto con animali malati o morti può provocare l'infezione e questo
spiega la maggior frequenza della malattia in categorie come cacciatori,
guardia parco, agricoltori e veterinari. Non è da trascurare la possibilità di
acquisire la malattia in seguito a manipolazione di materiale infetto o colture batteriche, non a caso è considerata una delle più importanti infezioni
che si possono contrarre in laboratorio.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento
Il periodo medio d’incubazione per la tularemia è di 4-5 giorni. L’esordio è caratterizzato da febbre, brividi, cefalea, malessere, anoressia, affaticamento. A volte insorgono tosse, mialgie, disturbi toracici, vomito, ulcere
faringee, dolore addominale, diarrea. La febbre si mantiene elevata per
alcuni giorni; segue un breve periodo di defervescenza, con successiva
recrudescenza febbrile senza altri sintomi. In assenza di trattamento la
febbre permane per circa 30 giorni, e si associano calo ponderale, debilitazione cronica, adenopatia persistente per alcuni mesi.
Da un punto di vista clinico sono descritte sei forme:
• forma ulcero-ghiandolare (21-87% dei casi): si presenta inizialmente
una tumefazione linfonodale e dopo alcuni giorni compare una papu-
50
•
•
•
•
•
la rossa e dolente in sede di drenaggio dei linfonodi coinvolti. La lesione va incontro a necrosi lasciando un'ulcera con bordo rilevato;
ghiandolare (3-20% dei casi): linfoadenopatia senza presenza di ulcere cutanee;
oculoghiandolare (0-5% dei casi): i batteri penetrano attraverso la
congiuntiva o per contatto con dita contaminate, schizzi o aerosol. I
sintomi: fotofobia, lacrimazione seguita da congiuntivite franca con
chemosi e papule o ulcere congiuntivali giallastre;
faringea (0-12% dei casi): solitamente di origine alimentare per cui
spesso vi sono più casi nella stessa famiglia. E' presente faringodinia
con faringite o tonsillite essudativa con o senza ulcere. Sono di solito
coinvolti i linfonodi regionali;
polmonare (7-20% dei casi): quadro polmonare conseguente a inalazione diretta o a disseminazione ematica dei microorganismi, con febbre, tosse, costrizione retro sternale, dolore toracico;
tifoidea (5-30% dei casi): forma febbrile non associata ad adenopatia,
conseguente a qualsiasi modalità di esposizione.
Alcune forme di tularemia possono essere complicate da una diffusione sistemica con quadri di polmonite (comune), sepsi (non comune) o meningite (rara).
Elementi per la diagnosi
L’identificazione della Francisella deve essere sempre eseguita da laboratori di referenza, altamente specializzati.
La malattia è sempre più frequentemente diagnosticata con test sierologici, sebbene i batteri possano essere isolati da emocolture, sputo, campioni di liquor, biopsie di linfonodi, tessuti o colture cellulari mediante
immunofluorescenza o tecniche di biologia molecolare, incluse la PCR e le
sequenze geniche. (La PCR ha permesso di suddividere gli stipiti di Francisella tularensis in 17 gruppi genetici designati con le lettere da A a Q).
Terapia
La terapia, in caso sospetto di tularemia, dovrebbe essere iniziata immediatamente.
Il farmaco di scelta è la streptomicina, ugualmente efficace è la gentamicina. Si può somministrare cloramfenicolo o tetracicline, fino a normalizzare la temperatura corporea, per 5-7 giorni. Bendaggi umidi di soluzio-
51
ne fisiologica applicati con continuità sono indicati per le lesioni cutanee
primarie. Nella tularemia oculare si ottiene sollievo con applicazioni di
garze sterili imbevute di soluzione fisiologica calda e con l'uso di occhiali
scuri; nei casi gravi si possono instillare 1-2 gocce di omatropina al 2%. La
cefalea intensa di regola viene controllata dalla codeina.
Prevenzione e profilassi
L'estrema infettività della malattia richiede un comportamento adeguato per evitare l’esposizione all'agente eziologico: un corretto abbigliamento per evitare le punture di zecche, l'utilizzo di guanti nella manipolazione di animali o carcasse potenzialmente infetti.
Gli operatori di laboratorio debbono evitare ogni manipolazione che
possa creare aerosol o dispersione di gocce e seguire tutte le procedure per
la protezione del personale e dell’ambiente. I campioni clinici devono essere manipolati in condizioni di contenimento almeno di 2° livello e trasferiti appena possibile in un 3° livello di contenimento se si sospetta F. tularensis.
Le superfici contaminate devono essere sterilizzate con l’uso di candeggina al 10%, seguita dopo 10 minuti da soluzione alcolica al 70%.
Nell’ambiente esterno F. tularensis sopravvive per lunghi periodi in
acqua, nel terreno, nelle carcasse di animali e la sopravvivenza aumenta se
la temperatura è bassa. Per quanto riguarda le particelle infettanti disperse
artificialmente (per rilascio intenzionale), non è noto per quanto tempo
possano sopravvivere all’interno degli edifici o in un centro urbano. I livelli standard di clorazione dell’acqua potabile sono sufficienti a prevenire la contaminazione da F. tularensis.
Vaccino
Un vaccino vivo attenuato è stato utilizzato dal 1959 per immunizzare
il personale di laboratorio a rischio d’infezione e il personale militare, ma
non è registrato in nessun Paese. Viene somministrato in unica dose mediante scari-ficazione. Studi su volontari hanno dimostrato una parziale
protezione contro batteri aerosolizzati.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11
Rimozione della Zecca).
52
Tularemia
Classe di notifica:II (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio: tipo A: 3; tipo B: 2 (D.Lgs81/08,
allegato XLV)
3.6
Meningoencefalite da zecche (TBE)
La meningoencefalite da zecche (TBE - Tick Borne Encephalitis) o meningoencefalite primaverile-estiva, è una malattia virale acuta del sistema
nervoso centrale causata da un arborvirus appartenente al genere Flavivirus, molto simile ai virus responsabili della febbre gialla e della dengue.
Diversi animali selvatici o domestici quali roditori, caprioli, ovini, caprini sono, come l’uomo, ospiti del virus e contribuiscono al mantenimento del ciclo di trasmissione dell’infezione; gli uccelli, molto probabilmente,
contribuiscono a trasportare passivamente zecche infette anche a notevole
distanza durante le loro migrazioni.
Le zecche (in particolar modo Ixodes ricinus e Ixodes persulcatus) rivestono un’importanza maggiore nella trasmissione della forma centroeuropea, sia come vettori che come serbatoi; anche le zecche del genere
Dermacentor (zecca del cane) e Haemaphysalis possono trasmettere l'infezione. La zecca ospita il virus e funge essenzialmente da vettore mentre piccoli roditori rappresentano i principali ospiti intermedi che favoriscono il
mantenimento del ciclo vitale del virus; altri animali sono infettati ma non
sembrano avere un ruolo importante.
L'agente responsabile dell'infezione è un virus appartenente alla famiglia dei Flaviviridae che è stato isolato per la prima volta nel 1937. Il virus
può infettare in maniera cronica la zecca e sopravvivere durante il ciclo
vitale della stessa. La femmina di zecca adulta infetta può trasmettere l'infezione anche alle successive generazioni per via transovarica. Il periodo
dell'anno in cui si evidenzia la maggiore incidenza dell'infezione è quello
che va da aprile a novembre, e i luoghi considerati a maggiore rischio so-
53
no le zone boschive o rurali, nelle quali sia stata identificata la presenza di
zecche infette o siano stati segnalati casi d’infezione nell'uomo. I mesi primaverili, estivi e autunnali dopo un’estate calda e umida sono i periodi a
maggiore rischio, in quanto corrispondono alla massima attività delle zecche.
La trasmissione del virus da uomo a uomo non è mai stata riportata,
mentre vi sono casi di trasmissione dell'infezione dalla madre infetta al
feto per via transplacentare. L'infezione può essere contratta anche con
l'ingestione di latte non pastorizzato proveniente da animali infetti, in modo particolare da capre.
Epidemiologia e ciclo biologico
La TBE è endemica in alcuni paesi dell’Europa orientale e meridionale
(in Italia è presente soprattutto nelle regioni nordorientali, quali Veneto,
Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), infetta varie specie animali
(ovini, roditori) ed è occasionalmente trasmessa all’uomo dal morso della
zecca.
L’encefalite da morso di zecca è stata identificata per la prima volta in
Italia nel 1994 in provincia di Belluno. Dal punto di vista epidemiologico
oggi la TBE è presente in focolai endemici in molti Paesi dell’Europa centro orientale e settentrionale, Italia compresa.
L'infezione è frequente nelle aree boschive di molti Paesi dell'Europa,
dell'Unione Sovietica e dell'Asia in concomitanza alla diffusione territoriale della zecca del genere I. ricinus e I. persulcatus. Negli ultimi trent’anni la
meningoencefalite da zecche è diventata un problema crescente per la salute pubblica con circa 13.000 casi ogni anno. L’aumento delle temperature
ne ha favorito la diffusione. Il numero di casi d’infezione che vengono segnalati ai sistemi di sorveglianza delle malattie infettive nei vari Paesi è
variabile di anno in anno, ma si tratta sempre di parecchie migliaia. La
TBE è presente in Austria, Germania, Slovenia, Estonia, Repubblica Ceca,
Slovacchia, Ungheria, Polonia, Svizzera, Ucraina. L’Austria è il Paese con
il tasso di vaccinazione più elevato in Europa. Anche se con minor frequenza la malattia è segnalata in Bulgaria, Romania, Danimarca, Francia,
Finlandia e Svezia. Infezioni sporadiche sono state riportate anche in Albania, Grecia, Italia, Norvegia e Turchia.
L'encefalite da zecca riportata in Russia, Cina, Corea e Giappone è causata
da un virus simile, conosciuto come “Russian Spring-Summer Encephalitis Virus” o RSSE; si tratta di una malattia analoga alla meningoencefalite
54
da zecca europea, anche se caratterizzata da un quadro clinico di solito
più severo.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento.
Il periodo d’incubazione può andare da 2 a 28 giorni e, nella forma
classica, la TBE mostra un caratteristico andamento a due fasi cliniche: nella prima (fase viremica) si manifestano febbre e altri sintomi di tipo similinfluenzali. Questi sintomi scompaiono dopo alcuni giorni, e l’infezione
lascia poi un’immunità che dura per tutta la vita, ma nel 5-15% delle persone che si ammalano, durante i 4-6 giorni successivi all’insorgere dei sintomi, si sviluppa una meningite e l’infezione può anche propagarsi al cervello, provocando una meningoencefalite. I sintomi includono irrigidimento della nuca, torpore mentale e paralisi. Stanchezza, problemi di concentrazione, di memoria, di sonno e vertigini possono perdurare per settimane o mesi; scompaiono generalmente nella maggior parte dei casi. Nelle forme gravissime sono possibili dei postumi permanenti. Nei bambini e
nei soggetti più giovani la TBE mostra generalmente un decorso più mite,
con progressivo aumento della severità al progredire dell’età. Il decesso
avviene in una persona su 100, soprattutto tra gli anziani.
Elementi per la diagnosi
La sola sintomatologia non permette di distinguere le infezioni dovute
al virus della TBE o ad altri Arborvirus, da quelle legate a Enterovirus e ad
altri virus neurotropi.
I criteri per la diagnosi di laboratorio sono i seguenti:
• dimostrazione di IgM specifiche nel siero;
• aumento pari o superiore a 4 volte del titolo anticorpale specifico per
virus TBE;
• isolamento del virus, o dimostrazione della sua presenza, da siero,
liquor o campioni di tessuto.
Terapia
Non esiste una specifica terapia farmacologica. In caso di comparsa di
meningite o di encefalite è richiesta l'ospedalizzazione del paziente al fine
di eseguire una terapia di supporto. Il numero d’infezioni causate dal virus è notevolmente aumentato nel corso degli ultimi anni. Benché il rischio di ammalarsi dopo un’infezione sia basso, le persone che risiedono
55
in una zona infetta o che vi soggiornano, presentano un rischio di sviluppare delle complicazioni gravi e/o eventualmente permanenti.
Non essendo disponibile un trattamento specifico contro questa malattia, la vaccinazione è il mezzo più efficace per evitarne le conseguenze.
Vaccino
Il vaccino contro la TBE, da tempo in uso in molti Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, è stato recentemente registrato anche in Italia con
procedura di mutuo riconoscimento comunitario. Il ciclo vaccinale di base
prevede la somministrazione di tre dosi (tempo 0, 1-3 mesi, 9-12 mesi) con
richiami a cadenza triennale. Esiste anche la possibilità di eseguire un ciclo accelerato di vaccinazione, che però non garantisce gli stessi risultati
del ciclo classico, in termini di risposta anticorpale. Si stima che l’immunità persista una decina d’anni, dopo di che è necessario un richiamo.
Dovrebbero essere vaccinati tutti gli adulti e i bambini, di regola dai sei
anni, che risiedono o soggiornano anche solo temporaneamente in una
regione dove sono presenti zecche infette. L’indicazione alla vaccinazione
nei bambini piccoli deve essere valutata individualmente considerando i
reali rischi d’esposizione .
I vaccini sono molto ben tollerati. Reazioni locali (rossore, dolore, tumefazione) sul punto dell’iniezione sono osservate in circa un terzo delle persone vaccinate. Scompaiono dopo 1-2 giorni. Sono pure state descritte reazioni generali come mal di testa, stanchezza, dolori muscolari e dolori articolari. La febbre è rara. Una reazione allergica grave (shock anafilattico) è
possibile ma rara (1-2 per 1.000.000 dosi) con gli attuali vaccini.
Le complicazioni neurologiche gravi sono rarissime (da 1 su 70.000 a 1
su 1.000.000 di dosi).
Le zecche richiedono calore e umidità per essere attive. Il rischio d’infezione esiste durante tutta l’estate. L’inverno è quindi il periodo ideale per
la vaccinazione, benché sia possibile vaccinarsi in qualsiasi momento.
Informazioni più dettagliate sulle caratteristiche del vaccino, la sua efficacia, le controindicazioni e i possibili effetti collaterali saranno fornite dal
personale operante nei centri vaccinali delle Aziende Sanitarie.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca).
56
Meningoencefalite da zecche (TBE)
Classe di notifica:II (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:3** (D.Lgs 81/08, allegato XLV)
3.7
Babesiosi
Babesiosi o anche chiamata “piroplasmosi”, è una nota patologia d’importanza veterinaria che colpisce prevalentemente bestiame, cavalli e cani.
Le babesiosi sono malattie parassitarie sostenute da emoprotozoi intraeritrocitari, parassiti dei globuli rossi (in alcune specie anche dei linfociti) del
genere Babesia, la cui trasmissione è assicurata da artropodi ematofagi rappresentati da zecche dure (Ixodidae). Le diverse specie di Babesia possono
interessare numerosi animali domestici e selvatici; in particolare: bovini
(B. bigemina, B. bovis, B. divergens e B. major), ovini e caprini (B. motasi e B.
ovis), equini (B. caballi e B. equi), suini (B. perroncitoi e B. trautmanni), canidi
(B. canis e B. gibsoni), felidi (B. felis), roditori (B. microti) e ungulati selvatici
(B. capreoli e B. odocoilei).
La trasmissione di questi protozoi è strettamente correlata alla presenza
dei vettori specifici, ectoparassiti temporanei che vivono liberi nell'ambiente e che, tranne alcune eccezioni, compiono il proprio ciclo biologico e
nutrizionale coinvolgendo un ampio ventaglio di ospiti. La conoscenza
delle specie di zecche che sono coinvolte nella trasmissione di Babesia è di
primaria importanza per comprendere l'epidemiologia delle babesiosi e
intraprendere qualsiasi programma di controllo dei protozoi. Il vettore di
Babesia sono le zecche dure (della famiglia Ixodidae) appartenenti a diversi
generi: Boophilus, Dermacentor, Haemaphysalis, Hyalomna, Ixodes e Rhipicephalus.
La circolazione di Babesia negli animali domestici e, accidentalmente, nell'uomo, sarebbe favorita dalla presenza di serbatoi selva-
57
tici e dalla progressiva "sovrapposizione" tra habitat domestici e selvatici.
Negli ultimi anni si è anche verificato un incremento:
del numero di ungulati selvatici a seguito delle campagne di protezione e ripopolamento, con conseguente incremento degli ectoparassiti e, fra questi, di zecche del genere Ixodes;
• degli stati immunodepressivi nell’uomo legati a patologie (AIDS), a
terapie anti-rigetto e a chemioterapia per patologie tumorali;
• della promiscuità tra animali domestici e selvatici che spesso utilizzano lo stesso habitat;
• di persone che, per trovare occasioni di svago, si avvicinano ad ambienti "naturali" dove però possono essere presenti zecche e il ciclo
della babesia può completarsi .
La presenza nell'ambiente di serbatoi selvatici e di zecche dotate di plasticità trofica (Ixodes ricinus, I. dammini, Rhipicephalus spp, ecc.) potrebbe
rappresentare l'anello di congiunzione tra animali e uomo nella catena degli ospiti di tali importanti zoonosi. Questo suggerisce che le infezioni da
Babesia nell'uomo possano essere più diffuse di quanto si possa credere.
•
Epidemiologia e ciclo biologico
Il termine Babesia deriva da Victor Babes, che nel 1888 identificò il protozoo negli eritrociti di bovini colpiti da febbre ed emoglobinuria. Nel 1893 Smith e Kilbourne scoprirono che il protozoo era trasmesso da zecche e
che era responsabile della febbre del Texas nei bovini.
Le babesiosi nell'uomo rappresentano un problema emergente in Sanità
Pubblica. La prima segnalazione di piroplasmosi umana è avvenuta ad
opera di Wilson e Chowning nel 1904, tuttavia solo nel 1957 Skrabalo e
Deanovic segnalarono, in Yugoslavia, il primo caso certo di babesiosi umana da B. divergens, parassita del bovino. Da allora sono stati riconosciuti
quali agenti primari di malattia nell'uomo, oltre a B. divergens in Europa e
B. microti negli USA, anche tre varianti: i tipi WA1 e CA1, diversi da B.
microti ma correlati a specie osservate in animali selvatici e nel cane, nello
Stato di Washington e in California rispettivamente, e MO1 correlato con
B. divergens in Missouri.
Per quanto riguarda l'Europa a partire dal 1957 si sono avute 31 segnalazioni di babesiosi umana, 23 delle quali causate da B. divergens principalmente in soggetti splenectomizzati.
58
Anche B. bovis, B. canis, B. microti e Babesia spp. sono stati segnalati quali
agenti di babesiosi umana, ma l'identificazione di tali specie era esclusivamente basata su caratteristiche morfologiche. Recentemente sono stati segnalati in Italia e in Austria due casi umani sostenuti da una variante denominata "European Union 1" (EU1), correlata con B. divergens, ma con
caratteristiche molecolari mai descritte in precedenza.
Le infezioni da Babesia sono diffuse in Africa, Asia e America dove costituiscono, ancora oggi un grave problema sanitario coinvolgendo animali
di grande interesse zoo-economico e rappresentando uno dei maggiori
ostacoli allo sviluppo della zootecnia. Nei Paesi europei a clima temperato
(in particolare Spagna, Portogallo, Francia, Italia) le babesiosi sono presenti sia negli animali da reddito sia in quelli da compagnia.
Costituisce un fattore rilevante nella trasmissione di Babesia il comportamento alimentare delle zecche (zecche mono, di e trifasiche) e le vie di trasmissione. In particolare si può avere:
• Trasmissione transovarica: riguarda la maggior parte delle specie.
L’infezione primaria viene acquisita solo dalla femmina adulta che la
trasmette per via ovarica alla generazione successiva. Per varie specie
di Babesia (B. ovis, B. canis, B. major) le zecche (Haemophysalis, Rhipicephalus) possono rimanere infettive per diverse generazioni.
•
Trasmissione trans-stadiale: B. microti e B. equi sono le uniche specie
conosciute trasmesse per questa via. I parassiti sono ingeriti come larve o ninfe e trasmessi come sporozoiti allo stadio successivo ninfale o
adulto.
Si può avere una coinfezione con Borrelia burgdorferi, l’agente causale
della malattia di Lyme, e tale evento può aumentare la gravità di entrambe le malattie.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento.
Fra le infezioni ematiche trasmesse da zecche le piroplasmosi rivestono particolare interesse per la gravità delle forme cliniche che possono indurre. Si tratta di una malattia severa caratterizzata da febbre, anemia ed
emoglobinuria che può avere esito fatale se non trattata. La comparsa dell'infezione, in genere, ha andamento stagionale e corrisponde al periodo
(maggio-ottobre) di maggiore attività delle zecche. I parassiti inoculati
dalla zecca infetta invadono gli eritrociti dell'ospite dove si moltiplicano,
59
distruggendoli. L’andamento della malattia dipende dalla specie di
Babesia e dallo stato immunitario dell’ospite, dall’età e dalla razza.
Alcuni parassiti possono rimanere in stato di quiescenza all’interno
dei macrofagi per diversi anni o per tutta la vita dell’ospite in base
alla specie di Babesia. L'infezione asintomatica può persistere per
mesi o anni e rimanere subclinica durante tutto il suo corso in persone altrimenti sane, specialmente in quelle con meno di 40 anni.
Una situazione di stress (patologie concomitanti, terapie cortisoniche)
può indurre nuovamente la diffusione e la moltiplicazione intraeritrocitaria del parassita.
Nell'uomo immunocompetente la malattia generalmente ha decorso
asintomatico e può essere evidenziata solo attraverso studi sieroepidemiologici.
Quando la malattia è sintomatica, i segni cominciano dopo 1 o 2 settimane d’incubazione e sono caratterizzati da malessere, stanchezza, brividi, febbre, mialgia e artralgia, che possono durare per settimane. Possono
verificarsi epatosplenomegalia con ittero, anemia da lieve a moderatamente grave, neutropenia e trombocitopenia.
La fase di convalescenza è molto lunga. La risposta immunitaria protettiva è in grado di tenere sotto controllo la riproduzione del protozoo,
ma non di eliminarlo e soprattutto non protegge contro reinfezioni. L'infezione può essere potenzialmente letale in soggetti asplenici, in cui la
babesiosi ricorda la malaria trasmessa da Plasmodium falciparum.
Elementi per la diagnosi
La diagnosi viene effettuata dopo l’identificazione del parassita mediante:
• Striscio di sangue, fissato e colorato con Giemsa, Leishman o colorazione di Field. Consente una diagnosi precoce, il rischio di falsi positivi è pressoché inesistente e permette la diagnosi differenziale per specie (babesie grandi/piccole);Uno svantaggio è rappresentato dalla
difficoltà di poter individuare i globuli rossi infetti se la parassitemia
è molto bassa.
• Goccia
spessa: emolisi dei globuli rossi previa immersione in acqua
prima della colorazione. Le forme tetragone o a canestro o una gran
quantità di parassiti extraeritrocitari sono utili indizi diagnostici.
60
Sono inoltre disponibili esami sierologici e metodi per ricercare nel
sangue il DNA del parassita dopo amplificazione tramite reazione a catena polimerasica (PCR). La diagnosi può anche essere eseguita inoculando
il sangue del paziente in criceti o in gerbilli, e monitorando poi i roditori
per la parassitemia.
Terapia
Molti pazienti richiedono solo una terapia sintomatica, ma una terapia
specifica è indicata per i casi gravi con persistente febbre elevata, parassitemia in rapido aumento ed ematocrito in netta diminuzione.
La terapia raccomandata è il chinino associato a clindamicina per 7-10
giorni. L’associazione azitromicina + atovaquone è ancora in fase di studio.
Non esiste un vaccino.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca).
Babesiosi
Classe di notifica:V (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio: 2 (D.Lgs. 81/08, allegato XLV)
61
3.8
Bartonellosi
Il termine bartonellosi indica un gruppo di malattie diffuse sia in campo umano sia veterinario, causate da un bacillo appartenente al genere
Bartonella.
Tra queste la malattia da graffio del gatto (Cat Scratch Disease - CSD)
è una zoonosi emergente e ubiquitaria segnalata per la prima volta nell’uomo nel 1931, ma la cui eziologia è stata definitivamente chiarita solo
agli inizi degli anni ’90, quando Bartonella henselae è stata identificata quale
agente eziologico della malattia.
Il serbatoio naturale del microrganismo è il gatto, anche se non può
essere tralasciata la potenziale infettività del cane (tramite graffi o morsi) o
di piccoli roditori. Un ruolo centrale nella diffusione dell’infezione tra i
gatti è svolto dalla pulce (Ctenocephalides felis) anche se recentemente è stato dimostrato che zecche quali Ixodes pacificus e Ixodes ricinus possono ospitare il microrganismo e quindi essere potenzialmente in grado di trasmetterlo attraverso il pasto di sangue.
Epidemiologia e ciclo biologico
Il fervore di studi che ha portato in questi ultimi anni al riassetto tassonomico delle bartonelle, ha consentito il riordino della famiglia delle Bartonellaceae, nella quale oltre all’unica specie nota da diversi decenni (B. bacilliformis) sono state inserite via via sia alcune specie già in precedenza
inquadrate come appartenenti al genere Rochalimea (R. quintana, R. vinsonii, R. henselae) che numerose altre (per un totale, al momento, di oltre una
dozzina). Di queste specie, descritte in differenti animali serbatoio (gatti,
conigli, topi), alcune sono state segnalate associate a patologie dell’uomo
tra cui B. vinsonii subsp. rupensis descritta in un caso di batteriemia e febbre.
La B. henselae (recentemente Rochalimea henselae) causa due distinte sindromi: la malattia o febbre da graffio del gatto - CSD negli adulti e nei
bambini, e infezioni disseminate nei pazienti immunocompromessi.
Gli agenti eziologici della CSD oggi noti sono:
• Bartonella henselae responsabile della maggior parte dei casi umani
della quale sono stati individuati 2 tipi (tipo 1 e tipo 2);
• Afipia felis il cui ruolo è molto marginale;
• Bartonella clarridgeiae moderatamente diffusa sia nei gatti sia nell’uomo;
62
•
Bartonella koehlerae scoperta recentemente nel gatto ma che non è a
oggi correlata a infezione o malattia nell’uomo.
La CSD, la bartonellosi più diffusa nel territorio italiano, è trasmessa
in maniera diretta attraverso il morso o il graffio del gatto, e in maniera
indiretta attraverso le feci infette delle pulci che parassitano il gatto. Studi
recenti effettuati nel Nord Italia, in Polonia e in alcuni Paesi dell’Europa
Centrale, hanno rilevato il potenziale ruolo delle zecche come vettore di
trasmissione di bartonellosi.
Si parla, pertanto di bartonellosi come patologia emergente nell’uomo.
Le patologie che riguardano l'uomo sono state riscontrate con una certa frequenza in numerosi Paesi europei e in USA, dove si registrano circa
24.000 casi l’anno. In Italia i dati ufficiali sono molto frammentari nonostante numerosi casi vengono segnalati nelle cliniche pediatriche, negli
istituti di malattie infettive o negli ambulatori di medicina generale.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento.
La CSD è considerata la causa più comune di adenopatia cronica benigna in bambini e giovani adulti. Da 3 a 10 giorni dopo il contatto con l'animale, o dal morso di zecca, nel punto d’inoculazione compare una lesione
cutanea pustolosa, papulosa o vescicolosa, che può persistere per giorni o
settimane, guarendo senza lasciare cicatrici. Il segno clinico dominante è
una linfoadenopatia regionale dolente, che compare di solito entro 2 settimane. Più dell'80% dei linfonodi interessati sono localizzati al capo, al collo e agli arti inferiori; hanno un diametro di 1-5 centimetri e appaiono arrossati e dolenti. Sebbene il 10-20% progredisca verso la suppurazione, la
maggior parte regredisce entro 2-6 mesi.
Febbricola, malessere, cefalea, anoressia, mal di gola e artralgie possono far confondere tale malattia con la mononucleosi infettiva. L'11-12% dei
casi è caratterizzato dalla sindrome oculoglandulare di Parinaud, che consiste in una congiuntivite granulomatosa autolimitante, cha sua volta si
associa a una linfadenopatia ipsilaterale, per lo più preauricolare. Talora il
decorso è grave con encefalopatia in circa l'1-7% dei casi, anomalie ematologiche, artrite ed eritema nodoso, mielite trasversa, paralisi del VII, neuroretinite, coinvolgimento di milza, polmoni, fegato e cute. Forme gravi
sono state segnalate in diversi pazienti con AIDS. La lesione cutanea e la
linfadenopatia scompaiono spontaneamente nell'arco di 2-6 mesi.
63
Elementi per la diagnosi
La diagnosi di laboratorio si basa essenzialmente:
• sull’esame diretto del materiale bioptico linfonodale (con il metodo
dell’impregnazione argentica di Warthin-Starry);
• sull’emocoltura (solitamente il tempo di osservazione delle colture
in laboratorio, tranne che per pochissime eccezioni, non si protrae
per più di 7-10 giorni dal momento dell’inoculo del campione.);
• sui test sierologici, come EIA (Enzyme IimmunoAassay) e IFA
(ImmunoFluorescence Assay);
• sui metodi molecolari, come la Polymerase Chain Reaction (PCR).
Terapia
La terapia per la maggior parte dei pazienti deve essere conservativa:
applicazione locale di calore e analgesici.
Se il linfonodo è fluttuante (come nel 10-20% dei casi), un'aspirazione
con siringa allevia generalmente il dolore.
La terapia antibiotica non è chiaramente efficace e non è stata valutata
in prospettiva; la sensibilità degli antibiotici in vitro spesso non si correla
ai risultati clinici.
Rifampicina, ciprofloxacina, gentamicina e cotrinossazolo (TMP-SMX),
claritromicina e azitromicina sembrano avere generalmente efficacia clinica, ma con ognuno di essi sono stati riportati fallimenti.
Non esiste un vaccino.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10
Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11
Rimozione della Zecca).
.
Bartonellosi
Classe di notifica:V (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:2 (D.Lgs 81/08, allegato XLV)
64
3.9
Febbre Q
L'agente causale è Coxiella burnetii, microrganismo intracellulare obbligato caratterizzato da due fasi antigeniche: la fase I virulenta che si trova
in natura e la fase II virulenta ottenuta in laboratorio, dopo diversi passaggi su uova o colture cellulari. Coxiella burnetii causa generalmente infezioni
asintomatiche in numerose specie animali, ma principalmente negli animali da allevamento (bovini e ovini) e nei loro parassiti (zecche), che eliminano poi gli agenti patogeni in grande quantità e per lungo tempo con
le deiezioni (urine, feci, latte) e con i prodotti da loro derivati (pelli, lana,
carne). Per la sua elevata resistenza agli agenti chimico-fisici, la coxiella
sopravvive nei prodotti animali e contamina a lungo l’ambiente (può sopravvivere nel terreno per 4-5 mesi, nella carne refrigerata per un mese,
nel latte e nell’acqua per oltre due anni). L’infezione può quindi trasmettersi all’uomo per contatto con gli animali infetti (interessando quindi in
prevalenza agricoltori, allevatori, veterinari, macellatori) attraverso la via
inalatoria (polveri di stalle), alimentare (latte non pastorizzato, carne cruda), transcutanea (contatto con pelli o lana) o a seguito del morso delle
zecche infette (Rhipicephalus sanguineus, Dermacentor variabilis, D. andersoni), che depongono sulla cute le feci contenenti i microorganismi.
E’ stato calcolato che particelle infettanti possono essere trasportate
dal vento anche per alcuni chilometri. Coxiella burnetii si mantiene in natura anche attraverso un ciclo animale-zecca.
Diversi artropodi, roditori, altri mammiferi e uccelli sono infettati naturalmente e possono giocare un ruolo nell’infezione umana. E’ anche
possibile che la trasmissione avvenga attraverso l’assunzione di latte consumato crudo e per mezzo di trasfusioni ematiche o di midollo osseo.
Epidemiologia e ciclo biologico
La febbre Q fu descritta per la prima volta in Australia nel 1935 da
Derrick, ma è a tutt’oggi considerata una malattia a diffusione mondiale. I
bovini, gli ovini, le capre e altri animali sono i serbatoi, pertanto la febbre
Q è una malattia professionale per quelli che lavorano nell'industria della
carne e del latte. La malattia nell'uomo avviene in seguito ad inalazione di
aerosol contenente il microrganismo.
Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento
La febbre Q nella fase iniziale è simile a parecchie malattie infettive,
come influenza o altre infezioni virali, salmonellosi, malaria, epatite e bru-
65
cellosi; in seguito presenta segni e manifestazioni simili a molte forme di
polmonite batterica, virale e da micoplasmi.
La diagnosi viene posta su base clinica e per dimostrazione di anticorpi nel siero del paziente; importante è risalire a un eventuale contatto con
zecche, animali o prodotti animali infetti.
Il periodo d’incubazione, condizionato dalla carica infettante, è solitamente di 2-3 settimane. L'esordio è improvviso con febbre, grave cefalea,
brividi, malessere generale, mialgia e, spesso, dolori al torace. La febbre
può raggiungere i 40°C e persiste da una a tre settimane e oltre. Non è associata a esantema.
Una tosse non produttiva e un'evidenza radiografica di polmonite si
sviluppano durante la seconda settimana di malattia.
Nei casi gravi si ha spesso consolidamento lobare e l'aspetto generale
dei polmoni assomiglia a quello della polmonite batterica. Tuttavia le alterazioni istologiche nella polmonite della febbre Q assomigliano a quelle
della psittacosi e di alcune polmoniti virali; un infiltrato interstiziale intenso attorno ai bronchioli e ai vasi sanguigni si estende alle pareti alveolari
adiacenti e sono numerose le cellule del plasma. I lumi bronchiolari possono contenere leucociti polimorfonucleati.
Circa 1/3 dei pazienti con febbre Q protratta sviluppa epatite, caratterizzata da febbre, malessere generale, epatomegalia con dolore addominale al quadrante superiore destro e talvolta ittero. I campioni bioptici del
fegato mostrano diffusi cambiamenti granulomatosi e permettono l'identificazione della C. burnetii con immunofluorescenza.
Esistono inoltre diverse forme di febbre Q cronica, con epatite cronica
ed endocardite. L'epatite da febbre Q cronica andrà distinta da altre malattie granulomatose del fegato (p. es., dalla sarcoidosi, dall'istoplasmosi,
dalla brucellosi, dalla tularemia e dalla sifilide). L'endocardite provocata
dal C. burnetii è grave,ma rara. Clinicamente assomiglia all'endocardite
batterica subacuta, con interessamento, il più delle volte, della valvola aortica.
Le emocolture di routine sono costantemente negative.
La febbre Q è raramente fatale (1% nei casi non trattati e anche più
bassa nei casi trattati).
Elementi per la diagnosi
La C. burnetii può essere isolata dal sangue. Anticorpi specifici agglutinanti e fissazione del complemento (FC) compaiono durante la convale-
66
scenza. I test di agglutinizzazione sono più sensibili dei test FC; anche le
analisi con anticorpi fluorescenti sono utili.
Gli anticorpi contro i microrganismi in fase I sono prodotti soltanto
raramente nei soggetti in fase acuta di malattia ma, quando presenti, indicano l'esistenza di una febbre Q cronica.
Prevenzione e profilassi
Le norme profilattiche principali sono le seguenti:
• isolare gli animali infetti;
• operare una valida vaccinazione del bestiame;
• effettuare sempre la pastorizzazione del latte;
• lavare e disinfettare accuratamente gli indumenti utilizzati nella
manipolazione di materiale potenzialmente infetto.
Terapia
Per quanto sia un’infezione generalmente autolimitante, la febbre Q
richiede comunque un trattamento antibiotico volto a prevenire complicanze o cronicizzazione: abitualmente si utilizzano doxiciclina o tetracicline per 14 giorni. In alternativa si possono somministrare eritromicina o
ciprofloxacina. Nella febbre Q cronica con endocardite è invece consigliata una terapia protratta (almeno 18 mesi) con doxiciclina associata a idrossiclorochina.
Vaccino
In Italia non esiste un vaccino in commercio, ma è reperibile negli
Stati Uniti.
Si tratta di un vaccino inattivato preparato da C. burnetii coltivato su
sacco vitellino. È fortemente raccomandato per i laboratoristi che lavorano
con i ceppi vivi di C. burnetii. Si deve ancora prendere in considerazione la
vaccinazione per i lavoratori dei mattatoi e altri lavoratori a rischio, incluso chi svolge ricerche su pecore gravide. Al fine di evitare gravi reazioni
locali, la somministrazione del vaccino deve essere preceduta da un test di
sensibilità cutanea con una piccola dose di vaccino diluito, e comunque
non deve essere somministrato in soggetti con un test di fissazione del
complemento positivo o una storia indicativa di Febbre Q.
Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione.
Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione
della zecca (vedi paragrafo 2.11
Rimozione della Zecca).
67
Febbre Q
Classe di notifica:V (DM 15.12.1990)
Sorveglianza in funzione della situazione
epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B)
Classe di rischio:3 (D.Lgs 81/08, allegato XLV)
68
Uomo
4
L’uomo
L’uomo può fungere da “ospite” intermedio occasionale in tutte le fasi
di sviluppo delle zecche. Questo ruolo può riguardare soggetti esposti per
motivi lavorativi (forestali, boscaioli, contadini ecc.) o ludici (escursionisti,
cacciatori, pescatori ecc.).
Nel corso dell’ultimo secolo l’essere umano si è reso responsabile di
una serie di interventi nel contesto ambientale, sociale ed economico quali:
• cambi d’uso del territorio e dei sistemi di produzione agrozootecnici;
• sconvolgimenti degli habitat della fauna selvatica;
• aumento delle attività umane;
• maggior frequenza di viaggi;
• ampia circolazione di animali e prodotti di origine animale.
Tali interventi hanno contribuito ad alterare la distribuzione, la presenza e
la densità di specie ospiti e dei vettori. Conseguentemente, il numero delle
malattie emergenti e riemergenti, incluse le zoonosi, è fortemente aumentato. Alcuni agenti patogeni, trasmessi da animali selvatici e/o mantenuti
in ambiente silvestre, hanno assunto un’importanza sempre crescente in
ragione del loro impatto sulla fauna selvatica stessa, sulla salute umana,
sulle specie zootecniche.
Il coinvolgimento dell’uomo si è accentuato negli ultimi anni anche a
causa dell’aumento del turismo di massa, per la maggiore frequenza dei
viaggi nazionali e internazionali, della pratica di sport all’aria aperta, del
progressivo abbandono della campagna da parte dei contadini, dei comportamenti spesso incongrui che dimostrano una scarsa conoscenza del
pericolo da parte dei frequentatori occasionali delle zone a rischio.
Altri importanti fattori di natura socioeconomica responsabili di patologie infettive emergenti comprendono:
• globalizzazione dell’economia, con scomparsa delle barriere doganali e liberalizzazione del commercio di animali e prodotti di origine
animale;
• cambiamenti demografici (crescita della popolazione e urbanizzazione) e delle abitudini di vita;
• sviluppo economico e mutamenti nei modelli di utilizzo del territorio (colture intensive e monocolture);
69
•
•
•
•
•
•
•
progresso tecnologico e cambiamenti nelle tecnologie industriali
(filiere alimentari);
aumento delle situazioni di prossimità con animali (allevamenti di
grosse dimensioni);
incremento del volume e della velocità degli scambi commerciali;
flussi migratori di persone, con possibile introduzione di nuovi patogeni e di nuove abitudini alimentari;
guerre e conflitti interni, che riducono gli investimenti in sanità pubblica e bloccano i piani di profilassi nel bestiame;
povertà e disuguaglianze sociali;
inadeguatezza dei sistemi di sanità pubblica.
70
Zoonosi
5 Le zoonosi:
5.1 Definizione e principali riferimenti normativi
Il primo a utilizzare il termine zoonosi (“infezione da veleni animali
contagiosi”) è stato il medico tedesco Rudolf Virchow, nel 1855.
Nel 1824 Antonio Alessandrini aveva parlato di “idrofobia e altre malattie non meno appiccicaticce”, mentre Bruno Galli Valerio pubblicò, nel
1894, un manuale intitolato “Zoonosi: malattie trasmissibili dall’animale all’uomo”.
Nel 1959 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le
zoonosi “infezioni naturalmente trasmesse tra animali vertebrati e l’uomo”.
Alla luce di studi più recenti, l’accezione del termine è stata ampliata e
determinata più precisamente, (Mantovani, 2001) per cui si parla di
“danno alla salute e/o alla qualità della vita umana causato da relazione
con (altri) animali vertebrati o invertebrati commestibili o tossici”.
Le zoonosi rappresentano uno dei problemi di salute pubblica più
complessi e importanti in quanto è emerso che circa il 60% dei patogeni
umani utilizza gli animali come serbatoi naturali. La complessità riguarda
anche la sorveglianza e la gestione delle infezioni zoonotiche, dovendo
considerare le vie di diffusione di queste malattie, che spesso coinvolgono
anche gli alimenti e l’ambiente, attraverso la contaminazione dei cibi e delle acque. Per questo la collaborazione tra gli esperti di salute pubblica, di
sicurezza alimentare e dell’ambiente, nonché l’integrazione tra medici e
veterinari rappresentano la strategia vincente per affrontare queste malattie.
Le zoonosi sono patologie classificabili in quattro categorie:
• ortozoonosi o zoonosi dirette: il ciclo vitale del microorganismo si
mantiene in natura grazie a una singola specie vertebrata (rabbia,
brucellosi, antrace);
• ciclozoonosi: il ciclo vitale del microorganismo richiede più di una
specie di ospite vertebrato (echinococcosi);
• metazoonosi: il mantenimento del ciclo vitale del microorganismo
richiede specie sia vertebrate che invertebrate (malattia di Lyme,
peste);
71
saprozoonosi: quando l’ospite è un vertebrato e il serbatoio o sede
di sviluppo del microorganismo non è una specie animale
(listeriosi, varie micosi).
L’attenzione al rispetto delle misure di sorveglianza delle zoonosi e
degli agenti zoonotici è stata recentemente ribadita dal Decreto Legislativo
4 aprile 2006, n.191 (D.Lgs 191/06), in attuazione della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003, n.99 (Direttiva 2003/99/CE).
•
Scopo del decreto è garantire:
• la sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici;
• la sorveglianza della resistenza agli antimicrobici ad essi correlata;
• l’indagine epidemiologica dei focolai di tossinfezione alimentare;
• lo scambio d’informazioni relative alle zoonosi e agli agenti zoonotici.
Nell’allegato I sono elencate le zoonosi e gli agenti zoonotici da sottoporre a differenti flussi di sorveglianza, secondo il seguente schema:
A. zoonosi ed agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza:
• Brucellosi e relativi agenti zoonotici;
• Campilobatteriosi e relativi agenti zoonotici;
• Echinococcosi e relativi agenti zoonotici;
• Listeriosi e relativi agenti zoonotici;
• Salmonellosi e relativi agenti zoonotici;
• Trichinellosi e relativi agenti zoonotici;
• Tubercolosi causata da Mycobacterium bovis;
• Escherichia coli che produce verocitotossine.
B. elenco delle zoonosi e degli agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica:
1. zoonosi virali
• Calicivirus;
• Virus dell’epatite A;
• Virus dell’influenza;
• Rabbia;
• Virus trasmessi da artropodi.
72
2. zoonosi batteriche
• Borreliosi e relativi agenti zoonotici;
• Botulismo e relativi agenti zoonotici;
• Leptospirosi e relativi agenti zoonotici;
• Psittacosi e relativi agenti zoonotici;
• Tubercolosi diverse da quelle di cui alla parte A;
• Vibriosi e relativi agenti zoonotici;
• Yersiniosi e relativi agenti zoonotici.
3. zoonosi da parassiti
• Anisakiasis e relativi agenti zoonotici;
• Criptosporidiosi e relativi agenti zoonotici;
• Cisticercosi e relativi agenti zoonotici;
• Toxoplasmosi e relativi agenti zoonotici.
4. altre zoonosi e agenti zoonotici.
Per la sorveglianza delle zoonosi è fondamentale identificare quali animali e quali alimenti costituiscono la principale fonte di infezione. Nel 2004 l’EFSA (European Food Safety Authority – Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha predisposto alcuni modelli per il rilevamento degli
agenti zoonotici, al fine di armonizzare il flusso informativo dei dati
(inviati dagli Stati Membri) relativi alle zoonosi nel settore veterinario,
raccolti sulla base della Direttiva 2003/99/CE. I dati relativi ai casi umani,
invece, sono acquisiti dall’ECDC (European Centre for Disease Prevention
and Control – Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie).
In Italia, il Ministero della Salute insieme con il Centro di Referenza
per l’Epidemiologia Veterinaria (COVEPI – Centro Operativo Veterinario
per l’Epidemiologia, la Programmazione e l’Informazione, istituito presso
l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise), ha progettato e realizzato un Sistema informativo nazionale delle zoonosi, nel
quale vengono raccolti dati rilevanti ai fini della sorveglianza e del controllo delle zoonosi sul territorio nazionale.
73
5.2 Le zoonosi occupazionali
Le zoonosi occupazionali rappresentano un aspetto peculiare della
tematica delle zoonosi e recentemente hanno suscitato ampio interesse da
parte di medici e veterinari.
Caccia, pesca, agricoltura, addomesticamento, allevamento sono da
sempre gli ambiti lavorativi maggiormente interessati da questo tipo di
patologie.
Le zoonosi che per prime sono state riconosciute come collegate al lavoro con animali e dunque storicamente più citate risultano essere quelle
che si manifestano con lesioni cutanee evidenti e caratterizzate da brevi
periodi d’incubazione (dermatomicosi, scabbia, carbonchio cutaneo, morva), mentre altre, connotate da segni clinici poco evidenti, hanno incontrato ostacoli nell’approccio all’identificazione e relativa classificazione come
malattie professionali. Alcune zoonosi, infatti, hanno lunghi periodi d’incubazione (tubercolosi, echinococcosi cistica), o si presentano con lesioni
interne a lenta evoluzione come le micosi profonde, portando inevitabilmente a una sottostima delle medesime. L’interesse per queste malattie
era inizialmente rivolto alle vie e alle modalità d’infezione, successivamente si è esteso e diversificato, prendendo in considerazione le misure di
controllo e la prevenzione in ambito occupazionale. Infatti nel corso degli
anni ha cominciato ad affermarsi la convinzione che la salute animale, la
salute dell’uomo e l’economia rappresentano i tre pilastri fondamentali di
una zootecnia moderna, efficiente e sana.
Quanto detto induce a fare le seguenti considerazioni:
1) i luoghi di lavoro inidonei per gli animali allevati lo sono anche per
l’uomo, con conseguenze socio-economiche negative per i singoli,
per le aziende e per i consumatori;
2) la prevenzione delle malattie occupazionali (e tra queste le zoonosi)
rappresenta:
• uno strumento di tutela dei lavoratori;
• un fattore di promozione quali - quantitativa delle produzioni
animali;
• un fattore di promozione di un corretto rapporto uomo-animaliambiente.
Per quanto riguarda il riconoscimento delle zoonosi occupazionali da
parte di esperti di Sanità Pubblica, si ricordano tre tappe importanti:
74
Riunione congiunta OMS/FAO di esperti in Sanità Pubblica Veterinaria - SPV (1975):
• le zoonosi vengono riconosciute come rischi professionali;
• si ribadisce la necessità di conoscenze specifiche necessarie per prevenzione e controllo;
• le zoonosi vengono classificate da un punto di vista socio-economico
nel modo seguente:
a) zoonosi con gravi effetti sulle produzioni animali;
b) zoonosi con gravi conseguenze per l'uomo e per gli animali dal
punto di vista economico;
c) zoonosi con gravi conseguenze per l’uomo, ma di scarsa gravità
per gli animali.
Riunione OMS sulle zoonosi batteriche e virali (1982):
• si giunge a una classificazione delle attività lavorative e delle popolazioni a elevato rischio di zoonosi;
• si definisce anche una classificazione delle zoonosi per attività lavorativa del settore agro-zootecnico.
Riunione congiunta OMS/FAO/OIE di esperti in SPV sul “futuro” della
SPV nel XXI secolo (1999):
il controllo delle malattie occupazionali associate al lavoro con animali è
considerato una parte emergente e importante delle attività e competenze della SPV.
75
Tabella riassuntiva dei principali provvedimenti adottati dalla
Comunità Europea nel campo delle malattie infettive e delle zoonosi
Testo Normativo
Contenuto
Direttiva 92/117/CEE
Direttiva concernente misure di protezione
contro zoonosi specifiche e specifici agenti zoonotici in animali e prodotti di origine animale,
al fine di prevenire epidemie derivanti da infezioni e intossicazioni prodotte da cibo. La direttiva riguarda il controllo delle infezioni sia
negli animali che negli esseri umani.
Decisione 2119/ 98/CE
Istituzione di un network europeo per la vigilanza epidemiologica e il controllo delle malattie trasmissibili nell’ambito della comunità europea, al fine di promuovere la collaborazione
tra gli Stati membri e rafforzare il coordinamento delle malattie infettive. Viene altresì
fornita una lista indicante le malattie trasmissibili, tra cui molte zoonosi.
Decisione 2000/96/CE
Vengono specificate le malattie trasmissibili
che dovrebbero essere oggetto di sorveglianza
e controllo da parte dei network europei, attraverso una raccolta e analisi standardizzata dei
dati specifica per ogni malattia e per ogni
network che se ne occupa. L’art. 8 è particolarmente importante perché sottolinea l’importanza di condurre un’azione di vigilanza congiunta, su animali ed esseri umani, che unisca i
due provvedimenti precedenti, al fine di omogeneizzare la sorveglianza e sviluppare definizioni che derivino dallo studio e classificazione
di entrambe le casistiche, animale e umana.
76
Testo Normativo
Decisione 2000/57/CE
Contenuto
Vengono descritte le procedure per lo scambio
di informazioni significative sulle malattie in
questione da parte degli Stati membri tramite
un sistema di allarme precoce e risposta tempestiva (EWRS-Early Warning and Response
System) che ciascun Paese può attuare usando
il suo sistema di sorveglianza nazionale, per
poi sottoporre annualmente alla Comunità un
report sui risultati ottenuti e le procedure utilizzate.
Decisione 2002/253/CE
Vengono redatte le “definizioni di caso” per la
corretta compilazione di report sulle malattie
trasmissibili da comunicare ai vari network
della comunità. Esse consistono nella descrizione clinica della malattia e nei criteri per la
diagnosi e la classificazione. Ciò costituisce un
primo passo per stabilire un valido confronto
tra i Paesi membri, nel rispetto dei trend epidemiologici di ciascuno e dell’emergenza di zoonosi rilevanti. In aggiunta, dovrebbero essere
sviluppate e concordate metodologie di sorveglianza comuni.
Decisione 2003/534/CE
Viene sottolineata la necessità di un’azione di
monitoraggio da parte dei network europei
anche su quelle malattie causate da agenti espressamente creati allo scopo di massimizzare
e diffondere deliberatamente malattie e mortalità (bioterrorismo). Cinque malattie trasmissibili, tra cui la Febbre Q e la Tularemia, vengono aggiunte alla lista di quelle di competenza
dei network europei, per ciò che concerne l’azione di controllo, e vengono formulate specifiche definizioni “di casi”.
77
Testo Normativo
Decisione 2003/534/CE
Decisione2003/542/CE
Direttiva 2003/99/CE
Sostituisce la direttiva
92/117/CEE
RECEPITA IN ITALIA DA:
D. Lgs. 4 aprile 2006
n.191
Oggetto e campo di
applicazione
Garantire una adeguata sorveglianza delle
zoonosi, degli agenti
zoonotici e della resistenza agli antimicrobici ad essi correlata e
un’adeguata indagine
epidemiologica dei focolai di tossinfezione
alimentare, per consentire di raccogliere le
informazioni necessarie ad una valutazione
Contenuto
Viene sottolineata la necessità di un’azione di
monitoraggio da parte dei network europei
anche su quelle malattie causate da agenti espressamente creati allo scopo di massimizzare
e diffondere deliberatamente malattie e mortalità (bioterrorismo). Cinque malattie trasmissibili, tra cui la Febbre Q e la Tularemia, vengono aggiunte alla lista di quelle di competenza
dei network europei, per ciò che concerne l’azione di controllo, e vengono formulate specifiche definizioni “di casi”.
Vengono elencate in maniera dettagliata le malattie trasmissibili, in particolare le zoonosi,
per le quali sono stati creati network ad hoc.
La decisione inoltre regola i rapporti tra gli uffici nazionali di riferimento negli Stati membri
con autorità designate, e richiama l’attenzione
sulle procedure da mettere in atto per migliorare la comparabilità dei dati.
Vengono descritte le modalità secondo le quali
devono essere raccolti i dati sull’insorgenza di
zoonosi e agenti zoonotici negli animali e nel
cibo, in modo da determinare evoluzioni e tipologie di zoonosi negli Stati membri su base
annuale. In particolare i dati sugli esseri umani
dovrebbero essere raccolti per lo più sulla base
della legislazione elaborata in proposito dai
singoli network. Ogni Stato membro è tenuto a
sviluppare programmi di monitoraggio per le
zoonosi a rischio maggiore per la salute umana. Inoltre il sistema di monitoraggio dovrebbe
facilitare la scoperta di zoonosi emergenti, non
solo provenienti da animali domestici, ma anche da fauna selvatica e animali casalinghi. Le
zoonosi da monitorare sono incluse in una lista: otto zoonosi sono obbligatoriamente sottoposte al monitoraggio (lista A); altre dovrebbero essere monitorate in conformità alla situazione epidemiologica presente in ogni paese.
L’autorità
78per la sicurezza alimentare (EFSA) è
tenuta ad esaminare i dati raccolti e a preparare la relativa relazione comunitaria di sintesi.
6
Evoluzione della normativa italiana in ambito occupazionale
La legislazione italiana riguardante le malattie occupazionali o professionali si è evoluta attraverso gli anni. In sintesi vale la pena ricordare che
nel 1956 viene emanato il DPR 19 marzo 1956, n.303, il quale sanciva le
“Norme generali per l’Igiene del Lavoro”, incluse le misure di prevenzione.
Nel 1965 viene pubblicato il “Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” (DPR. 30 giugno 1965 n.1124), pietra miliare della normativa sociale a
tutela dei lavoratori. Viene chiarita la distinzione tra malattia professionale (processo morboso per esposizione prolungata ad agenti nocivi durante il lavoro) e infortunio (evento accidentale che si verifica per una causa violenta in occasione del lavoro, dal quale sia derivata un’inabilità temporanea o assoluta che
comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni); le zoonosi sono considerate infortuni, creando di fatto gravi difficoltà al risarcimento assicurativo. Nel DM 27 aprile 2004 (“Elenco delle malattie per le quali e' obbligatoria
la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del testo unico, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive
modificazioni e integrazioni”) vengono comprese, tra le malattie da agenti
biologici la cui origine lavorativa è di elevata probabilità, diverse zoonosi.
Il suddetto elenco è stato sostituito da quello allegato al Decreto 14 gennaio 2008 (Lista 1- malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità - gruppo 3). Il Decreto 9 aprile 2008 sancisce le “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura”. Nel decreto vengono indicati i periodi massimi di indennizzabilità dalla cessazione della lavorazione per molte malattie, tra cui l’asma bronchiale causata da derivati animali, acari delle derrate e del pollame, miceti.
Il Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n.626 (D.Lgs 626/94) e successive modifiche e integrazioni, emanato in recepimento di direttive comunitarie, rappresenta la vera svolta per la tutela e salute dei lavoratori,
nonché per la prevenzione dei diversi rischi connessi ad attività lavorative, incluso il Rischio Biologico (RB). Il Titolo VIII tratta espressamente
tale rischio, presente in tutti gli ambiti in cui vi sia esposizione ad agenti
biologici, incluse le attività che comportano contatto con animali o loro
organi e prodotti derivati.
79
Il D.Lgs 626/94 è stato ultimamente sostituito dal Decreto Legislativo
9 aprile 2008, n.81 (D. Lgs. 81/2008).
7
IL Rischio Biologico: definizioni e quadro normativo
Con il termine rischio biologico s’intende la possibilità di contrarre
una malattia infettiva nel corso di un’attività lavorativa che comporta esposizione ad agenti biologici.
Il Titolo X del DLgs 81/08 definisce agente biologico “qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita
umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni”.
Gli agenti biologici possono essere batteri, virus, parassiti, funghi; nel
decreto sono stati classificati solo quelli in grado di “provocare malattie infettive in soggetti umani”.
La classificazione (allegato XLVI) è stata stilata sulla base della loro
pericolosità, valutata sia nei confronti dei lavoratori che della popolazione
generale, la quale tiene conto delle caratteristiche di un microrganismo di
seguito riportate:
• infettività - capacità di penetrare e moltiplicarsi nell’ospite;
• patogenicità - capacità di produrre malattia a seguito di infezione;
• trasmissibilità - capacità di essere trasmesso da un soggetto infetto a
uno suscettibile;
• neutralizzabilità - disponibilità di efficaci misure profilattiche per
prevenire la malattia o terapeutiche per la sua cura.
Gli agenti biologici sono suddivisi in quattro gruppi di rischio:
• agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di
causare malattie in soggetti umani;
• agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si
propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
• agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi
in soggetti umani e che costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente
biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche;
• un agente biologico del gruppo 4: un agente che può provocare malattie
gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori. Può
80
presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità e non sono disponibili, di norma efficaci misure profilattiche e terapeutiche.
Una corretta classificazione dei microrganismi è un punto cruciale perché da questa derivano direttamente le misure di sicurezza da adottare e
le conseguenti sanzioni nel caso che tali misure non vengano rispettate.
Va precisato che non tutte le esposizioni agli agenti biologici esitano in
una malattia in quanto alla realizzazione di tale evento concorrono molteplici fattori tra cui la consistenza numerica dell’agente infettante, l’aggressività del microrganismo e le capacità difensive dell’ospite.
La dinamica del processo infettivo comprende varie tappe: la contaminazione da parte dei microrganismi delle superfici cutanee o delle mucose; la penetrazione nei tessuti profondi e l’accesso al circolo ematico e linfatico; la localizzazione in determinati organi e/o tessuti; l’instaurarsi di
un rapporto dinamico tra microrganismo e ospite, con risposta attiva da
parte del sistema immunitario di quest’ultimo. Solo dopo che l’infezione
ha interessato un certo numero di cellule o determinati organi vitali si ha
la comparsa della sintomatologia clinica e l’inizio della malattia.
Diverse sono le modalità attraverso le quali gli agenti biologici possono raggiungere l’organismo umano in ambito occupazionale:
• per via parenterale:
inoculazione diretta del microrganismo nei liquidi biologici o nel sangue circolante dell’ospite (AIDS, epatite virale B e C ..);
• per via aerea:
disseminazione
di
goccioline
contenenti
microrganismi
(tubercolosi..) ;
• per contatto diretto:
agenti patogeni presenti su un organismo infetto possono infettare la
superficie corporea di un soggetto suscettibile (scabbia..)
• per contatto indiretto:
attraverso il morso di un animale infetto o la puntura di un artropode
Ematofago - i cosiddetti vettori - (infezione rabbica, malattia di
Lyme…); attraverso veicoli quali indumenti contaminati, strumenti
utilizzati per pratiche mediche;
• per via oro-fecale:
ingestione di alimenti o bevande contaminati (tifo..).
81
Le principali figure coinvolte nelle diverse procedure per il mantenimento della salute e della sicurezza dei lavoratori, istituite con il D.Lgs.
626/94 e tuttora presenti nel D.Lgs. 81/08, sono: il lavoratore, il datore di
lavoro, gli addetti al servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori,
il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente.
Il Titolo X del D.Lgs. 81/08, inerente l’esposizione ad agenti biologici,
sancisce una serie di obblighi per il datore di lavoro che includono la valutazione del rischio, l’adozione di misure tecniche, organizzative e procedurali, le misure igieniche e di emergenza, l’informazione e la formazione
dei lavoratori, la sorveglianza sanitaria, l’istituzione dei registri degli esposti e degli eventi accidentali nonché dei casi di malattia e decesso.
La valutazione del rischio (VdR) è un processo complesso atto a valutare la probabilità che si verifichino eventi indesiderati in particolari circostanze ben definite di utilizzo di agenti pericolosi, nella fattispecie di
agenti biologici. Questo processo è basato sulla ricerca di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità
lavorative ed in particolare deve tener conto:
• della classificazione degli agenti biologici (All. XLVI);
• delle malattie che possono essere contratte;
• dei potenziali effetti allergici e tossici;
• del sinergismo nell’uso di differenti agenti.
I risultati della valutazione devono essere riportati nel cosiddetto documento, una relazione con data certa in cui devono essere specificati, tra
le altre cose, i criteri adottati per la valutazione stessa, le misure di prevenzione
e protezione e i dispositivi di protezione individuale adottati, il programma delle
misure opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza,
l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere.
La VdR e il conseguente documento devono essere rielaborati in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative o in relazione al grado di evoluzione tecnica; in seguito a infortuni significativi o quando la sorveglianza sanitaria ne evidenzi la necessità.
In tema di malattie trasmesse da zecche il Ministero della Salute nel
2000 ha emanato una circolare riguardante l’epidemiologia e le misure di
prevenzione di queste infezioni: la Circolare n.10 del 13 luglio 2000, ag-
82
giornamento di una norma precedente focalizzata unicamente sulla Borreliosi di Lyme e la meningoencefatile (Circolare n.19 del 10 luglio 1995).
Nella Circolare del 2000 sono specificate le misure di profilassi comportamentale, fondate sull’informazione e sull’educazione sanitaria della popolazione
generale e delle categorie professionali potenzialmente esposte al rischio di punture da zecche.
Va inoltre ricordato che anche le malattie da morso di zecca sono sottoposte a notifica. La notifica delle malattie infettive rappresenta un importante strumento di Sanità Pubblica, in quanto permette di intervenire
tempestivamente su focolai epidemici o singoli casi di malattie diffusive,
al fine di prevenire il diffondersi o il ripetersi di queste.
Il Decreto Ministeriale del 5 luglio 1975 è il primo documento emanato
dal Ministero della Sanità (oggi Ministero del Lavoro, della Salute, e delle
Politiche Sociali), che elenca le malattie infettive per le quali è resa obbligatoria la notifica. Successivamente il Decreto Ministeriale 15 dicembre
1990 ha catalogato le malattie infettive in 5 classi di notifica, caratterizzate
da procedure di notifica differenti sulla base della gravità della malattia. Il
Sistema Informatizzato di Malattie Infettive (SIMI), istituito grazie alla
collaborazione tra l’Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute,
ha lo scopo di informatizzare il flusso delle notifiche di malattie infettive e
rendere disponibili i dati in formato elettronico (http://www.simi.iss.it).
7.1 Rischio Biologico nel Settore Agricolo Forestale
Il settore agricolo costituisce ancora oggi, nel nostro Paese, una notevole parte della realtà produttiva, impiegando un numero significativo di
lavoratori. Questo settore va visto nel contesto di un mercato interno europeo molto più ampio rispetto al passato (da 380 a 454 milioni di persone
con l’allargamento a dieci nuovi Stati membri nel 2004) è destinato a incrementare ulteriormente la sua crescita per effetto dell’adesione di nuovi
Paesi, caratterizzati in larga parte da una forte predominanza del settore
agricolo.
La popolazione agricola è aumentata nel 2004 di 4 milioni e la superficie agricola utilizzata (SAU) è cresciuta del 30% (da 130 milioni di ettari a
circa 168). Tra il 1993 e il 2003 la SAU è scesa dell’8,4% in Italia e, secondo
recenti dati Eurostat, la superficie agricola disponibile per abitante/paese
si attesta oggi sugli 0,26 ettari procapite. Nel 2004 il numero complessivo
degli occupati è aumentato dello 0,8% rispetto al 2003. Il settore agricolo
ha mostrato un incremento dell’occupazione (0,4%). Il rapporto tra lavoro
83
agricolo e popolazione è mutato rapidamente nel corso degli ultimi dieci
anni: nel 1994, per ogni unità di lavoro agricolo vi erano circa 32 abitanti,
mentre nel 2004 sono saliti a 46. Il sistema produttivo italiano e in particolare il settore agricolo sono stati caratterizzati, infatti, da un processo di
sostituzione del fattore lavoro a favore dell’input di capitale (investimenti
in macchine, attrezzature, impianti) e degli input intermedi (mezzi tecnici
di uso corrente, servizi ecc) [Rapporto sullo Stato dell’Ambiente (R.S.A.)
2005].
In Italia si sta assistendo ad un trend decrescente degli infortuni sul
lavoro agricolo, rilevato già da molti anni (Dati INAIL luglio 2008): le denunce sono state circa 57mila, in flessione nel 2007 del 9,4% rispetto al
2006.
In diminuzione anche i casi mortali, che si attestano intorno alle 100
unità, ma che sembrano profilare, sulla base dei dati relativi ai primi mesi,
un certo aumento per il 2008. Ovviamente gli infortuni denunciati interessano soprattutto patologie che colpiscono il sistema osteo-articolare e muscolo-tendineo. Oggi l’impiego corretto di attrezzature necessarie alla distribuzione di fitofarmaci può ridurre l’esposizione dell’operatore agli agenti chimici, diminuendo la probabilità di insorgenza di patologie professionali per effetto dell’assorbimento attraverso la cute, dell’inalazione o
dell’ingestione del prodotto.
Ma nel mondo agricolo, oltre a queste patologie legate ad agenti fisici
o chimici, vanno ricordate le zoonosi, che vengono trattate dall’INAIL come infortuni. Oltre alla difficoltà oggettiva nell’individuazione delle precise modalità di contagio da agenti biologici, nella misurazione ambientale
dei microrganismi e quindi nella stima dei livelli di contaminazione microbica relativa a differenti ambiti lavorativi, nel settore agricolo si osserva
spesso la mancanza di un’adeguata opera di prevenzione dai rischi lavorativi. Ciò è legato a una serie di motivi: molte delle aziende agricole sono
a gestione familiare, con conseguente difficoltà di accesso alle risorse e alle
figure professionali che nel corso degli ultimi anni hanno profondamente
cambiato la prevenzione in altri ambienti di lavoro quale quello industriale; particolarmente difficile sembra essere l’informazione e la formazione
sulla prevenzione dei rischi lavorativi in tale settore. Va tenuto presente
che molte attività rurali sono condotte in ambienti non confinati, il rischio
si estende spesso dal singolo al gruppo familiare e vi è una maggiore diffusione del lavoro minorile rispetto ad altri settori produttivi.
84
La tutela dei lavoratori dai rischi biologici in agricoltura è quindi un
obiettivo di particolare rilievo.
Numerosissime sono le possibili infezioni correlate alle attività agricole e in particolare quelle che inducono il lavoratore a svolgere la propria
attività a contatto diretto con la natura e con gli animali (giardinieri, boscaioli, allevatori, veterinari, guardie forestali).
Molti degli sforzi della ricerca nel settore della prevenzione e della sicurezza in agricoltura si sono concentrati nel campo dei pesticidi, dell’ergonomia e dei rischi collegati ai macchinari, mentre gli studi che trattano
il rischio biologico sono molto limitati.
Due importanti fattori che vanno presi in considerazione allorché si
valuta il rischio in tale ambito riguardano:
• le sorgenti di rischio di esposizione ad agenti biologici;
• le modalità di trasmissione delle infezioni occupazionali.
Nel settore agricolo-forestale l’esposizione agli agenti biologici avviene ogniqualvolta un soggetto venga a contatto sul luogo di lavoro con:
• animali;
• artropodi-vettori;
• allergeni;
• materiali naturali o di natura organica quali terra, argilla, derivati da
piante;
• derivati di origine animale;
• generi alimentari;
• polveri organiche;
• rifiuti;
• acque di scarico.
Tra le molteplici categorie lavorative interessate ricordiamo:
• contadini;
• allevatori;
• veterinari;
• forestali;
• addetti alla pastorizia;
• conciatori, tosatori;
• addetti alla produzione e alla manipolazione degli alimenti;
• addetti alla macellazione delle carni;
• addetti al commercio e ai trasporti di animali vivi e di carni;
• addetti alla piscicoltura;
85
• operatori
ecologici e addetti agli impianti di smaltimento rifiuti;
• addetti alla depurazione delle acque di scarico;
• laboratoristi.
86
ZOONOSI TRASMESSE DA ZECCHE
Per quanto riguarda le zoonosi trasmesse da zecche, di seguito è riportata una tabella riassuntiva delle patologie presenti nel nostro Paese, degli
agenti biologici, dei vettori e dei serbatoi che ne costituiscono la causa,
nonché delle professioni che sono risultate essere maggiormente a rischio
di contrarle.
Malattia
FEBBRE BOTTONOSA
DEL MEDITERRANEO
EHRLICHIOSI
BORRELLIOSI DI LYME
FEBBRE RICORRENTE
DA ZECCHE
TULAREMIA
Agente
biologico
Vettori e
Serbatoi
Rickettsia conoriii
Zecche di cani e
altri animali domestici e selvatici
(conigli e lepri, ma
anche ovini, caprini
e bovini)
Ehrlichia
Zecche di animali
selvatici e domestici
Borrelia burgdorferi
Zecche di animali
selvatici
Borrelia spp.
Zecche molli del
genere Ornithodorus possono parassitare tanto l’uomo
che piccoli animali
(roditori)
Francisella tularensis
(tipo A)
87
Sangue,
tessuti,
secrezioni o morsi
di animali infetti,
artropodi
Professioni a
rischio
veterinari
addetti ai
canili
contadini
allevatori
forestali
allevatori
cacciatori
guardiacaccia
agricoltori
agricoltori
forestali
taglialegna
cacciatori
guardiacaccia
sportivi
agricoltori
forestali
cacciatori
guardiacaccia
forestali
agricoltori
veterinari
laboratoristi
Malattia
MENINGOENCEFALITE DA ZECCHE
BABESIOSI
BARTONELLA
FEBBRE Q
Agente
biologico
Vettori e
Serbatoi
Flavivirus
(Tickborne encephalitis)
Zecche di animali
selvatici e domestici
Babesia spp.
Zecche provenienti
da animali domestici e selvatici; in
particolare: bovini
ovini e caprini equini, suini, cani,
roditori e ungulati
Bartonella henselae
Coxiella
burnetii
Morso o graffio del
gatto, e in maniera
indiretta,le
feci
infette delle pulci
che parassitano il
gatto,
potenzialmente anche zecche
Zecche e/o tessuti
placentali, fluidi di
uccelli o escrezioni
di animali infetti
(pecore, capre, animali selvatici)
88
Professioni a
Rischio
cacciatori
guardiacaccia
agricoltori
vigili del fuoco
allevatori
forestali
cacciatori
guardiacaccia
veterinari
operatori sanitari
laboratoristi
laboratoristi
giardinieri
addetti al macello
agricoltori
allevatori
conciatori
CENTRI PER LO STUDIO DI ZOONOSI TRASMESSE DA
ZECCHE
Per quanto concerne la distribuzione geografica delle patologie vettore-trasmesse in Italia, diverse sono a tutt’oggi le regioni interessate da
questo fenomeno. L’impegno sanitario delle singole Autorità preposte varia a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche che assume il fenomeno nelle situazioni territoriali in cui nasce e si sviluppa, nonché delle
nuove problematiche emergenti connesse al controllo degli agenti zoonotici stessi.
Di seguito riportiamo alcuni dei principali Centri per lo studio, la sorveglianza epidemiologica, la diagnosi e la cura delle patologie vettore-trasmesse.
Istituzione
Centro/Attività
Contatti
Università degli Studi di
Trieste.
Dipartimento Scienze Biomediche
Laboratorio Spirochete
Trieste
Cooperazione transfrontaliera Friuli Venezia Giulia / Slovenia per valutare
il potenziale rischio d'infezione per Borreliosi di
Lyme ed altre malattie
trasmesse da zecca
http://dfp.units.it/
spirochete
http://dfp.univ.trieste.it/
spirolab
Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna
Brescia
Centro di Referenza Nazionale per la tularemia
(Decreto Ministeriale 4 ottobre 1999)
[email protected]
www.bs.izs.it
Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte,
Liguria e Valle d'Aosta
Torino
Centro di Referenza Nazionale per le Malattie
degli Animali Selvatici
(CERMAS)
Regione Veneto
U.L.S.S. n. 1
Belluno
Osservatorio per lo studio , la sorveglianza e la
prevenzione delle infezioni trasmesse da zecche
Istituto Zooprofilattico
Sperimentale delle Venezie
Padova
Centro di Referenza Nazionale
per la Ricerca Scientifica sulle
malattie infettive nell’interfaccia uomo/animale(Decreto
Ministeriale 7 maggio 2008 G.U. 23 agosto 2008)
89
[email protected]
www.izsto.it
www.osservatoriozecch
e.it
www.izsvenezie.it
Istituzione
Regione Emilia Romagna
Dipartimento di Sanità
Pubblica
GISML - Gruppo Italiano
per lo Studio della Malattia
di Lyme
Faenza (RA)
Centro/Attività
Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Sorveglianza Epidemiologica della
Borreliosi di Lyme
Contatti
[email protected]
[email protected]
[email protected].
it
Ospedale Civico e Benfratelli
Unità Operativa di Malattie Infettive
Palermo
Centro di Riferimento Regionale per: Rickettsiosi, Leishmaniosi ,Brucellosi, Infezioni del Sistema Nervoso
(Decreto Assessoriale n° 283,14
marzo 2002)
www.ospedalecivicop
a.org/infettive
Università degli Studi di
Palermo
Dipartimento di Medicina
Clinica e delle Patologie
Emergenti
Palermo
Centri di Riferimento Regionale Laboratorio di Diagnostica Speciale per le Patologie
Emergenti
Ricerche sieroepidemiologiche
nell'ambito delle Rickettsiosi
www.patologieemerge
nti.net
Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Sicilia
Palermo
Presso l’Istituto è stato istituito
il Centro di Referenza Nazionale per Anaplasma, Babesia,
Rickettsia, e Theileria
(C.R.A.Ba.R.T.)
(Decreto Ministeriale 8 maggio
2002)
www.izssicilia.it/izssi/
crabart
90
Schede zecche
Di seguito vengono riportate alcune schede relative a diverse specie di
zecche presenti in Italia, che possono veicolare agenti biologici patogeni
per l’uomo.
Le schede riportano alcune specie di zecche sia molli (Argasidae ) che
dure (Ixodidae ). La distribuzione geografica si riferisce alle segnalazioni
riportate nelle varie regioni (sul territorio nazionale).
Per eventuali approfondimenti relativi ai vari aspetti di ciascuna specie, si rimanda ai testi, alle pubblicazioni ed ai siti web riportati in bibliografia.
Ixodidae o “zecche dure”
Rappresentano la “famiglia” più importante
degli artropodi in termini numerici e per importanza medica.
Sono caratterizzate dalla presenza di uno
scudo dorsale chitinoso, e in Italia comprendono 6 generi: Ixodes, Boophilus, Hyalomna,
Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis.
91
Ixodes ricinus
Distribuzione geografica: presente in tutte le regioni
d’ Italia
Habitat: foreste mesofile di latifoglie – prato e bosco
Ospiti: può aggredire ospiti molto diversi: mammiferi
di grande e piccola taglia, uccelli e persino rettili.
Aggredisce anche l’uomo.
Agente patogeno
Babesia divergens
Borrelia burgdorferi
Patologia Indotta
Babesiosi
Borrelliosi di Lyme
Anaplasma phagocytophilum
Ehrlichiosi
Rickettsia helvetica
Rickettsiosi
Francisella tularensis
Virus TBE (Tick Borne Encephalitis virus)
Tularemia
Meningoencefalite da zecche
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Coxiella
92
Ixodes acuminatis
Distribuzione geografica: presente in svariate regioni d’Italia (Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria) ad eccezione delle isole
Habitat: ambiente forestale
Ospiti: è parassita dei micromammiferi, sia insettivori che roditori. Aggredisce l’uomo raramente..
Agente patogeno
Patologia Indotta
Borrelia burgdorferi
Borrelliosi di Lyme
Francisella tularensis
Tularemia
Coxiella burnetii
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Patologia In
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Tularemia
93
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Argasidae o “zecche molli”
Le Argasidae sono definite zecche
molli in quanto prive di scudo chitinoso dorsale, sono presenti in Italia con
due generi: Argas e Ornithodorus.
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Patologia
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Ufficiale n.119 del 24 maggio 2006.
Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n.81. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n.123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
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Ordinario.
Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124. Testo unico delle
disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e
le malattie professionali. Gazzetta Ufficiale. n.257 del 13 ottobre 1965 - Supplemento Ordinario.
Decreto Ministeriale 15 dicembre 1990. Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive. Gazzetta Ufficiale n.6 del 8 gennaio 1991.
Decreto Ministeriale 27 aprile 2004. Elenco delle malattie per le quali e' obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del testo unico, approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124, e successive modificazioni e integrazioni. Gazzetta Ufficiale n.134 del 10 giugno 2004.
Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008. Elenco delle malattie per le quali e' obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell'articolo 139 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124,
106
e successive modificazioni e integrazioni. Gazzetta Ufficiale. n. 29 del 4 febbraio 2008.
Decreto Ministeriale 9 aprile 2008. Nuove tabelle delle malattie professionali
nell'industria e nell'agricoltura. Gazzetta Ufficiale n.169 del 21 Luglio 2008.
Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio 17 novembre 2003.
Misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/
CEE del Consiglio Gazzetta ufficiale dell'Unione europea [IT] L 325/31 del 12
dicembre 2003.
107
Glossario
Acaricida - preparato tossico in grado di uccidere gli acari.
Acaro - piccolo artropode, comprendente diverse specie, spesso parassiti.
Acrodermatite cronica atrofizzante - dermatosi ad evoluzione lentissima, caratterizzata dalla comparsa di placche eritematose sulla superficie dorsale
degli arti. Questo eritema si accompagna all’inizio con un’infiltrazione, poi
compare atrofia della pelle.
Adenopatia - ingrossamento delle linfoghiandole presente specialmente in
particolari regioni del corpo come ascelle, inguine e collo.
Agente eziologico - microrganismo causa dell’instaurarsi di un processo infettivo.
Anemia - caduta del tasso di emoglobina, proteina presente nei globuli rossi
(eritrociti) nel sangue.
Antibiotico - sostanza di origine naturale (comunemente prodotta da batteri
o funghi) o di sintesi in grado di uccidere o inibire la crescita di microrganismi. E’ generalmente usata per combattere le infezioni causate dai batteri.
Anticorpo - proteina prodotta in risposta all’ingresso nell’organismo ospite di
una sostanza estranea, l’antigene, con cui si lega in modo altamente specifico
formando il complesso antigene-anticorpo che induce una risposta immunitaria.
Antielmintici - categoria di farmaci utili a eliminare svariati tipi di vermi o
elminti, che possono infestare l’organismo.
Antigene - molecola normalmente di natura proteica che, se introdotta nell’organismo, induce la formazione di anticorpi.
Artropode - animale invertebrato caratterizzato da uno scheletro esterno.
Artropode vettore - organismo in grado di trasferire germi patogeni da un
ospite ad un altro.
Batterio intracellulare - batterio che vive all’interno delle cellule ospiti.
Batterio obbligato - batterio che deve necessariamente vivere all’interno delle
cellule ospiti.
Bioaerosol - particelle aerodisperse formate da entità biologiche o parti di
esse quali batteri, virus, lieviti e muffe in grado di rimanere in sospensione
nell’aria per periodi prolungati.
Biodiversità - insieme di tutte le forme, animali o vegetali, geneticamente dissimili presenti sulla terra e degli ecosistemi ad essi correlati.
Biotipo - gruppo di esseri viventi con caratteristiche morfologiche e fisiologiche geneticamente omogenee.
Cellula endoteliale - cellula che costituisce un particolare tipo di tessuto epi-
108
teliale presente nei vasi sanguigni e linfatici.
Chitinizzato - composto da chitina, proteina che costituisce il corpo esterno,
(esoscheletro o cuticola) degli artropodi.
Ciclo vitale - insieme delle fasi di accrescimento e maturazione che portano
da un individuo alla formazione di un altro individuo della stessa specie.
Cluster - gruppo di unità simili o vicine tra loro.
Co-feeding - trasmissione di virus o batteri da una zecca all’altra che si nutrono simultaneamente su di uno stesso ospite.
Congiuntiva - membrana mucosa che ricopre il bulbo oculare e la parte interna delle palpebre; ha la funzione di proteggere il bulbo oculare, soprattutto la
cornea, nonché di facilitare il suo scorrimento e di quello delle palpebre nelle
fasi di ammiccamento.
Deltametrina - insetticida e acaricida della categoria dei piretroidi.
Dispositivi di protezione individuale - qualsiasi attrezzatura destinata ad
essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o
più rischi in grado di minacciare la sicurezza o la salute durante il lavoro,
nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo, rispondenti alle
norme tecniche EN.
Ectoparassita - parassita vegetale o animale che vive sulla superficie esterna
dell’ospite.
Ematofago - animale che si nutre del sangue di un ospite.
Endemia - in epidemiologia, termine indicante la presenza costante di una
certa malattia o di un certo microrganismo in una data area geografica.
Eritema migrante - lesione della pelle che inizialmente si manifesta come una
piccola papula rossa ma poi si diffonde per il corpo.
Eritrocita - (globulo rosso) cellula del sangue adibita al trasporto dell'ossigeno
dai polmoni verso i tessuti e di una parte dell'anidride carbonica dai tessuti ai
polmoni e che provvede all'espulsione del gas all'esterno del corpo.
Esantema maculo-papuloso - lesione eruttiva della cute da infezione o da
sensibilizzazione allergica costituita da maculo-papule, macchioline di colore
rosso, lievemente rilevate al tatto, a margini frastagliati, con tendenza a confluire tra loro assumendo l’aspetto di grosse macchie.
Esantema petecchiale - lesione eruttiva della cute da infezione o da sensibilizzazione allergica accompagnata da petecchie, piccole manifestazioni cutanee
emorragiche di colore rosso-violaceo.
Escara necrotica - lesione tissutale che si forma in un processo di necrosi in
seguito ad evento traumatico, ustione, flogosi, causticazione; le zone maggiormente colpite sono la cute e le mucose.
Essudazione - produzione di essudato, liquido infiammatorio extravascolare
con elevata concentrazione proteica che si raccoglie nei tessuti del corpo sotto-
109
posti a un processo d'infiammazione.
Fattori antropici - processi mediante i quali l’uomo modifica l’ambiente naturale per renderlo più consono ai propri fini.
Febbre esantematica - febbre accompagnata da esantema, lesione eruttiva
della cute da infezione o da sensibilizzazione allergica.
Ferormonali - detto di sostanze chimiche secrete da apposite ghiandole di un
organismo animale che, percepite attraverso l’olfatto da individui della stessa
specie, ne attivano particolari reazioni comportamentali (es.: accoppiamento,
fuga).
Flogosi - infiammazione, meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una risposta protettiva, conseguente all'azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo è l'eliminazione della causa iniziale di
danno cellulare o tissutale.
Gene : unità ereditaria presente in una posizione definita e fissa di un particolare cromosoma. I geni sono responsabili dell’ereditarietà dei caratteri permettendo la trasmissione in forma inalterata delle informazioni in essi contenute alle generazioni successive.
Genoma - intera informazione genetica presente in una cellula o in un organismo.
Genospecie - specie microbica caratterizzata da un peculiare patrimonio genetico.
Genotipizzazione - processo che permette di determinare il genotipo di un
organismo mediante saggio biologico.
Genotipo - profilo genetico di un individuo, ovvero la totalità dei geni presenti nel suo genoma.
Habitat - ambiente naturale in cui vive, si sviluppa e si riproduce una specie
animale o vegetale, in quanto adattata alle specifiche caratteristiche fisiche di
questo.
Immunità - stato di resistenza specifica di un organismo verso un determinato antigene (per esempio un agente patogeno).
Infezione subclinica - infezione che decorre in forma inapparente.
Insetticida - sostanza chimica utilizzata per allontanare o uccidere insetti di
vario genere, dannosi o fastidiosi.
Larva - embrione che conduce vita libera e che diventerà adulto attraverso
una o più metamorfosi (trasformazioni di forma e di struttura) raggiungendo
lo stadio adulto.
Lesione patognomica - lesione a carattere particolare e tipico di una patologia.
Linfoadenopatia - ingrossamento dei linfonodi (organi del sistema linfatico)
di qualsiasi natura.
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Linfociti - cellule presenti nel sangue facenti parte del sistema immunitario.
Liquor cefalorachidiano - nei vertebrati rappresenta il liquido di aspetto limpido che riempie i ventricoli encefalici e il canale ependimale del midollo spinale, ed è inoltre presente al di sotto della meninge profonda, per tutto il nevrasse e nei mammiferi negli spazi subaracnoidali.
Macrofago - cellula del sangue implicata nelle risposte immunitarie.
Malattia infettiva - malattia determinata da agenti patogeni che entrano in
contatto con un individuo causando infezioni.
Microclima - zona geografica locale in cui il clima differisce in modo significativo da quello delle zone circostanti.
Microrganismo - qualsiasi organismo animale o vegetale, procariote o eucariote, di dimensioni microscopiche. Sono microrganismi batteri, funghi, protozoi, virus ed alghe.
Monocita - cellula del sangue coinvolta nelle risposte immunitarie.
Nematode - verme con corpo cilindrico.
Ninfa - stadio giovanile che si manifesta nel corso dello sviluppo postembrionale di alcuni Artropodi (es. Acari e Insetti) e che in generale precede lo stadio di adulto.
Organotropismo - capacità di un microrganismo di infettare un organo specifico.
Organofosfati - sostanze che inibiscono irreversibilmente l'acetilcolinesterasi,
enzima essenziale alla funzionalità nervosa degli insetti, dell'uomo e di molte
altre specie animali.
Ospite - organismo che interagisce biologicamente con il parassita.
Parassita - organismo che vive in/su un altro individuo definito ospite; trae il
proprio nutrimento dall’ospite al quale in una certa misura arreca danni.
Parassitemia - presenza di parassiti nel sangue.
Pasto ematico - pasto di sangue.
Patogeno - qualsiasi microrganismo in grado di causare malattia.
Patologia - qualunque malattia, sia dell'uomo che degli animali o delle piante.
Pesticidi - sostanze o prodotti chimici capaci di controllare, limitare, respingere o distruggere gli organismi viventi (microrganismi, animali o vegetali) considerati come nocivi, o di opporsi al loro sviluppo.
Piretroidi - classe di insetticidi e acaricidi di sintesi.
Profilassi - insieme delle misure preventive idonee a limitare o eradicare le
malattie, in particolare quelle infettive.
Rash cutaneo - eruzione cutanea a rapida insorgenza con effetto di rossore e
prurito. E’ generalmente transitoria; compare all'inizio di alcune malattie infettive o per cause tossiche.
Scarificazione - incisione degli strati più superficiali della cute o delle muco-
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se, non seguita da fuoriuscita di sangue.
Scissione binaria - meccanismo di riproduzione asessuata che genera organismi assolutamente identici tra di loro e a quello generante.
Serbatoio - qualsiasi persona, specie animale o vegetale o substrato inanimato
(terreno, sostanze), habitat normale di un microrganismo patogeno. Nel serbatoio l’agente infettivo vive e si moltiplica così da poter essere trasmesso ad
un altro ospite recettivo.
Shock anafilattico - forma più grave e potente delle reazioni allergiche; se
non trattato può portare alla morte.
Simbionte - organismo vivente che vive insieme ad un altro traendo vantaggio reciproco dalla convivenza (simbiosi).
Sistema linfatico - insieme di cellule e organi dai quali dipendono le reazioni
di immunità specifica.
Soggetto asplenico - soggetto privo di milza a causa di asportazione chirurgica o assenza congenita.
Soggetto splenectomizzato - soggetto sottoposto ad asportazione chirurgica
della milza.
Specie (procariotica) - definita come un insieme di individui che presentano
caratteristiche fenotipiche (biochimiche, metaboliche, strutturali) comuni,
condividono gli stessi habitat, hanno una percentuale di ibridizzazione DNADNA > 70% ed una identità della sequenza del gene codificante l'RNA ribosomiale 16S (gene rrnB) > 97%.
Spirochete - genere di batteri gram negativi a forma di spirale, asporigeni e
mobili. Sono forme a vita libera nel fango e nelle acque, oppure parassiti e
patogeni di animali e dell’uomo, in cui causano spirochetosi, leptospirosi e
sifilide (generi Borrelia, Leptospira, Treponema, Cristispira).
Spot on - modalità di somministrazione di preparati utilizzati nel trattamento
di anti zecche per cani e gatti.
Tache noire - lesione escariotica che si forma nella sede di puntura della zecca. E' caratterizzata da una crosta nerastra circondata da un alone eritematoso; la crosta poi cade lasciando un' ulcera; a volte la taiche noire può assumere
sin dall'inizio le caratteristiche di una papula con una piccola depressione crateriforme centrale. Non provoca dolore e raramente dà prurito.
Teratogeni - agenti chimici, fisici o biologici che danneggiano direttamente il
feto.
Trasmissione transovarica - trasmissione di batteri, virus e protozoi attraverso le uova.
Tumefazione linfonodale - gonfiore tissutale di uno o più linfonodi causato
da essudazione e infiltrazione intracellulare che segnala un’infiammazione.
Ulcera - lesione della pelle o di un tessuto epiteliale, a lenta o difficoltosa o
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assente cicatrizzazione.
Ungulato selvatico - mammifero (cavallo, cervo, daino) munito di uno zoccolo che ricopre anteriormente le falangi delle dita.
Vaccinazione - inoculazione di vaccino, in modo da indurre una risposta immunitaria attiva analoga a quella che si verifica nell’infezione naturale, ma
senza esporre l’organismo ai pericoli di quest’ultima.
Vaccino - preparato contenente materiale costituito da microrganismi o parti
di essi, opportunamente trattato, che viene inoculato in un organismo per indurlo a produrre anticorpi specifici.
Virus neurotropo - virus che si localizza nel sistema nervoso.
Zona endemica - territorio dove è costantemente presente o molto frequente
una determinata malattia.
Zoonosi - malattia infettiva o parassitaria degli animali che può essere trasmessa all’uomo direttamente (contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) o indirettamente (tramite insetti vettori o ingestione di alimenti infetti).
Zoonosi vettore-trasmesse - zoonosi trasmesse da un organismo che funge da
vettore in grado di trasmettere un determinato virus, batterio, parassita da un
ospite all’altro (zanzare, zecche ecc.).
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2009
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