IL GRANDE SMOG DI LONDRA DEL 1952: LA BASE DEL “CLEAN

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IL GRANDE SMOG DI LONDRA DEL 1952: LA BASE DEL “CLEAN
IL GRANDE SMOG DI LONDRA DEL 1952:
LA BASE DEL “CLEAN AIR ACT”,
OVVERO LA PRIMA LEGGE AMBIENTALE SULLA TERRA.
A cura di Lea CERASOLI
A.A: 2010-2011
Nella seconda metà del
Sette-cento ebbe inizio in
Inghilterra - e si diffuse gradualmente in Europa e nel Nord
America - un processo di
industrializzazione che provocò
cambiamenti tanto profondi in
tutti gli aspetti della vita umana
da essere definito «rivoluzione industriale». Si trattò di una rivoluzione
tecnologica che comportò trasformazioni sociali ed economiche sempre più
rapide, oltreché in continua evoluzione.
Questi cambiamenti portarono, nelle grandi città, ad un largo uso di
carbone come combustibile. Il particolato prodotto dalla sua combustione e la
nebbia si combinavano in un aerosol caratteristico. Da qui l’etimologia del
termine smog, una parola composta dall’unione di due termini inglesi: smoke
(fumo) e fog (nebbia).
Oggi questo termine viene utilizzato in generale per indicare
l’inquinamento atmosferico che si manifesta con forme simili alla nebbia, alla
foschia o alla caligine negli strati bassi dell’atmosfera, normalmente in
condizioni di calma di vento e di inversioni termiche, cioè quando l’aria,
salendo di quota, risulta essere più calda di quella presente sul suolo.
Essendo il carbone ricco di zolfo, durante la combustione produce anidride
solforosa e anidride solforica. Quest’ultime, combinandosi con l’acqua
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presente nell’atmosfera, formano acido solforoso e acido solforico (un
fenomeno analogo alla formazione di piogge acide). Lo smog risulta essere
nocivo alla salute dell’uomo e dell’animale causando irritazione degli occhi,
delle vie respiratorie, oltre ad essere cancerogeno. Inoltre va a danneggiare
anche le piante e gli ecosistemi acquatici e per la sua acidità è in grado di
corrodere lentamente edifici e monumenti.
Lo smog di tipo tradizionale viene comunemente chiamato “smog invernale”
o “smog di Londra” perché più comune d’inverno e nelle città a climi freddi e
umidi, come quest’ultima.
Chiamato “smog di Londra” anche per un avvenimento accaduto in questa
città nel dicembre del 1952 (5-9 dicembre 1952).
Cominciò tutto con un banale accumulo di vapore acqueo freddo, condensato,
del tutto tipico per la città, ma in dicembre, una massa d’aria calda
proveniente dal Mare del Nord si posizionò sulla capitale, intrappolando la
nebbia, così come le miscele di agenti inquinanti prodotti dai veicoli a motore,
dal carbone bruciato nelle fabbriche e nei camini delle case, nonché dagli
impianti industriale che rilasciavano sostanze chimiche nell’aria.
La massa d’aria calda improvvisa e la mancanza di correnti d’aria provenienti
dal Mare del Nord e dalla Manica provocarono l’inversione termica che portò
alla formazione di un tetto gassoso quasi impenetrabile al di sopra della città
per cinque lunghi giorni.
Questa nebbia portò ad una visibilità talmente limitata da bloccare la
viabilità stradale, ferroviaria e aerea, oltre alle abitudini giornaliere: basti
pensare che i pedoni, oltre a dover portare delle mascherine per proteggere le
vie respiratorie, per spostarsi dovevano prendersi a braccetto e procedere a
tentoni; le furono scuole chiuse, le opere teatrali e le proiezioni
cinematografiche furono sospese a causa della nebbia penetrata all’interno
degli stabili; sospeso anche il servizio dell’ambulanza; si registrò inoltre un
aumento della criminalità.
Il 9 dicembre i venti tornarono su Londra e spazzarono via l’aria fetida,
rendendo, però, visibili a tutti le gravi conseguenze di quanto accaduto i
giorni precedenti: durante quella settimana migliaia di londinesi morirono nel
peggiore episodio di inquinamento atmosferico mai visto nel Regno Unito.
Nessuno aveva capito la gravità della situazione di questa “pea-souper” di
nebbia e smog fino a quando gli operatori delle pompe funebri non rimasero
a corto di bare e i fiorai di fiori, come ricorda il dottor Robert Waller,
intervistato dalla BBC: “non c' erano morti per le strade, ma le imprese
funebri rimasero senza casse da morti ed i fiorai senza fiori”.
Durante quella settimana morirono 4000 persone e secondo il dottor
Ernest T. Wilkins, Capo della Divisione Inquinamento Atmosferico del
Dipartimento di Ricerca Scientifica e Industriale, si verificò il decesso di altre
8000 persone nelle settimane e nei mesi a seguire per gli effetti tossici a lungo
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termine della nebbia, effetti che andavano ad aggravare le condizioni di
patologie respiratorie e polmonari pre-esistenti, oltre ad evidenziare queste
disturbi in nuovi soggetti. La maggior parte delle vittime sono state causate da
tubercolosi, insufficienza cardiaca, ma, soprattutto, da infezioni delle vie
respiratorie dovuta ad ipossia e di conseguenza l’ostruzione meccanica delle
vie aeree da pus derivanti dalle infezioni polmonari causate dallo smog. Le
principali infezioni polmonari sono state broncopolmonite e bronchite
purulenta acuta sovrapposta a bronchite cronica.
Le misurazioni di fumo prese dal National Gallery di Londra mettono in
evidenza che il PM10 raggiunse la concentrazione di 14 mg / m3, che era di
56 volte superiore al livello normalmente presente, e che il livello di biossido
di zolfo nell’aria era aumentato di 7 volte con un picco di 700 ppb. Inoltre
grandi quantità di impurità sono state rilasciate durante il periodo in
questione:
- 1000 tonnellate di fumo;
- 140 tonnellate di anidride carbonica;
- 14 tonnellate di fluoro;
- 370 tonnellate di biossido di zolfo convertite in 800 tonnellate di acido
solforico.
Un ufficiale medico dichiarò, in un rapporto stilato nel 1954, che la nebbia era
in realtà un agente precipitante, che ha operato su un gruppo di pazienti
suscettibili cui speranze di vita, a giudicare dalle loro pre-esistenti patologie,
dove anche in assenza di nebbia, sarebbero state brevi. Molti medici in
contrasto con l’opinione del collega, supportati dai dati riportati nella Fig. 1
sulla qualità dell’aria e nella Fig. 2 sulle concentrazioni di fumo, di biossido
di zolfo e sulla mortalità, misero in evidenza che le morti, durante la
settimana della terribile nebbia, aumentarono di ben nove volte e che, nelle
settimane a seguire, furono il doppio in confronto allo stesso periodo degli
anni precedenti.
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Fig. 1 – Tabella delle concentrazioni dell’inquinamento, Londra, dicembre 1952.
Fonte: Wilkins, 1954
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Fig. 2 - Grafico: picchi di fumo e di biossido zolfo
coincidono con i picchi di morti nella settimana presa in
questione.
Questo episodio cambiò ogni cosa: nei primi mesi del 1953, il governo
inglese avviò uno studio professionale della qualità dell’aria e sulle cause
degli alti livelli di inquinamento.
Dopo quattro anni di studi per mettere a nudo i problemi e proporre le azioni
necessarie, nel 1956, venne approvato dal Parlamento del Regno Unito il
“Clean Air Act”.
Il Clean Air Act del 1956 è la prima legge antinquinamento atmosferico che
autorizzava le autorità locali a stabilire le zone di controllo dai fumi in cui
sarebbe stato considerato reato l’emissione di fumo scuro da qualsiasi
ciminiera per più di cinque minuti all’ora. Il rapporto Beaver del 1953 aveva
dimostrato che la combustione del settore domestico era la principale fonte
del materiale particolato responsabile dell’inquinamento atmosferico: dei 200
milioni di tonnellate di carbone consumato ogni anno nel Regno Unito
durante gli anni ’50, il consumo domestico corrispondeva al 25 % di questa
somma totale e produceva il 50 % di tutto il fumo, la cenere e la sabbia.
In seguito vennero previste sovvenzioni per le famiglie residenti per la
conversione dei camini domestici e l’utilizzazione quindi del combustibile
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senza fumo, oltre allo spostamento delle industrie elettriche e pesanti in zone
più rurali.
Dal 1956, l’incidenza delle ordinanze riguardanti il controllo del fumo è
andata aumentando al punto che attualmente coprono tutta l’area di gran parte
delle città e delle metropoli del Regno Unito.
L’aria pulita, conseguenza di questa legge, ha avuto notevoli effetti sulla
salute pubblica e sull’ambiente edificato, rendendo duraturo il restauro delle
facciate esterne degli edifici.
Il Clean Air Act del 1956 è stato in fino al 1964, patrocinato dal Ministry of
Housing e dal Governo locale in Inghilterra e dal Dipartimento della Saluti
per la Scozia.
Nel 1968 fu approvato un ulteriore provvedimento, che portava lo stesso
nome e che introduceva, per le industrie, l’uso di ciminiere alte per disperdere
l’inquinamento atmosferico del carbone, dei combustibili liquidi o gassosi.
Queste leggi hanno avuto un riscontro mondiale tanto da portare le altre
nazioni ad emanare leggi ambientali.
Negli Stati Uniti l’approvazione del Clean air Act avvenne nel 1963 e
modificato in modo notevole negli anni 1970, 1977 e 1990 (Clean Air Act
Amendments del 1990) in modo da aggiungere indicazioni per lo scambio
delle emissioni e nuove disposizioni per affrontare le piogge acide, il buco
dell’ozono, l’inquinamento atmosferico e predisporre un programma
nazionale di permessi. Ha inoltre stabilito nuovi requisiti per le auto a benzina
modificando i valori della Reid Vapor Pressure (RVP), che serve a misurare
la volatilità della benzina. L’emanazione della legge ha richiesto al governo
degli Stati Uniti la formazione di un’agenzia, l’Environmental Protection
Agency (EPA), che regolamenta le emissioni di gas ad effetto serra, da parte
di aziende e privati, per mantenere pulita l’aria negli States.
In Canada ci sono stati due atti Clean Air Act proposti dal Governo Federale
Canadese.
Il primo atti Clean Air Act, approvato nel 1970, ha cercato di regolare le
emissioni nell’atmosfera di quattro inquinanti specifici: amianto, piombo,
mercurio e cloruro di vinile. Nel 2000 fu sostituito con il Canadian
Environmental Protection Act.
Il secondo Clean Air Act è stato introdotto e a metà ottobre del 2006, dall’ex
ministro dell’ambiente canadese, Rona Ambrose, e prevede la diminuzione
del 45-65% dei gas serre per il 2050. Ha previsti inoltre la regolamentazione
delle emissioni di carburante da parte dei veicoli per il 2011 e si propone
obiettivi specifici per la diminuzione del buco dell’ozono ed i livelli dello
smog nel 2025.
In Nuova Zelanda il Clean Air Act fu emanato nel 1972 per poi essere
abrogato dalResource Management Act (RMA) del 1991, la principale legge,
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come afferma il Ministry for the Environment della Nuova Zelanda, che
regola la gestione ambientale.
In Italia le normative che regolano la lotta all’inquinamento atmosferico fanno
capo alla legge del 13 luglio 1966, n° 615 e ai successivi regolamenti
esecutivi (ad esempio il D.P.R. del 22 dicembre 1979, n° 1391 per quanto
riguarda gli impianti termici).
In osservanza alla direttiva CEE del 1980 relativa all’anidride solforosa e alle
particelle in sospensione, il D.P.C.M. del 28 marzo 1983 limita la quantità
ammissibile di biossido di zolfo e di polveri sospese.
L’inquinamento è un grande problema che pende sulla terra come una spada
di Damocle. Da come si è potuto notare, negli anni 60/70 del XX secolo,
quando la comunità internazionale percepisce la complessità della situazione
ambientale, l'ambiente diventa fonte di ispirazione normativa a tutti gli effetti
a livello internazionale. Bisogna, però ricordare anche altri episodi importanti
avvenuti negli anni ’40 con alcune sentenze pronunciate a livello
internazionale che sanciscono un obbligo di non inquinare:
- 1941 caso Trail, controversia tra Stati Uniti e Canada per una fonderia
canadese che aveva provocato l'immissione di gas tossici in aria
causando danni ai raccolti statunitensi. Il Canada fu condannato a
rifondere i danni dal tribunale costituito appositamente.
- 1949 caso Corfù, intervento della corte di Giustizia Internazionale per lo
stretto di Corfù (Grecia) la quale sancì l'obbligo per tutti gli stati di non
lasciare utilizzare il proprio territorio per atti contrari agli altri stati.
È proprio la natura transfrontaliera dell'inquinamento a determinare la
formulazione (e comporta tuttora la costante riformulazione) del diritto
internazionale, il quale oggi si basa comunque su due principi:
- il dovere di cooperazione tra gli Stati, senza la quale non possono essere
sviluppati programmi di gestione ambientale su aspetti transfrontalieri;
- il diritto alla conoscenza e alla tutela è svincolato dal paradigma
"proprietà" (ricordiamo ad esempio il diritto che un cittadino italiano ha, in
un paese in cui il nucleare è vietato, di essere a conoscenza delle modalità di
gestione delle centrali nucleari francesi a pochi chilometri dal confine).
Dal 2009 è stato coniato il termine Green economy, con cui si indica la
riconversione della produzione industriale all’efficienza energetica e
all’utilizzo di energie rinnovabili. Di fronte alle molteplici crisi - economica,
ambientale e alimentare – i Capi di Stato del G20 hanno dichiarato di voler
puntare sulla “ripresa verde” per fronteggiare l’empasse globale, cioè
sponsorizzare un’economia a basso consumo energetico e a basse emissioni di
anidride carbonica.
E’ molto facile ed auspicabile essere d’accordo con questi buoni propositi, ma
è anche necessario essere consapevoli del fatto che per poter migliorare la
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qualità dell’aria e di conseguenza della nostra vita, del cibo che mangiamo,
bisognerebbe cambiare il nostro stile di vita.
Dobbiamo capire che l’inquinamento ambientale è colpa di tutti.
La raccolta differenziata, il comprare alimenti delle nostre zone, spegnere gli
elettrodomestici e non lasciarli in standby, predisporre in casa nostra delle
pompe che convogliano le acque grigie in un pozzo per poterle utilizzare per
lo scarico del bagno, installare pannelli solari sui proprio tetti, spostarsi a
piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici sarebbero già un bel passo in avanti
per salvare la nostra Terra.
Il governo della Danimarca, per esempio, per la raccolta dell’alluminio mette
a disposizione dei raccoglitori che in base alla quantità immessa rilasciano un
buono spesa spendibile nei supermercati; una tattica fenomenale che incentiva
sia la raccolta differenziata che l’economia.
In più ricava dai rifiuti 10 volte più elettricità di quanta ne ricavi l'Italia, al di
là della quota di pattume avviata a termovalorizzazione, perché ha fatto «una
scelta industriale, nazionale, strategica in direzione dei rifiuti come fonte di
energia».
Come afferma Daniele Fortini, presidente di Federambiente: «La Danimarca
produce 715 chilogrammi all'anno di rifiuti pro capite, l'Italia 548 chili spiega Fortini - siamo molto meno sporcaccioni? No, la Danimarca assimila ai
rifiuti molte quantità di rifiuti industriali speciali perché ha interesse a
termovalorizzarli, cioè a produrre energia elettrica e calore dai propri rifiuti».
Questo significa che mentre la Danimarca produce 480 kilowattora per
tonnellata di rifiuti pro capite ogni anno, l'Italia ne produce 48. «Il
differenziale è tutto lì - continua Fortini – i rifiuti danesi diventano una risorsa
perché producono energia e calore, mentre noi siamo affannati nella ricerca di
buche e buchette dove nasconderli e non abbiamo mai fatto una scelta
industriale, nazionale, strategica in direzione dei rifiuti come fonte di
energia».
«I rifiuti che non sono riciclabili e quelli che lo sono - conclude il dirigente
dell'associazione ambientalista - devono essere affidati alle raccolte
differenziate e al recupero di materiale, ma quando non è possibile si devono
incenerire».
Per un esempio rapportabile alla vita e all’economia domestica basta pensare
agli Strauss, una famiglia inglese composta da tre persone, che in un anno
hanno prodotto solo un sacchetto di rifiuti non riciclabili o tornare alle
vecchie e buone abitudini che avevano i nostri nonni: andare alla bottega e
prendere, per esempio, il vino, il latte e l’olio con le proprie bottiglie di vetro
vuote.
Vi immaginate se tutti noi facessimo così?
Non esisterebbe più il problema rifiuti e di conseguenza terreni inquinati,
emissioni incontrollate di anidride carbonica, diossido di zolfo.
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Una frase che bisogna tenere a mente è: VOLERE È POTERE.
Continuiamo a meravigliarci quando, leggendo degli articoli sui quotidiani, ci
si rende conto che i politici, i quali dovrebbero salvaguardare le nostre e le
loro vite pensano, al contrario, solo alle loro
tasche. Basta pensare solo ai dibattiti in America tra i Repubblicani che non
vogliono leggi per la tutela dell’ambiente, e la maggior parte dei Democratici,
sostenuti dalle associazioni ambientaliste, che invece le propongono e le
promuovono.
L’Union of Concerned Scientists, per togliere tutti i dubbi sui notevoli
benefici, sia in termini di salute che economici, ha redatto un bilancio delle
leggi che, negli ultimi 40 anni, hanno trattato il problema. Sono emersi dati
molto positivi: 160 mila vite umane salvate.
L’EPA spiega il come e il perché di questi risultati: “La maggior parte di
queste prestazioni (circa l’85%) sono attribuibili ad una riduzione della
mortalità prematura associata ad una riduzione delle particelle nocive negli
ambienti, che di conseguenza mantengono l’aria pulita e, entro il 2020, eviterà
230.000 casi di mortalità prematura”.
Bisogna aggiungere che in termini economici, le leggi ambientali daranno
luogo ad un risparmio di risorse stimabile intorno ai 2.000 miliardi di dollari.
Il rapporto mostra come l’introduzione di queste norme abbia già aiutato
milioni di americani a vivere in modo più sano. Ne fanno fede il
miglioramento degli indici relativi alla prevenzione di infarti e attacchi di
asma e la forte riduzione che si è registrata finora dei giorni di malattia dei
lavoratori dipendenti.
Si tratta di benefici che, oltre a consentire un risparmio di risorse attraverso
una minore spesa per l’assistenza sanitaria, determinano anche condizioni di
maggiore produttività contribuendo così a rafforzare l’economia del Paese.
Infatti, oltre alle 160 mila persone salvate, è stato stimato in 13 milioni di
giornate il tempo lavorativo guadagnato grazie alla riduzione dei giorni di
malattia.
Per la ripresa economica sarebbe una manna dal cielo, ma come la maggior
parte delle cose bisogna essere lungimiranti.
Non possiamo pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca, salvare
l’ambiente costa, ma siamo arrivati a questo punto per colpa nostra.
Una citazione comune afferma che l’uomo è l’unico essere vivente che
distrugge l’ambiente che gli permette di sopravvivere. Io aggiungerei che è
anche estremamente stupido poiché per il dio denaro è capace di tutto.
L’accrescimento del capitale è diventata la filosofia di vita sulla quale si basa
la nostra vita.
Non ci guardiamo più intorno, i nostri obiettivi sono lavorare, guadagnare,
spendere. Ma non ci fermiamo mai a pensare: “Dove ci sta portando tutto
questo?”.
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Gli Amish, che vengono tanto derisi perché ritenuti ‘fermi’ all’ottocento,
prima di decidere se una nuova tecnologia è appropriata o meno, si riuniscono
e ne discutono. Se la tecnologia in questione non convince, cioè porta più
svantaggi complessivi che vantaggi o comunque potrebbe sconvolgere i loro
equilibri, non la adottano.
La natura ci dà tutte le risposte su come e cosa si deve fare, basta imitarla.
Spesso nel nostro delirio di onnipotenza dimentichiamo che siamo natura noi
stessi. Non serve rivolgersi a messia alcuno, meno ancora a chi ha costruito
tutto questo e ancora adesso lo difende di fronte a drammi di proporzioni
enormi.
Come scrisse George Orwell nel suo celebre libro “1984”: “Chi controlla il
passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato” ci si
rende conto, guardandosi intorno, dell’orribile scenario che governava,
governa e governerà la nostra vita. Se non prendiamo coscienza e iniziamo ad
imparare dai nostri errori il risultato sarà uno solo: l’estinzione dell’uomo.
Una dimostrazione, tutta italiana, sulla nostra capacità di ignorare ciò che ci
accade intorno è rappresentata dall’articolo del 14 ottobre 2010 scritto dalla
giornalista de “Il Sole
24 ore”, Elena Comelli : “La regione Lombardia cerca di risolvere il
problema, vietando anche quest'anno, per la terza volta, l'accensione di stufe e
camini senza filtri certificati e di caldaie a olio combustibile per scaldarsi
d'inverno in tutti gli agglomerati urbani (definiti zona A1) e nei Comuni al di
sotto dei 300 metri di altitudine. Il limite dei 300 metri è giustificato da un
noto fenomeno termo-climatico: tutto ciò che viene immesso nell'atmosfera
sotto i 300 metri non si disperde, come se ci fosse una sorta di tappo che non
consente il ricambio d'aria.
Ma il divieto regionale, che scatta venerdì 15 ottobre e resta in vigore fino al
15 aprile, è del tutto teorico, dato che non esiste un censimento dei camini
fuori norma.”… Nel frattempo, i lombardi continuano allegramente ad
accendere stufe e caminetti senza rendersi conto di quanto sia pericoloso
quello che buttano fuori (e dentro casa).”
Questo articolo è la dimostrazione della consapevolezza, che tutti noi
abbiamo, delle conseguenze delle nostre azioni.
Bibliografia:
www.semperinsimaonlus.it
www.portfolio.mvm.ed.ac.uk
www.it.wikipedia.org
www.en.wikipedia.org
www.iapsc.org.uk
www.legislation.gov.uk
www.informazioneambiente.it/
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www.sifconference.com/
www.epa.gov
www.diario.enel.it
www.valutazioneambientale.net/
www.ricerca.repubblica.it
www.ilsole24ore.com
Dizionario dell’ambiente Collins.
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