Pdf Opera - Penne Matte
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Pdf Opera - Penne Matte
Mi chiamo X e sono un alieno. Sto progettando l'invasione del pianeta Terra. Il pianeta Terra è un gran bel pianeta ed è ingiusto che una specie di dementi come gli umani ci viva. Una specie che tra l'altro lo sta rovinando. Così prima o poi la mia lo colonizzerà. Invaderà la Terra. Spazzerà via la specie umana e ci si stabilirà per sempre. Io, come vi dicevo, mi trovo sulla Terra per studiare i terrestri e raccogliere dati utili all'invasione. Per studiare bene i terrestri mi sono travestito da uno di loro. Ho vestito le sembianze di un uomo di circa 35 anni, abbastanza alto, un po' grassoccio e con una faccia insignificante. Con la mia faccia insignificante, giro per strada, mi guardo intorno, raccolgo dati. Non è un lavoro faticoso. Vengo anche pagato abbastanza bene. Tra due anni ripartirò per il mio pianeta e per allora dovrò aver raccolto abbastanza dati. A me una cosa che mi fa ridere dei terrestri, è la pubblicità. Vi faccio un esempio. Io vivo in un appartamento al settimo piano di un palazzo. Su una parete senza finestre del palazzo accanto è incollato un cartellone pubblicitario in cui mi imbatto con lo sguardo ogni volta che mi sporgo oltre la finestra. Questo cartellone pubblicitario ritrae un'auto. Appoggiata, quasi sdraiata sul cofano dell'auto, c'è una donna in costume. La donna è una bella donna. E' il genere di donna per cui i terrestri maschi sbavano. Il genere di donna che qui chiamano, con una certa disinvoltura d'eloquio, "gnocca". Ora, io mi chiedo: che senso ha mettere questa donna accanto a un'auto? Sono due cose separate, l'auto e la donna, voglio dire. L'auto è un mezzo di trasporto alquanto primitivo, che i terrestri usano per raggiungere più velocemente un posto partendo da un altro. La donna in due pezzi è chiaramente una gnocca eccitante il cui scopo è appunto eccitare. Perché nelle pubblicità, i terrestri devono sempre mescolare le donne a prodotti che non c'entrano nulla, tipo un'auto, un cellulare eccetera? Io penso di avercela una risposta. Il fatto è che i terrestri hanno un rapporto problematico col sesso. Per loro il sesso deve rimanere sempre un po' nascosto. Non se ne può parlare apertamente in piazza. Così si sono inventati la pubblicità. La pubblicità il cui scopo dichiarato è pubblicizzare un prodotto tipo un'auto, ma il cui lo scopo originario è piazzare su un'intera parete di palazzo la foto di una gnocca. Una gnocca che tutti vorrebbero farsi. Sono maestri, i terrestri, nel complicarsi la vita, voi non sapete quanto. In rari momenti però, possono rivelarsi interessanti, devo ammetterlo. L'altra sera ne ho incontrato uno con cui ho fatto quattro chiacchiere e devo dire che è stata un'esperienza tutto sommato istruttiva. Mi trovavo in metropolitana e dal centro stavo raggiungendo il mio quartier generale, in periferia. Il vagone era pieno di persone e dell'odore delle loro ascelle. Ma mano a mano che il treno si fermava e apriva le porte, il vagone si vuotava. La gente veniva vomitata fuori e dentro ne rimaneva sempre meno. Alla fine, nel vagone siamo rimasti solo io e questo tizio. Questo tizio sui quarant'anni, che per i terrestri sono un po' un'età a metà strada. A quarant'anni non sei più giovane, ma non sei nemmeno vecchio. In media, il tempo che ti separa dalla morte è più o meno lo stesso che ti separa dalla nascita.Ma non divaghiamo. Questo tizio, comunque, aveva l'aria del quarantenne abbastanza malmesso. Era magro, con la faccia coperta a metà dalla barba e due occhi solcati da rughe profonde e iniettati di sangue, sedeva su un sedile, completamente immerso nella lettura di un libro. Io, curioso, mi sono seduto davanti a lui e ho piegato un po' lo sguardo per vedere che stava leggendo. Allora sulla copertina ho letto Vexoniani alla concquista del mondo. Mi è preso un colpo e, immagino, anche voi, cari amici vexoniani che mi state leggendo, sarete rimasti stupiti. I terrestri non sanno della nostra esistenza. Non sanno che a circa 3mila anni luce dalla loro atmosfera, in un sistema molto simile a quello solare, si trova un pianeta di nome Vexon, abitato appunto da vexoniani. I terrestri sono come ciechi, nell'universo. La loro tecnologia è così primitiva che non immaginano nemmeno lontanamente quanti mondi e quante specie intelligenti ci sono oltre la loro. Figurarsi che non sono ancora in grado di viaggiare a velocità luce! Sicché vederne uno lì, nel vagone di un mezzo di locomozione sgangherato come la metropolitana, vedere un umano dall'aria sfatta, mezzo sdraiato sul sedile, leggere un libro nel quale noi eravamo citati, mi ha scioccato e non poco. Sarà una coincidenza, ho pensato. Tuttavia ho deciso di attaccare discorso per capirci meglio. Così ho tossito rumorosamente, per attirare l'attenzione del maschio terrestre. Quello, o non mi ha sentito tossire o ha fatto finta di non sentirmi. Ho tossito ancora più forte, ma il terrestre, zero, se ne rimaneva chiuso nel suo guscio. A quel punto, mi sono rivolto direttamente a lui. - Mi scusi... Il terrestre ha sollevato gli occhi dal libro. Aveva occhi strani, che mettevano paura. Dovete sapere che gli occhi dei terrestri sono particolari. Cambiamo da esemplare a esemplare e dicono molto dell'esemplare sotto esame. Non sono come i nostri: due sfere nere, sporgenti, collocate ai lati del cranio. Gli occhi umani possono essere verdi, castani, neri, azzurri. Possono essere piccoli o grandi, vicini e distanti. E guardandoli, uno può capire se il terrestre in questione è triste o felice, senza che necessariamente si metta a piangere o sorrida. Il terrestre di cui vi stavo parlando aveva occhi chiari, azzurri, quasi trasparenti. E pieni di paura. Occhi di uno che non dorme tranquillo, credetemi. - Mi scusi se la disturbo -, ho detto. Il terrestre ha continuato a fissarmi senza dire niente. Mi fissava con un'aria così spaurita che per una frazione di secondo ho temuto che la mia tuta simbiotica avesse ceduto e magari mi fosse cascato il naso o si fosse allentato un orecchio. Ma no, era tutto a posto, invece. Avevo indosso una tuta ultimo modello coi controcazzi, per usare un'espressione tipica di questa parte di emisfero. Una seconda pelle, praticamente. - Volevo chiederle cosa stava leggendo -, ho domandato. - Cosa stavo leggendo? -, ha domandato l'uomo, senza smettere quell'aria da attacco di panico. - Sì -, ho detto, - sta leggendo un libro, no? - Un libro -, ha ripetuto l'uomo, poi, come riavendosi da una trance: - Sì, stavo leggendo un libro. - E di che libro si tratta? L'uomo ha chiuso il libro e osservato la copertina, come se si fosse scordato il titolo. - Si tratta di un romanzo di fantascienza. Il titolo è "Vexoniani alla concquista del mondo". - Ah, fantascienza... Non ho potuto fare a meno di sorridere. Oltre alla pubblicità, un'altra cosa che mi diverte dei terrestri, che mi fa quasi tenerezza, è la fantascienza. La fantascienza è una forma di intrattenimento visivo e scritto. Ci sono film di fantascienza e romanzi di fantascienza, come quello che stava leggendo il tipo nel metrò. Di solito, quando uno scrittore terrestre scrive di fantascienza, immagina storie ambientate nel futuro, come sarà il mondo tra 100, 200, anche mille anni. Un altro tema tipico della fantascienza sono gli alieni. Gli uomini immaginano altri mondi e altre specie intelligenti che li abitano. Di solito non ci azzeccano mai e proprio per questo trovo la fantascienza divertente e un po' patetica. Quante specie intelligenti ci sono nell'universo? Mi pare sull'ordine delle quattro migliaia, stando a un recente censimento intergalattico. Ebbene, nonostante l'universo sia popolato da così tante forme di vita e così diverse tra loro, nessuna di quelle immaginate degli umani si è mai avvicinata alla realtà. Ma torniamo al tipo della metropolitana. Siamo tutti e due dentro questo vagone, unici passeggeri. Un umano di circa 40 anni, gli occhi pieni di paura, che legge un romanzo di fantascienza, e un vexoniano di 349 anni travestito da umano di 35, un vexoniano incaricato di raccogliere dati per l'invasione della Terra. - E com'è questo romanzo? -, domando all'umano. L'umano sbatte le palpebre. - In che senso com'è? - Beh, è un romanzo bello o brutto? L'umano ci pensa un po' su prima di rispondere. - Non saprei... faccio fatica a dire se è bello o brutto dato che l'ho scritto io. L'informazione mi coglie di sorpresa. - Lei ha scritto il romanzo che sta leggendo? Questo qui,"Vexoniani alla riscossa"? L'umano annuisce. - Dunque lei è uno scrittore di fantascienza! - Ero. Ora non lo sono più. - E perché non lo è più? L'umano si gratta la testa e corruga la fronte. Sembra in difficoltà, come se gli avessi posto una domanda difficile o troppo personale. - Perché ho smesso di scrivere. Non tocco più una tastiera di computer da 6 anni. - E come mai ha smesso di scrivere? Mi rendo conto di poter risultare un po' indiscreto. Sono uno sconosciuto per quell'uomo. Uno sconosciuto che di punto in bianco si è messo a farei domande precise e anche un po' sfrontate. Lui potrebbe liquidarmi con una frase tipo "sono cazzi miei" o "e a te che cazzo te ne frega?" o ancora "vaffanculo chi cazzo ti ha detto niente". Gli umani fanno spesso così e usano con una certa frequenza le parole "cazzo" e "vaffanculo". Ma questo risponde educato. - Ho smesso di scrivere perché la scrittura non mi portava a nulla. - Ah no? - No. La maggior parte dei miei manoscritti non veniva pubblicata. Quei pochi che sono stati pubblicati, non hanno ottenuto nessun successo. Facevo la fame. Rimanevo in casa tutto il giorno a scrivere, ma era come se urlassi al vento. La gente non mi leggeva. Così ho smesso. E mi sono trovato un lavoro serio. - E che lavoro fa? - Il tassista, ho investito tutti i soldi che avevo in una licenza. - Oh. Ma non potrebbe continuare a scrivere nel tempo libero? Il tipo si mette a scuotere la testa energicamente. - No, no, no, no, assolutamente! Proprio no! Nella vita o si scrive o si fa altro. E se uno decide di non scrivere, smette, punto e basta. E' come gli alcolizzati con l'alcol. Non è che uno che è stato alcolizzato, riduce la dose e si fa un bicchierino ogni sera. Non funziona così. Se vuoi tagliare i ponti con l'alcol devi diventare astemio. Cancellarlo dalla tua vita. E' la prima cosa che ti dicono alle riunioni dell'Anonima Alcolisti. - Capisco -, dico. - Ma allora come mai stava leggendo un suo romanzo? L'umano sorride. - Perché stavo leggendo questo? -, agita il libro sopra la testa, - Per ricordarmi le idiozie che inventavo. Vede, ogni tanto, in effetti, mi torna la voglia di scrivere. E' come un prurito che mi prende le mani. Allora, mi metto a leggere ciò che avevo scritto tempo fa e, trovandolo semplicemente imbarazzante, mi passa la voglia di scrivere ancora. - Dunque, questo romanzo, Vexoniani alla concquista del mondo, lo giudica un brutto romanzo... - Alla fine sì. Un pessimo romanzo. Sotto ogni punto di vista. - Ma di che parla? - Di alieni, ovviamente. Pensi un po' che originalità. Alieni, già. Alieni che vogliono invadere la Terra. Come se non fossero state scritte abbastanza storie di questo tipo. - E come sono fatti questi alieni? -, chiedo, comprensibilmente curioso. - Oh, non li ho immaginati poi così diversi da noi terrestri -, spiega l'umano. - Vivono su un pianeta distante... diciamo 3-4 mila anni luce da qui. Un pianeta che si chiama Vexon. Vexon è tutto sommato un brutto pianeta. - Ah, sì? - Sì. Anche Vexon è riscaldato da una grande stella simile al sole, ma per periodi più brevi, così i vexoniani vivono la maggior parte del tempo nell'oscurità. - Interessante... - Lei dice? Vexon è un pianeta arido, fatto di rari specchi lacustri e dove il panorama è per lo più roccioso. Grandi conformazioni di rocce ferrigne si slanciano verso l'infinito stellato. Da quelle stesse rocce, scavandole, i vexoniani hanno ricavato le loro città. - E come sono queste città? - Molto alte, fatte di grattacieli rocciosi che raggiungono anche i 4 chilometri in altezza. I vexoniani vivono in questi grattacieli e, dato che hanno una tecnologia molto avanzata, si spostano a bordo di piccole capsule volanti. Sono esseri altamente evoluti, altroché... - Non mi ha ancora detto come sono fatti. - Hanno la pelle grigia e secca come il cemento. Poi hanno occhi grandi e immobili. Due prugne scure conficcate ai lati della faccia. La faccia è simile a quella di un insetto, larga in alto e che si restringe a punta verso il basso. Per quanto riguarda il corpo, i vexoniani sono un po' più alti dei terrestri, ma non di molto. Un vexoniano medio è alto più o meno... quanto lei. La metropolitana si ferma. Ora il vagone è sbucato in superficie. Prima viaggiavamo sotto terra e ora siamo sopra la terra. Le portiere si aprono automaticamente e una donna entra nel vagone. Per le successive due fermate, ovvero fino a quando la donna non esce dal vagone, io e l'umano smettiamo di parlare. Noto che l'umano osserva la donna con un certo interesse e allora anche io mi metto a osservarla. E' una bella donna. Bella secondo i parametri estetici terrestri, naturalmente. Non è molto alta, ma formosa. Ha fianchi larghi, un seno sodo e un viso rotondo e paffuto, incorniciato da una capigliatura mossa e bionda. Il bacino ampio e ben modellato, lascia intuire che il suo sia un ventre preposto ad accettare una nuova vita. A perpetrare la specie. Quando abbandona il vagone, io e l'umano torniamo a parlare. - Ci sono maschi e femmine su Vexon, come qui sulla Terra? -, chiedo. L'umano scuote la testa. - No. Ho immaginato i vexoniani come una specie composta da un solo sesso. - E allora come fanno a riprodursi? - Su Vexon cresce una pianta in certi periodi dell'anno. Una pianta dalla forma... sì, dalla forma fallica. I vexoniani, il cui organo sessuale non è così dissimile dalla vagina di una femmina terrestre, si accoccolano sopra questa pianta, la stimolano con un movimento rotatorio del bacino, fino a sollecitare l'espulsione del seme e così facendo si lasciano inseminare. Abbastanza disgustoso vero? Dopo 5 mesi partoriscono un nuovo esemplare. - Mi sembra di capire che il sesso non sia una pratica molto divertente su Vexon. - No, non lo è. E' una pratica esercitata solo a scopo riproduttivo. Per qualche secondo non chiedo altro. Me ne sto muto a fissare quell'umano, quell'umano dall'aria così stralunata, gli occhi colmi di terrore e immaginazione. - Certo che ne ha di fantasia, amico -, dico, poi. - Lei trova? -, dice il terrestre. - Può darsi. Il mio guaio è sempre stata la scrittura. So inventare trame, ma non raccontarle. Scrivo come un bambino di prima elementare, almeno questa era l'opinione del mio editore. - Che specie di popolo sono i vexoniani, pacifico, violento? - Non l'ho immaginato né pacifico, né violento ma... triste. - Triste? L'umano annuisce. - Sì, del resto non potrebbe essere diversamente. Il loro pianeta è arido. Per riprodursi si lasciano inseminare da una pianta. La rotazione attorno alla stella madre fornisce poche ore di luce nell'arco di una giornata terrestre. Chiunque abbia la sfortuna di nascere in un luogo simile non può non essere triste. - Forse ha ragione -, ammetto. - Il problema dei vexoniani, però, non è tanto la tristezza in se per sé. - Ah, no? - No, il problema dei vexoniani è che non riescono a dare una forma alla loro tristezza. Non riescono a trasformarla in malinconia. - E cioè, si spieghi meglio per cortesia, non la seguo... Questa storia della tristezza e della malinconia mi interessa alquanto. L'umano riflette qualche secondo, prima di riprendere. - Immagini di essere un vexoniano e di trovarsi in casa propria, all'ultimo piano di un grattacielo. E' stata una giornata un po' così, di certo non la più bella della sua vita. Insomma, non si sente in forma. Per prendere un po' d'aria, esce in balcone. Si sporge oltre il parapetto e cosa vede? Lo spazio ignoto. Lo spazio infinito, insondabile, la cui profondità è resa ancora maggiore da quelle poche stelle che lo bucano qua e là. Abbassa lo sguardo e sotto osserva il panorama: una distesa di rocce ferrigne, una superficie aspra, refrattaria che sembra quasi puntare contro di lei i propri rostri, come un esercito punterebbe i cannoni contro una squadriglia aerea nemica. Lei che già prima non era al massimo della forma, ora che vede tutto questo, si sente doppiamente infelice. Si sente triste non solo perché ha passato una giornata in cui le cose le sono andate storte, ma perché si ritrova circondato da un universo freddo, refrattario, che sembra quasi respingerla. - Ok, l'ambiente in cui mi trovo mi rende più triste di quello che sono, questo l'ho capito. Ma che c'entra la malinconia? - Ora le spiego. Prendiamo un terrestre. Un terrestre che si trova nelle stesse condizioni di un vexoniano. Cioè non ha passato una bella giornata. Tutt'altro. Al lavoro il capo gli ha negato un aumento di stipendio, un collega ha cercato di fargli le scarpe e, come se non bastasse, mentre camminava diretto a casa, un piccione gli ha scagazzato in testa. Il nostro amico arriva a casa propria sfinito, triste. Si versa due dita di alcol e si mette a bere seduto sul divano. Poi getta l'occhio fuori dalla finestra e cosa vede fuori dalla finestra? - Non so, me lo dica lei, cosa vede? - Non vede lo spazio nero e ignoto con qualche sputo di stella qua e là, ma il sole al tramonto. Un sole rotondo e arancione che si sta squagliando dietro l'orizzonte, aprendo in cielo una ruota di mille colori caldi, come la coda di un pavone. Ispirato da quella vista, il nostro ometto si alza dal divano ed esce in balcone. Si sporge oltre la balaustra e osserva il mare. Il mare calmo, scintillante, su cui il cielo sanguinante rifrange i propri riflessi. Allora, colpito da quel tramonto, ispirato da quell'universo caldo, intenso che sembra sciogliersi solo per lui, il nostro uomo smette di essere triste e diventa malinconico. Ha pietà di se stesso. La bellezza del creato lo spinge ad essere indulgente con la propria sofferenza, con la sua natura imperfetta e anzi, ci si culla nella sua sofferenza. Ora capisce cosa intendo per tristezza e per malinconia? - Penso di sì. - I vexoniani sono tristi e arrabbiati. Gli umani, ispirati dalla bellezza del creato, riescono a piegare la propria tristezza in malinconia. - Ma alla fine, se concquistano la Terra, significa che un po' cattivi i vexoniani lo sono, o no? Vedo l'umano scrollare le spalle, come se la mia fosse una domanda superflua. - Siamo tutti più o meno cattivi e siamo tutti più o meno buoni. Vede, un vexoniano, come un terrestre, non vorrebbe fare del male. Se potesse scegliere tra il male e il bene, sceglierebbe il bene. Però, un giorno, una nave vexoniana guidata da un equipaggio di cinque individui si spinge nelle zone più remote dell'universo conosciuto. Nella periferia estrema, oltre la quale è ancora tutto da scoprire. Varca il sistema solare e ad un certo punto si imbatte in un pianeta. Un pianeta di cui si sente parlare raramente, magari solo a scuola, durante le lezioni di Scienze Astronomiche Intergalattiche. Un pianeta senza nessuna importanza, abitato da una specie così stupida e primitiva da credersi sola nell'universo, e questo pianeta è la Terra. E ai cinque membri dell'equipaggio, la Terra appare bellissima. Di una grazia mai vista prima. Un po' blu, un po' bianca. Rischiarata dal sole. Con i suoi colori che sembrano in lento movimento come se si stessero compenetrando. Come se le acque abbracciassero le terre e compissero insieme a loro un lento e maestoso giro di valzer. Nessuno dei cinque vexoniani ha mai visto un pianeta simile, nonostante tutti abbiano viaggiato parecchio. Vexon, in confronto, è uno stronzo essicato che galleggia nell'universo. - "Avviciniamoci", ordina il capitano dell'equipaggio. Il suo vice gli ricorda che non è prudente avvicinarsi troppo, che i terrestri potrebbero vederli e il Gran Consiglio Intergalattico ha stabilito che i terrestri vivano sprofondati nella loro cieca ignoranza. Ma la forza di attrazione della Terra è tale che il capitano decide di trasgredire. Ordina di avvicinarsi al pianeta una seconda volta e dice che non lo farà una terza. Così il suo equipaggio obbedisce e l'astronave si avvicina abbastanza da poter catturare immagini del pianeta. E allora i cinque vexoniani vedono le immense distese erbose, gli ondulanti deserti, le dense foreste, gli scintillanti fiumi, gl'immensi oceani che fanno la Terra e ne rimangono incantati. - "La Terra diventerà la nostra nuova patria", sussurra il capitano. E difatti è così. I vexoniani progetteranno un'invasione planetaria. Un'invasione che provocherà la distruzione e la cancellazione dal cosmo della specie e della civiltà umane. - E' questa la storia del suo romanzo? -, domando. - Sì, in estrema sintesi -, risponde l'umano. - E racconta anche l'invasione e l'attacco dei vexoniani? - Sì, negli ultimi due capitoli. Secondo il mio editore avrei dovuto concentrarmi molto di più sull'invasione. Lui era un patito di città distrutte, dischi volanti che sputano raggi verdi eccetera. Voleva una fine del mondo in grande stile, magari pensava agli incassi per i diritti che avrebbe venduto al primo regista gonzo disposto a fare un kolossal apocalittico dal mio romanzo. Ma io avevo preferito raccontare la fase precedente all'invasione. La scoperta della Terra da parte dei vexoniani e poi lo studio che essi avevano fatto, prima di invaderla. - Ah, perché, appurato che la Terra era bellissima, i vexoniani non partivano subito in massa per concquistarla? L'umano scuote la testa. - No, inviavano prima qualche decina di loro simili sul pianeta; vexoniani travestiti da umani mediante speciali tute simbiotiche; agenti segreti, praticamente, con lo scopo di studiare i terrestri e capire i loro punti deboli, poi passavano all'attacco. La metropolitana si ferma a un'altra stazione e io e il viaggiatore terrestre ripiombiamo nel silenzio: un terzo individuo è entrato nel vagone. Questa volta è un uomo. Un tipico terrestre difettoso. Io chiamo "terrestri difettosi" quegli umani che non riescono a vivere in modo equilibrato. Questo qui, è chiaro perché non riesce a vivere bene: mangia troppo. Difatti è obeso. Deve pesare qualcosa come 130 chili. E' schiavo del cibo, quest'uomo. Invece di dominare la terra e i frutti che essa gli procura ne è completamente dipendente. Secondo me l'obesità, piaga sociale che colpisce in particolar modo l'emisfero occidentale, è uno dei sintomi più lampanti dell'inadeguatezza della specie locale a vivere nel proprio luogo. L'umano difettoso esce alla fermata successiva e non appena il convoglio si rimette in moto, torno al "mio" terrestre. Voglio porgli un'ultima domanda. - Quella tra i vexoniani e gli umani è una battaglia all'ultimo sangue? - O no, affatto -, risponde l'umano. - I vexoniani sono una specie superiore, gli umani non hanno nessuna possibilità contro di loro. E' come una lotta tra un uomo e uno scarafaggio. Lo scarafaggio non ha speranze. - Quindi il suo romanzo termina così: con gli umani che soccombono e i vexoniani che trionfano. L'umano annuisce e si alza dal suo posto: evidentemente alla prossima fermata uscirà. - Sì, ma la prima sera che passano sulla Terra da trionfatori, da nuova specie dominante, scoprono un'amara verità. - E quale sarebbe questa amara verità? -, domando. - Nelle ultime pagine scrivo di un vexoniano che esce sul balcone della sua nuova casa, una casa che prima era stata di una famiglia umana, e guarda il tramonto. Più volte gli hanno decantato la bellezza dei tramonti terrestri, quando era su Vexon. Questo lento deliquio della luce, questo incredibile tramutarsi del giorno in notte in un trapasso di colori cangianti, e delle sensazioni struggenti che instilla in chi lo contempla. Ma il vexoniano vedendo il cielo così rosso non prova malinconia, non sente la sua tristezza ammorbidirsi, diventare dolce, e lo sa perché? - No, perché? - Perché il tramonto gli ricorda troppo il sangue dei terrestri. Tutti quei corpi squartati e schiacciati al suolo. Non riesce a godersi la morte del sole dato che la associa alla morte di un'intera specie intelligente, una morte di cui lui si è reso colpevole. Insomma, la morale del mio romanzo, se proprio vogliamo trovarne una, è che anche la malinconia bisogna un po' meritarsela. Beh, ora devo andare. E' stato un piacere parlare con lei. - Sì, lo è stato anche per me, veramente -, dico. Osservo l'umano oltrepassare le portiere del vagone, che poi si richiudono. La metropolitana si rimette in moto. Sorrido. Sorrido perché l'uomo con cui ho appena parlato sarebbe stato un profeta perfetto se non fosse per quell'ultima cosa riguardo al tramonto. Un vexoniano che si sente in colpa per aver ucciso i terrestri e non riesce a godersi il sole che cala... Ridicolo! Un umano non riesce forse a godersi un tramonto dopo aver calpestato col piede uno scarafaggio o divorato una tartina con del paté d'oca spalmato sopra, all'ora dell'aperitivo?