I fumetti che hanno fatto l`Italia – Breve storia dei

Transcript

I fumetti che hanno fatto l`Italia – Breve storia dei
Dobbiamo proprio essere tutti “Charlie”? E sia. Ma una cosa andrebbe comunque detta: fin dove ci si
può spingere nell’esercizio della libertà di satira? La domanda sorge spontanea apprendendo le
ultime notizie di cronaca e leggendo l’ultima opera del giornalista e scrittore Roberto Alfatti Appetiti
“I fumetti che hanno fatto l’Italia – Breve storia dei comics nel Bel Paese”, Giubilei Regnani editore.
Anche se personalmente nutro molti dubbi su quanto possano avere inciso sull’immaginario italico
alcune strisce comics tutto sommato assai poco note da noi, o quantomeno note solo a ristrette
élites, l’autore ormai può essere considerato un esperto nel settore, essendo questo il secondo libro
dedicato all’argomento. Il “dittico” infatti ha preso il via nel 2011, con “All’armi siam fumetti – Gli
ultimi eroi d’inchiostro” (Il Fondo editore).
La domanda, dicevamo, sorge spontanea, considerando che una delle sezioni dell’intelligente
volumetto è dedicata proprio a Jean Marc Reiser, celebre disegnatore francese fondatore nel 1960
della rivista satirica “Hara-Kiri”, nota per le sue creazioni alquanto irriverenti. Il fatto è che “HaraKiri”, definitosi – autocompiacendosene – <stupido e cattivo>, nel novembre del 1970 “osò”
un’irriverenza di troppo, mancando di rispetto nientepopodimenoché all’ex presidente della
Repubblica Francese, generale De Gaulle, appena scomparso. La risposta non tardò ad arrivare, e
immediatamente il giornale fu messo in condizione di non “nuocere” dai rappresentanti dell’ordine
costituito. Alla faccia della libertà d’espressione, verrebbe da dire. Fatto è che, imposta la
mordacchia al cialtronissimo media transalpino, le Editions du Square risolsero l’increscioso
problema cambiando in men che non si dica nome alla rivista, che fu mutato quindi in “Charlie
Hebdo”, settimanale se possibile ancora più satirico del predecessore, anzi, supersatirico. Fino a
sconfinare nell’oltraggio.
Ebbene sì, si tratta proprio della sfortunata testata presa di mira nei giorni scorsi dai fratelli
Kouachi, i due terroristi francesi di origine algerina che, irrompendo come furie nei locali del foglio
parigino, hanno fatto fuoco all’impazzata sterminando mezza redazione. A restarci secchi sono stati
in primo luogo i mitici disegnatori Charb, Cabu, Wolinski, Tignous e Honoré. Alcuni di loro hanno
collaborato anche col defunto “Hara-Kiri”, e Jean Marc Reiser stesso, “papà” del repellente
personaggio del “Porcone”, è stato risparmiato dai carnefici islamisti solo perché una brutta malattia
li ha battuti sul tempo. Anche il disegnatore Maurice Sinet, in arte Siné, molto celebre in Francia, è
scampato all’ecatombe in quanto, essendo stato assai irriverente nei confronti di Jean Sarkozy,
rampollo dell’ex presidente della Repubblica Nicolas, fu immediatamente e senza tanti complimenti
cacciato dall’ex direttore del “Charlie”, all’epoca Philippe Val. Naturalmente Siné non ha esitato a
fondare un altro settimanale concorrente del “Charlie Hebdo”, il “Siné Hebdo”, appunto. Ma questa
è un’altra storia.
E comunque sfogliando il libro di Alfatti Appetiti apprendiamo che la pattuglia di fumettisti di
“Charlie” non è stata la sola a farsi beffa di ogni tabù e pregiudizio dell’universo mondo. Art
Spiegelman, per esempio, artista Usa nato in Svezia, nel suo “Maus”, seguito 25 anni dopo dal
gemello arricchito “Meta Maus”, ha inscenato una feroce satira della Shoah declinandola a fumetti.
Nell’opera dell’artista “american-svedese”, infatti, che ha vinto lo special Award del Pulitzer 1992
per quella che può legittimamente essere definita l’antenata delle graphic novel, gli ebrei vengono
impersonificati come topi, i nazisti come gatti, i francesi come rane, gli americani cani, i russi orsi,
gli svedesi renne, mentre i polacchi, popolo d’origine della sua famiglia, vengono ritratti come
maiali. In questo caso nessuno ha fiatato, essendo Spiegelman stesso ebreo e quindi al di sopra di
ogni sospetto. Egli tuttavia non ha esitato a scagliarsi contro il Benigni de “La vita è bella” criticando
aspramente il messaggio occulto veicolato dal film del regista e attore toscano.
Ma leggendo il libro di Alfatti Appetiti ci si rende conto che nel folle ma simpatico mondo dei fumetti
italioti ce n’è per tutti e per tutti i gusti. Jack Marchal, per esempio, fecondo grafico creativo,
francese pure lui, nel 1970 ideò un simpatico “rat maudit”, un topaccio caustico e protestatario che,
Angelo Spaziano
http://www.ereticamente.net/2015/01/i-fumetti-che-hanno-fatto-litalia-breve-storia-dei-comics-nel-bel-paese.html
nato come ironica autorappresentazione dei giovani del Gud – Gruppo di Unione e Difesa – costituito
dagli studenti anticomunisti di “Occident”, in men che non si dica “sbarcò” anche da noi,
conquistando le luci della ribalta. Le prime vignette made in Italy del sorcio puzzolente e male in
arnese apparvero sul satirico “Alternative”, fino ad essere immediatamente adottate dai goliardi
autori de “La voce della fogna”, organo gravitante nell’area rautiana della destra romana. Nel topo
nero con gli occhi gialli, perennemente relegato nel sottosuolo insieme al suo paredro “dark”
Cattivik, finirono con l’identificarsi tutti gli studenti anticomunisti dello Stivale, che in quegli anni – i
Settanta, appunto – erano costretti a vivere ai margini della iperconformistica società italiana preda
del mito marxista-leninista, trattati da parìa e come tali costretti alle catacombe. Catacombe che,
come rievocato nell’insolito titolo della rivista, erano costituite proprio dalle fogne
dell’anticonformismo, dove l’aria, paradossalmente, sembrava essere meno puzzolente che nel
mondo esterno. Caricature di simpatici roditori casinisti ma a loro modo sempre vincenti abbondano
ovunque in Italia e no. Senza trascurare gli ormai celebri Topo Gigio, voce di Peppino Mazzullo,
Geronimo Stilton giornalista, e il Remy di Ratatouille il sorcio-cuoco dall’olfatto supersviluppato, fin
da piccoli siamo stati cullati da Speedy Gonzalez e Pixi, Dixi e Ginxi di Hanna & Barbera, declinati
anche a fumetti. Ma lo scettro dei comics adusi a squittire anche in Italia spetta a Sua Maestà il
Topo più Topo di tutti i Topi, vale a dire il saccente Topolino di Walt Disney, apparso nel 1932 grazie
alle edizioni del fascistissimo Giuseppe Nerbini di Firenze. Erano gli anni in cui i fumetti
rispecchiavano una società, quella italiana dell’epoca, appunto, improntata da un’etica guerriera,
caratterizzata da una marcata competitività ludica e permeata da intenso impeto patriottico e
nazionalista. Malgrado il clima autarchico imperante, però, oltre a Topolino che ad opera dello
stesso Duce fu depennato d’imperio dalla lista dei prodotti d’oltreoceano da bandire, Nerbini editrice
arruolò tra i suoi ranghi eroi americaneggianti ma pur dotati di coraggio, di slanci generosi e dediti
all’esaltazione delle nobili virtù civili come Flash Gordon, Mandrake, l’Uomo mascherato, The
Phantom e Cino e Franco, ingaggiando una sorta di concorrenza leale con Lotario Vecchi, pioniere
del fumetto avventuroso col settimanale milanese “Jumbo” e dei comics d’importazione con
l’“Audace”, casa editrice le cui redini passeranno, nel 1940, nelle mani di Gian Luigi Bonelli. Sì,
proprio l’inventore di Tex.
E grazie al libro di Alfatti Appetiti sappiamo che sarà sempre Vecchi ad assicurarsi Braccio di ferro
proprio nell’epoca in cui i fratelli Del Duca, già collaboratori di Vecchi, daranno alle stampe “Il
Monello”, seguito due anni dopo dall’“Intrepido”, suscitando una sorta di circolo virtuoso che vedrà
la stessa chiesa gettarsi nella mischia con “Il Vittorioso” una delle cui celebri matite sarà Benito
Jacovitti, ideatore del fantastico Diariovitt. Insomma, dai mitici tempi di Antonio Rubino, illustratore
del nazionalista “Giornalino della domenica” di Vamba, – alias Luigi Bertelli, papà di Gian Burrasca –
e del “Balilla”, fino a Capitan Miki dell’editoriale Dardo, e all’EsseGesse di Bleck Macigno e del
Comandante Mark, passando per Boccasile e Walter Molino, gli eroi del fumetto sui nostri lidi non
avevano fatto altro che interpretare quella che un tempo era la “fotografia” del Belpaese, vale a dire
il vissuto quotidiano di un tessuto sociale fondamentalmente sano, dove regnavano la solidarietà, la
decenza, la sobrietà e i sani principi del buon gusto, del buon senso e della moderazione. Insomma,
archetipi e cardini fondamentali alla base di una comunità che, pur uscita da una guerra perduta di
brutto, respirava ancora la salubre “aria” del regime caduto da poco.
Un’atmosfera pulita, caratterizzata da una forte identità di popolo, sicura di se stessa e protesa
verso il futuro. Certo, a volte si eccedeva negli slanci censori e si cadeva nel bigottismo e
nell’ipocrisia d’impronta dc, imponendo ipso facto castigate maxigonne alle squaw navajos di Tex
Willer, ad esempio. Ma tutto sommato lo Stato agiva ancora progettando un futuro per la nazione,
rispettando determinate regole in grado di tutelare la comunità da spinte centrifughe disgregatrici e
portatrici di dissoluzione e perversioni. Ma qualcosa nel frattempo è intervenuto, dapprima in
sordina, e in seguito in maniera sempre più determinata e palese, a minare e mettere in discussione
tutti i più elementari requisiti di civile e umana convivenza. Le prime avvisaglie della rivoluzioneAngelo Spaziano
http://www.ereticamente.net/2015/01/i-fumetti-che-hanno-fatto-litalia-breve-storia-dei-comics-nel-bel-paese.html
involuzione si ebbero allorché sul finire degli anni Sessanta e con l’esordio dei Settanta, prevalse la
nefasta influenza di indirizzi di pensiero volti non più a interpretare, ma a ribaltare quella che era la
visione del mondo tradizionale, a stravolgere il substrato del sentire comune per rifondarlo in toto
imponendo nuovi canoni e nuovi paradigmi a noi estranei. I fumetti non fecero eccezione. Le
avanguardie erano costituite dalle prime elucubrazioni pseudo progressiste, involute e assai
problematiche dell’imbranato ma simpatico Linus di Schulz, perennemente preda di dubbi
angosciosi e tribolate analisi introspettive. Ma ecco la prima onda modernista e libertaria esordire
con l’esplodere nel mondo dei cartoons di personaggi alquanto negativi, noir si dice oggi,
irresistibilmente attratti dal crimine e inclini alle efferatezze gratuite. Era il mondo di Diabolik delle
sorelle Giussani, seguito presto da Kriminal e Satanik di Magnus & Bunker – pur ideatori del geniale
Alan Ford – e via via disinvoltamente delinquendo, aggiungendo alle pugnalate e agli strangolamenti
a go-go il primo erotismo dei prodotti firmati Renzo Barbieri e Giorgio Cavedon. Novità scaturite
all’insegna delle Edizioni 66, che poi diventeranno ErreGi ed EdiFumetto contrassegnate
dall’inconfondibile squaletto: Jolanda, Lucrezia, Zora la vampira, Messalina, Goldrake-Jean Paul
Belmondo, Isabella-Brigitte Bardot. Per non dire di Jacula-Patty Pravo, una sexy-bionda dal nome
ambiguo, metà “dracula” e metà “eiaculazione”… Si trattava di storie e personaggi talmente poco
“impegnati” che la sinistra faceva ancora fatica a digerire, tanto che l’Agenda Rossa di “Lotta
Continua” curata da Goffredo Fofi e Luigi Marconi le bollerà con l’epiteto di “sessualfascismo”. Tutto
questo, forse, anche per “colpa” della celebre virago “barbierina” Hessa delle Sex-truppen, una sorta
di walkiria mascherata da mistress e dai gusti sadico-masochisti incaricata da Hitler in persona di
usare il sesso come arma speciale. Poi la slavina si trasformò in valanga e subito dopo è stato tutto
un degenerare verso l’apoteosi del porno accompagnato da un parallelo scadere della qualità
stilistica e lessicale in ogni settore del vivere civile e di conseguenza anche nei comics: era giunta
l’epoca del Lando-Lando Buzzanca, del Tromba, del Montatore, presto rimpiazzati dai filmini hard a
tutto tondo e dai ripugnanti baccanali di Youporn.
Oggi siamo arrivati a un punto tale di collettivo scadimento etico e morale che nell’ambito della sfera
del sacro è del tutto lecito non rispettare più nulla e nessuno, ma guai a sfiorare col dubbio le icone
dell’impegno civile e i tabù imposti dalla massificante vulgata laico-progressista. Nella Francia dei
nostri giorni si rischia il carcere solo se ci si azzarda a discriminare qualcuno per le tendenze
sessuali o a negare la Shoah e l’olocausto armeno. Faurisson è il nemico pubblico numero uno. Il
comico Dieudonné viene minacciato di carcerazione un giorno si e l’altro pure solo perché sbertuccia
i simulacri del “politically correct”. Delle disavventure di “Hara-Kiri” col De Gaulle in corso di
sotterramento e del licenziamento di Maurice Sinet per lesa maestà nei confronti di Sarkozy Jr
abbiamo detto prima. Nello stesso tempo, tuttavia, le sinistre teste d’uovo di “Charlie Hebdo” hanno
potuto tranquillamente oltraggiare l’Italia e gli italiani tutti affibbiando loro il dispregiativo
appellativo di “rital” solo perché governati da Berlusconi, non gradito ai salotti buoni del Marais,
mentre la Sacra Trinità dei cattolici è stata impunemente tratteggiata con le tre persone divine
intente a sodomizzarsi vicendevolmente. Ma a “qualcuno” l’andazzo ha cominciato a scocciare e alle
prime ironie sul credo del Profeta ha deciso che era ora di farla finita con le ripugnanti guasconate
di quei cialtroni. Al “Charlie” di certo erano convinti che il solo fatto di averla fatta franca ledendo
sanguinosamente i sentimenti dei credenti di fede cattolica li avesse tutelati dalle ire dei mussulmani
al momento di sfottere Allah. Illusi. L’Islam non tollera ironie di nessun genere. Il solo fatto di averlo
creduto è la dimostrazione più lampante di quanto ci sbagliamo a valutare gli “altri” col nostro metro
di giudizio. Specialmente se gli “altri” sono almeno dieci milioni di permalosissimi immigrati
mussulmani affluiti armi e bagagli – anche per merito dei progressisti lettori del “Charlie” – nel
nostro pianerottolo. Chi sarà il prossimo?
Angelo Spaziano
Angelo Spaziano
http://www.ereticamente.net/2015/01/i-fumetti-che-hanno-fatto-litalia-breve-storia-dei-comics-nel-bel-paese.html