La voce della morte

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La voce della morte
Unità
2
I generi: IL RACCONTO horror
Edgar Allan Poe
La voce della morte
È possibile ingannare la morte, e almeno allontanarla nel tempo? In questo
racconto Poe immagina che le tecniche ipnotiche possano costringere un
uomo morente a vivere suo malgrado, ma con un risultato finale tutt’altro
che rassicurante...
Più di sette mesi fa, ricevetti da Mr. Valdemar il seguente biglietto:
Mio caro,
potete venire anche adesso. Il dottor D. e il dottor F. dicono che non supererò la mezzanotte di domani.
Valdemar
1 mesmerismo: il mesmerismo è la cura di malattie o disfunzioni secondo le teorie del medico
tedesco F. A. Mesmer.
Egli sosteneva che il funzionamento dell’organismo umano è garantito
da un flusso costante di
forza magnetica e sperimentò la sua teoria su
vari pazienti. Ben presto
però egli si accorse che
i pazienti non rispondevano tanto alla forza
magnetica, quanto alla
suggestione mentale che
lui sapeva provocare in
loro. I suoi esperimenti
aprirono così la via agli
studi sull’ipnosi e sul
“sonno magnetico”. Il
mesmerismo destò enorme curiosità negli studiosi dell’800, pur venendo
sconfessato ufficialmente dalla scienza.
Mezz’ora dopo l’arrivo di questo biglietto ero nella camera del moribondo. Erano dieci giorni che non lo vedevo, e mi spaventò la terribile devastazione che in così breve tempo si era verificata in lui. Colorito di piombo; occhi senza luce; smagrito al punto che le ossa degli
zigomi avevano forato la pelle. Il polso si sentiva appena, nondimeno
conservava sia le sue facoltà mentali che una certa forza fisica.
Dopo avergli stretto la mano, parlai liberamente con lui della sua
morte imminente, e in particolar modo dell’esperimento di mesmerismo1 che ci eravamo proposti di fare. Ancora una volta Valdemar
manifestò il suo entusiasmo e addirittura la sua ansia di farlo, e mi
sollecitò a cominciare subito.
Alle undici meno cinque avvertii i sintomi inequivocabili dell’influsso
mesmerico in lui. Il vitreo roteare dell’occhio si era mutato in
quell’espressione inquietante che non si vede mai se non in caso di
sonnambulismo, e che facilmente si riconosce. Con pochi rapidi movimenti laterali feci battere le palpebre, come in un sonno incipiente,
e con pochi altri le chiusi completamente.
Quando ebbi compiuto tutto questo, era mezzanotte.
Pregai allora i signori presenti di esaminare lo stato di Mr. Valdemar.
Dopo alcuni esperimenti, dichiararono che egli si trovava in uno stato di sonno mesmerico insolitamente perfetto. La curiosità dei medici era acutissima. Il dottor D. decise di rimanere col paziente tutta la
notte, mentre il dottor. F. si congedò con la promessa di ritornare
all’alba. I due infermieri restarono.
Lasciammo in pace Mr. Valdemar fino alle tre del mattino quando,
avvicinatomi a lui, lo trovai nelle medesime condizioni: il polso si
sentiva appena; il respiro era lieve, e lo si notava solo accostando alle
labbra uno specchio; gli occhi erano, naturalmente, chiusi; e le membra erano rigide e fredde come il marmo. Tuttavia l’aspetto generale
La voce della morte
non era esattamente quello della morte. Decisi così di arrischiare qualche parola di conversazione.
– Mr. Valdemar, – dissi, – dormite?
Non rispose, ma colsi un tremito sulle labbra, e questo mi spinse a
ripetere per altre due volte la domanda. Alla terza, tutto il suo corpo
fu agitato da un lieve fremito; le palpebre si schiusero fino a mostrare
la linea bianca del globo; le labbra si mossero pigramente, e ne uscirono, in un bisbiglio appena intelligibile, queste parole:
– Sì, ora dormo. Non svegliatemi! Lasciatemi morire così!
Non mi sembrò conveniente disturbarlo più oltre, e niente altro fu
detto o fatto fino all’arrivo del dottor F., che giunse un po’ prima del
levar del sole, e manifestò grandissima meraviglia nel trovare il paziente ancor vivo. Dopo avergli sentito il polso e accostato uno specchio alle labbra, mi pregò di parlare di nuovo al dormiente. Lo feci.
Domandai: – Mr. Valdemar, dormite ancora?
Così com’era avvenuto la prima volta, passarono alcuni minuti prima
della risposta; e sembrò che il moribondo, durante questo intervallo,
raccogliesse le sue energie per parlare. Quando la domanda fu ripetuta la quarta volta, rispose tanto debolmente, che quasi non si riusciva
a udire la sua voce: – Sì; ora dormo ancora... Muoio.
Fu allora che i medici espressero la loro opinione, o meglio, il loro
desiderio che Mr. Valdemar fosse lasciato in pace nella sua presente
condizione di apparente tranquillità, fino al sopraggiungere della
morte, la quale, e su questo tutti erano concordi, sarebbe avvenuta
entro pochi minuti. In quel momento, in effetti, si verificò un singolare cambiamento nella fisionomia del dormiente. Gli occhi, aprendosi lentamente, rotearono verso l’alto fino a che le pupille non sparirono; la pelle prese dovunque una tinta cadaverica; il labbro superiore, contraendosi, scoprì i denti; la mandibola cadde giù con uno
scatto lasciando la bocca spalancata, e mettendo a nudo la lingua
gonfia e annerita. Penso che le persone presenti fossero abituate agli
orrori del letto di morte ma in quel momento l’aspetto di Mr. Valdemar era oltre ogni umana immaginazione così raccapricciante, che
tutti insieme si tirarono indietro dal letto. Non c’era ormai il più piccolo segno di vita in Mr. Valdemar. Concludemmo che fosse morto,
e stavamo affidandolo alle cure degli infermieri, quando notammo
una forte vibrazione della lingua. Questa continuò forse per un minuto, dopo il quale scaturì dalle mascelle tese e immobili una voce, una
voce che sarebbe follia tentar di descrivere: sembrava giungere alle
nostre orecchie, da una immensa distanza, o da una profonda caverna
nel cuore della terra. Come si ricorderà, gli avevo domandato se dormisse ancora. Adesso diceva: – Sì... No... Ho dormito... E ora... Sono
morto.
Nessuno degli astanti finse di negare, o tentò di reprimere, l’indicibile e raccapricciante orrore che queste poche parole, pronunciate con
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questo tono, erano riuscite così bene a trasmettere. Ci demmo di nuovo a esaminare le condizioni di Mr. Valdemar.
Erano esattamente come le ho descritte poco fa, tranne che lo specchio
non mostrava più traccia di respirazione. Si discusse allora se era conveniente e possibile svegliarlo; ma non fu difficile trovarci d’accordo
sul fatto che non avremmo ottenuto alcun vantaggio. Era evidente
che, fino allora, la morte (o ciò che solitamente si chiama morte) era
stata arrestata dal processo mesmerico. Appariva chiaro a noi tutti che
svegliare Mr. Valdemar non avrebbe sortito altro risultato se non la
sua immediata, o almeno rapida, dissoluzione.
Da quel giorno fino alla fine della scorsa settimana, un periodo di
quasi sette mesi, abbiamo continuato a far visite quotidiane a casa di
Mr. Valdemar, accompagnati, di quando in quando, da medici e altri
amici. Durante tutto questo tempo il dormiente è rimasto esattamente
come l’ho descritto l’ultima volta.
Venerdì scorso decidemmo finalmente di compiere l’esperimento di
svegliarlo, o di tentare di svegliarlo; ed è il risultato forse negativo di
quest’ultimo esperimento che ha fatto sorgere tante discussioni. Per
liberare Mr. Valdemar dal sonno mesmerico, mi servii della prassi
completa. Ma questa, per un certo tempo, non sortì alcun risultato. Il
primo sintomo del risveglio fu dato da un parziale abbassamento
dell’iride. Allora il dott. F. manifestò il desiderio che facessi una domanda. La feci: – Mr. Valdemar, potete spiegarci quali sono le vostre
sensazioni o i vostri desideri in questo momento?
In quel preciso istante la lingua vibrò, anzi roteò violentemente nella
bocca (sebbene le mascelle e le labbra conservassero la rigida posizione di prima); e alla fine la medesima voce raccapricciante che ho già
descritto proruppe: – Per l’amor di Dio!... Presto! Presto... Riaddormentatemi... Oh, presto!... Svegliatemi!... Presto!... Vi dico che sono morto!
Per un attimo non seppi che cosa fare. Dapprima tentai di tranquillizzare il paziente, ma non ci riuscii, perché mi mancò la volontà. Rifeci
il tentativo e con maggiore slancio mi sforzai di svegliarlo. Ben presto
vidi che questo tentativo avrebbe avuto un risultato, o almeno ben
presto immaginai che il mio successo sarebbe stato completo, e sono
sicuro che tutti coloro che si trovavano nella stanza erano preparati a
vedere il paziente svegliarsi.
Quanto a ciò che realmente accadde, nessun essere umano poteva
esservi preparato.
Mentre facevo rapidamente i passi mesmerici, fra le grida di – morto!
Morto! – che addirittura scoppiavano dalla lingua e non dalle labbra
del sofferente, all’improvviso – nello spazio di un minuto, o anche
meno – l’intero corpo si rattrappì, si sbriciolò, si disfece completamente sotto le mie mani. Sul letto, davanti agli occhi di tutti, giaceva una
massa quasi liquida di ripugnante, di odiosa putredine.
E.A. Poe, La verità sul caso di Mr. Valdemar, in Racconti, trad. M. Gallone, Rizzoli