Sano, malsano o bello: la salute come metafora

Transcript

Sano, malsano o bello: la salute come metafora
1
Giulia Ceriani (Università di Siena-BABA, Milano)
Sano, malsano o bello: la salute come metafora
Lo spunto da cui è partita questa riflessione è la constatazione dell’evidente
insistenza relativa alla qualificazione (esplicita o implicita) intorno all’asse
semantico della sanità nella valorizzazione di icone mediatiche di ordine diverso e
interdisciplinare: dall’entertainment alla comunicazione pubblicitaria, dal notiziario
alla fiction. I tratti pertinenti della rappresentazione della salute o del suo contrario
divengono argomento persuasivo all’interno di discorsività variamente orientate
alla sollecitazione del consenso e rese equivalenti/congruenti/sovrapposte a criteri di
valutazione estetica oppure etica . Insomma, sempre più frequentemente “sano è
bello” oppure “sano è buono”; meno frequentemente, ma ugualmente con una certa
ricorrenza, “malsano” è, a sua volta, “buono” o “bello” o quantomeno “desiderabile.
La questione non è più, semplicemente, quella descritta da Susan Sontag, che
metteva benissimo in evidenza il legame tra rappresentazione della malattia e giudizi
di valore espressi da una società data; qui siamo, piuttosto, in presenza del fenomeno
contrario, dove la malattia è nella misura del possible evacuata/allontanata (salvo in
presenza di stati epidemiologici allargati, come la sars, che però hanno un’incidenza
catastrofica e puntuale, per essere poi rapidamente archiviati) e a funzionare da
agente metaforico catalizzatore del giudizio di valore è il suo stato opposto: quello,
per l’appunto, di sanità.
Se è il sano a prestarsi come misura dell’investimento positivo, non è dunque
tanto lo stato di malattia ad opporvisi, nella prospettiva che ci sembra peculiare alla
nostra congiuntura: è, invece ed eventualmente, il malsano, ovvero uno stato
intrinsecamente alterato e che mantiene tuttavia un’intenzione di tenuta
dell’apparenza, nonostante/a dispetto di un effettivo stato di corruzione che può
essere di ordine fisico (il Papa) o morale (gli Osbourne, MTV).
Sano o malsano –ma certamente soprattutto sano, in un contesto che si difende
disperatamente tanto dall’ansia quanto dagli eccessi-, quello che ci importa
all’interno di questo pensiero è che la promessa di congiunzione sia quella con un
2
valore che è sempre strumentale ( e tanto più essenziale quanto più tale) alla
formazione di un consenso mediale che –anche semplicemente in termini faticiappare la ragione prima di utilizzo di un’ opzione metaforica di questo tipo. Un’
ipotesi allargata, che riteniamo attraversare campi comunicazionali molteplici: per
verificare la quale, tuttavia, abbiamo considerato in particolare due ambiti mediatici
dove la salute è rappresentata (periodici da un lato , e rubriche televisive e fiction
dall’altro): testate programmaticamente orientate alla costruzione di un destinatario
ideale in cerca di informazione così come titoli all’ apparenza orientati a una
fruizione di entertainment. Vedremo come, di fatto, i confini non siano così netti e
quale specifica modalità argomentativa proprio questa comunicazione spuria sia in
grado di generare.
1. Cerca il benessere, trova il piacere: la stampa
Per la stampa, è stato preso in considerazione l’insieme dell’offerta periodica
nel mese di settembre 2004: Starbene, Benefit, Silhouette, Riza, Salute naturale,
Dimagrire, ma anche Natural Style, Men’s Health, Vitality, Come stai, i supplementi
di Corriere e Repubblica.
Comune a questo bacino dell’offerta mediatica è la
volontà pedagogica, accompagnata da un tono di voce incitativo: al di là dei singoli
posizionamenti, è il devoir de santé – come lo ha chiamato Bruno Remaury- a
precedere nettamente il devoir de beauté, o meglio a
essere la sua necessaria
premessa. Incitata (“Vaccinatevi”), sollecitata (“Regalati una vita senza stress”),
sospinta (“Distruggi il grasso”), e soprattutto consigliata (“Le parole vincenti”): la
donna nella maggior parte dei casi, più raramente l’uomo e nel caso dei supplementi
salute un destinatario asessuato, è pungolata ad accedere al valore salute inteso come
risultante di una dimensione psico-fisica che consente di allargare lo spettro di
intervento delle testate e di portarle a proporre un lifestyle complessivo,
all’apparenza compatta e equilibrata.
La salute “sventolata” è uno stato d’arrivo, olistico, unitario e inscalfibile nella
propria promessa di ordine e controllo: per arrivare al quale è articolato un percorso
3
complesso e precisamente narrativizzato, dove l’acquisizione di competenza è quella
ad esistere in modo legittimo e non perturbato, avendo governato le questioni relative
alla propria esperienza e al mondo esterno che in essa si riflette.
Le dimensioni che si incrociano sono invariabilmente quella spirituale e quella
materiale, secondo dosaggi differenti da testata a testata: corpo verità nel primo
caso ( e salute, conseguentemente, come liberazione dal falso), mai malato ma
costruito, agghindato, corroborato da un’ideologia che individua nell’equilibrio
“naturale” il paradigma per sentirsi contemporaneamente aggiornati e corretti sul
piano deontologico, per far coincidere essere e apparire; corpo miraggio nel
secondo caso, che non è e non appare, dove la fisicità ritorna in primo piano
soprattuto negli aspetti preventivi, e programma fondamentale è quello di aderire
ad obiettivi prefissati, rassicuranti per l’assoluta assertività della promessa di
riuscita.
In questa fiera del sé immaginario e ideale le icone trionfanti non sono solo
quelle di femminilità/mascolinità positive; sono, piuttosto, le configurazioni da
cui sono accolte ad essere immediatamente parlanti: per il corpo verità, la serenità
di una forma di vita astratta e depurata, in qualche modo perbene, per il corpo
miraggio la lievità di una forma di vita senza malesseri di natura fisica. Senza
interruzioni della continuità che caratterizza –sempre- lo stato di salute.
Per entrambi, la coincidenza con un’ ideologia esistenziale dove il valore
ricercato è tematizzato dal grande bacino dello “star bene”, sempre pronto a
rovesciarsi in “benessere”. Il discorso ideologico si figurativizza allo scopo in un
corpo vincente –euforico e positivo, se generico, eventualmente pensoso se di
testimonial il cui successo è già implicito garante di euforia. La salute è
imperativo etico che si manifesta –si fa conoscere e distribuisce la sua sanzioneattraverso una forma estetica (corporale, ma anche più genericamente di vita): le
strutture plastiche sono ascendenti, le pelli levigate, gli sguardi frontali e
interpellanti, I colori saturi, le forme verbali sollecitanti, I contorni tanto meno
netti quanto più il benessere promesso partecipa di una forma anche spirituale . Il
4
percorso verso lo stato di salute è graduale e accompagnato da un destinante che
non molla mai la presa.
. (ill.copertine montate).
2. Medici in prima fila
Se ci spostiamo dalla parte della comunicazione televisiva che contenga al suo
interno frammenti, sia pur di entità diversa, di rappresentazione della salute, troviamo
un campo vasto e ben più articolato di quello a mezzo stampa. Le trasmissioni
considerate, trasversalmente alle reti nazionali, sono state: Telecamere Salute, TG2
salute, Medicina 33 (sul fronte dell’informazione tout court), Medici e Vivere Meglio
(sul fronte di quella che diventa informazione “spettacolarizzata”), Loveline di MTV
( per la sua peculiarità “consulenziale”), e infine ER, Incantesimo, Nip & Tuck e, in
qualche modo a parte per le ragioni che vedremo, gli Osbourne (sul fronte fiction).
Il protagonismo della medicalità sulle reti televisive è di per sé indice di una
proiezione che riconosce tre distinte configurazioni: quella dell’universo curante o
medico/paramedico , quella del problema fisico o psico-fisico, e infine quella dei
curati che sono poi i “malati” in senso anche molto blando ( e nel caso di Loveline,
non proprio: il problema è di natura sessuale, dunque anzitutto comportamentale e
non specialmente fisico). Questi tre ambiti figurativi articolano –indipendentemente
dal posizionamento dei singoli programmi, che qui ci interessa relativamente- un
discorso della salute che mette in evidenza
- un universo di eroi (i medici in azione, ma anche gli esperti) caratterizzati da
tratti positivi di natura sociale (sono di successo), estetico (sono belli), etico
(sono buoni/umani); quando riassumono le tre caratteristiche come può
accadere per esempio nella fiction di Nip &Tuck sono legittimati a farsi carico
di un discorso di principi che consente di mettere in scena problematiche
5
attinenti l’universo della salute e di discuterne pro e contro nel tessuto
finzionale in modo tale da sbatacchiare l’osservatore tra opinioni
contraddittorie e preoccupandosi di bilanciare ideologie assolutamente
alternative (questa tendenza alla dicotomia ossimorica si accentua quando si
parla di questioni propriamente etiche, dagli interventi plastici sui minori
all’alimentazione ormonale, ecc)
- una somma di insidie di natura fisica che può intervenire all’improvviso
sconvolgendo la quotidianità; il corpo è una sorta di massa potenzialmente
negativa (quando non è rivestito del rassicurante camice bianco, ma è vero che
anche lì capita di veder annidarsi il male), dall’equilibrio vistoso ma precario,
la cui accidentalità
minacciosa può essere contenuta/riparata grazie alla
prevenzione o all’intervento tempestivo: la dimensione temporale appare
sempre determinante e diventa, con esempi ai massimi livelli nella fiction di
E.R., il fattore tensivo che determina i livelli di attenzionalità del destinatario
costruito
- un universo di malati o potenzialmente tali rispetto ai quali è anzitutto chiarita
l’indifferenziazione: la malattia può colpire chiunque, il personaggio di
successo, la bella bambina e l’orco peloso, il primo tratto morale del discorso
della salute è proprio nel livellamento di quei narratari che stanno in esso a
figurativizzare le ansie di un pubblico i cui meccanismi proiettivi sono
facilmente intuiti.
Il malessere, inteso qui come stato già sintomatico della perdita di tensione
esistenziale, sposta in modo brutale dall’univocità fittizia dello stato di salute alla
molteplicità degli stati di malattia, che interrompono l’unità corporea e la sezionano,
segmentandone le parti dolenti, dividendo schizofrenicamente il soggetto.
6
Emblematico è, in questo snso, il personaggio di Ozzy Osbourne, corpo reale e
realmente in decadenza, il cui malessere è figurativizzato dal tremito della voce e dei
contorni, dalla fragilità tensiva, dall’ incapacità di percorrere la linea retta.
In questo schema di narrazione relativamente elementare si sviluppa una
manipolazione di forte moralizzazione, dove il controllo del corpo non è né
proposta di verità né progetto di miraggio, come nella stampa, ma metafora di
contenimento di tutto quanto può massimamente inquietare (non solo l’alterazione
della performance fisica, ma il crollo dei referenti sociali, in una parola della
propria collocazione nel mondo); una costruzione di competenza doveristica
(dover essere/fare) ma anche aspirazionale (voler essere/fare), là dove l’eroe è
modello desiderato proprio per la sua sanità psico-fisica; un agire che raggiunge il
suo culmine nel momento dell’intervento –figura clou tanto delle trasmissioni
informative che della fiction- dove l’osservatore esterno entra voyeuristicamente
nella scena di quanto è socialmente rimosso e il corpo –deprivato della testa e
delle sovrastrutture- è terreno di dimostrazione delle qualità sovrumane/eroiche
dei curanti.
Corpi oggetto: sventrati, tagliuzzati, ripuliti e ricuciti. Figura, al contrario dei
corpi sani che abitano la stampa, di perfetto e inquietante realismo, anatomie fatte
per essere viste in due tempi: montate prima, con il coperchio del ventre
appoggiato e la seduttività vagamente morbosa della bellezza come morta, e
adagiata sul tavolo operatorio; smontate dopo, quando dall’offerta sensibile si
passa a quella intelleggibile, dallo sguardo sedotto a quello che disseziona, che
vuole sapere e non possedere, o meglio che persegue il possesso attraverso la
conoscenza.
La nudità interiore, nella sua paradossale irrealtà, consente di rappresentare un
soggetto oggettivato, fattosi cosa in funzione della volontà di controllo del proprio
osservatore.
7
La tensione, in questo caso, definisce nuovamente un’identità parallela e
peculiare, dove l’elemento antropomorfo è contemporaneamente irriso e esaltato.
Una sorta di messa in scena, particolarmente crudele per la dissonanza tra la
tonalità dei due sguardi, quello adorante portato sul contenente, quello feroce o
comunque insensibile portato sul contenuto..
3. Immaginario della salute, salute immaginaria
Questo immaginario che potremmo facilmente definire “perbenista”della salute,
giacché premia l’equivalenza tra capacità di sofferenza o di abnegazione, da un lato, e
successo dall’altro, o più semplicisticamente elegge chi – grazie alla propria
apparenza- testimonia di essere in possesso della competenza salutistica corretta (per
allargare il campo e compiacerci di abbassare il tono, da Sofia Loren a Simona
Ventura, dalla testimonial dello yoghurt Vitasnella a quelli Mulino Bianco, da Fiona
May alle nuove eroine delle Olimpiadi, dalle creme Vichy ai prodotti per la casa a
tutte, ma proprio tutte, le acque minerali naturali) sanzionata da un riconoscimento di
bellezza, desiderabilità e quant’altro. La medicalizzazione, esplicita (portare il camice
bianco, stare in un lettino di clinica o di ambulatorio) o implicita (saturare dei tratti
positivi che si riassumono in tonicità, indifferenza all’età, bianchezza dei denti,
franchezza dello sguardo, pesoforma, ecc.) porta in tutti casi alla validazione di un
percorso giudicante che non è difficile sintetizzare: l’euforia si investe nei soggetti
caricando timicamente strutture attanziali e contenuti relativi, dove il processo
assiologico euforizza la deissi positiva
e contemporaneamente disforizza quella
negativa: /bene/ diventa allora più vasto paradigma per un insieme di positività
etiche-estetiche-aletiche che sigillano l’icona in questione come modello di successo.
Quanto, e in quali direzioni, ampliare I limiti dell’ammesso alla positività del
giudizio morale, è poi scelta di posizionamento del singolo discorso mediatico: che,
nell’intenzione di convogliare un’audience più vasta possible, si sposta mediamente
8
da posizioni buoniste a maglia larga - genere “un medico in famiglia”- a posizioni di
dibattito come quelle ospitate solitamente dalla fiction. I supporti informativi sono
chiari e prescrittivi, dal canto loro, solo fin quando l’argomento non tocchi
problematiche ineludibilmente etiche: allora si rimbalza sulla figura dell’esperto,
terzo attante che consente al conduttore di mantenere una neutralità imparziale atta a
includere per via di non esclusione
Filmati
4. Anche malsano è bello
Per fortuna esiste anche il rovescio della medaglia. Né, per parlare di
corpo non sano eppure celebrato, anzi celebrato anche in ragione della sua
sofferenza, vi è bisogno di ricorrere alla figura del Papa che pure, con la
consueta abilità mediatica, fa un uso precisamente consensuale dell’esibizione
della propria stessa fisicità oscillante.
Abbiamo, piuttosto, riconosciuto la latenza dello stato di salute eletta a
modello mediatico in manifestazioni a destinazione giovanile come Loveline e
gli Osbourne, entrambi su MTV, che costituiscono un ambito a parte
all’interno del nostro corpus. Dove la medicalizzazione evacua la necessità di
figure in camice bianco, operazioni, carne incisa e spazi definiti come la
clinica, l’ambulatorio, l’ospedale, per riguardare sul fronte del supporto
informativo (Loveline) lo studio con tanto di esperta e su quello fiction
(Osbourne) la casa di una famiglia eccessiva, laida, esemplare solo per cattivi
principi e pessima fisicità.
Ci è sembrato che anche questi due esempi fossero rappresentativi del
discorso della salute proprio per il loro diverso rovescio negativo: in Loveline è
messo in scena – ma in absentia, mai ripreso sullo schermo- il corpo difficile,
quello che viene ad essere coinvolto all’interno di rapporti intimi rispetto ai
quali I ragazzi che chiedono consulenza si sentono non preparati, mancanti di
9
competenza (non malattia come inadeguatezza fisica, ma insicurezza
attitudinale); negli Osbourne è raccontato invece, con una tranquillità che è la
prima ragione di soddisfazione, un modello del tutto negativo (paragonabile
solo ai Simpson), dove è patente il disfacimento del corpo, la sua malattia da
débauche.
In entrambi I casi, l’interesse è portato su uno spostamento all’interno
dell’ovvietà delle omologazioni tra conformità e euforia; la difformità, al
contrario, si appropria dell’asse euforico, e rivendica la propria platea. Di
nuovo, la salute è terreno
di affermazione ideologica, per diritto o per
converso, poco importa.
5. Corpi mediali
Importa, invece, il contributo alla mediatizzazione del corpo che il suo
riconoscimento/caratterizzazione
in
quanto
sano
o
in
quanto
malato/inadatto/decaduto rende possible. La salute come strumento di accesso
alla salienza sociale, per differenza rispetto a una generalità contaminata o
diluita, a seconda dei punti di vista.
Come scrive giustamente il sociologo Federico Boni a proposito del
“corpo mediale ”, questi è
“un corpo inteso come costrutto sociale, ossia come prodotto della
interrelazione tra le costruzioni e le rappresentazioni sociali del corpo;
costruzioni che sono sempre più orientate verso una sorta di privatizzazione
della produzione, declinate cioé in una produzione fai da te (Bauman 1999)
…”(2002: 19).
Niente di nuovo tuttavia, se non fosse per la tematizzazione
dell’intercorporeità
ad
opera
del
giudizio
di
salute
(sempre,
non
dimentichiamolo, giudizio di confromità a una visione del mondo) ,che
trasforma I tratti pertinenti di manifestazione in discontinuità che incidono, in
una logica semi-simbolica, sulla positività e potenziale bacino di attrazione
10
della figura emergente. Ed ecco che, ad esempio, la bianchezza dei denti sarà
franchezza e seduzione, prima che pulizia, e, in contesti opposti, il colore della
pelle giallognolo paradigma a sua volta positivo di una vita spesa a combattere
tutto il rosa nauseabondo dell’universo.
L’adesione al riconoscimento dello stato di salute –o meno- che sui corpi
mediatizzati si esercita, è dunque modo metaforico per sintetizzare vincoli e
consensi: I primi rivolti alla necessità di rimozione –ancorché provvisoria e
puntuale- dell’impuro in un mondo per altri versi genericamente ammorbato e
fuori controllo; I secondi, indirizzati a ricostruire e orientare convergenza là
dove la molteplicità
si voglia minacciosa e disturbante le procedure del
consenso.
6. Salute e passione moralizzante
Come sappiamo la moralizzazione (Greimas-Fontanille,1991) interviene alla
fine della sequenza narrativa patemica, presupponendo emozione e sensibilizzazione,
dove la costituzione definisce I termini del contratto passionale : il comportamento
osservabile –nel nostro caso in relazione all’affettazione degli stati fisici e/o mentali
che definiscono la sanità o non sanità del soggetto- mette in relazione oggetto timico
e soggetto appassionato, e la moralizzazione sanziona la congiunzione tra l’uno e
l’altro intaccando lo stato di salute/di malattia –secondo progressione- dei corpi
attorializzati. Ovvero: dal sano al malato intercorre una scala graduale che vede lo
stato di malsanità come qualificato negativamente in termini di disgiunzione dalla
destinazione doxastica. E, al contrario, positivamente solo là dove il punto di vista si
investa in una logica/ideologia di critica sociale, come nell’esempio, che è di fatto
metalinguistico, degli Osbourne ( un reality show rovesciato)
Le implicazioni preventive delle testate più informative sostituiscono alla paura
la rassicurazione, in virtù di un comportamento virtuoso che esclude, per sua
11
definizione, ogni lassismo, e si risolve dunque in un controllo costante delle proprie
azioni; le intenzioni spettacolarizzanti della fiction e dei magazine lifestyle, al
contrario,
pongono
a
confronto
con
la
moralizzazione
complementare
dell’equivalenza tra salute e possesso (inteso come forma di vita che colma I bisogni
del corpo e della mente) , piuttosto che, banalmente, tra malattia e avidità.
Un teatrino passionale tutto sommato elementare
e alimentato dal
riconoscimento, da parte dell’osservatore costruito, di un eroe –il medico- congiunto
con una competenza capace di intervenire sul limite umano e di frenarne gli impulsi
di dissipazione (sempre di ordine psico-fisico). Quel che più conta, è che qui si
agitano passionalità rinvianti a una necessità impellente di controllo dell’altro da sé;
mentre là dove figura medicale non vi sia, ma solo la questione irrisolta di una fisicità
che sfugge alle leggi di efficienza imposte dal destinante sociale, la ricerca – e il tono
discorsivo che ne consegue- diventa quella dell’amico-confidente piuttosto che del
modello aspirazionale, cui non si chiede altra competenza che quella di una vita
vissuta secondo I parametri di un successo che deve essere, lui sì e con
manifestazioni di massima intensità e saturazione, assolutamente conclamato.