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DIRITTO AMMINISTRATIVO
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Mario Libertini
Le misure cautelari amministrative nella disciplina antitrust
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MARIO LIBERTINI
LE MISURE CAUTELARI AMMINISTRATIVE
NELLA DISCIPLINA ANTITRUST (∗)
SOMMARIO: 1. Le misure cautelari della Commissione nel diritto antitrust comunitario. – 2. I
provvedimenti cautelari amministrativi nel diritto antitrust italiano. – 3. I provvedimenti cautelari dell’autorità nazionale in caso di applicazione decentrata del diritto comunitario. – 4.
Considerazioni conclusive.
1. – In caso di urgenza («rischio di danno grave e irreparabile per la concorrenza»)
la Commissione U.E., dopo accertamento sommario dell’infrazione («ove constati
prima facie la sussistenza di un’infrazione»), può adottare d’ufficio misure cautelari,
mediante decisione individuale (art. 8, reg. 1/2003). È significativo che il provvedimento possa essere adottato solo «d’ufficio»: ciò implica che la Commissione non
ha il dovere di pronunciarsi sulle richieste di provvedimenti cautelari espressamente
rivoltele da parti private, e ciò a sua volta fa ritenere che il legislatore comunitario
abbia voluto limitare l’intervento cautelare della Commissione a casi di accertata ed
oggettiva gravità.
Al fine dell’adozione di un provvedimento cautelare, la Commissione deve in
ogni caso accertare, secondo l’impianto tradizionale della disciplina processuale dei
provvedimenti cautelari, il duplice requisito della sussistenza e del fumus boni juris e
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del periculum in mora ( ).
(*) Relazione presentata al convegno sul tema «Poteri e garanzie nel diritto antitrust: l’esperienza italiana nel sistema della modernizzazione», organizzato dall’Assonime a Roma il 23 luglio 2007.
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( ) Per un completo quadro della giurisprudenza comunitaria v. G. BRUZZONE, A. SAIJA, Misure cautelari e decisioni con impegni nell’applicazione delle regole antitrust: i presupposti e le garanzie, in Contratto impr. eur., 2007, p. 272 ss.; G. OLIVIERI, I nuovi poteri dell’AGCM fra diritto comunitario e diritto
interno, in Mercato Concorrenza Regole, 2007, p. 51 ss.; nonché E. NAVARRO VARONA, H. GONZALEZ DURANTEZ, Interim Measures in Competition Cases Before the European Commission and Courts, in E.C.L.R.,
2002, p. 512 ss.
In particolare, secondo la giurisprudenza comunitaria precedente l’emanazione del reg. 1/2003, il
provvedimento cautelare può essere emanato anche su istanza di parte e l’accertamento del periculum in
mora può riguardare l’interesse della parte istante o l’interesse pubblico (nello stesso senso è il dettato
normativo dell’art. 14 bis, l. n. 287/1990). Il reg. 1/2003 ha però chiarito – v. infra nel testo – che la misura cautelare può essere adottata solo «d’ufficio» (l’eventuale istanza di privati non è dunque un atto
formale di avvio di un procedimento, ma solo un elemento di fatto, di cui la Commissione potrà o meno
tenere conto). Di solito si afferma pertanto che il requisito del periculum dev’essere accertato esclusivamente in funzione del pubblico interesse, come del resto sembra suggerire il testo normativo (cfr. M.
RICCHIARI, in L’applicazione del diritto comunitario della concorrenza [nt. 1], p. 113). Secondo alcuni,
probabilmente influenzati dalla disciplina precedente il reg. 1/2003 (cfr. L. QUERZOLA, La tutela cautelare antitrust fra processo e amministrazione: riflessioni minime, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, p.
285), il pericolo di danno andrebbe invece accertato non solo con riferimento al funzionamento del
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Riguardo al requisito del fumus la giurisprudenza comunitaria afferma costantemente che non è richiesto lo stesso grado di certezza occorrente per la condanna defi2
nitiva ( ). Ciò significa che il provvedimento può essere adottato anche ad istruttoria
in corso, ma è pur sempre necessario che siano stati già raccolti indizi gravi, precisi e
concordanti, sui comportamenti antigiuridici delle imprese interessate. In altri termini, il fumus non può farsi coincidere con il fondato sospetto, che consente di per sé di
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aprire un’istruttoria, ma richiede accertamenti più precisi ( ). Circa la qualificazione di
tali comportamenti, non occorre poi che essi appartengano a figure già note di illeciti
antitrust (c.d. hard-core restrictions): anche un comportamento nuovo può presentare
caratteristiche idonee a consentire un giudizio prima facie di illiceità antitrust.
Quanto al danno grave e irreparabile, esso può riguardare una serie di interessi
di una pluralità di soggetti, ma può consistere anche nell’effetto escludente subito
da una singola impresa, quando questo effetto possa comportare una eliminazione o
riduzione sostanziale della concorrenza nel mercato rilevante.
L’espressione testuale «danno per la concorrenza» (e non danno «per il concorrente» o «per i concorrenti») può far pensare che il danno paventato debba essere ne4
cessariamente collettivo, e non riguardare una singola impresa ( ). Tale interpretazione non sarebbe però accettabile: non solo perché palesemente contraria alle indicazioni della giurisprudenza comunitaria, ma anche perché essa dimentica che l’illecito antitrust è un illecito tipicamente «plurioffensivo», in quanto lesivo non soltanto degli interessi dei concorrenti diretti, attuali o potenziali, ma anche dell’interesse
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di altre categorie di imprese complementari, nonché dei consumatori ( ). Pertanto,
l’espulsione anche di una sola impresa dal mercato può avere, in certi casi, l’effetto
di pregiudicare gravemente il gioco della concorrenza nel mercato rilevante. Ciò che
si richiede è dunque non la necessità che l’illecito antitrust arrechi pregiudizio a più
di una impresa, bensì una valutazione di impatto dell’illecito stesso sul funzionamento complessivo del mercato.
Nella giurisprudenza comunitaria si sottolinea di solito il requisito dell’«urgenza» come ulteriore rispetto al pericolo di danno grave e irreparabile. Ma in realtà
non sembra che tale indicazione aggiunga un elemento suscettibile di distinta valu6
tazione sostanziale ( ).
Si deve precisare che l’irreparabilità del pregiudizio dev’essere intesa relativamente all’andamento del processo concorrenziale, e sussiste tutte le volte in cui quemercato in generale, ma anche con riferimento a specifici interessi di imprese danneggiate. In realtà, il
problema di un illecito antitrust che non determini anche un danno, attuale o potenziale, di interessi
privati, e viceversa, non mi sembra, in concreto, neanche prospettabile.
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( ) Cfr. Trib. I gr. CE, 24 gennaio 1992, T-44/90, La Cinq.
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( ) G. OLIVIERI, op. cit., p. 60.
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( ) In tal senso, per esempio, R. RINALDI, Il regolamento del Consiglio n. 1/2003: un primo esame delle principali novità e dei punti aperti della riforma sull’applicazione delle regole comunitarie in materia di
concorrenza, in Dir. comm. int., 2003, p. 143 ss.
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( ) L’affermazione, dopo la sentenza delle Sez. un. n. 2207/2005, è divenuta quasi tralatizia in giurisprudenza. V., per esempio, App. Napoli 10 luglio 2006, in Banche Dati Giuridiche Infoutet.
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( ) In tal senso G. OLIVIERI, op. cit., p. 61.
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sto processo risulti concretamente ostacolato; non occorre, in altri termini, che il
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pericolo consista proprio nell’eliminazione di un’impresa dal mercato ( ), né può ritenersi che la gravità del pregiudizio sia esclusa per il fatto che questo possa essere
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risarcito per equivalente in un prossimo futuro ( ). Questa insostituibilità del rimedio specifico da parte del risarcimento in denaro deve peraltro ritenersi espressione
di un principio generale del diritto della concorrenza.
Il contenuto del provvedimento cautelare non è predeterminato dalla legge. Il
criterio posto dalla giurisprudenza comunitaria è che la misura dev’essere strettamente proporzionata alla prevenzione del pericolo di danno grave. Nella concreta
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esperienza applicativa ( ), i provvedimenti sono di norma consistiti in ordini di porre
termine ad un rifiuto ingiustificato di contrarre; ma il contenuto può essere varia10
mente specificato ( ): per esempio, può aversi un ordine di porre termine ad una
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pratica di prezzi predatori ( ) o la sospensione di clausole di esclusiva ( ).
Il provvedimento cautelare deve indicare un termine di efficacia, ma può essere
rinnovato, con decisione adeguatamente motivata (il testo del regolamento dice, in
modo un po’ ridondante, che il rinnovo è consentito solo «se necessario ed opportuno». Fatto salvo il rispetto di questo criterio di stretta proporzionalità, il riconoscimento di un potere di «rinnovo», e non di semplice «proroga», comporta la possibilità di esercizio di uno ius variandi, da parte della Commissione.
Il potere di intervento in via d’urgenza, di cui si è discorso con riferimento all’attuale testo normativo (art. 8, reg. 1/2003), era stato già riconosciuto dalla giurisprudenza, come parte integrante del più generale potere di emanare provvedimenti atti
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a «porre fine all’infrazione» ( ). Nella prassi applicativa, i provvedimenti cautelari
sono stati concessi soprattutto di fronte a situazioni di improvvisa interruzione di
rapporti di fornitura da un produttore dominante a uno o più distributori o di azioni di boicottaggio dell’impresa dominante nei confronti di potenziali nuovi entranti
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(in alcuni casi le due situazioni si intrecciavano) ( ). I poteri cautelari sono stati
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( ) Anche se nella maggior parte dei casi comunitari il pericolo si presentava sotto questo profilo
«strutturale», non può dirsi che questo sia un requisito essenziale: per esempio, nel caso Ford (v. infra,
nt. 14), non vi era un pericolo di espulsione dal mercato dei distributori Ford tedeschi, ma un’improvvisa interruzione del flusso di esportazioni parallele di auto Ford dalla Germania alla Gran Bretagna.
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( ) Cfr. Trib. I gr. CE, 24 gennaio 1992, T-44/90, La Cinq.
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( ) V. i casi citati nelle note successive.
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( ) Non è esatta l’affermazione secondo cui i provvedimenti cautelari antitrust «devono mirare esclusivamente alla ricostituzione dello status quo ante» (S. ANGIONE, I nuovi poteri cautelari, istruttori e
sanzionatori attribuiti all’AGCM dal c.d. decreto Bersani, in Filodiritto, 19 settembre 2006). Correttamente, sul punto, G. OLIVIERI, op. cit., p. 58.
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( ) Comm. CE, Dec. 83/462/CE del 29 luglio 1983, ECS/AKZO.
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( ) Comm. CE, Dec. 93/406/CE del 23 dicembre 1992, Langnese/Iglo. Analogamente in un recente
caso francese, riguardante le clausole di esclusiva imposte alle imprese televisive francesi da parte della
società che gestisce la principale rete televisiva nazionale (Conseil de la Concurrence, Déc. n. 07-MC-02
del 2 maggio 2007, Emettel/TDF).
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( ) C. Giust. CE, 17 gennaio 1980, C-792/79, Camera Care; Comm. CE, Dec. 87/500/CE del 29 luglio 1987, in Giur. ann. dir. ind., 1988, n. 2363.
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( ) Comm. CE, Dec. 82/628/CE del 18 agosto 1982, Sistema di distribuzione di Ford Werke AG;
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dunque storicamente esercitati dalla Commissione in situazioni in cui il periculum in
mora presentava le stesse caratteristiche che sono normalmente richieste per l’adozione di misure cautelari da parte del giudice civile, e ciò del resto è stato chiaramente
presente nelle formule usate dalla giurisprudenza comunitaria, che ha tradizionalmente posto una equivalenza fra pregiudizio a carico del denunziante e pregiudizio per
l’interesse pubblico. In questa prospettiva, deve riconoscersi che l’art. 8 del reg. 1/2003,
avendo sottolineato che la misura cautelare può essere adottata solo «d’ufficio» e solo
in caso di pericolo di danno grave «per la concorrenza», sembra voler sottolineare una
differenza di funzione fra la tutela cautelare in sede giudiziaria civile e quella ammini15
strativa ( ). In concreto, tuttavia, è difficile individuare casi in cui il pericolo di danno
riguardi «la concorrenza» in astratto, e non anche singole imprese (concorrenti, fornitrici o acquirenti). Ciò non significa che l’indicazione normativa sia irrilevante: essa va
piuttosto intesa come necessità di una seria valutazione, da parte della Commissione,
dell’importanza relativa del caso in esame rispetto al funzionamento complessivo del
mercato (sul punto si tornerà nel paragrafo conclusivo).
In altri termini, l’intervento cautelare della Commissione – contrariamente a
quanto affermato dalla giurisprudenza prima dell’emanazione del reg. 1/2003 – dovrebbe oggi ritenersi ammissibile solo di fronte a situazioni di particolare e oggettiva
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gravità, oppure in via sussidiaria, cioè quando sia impossibile ( ), o sia stato in concreto negato, l’intervento cautelare del giudice civile; o, a maggior ragione, quando
l’intervento del giudice civile sia andato in direzione contraria a quella che la Com17
missione ritiene conforme alle norme antitrust comunitarie ( ). In ogni caso, sempre
sulla scorta di una valutazione di oggettiva e particolare gravità della distorsione
della concorrenza nel mercato rilevante.
Dal punto di vista procedimentale, l’adozione di provvedimenti d’urgenza da
parte della Commissione non può avvenire inaudita altera parte, ma solo dopo aver
consentito alle imprese interessate l’esercizio del diritto di difesa (art. 27, reg.
1/2003). Questa scelta politico-legislativa, condivisibile nella sua ispirazione, ha porComm. CE, Dec. 83/462/CE del 29 luglio 1983, ECS/AKZO; Comm. CE, Dec. 87/500/CE del 29 luglio
1987, BBI/Boosey; Comm. CE, IV/33.157 del 26 marzo 1990, Eco Systems/Peugeot; Comm. CE, Dec.
94/19/CE del 21 dicembre 1993, Sea Containers/Stena Sealink (in quest’ultimo caso il provvedimento
cautelare non è stato, in concreto, emanato, perché nel frattempo l’impresa dominante aveva acconsentito all’apertura del mercato a favore del denunziante).
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( ) In questo senso G. BRUZZONE, A. SAIJA, op. cit., p. 270, sottolineano giustamente che il regolamento 1/2003 «segna una svolta», sul punto, rispetto alla precedente giurisprudenza comunitaria.
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( ) Come nel caso in cui una situazione anticoncorrenziale si determini per fatti oggettivi, sicché
non vi siano comportamenti illeciti imputabili ad una certa impresa. Così nel caso di effetto cumulativo
escludente di una rete di accordi verticali. V. in tal senso Comm. CE, Dec. 93/406/CE del 23 dicembre
1992, Langnese/Iglo.
Più in generale, l’impossibilità di ottenere un provvedimento cautelare in sede giudiziaria civile può
derivare dalla mancanza di prove «liquide» nella disponibilità del denunziante. Di fronte al fondato sospetto di gravi illeciti antitrust, l’autorità amministrativa può intervenire, a seguito di un accertamento
sommario officioso.
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( ) Ciò è in concreto avvenuto nel caso di Comm. CE, Dec. 2002/165/CE del 3 luglio 2001, NDC Health/IMS Health, in cui il giudice tedesco aveva dato un’inibitoria a favore di un’impresa titolare di diritto
di esclusiva su una banca dati e la Commissione ha invece ravvisato un abuso nel rifiuto di licenza.
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tato però come risultato che i procedimenti cautelari amministrativi dinanzi alla Commissione durino diversi mesi, con evidente incoerenza rispetto alla finalità dell’isti18
tuto ( ). Forse anche per questo, negli ultimi anni i procedimenti cautelari dinanzi
alla Commissione sembrano essersi diradati (il che significa che l’esigenza di tutela
cautelare si spinge spontaneamente verso i giudici civili).
In base all’art. 23.2.b, reg. 1/2003/CE, l’inottemperanza agli ordini cautelari della Commissione è sanzionata con un’ammenda pari a quella prevista per la violazione delle norme sostanziali degli artt. 81 e 82 del Trattato (cioè fino al 10% del fatturato dell’impresa interessata).
2. – Com’è noto, con l’art. 14 bis, l. n. 287/1990 (introdotto con il d.l. n. 223/2006) è
stato attribuito all’AGCM un potere di adottare misure cautelari anche nei casi di
infrazione alle norme antitrust nazionali.
Il confronto testuale fra l’art. 8 del reg. 1/2003 e il citato art. 14 bis della legge
antitrust nazionale consente di evidenziare una sostanziale equivalenza dei due testi
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normativi, fatta salva qualche differenza di carattere stilistico ( ).
L’equivalenza viene meno, per quanto riguarda la disciplina sostanziale, solo in
due punti.
Il primo riguarda la durata dell’ordine cautelare: mentre il testo comunitario dispone che «le decisioni adottate … sono applicabili per un determinato periodo di
tempo e possono, se necessario ed opportuno, essere rinnovate», l’art. 14 bis dispone
che «le decisioni … non possono essere in ogni caso rinnovate o prorogate». Il testo
della norma nazionale non prevede espressamente la necessità di un termine, sicché
si potrebbe pensare alla legittimità di un ordine a tempo indeterminato o di durata
coincidente con quella del procedimento principale. In realtà, il divieto di proroga e
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rinnovo presuppone che il provvedimento contenga un termine ( ).
Il problema che si può porre è se un provvedimento privo di termine sia illegittimo o se «in assenza di espressa indicazione, … la data finale coincida con quella pre21
vista di fine del procedimento istruttorio principale» ( ). In effetti, tale soluzione è
astrattamente ammissibile, in virtù del principio di conservazione degli atti, ma deve
fare i conti con il principio di proporzionalità.
È certo comunque, per la nettezza del dato testuale, che il legislatore italiano ha
voluto negare all’autorità antitrust qualsiasi ius variandi sulla decisione cautelare
adottata. Quello che, al massimo, può ammettersi, è un provvedimento di secondo
grado con contenuto di revoca o di riduzione del dispositivo del provvedimento
cautelare precedentemente adottato. Dell’opportunità della modifica introdotta dal
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( ) Cfr. NAVARRO, GONZALEZ, op. cit., p. 523.
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( ) In particolare: l’espressione «prima facie» del testo comunitario è stata sostituita con «ad un
sommario esame»; l’espressione «può adottare mediante decisione misure cautelari» del testo comunitario
è stata sostituita con «può deliberare l’adozione di misure cautelari».
È evidente l’equivalenza delle frasi sostituite, rispetto a quelle del testo originario.
20
( ) Cfr. G. BRUZZONE, A. SAIJA, op. cit., p. 272.
21
( ) Così M. CLARICH, Le misure cautelari: le novità introdotte dal «Decreto Bersani» (L. 248/06), in
Il nuovo diritto della concorrenza, strumenti e prassi dell’antitrust in Italia, Paradigma, Torino, 2006, 9.