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TOMMASO SOLDINI
RIBELLE DI NEMICO PRIVO
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alla chiara fonte
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A Francesca
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ANCORA UNA VOLTA
Ancora una volta
non è bastato superare il morbillo,
il buon non senso e la paura
indifferenza, il solo moltitudine.
Lei fa toc toc e io lì ad aspettarla:
- Ciao, sorella azzurra - mi dice
- hai perso anche questo? T'avevo
detto chi piange torna spesso -.
Io mi siedo e prendo un caffé
appiccio una sigaretta - eh eh.
Non mi hai mai dimenticata? Le guardo gli occhi, azzurri lei
neri i miei, - mi ama! E io qui a pensare, a sbattermi
il capo per rinnovare la vigna,
la mia dama è andata
dal covo scacciata - insulso
rettile intellettuale stolto -.
La mia luce, tutto muore e
intorno a me, un solo - eh eh -.
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GRAN PALACE HOTEL ( O VERSO MARZO )
Stoviglie di case rotte
dal tempo imposte cercano
sistemi ancora utili
sloggiano piccioni
turbati dalla quiete
che i morti urbani senza,
riservano loro. Luce
solare passa dai fori,
raggiungimi adesso!
Al tocco di una campana
posso levare le dita unte
dal piatto del Grand Hotel.
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ASSENZA
Senza non è essenza
non è arrosto né fumo umano
ma strumento,
che l'anima sbrana e monda
in menzogna.
Svirgola di sensi
anche una frase liscia,
l'inchiostro non si trattiene,
leviga le foglie amaro;
mentre dubi dubi da...
gli usci non coprono dai soli.
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ANSIA D’ASPETTO
Spettro, almeno di aspetto
l'ansia, tesa, poi la getto,
convinto di nulla
persuaso di sensi ragiono.
Le voci le voci! - cozzano -.
Il sesto senso raccolto in luce
pare;
è antico verbo e lente
oppure di novecento estratto,
ritmo diletto pura sembianza.
Scioglie fra fragori di niente
sia la fede sia il serpente
non suona non vede non sente.
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AUTORITRATTO
Ieri sono sì o no
sei numero
se gioco gioco
ma mi mostro
quando qualcuno squadra.
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A VOLTE VORREI
A volte vorrei essere filosofo
dispiegare sapere,
divulgare a più non posso:
- la dialettica hegeliana intende
non c'è la differenza (uff,
distorto da storie sto) -.
Padrone mi vedo di un'essenza
mai più randagio semmai pubblica scienza.
Cammino ritto tra un podio e un partito.
Influenza?
del fare deciso smagrita.
Toh, mi sveglio, gli occhi sprango,
vedo bianco e nero e cesso.
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SCUDO DI BRONZO
Bronzeo drappo di velluto,
riparo che spezza il sole,
le viste fatte fuori.
Corri corri insegui il tempo,
rimanda l’ora per il secondo;
apri lo strato, il grigio scudo
freddo, fuori e caldo dentro.
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RIBELLE DI NEMICO PRIVO
Prometeo mi ha lasciato
verme, agli altri Frege e Rilke e Dante,
soave scolpir di sillabe e senso
io, Narciso senza specchio
resto, né arte né parte,
cameriere senza clienti
infermiere senza pazienti.
Ribelle di nemico privo.
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PUNTO FRANCO
Fungeva da sfogo
dolore rimosso - da uomo tuttavia pensando
inseguendo soltanto insegnando.
Oggi un fonema - festante trilla e ulula franco.
Non fuggo e mi trattengo
non freno e fiato - canto -.
È nenia soltanto ma mia.
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SVANIRE NEL NUOVO
Cuore amore non han
più candore. Riprendo
a rimare ma oltre
la romantica dispersione così,
carpire da un mio dolore
suono di un diapason mi stana.
Lento logorio di un tempo,
forse violino, no viola in asolo
su musica di prato - api e leggero vento; svanita nel nuovo
senso. Da qui riprendo.
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FUGA PER LE ROTAIE
Corro giù per le rotaie
fanculando strade e case
fuggiasco ramingo randagio
un moto gaio invece del grigio.
È il ritmo che qui scrivo - netto un velluto bruno scuro
cimitero vecchio oppure vivo.
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.
L'essenziale
è una parola soltanto
danzante e non
due o tre termini arguti.
e anche quando l'ordore (odore-orrore)
passa non basta
devo dare il nome.
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ALMENO FALLO
Almeno tu, fallo per tutti
ringalluzzito per ieri
portatore pipistrello di
verbo, per tutti fallo e dimmi
rincasi o t'immerdi?
Se mi muoio mostro.
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PRIMAVERA 1
È lontana da me
la amo ma non c'è,
un torpido battito e io
spasmi mischio a paure
esperimenti sinceri pazzie
calcolate. Non è nota che dal
remoto sgorga, ma di tremore
sfogo mortale. Primule narcisi e bucaneve
intorno; roba dentro, fiume arginato dal la distorto.
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PRIMAVERA 2
In vento lontano in arrivo
ritma contento un che, gioia
che spezza inverni che fiori fa,
se il sole c'è. Intanto scaccia
torpori fasulli, gendarmi impazziti,
sradica rami marciti, e impone la quiete.
Non è do la re che dal remoto
sgorga, prima che nota è vera.
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SPECCHIO DI TERRA
Guarda lo specchio,
ci sei tu. No più giù.
Aaaah.
Cesto di terra resta
e incontra di sasso
lo sguardo molle maliardo.
Innocente qualcuno l'ha
scorto, di corvo di volpe
di serpe. Se il poeta lo dice spera
dentro ci sei tu, con tanto di
riflesso, lesto incontri il tu.
Sì, un casco scuro di spettri
un bianco puro di detti,
incontro malizioso e per caso.
Non sembra ma appare l'è
e io che vivo parole di colpo
bum! svanisco in un più.
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TRAMONTO DI FOLLE
e se poi non potrò più?
distratto dai piaceri, finali,
del grigiore che infreddolisce
scaraventando un sole ranscio
dietro il parco del Tassino.
Manco ci andavo volentieri,
la torre rosa stuprava
la vista dell'acqua. Le folle
di canne fumate non sceglievano.
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EHI
Ehi, capelli incazzati
- vocata guarda e gira -.
Resto un ratto per te, raro
mostra magari di amare
ma
la vetrata fra noi
io pavone mi devi mirare
accetti o dinieghi?
Se non fuggo dal se lo so.
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CONTROLLI
Ti tocchi le dita del collo
rimiri attorno, su me non sosti
volto, ieri gioia oggi vide;
lo specchio finto con me fa
falso franto umido fuoco
fra me fra te fa,
intanto ti batti il petto
la mano non mia - ohimé anche le cosce sfiori, in
vano lontano resisto.
Miri me! tentenni,
t'accerta il mio fare,
controlli che tremo per te.
Nel retro del bar scompari,
un balzo - riappari! - è per me?
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INCONTRO DI CACCIA
Le robe: chi penne chi pietre dice,
fischiano prima del precipizio,
leste raccolgono il dentro
affogano, il su nel giù il qua nel là,
incuranti dell'altro ignaro, timorosa
pecora o capra desidera di sapere
e invece sfoga un ruzzolare di sessi
della Breggia, - cascata di ieri -.
Gli occhi della fiorita fremono,
scintillano caccia.
La bestia taglia la strada ed è guerra,
o battaglia d'orgoglio ferito, il suo nido
rubato, dal letargo destato, rotto deserto.
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04.00
Quattro tocchi ancora, oh
filare infinito di follia
agglomerata.
Fiu fiu, festa perversa fotti
caste le genti,
- i ritmi radi di petti di fini urbane frutto, ohi.
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GUAI SE DESTO IL NIENTE
La cameriera spazza
l'occhio mira, non me
briciola, ramazza ceneri e voci
scopa - essere inferiore è -.
Io non musico (più) ancora
rotto specchio discorde
vedo rosso se trovo,
guai se desto il niente.
Svolto vino, scappo
- grido in gola - muto e verso,
torno dentro ad un rosé.
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ALLELUJA INUSUALE
Se mi versi ancora un po'
di vino lasciato decantare
liquido esplodi con me, potrei
anche libero sgorgare un sincero
alleluja inusuale. È quel tanto
di vita bella che mi accompagna.
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PRIVATO DI PITTURA
Non girarti (che) ho paura
mi guardi dal (nel) vuoto
seduta e sfiori il collo
bianco tremo. So che non dovrei.
Mai più qui.
------------------------La solita strega entra (estrosa)
assorda sacchetti di spesa
e tu, soave mia strega,
se mi stani suono.
Lo sai io ti dipingo
e sei in posa,
stento a saper dove
indice e medio stringono
la sigaretta
(non so suonarla così).
Capelli folli, puri germogli
radici, tua terra è l'aria
e io, smarrito e mortale,
t'ho scovata e ne son privo.
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IL GIORNO DOPO
Falso d'autore bacio
sottratto in intrigo notturno,
che peso, che bacio!
Pochi minuti svampiti
pennuti, mi dico: «a casa»
- idée -.
In poco affrescata tela, di ragno;
un furtivo futile sbattere
di ali innamorate
di un'altra non resta.
Forse un gusto di colpa,
per piccini istanti svaniti,
dicono sonno.
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SCUSA
Soffro del fiore che non
fiorisce, soffro del vento
che non svanisce - e
per te - illusa d'amore,
solo vulva, fica.
Voglio volare ma sto.
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FURTO DI FRASE
Commessa in un mare
di morti, inerme murena,
sorridi discorri rivolti ma.
Io spacco tabacco,
sottraggo parole ai presenti
- mi è dolce -.
La solita strega sa
e ora anch'io.
Rombante cerchi un calore,
resto randagio per te.
Sorrido e rubo un colore
Morena.
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SENZA TITOLO
e poi scrivi parole d'amore
sulla musica di un pianto
sgorgato lucido resta pianto.
La favola si spezza il vuoto
si colma affranto.
E il simbolo (mentale esperimento)
che non basta - fumiamoci
accanto - come non dire
le sole parole?
Come imparare ad essere
io, solo e tu, mio piccolo
petardo, anima mia sogno
solitario, sola? Caschi giù
da un altare puerile di re
abbracciata allo scettro
che oggi piange d'amore
e respira finalmente vive
gioisce nel dolore. Che prova
che provi, dell'amore
che spezza unisce ammazza
ristabilisce, poi rinasce.
Ma si confonde nel dolore
oggi che errato è amaro.
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VOLTO CIECO
... e mi dicevano «engagé»!
sotto la fiammella rossa
di un filtro e sigaretta.
Artificio intellettuale da letto
per una donna che non trovo
più
è lì. Cieco volto amore
in dolore, cerco via,
lo sguardo acceso, reso
incerto dal nuvolio di fumo tetro,
rivoltati.
Misero resta il suono giulivo
di un riso di vino bianco,
sauternes e fegato
d'oca.
Tanto un gran movimento
di piazza. Allora grido
«engagé»!
Onda di parte di un'orda
senza sesso.
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TAZZA DI TE
Francesca ti lascio t'uccido
- ritrovo nel vuoto -.
Macchie nere in cielo diurno,
è una tazza da té,
lavorata per me, punto.
Se resto franto e oscuro
senza azzurro, luce, dov'è?
Ti cerca, e svirgola, un sorriso.
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CUORE DI CANE
Cuore di cane afferra
Francesca per la schiena.
Le spezza il sesso forte
di ogni morte il riflesso
rimuove. Inciampo in quella,
cara fiumana di parole.
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FRANCESCA
Francesca,
paziente poetessa pirata
non so scrivere parole,
posso provare paura
essere fedele farfalla;
... e per te far fiorire la luna.
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RANDAGIO ALLA FINE
Anche di scatole e rame
di latta o capelli, di fili;
volerei allora fino alla fine
- all'arcobaleno ma un nido non ho.
Tanto parlare pellegrino fiato
senza trasporto un tanto
di sordo e il resto m'azzoppo.
Il becco secco incontra
femmine buone alla fonte
loro la sete ammorbidisce,
ma un nido non ho
né la forza di creare,
randagio volar di stupide foglie.
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INCHIOSTRO FORZATO
Al tavolo del bar
fra birra carta sigarette
inginocchiarmi non posso
- farei di più -;
il noce lì a guardarmi
mi parla, l'inchiostro.
Mille donne nella via
lavate via, una era mia.
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SUDORE DI TE
Assetato sudato
sonno. Mi vince.
- Sveglia -, è una donna
o un aggeggio che ritma caffé
(violini), e che diffonde
fretta alla testa pensante di birra
andata a male già prima.
Mi - manchi -, dentro. Anche il tuo sorriso,
pure lo sguardo cattivo.
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BAR OASI
Tanto ridi di me,
falsa cortesia la tua.
Tanta fede non ho,
deserto morale in cui stecco.
È un la
di diapason rotto,
che tocca le corde spezzate, legno
compensato da note sviolinate.
Intanto non mi fotti,
prima che agisci parto
- fuggo le fiamme le lingue di fuoco di te. Certo.
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LA FINE
La fine è uno
spasimo felice
che il rimorso rimuove
non rimuove che il rimorso.
Ecco: la fune di sempre,
il filo sparente strattona;
un luccío ne emerge a volte,
per altre vie viene per te.
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UNA VOLTA ANCORA
Figlia sorella moglie e mia
segreto violento svanito
(che io) sapevo consolarti anche
guidarti e in questo sogno
scovarmi, riconoscermi in te.
Troppo ti temo - amore - fiero fuggire
da te per me da me per te;
piccoli gesti piccoli bimbi
lasciati crescere in giardino
metà selvaggi metà urbani
ma mai lupi solitari che alla luna
piangono e sanno.
Chiamerò l'eco di te
oppure caccerò volando
giù da una rupe di roccia,
in cerca di vita che fugge
(coll'intimo bisogno che mangia),
persuaso dal lotto solo convinto
di essere pronto, pronto per te.
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“Ribelle di nemico privo”
di Tommaso Soldini
è il nr 11 della collana Quadra.
L’immagine è di Massimo Giudici
Febbraio 2004
Seconda edizione Aprile 2004
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