la tate di londra, grande serbatoio di idee

Transcript

la tate di londra, grande serbatoio di idee
EI ARAKAWA
MARION VOGEL
I
l conto alla rovescia per l’apertura della Tate Modern (l’estensione di questo ex spazio industriale progettato dallo studio Herzog & de Meuron)
inizia ora. I lavori incalzano, altri finiscono, e in
attesa della sua ultimazione (2016), l’edificio viene
aperto all’arte, alla danza, allo spettacolo performativo (fino al 28 ottobre). Vita, vitalità, mulinelli di
energia. Perché aspettare ancora quattro anni se il
pianoterra è già utilizzabile? E nella sua cruda fisicità
cementizia (così radicale e romantica come un’opera di Uncini) può accogliere una programmazione
che invita artisti emergenti o di fama, in un rapporto a tu per tu con il pubblico, eliminando barriere
psicologiche, oltre che quelle materiali, concrete, di
una platea. Bel modo di celebrare le Olimpiadi. «Qui
io celebro solo gli artisti», afferma Chris Dercon, direttore della Tate Modern, un fiammingo diventato
quasi british ma non troppo, e che si diverte anche
a parlottare in italiano. E che nel gioco dei sosia
potrebbe essere un Michele Placido (e viceversa).
Lui crede fermamente che, in questo secolo, sarà la
danza ad assumere una leadership sulle altre arti, e
detto da un direttore come lui questa affermazione
assume un peso profetico.
«Sia la danza che la moda sono tangibili, accorciano
le distanze con i nostri corpi: siamo tutti capaci di
muoverci, di vestirci. Sottraendo le persone ai videogames nei quali si perdono». Un ritmo ossessivo,
che sembra fuoriuscire dalle stesse viscere dell’edificio, ci guida verso un’ampia sala. Qui la celebre
coreografa Anne Teresa de Keersmaeker ha messo
in scena una sua creazione del 1982, Fase, in una
versione aggiornata. Non si entusiasma facilmente
Chris Dercon, ma per lei sì (e forse c’entra pure una
(r)estate con noi
ha dimostrato il successo degli eventi nella Turbine
Hall. Ora qui vi ha lavorato Tino Sehgal. Espandersi
volumetricamente non è il fine ultimo di un museo.
Abbiamo creato questi spazi Tanks, che chiamiamo
the dark side of the moon, per nuove forme di espressione. Le persone vengono qui per porci grandi e
piccole domande. Non si sentono più rappresentate,
sono stritolate da sistemi astratti. Non capiscono cosa
stia succedendo, e sono felici di essere in relazione
con l’arte. Strutture gerarchiche come le banche pretendevano di fare qualcosa per noi, e invece hanno
agito contro di noi. Ma da sempre le avanguardie agiscono per distruggere le convenzioni», dice Dercon.
«L’arte di oggi deve creare un sistema alternativo o
parallelo per formulare nuovi pensieri. Non si crede
più alla politica, che è solo pubbliche relazioni e marketing. Come dice bene Jean-Luc Godard, è necessario confrontare delle idee vaghe con delle immagini
chiare. Questo è il mio motto. Alighiero Boetti è stato
in questo un maestro. Ma per poter comunicare occorre avere uno stile, non basta il dissenso. Noi qui
abbiamo trovato delle buone immagini. Dei buoni
prodotti di origine controllata, come quelli che si
trovano in Italia. Slow food. La lentezza è molto sexy.
Il museo non si comporta più come un monarca che
mette se stesso al centro. Gli artisti scelti per questa
rassegna passano da una disciplina all’altra. In questi
spazi ci si può muovere liberamente, costruendovi
un proprio tempo».
punta di campanilismo da connazionale...). «Con
l’entusiasmo si gabbano le persone, specie i giovani.
Così li si “carica”, portandoli all’autosfruttamento! Si
agisce su questo anche per farli lavorare gratis, quindi meglio astenersi».
Idee vaghe, immagini chiare. Da direttore di un
museo del XXI secolo, Dercon pensa anche come
un sociologo. Con buone dosi anche di filosofia applicata che lui succhia da autori come Paolo Virno.
«Per sapere come dev’essere concepito il museo del
futuro basta opporsi, ribellarsi a tutto ciò che è scritto in questo articolo sulla Londra di oggi, pubblicato
dal The Economist, e che per me è un monito», dice
brandendo la rivista. Leggendolo si capisce meglio il
Dercon-pensiero. Con tono sciovinista, il giornale, in
17 pagine, non fa che enumerare le prestazioni finanziarie della City. Qui si vende il 60% dei jet privati del
mercato mondiale, qui la crescita del mercato immobiliare di lusso è esponenziale (con il primato di vendita nell’aprile 2011 di un appartamento – al numero
1 di Hyde Park – per 136 milioni di sterline all’ucraino
Rinat Akhmetov) e così via. L’arte diventa allora camera iperbarica. E libera la mente, oltre che i corpi.
Il tipico lavoro dell’artista giapponese Ei Arakawa
(uno dei quaranta invitati a questa rassegna Think
Tank) consiste proprio nel coinvolgere nelle sue performance tra pittura e movimento anche il pubblico
(sono azioni ispirate a quelle del gruppo Gutai negli
Anni 50). La discussione politica torna a farsi protagonista, con Tania Bruguera con il suo progetto Immigrant Movement International. «Il compito di un
museo è quello di creare nuovi pubblici. E la Tate è
diventata un centro di socialità, una agorà, questo lo
La differenza tra casa e studio per lui non esiste.
«Vivo in un appartamento degli Anni 20, anche mio
pensatoio per la creazione. Non sono mai riuscito
a lavorare in loft, spazi enormi, devo avere tutto a
portata di mano, a meno di un metro di distanza.
E così ho affittato sullo stesso pianerottolo anche altri locali a uso
deposito». Una coabitazione forzata con il lavoro. A Stefano Arienti
il produttore di tessuti Miroglio (per il quale l’artista ha anche
disegnato dei pattern delle stoffe) ha chiesto proprio di “allestire” il
suo studio nello stand alla fiera Première Vision di Parigi. Tra pochi
giorni s’inaugura invece il suo progetto alla Fenice di Venezia (a
cura di Francesca Pasini per la Fondazione Bevilacqua La Masa, dal
27 luglio) che ha visto illustri predecessori (come Kentridge) ideare
un’opera video per il sipario tagliafuoco del palcoscenico. Arienti
ha scelto di realizzare un collage filmico con le immagini di 700
custodie di cd di musiche da tutto il mondo. «Un oggetto in declino
del quale io cambio la destinazione materiale».
In toscana
premio henraux
Fondazione Henraux, Querceta, Lucca
Via Deposito, 269
Dal 21 al 27/7
Salire in quota, nelle cave di marmo delle
Apuane, è più di un’ascensione: si entra
nella materia della scultura. Qui hanno
cercato i loro blocchi Moore, Arp, Miró. Ora
tocca ai vincitori del premio lavorare il magnifico statuario per le opere schizzate.
VERONICA GAIDO
Ingrandimenti
Sopra, gli East Tank della
Tate Modern (© Peter Saville,
Hayes Davidson and Herzog
& de Meuron). A destra,
l’estensione del museo vista
da sud. Qui sotto, Chris
Dercon, direttore della Tate
Modern. In basso, l’opera See
Weeds, 2011, di Ei Arakawa.
Che cosa sta preparando
Stefano Arienti
STEFANO ARIENTI
In attesa di inaugurare l’ala nuova, un festival s’impossessa
di alcuni spazi. Incontro con il direttore Chris Dercon
atelier d’artista
DAVID LACHAPELLE COURTESY FRED TORRES
La Tate di Londra, grande serbatoio di idee
Il tuffatore di paestum artwork M.Bertoli
Piaceri&Saperi Arte e Oltre / di Francesca Pini
David lachapelle
Lucca Center for Contemporary Arts
Palazzo Boccella, via della Fratta, 36
Fino al 4/11
il ’900 (raccolte civiche fiorentine)
Galleria d’arte moderna, Viareggio
Piazza Giuseppe Mazzini, 22
Fino al 25/11
Sono nomi di “peso” (da Carrà a Vedova, a
Martini, sotto una sua scultura) ma conta
soprattutto il gesto che fecero. Il critico Ragghianti chiese di donare opere alla città di
Firenze alluvionata (era il 1966). La risposta
fu grande. Molte opere sono qui esposte.
Un’antologica del grande fotografo, dalle
visioni “esagerate”. In mostra le immagini
patinate dei divi, quelle apocalittiche del
diluvio che sommerge i simboli del consumismo. E anche le ultime nature morte rese
barocche dall’inserimento di oggetti.
© riproduzione riservata
106
sette | 29 — 20.07.2012
sette | 29 — 20.07.2012
107