Vita e morte di una teoria - Oltre la Sperimentazione Animale
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Vita e morte di una teoria - Oltre la Sperimentazione Animale
Marco Zito, “Vita e morte di una teoria”, Internazionale 6 giugno 2014 1 Scienza Vita e morte di una teoria Edge, Stati Uniti. Foto di Klaus Pichler Quali idee scientifiche sono pronte per andare in pensione? È la domanda che Edge ha fatto quest'anno a scienziati e intellettuali. Ecco cosa hanno risposto Richard Dawkins, Ian McEwan, Steven Pinker e altri grandi pensatori Internazionale 1054 I 6 giugno 2014 pp. 52-54 Quali sono le teorie scientifiche pronte per essere abbandonate? È la domanda che ha posto quest'anno il sito Edge.org, un forum di discussione sulla scienza. L'obiettivo è accelerare il progresso delle nostre conoscenze. Il dibattito scientifico, infatti, può arrivare a situazioni di stallo come quella descritta da Max Planck, uno dei padri della meccanica quantistica. Planck non era riuscito a convincere il chimico tedesco Wilhelm Ostwald che la seconda legge della termodinamica (l'aumento dell'entropia) non poteva essere dedotta dalla prima (la conservazione dell'energia). “Questa esperienza”, ha raccontato Planck, “mi ha dato l'occasione di imparare un fatto interessante: una nuova verità scientifica non s'impone convincendo gli avversari, ma piuttosto perché gli avversari muoiono e arriva una generazione di scienziati che ha familiarità con la nuova idea”. Nel 1962, il filosofo della scienza statunitense Thomas Kuhn, nella Struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi 2009), ha proposto la nozione di sviluppo non lineare, determinato dal successo di un paradigma e poi dalla sua caduta. Il paradigma, una volta riconosciuto come tale, permette di spiegare i risultati di misure già effettuate e di prevederne altre. Qualunque teoria si scontra con i suoi stessi limiti. Con il passare del tempo, dopo esperimenti più o meno sofisticati, le anomalie si accumulano, la teoria entra in crisi ed è sostituita da una nuova. È il "cambiamento di paradigma". Planck descrive questo passaggio in termini di conflitto generazionale tra i grandi nomi della comunità scientifica, attaccati al vecchio paradigma, e i giovani. La lotta tra i due gruppi di ricercatori permette di eliminare le teorie non valide, ma anche di non abbandonare una teoria accreditata di fronte alle prime contraddizioni fornite da dati Marco Zito, “Vita e morte di una teoria”, Internazionale 6 giugno 2014 2 sperimentali. Per questo ho letto con molto interesse le centinaia di risposte pubblicate sul sito di Edge. È stato come un tuffo nel mare delle idee e delle proposte avanzate dai migliori ricercatori del mondo .♦ adr Marco Zito è un fisico delle particelle presso il Commissariato per l'energia atomica e le energie alternative (Cea). Ha scritto questo articolo per Le Monde. Azra Raza (*) I modelli animali (*) Docente di medicina e direttore dell' Mds centre della Columbia university di Ne» York. Una verità evidente di cui la ricerca sul cancro continua a non tener conto è che i modelli animali non imitano bene le malattie umane e sono essenzialmente inutili per la creazione di nuovi farmaci. Nel 1977 curavamo la leucemia acuta nei ratti con farmaci che usiamo ancora oggi, nelle stesse dosi e per lo stesso periodo di tempo, per curare le persone, con pessimi risultati. Pensate a quanto è artificioso prendere le cellule tumorali umane e coltivarle in laboratorio, per poi trasferirle in ratti il cui sistema immunitario è stato compromesso in modo che non possano rigettare i tumori impiantati, e poi esporre questi "xenoimpianti" a farmaci la cui capacità di azione e il cui profilo di tossicità saranno applicati alla terapia dei tumori umani. E i difetti di questo modello del tutto innaturale affliggono anche altre discipline. Uno studio pubblicato recentemente ha dimostrato che nessuno dei 150 farmaci per la sepsi che sono stati testati spendendo miliardi di dollari ha funzionato, perché erano stati creati in base a esperimenti sui ratti. Purtroppo, quella che sembra sepsi nei ratti si è rivelata molto diversa dalla sepsi negli esseri umani. In un articolo su questo studio Gina Kolata, del New York Times, ha invitato la comunità dei ricercatori biomedici a ribellarsi. Ma un blogger le ha risposto: "Non possiamo basarci su una ricerca circoscritta per dimostrare che i modelli animali sono inutili per le malattie umane". In un articolo per il Jackson laboratory, tre noti scienziati hanno concluso che “la soluzione è costruire modelli animali appropriati e creare le condizioni sperimentali che rispecchiano la situazione umana”. Il problema è che non esistono modelli animali che rispecchiano la situazione umana. Allora perché la ricerca sul cancro continua a usare questo metodo per creare i farmaci? Robert Weinberg, del Whitehead institute dell' Mit, sembra aver dato la risposta Marco Zito, “Vita e morte di una teoria”, Internazionale 6 giugno 2014 3 migliore: “I motivi sono due. Prima di tutto non esiste nessun altro modello che possa sostituire quello dei poveri ratti. In secondo luogo, la Food and drug adrninistration (Fda) statunitense scoraggia l'innovazione continuando a considerare questi modelli il sistema migliore per prevedere l'utilità dei farmaci”. C'è anche un terzo motivo, più legato alla fragilità della natura umana. Troppi laboratori di fama e ricercatori illustri hanno dedicato tutte le loro energie a studiare le malattie usando questi modelli, e sono loro a giudicare i progetti e a decidere come devono essere spesi i fondi per la ricerca. Spesso non sono disposti ad ammettere che quei modelli sono inutili per valutare la maggior parte delle terapie antitumorali. In ultima analisi, quindi, uno dei motivi principali per cui rimaniamo attaccati a questo metodo arcaico è ottenere fondi. Facciamo un esempio. All'inizio degli anni ottanta ho deciso di studiare un gruppo di gravi patologie del midollo osseo chiamate sindromi mielodi-splastiche (Mds), che spesso si trasformano in leucemia acuta. Fin dall'inizio ho deciso di concentrare la ricerca su cellule umane appena prelevate e di non affidarrni solo ai ratti o alle colture di laboratorio. Negli ultimi trent'anni ho accumulato più di cinquantamila campioni di midollo osseo, sangue, cellule prelevate all'interno della guancia, siero e plasma che conservo insieme alle mie annotazioni in uno schedario e in una banca computerizzata di dati clinici, patologici e morfologici. Usando questi campioni, abbiamo individuato alcuni nuovi geni che causano certi tipi di Mds, e una serie di altri geni collegati alla sopravvivenza, alla storia naturale della malattia e alla reazione alla terapia. Ma quando ho usato le cellule di midollo dei malati di Mds per creare un profilo dell'espressione genomica sorprendentemente funzionale per prevedere la reazione alla terapia, e ho chiesto un finanziamento ai National institutes of health (Nih) per convalidare la mia scoperta, mi hanno risposto che prima di cercare una conferma con un eventuale test clinico su soggetti umani avrei dovuto riprodurre i risultati nei ratti. È arrivato il momento dimettere da parte questi modelli almeno come metodo per creare farmaci per le persone. Come diceva Mark Twain: “Quello che ci mette nei guai non è quello che non sappiamo, ma quello che sappiamo per certo che non è così” .♦