Salvatori_LegaNord

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Salvatori_LegaNord
E. Salvatori
Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord : una lezione sull’uso politico della storia
L’Apologia della storia di Marc Bloch si apre con una celebre domanda posta al
grande storico da suo figlio: “Papà, spiegami allora, a che serve la storia ?”. A tutto e
a nulla sarebbe fin troppo facile rispondere. A nulla perché riusciamo benissimo a
sopravvivere senza. A tutto perché in realtà non riusciamo a vivere come individui,
come comunità, come società e come civiltà senza conoscere il nostro passato, senza
tentare di capire, attraverso esso, le nostre origini. La lezione di quest’oggi è dedicata
a una delle pricipali «funzioni» della storia, quella sfruttata maggiormente dalle
istituzioni e dai movimenti politici di tutti i tempi e di tutto il mondo:
l’autolegittimazione.
Civiltà, regni, governi, comunità, gruppi hanno sempre legittimato la loro esistenza o
giustificato le proprie scelte tramite il legame con eventi passati e spesso hanno anche
coscientemente costruito il loro programma poltico attingendo disinvoltamente a
quanto la storia poteva fornire loro. Gli esempi in questo campo si sprecano. Tra
quelli più recenti e ancora impressi nella memoria del grande pubblico si possono
citare i richiami alla romanità imperiale da parte del regime fascista o il
corrispondente legame con il medioevo barbarico da parte della Germania nazista. In
quest’occasione ho scelto di analizzare un esempio ancor più vicino a noi, che
possiamo notare anche passeggiando per strada e dando un’occhiata ai manifesti
politici affissi lungo le strade: l’uso del passato da parte della Lega Nord.
Premetto che in quest’analisi non vi è alcun intento denigratorio del partito politico in
questione, ma solo il riconoscimento che si tratta, dal punto di vista scientifico e
didattico, di un caso illuminante, che consente inoltre di fare qualche considerazione
sul ruolo che la ricerca storica può avere nella nostra nazione.
Vediamo per prima cosa il logo della Lega Nord presente con alcune varianti in tutti i
suoi manifesti :
Analizziamone i riferimenti storici:
1. .La figura che campeggia al centro del logo è, come molti sanno, la
riproduzione della statua di Alberto da Giussano (eretta a Legnano nel 1876),
«eroe» mitico della lotta tra i comuni lombardi e l’imperatore Federico
Barbarossa alla metà del XII secolo. Sovente Alberto da Giussano fu, secondo
la tradizione, l'organizzatore e il comandante della Compagnia della Morte
che, raccolta intorno al Carroccio, contribuì alla vittoria della Lega Lombarda
contro il Barbarossa nella battaglia di Legnano (1176). Relativamente a questo
personaggio dobbiamo tuttavia dire che è interamente simbolico, ossia che
storicamente non è mai esistito con certezza. Le testimonianze che lo
riguardano sono infatti tutte molto più tarde rispetto all’epoca in cui
presumibilmente visse. Ricordiamo che la lotta della Lega Lombarda contro
l’imperatore ebbe cronisti di eccezione che scrissero pagine e pagine su
quell’evento: tuttavia non è possibile trovare il nome di quest’eroe in nessuna
testimonianza diretta. Il mito di Alberto da Giussano - e della lotta eroica dei
comuni contro l’imperatore- si sviluppò invece nell’Italia tardo medievale (nel
XIV secolo) ed ebbe un successo enorme e duraturo, legandosi di volta in
volta alle istanze libertarie o indipendentistiche di città, stati regionali,
movimenti politici e correnti nazionaliste. Molti di noi ricorderanno, ad
esempio, per reminiscenze scolastiche, la Canzone di Legnano di Giosuè
Carducci :
Or si fa innanzi Alberto di Giussano.
Di ben tutta la spalla egli soverchia
Gli accolti in piedi al console d'intorno.
Ne la gran possa de la sua persona.
Torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
La barbuta: la bruna capelliera
Il lato collo e l'ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
Ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
È la sua voce come tuon di maggio.
Nel simbolo, sopra Alberto da Giussano campeggia la scritta «Lega Nord» che
richiama, come l’immagine, i protagonisti della lotta contro il Barbarossa: la Lega
Veneta prima e la Lega Lombarda poi (o Societas Lombardie). Spesso Alberto da
Giussano ha come sfondo la croce di San Giorgio (una croce rossa su campo
bianco), che venne adottata da diverse città italiane nel corso del medioevo e che
compare in numerose illustrazioni relative al Carroccio o carro da guerra milanese
(che a sua volta non fu mai un simbolo federale, ma sempre municipale). Un
ulteriore legame con questo particolare episodio della storia italiana si manifesta
in occasione dei comizi della Lega Nord, spesso tenuti in luoghi simbolo per la
Lega medievale, come Pontida (BG). Anche in questo caso si deve sottolineare il
cosiddetto Congresso di Pontida del 1167, in passato considerato un momento
cruciale nella formazione della Lega, non è storicamente provato. Come nel caso
di Alberto da Giussano, il primo riferimento che lo menziona è infatti molto tardo,
della fine del Quattrocento
Relativamente al significato storico che ebbe la lotta dei comuni contro
l’imperatore e che la Lega Nord intende prendere a simbolo delle sue lotte si deve
dire che fu effettivamente un’alleanza di Comuni lombardo-veneti contro le
pretese fiscali e autoritaristiche di uno stato
(l’Impero germanico), ma è
altrettanto vero che questa alleanza fu contingente, finalizzata a una lotta politica
peculiare, non ebbbe alcuna base etnica, non promosse (nemmeno nelle
intenzioni) la creazione uno stato geopolitico stabile e, infine, che ebbe come
potente alleato uno “stato” dell’Italia centromeridionale, la Roma di papa
Alessandro III.
2. Nel logo, a fianco di Alberto da Giussano, campeggia un simbolo circolare che
rappresenta una stilizzazione della rosa celtica. Il secondo richiamo storico che
riconosciamo riguarda quindi i Celti e a loro si lega indirettamente anche il
toponimo sottostante «Padania». Iniziamo dalla «rosa». Detto anche «fiore a
sei punte» o «sole delle Alpi» la rosa è un simbolo antichissimo, testimoniato
presso numerose civiltà del passato, compresa l’etrusca. Come la svastica
rappresenta probabilemente il sole e il suo potere e non appartenne ad alcuna
civiltà in particolare. «Padania» è un neologismo derivato dall’aggettivo
«padano» a sua volta originato dal nome latino del fiume Po, Padus. Creduta
da molti celtica, l’etimologia di Padus è tuttavia ancora oggi molto
controversa. Se il richiamo alla Lega Lombarda ha carattere politico, questi
tue agganci al passato celtico hanno invece una chiara impronta etnica. In
sostanza la Lega Lombarda vorrebbe riconoscere un’originaria untità etnicoculturale delle popolazioni lombardo-venete e la individua nel momento in cui
il nord Italia era popolato da un insieme di tribù celtiche.
Ma chi erano gli antichi Celti? Su di loro si è detto e si continua a dire tutto e il
contrario di tutto. Di volta in volta sono indicati come i primi veri europei o come
immigrati asiatici, espressione di una civiltà unitaria o mosaico di etnie differenti,
barbari guidati da mistici druidi o civili fondatori di tradizioni culturali
“nazionali”. In Gran Bretagna Simon James, archeologo dell’Università di
Durham, ha di recente tuonato contro la celebre celticità della sua nazione
ritenendola una finzione accademica elaborata nel Settecento. In Francia gli ha
fatto eco Christian Goudineau, professore al Collège de France, dichiarando che
“la Gallia è un’invenzione di Cesare”, con tanti saluti ad Asterix e al druido
Panoramix. Dire che in realtà fossero non è facile. Secondo Daniele Vitali,
archeologo dell’Università di Bologna tra i maggiori esperti italiani “Greci ed
Romani non avevano dubbi sull’esistenza dei Celti né sulla loro area di influenza:
attorno al 500 a.C. lo storico greco Ecateo chiama keltoi gli abitanti dell’entroterra
marsigliese, 130 anni dopo Erodoto sostiene che il Danubio nasce nel territorio dei
Celti; infine Cesare dichiara nella sua celeberrima frase sulla Gallia che quelli che
noi chiamiamo Galli, si definiscono nella loro lingua Celtae. È chiaro quindi che
per gli uomini del Mediterraneo antico gran parte dell’Europa continentale era una
zona abitata da una popolazione che si definiva celtica, la cheltiché”. I Celti
quindi c’erano e occupavano in epoca antica una vasta zona dell’Europa centro
settentrionale. Il problema sta nel fatto che quando andiamo a investigare le
testimonianze archeologiche celtiche, cercandone l’identità comune, da un lato
troviamo una serie di culture simili (facies) sparse in una vasta area, dall’altro
incontriamo però anche una grande varietà di testimonianze che escludono un
qualsiasi elemento sovranazionale. Da qui la recente crisi della definizione stessa
di “civiltà celtica”. Per quello che riguarda i «nostri» Celti, non possiamo
assolutamente parlare di loro come un fenomeno unitario, ma solo riferendoci alle
singole tribù. Cenomani, Boi, Anari, Linoni e Senoni varcarono infatti le Alpi
all’inizio del IV secolo a.C. e si stanziarono in quasi tutta l’Italia padana
giungendo fino alle attuali Marche e, ovviamente, a Roma, salvata dalle
celeberrime oche nel 386 a.C. Quello che arrivò però non era un popolo: era un
insieme disomogeneo di gruppi diversi fra loro e frantumati anche all’interno della
stessa etnia. Ogni popolazione instaurò con Etruschi e Romani rapporti diversi a
seconda dei casi. I Cenomani diventarono i più fidati alleati di Roma, al punto di
frantumare la compagine celtica e di essere poi totalmente “assorbiti” dalla cultura
latina. I Boi, al contrario, si dimostrarono irriducibili e pagarono la loro
ostinazione con lo sterminio e la fuga.
In sostanza, dal punto di vista «storico», i simboli e i nomi a cui si richiama oggi la
Lega Nord non hanno attendibilità alcuna. Ma questo non basta assolutamente a
chiudere la questione. Anzi. Dobbiamo dire che, a dispetto della «non storicità» delle
millantate origini, l’uso strumentale della storia da parte di questo partito politico è
stato intelligente ed estremamente azzeccato.
La Lega Nord è infatti un’organizzazione composita, costituita da un certo numero di
gruppi che hanno in comune delle finalità legate alla decentralizzazione del governo e
al federalismo. Dal punto di vista della politica nazionale la Lega ha da sempre
portato avanti la lotta contro lo stato centralizzato e fiscalmente esigente (Roma
ladrona), ha rivendicato il diritto di comuni e regioni a gestire i propri proventi fiscali,
ha promosso il distacco dalla nazione tramite la creazione di uno stato federale (da qui
gli attacchi alla bandiera e a tutti i simboli della nazione). Fin dai suoi esordi, ma la
caratteristica si è accentuata di recente, la Lega ha poi molto sottolineato la differenza
e diffidenza dei suoi accoliti rispetto agli immigrati, rivendicando il diritto di
difendere la “popolazione padana” dai pericoli derivanti dall’immigrazione, fosse essa
dal sud Italia o dalle aree povere del mondo.
Con queste premesse i riferimenti storici scelti dalla Lega si rivelano indubbiamente
idonei. La Lega Lombarda medievale era un’alleanza di Comuni della valle del Po
che rivendicava il diritto ad amministrare le tasse indirette legalmente dovute
all’Impero. Era inoltre un insieme eterogeneo di Comuni supportati trasversalmente
da tutti i ceti sociali. Riguardo ai Celti l’ignoranza diffusa sulla loro civiltà e la
suggestione e il fascino che da tempo accompagnano tutta la simbologia celtica
hanno dato alla Lega Nord quello che la Lega Lombarda non poteva dargli: la matrice
comune etnico-culturale. Poca importa che questa non sia mai esistita: nel linguaggio
comune “Celtico” significa “originario” e tanto basta. Sul successo di questo uso
strumentale e consapevole del passato credo non possano esserci dubbi: lo
testimoniano tra gli altri le decine e decine di siti internet e di pubblicazioni
attualmente dedicati al retroterra storico padano.
Prima di chiudere una breve considerazione di quale può essere il ruolo di una seria
ricerca storica svolta in ambito accademico nei confronti di un fenomeno come quello
appena descritto e di come certe riforme potrebbero influenzarlo.
Attualmente la ricerca storica accedemica è relativamente poco influenzata dal
successo elettrorale regionale o nazionale della Lega Nord. Relativamente, perché in
realtà le influenze ci sono state. La cronica mancanza di fondi che attanaglia tutti i
settori della ricerca in Italia e ancor più il campo umanistico ha trovato talvolta
sollievo nella sponsorizzazione da parte di enti pubblici (Comuni, Province, Regioni)
di ricerche storiche “a tema”, come ad esempio convegni e mostre sulla figura di
Alberto da Giussano, studi complessivi sul passato di questa o quella regione,
finanziamenti insperati per scavi archeologici sui siti delle tribù celtiche. I soldi
erogati sono tuttavia passati sempre attraverso il filtro dell’alta professionalità dei
docenti e dei ricercatori italiani: questo significa che la richiesta di studi approfonditi
a pagamento non ha influito sulla bontà dei risultati conseguiti. Cosa succederebbe
tuttavia se questo filtro venisse a mancare? Se la professionalità venisse meno? Se il
metodo di reclutamento e di preparazione alla ricerca portassero a uno scadimento
della qualità complessiva o peggio, a un controllo politico sulla ricerca?
Il risultato sarebbe la manipolazione della storia. La divulgazione strumentale di dati
storici a fini politici nelle scuole, nelle università. Il nostro passato è pieno di esempi
simili. Ma siccome “la storia serve”, serve a darci radici, identità e sotanza, rischiare
lo scadimento della ricerca storica significa mettere in pericolo la nostra stessa
identità.