Consiglio di Stato, sez. V, 19 luglio 2013, n. 3939

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Consiglio di Stato, sez. V, 19 luglio 2013, n. 3939
Consiglio di Stato, sez. V, 19 luglio 2013, n. 3939
Edilizia e urbanistica - Titolo abilitativo edilizio - Realizzazione di tettoia - permesso di costruire
– necessità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1605 del 2002, proposto dal Comune di Barletta,
rappresentato e difeso dall'avv. Isabella Palmiotti, con domicilio eletto presso Benito Piero
Panariti in Roma, via Celimontana 38;
contro
Clorochimiplast S.n.c., rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale Malizia, con domicilio eletto
presso Antonio Corvasce in Roma, via Casilina 561;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE II, n. 5711/2001, resa tra le parti,
concernente determinazione importo oblazione e oneri concessori relativi al condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Clorochimiplast S.n.c.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la
parte appellante l’avv. Panariti, per delega dell'avv. Palmiotti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. per la Puglia accoglieva il ricorso proposto dalla
Clorochimiplast s.n.c. per l’annullamento del provvedimento del 27 maggio 1998 con il quale
l’Ufficio Tecnico del Comune di Barletta aveva rideterminato, e richiesto a tale società, ulteriori
versamenti a titolo di oblazione ed oneri concessori relativi al condono edilizio da questa
effettuato per una tettoia abusivamente realizzata presso il suo capannone industriale (pratica
di condono n. 476).
La ricorrente aveva riferito di avere a suo tempo versato a titolo di oblazione la somma di lire
667.000, e nulla per oneri concessori.
L’Amministrazione, con la determinazione impugnata, aveva richiesto l’ulteriore versamento di
lire 6.327.112 a titolo di conguaglio per l’oblazione, nonché di lire 15.767.603 per oneri
concessori.
Il Tribunale adìto, conformemente alle risultanze della consulenza tecnica da esso affidata
all’Ufficio Urbanistico Regionale, riteneva fondato il primo motivo di ricorso, con il quale la
società aveva dedotto che la tettoia, priva di autonomia funzionale in quanto meramente
strumentale al fabbricato industriale, sarebbe rientrata ai fini del condono edilizio nella
tipologia n. 7 della tabella allegata alla legge n. 47 del 1985 (opere non valutabili in termini di
superficie o volume), e pertanto sarebbe stata soggetta per l’oblazione ad un importo forfetario
(non soggetto in quanto tale a riduzione), ed immune da oneri concessori.
Il T.A.R. concludeva, dunque, nel senso che l’oblazione dovuta nel caso concreto era
commisurata alla somma forfetaria di lire due milioni (di cui solo lire 667.000 già corrisposte),
oltre maggiorazione ed interessi, per un importo ancora dovuto, al tempo, di lire 1.661.069.
Ne seguiva il presente appello alla Sezione del Comune di Barletta avverso tale sentenza.
L’Amministrazione opponeva che la tettoia non sarebbe rientrata tra le opere previste dalla
circolare ministeriale n. 1918 del 1977, per le quali si rendeva applicabile l’oblazione
forfetizzata, bensì nella tipologia n. 1 (e non 7) della tabella allegata alla legge n. 47, e
sarebbe perciò stata soggetta a regime concessorio. Ciò, quindi, anche con oneri di
urbanizzazione, che per parte loro avrebbero dovuto riflettere la destinazione di zona
(asseritamente, agricola), e non la destinazione d’uso del fabbricato.
Da qui l’assunta correttezza della liquidazione degli oneri ancora dovuti effettuata dal Comune
con il provvedimento impugnato,
Resisteva all’appello l’originaria ricorrente, che ne eccepiva l’inammissibilità, per il fatto che il
mandato difensivo risultava conferito dal Sindaco in luogo del dirigente competente, e ne
deduceva comunque l’infondatezza nel merito.
L’Amministrazione replicava all’eccezione e alle deduzioni avversarie con successiva memoria,
con la quale insisteva per l’accoglimento dell’appello.
La società con due successivi scritti ribadiva le proprie tesi, illustrando ulteriormente le ragioni
della correttezza della decisione maturata dal Giudice di prime cure.
Alla pubblica udienza del 25 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
1 Il Collegio deve preliminarmente disattendere l’eccezione di l’inammissibilità dell’appello,
sollevata sul rilievo che il mandato difensivo risultava conferito dal Sindaco di Barletta, in luogo
del dirigente competente.
Secondo una uniforme giurisprudenza della Sezione, invero, ai sensi dell'art. 50 comma 2,
d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, che riproduce l'art. 36 comma 1, l. 8 giugno n. 142 del 1990, il
Sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, è l'organo che lo rappresenta in giudizio,
ed è legittimato a rilasciare e sottoscrivere la procura ai difensori dell'ente, senza che occorra
alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da parte della Giunta (C.d.S., Sez. V, 11
novembre 2011, n. 5961; 18 ottobre 2011, n. 5584; 21 gennaio 2009, n. 280; 26 ottobre
2006, n. 6399).
2 L’appello, oltre che ammissibile, è fondato.
2a La Sezione ritiene, invero, che il primo Giudice non abbia qualificato correttamente la
natura della tettoia del cui condono edilizio si tratta.
Il Tribunale, in adesione alle conclusioni della consulenza tecnica appositamente esperita, ha
giudicato che l’opera potesse rientrare tra quelle di manutenzione ordinaria di impianti
industriali. Ciò in quanto la stessa costituiva una tettoia per ricovero di macchinari, e pertanto
un’opera meramente accessoria e funzionale allo stabilimento industriale cui accedeva, e per le
sue modeste dimensioni sarebbe stata inidonea ad incidere sulle caratteristiche complessive
dello stabilimento.
2b L’Amministrazione ha però fondatamente opposto che la tettoia non sarebbe potuta
rientrare tra le opere previste dalla circolare ministeriale n. 1918 del 1977, per le quali si
rendeva applicabile l’oblazione forfetizzata, bensì sarebbe stata soggetta a regime concessorio,
e sarebbe quindi rientrata nella tipologia n. 1 (e non 7) della tabella allegata alla legge n. 47.
2c La giurisprudenza di questo Consiglio è orientata, invero, nel senso che quando una tettoia
sia di consistenza oggettivamente notevole, e quindi tale ex se da alterare in modo
significativo l'assetto del territorio, essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro bene (c.d.
principale), e sia in potenza facilmente smontabile, si sottrae per ciò stesso ad una definizione
in termini di pertinenza, e reclama invece il rilascio di un apposito e adeguato titolo
concessorio (Sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3379; 29 aprile 2011, n. 2549; Sez. II, parere 5
febbraio 1997, n. 336; Sez. V, 9 settembre 1982, n. 666).
Tanto premesso, è immediato osservare che le dimensioni della tettoia in discussione, lungi dal
poter essere definite “modeste”, sono decisamente notevoli: la sua superficie misura infatti
ben mq 231, come si evince dal foglio di “conteggi di superficie” in atti.
Il suo impatto sul territorio è dunque fuori discussione.
2d Per quanto precede, diversamente da quanto deciso dal primo Giudice la tettoia non poteva
dirsi sottoposta ad oblazione in misura forfetaria, ma soggiaceva al regime ordinario di cui alla
tipologia n. 1 della tabella allegata alla legge n. 47, come ritenuto dall’Amministrazione.
Per le ragioni esposte l’appello del Comune di Barletta si rivela già meritevole di accoglimento,
manifestandosi infondato il motivo di gravame accolto a suo tempo dal primo Giudice.
3 Altre due censure ricomprese nel primo motivo dell’originaria impugnativa sono state però
riproposte in questa sede dall’appellata, dopo essere finite assorbite dal T.A.R.. Di esse occorre
pertanto ora occuparsi.
4a La prima di esse è espressione della tesi di parte ricorrente per cui, mentre i maggiori oneri
liquidati dal Comune erano scaturiti dalla considerazione della destinazione propria della zona
in cui l’abuso era stato commesso (asseritamente, zona agricola), in tema di condono edilizio
varrebbe il diverso principio per cui ai fini in discussione non rileverebbe la destinazione di
zona, bensì la destinazione d’uso del singolo manufatto che forma oggetto di sanatoria.
L’Amministrazione appellante deduce tuttavia condivisibilmente l’erroneità di una simile
interpretazione.
All’esito di un’approfondita ricognizione della normativa nazionale e regionale di settore il
Comune osserva, infatti, che nella determinazione degli oneri in questione deve aversi
riguardo, nel contesto regionale interessato, secondo le regole generali, alla destinazione di
zona
dell’ambito
urbanistico
racchiudente
l’immobile
interessato
dal
condono,
indipendentemente dalla particolare destinazione d’uso propria di quest’ultimo.
4b Il punto di partenza della ricognizione normativa da compiere chiama in causa l’art. 5,
comma 1, lett. c), della legge n. 10 del 1977.
Questo, nel porre le basi della disciplina generale degli oneri di urbanizzazione, stabilisce che le
relative tabelle parametriche regionali devono essere commisurate “alle destinazioni di zona
previste negli strumenti urbanistici vigenti”. E siffatta indicazione legislativa statale è stata
puntualmente recepita dal legislatore regionale pugliese con la L.R. n. 6/1979 (il cui art. 20,
come sostituito dalla successiva L.R. n. 66/1979, richiama appunto i Comuni a determinare “i
costi di urbanizzazione per le varie zone del territorio comunale, sulla base delle tabelle B) ed
H) della presente legge”).
Con specifico riguardo al condono edilizio va ricordato che l’art. 37 della legge statale n. 47 del
1985,
dopo
avere
puntualizzato
che
il
versamento
dell’oblazione
non
esime
dalla
corresponsione del contributo previsto dall’art. 3 della legge n. 10 del 1977 per il rilascio della
concessione, ammetteva già allora la possibilità per le Regioni di modificare, ai fini della
sanatoria, le norme di attuazione della legge medesima, commisurando il contributo di
concessione, tra l’altro, alla destinazione d’uso della singola costruzione, con il limite che la
nuova misura non fosse inferiore al 50 % dell’ammontare che sarebbe scaturito dalle
disposizioni già vigenti.
In proposito poi è intervenuta, sempre a livello nazionale, l’analoga previsione dell’art. 39,
comma 13, della legge n. 724 del 1994, come integrato dalla legge 23 dicembre 1996 n. 662.
La norma, peraltro, si è limitata a stabilire, giusta quanto già previsto dall’art. 37 della legge n.
47/1985, che le Regioni possano modificare le loro norme di attuazione della legge n. 10 del
1977, e commisurare senz’altro il contributo di concessione alla destinazione d’uso delle
costruzioni: ciò, però, entro il termine perentorio di 90 giorni, decorsi i quali si applicano le
norme già vigenti.
Orbene, come deduce l’Amministrazione appellante, il legislatore regionale non si è avvalso
della specifica previsione appena detta.
Invero la L.R. n. 14 del 1997, con il suo art. 1, si limita a stabilire –per quanto qui rileva- che
“il contributo per opere di urbanizzazione primaria e secondaria per il rilascio della concessione
in sanatoria è pari a quello determinato dal Comune in base alle leggi regionali 12 febbraio
1979, n. 6, e 31 ottobre 1979, n. 66”. Vale a dire che tale legge si richiama semplicemente alle
norme regionali generali della materia (come del resto già faceva la L.R. n. 26/1985, all’art. 9,
a fronte della simile facoltà accordata dall’art. 37 della legge n. 47 del 1985), regole le quali
sono appunto calibrate sulla considerazione delle singole destinazioni di zona.
4c Per quanto precede, si rivela priva di fondamento di diritto positivo la tesi dell’attuale
appellata per cui nella determinazione dei contributi in discorso dovrebbe reputarsi di rilevanza
esclusiva la destinazione d’uso dell’immobile abusivo.
Del resto, anche nelle ipotesi di non coincidenza tra la destinazione propria del singolo
intervento abusivo e quella, invece, della zona in cui lo stesso è stato realizzato, resta il fatto
che il fabbricato abusivo deve pur sempre fare i conti con lo stato di urbanizzazione della zona
nella quale è stato (per libera scelta) edificato: è quindi pienamente ragionevole che il sacrificio
richiesto all’interessato sia parametrato ai costi di urbanizzazione della zona medesima.
Correlativamente, è logico che una medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a
contribuire in modo diverso a seconda della zona in cui ricade, differente essendo la dotazione
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie zone.
Questa Sezione, d’altra parte, proprio con riferimento alla specifica situazione della Regione
Puglia ha recentemente già adottato l’impostazione qui patrocinata dall’appellante (Sez. V, 26
marzo 2009, n. 1804), osservando quanto segue.
“La norma sancita dall’art. 5, co.1, lett. c), l. n. 10 del 28 gennaio 1977 – applicabile ratione
temporis e confluita successivamente nell’art. 16, co. 4, lett.c), t.u. edilizia (d.lgs. n. 380 del 6
giugno 2001) – nell’individuare gli elementi che l’amministrazione comunale deve prendere in
considerazione per determinare gli oneri di urbanizzazione, inter alios, si riferisce <<alle
destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti>>.
Sulla scorta del puntuale dato positivo:
a) si ritiene in linea generale che non sia consentito scorporare il criterio di quantificazione
degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico
generale (cfr. Cons. giust. Amm., 2 marzo 2007, n. 64; Cons. St., sez. V, 12 ottobre 2004, n.
6564, che ha ritenuto illegittima una quantificazione degli oneri che applichi le tariffe relative
alle zone di completamento anche a quelle di espansione attesa la sostanziale diversità dei
costi urbanistici afferenti le due distinte zone);
b) conseguentemente si ammette solo in via sussidiaria, e comunque per il perseguimento di
preminenti interessi pubblici, che l’ente locale possa valorizzare ulteriori parametri per la
determinazione degli oneri di urbanizzazione, fermo restando il loro aggancio con il carico
urbanistico individuabile per la relativa zona (cfr. Cons. St., sez. IV, 31 dicembre 2007, n.
6834, che ha ritenuto tale l’esigenza di favorire interventi di recupero edilizio in centro
storico)” (sentenza n. 1804/2009 cit.).
4d Per le ragioni esposte, la prima delle censure assorbite dal T.A.R. e qui riproposte risulta
infondata.
5 Meritevole di accoglimento è invece la seconda, con la quale si è tornati a dedurre che la
specifica ubicazione della tettoia di cui si discute era tale per cui la stessa non ricadeva, in
realtà, come altre parti del compendio aziendale, in zona agricola, bensì nella zona artigianale
del P.R.G..
Tale precisa affermazione, che trova pieno riscontro in una conforme planimetria prodotta più
volte
in
giudizio
dall’appellata,
non
ha
infatti
mai
trovato
confutazione
da
parte
dell’Amministrazione, che non l’ha mai nemmeno specificamente contraddetta.
Per questa limitata parte il ricorso di primo grado può quindi essere accolto, con la
conseguenza che gli oneri concessori dovranno essere ricalcolati in relazione alla destinazione
di zona indicata.
6 Quanto ai motivi del ricorso di prime cure che residuerebbero (gli originari secondo e terzo
mezzo), i quali pure nella sentenza del T.A.R. sono finiti a suo tempo assorbiti, non vi è luogo
ad esaminarli, poiché gli stessi non sono stati ritualmente riproposti in questo grado.
L'esame dei motivi assorbiti in primo grado è difatti consentito al giudice d’appello solo se
interviene un'apposita iniziativa della parte interessata. E l’onere di riproposizione dei motivi
rimasti assorbiti esige, per il suo rituale assolvimento, che la parte appellata indichi
specificamente le censure che intende siano devolute alla cognizione del giudice di secondo
grado, all'evidente fine di consentire a quest'ultimo una compiuta conoscenza delle relative
questioni, e alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse. Ne consegue che un
indeterminato rinvio alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contengono, come
nella specie è avvenuto per i motivi di cui si tratta, senza alcuna ulteriore precisazione del loro
contenuto, si rivela inidoneo ad introdurre nel thema decidendum del giudizio d'appello i motivi
in tal modo dedotti (Sez. V, 18 settembre 2003, n. 5322; 20 ottobre 2004, n. 6876; 24
gennaio 2007, n. 250; 19 settembre 2008, n. 4533; Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4313;
Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1219; l’interpretazione è stata confermata anche sotto l’impero del
vigente Codice del Processo amministrativo: cfr. ad es. Sez. V, 16 gennaio 2013, n. 251; Sez.
IV, 19 settembre 2012, n. 4974; 20 giugno 2012, n. 3617; Sez.III, 6 giugno 2011, n. 3371;
13 maggio 2011, n. 2908; 21 febbraio 2012, n. 918).
7 In conclusione l’appello va pertanto accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo
grado, l’originario ricorso introduttivo deve essere respinto, con l’eccezione del profilo
esaminato al paragr. 5, rispetto al quale il gravame di prime cure deve trovare invece
accoglimento.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere equitativamente compensate tra le parti
in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando
sull'appello in epigrafe, lo accoglie, e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata,
respinge il ricorso di primo grado con la sola eccezione del profilo esaminato al paragr. 5 della
motivazione, in relazione al quale tale ricorso è accolto ed il provvedimento impugnato
correlativamente annullato in parte qua.
Compensa le spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.