Il destino tragico della donna. Due capolavori di Kenji Mizoguchi

Transcript

Il destino tragico della donna. Due capolavori di Kenji Mizoguchi
Il destino tragico della donna
Due capolavori di Kenji Mizoguchi
di Giovanni Coppolino Billé
1. La tecnica
Secondo Gilles Deleuze, Mizoguchi è stato un maestro della piccola forma, a differenza del
connazionale Kurosawa che ha privilegiato la grande forma. Non solo: il primo si è occupato in
larga misura dell’universo femminile, a differenza del mondo maschile raccontato dal secondo 1.
Così viene riassunto da René Prédal l’apporto di Deleuze alla comprensione di Mizoguchi:Gilles
Deleuze dedica cinque dense pagine a mostrare come Mizoguchi, che parte generalmente dalla piccola forma (azionesituazione-azione, mentre Kurosawa parte dalla grande: situazione-azione-situazione), lavora la situazione soprattutto a
livello dello spazio (barriere scorrevoli o amovibili, rapporti con la strada): utilizzando, per le sue inquadrature, il vuoto
e i movimenti dei personaggi, Mizoguchi costruisce uno spazio attraverso una serie di contiguità (più che di continuità)
che portano un personaggio o un avvenimento al vertice della propria autonomia, della propria presenza intensiva. I
diversi pezzi fondono lo spazio grazie al movimento della cinepresa e/o del montaggio attraverso collegamenti
graduali. 2
Deleuze coglie con estrema precisione il carattere peculiare del cinema di Mizoguchi nella
costituzione dello spazio e dei suoi pezzi (che è un modo diverso di approccio alla realtà rispetto
all’artista occidentale):
Lo spazio è tanto poco spezzettato che i pezzi così definiti ne formano il processo di costituzione: lo spazio non si
costituisce con la visione, ma con il procedere, l’unità del procedere essendo l’area o il pezzo. Contrariamente a
Kurosawa, in cui il movimento laterale doveva tutta la sua importanza al fatto che incontrava nei due sensi i limiti di un
1
2
Gilles Deleuze, Cinema 1. L’immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1984, pp.220-221.
R. Prédal, Scoperta tardiva di un cineasta moderno, in D.Tomasi (a cura di), Bellezza e tristezza. Il cinema di
Mizoguchi Kenji, Il Castoro, Milano 2009, p.190.
cerchio più o meno grande, di cui era soltanto il diametro, il movimento laterale di Mizoguchi avanza progressivamente,
in un senso determinato ma illimitato, che crea lo spazio invece di supporlo. 3
A questo proposito scrive Santos Zunzunegui:
Non bisogna perdere di vista il fatto che per l’artista occidentale la realtà tende ad apparire come costituita da un gruppo
di oggetti con forme reali stabilite. Tali oggetti possono, nelle relazioni spaziali che li coinvolgono, spostarsi o essere
spostati da diverse forze. Al contrario, nell’arte dell’Estremo Oriente, la realtà si presenta come una rete ininterrotta di
movimento e mutamento, e in essa l’artista sceglie determinati procedimenti che vengono identificati con “oggetti”. 4
Creare lo spazio vuol dire, in altri termini, tracciare linee di universo in grado di connettere gli
elementi eterogenei che rimangono comunque tali. 5 Ora, queste linee presuppongono l’universo
femminile, anzi sono femminili. 6
Partire da Deleuze per comprendere la concezione dello spazio in Mizoguchi è, a mio avviso,
indispensabile per introdurre la tecnica cinematografica privilegiata del regista: il piano-sequenza
(a cui tutti gli altri elementi sono in un certo senso subordinati) 7:
Il piano sequenza ha un limite che consiste in “una scena, un’inquadratura” e altre volte si risolve in ciò che potremmo
definire “piani sostenuti”. Questa predilezione per le inquadrature lunghe si accompagna ad altri due parametri: da un
lato l’uso della profondità di campo, che organizza lo spazio in strati successivi sviluppati nella profondità della
scenografia, e dall’altro la mobilità di una cinepresa che nel suo spostamento sviluppa (molto spesso lateralmente) sotto
3
G.Deleuze, cit., pp. 221-222. Subito dopo scrive anche: “Il problema in fin dei conti, aldilà del raccordo fatto
progressivamente, è quello di una connessione generalizzata dei pezzi di spazio. A produrre questo effetto concorrono
quattro procedimenti che, anche in questo caso, definiscono tanto una metafisica quanto una tecnica: la posizione
relativamente alta della cinepresa che produce un effetto di ripresa dall’alto in prospettiva, garantendo lo spiegamento di
una scena in un’area ristretta; il mantenere una stessa angolatura per piani contigui, producendo un effetto di slittamento
che ricopre le interruzioni; il principio di distanza che vieta a se stesso di oltrepassare il piano medio e permette
movimenti circolari della cinepresa, senza neutralizzare una sola scena, ma sostenendo e prolungando l’intensità sino al
limite dello spazio (…); infine, e soprattutto, il piano-sequenza così come è stato analizzato da Noël Burch, nella
funzione particolare che assume in Mizoguchi, vero e proprio “piano-rotolo” che srotola i pezzi successivi di spazio ai
quali tuttavia sono legati dei vettori di direzione diversa”. (p.222) A questo proposito scrive Santos Zunzunegui: “Non
bisogna perdere di vista il fatto che per l’artista occidentale la realtà tende ad apparire come costituita da un gruppo di
oggetti con forme reali stabilite. Tali oggetti possono, nelle relazioni spaziali che li coinvolgono, spostarsi o essere
spostati da diverse forze. Al contrario, nell’arte dell’Estremo Oriente, la realtà si presenta come una rete ininterrotta di
movimento e mutamento, e in essa l’artista sceglie determinati procedimenti che vengono identificati con “oggetti”.
4
S.Zunzunegui, Declinazione della bellezza. La tradizione giapponese: dall’emakimono allo scroll-shot , in (a cura di)
D.Tomasi, Bellezza e tristezza, cit., p.43
5
(…) il tratto increspato o spezzato è il segno di una o di parecchie linee di universo, natura estrema di questo versante
dello spazio. Mizoguchi è pervenuto alle linee di universo, alle fibre di universo, e non ha mai smesso di tracciarne in
tutti i suoi film, dando così alla piccola forma un’ampiezza ineguagliabile. La linea non è quella che riunisce in un
tutto, ma quella che connette o raccorda gli eterogenei, mantenendoli come eterogenei. (G.Deleuze, cit., p.223)
6
L’idea sociologica di Mizoguchi (…) è al contempo semplice e di una grande potenza: per lui non c’è linea di
universo che non passi attraverso le donne, o che persino non emani da loro, e tuttavia il sistema sociale riduce le donne
allo stato di oppressione, spesso di prostituzione larvata o manifesta. Le linee di universo sono femminili, ma lo stato
sociale è prostituzionale. (Ivi, pp.223-224)
7
Il piano-sequenza è il plan-rouleau di cui parla Noël Burch nel suo Pour un observateur lointain, Editions Cahiers du
cinéma-Gallimard, Paris 1983.
gli occhi dello spettatore uno spazio che sembra nascere in quell’istante. A tali aspetti se ne aggiunge solitamente un
altro: che la cinepresa possa adottare una prospettiva che guarda dall’alto gli eventi (in Mizoguchi molti “piani
sostenuti” sono concepiti con una ripresa dall’alto in leggera pendenza rispetto alla scena). L’ultimo argomento, ma non
per questo meno importante, è che buona parte delle inquadrature del regista giapponese declinano un dialogo tra
campo e fuori campo, occultando o svelando il visibile attraverso tutta una serie di procedimenti ai quali non è estranea
la citata mobilità della cinepresa ma che notoriamente comprendono l’uso privilegiato di mascherini intradiegetici
(caches) che permettono di giocare con la presenza o l’assenza di determinati oggetti o personaggi all’interno del campo
visivo. 8
Sul significato del piano sequenza, in cui all’interno di un’unica inquadratura il regista tratta un
momento della storia, commenta Jean Douchet:
è fondamentale per lui inserire in un’unica struttura il maggior numero possibile di elementi, servendosi dell’intreccio,
della storia che racconta, evidenziando tutti i veri rapporti di forza che si stabiliscono tra i personaggi – e non solo tra i
personaggi, ma anche tra i personaggi e la società. 9
Raccontare storie di vita di grande impatto emotivo è la vera grandezza del cinema di Mizoguchi,
per cui la mia analisi si concentrerà ora su due suoi capolavori, probabilmente i film più famosi del
regista giapponese in Occidente, Vita di O-Haru, donna galante (Saikaku ichidai onna) e I racconti
della luna pallida d’agosto (Ugetsu monogatari) (entrambi vincitori del leone d’argento alla Mostra
del cinema di Venezia).
8
Santos Zunzunegui, cit., p.45. Sul cinema di Mizoguchi nel suo complesso si veda Mark Le Fanu, Mizoguchi and
Japan, BFI Publishing, Londra 2005; Id., Il grande e il meno grande: verso un canone Mizoguchi, in D.Tomasi (a
cura di), Bellezza e tristezza, cit.; Sado Tadao, Mizoguchi Kenji no Sekai, Heibonsha Library, Tokyo 2006; Id. Kenji
Mizoguchi and the Art of Japanese Cinema, Berg Publishers, London 2008; Jean-Luc Godard, Mizoguchi fut le plus
grand cinéaste japonais (1958), trad.it., Il più grande cineasta giapponese, in Il cinema di Kenji Mizoguchi, a cura di
Adriano Aprà, Enrico Magrelli, Patrizia Pistagnesi, La Biennale. Mostra internazionale del cinema, Venezia 1980;
N.Simsolo, Kenji Mizoguchi, Cahiers du Cinema, Paris 2008.
9
Jean Douchet, Mizoguchi: o della complessità più grande a partire da un punto di vista elementare, in D.Tomasi (a
cura di), Bellezza e tristezza, cit., p.34.
2. Vita di O’Haru, donna galante
(Saikaku ichidai onna, 1952)
1. Introduzione al film
Nei film della maturità (gli anni cinquanta), che sono anche i suoi maggiori successi internazionali e
degli autentici capolavori, Mizoguchi rivela in pieno la sua natura di regista “al femminile”. Come
ci spiega Yomota Inuhiko, il regista confeziona i suoi tre film maggiori (ai due citati sopra aggiunge
giustamente anche L’intendente Sansho) semplificando molto i soggetti originali (che vengono
estrapolati dal loro contesto storico) e attualizzando i personaggi al punto di farne portavoce dei
nuovi ideali occidentali emersi nel Giappone del dopoguerra, quali la democrazia e la parità dei
sessi. 10 Con la collaborazione dello sceneggiatore Yoda Yoshikata, Mizoguchi stravolge i testi
originali. Il soggetto di Saikaku ichidai onna è tratto dal romanzo di Ihara Saikaku (1642-1693) dal
titolo Kōshoku ichidai onna (Vita di una libertina), ma il film è completamente diverso. Mentre la
protagonista senza nome del romanzo sceglie volontariamente il proprio destino di amante e
prostituta per soddisfare i suoi desideri sessuali (finchè, invecchiata e caduta in rovina, diventa
monaca buddista), la O-Haru del film è una vittima della società e della mentalità del suo tempo,
che relega le donne ad un ruolo di secondo piano, nonché un personaggio di grande umanità e
sofferenza. Inoltre O-Haru non è più, come nel romanzo, una donna senza figli, ma una madre che
dà alla luce un bambino erede di una nobile famiglia di samurai. O-Haru non è per nulla un
10
Si veda Y.Inuhiko, Mizoguchi e l’immaginazione nei racconti premoderni, in D.Tomasi (a cura di), Bellezza e
tristezza, cit., pp.135-144.
personaggio erotico e, anzi, si pente di tutti gli errori che ha commesso nella sua vita, pur non
avendoli compiuti di sua volontà.
Che Mizoguchi abbia abbondantemente semplificato i soggetti originali, ignorando totalmente il contesto storico che
accompagnava quelle storie, non è certo l’unico elemento da tenere in considerazione. Egli tratteggiava tutti i suoi
personaggi proprio come se fossero persone di epoca moderna. Essi, contrariamente alle loro controparti cartacee, non
pregano più il Buddha, non aspettano con impazienza un miracolo, né, mossi da un crudele animo vendicativo,
mandano in rovina i loro eterni rivali. Completamente distaccati dalla mentalità dei tempi antichi, agiscono in base a
principi umanitari di uguaglianza ben comprensibili agli occidentali. 11
Mizoguchi in questo film non ha voluto semplicemente trasmettere degli ideali generici di
democrazia, ma ha portato fino al parossismo un’aspra critica della mentalità feudale giapponese
con la sua rigida divisione in caste, affermando il tema che gli sta più a cuore: la rivalutazione del
ruolo della donna attraverso il tema dell’amore vero dettato dal cuore e non imposto. Questo è
indubbiamente il film più autobiografico di Mizoguchi: nel racconto della sfortunata vita di O-Haru
è riflessa la vita dell’amata sorella, che ha dovuto sacrificare la propria vita per lui e la sua famiglia
molto povera lavorando prima come geisha e diventando poi concubina del visconte Matsudaira
(non è un caso che il nome Matsudaira compare nel film come appartenente alla famiglia a cui la
protagonista, da concubina del signore della casa, darà un figlio). Emerge con chiarezza il tema
della donna che si sacrifica, e per questo è il film di Mizoguchi in cui il tema del dolore e della
sofferenza si esprime al suo apice proprio nella figura della protagonista. Il film dunque non va letto
come un omaggio alla moda del momento, né come un’opera melodrammatica. Il suo unico limite,
se di limite si può parlare per un capolavoro assoluto, è che le vicende negative che colpiscono la
protagonista si succedono a ritmo continuo e in grande quantità, e per questo si corre il pericolo che
lo spettatore sia portato all’assuefazione, rovesciando la sua percezione emotiva ed empatica del
dolore in muta rassegnazione o, peggio, in un distacco psicologico. Ma proprio per questo il film
recupera come nessun altro l’antico pathos tragico: il destino tragico è il vero protagonista del film
che, attraverso la modernità delle vedute che vuol trasmettere innanzitutto alla società nipponica,
vuol fondare nuovi valori universali soltanto attraverso la dissoluzione del mito. E’ legittima
un’operazione del genere in epoca moderna? Sul piano dei temi affrontati indubbiamente sì, mentre
sul piano strutturale è obsoleta e destinata inesorabilmente a fallire come tutti i tentativi di
riattualizzare il tragico. 12 René Prédal coglie bene en passant questo aspetto nelle opere maggiori
di Mizoguchi quando scrive: «Si tratta piuttosto, in effetti, dell’arte di trasformare i soggetti
melodrammatici in tragedia grazie a un senso magistrale della distanza». 13 Se non si comprende
però il significato di destino tragico della protagonista del film, si rischia di deformare
completamente il messaggio sulla donna che Mizoguchi vuol trasmettere con questo film. Questo
accade nella lettura di Maria Roberta Novielli che, assegnando lo stesso unico significato al tema
della donna in tutta la produzione del regista, e non vedendo quindi la differenza essenziale tra
questo e tutti gli altri film precedenti del maestro (differenza che si basa proprio sul destino tragico)
così scrive:
Ma in questo caso più che mai, Mizoguchi rivela il suo approccio “sadico” alla donna: ogni singola tragedia in cui OHaru incorre è una lacerazione più profonda della precedente; a un’apparente conquista si lega una frattura più dolorosa;
11
12
13
Ivi, p.138.
Su questo punto si veda W.Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi, Torino 1980.
R.Predal, cit., p.186
alla corruzione della vita si unisce quella del corpo, deturpato dall’età; tutto ciò che questa donna ama, le viene sottratto
con crudele ricorrenza. L’ambiente in cui la donna si muove (quasi uno scivolare, con gesti leggiadri, in una sorta di
danza pacata) è nettamente claustrofobico, non solo nelle austere architetture, ma anche nelle scene in cui prorompe una
natura selvaggia, senza limiti, che pare inghiottirla e disperderla (in particolare nella coltre di nebbia che segna la sua
perdita in vecchiaia). Mai
come ora ridotta al solo corpo mercificato, la donna di
rassegnazione, ed è evidente quanto il regista non simpatizzi per lei.
Mizoguchi sconta la sua
14
In realtà qui non c’è alcun sadismo di Mizoguchi, e la simpatia per la protagonista non è mai stata
così forte come in questo film. Si può considerare Sofocle sadico per aver portato a sofferenze
sempre più grandi Edipo e la sua famiglia? O-Haru tenta invano di non rassegnarsi al suo destino in
nome dell’amore vero e degli affetti, ma alla fine, come in un contesto tragico, accetterà la sua sorte
mestamente senza perdere nulla dei suoi sentimenti umani. Allo stesso modo, Philippe
Demonsablon, soffermandosi soltanto sulla struttura stilistica del film, ne sottolinea il carattere
picaresco:
Il personaggio centrale non si distingue che per il fatto di riunire in sé una serie di avventure straordinarie, ma nulla
nella sua vita si stringe o si allarga (…). L’emozione non vi svolge alcun ruolo (…). L’avventura chiama alla
riflessione, non alla compassione. 15
Non si capisce quali siano le avventure straordinarie, quello che si coglie sono solo esperienze
dolorose, assolutamente non volute né cercate dalla protagonista, che è una vittima rassegnata al suo
destino. Mizoguchi riesuma la tragedia nel destino di O-Haru, ma non raggiunge l’autentico pathos
tragico in quanto rimane nel contesto della colpa da espiare (pur non essendo colpevole), senza
avere la forza di ribellarsi: non c’è passaggio alla consapevolezza, come nell’Edipo di Sofocle, che
«solo chi ha agito volontariamente è colpevole e responsabile delle sue azioni». 16 Pertanto il
tentativo di Mizoguchi di riattualizzare il tragico fallisce e si fa dramma, nello stesso senso in cui
Walter Benjamin lo ha visto negli autori tedeschi del teatro barocco.
O-Haru rimane vittima rassegnata del sistema sociale patriarcale in cui vive, ma anche della sua
bellezza (che si può scambiare con il denaro):
La forma dunque come prigione. Ma la forma non è solo quella del corpo perfetto, è anche quella del sistema di regole
che governa la società. Ed è proprio per aver infranto le regole di questo sistema, cedendo all’amore di un modesto
samurai, che O-Haru avvia il suo calvario, imboccando la strada della rovina e della perdizione. 17
14
M.R.Novielli, Sfumature d’ombra: percorso nel mondo muliebre del cinema di Mizoguchi, in (a cura di) D.Tomasi,
Bellezza e tristezza, cit., p.201.
15
P.Demonsablon, Qui naquit à Newgate, «Cahiers du cinéma», marzo 1954, n.33, pp.57-60 (citato anche in R.Prédal,
cit., pp. 179-180).
16
Si veda Eva Cantarella, Prefazione a Sofocle, Antigone-Edipo Re, Bur, Milano 2012, p.VI.
17
D.Tomasi, Kenji Mizoguchi, Il Castoro Cinema, Milano 1998, p.131.
2. L’inizio del film
O’Haru velata mentre cammina nell’incipit del film è il simbolo della vecchiaia che si vergogna di
sé, che ha pudore del tempo che passa inesorabile sul volto un tempo bello della donna. Perciò la
protagonista racconta alle altre prostitute un «incidente della mia vita perduta» con un sorriso
ironico (perché consapevole): l’episodio con un uomo che l’adesca per strada per portarla da altri
uomini e mostrar loro la vanità dei piaceri della carne e della bellezza delle donne attraverso il viso
di O’Haru illuminato da una lanterna. L’episodio qui solo raccontato ritornerà alla fine del film
vissuto direttamente dalla protagonista, e costituisce il trait d’union dell’intero film tra l’incipit, il
lungo flashback e la conclusione che ritorna all’inizio. La realtà si sta trasformando in O’Haru in
immagini di sogno: non più racconto ma visione nitida di un unico grande bisogno, l’amore.
L’ingresso al tempio, le tante statue di Buddha intorno, il primo piano di O’Haru mentre si
inginocchia (simbolo di pentimento ma anche di restituzione della propria vita affidandosi al
giudizio di qualcosa di più grande). Da questo momento in poi l’oggetto del racconto filmico
comincia a trasformarsi pian piano in soggetto che vive soltanto delle sue immagini-ricordo che si
materializzano sulla scena. Il punto di passaggio è l’allucinazione a più riprese su una statua che
scambia per il suo primo e vero amore, Katsunosuke. La musica, il gesto di togliersi elegantemente
il velo dal capo, il suo appoggiarsi ad una colonna danno inizio al lungo flashback del film.
3. L’amore vero
Il punto di contatto della realtà con il ricordo è la visita al tempio che giustifica l’uscita dalla Corte
imperiale in cui viveva con i suoi genitori (il padre era un samurai). Il suo amato si inventa una
scusa per incontrarla più tardi e poi avviene l’incontro vero e proprio. La diversa condizione sociale
fra di loro viene sottolineata da Mizoguchi (come in altre scene del film) dalla postura impari:
Katsunosuke, umile servo di un samurai, sta in ginocchio, lei in piedi; lui le dichiara il suo amore e
lei gli volta le spalle. Quando lui le parla del suo amore devoto aprendo le porte della stanza (segno
di apertura all’amore della sequenza successiva) le dice chiaramente che il prestigio sociale non fa
la felicità, che una donna può essere felice soltanto se si sposa quando c’è amore vero; lei cede
all’amore, poi sviene e viene trovata dalla polizia insieme a lui. La sentenza del Magistrato
Amministratore della Religione non può essere di clemenza di fronte alla colpa di aver avuto una
«condotta disonorevole con una persona di rango inferiore». La sua condanna è l’esilio con i
genitori: accettano la sentenza senza protestare e vengono accompagnati dai familiari fino al
confine della città (rappresentato da un ponte). Schermo nero di pausa. Nel nuovo alloggio il padre
l’accusa di avere distrutto l’onore della famiglia: la postura è asimmetrica, lui in piedi, O’Haru in
ginocchio. Lei vuole difendere l’amore vero, ma la postura dice chiaramente che è destinata a
soccombere. Per Katsunosuke c’è la condanna a morte per decapitazione. Prima di morire manda un
ultimo messaggio a O’Haru in cui le scrive di assicurarsi di sposarsi solo quando ci sarà amore
reciproco, e infine lancia il messaggio universale che Mizoguchi vuole trasmettere alla società del
suo tempo: «Spero che giunga il tempo in cui non ci saranno più distinzioni sociali e potremo amare
liberamente». Poi la decapitazione al grido Mia dolce O’Haru. La madre le porta di nascosto il
testamento dell’amato e lei vorrebbe morire, ma la madre glielo impedisce e allora piange disperata.
4. La donna – oggetto.
La scena successiva ci introduce in una nuova storia di O’Haru. L’incaricato del signore di
Matsudaira 18 cerca una concubina a Kyoto perché la moglie del suo signore non può avere figli e il
clan rischia di scomparire senza eredi maschi. Si reca da un commerciante, Kahei, per farsi aiutare a
trovare un’autentica bellezza. In queste scene appare chiaramente la denuncia di Mizoguchi della
concezione della donna – oggetto, resa oggetto cioè della libido del maschio che si esprime prima
nella stampa di una ipotetica bellezza ideale srotolata e appesa alla parete centrale della stanza e poi
dall’elenco dettagliato delle caratteristiche che dovrà avere la donna ideale: età tra i 15 e i 18 anni,
viso tondo, occhi non troppo piccoli né troppo vicini, belle sopracciglia, bel naso, bocca piccola,
denti bianchi, orecchie non evidenti o grandi, collo lungo, capelli in ordine, dita artistiche, unghie
graziose, piedi piccoli (21-22 cm), rotondità alla vita, fianchi a forma di campana, senza nei,
attraente. Vengono radunate in un cortile le ragazze più belle di Kyoto (è un vero e proprio mercato
delle donne) dove l’incaricato può scegliere la ragazza che fa al caso suo. La scelta si rivela
impossibile perché anche le bellezze più autentiche hanno almeno un particolare in discordanza con
le caratteristiche della bellezza ideale. L’occasione propizia arriva invece quando assistono ad una
lezione di canto e danza che un maestro cieco di Edo impartisce a ragazze di buona famiglia.
Naturalmente viene scelta O’Haru, che è l’oggetto femminile per eccellenza del film. Kahei va a
trattare il prezzo con la famiglia, che si sente molto onorata dell’inaspettata fortuna che può
riscattare il passato della figlia. Lei vorrebbe restare fedele al suo vero amore, ma il padre la obbliga
con la forza ad accettare la proposta. Su questa sequenza Santos Zunzunegui sottolinea un tipico
procedimento di profondità del piano sequenza nel cinema di Mizoguchi «attraverso la
18
A proposito di questo buffo personaggio, A.Masson scrive: “l’emissario venuto in cerca di una genitrice capace di
procurare una discendenza al signore Matsudaira (…) riesce solo dopo qualche tempo a scrollarsi di dosso il sobbalzare
che il viaggio in palanchino ha impresso al suo corpo (…), i suoi movimenti rimangono accelerati, rapidi, erratici,
discontinui. Incapace di rimanere in piedi o seduto, non si controlla, comunica quel ritmo a scatti a tutti, e un gesticolare
peggiorativo regna fino al momento in cui, nella sequenza seguente, l’uomo si ricompone.” (in op.cit., pag.60)
combinazione del progressivo sviluppo di un piano – rotolo (scroll - shot) dominato dalla lateralità,
seguito da un accordo di chiusura in cui l’azione finale si risolve di solito con il gioco spaziale di
una profondità di campo che si sviluppa in tutta la sua virtualità». 19 Con un’inquadratura prima
dall’alto e poi in campo medio e a distanza al suo arrivo a palazzo l’oggetto O’Haru viene
sottoposta al controllo del medico che ne accerta l’idoneità fisica a fare un figlio degno del nome
del clan. A questo punto emerge anche la figura della donna rivale in amore e gelosa nella signora
di Matsudairo che non l’accetta fin dall’inizio: la postura dell’incontro è sempre indicativa dei
rapporti di forza, con la padrona di casa in piedi e O’Haru in ginocchio davanti a lei e a viso basso.
La postura ci informa fin dall’inizio che non ci sarà un rovescio della situazione e che O’Haru sarà
sempre soccombente. La signora è visibilmente turbata da questo arrivo e lo si vede chiaramente nel
successivo spettacolo musicale di marionette. L’amore per l’arte di Mizoguchi emerge anche nella
sequenza in cui indugia sullo spettacolo della musica Kanigata, a
cui aggiunge la sequenza significativa in cui la moglie guarda con
odio in un’unica inquadratura contemporaneamente O’Haru e il
marito che assistono compiaciuti allo spettacolo. La moglie in
questo momento è in secondo piano, come sottolinea Mizoguchi
nell’inquadrarla riflessa nel paravento. Guarda di nuovo
indispettita per un attimo la sola O’Haru e poi si alza ed esce
seguita dalle ancelle, consapevole di aver ceduto il suo posto
(anche se solo momentaneamente, ma ancora non può saperlo).
E’ pienamente giustificabile il risentimento della signora di Matsudaira, in quanto in quel momento
si sente non solo minacciata nella sua posizione di prestigio affettivo, sociale ed economico come
moglie di un potente signore, ma anche e soprattutto si sente impotente nel non poter utilizzare il
potere naturale delle donne di quell’epoca feudale di partorire un figlio al marito. Mai però,
nonostante il turbamento, nelle sequenze che la vedono protagonista, perde il suo contegno nobile e
altezzoso, perché lo scopo di Mizoguchi è di non far perdere mai di vista il ruolo di vittima sociale e
del destino della protagonista del film. Nasce l’erede maschio tanto atteso e già nel dialogo di
O’Haru con la serva si comprende che le sue speranze di cambiamento sociale saranno disattese. La
serva infatti corregge la sua gioia di aver partorito un figlio a Matsudaira e di averlo portato in
grembo, invitandola a dire (e a pensare) che è stata indotta a portare un bimbo in grembo.
O’Haru dunque rimane donna – oggetto contro le sue aspettative.
Nella sequenza in cui entra la signora di Matsudaira e le ancelle
portano via il bimbo per allattarlo si comprende bene che O’Haru
(che non può dare il suo latte) è destinata a non essere madre.
Viene allontanata dal palazzo e riportata a casa dei genitori perché
non serve più. Il padre, che nel frattempo si è indebitato
approfittando della posizione della figlia, se la prende con lei e
19
S.Zunzunegui, op.cit., pag.46. Nella sequenza specifica abbiamo “uno scroll-shot sviluppato in tre “stazioni”
successive che ci conducono dall’esterno del palazzo fino ai margini della foresta e poi in profondità quando la
protagonista viene spinta verso il bosco a causa dei maltrattamenti del padre.” (ibidem)
piange disperato per i suoi debiti. Così decide di vendere la figlia per risolvere i suoi guai facendola
cortigiana nel quartiere di Shimabairo, dove ha inizio la scena successiva.
5. Il denaro e la prostituzione
Un uomo ricco 20 mostra il suo denaro e gli vengono offerte le cose migliori. Mentre O’Haru danza
davanti agli ospiti della casa, il ricco getta un po’ di denaro per terra e le donne si azzuffano per
prenderlo. In questa sequenza Mizoguchi mette in luce la sua concezione della prostituzione: la
prostituta è una merce che scambia il suo corpo per il denaro, in quanto viene comprata. O’Haru
invece non lo è, perciò nella sequenza successiva lo rifiuta e lo getta disgustata. Il proprietario non
può accettare questa logica perché una donna comprata è una merce da scambiare con il denaro e la
vuole licenziare, allora O’Haru si inginocchia e promette di cambiare atteggiamento. Mizoguchi
introduce di nuovo la postura che fa capire subito quali sono i rapporti di forza: lei in ginocchio
rappresenta la sconfitta del vero amore, il proprietario in piedi è invece il simbolo dei valori sociali
ed economici (in questo caso legati esclusivamente al potere del denaro). Quando apprende che il
ricco signore, anziché essere offeso dall’atteggiamento della ragazza, la vuole comprare per
sposarla, lui cambia atteggiamento con lei e la invita ad essere carina con lui. I rapporti di forza in
questa sequenza cambiano però solo apparentemente: è sempre la logica del denaro e della
prostituta come merce di scambio che sono in primo piano, e l’amore non c’entra nulla con le
intenzioni del ricco di sposare O’Haru. Infatti, subito dopo, attraverso un breve discorso del falso
ricco, Mizoguchi descrive chiaramente la logica della società del suo tempo (e di ogni tempo): «Con
i soldi posso controllare le persone e le cose come mi pare. Tutti mostrano deferenza davanti al
denaro. I soldi sono tutto. Non c’è niente di più grande».
Il ricco in realtà è un falsario e subito dopo viene catturato e arrestato. Schermo nero di stacco
prima della scena successiva che introduce una nuova storia.
6. Il riscatto impossibile
O’Haru torna a casa, dialoga con la madre, ascolta una canzone triste di un’ex cortigiana che, seduta
a terra, suona lo shamisen (strumento tradizionale giapponese), prova compassione e le dà dei soldi.
Sulle note della canzone pensa al suo destino così simile. Il pessimismo di Mizoguchi qui è chiaro:
solo chi ha sofferto veramente e ha perduto tutto può immedesimarsi nel dolore degli altri. E che la
compassione non possa essere universale lo dimostra la scena seguente.
20
A.Masson a proposito di questo personaggio che si rivelerà un falsario scrive: “In contrasto con i percorsi delle
signore e delle serve, il suo ingresso obliquo ed esitante nel vestibolo e poi nell’atrio aggiunge alla caratterizzazione del
nuovo venuto un’identità da personaggio venuto da lontano, rozzo, ingenuo. Insomma: una personalità. E’ un falsario?
Certo, ma che ingenuità! Distribuirà le sue monete a piene mani e ammirerà ancor più O-Haru per il suo rifiuto in
quanto attribuisce loro un potere magico. Più ancora delle sue sbruffonate, il suo stile gestuale lo ha dipinto come un
uomo che, per mancanza di savoir-faire e di cautela, è gettato per sempre nell’azione, con l’audacia propria dei timidi.”
(in op.cit.,pp.58-59)
Viene chiamata dal commerciante Kahei e dialoga con la moglie che le fa giurare per iscritto di non
rivelare il segreto che le dirà. La vuole tenere con sé per farsi sistemare i capelli che in realtà sono
finti, in quanto li ha persi durante il decorso di una malattia. Non vuole che il marito si accorga che
è calva, e vorrebbe adottarla per trovarle marito. Un commesso del negozio la guarda
insistentemente e poi l’aiuta a preparare il tè per un ospite appena giunto che rovescerà
definitivamente la situazione. Infatti riconosce O’Haru come una cortigiana di Shimabairo e lo
rivela a Kahei e alla moglie. Questa, complessata per l’handicap dei capelli, diventa gelosa, teme
che O’Haru le rubi il marito e allora vuole costringerla a tagliarsi i capelli per non piacere al marito
e anzi glieli taglia lei con la forza ( per fortuna solo in parte). Il sodalizio tra le due donne dura
quindi poco perché per Mizoguchi la compassione è un sentimento che non si può provare quando
ci sono ancora interessi in gioco e non si è perduto tutto. O’Haru non può più riscattare il suo
destino: approfittando dell’assenza da casa della moglie, Kahei abusa sessualmente della donna
senza darle nulla in cambio. Allora O’Haru si vendica, mandando di notte un gatto nella camera dei
coniugi a rubare la parrucca della moglie. Nel trambusto che ne segue, Kahei scopre la calvizie
della donna. Chi non ha avuto compassione, non merita compassione e Mizoguchi lascia questa
donna al suo destino di infelice senza farci sapere più nulla.
7. L’amore coniugale
Ad un certo punto sembra che finalmente l’amore possa trionfare e che O’Haru possa riscattare il
suo passato di sofferenze. Un giovane uomo di nome Yachihi, che sta per aprire un negozio di
ventagli in città, si innamora di O’Haru ma, essendo timido, è tramite il padre di lei che le chiede di
sposarla. La donna mantiene la promessa fatta a suo tempo al suo primo amore Katsunosuke e si
sposa per amore. Mizoguchi però fa un’ellisse e sposta l’attenzione direttamente sulla vita coniugale
già iniziata e precisamente sul negozio. Ci renderemo presto conto che non è un caso, in quanto la
sua analisi del destino tragico non gli permette di soffermarsi sulla felicità coniugale che durerà
poco. Il marito va fuori città a fare una consegna e la felicità della coppia traspare solo
indirettamente, attraverso il dialogo di O’Haru con una cliente che entra con la figlia nel negozio
per comprarle un ventaglio. La sera stessa le portano il marito morto in barella, ucciso
probabilmente da un ladro. Il marito tiene in mano un obi che le aveva promesso di regalarle. La
felicità dunque non può durare, il destino avverso si abbatte continuamente sulla vita di O’Haru, e
l’amore vero non si potrà realizzare, secondo il pessimismo tragico di Mizoguchi.
8. L’amore spirituale
La scena successiva inizia con un’inquadratura dall’alto e poi in campo medio. O’Haru dialoga con
una monaca in un convento, che le spiega ciò che lei ha già sperimentato sulla sua pelle, cioè che
ciò che è bello al mattino si tramuterà in ossa la sera. O’Haru dice alla monaca che è rimasta vedova
senza avere nulla dal marito e che ormai vuole diventare monaca e servire Buddha. Mizoguchi
sposta subito la scena sul motivo venale che impedirà a O’Haru persino di cercare di trovare
l’amore spirituale: un commesso di Jihei, Bunkiki, ha prestato di nascosto dei soldi a O’Haru (che
ne aveva bisogno per comprare la stoffa per dei kimono) lasciando un conto aperto; il padrone se ne
accorge e gli intima di andare a riprendersi il denaro altrimenti lo farà lui. Ed è proprio lui infatti
che si reca al tempio a chiedere il denaro a O’Haru. La donna non può restituirgli i soldi, allora si
toglie di dosso il kimono per darglielo in pegno e Jihei approfitta di lei un’altra volta.
La monaca entra nella stanza e li sorprende. Nel discorso della monaca con O’Haru ritorna la
postura asimmetrica, la prima in piedi che parla senza chiedere spiegazioni e la seconda in
ginocchio a rappresentare il peccato e la colpa. A O’Haru il destino tragico impedisce di trovare la
pace spirituale. Anche se non ha mai voluto esserlo, O’Haru è una prostituta agli occhi degli altri: la
monaca glielo dice e glielo dirà anche Jihei quando nella scena successiva la troverà insieme a
Bukichi che, nel frattempo, aveva rubato dei soldi ed era andato a cercarla.
9. Prostituta come destino
Con un’inquadratura da lontano che man mano si avvicina fino al primo piano, Mizoguchi ci mostra
O’Haru che, come la mendicante di prima, canta una canzone molto triste seduta ai bordi della
strada con lo shamisen. I primi piani di O’Haru avvengono sempre nei momenti di maggiore
sofferenza e degrado della donna: ora è visibilmente invecchiata, scapigliata, sporca, vestita
miseramente. Si alza al passaggio di una portantina che si ferma per un attimo: vede il figlio ancora
bambino da lontano, di nascosto, e poi lo guarda mentre i servi si allontanano con lui. Ora sta
inginocchiata (è il momento della massima sconfitta), si copre come può, piange la sua condizione.
Due prostitute hanno compassione di lei (sentimento che solo chi sta ai margini della società
conosce, secondo Mizoguchi) e la portano alla loro casa. Le donne sono invecchiate e si fanno belle
con la toilette per fare il loro mestiere. La convincono a fare la prostituta: O’Haru non ha
nessun’altra possibilità di scelta che accettare il suo destino degradato per poter sopravvivere. La
vediamo in strada dietro un muretto che cerca di adescare dei passanti. Prima viene rifiutata da due
uomini, poi un uomo si ferma a guardarla con la lanterna mentre lei nasconde il viso con il velo. Poi
lo segue in un casolare e la scena mostra ciò che in quella iniziale lei ha soltanto raccontato alle
altre prostitute. Abbiamo all’inizio un’inquadratura dall’alto. L’uomo la invita a parlare con la sua
voce naturale; subito dopo la fa avvicinare agli altri uomini seduti a mangiare. Le toglie il velo e
mostra il suo volto agli altri con la lanterna. La chiama vecchia strega, lei cerca di nascondersi come
può, lui invita i commensali a rinunciare ai piaceri della carne perché anche la bellezza è una cosa
effimera. Le dà i soldi e la manda via. Prima di congedarsi, dando le spalle, O’Haru dice loro:
«Potrete sempre ricordare di aver incontrato faccia a faccia una vera strega». Poi si avvicina verso
di loro imitando una gatta che graffia e ride. 21 Mizoguchi ripropone la prima sequenza del film
quando O’Haru, appena congedata, cammina per strada con il volto coperto.
10. La sconfitta definitiva dell’amore
Finisce il lunghissimo flashback. Si avvicinano due donne mentre lei piange. Primo piano di lei, poi
immagini sfocate, si alza lentamente, barcolla, cade a terra svenuta. Mentre è a letto malata, viene a
trovarla sua madre. Le dà una buona notizia: un servo del palazzo è andato da lei a dirle che lei e
O’Haru possono vivere a palazzo Matsudaira dove il nobile signore è morto e gli è succeduto il
figlio della donna. Invece i nobili del clan, a causa dei suoi trascorsi di cortigiana e prostituta, per la
vergogna decidono di mandarla in esilio. Le sarà concesso di vedere per un attimo il figlio e di
dirgli addio. Siamo nella sequenza più bella e significativa del film: quando vede il figlio
sopraggiungere si alza, lui prosegue senza riconoscerla e lei lo segue, mentre lui non la degna di
uno sguardo. I servi prima le impediscono di avvicinarsi, poi glielo consentono, infine la riprendono
e la portano indietro. Questo atteggiamento di avvicinamento/allontanamento alla figura tanto
desiderata del figlio serve a Mizoguchi per rendere la dinamicità dell’azione e la conflittualità tra
l’amore materno da un lato (l’avvicinamento) e l’impossibilità totale della sua realizzazione
(allontanamento). O’Haru è stata allontanata, per colpa del destino tragico e delle convenzioni
sociali, sia dall’amore materno che da quello coniugale (e persino, come abbiamo visto, da quello
spirituale). L’atteggiamento assolutamente distaccato e impassibile del figlio simboleggia in modo
chiaro questo rifiuto. O’Haru è vittima della società e del destino sia come donna che come madre.
Lei scappa dalla presa dei soldati e si nasconde. La ritroviamo nell’ultima sequenza fare la
mendicante porta a porta. Il suo destino tragico è compiuto: da prostituta che vive ai margini della
società a mendicante che sta al di fuori perché rifiutata definitivamente. Scrive Dario Tomasi:
Il finale del film può infatti essere letto, come da molti è stato fatto, nel segno della trascendenza: il vagare di O-Haru
monaca mendicante è infatti il superamento delle contraddizioni terrene attraverso l’ingresso in un mondo diverso, fatto
di valori puramente spirituali. Ma è certamente anche altro: è il sottrarsi alla legge di un sistema patriarcale portatore di
sole ingiustizie, è un amaro destino fatto di miseria e solitudine, è l’assunzione su di sé di colpe altrui, è un prepararsi
alla morte. 22
Piuttosto che un sottrarsi di O-Haru alla legge, è il destino tragico che la sottrae al sistema,
relegandola ai margini e persino al di fuori della sua giurisdizione col negarle l’identità.
L’unico punto debole del film è di non essere riuscito a colmare pienamente lo scarto di tempo che
intercorre tra la scena in cui lei vede il figlio ancora bambino sulla portantina e la scena finale in cui
è già adulto. Mizoguchi crea un ellisse quasi totale sulla sua vita di prostituta, e questo dà
l’impressione, ulteriormente giustificata dalla creazione di un cerchio chiuso intorno al lungo
flashback (che identifica la prima sequenza del film con l’ultima), che gli avvenimenti siano
avvenuti in successione causale in un periodo di tempo circoscritto.
21
Scrive Dario Tomasi: “Nella tradizione narrativa giapponese, la donna gatto è spesso la donna fantasma, la donna che
ritorna con nuove sembianze nel mondo dei vivi per vendicarsi dei torti subiti.” (in op.cit., p.132)
22
Ivi, p.132.
2. I racconti della luna pallida d’agosto
(Ugetsu monogatari, 1953)
1. Introduzione al film
Il tema del destino tragico della donna viene ripreso anche nel film successivo non più con il
riferimento ad una protagonista femminile, ma nel contrasto tra l’universo femminile e quello
maschile di due coppie (di cui una in primo piano e l’altra speculare ad essa).
Il soggetto di Ugetsu monogatari è tratto da due racconti fantastici di Ueda Akinari del 1768, Asaji
ga yado (La casa fra gli sterpi) e Jasei no in (La passione del serpente), in buona parte rielaborati
in un’unica sceneggiatura dal regista e dal suo sceneggiatore Yoda. 23 Riprendendo lo stile del teatro
nō ed eliminando gli elementi horror, Mizoguchi ricava una storia di grandi sentimenti umani, in
cui riprende i suoi temi classici del sacrificio della donna e del fallimento dell’uomo. Sui personaggi
dei capolavori di Mizoguchi, Yomota Inuhiko scrive:
23
Sul film si vedano: Erich Rohmer, Les Contes de la lune vague, “Cahiers du cinéma”, n.81, marzo 1958;
K.I.McDonald, Ugetsu, Rutgers University Press, New Brunswick 1992.
Nonostante l’enfasi sull’esotismo, i personaggi (…) credono nell’uguaglianza e nella parità dei sessi, osteggiando il
potere feudale in ogni occasione. Sostengono un concetto d’amore assente nella tradizione culturale giapponese, e per
esso sono pronti a dare anche la propria vita. 24
Il film costruisce degli stati di passaggio fra il mondo reale e quello immaginario, che sono
sintetizzati nel concetto di ma. Marco Dalla Grassa riprende la definizione di Luciana Galliano di
questo concetto, che «definisce un’entità fra: un tempo fra due eventi, uno spazio fra cose, la
relazione fra due persone o anche due momenti diversi nell’attitudine di uno stesso soggetto». 25
Il film fa diretto riferimento ai kaidan, i racconti di fantasmi, in cui il ma è lo «spazio “fra” le cose,
e più precisamente fra le cose terrene e quelle ultraterrene». 26
Dopo aver analizzato cinque dissolvenze incrociate del film, commenta:
Il melodramma, la morte, il sacrificio, il seppuku, reale o metaforico che sia, trafiggono gli eroi di Mizoguchi e
incanalano il suo cinema nell’alveo dell’ineluttabilità dei destini, dell’irreparabilità delle azioni. Rischiare la
dissolutezza o accettare il discioglimento si dimostrano due strade che conducono alla stessa meta, a un destino già
prestabilito anche nei supposti momenti di autenticità. 27
2. L’ambizione maschile
Un modesto vasaio di campagna, Genjurō, sta per andare in città, a Nagahama, a vendere i suoi vasi
di ceramica perché è convinto che le guerre civili che insanguinano il Paese (siamo nel sedicesimo
secolo) possono farlo arricchire. Saluta la moglie Miyagi mentre si sentono degli spari in
lontananza. Il suo vicino e cognato Tobei, contadino, va con lui perché coltiva il sogno di
diventare un samurai, e lascia anche lui la moglie Ohama che cerca di dissuaderlo. Sulla coppia
Tobei/Ohama scrive Dario Tomasi:
La coppia Tobei/O-Hama sembra infatti costituirsi come una sorta di doppio caricaturale della coppia Genjurō/Wakasa.
(…) Come Miyagi, ma con certamente meno finezze, O-Hama si pone in difesa dell’unità familiare; come Miyagi finirà
in disgrazia a causa del comportamento del proprio uomo; come Miyagi, ancora una volta, dimostrerà alla fine che il
suo punto di vista era quello vincente. Ancora più forti le analogie fra i due uomini: entrambi sono prigionieri delle loro
ossessioni, entrambi rischiano la vita per realizzare i loro desideri, entrambe causano la perdita delle loro compagne,
entrambi si pentono e finiscono col tornare a casa. 28
Genjurō ritorna a casa con i soldi guadagnati, mentre Tobei si mette a seguire un samurai ma viene
cacciato perché sprovvisto di un’armatura e di una lancia. Genjurō ha comprato un vestito per il
24
Y.Inuhiko, op.cit., p.156.
Marco Dalla Grassa, Dissolvenze e altri fragili stati di passaggio: sul concetto di ma, in (a cura di) D.Tomasi,
Bellezza e tristezza, cit., p.104. Si veda anche L.Galliano (a cura di), Ma. La sensibilità estetica giapponese, Ed.Angolo
Manzoni, Torino s.d., p.15.
25
26
27
Ivi, p.113.
Ivi, pp.120-121. E poco dopo aggiunge significativamente: “L’idea di ma suggerita da molte tecniche di
messinscena e sperimentata nell’uso delle dissolvenze, sembra, alfine, un salvagente che Mizoguchi, forse
consapevolmente, lancia ai suoi personaggi/attori/spettatori, per sollevare da loro il peso dei destini, statuendosi come
uno spazio “fra”, dentro il quale impercettibile si reifica uno spazio d’azione che offre quella possibilità di espressione e
di libertà dalle convenzioni a lungo negata ai suoi interlocutori. In un altrove di nascondimenti e di trasparenze. (p.121)
28
D.Tomasi, op.cit., pp.141-142.
figlio Gen’ichi e un kimono per la moglie e porta anche dei viveri. Fin dall’inizio i punti di vista
dell’uomo e della donna non coincidono: per l’uomo è il denaro la sola cosa che conta per rendere
la vita felice, per la donna contano invece gli affetti familiari e l’unità della famiglia. 29 Mentre
Miyagi prepara la cena, Genjurō si mette subito al lavoro, a forgiare e cuocere altri vasi per fare altri
soldi, approfittando della guerra in corso. Viene la sorella Ohama a chiedere notizie del marito che
rientra proprio in quel momento. L’unità familiare sembra ricomposta, ma è solo in apparenza,
perché le ossessioni dei due uomini, il denaro e la gloria militare, non sono state ancora soddisfatte
pienamente. Per questo motivo l’uomo lavora incessantemente ai suoi vasi mentre la moglie, che
vuole assecondarlo, lo aiuta a girare il torchio. Il bambino ha fame, ma il padre lo caccia e la moglie
non approva che si debba lavorare tanto anziché vivere tutti e tre insieme felicemente. Anche il
cognato lo aiuta nel lavoro mentre la moglie lo aiuta a decorare i vasi.
3. L’arrivo dei soldati
Arriva la banda armata di Shibata e gli abitanti del villaggio fuggono sulle montagne. Anche loro
dovrebbero fuggire, ma per Genjurō i vasi sono
ù importanti
pi
della stessa vita e non vuole
spegnere il fuoco finchè non sono cotti. I soldati saccheggiano le case con violenza, catturano alcuni
uomini e violentano delle donne. Miyagi finalmente riesce a convincere il marito a fuggire con loro.
Giunti in salvo, Tobei torna di nascosto al villaggio per rubare l’armatura di un soldato. Non appena
ritorna la calma, Genjurō è così impaziente che vuole tornare subito al villaggio. La moglie prima
cerca di impedirglielo e poi lo segue, dopo aver affidato il figlio a Ohama. Al villaggio ci sono
ancora dei soldati che, trovati nella loro casa solo dei vasi, se ne vanno senza prendere nulla. Per
fortuna i manufatti sono cotti e finiti; così decidono di attraversare il lago Biwa in barca per andarli
a vendere a Nagahama, sperando di evitare i soldati. Raccolgono i vasi in alcune ceste e si
imbarcano.
4. L’attraversamento del lago
Luce crepuscolare. La donna che guida la barca canta. C’è nebbia. L’indefinitezza del film viene
introdotta nella scena della nebbia nella traversata metaforica del lago Biwa e con la visione di una
barca che si avvicina alla loro che scambiano per una «nave fantasma»:
Il paesaggio nebbioso si fa quindi metafora del reciproco dissolversi l’una nell’altra di realtà e immaginazione, un
preambolo che prepara il terreno all’universo di incertezza ed esitazione in cui di lì a poco verranno proiettati il
protagonista e lo spettatore. 30
29
Su questo punto scrive Dario Tomasi: “Genjurō è ossessionato dall’idea del guadagno, vede la guerra come
un’occasione per arricchirsi, mette a repentaglio la vita sua e dei suoi cari pur di realizzare i suoi venali desideri. Per
Miyagi, al contrario, la solidarietà familiare conta di più del guadagno materiale.”, (Ivi, p.137). Sul contrasto della
coppia Jean Douchet scrive: “Lui è rivolto all’eros, il suo desiderio per la donna va letto in chiave erotica; lei è rivolta
alla famiglia.”, in op. cit., p.36.
30
Giacomo Calorio, Il gusto del crepuscolo. Ugetsu Monogatari e il fantastico giapponese, in (a cura di ) D.Tomasi,
Bellezza e tristezza, cit., p.204.
In realtà c’è un pescatore che è stato ferito dai pirati: vuole un po’ d’acqua e gliela danno. Dice loro
di stare attenti ai pirati che portano via tutto,
anche la vita, e il pericolo maggiore è per le
donne che vengono violentate. Poi muore.
Miyagi vuole tornare indietro per la sicurezza del
bambino, così decidono di farla sbarcare. La
donna nel salutarli si preoccupa soprattutto del
marito. Questa scena fa comprendere benissimo
come il sentimento familiare sia solo da una
parte, in quanto la preoccupazione maggiore di
Genjurō è di proseguire attraversando indenne il
fiume col suo carico. Non si preoccupa più di
tanto, tranne che in qualche parola di circostanza,
della sorte della moglie e del figlio che saranno costretti a oltrepassare le montagne infestate dai
soldati. La famiglia ancora non è ricomposta e, purtroppo per il protagonista, non lo sarà mai.
5. L’arrivo della signora
Siamo ora nel mercato affollato di Nakahama: i due uomini vendono i loro manufatti e fanno molti
affari. Si avvicina una donna,Wakasa, con la sua governante Ukon e compra delle cose. Genjurō
rimane incantato dalla bellezza e dall’eleganza della donna. La governante gli chiede la gentilezza
di portare tutto al loro palazzo. Nel frattempo passano a cavallo alcuni samurai appartenenti al
signore locale e Tobei scappa con il denaro. La moglie lo insegue ma non lo trova, lui compra
un’armatura e una lancia. Ohama viene molestata da alcuni soldati che la imbavagliano, la portano
dentro una casa e la violentano a turno. Alla fine le gettano addosso pure dei soldi. Rimasta sola se
la prende con il marito per essere stata oltraggiata e lo maledice. Questa sequenza è importante per
due ragioni: Mizoguchi descrive la considerazione tipica di quel tempo (e del tempo di guerra in
generale) della donna come oggetto da prendere quando si vuole con la forza, ma sembra fuori
luogo che i soldati la paghino anche. Invece, come abbiamo visto a proposito di O-Haru, in
Mizoguchi il tema del denaro si collega al tema del destino della prostituta che spesso non sceglie il
mestiere che fa. L’altro aspetto importante riguarda la reazione di Ohama, anch’essa tipica della
condizione della donna in quell’epoca di violenza e guerre: reagisce con rabbia nei confronti del
marito, ma non piange la violenza che ha subito per se stessa. Alla fine della giornata Genjurō
raccoglie i piatti e i vasi e si reca a portarli alla ricca e bella signora. Per strada si ferma davanti a un
negozio di abiti e stoffe e ne vuole comprare uno per la moglie. Immagina di trovarsi davanti
Miyagi mentre felice indossa i kimono. Viene risvegliato dal suo sogno dal richiamo della
domestica e da Wakasa che lo accompagnano alla loro casa. Lo invitano ad entrare. La dimora, che
all’esterno è in rovina, all’interno è splendida. Delle giovani ancelle accendono i lumi dei corridoi
della casa, proiettando in questo modo nel protagonista quelle che si riveleranno essere soltanto
immagini di sogno. Wakasa lo chiama maestro, lui risponde di essere molto onorato che i suoi
lavori siano tanto apprezzati da una donna così raffinata. Mai il suo lavoro è stato apprezzato in
questo modo prima. Il valore di cose e persone effettivamente cambia a seconda del luogo in cui ci
si trova. Lei lo lusinga ulteriormente proponendogli di affinare il suo talento e di non ritornare al
villaggio. A questo punto interviene la governante che gli chiede di giurare eterno amore alla sua
signora per poter realizzare il suo sogno. Lui sta in ginocchio, lei in piedi, poi si alza, si abbracciano
e si gettano a terra. Lei scappa, lui è come ipnotizzato, le ancelle lo aiutano a cambiarsi. La donna
canta una dolce canzone malinconica e contemporaneamente danza accompagnata dalla musica,
mentre l’uomo mangia e beve. Nel personaggio di Wakasa Mizoguchi introduce molti elementi
tipici del teatro noh:
A esso sono ispirati il suo trucco, i vestiti, le acconciature, i movimenti del capo, delle braccia, delle gambe. (…)La
stessa storia di Wakasa, nella sua articolazione drammatica, sembra appartenere a un dramma noh. 31
Mizoguchi indugia sullo spettacolo ammaliante della donna che, a un certo punto, si ferma mentre
risuona nella stanza la voce del padre defunto che parla attraverso un busto. La nutrice interviene
per spiegare all’incredulo Genjurō che il clan Katsuki fu annientato dal clan Oda e solo lei e la sua
giovane padrona sono state risparmiate. La voce del signore si sente solo quando la figlia canta e
ora è felice per le sue nozze. L’irruzione del fantastico in queste sequenze del film serve a
Mizoguchi per creare una serie di contrapposizioni: tra la bellezza e l’eleganza di Wakasa, simbolo
della sensualità e della felicità, e la moglie Miyagi simbolo del focolare domestico e della
semplicità del vivere; tra le ambizioni e i desideri dell’uomo e la sua vita di modesto artigiano. A
proposito di Miyagi, lo stesso Mizoguchi scrive in una lettera di istruzioni allo sceneggiatore Yoda:
Caratteristica di Miyagi: ella incarna non soltanto l’amore coniugale e la fedeltà della sposa, ma anche la nostalgia
nativa: la tomba degli antenati, i campi trasmessi di generazione in generazione, il ritorno annuale delle stagioni, la vita
attaccata alla barra dell’aratro. 32
Sul contrasto Wakasa/Miyagi commenta Dario Tomasi:
Gli elementi di opposizione e differenza fra le due donne sono espliciti: l’aristocratica e la popolana, la seduttrice e la
moglie, la cittadina e la campagnola, la donna misteriosa e indecifrabile contro quella semplice e trasparente. (…) Nelle
mani di Wakasa l’artigiano Genjurō si trasforma in un artista. 33
Quest’ultimo aspetto è estremamente importante, perché accanto al bisogno di guadagno subentra
nell’uomo una nuova ambizione di cui non era consapevole prima (e che è un tema molto caro al
regista): l’artista creatore di opere d’arte di valore. Il sogno è talmente reale che lega insieme
nell’immaginazione di Genjurō il desiderio sensuale, la ricchezza e la gloria dell’artista.
31
D.Tomasi, Kenji Mizoguchi, cit., p.140.
Citata in Yoda Yoshikata, Souvenirs de Kenji Mizoguchi, Petite bibliotèque des Cahiers du cinema, Paris 1997, p.108
(si veda anche (a cura di) C.Collaoni-G.Placereani, Mizoguchi Kenji, un’implacabile perfezione, CEC, Udine 2007,
p.215).
32
33
D.Tomasi, Kenji Mizoguchi, cit., p.138. Poco più avanti scrive anche: “ (…) le due donne si configurano entrambe
come proiezione dei desideri consci o inconsci dell’uomo in due diversi momenti della sua esistenza”. (ibidem)
6. Il sogno continua.
Dopo un breve stacco troviamo l’uomo che dorme e la donna che si allontana dopo l’amore per
pettinarsi i capelli. Al suo risveglio lo porta a fare il bagno. Lei teme qualcosa ma ribadisce che si
appartengono l’un l’altro e, dopo essersi spogliata, entra in acqua
con lui. Un altro breve stacco e la scena si sposta sul prato nei
pressi del lago: lei suona e canta, lui le giura fedeltà (anche se
fosse un demone non la lascerà mai, le dice), si rincorrono, si
abbracciano, si baciano. Nel momento di massima felicità
dell’uomo, la moglie Miyagi e il figlio durante il viaggio di
ritorno si nascondono ai soldati che saccheggiano una casa in
cerca di qualcosa da mangiare. Una donna l’aiuta a fuggire
mentre i soldati mangiano e le dà dei dolci di riso per il bambino.
Mentre cammina con il figlio sulle spalle viene fermata da alcuni soldati che vogliono il cibo. Lei
vuole difendere il riso per il figlio che piange e un soldato la colpisce con la lancia. Lei cerca di
rialzarsi, ma poi cade.
Mizoguchi cambia scena: Tobei con la lancia e l’armatura segue di nascosto un guerriero sconfitto
che ordina al suo attendente di tagliargli la testa subito dopo aver fatto harakiri. Tobei uccide il
servo e gli ruba la testa, poi la porta al capo del clan nemico che, come premio per il trofeo, gli dà
un cavallo, un’armatura e delle armi. Diventa così un samurai come aveva sempre sognato. Si ferma
con un gruppo di soldati a lui affidati in una locanda: mentre, seduto a tavola, racconta come ha
ucciso il grande generale, irrompe una prostituta che chiede il denaro a un cliente e riconosce in lei
la moglie Ohama che gli racconta ciò che le è capitato e lo accusa del suo tragico destino. A questo
punto l’uomo comprende che non può fare a meno della donna e decide immediatamente di
rinunciare al suo sogno di samurai per tornare alla vita semplice di prima. Mizoguchi con il
cambiamento del suo personaggio maschile invita non tanto a rinunciare ai propri sogni e
ambizioni, ma a rendersi conto del bene prezioso che si ha già e di cui spesso non si ha
consapevolezza: l’amore, il calore familiare, la vita semplice. Tobei riesce a ravvedersi in tempo e a
recuperare quello che aveva, Genjurō, come vedremo, no.
Questi, nel frattempo, compra dei kimono per la nuova sposa. Quando nomina il palazzo Kutsuki, il
negoziante per paura gli offre tutto gratuitamente. Incrocia un vecchio monaco che lo guarda in
volto e gli dice che vi vede la morte. Perciò lo invita a tornare a casa dalla moglie e il figlio,
altrimenti morirà. Lo avverte che Wakasa è un’ombra, un amore proibito, e lo libera dal fantasma e
dall’incubo tracciandogli delle preghiere buddhiste sul corpo. Genjurō porta a Wakasa i kimono e i
gioielli, lei ne indossa uno e gli chiede perché è cupo. Lui non risponde e la governante lo invita a
non uscire più di casa. Le confessa di aver mentito, di avere moglie e figlio, ma lei non lo vuole fare
tornare a casa. La donna cambia aspetto, diventa cupa e poi lo invita ad andare nel suo regno, ma
non riesce ad abbracciarlo perché ha le preghiere buddiste scritte sul corpo. La governante lo invita
a cancellarle mentre Wakasa piange per il tradimento subito. La nutrice confessa di aver dissepolto
Wakasa per farle provare le gioie dell’amore e chiede a Genjurō di rinunciare al suo proposito e di
restare con lei. Lui scappa, prende la spada, spegne le luci, scaccia le donne ed esce dalla casa,
mentre si sente la voce di lei che lo implora mentre si allontana per ritornare nell’altro mondo. A
questo punto si addormenta davanti alla casa ma viene svegliato il mattino dopo da alcune persone
che lo accusano di essere un ladro e di aver rubato il tesoro del tempio. L’uomo vede le rovine della
casa, loro gli rubano il denaro e lo lasciano andare perché la prigione in cui avrebbero dovuto
rinchiuderlo è stata bruciata. Il sortilegio in parte continua perché sente ancora cantare Wakasa
davanti alle rovine.
7. Ritorno a casa
Ritorna a casa distrutto, entra e cerca Miyagi in tutte le stanze, poi quando rientra nella stanza
iniziale improvvisamente la trova davanti al fuoco. Il bimbo sta dormendo là vicino, la famiglia
sembra ricomporsi definitivamente. Lui abbraccia il figlio, la moglie gli offre da bere e da mangiare
e poi li guarda triste e piange. Lui si addormenta accanto al bambino, Miyagi lo copre con una
coperta, mette a posto le sue scarpe, lava qualche panno mentre il fuoco si sta spegnendo, poi
raccoglie le sue cose, accende una candela, si mette a cucire. La mattina dopo bussa alla porta il
capo villaggio e un paesano. Lui chiama la moglie ma il capo gli dice che è stata uccisa qualche
tempo prima da un soldato e piange. Racconta che dopo la sua morte si è preso cura lui del figlio
che proprio la sera prima era scappato perché sentiva che il padre sarebbe tornato. Kenjurō non
riesce ancora a credere che la moglie sia morta. Nel frattempo Tobei getta nel fiume, in presenza
della moglie, le sue armi e la corazza. L’ultima scena del film è triste e malinconica. Kenjurō prega
davanti alla tomba della moglie. Si sente la voce di Miyagi che gli dice che resterà sempre accanto a
lui e al suo lavoro. Lui riprende a fare vasi mentre la voce loda il suo lavoro e si rammarica di non
essere più in questo mondo per ricomporre l’unità familiare tanto sognata. La sorella prepara da
mangiare per tutti, il bambino depone la sua scodella davanti alla tomba della madre, prega e
sistema i fiori. L’ultima inquadratura è per il paesaggio che è, e al tempo stesso non può essere più,
il paesaggio iniziale della storia.