volumetto su etica e malattie rare

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volumetto su etica e malattie rare
R.Lala, G.Fenocchio, A.Musso
Riflessioni su casi clinici
Prefazione di Sandro Spinsanti
Data creazione: 03/01/2006
In copertina:
Achille cura Patroclo ferito
Da una ceramica attica, kylix a figure rosse,
dettaglio del medaglione centrale,
VI secolo a.C., opera del pittore Sosias,
proveniente dalla città etrusca di Vulci
oggi a Berlino, Staatlische Museen,
Antikenabteilung, n. F2278
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Data creazione: 03/01/2006
“Sono i giusti, i più capaci di amicizia”
Aristotele, Etica Nicomachea, VIII,1:1155 a 26.27
(IV secolo a.C.)
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Data creazione: 03/01/2006
Prefazione
Non c’è etica nel regno della necessità. Solo quando siamo liberi di
agire e di indirizzare le nostre scelte in direzioni diverse, sorge il
problema di decidere. Occuparsi o no di chi è colpito nel corpo –
che sia la freccia che atterra il guerriero omerico o la malattia che
interrompe lo stato di salute -? Questo è l’interrogativo più antico.
La comunità umana si distingue dall’orda primitiva quando decide
di prendersi cura del suo membro più fragile; la medicina diventa
professione quando alla pietas unisce sistematicamente conoscenze
scientifiche e organizzazione. Con lo sviluppo della medicina
contemporanea l’ambito della libertà, e quindi delle scelte che
richiedono decisioni etiche, si è molto ampliato. Se coloro dei quali
la medicina si occupa sono bambini, abbiamo un primo giro di vite.
Se le malattie che colpiscono i bambini sono malattie rare, un
secondo giro di vite stringe il legame che unisce chi eroga le cure e
chi le riceve. Perché non si tratta solo della sopravvivenza del
gruppo (quando lo scenario è quello della sopravvivenza della
comunità, i bambini e gli anziani sono condannati a cedere il posto
agli adulti nella lista delle priorità), ma di salvare la nozione stessa
di umanità. Perché la scelta di curare le malattie rare mette sotto
scacco la razionalità economica, che pur soggiace al sistema delle
cure.
Il profilo morale alto – altissimo – della medicina che si occupa
delle malattie pediatriche rare ci dice, però, che cosa dobbiamo fare
nei singoli casi concreti. Le incertezze aumentano, così come non si
accresce il ventaglio delle scelte. “Lasciar fare la natura” non
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Data creazione: 03/01/2006
appare come regola etica attendibile. La medicina ha come
missione proprio la lotta contro la fragilità e le malizie della natura.
Ma neppure la regola contraria è figlia della saggezza:
l’accanimento contro la natura può produrre situazioni invivibili.
L’etica, come riflessione sistematica sul comportamento umano di
fronte alle scelte, ha evidenziato principi e orientamenti condivisi.
La prima parte di questa pubblicazione ne presenta una lucida
sintesi. Ma l’etica, anche assunta a dosi più ampie del formato in
pillole, da sola non basta. Non c’è manuale, non c’è enciclopedia di
bioetica che contenga l’indicazione della cosa giusta da fare nei casi
concreti. E la medicina si esercita, invece, sui concretissimi casi
singoli. Serena, Francesco, Davide: sono loro le malattie rare dei
quali si occupano i medici. Se la malattia è rara, la persona è
addirittura unica. Per questo la seconda parte della pubblicazione,
quella che presenta i casi sui quali ci si interroga, non è
un’appendice. È la prospettiva di cui ha bisogno l’etica clinica, se
vuol sfuggire alla violenza dell’etica ideologica (quella che fa
calare i principi sulla realtà come colpi di maglio, e tanto peggio per
chi rimane schiacciato!). Solo i principi e i casi insieme forniscono
la visione bifocale che dà profondità all’etica clinica. Ancor più:
solo a questa condizione l’etica è un momento della cura, e non la
sua caricatura.
Sandro Spinsanti
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Presentazione
La ricerca del bene del paziente è stato fin dall’antichità il
principio che ha guidato le professioni sanitarie. Varie
interpretazioni di cosa è questo “bene” sono state date in
differenti periodi storici ed in differenti aree geografiche.
Il medico di oggi, di fronte ai cambiamenti culturali e sociali
di questi ultimi anni, all’incessante progresso tecnologico ed
alla
frammentazione
della
medicina
in
specialità
e
sottospecialità, necessita di riflessioni approfondite su quale
sia oggi da considerare il bene del paziente. Questa esigenza è
indispensabile ed indifferibile, e si deve partire dalle
caratteristiche della società, che non si basa più su valori etici
comuni, diffusi e condivisi, ma piuttosto comprende
molteplici comunità morali con diverse etiche civili e
religiose, e che sempre più spesso rispecchiano una visione
individuale della vita.
Una forte valenza ha acquisito l’autonomia del paziente nelle
scelte relative al proprio benessere. Il medico di oggi, più che
stabilire in prima persona i percorsi assistenziali, è alla ricerca
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Data creazione: 03/01/2006
di un accordo con il paziente per conciliare le esigenze di cura
con il benessere soggettivo, reale e/o percepito.
Anche a livello sociale si cerca l’accordo sugli interventi
pubblici in sanità, in grado di assicurare assistenza
appropriata, efficace e diffusa, socialmente e politicamente
accettabile, pur tenendo conto dei limiti imposti dalle risorse
disponibili.
Le malattie rare costituiscono una sfida etica proprio per la
necessità di ingenti investimenti culturali, di tempo e di
risorse da parte della società, del medico, del paziente e della
sua famiglia, cui si aggiunge l’alto grado di incertezza
riguardo ai trattamenti ed alla prognosi.
Gli autori hanno pensato di affrontare il tema dell’etica nelle
malattie rare, proponendo una breve sintesi dei principi etici
insiti nelle culture occidentali e giungendo, attraverso il
racconto commentato di tre casi clinici emblematici, ad
impostare la discussione di temi quanto mai attuali.
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Data creazione: 03/01/2006
Fare il bene ed evitare il male
“Curerò il malato secondo la mia capacità e il mio giudizio,
giammai con la prospettiva di arrecargli danno e ingiustizia”
..dal “giuramento”, Ippocrate di Cos (V-IV secolo a.C.)
“Fare agli altri quello che vorremmo che gli altri
facessero a noi”
Regola aurea.
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Fare il bene ed evitare il male
Regola aurea
Poiché la nozione di cosa sia concretamente “fare il bene” è
oggetto di differenti interpretazioni, la semplice applicazione
della regola aurea significherebbe l’imposizione di particolari
concezioni di vita moralmente buona, troppo legate alla
cultura, al tempo e persino ai propri preconcetti.
La regola aurea, in un contesto pluralistico, andrebbe forse
modificata in: “Fare agli altri il loro bene”. Anche
così
ridefinito, il principio pone difficoltà applicative per
l’ambiguità dell’espressione “il loro bene”: chi stabilisce che
cosa è bene per qualcuno?
In passato era il medico giudice ed arbitro del bene del
paziente. Questa modalità paternalistica, base della medicina
tradizionale, è stata messa in discussione nel mondo
occidentale con l’avvento delle idee illuministiche ed il
riconoscimento dell’autonomia del paziente. Oggi la morale
del rispetto reciproco conferisce agli individui il diritto di
opporre il proprio veto ad un bene che essi non vogliono.
Diventa così difficile dare contenuto al principio di fare del
bene, detto di beneficità. E’ evidente che in generale tanto più
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Data creazione: 03/01/2006
Beneficità
gli individui di una comunità condividono un unico senso
morale, tanto più chiaro sarà l’accordo sulla natura del bene e
tanto più grande sarà il suo contenuto: si raggiungerà in
Massimo
morale
questo caso il massimo morale. Data però l’impossibilità di un
accordo generale su quale sia la concezione corretta di fare il
bene e non fare il male, l’approccio
più utile consiste
nell’articolare il principio di beneficità nel contesto delle
concezioni delle varie comunità morali e dei singoli individui
che costituiscono la “civitas” cui appartengono sia il medico
che il paziente, senza dimenticare l’obbligo di fare il bene e
Minimo
morale
non fare il male. Si otterrà in questo modo il minimo morale
che giustifica l’approccio etico della professione medica.
Una beneficità non paternalistica è quella che cerca di fare il
bene degli altri rispettando i loro bisogni ed a condizione che
l’aiuto sia richiesto ed accettato. E’ importante distinguere il
Non
maleficità
principio di beneficità dal principio di non maleficità.
Quest’ultimo non presuppone il consenso ma è valido a priori.
Bisogna non fare il male in qualsiasi condizione mentre
attualmente è considerato lecito non fare il bene se questo non
è desiderato o richiesto.
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Data creazione: 03/01/2006
L’etica medica moderna differisce da quella classica perché
colloca il principio di beneficità al di fuori del paternalismo e
lo articola con gli altri principi che regolano il rapporto
medico-paziente e cioè l’autonomia e la giusta distribuzione
delle risorse operata dalla società.
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Data creazione: 03/01/2006
Scopi della medicina
La pratica medica ha la finalità di perseguire il benessere del
paziente con competenza, abilità tecnica ed attenzione agli
aspetti umani. Il medico pone una diagnosi e propone un
percorso assistenziale con le finalità di:
•
Curare la malattia.
•
Alleviare i sintomi ed il dolore.
•
Migliorare le funzioni presenti e mantenere quelle
compromesse.
Se
•
Evitare danni collaterali del trattamento.
•
Istruire i pazienti relativamente alla malattia.
•
Favorire il benessere e prevenire malattie future.
gli
obiettivi
di
un
trattamento
non
risultano
sufficientemente chiari possono sorgere quesiti etici su quale
beneficio si stia cercando di realizzare e se i benefici superino
i rischi del trattamento. In questi casi sono indicate riflessioni
che traggano origine dalla valutazione effettuata sugli scopi ed
i risultati attesi dall’intervento terapeutico.
Poiché le valutazioni della medicina sono di natura
probabilistica, non si giungerà mai ad una certezza piena, e
compito del medico è di ridurre l’incertezza
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Data creazione: 03/01/2006
mediante le
proprie capacità di raccogliere dati e di applicarli al singolo
caso clinico.
Il processo mediante il quale il medico giunge ad una diagnosi
e ad una proposta terapeutica che vada incontro ai bisogni del
paziente, mettendo a disposizione la propria cultura ed
esperienza, è il giudizio clinico.
Giudizio
clinico
Il giudizio clinico risente inevitabilmente di fattori personali
relativi al medico che formula il giudizio, quali il suo
atteggiamento più o meno interventista ed i suoi pregiudizi.
Le questioni etiche in pediatria, pur non differendo
sostanzialmente da quelle poste dalla medicina dell’adulto,
richiedono responsabilità particolari dovendo il medico
tutelare gli interessi del piccolo paziente che non è in grado di
esprimere
autonomamente
le
sue
rappresentato dai genitori o dai tutori.
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Data creazione: 03/01/2006
preferenze
ed
è
Interventi inappropriati
Quando un intervento non è scientificamente provato o non è
appropriato per le condizioni cliniche del paziente non deve
essere indicato.
Rientrano in questa tipologia alcuni interventi su pazienti
moribondi (la morte avverrà in breve tempo) e su pazienti
terminali. Non esiste una definizione clinica standard di
“terminale”. Questa parola dovrebbe essere applicata a quei
pazienti che, nonostante una terapia adeguata, moriranno per
una patologia specifica entro giorni, settimane o pochi mesi.
Giungere ad una simile prognosi è spesso difficile, ma
consente realisticamente di formulare buone decisioni
cliniche.
Non utilità
Un intervento medico viene definito “non utile”, in inglese
“futile”, quando non è in grado di produrre effetti benefici.
La non utilità ha un significato qualitativo: il giudizio che il
risultato ottenuto con quel trattamento non valga la pena di
essere perseguito. Si può distinguere la non utilità assoluta
(completa impossibilità di esercitare un effetto terapeutico
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Data creazione: 03/01/2006
positivo) dalla non utilità probabilistica che indica il probabile
fallimento dello sforzo di arrecare beneficio al paziente.
La valutazione della non utilità probabilistica dovrebbe essere
impiegata per guidare le discussioni con i pazienti e le
famiglie sull’opportunità di rinunciare a trattamenti specie se
di sostegno vitale. La discussione sulla non utilità degli
interventi andrebbe condotta in termini di proporzionalità,
cioè chiarendo lo squilibrio tra i benefici attesi e l’aggravio
imposto dalla continuazione degli interventi.
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Data creazione: 03/01/2006
Rapporto medico-paziente e consenso
libero ed informato
Autorità
morale
laica
Le persone sono la fonte dell’autorità morale laica (che si
differenzia dalla concezione religiosa nella quale la fonte della
autorità morale deriva direttamente da Dio) e le persone
autonomamente possono scegliere di essere lasciate sole di
fronte alla malattia e negare quindi il loro permesso alle cure.
Nell’assistenza medica si stabiliscono una serie di aspettative
e di permessi. Il paziente accetta di essere esaminato e toccato
da altri, e vincola gli operatori alla segretezza ed
all’osservanza di specifici doveri. Operatori sanitari e pazienti
mettono in comune idee ed obiettivi.
E’ raro che il paziente si affidi totalmente ad un medico. In
genere mantiene spazi più o meno grandi di autonomia.
Altresì è rara la totale dedizione del medico al malato.
Rapporto
medicopaziente
Non esiste un modello unico del rapporto medico-paziente.
Esso varia secondo le esigenze e la libera scelta dei vari
protagonisti. Soggetti diversi reagiranno con differente
autonomia ed accettazione delle cure. Sotto questo aspetto il
consenso libero ed informato ha un ruolo centrale. Gli attori
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Data creazione: 03/01/2006
del rapporto medico-paziente devono poter esprimere
liberamente le loro conoscenze e le posizioni rispetto alla
presa in carico del paziente. Gli accordi tra medici e pazienti e
tra infermieri e pazienti sono il risultato di questo modo di
procedere. Il consenso informato assume un ruolo importante
in assenza di valori
generali e condivisi da tutti (valori
canonici). La sostanza dell’accordo raggiungibile tra medico e
paziente dipende dall’efficacia della loro comunicazione e da
quanto essi condividano le finalità della medicina ed il
significato etico della vita. Quanto più distanti saranno le
posizioni di medico e paziente, tanto più necessario sarà
chiarire in ogni momento del rapporto l’ambito e la natura
dell’intervento medico. Deve essere accettato che l’autorità di
dare il proprio consenso da parte del paziente porta con sé
specularmente il diritto del medico di dedicarsi all’assistenza
di quello stesso paziente o di astenersene, e che è presente in
ogni momento il diritto del paziente di accettare l’aiuto del
medico o di rifiutarlo.
Autonomia
Il principio di autonomia è espressione della persona come
soggetto morale autonomo. L’autonomia è un continuum tra
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Data creazione: 03/01/2006
due estremi, l’azione completamente non autonoma e quella
completamente
autonoma.
Per
considerare
un’azione
Intenzionalità
Conoscenza
sostanzialmente autonoma, sono richieste tre condizioni:
l’intenzionalità, che può essere a sua volta graduata in azione
Mancanza di
controllo
esterno
tollerata, desiderata o voluta, la conoscenza, anch’essa
valutabile in gradi, ma che deve essere in ogni caso completa
ed adeguata
ed infine la mancanza di controllo esterno.
Anche il controllo esterno si può esprimere in gradi:
la
coercizione, la manipolazione e la persuasione.
Secondo alcuni Autori queste tre condizioni sono necessarie
Autenticità
ma non sufficienti: deve esistere anche l’autenticità (intesa
come aderenza alle proprie convinzioni esistenziali) che
rappresenta la prova concreta della autonomia raggiunta.
Ma il venire a conoscenza di una diagnosi “devastante” spesso
compromette in modo sostanziale detta autenticità e mette in
discussione il concetto stesso di autonomia del paziente.
L’impatto emotivo è infatti tale da sconvolgere l’equilibrio
vitale del paziente, le sue aspettative di vita sia dal punto di
vista qualitativo che quantitativo, ed altera tutta la sua
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Data creazione: 03/01/2006
“progettualità”. Pesanti sono inoltre le conseguenze sui
rapporti famigliari e sociali.
I principi del permesso (autonomia) e del fare il bene
(beneficità) trovano giustificazione in se stessi, sono pertanto
Principi
deontologici
definiti deontologici. Il principio del permesso vincola medico
e paziente indipendentemente dai risultati delle loro azioni:
nella pratica gli accordi medico-paziente sono vincolati dal
rapporto reciproco tra le persone contraenti e non dalle
conseguenze dell’accordo.
Il principio di fare il bene pur essendo deontologico, cioè
significativo di per sé, ha dei risvolti finalistici (teleologici)
volti ad ottenere risultati eticamente positivi.
Ne consegue una tensione tra i due principali principi etici
quando si tratta di fare il bene di qualcuno, se la concezione di
che cosa sia il bene nella opinione di medico/infermiere da
una parte e del paziente dall’altra sono in conflitto.
Appare quindi necessario ricorrere ad uno strumento definito
“consenso informato”.
Consenso
informato
Il consenso informato è l’accettazione volontaria di un
intervento medico da parte del paziente dopo un’adeguata
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Data creazione: 03/01/2006
informazione da parte del medico sulla natura della malattia,
dell’intervento relativo e sui rischi e benefici.
Il consenso informato presuppone, da parte del medico,
un’informazione completa: notizie generali sullo stato di
salute del paziente, sugli interventi e sulle prospettive di scelta
tra di essi. L’informazione deve essere fornita con linguaggio
comprensibile, competenza ed empatia.
Si deve quindi evitare l’eccessiva sintesi, l’uso di termini
troppo
tecnici
ed
un
tono
comunicativo
freddo
ed
impersonale. Al contrario, è necessario porsi in una posizione
di ascolto nei confronti del paziente, e bisogna fare attenzione
ad evitare di ferirlo con un’esposizione brutalmente esplicita e
non rispettosa dei suoi sentimenti.
La qualità della comunicazione deve essere considerata un
aspetto essenziale. La corretta comunicazione è parte
integrante dell’atto medico e non deve essere sottovalutata né
delegata ad altre figure professionali.
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Data creazione: 03/01/2006
Capacità
decisionale
E’ necessario valutare la capacità decisionale del paziente
come altro aspetto fondamentale del consenso informato. Ci si
riferisce alla capacità reale, cioè alla capacità di comprendere
e valutare le informazioni ricevute ed operare delle scelte
rispettose dei propri valori e del proprio stile di vita.
Sulla capacità decisionale reale influiscono una quantità di
fattori, prima di tutto emotivi ma anche culturali, religiosi,
sociali.
La capacità decisionale subisce poi variazioni sia qualitative
che quantitative in rapporto al processo di elaborazione delle
notizie riguardanti il proprio stato di salute, soprattutto
quando si è in presenza di un evento grave. In una prima fase,
quando prevale l’aspetto emotivo pessimistico e distruttivo, la
capacità decisionale si riduce al minimo. Se successivamente
interviene una elaborazione ed accettazione degli aspetti
(oggettivamente negativi) connessi alla malattia, e di
conseguenza una riformulazione del progetto vitale con nuove
prospettive e nuovi obiettivi, allora la capacità decisionale del
paziente riacquista importanza e peso.
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Data creazione: 03/01/2006
Spesso la capacità decisionale del paziente è compromessa da
condizioni cliniche, psichiatriche o neurologiche ed allora sarà
necessario utilizzare particolari competenze (comitato etico,
psichiatra, psicologo, medico legale,) per valutare se è
necessario individuare un sostituto, procuratore o tutore, che
operi le scelte per conto del paziente.
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Data creazione: 03/01/2006
Le preferenze del paziente
La conoscenza delle preferenze del paziente è un elemento
indispensabile per il giudizio clinico. I pazienti che
collaborano con il proprio medico per giungere a decisioni
terapeutiche condivise hanno in genere più consapevolezza,
hanno maggior fiducia e sono più soddisfatti dell’assistenza
ricevuta.
Poiché la medicina offre spesso diverse opzioni terapeutiche,
tutte ragionevoli dal punto di vista medico, il concordare la
scelta di una di esse è quindi uno strumento utile per
conseguire il maggior beneficio possibile. Si deve comunque
rispettare l’eventuale decisione del paziente di demandare al
medico la scelta della
terapia.
Inoltre la possibilità di
esprimere preferenze è molto importante dal punto di vista
psicologico, perché favorisce il controllo della situazione da
parte del paziente, controllo messo in forse dalla malattia.
L’espressione dei desideri del paziente può mettere in luce
aspetti esistenziali quali timori, dubbi o convinzioni che
possono aiutare il medico a motivare la condotta terapeutica e
quindi l’aderenza del paziente al programma concordato.
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Data creazione: 03/01/2006
Chi non può esprimere le proprie preferenze per difetto di
Compliance
ascolto da parte del medico, spesso ha una ridotta compliance
terapeutica.
Nel caso di minori, l’attenzione alle loro
preferenze deve aumentare tanto più essi crescono e sono in
grado di formularle e renderle credibili.
L’interazione fra paziente (minore), genitori (non sempre in
accordo fra loro) ed équipe medica rappresenta una vera sfida
dal punto di vista etico, complicata dalla necessità di valutare
correttamente la maturità psicologica del paziente e quindi il
peso da dare alle sue scelte.
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Data creazione: 03/01/2006
Il rifiuto dell’informazione e rifiuto del
trattamento
Come i pazienti hanno diritto a ricevere le informazioni che li
riguardano, così hanno anche diritto a rifiutarle. In questo
caso il consenso verrà dato dal paziente, rinunciando
esplicitamente alle informazioni.
Coloro che, bene informati, rifiutano consapevolmente il
trattamento possono rappresentare un problema etico quando
il rifiuto del trattamento può condurre a danni seri od alla
morte. In questo caso il procedere dei sanitari sarà guidato
prevalentemente da considerazioni medico-legali potendosi
procedere al trattamento non autorizzato dal paziente soltanto
nel caso di pericolo di vita.
Questo concetto e’ comunque oggetto di vivaci discussioni da
parte di chi accanto al diritto alla vita pone il diritto alla morte
(alla buona morte).
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Data creazione: 03/01/2006
Prendere decisioni per pazienti incapaci
Procuratore
Le persone autorizzate a prendere decisioni per altri,
mentalmente incapaci, sono chiamate procuratori. In genere si
tratta dei parenti più prossimi o dei genitori in caso di minori.
Quando le preferenze del paziente risultano chiare perché
espresse prima della perdita della capacità decisionale, il
procuratore dovrebbe attenersi ad esse; in caso contrario
Migliore
interesse
del
paziente
dovrebbe perseguire il miglior interesse del paziente, cioè
operare le scelte che le persone di buon senso opererebbero
per alleviare il dolore, migliorare gli aspetti funzionali e la
qualità di vita.
Nel caso di minori, spetta ai genitori, salvo documentata loro
Interventi
inefficaci e
non utili
incapacità, esprimere le preferenze per i figli. Ed è dovere e
diritto dei genitori interrompere trattamenti inefficaci e non
utili. Il problema di determinare la non utilità del trattamento
è complesso e le decisioni in merito sono gravate da
convinzioni soggettive e possono perciò portare a conflitti tra
genitori e sanitari, all’interno della coppia genitoriale e
dell’équipe sanitaria. Se non vi è chiara evidenza che
l’intervento è efficace o utile si dovrà ricorrere al criterio del
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Data creazione: 03/01/2006
miglior interesse del bambino. Qualora esistano divergenze tra
genitori o tra genitori e medici si dovrebbe ricorrere ad un
comitato etico. Se le differenze sono inconciliabili esiste la
possibilità di ricorrere a vie legali ma va considerato che tale
agire è estremamente traumatico per tutti.
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Data creazione: 03/01/2006
La qualità della vita
Il concetto di qualità della vita riveste un ruolo centrale nelle
scelte etiche. Esso comprende le funzioni fisiche del paziente,
la presenza od assenza di dolore, la possibilità di interazione
sociale e il mantenimento delle capacità intellettuali. I giudizi
sulla qualità della vita non possono essere basati su singole
dimensioni o su caratteri puramente oggettivi. Al contrario
riveste particolare rilievo la soggettività in quanto è
fondamentale la qualità di vita percepita dal paziente.
Sacralità
della vita
Qualità
della vita
Una distinzione può essere fatta tra sacralità della vita e
qualità della vita. Coloro che ritengono che la vita sia un
valore così grande da dover essere preservato ad ogni costo
hanno spesso una matrice religiosa, ma esistono anche laici
per i quali la vita organica ha un valore tale da dover essere
preservata anche quando tutte le funzioni “umane” sono
perdute. Secondo molti il profondo rispetto della vita umana
che può essere espresso nel termine “sacralità della vita” è
comunque compatibile con l’idea che quando la qualità di vita
è profondamente ed irrimediabilmente compromessa sia
giustificata la sospensione di trattamenti volti a prolungarla.
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Data creazione: 03/01/2006
Su questo tema esistono posizioni etiche contrapposte che si
basano su diverse interpretazioni delle condizioni estreme: se
si abbia in questi casi a che fare con un prolungamento della
vita degna di essere vissuta o non, piuttosto, con un
prolungamento del morire, che si configura come accanimento
terapeutico. L’accanimento terapeutico è ora un rischio tanto
più frequente e reale in quanto siamo in presenza di possibilità
tecniche tali da permetterci di tenere in vita artificialmente per
un tempo indefinito un numero sempre maggiore di pazienti.
Cure
palliative
La qualità della vita dei pazienti terminali è migliorata dalle
cure palliative che comportano l’uso competente di farmaci
contro il dolore. I pazienti non devono essere sottoposti a
trattamenti inefficaci o a dosi ridotte di analgesici
per il
timore di assuefazione a farmaci, specie oppiacei, anche se le
terapie volte ad alleviare il dolore hanno come ovvio effetto
collaterale l’offuscamento della coscienza e la riduzione della
comunicazione tra paziente e famiglia. L’uso di oppiacei
comporta poi il rischio di depressione respiratoria che può
portare ad una morte anticipata. Ricordiamo: il sollievo dal
dolore è uno dei compiti principali della medicina, come
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Data creazione: 03/01/2006
peraltro lo è sostenere la funzione respiratoria. Quando questi
due scopi entrano in contrasto e l’obiettivo di prolungare la
vita non può più essere perseguito, alleviare il dolore diventa
l’obiettivo prioritario.
In questo caso ci riferiamo al principio etico del duplice
Duplice
effetto
effetto: quando si persegue uno scopo eticamente buono
(sollievo del dolore) ma si prevede con questo agire di causare
un effetto indesiderato (depressione respiratoria e possibile
accelerazione della morte attesa) l’azione (sollievo dal dolore)
va considerata ugualmente accettabile sotto il profilo etico.
Nel caso della terapia antalgica in generale, specie se con
oppiacei, è ammesso somministrare dosi finalizzate a ridurre
il dolore correndo il rischio di accelerare la morte, ma non è
ammesso somministrare dosi più elevate con lo scopo
prevalente di affrettare la morte.
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Data creazione: 03/01/2006
Qualità di vita minima e sostegno vitale
Limitata
La qualità di vita può essere definita limitata quando si
riferisce ad una persona che soffre per gravi deficienze della
salute fisica o mentale. Questa constatazione può essere fatta
dal paziente stesso o da osservatori esterni. La qualità di vita
Minima
minima si riferisce ad un paziente con condizioni fisiche
molto compromesse, grave limitazione della capacità di
comunicazione, stato continuo di sofferenza. Anche qui la
valutazione può essere effettuata dal soggetto stesso o da
Sotto al
minimo
osservatori esterni. La qualità di vita al di sotto del minimo
descrive una condizione di estrema debilitazione, completa ed
irreversibile perdita di attività sensoriale ed intellettuale.
Perdita
della
qualità
della vita
Questo stato andrebbe meglio descritto come perdita di qualità
di vita in quanto la persona ha perso la capacità di valutare la
sua situazione. Questa descrizione si applica a coloro che si
trovano in uno stato vegetativo persistente.
La qualità di vita minima ed al di sotto del minimo di solito
richiedono sostegno vitale, cioè strumenti tecnici avanzati per
il mantenimento delle funzioni vitali. Il dilemma etico è, in
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questi casi, fino a quale livello di qualità di vita sia
giustificato continuare a fornire il sostegno vitale.
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Intervento ordinario o straordinario
Si considera intervento ordinario quello volto a sostenere le
funzioni vitali del paziente secondo usuali procedure
(nutrizione parenterale, idratazione, somministrazione di
Principio di
proporzionalità
ossigeno) ed interventi straordinari quelli tecnologicamente
sofisticati, che mettono in atto tentativi terapeutici più
aggressivi (interventi e farmaci sperimentali). Nei pazienti
terminali, secondo alcuni, sarebbero appropriati gli interventi
ordinari e non quelli straordinari. Il significato originale della
distinzione tra intervento ordinario ed intervento straordinario,
che ha origine nella teologia morale cattolica, potrebbe essere
ricondotto al principio di proporzionalità che esprime
l’obbligo etico di fornire un intervento medico qualora i
benefici sperati superino gli aggravi connessi. Il principio si
applica anche nei casi di decisione di vita o di morte, in
antitesi alla posizione sostenuta da alcuni che la vita andrebbe
preservata od ogni costo. Il principio di proporzionalità
sostiene che questo obbligo assoluto non esiste: la vita
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andrebbe preservata quando essa può essere giudicata, dal
paziente o da chi lo rappresenta, più un beneficio che un
aggravio. Il principio si applica in primo luogo alle preferenze
del paziente il quale deve giudicare benefici ed oneri in base
alla propria concezione esistenziale, ma si applica anche ai
sanitari che devono dare un loro parere professionale su
benefici ed aggravi. L’applicazione del principio è più
controversa in caso di pazienti incapaci ad esprimere le
proprie preferenze.
Nel
bambino
La decisione di interrompere il sostegno vitale per il bambino
è particolarmente difficile. Nel decidere per il migliore
interesse del bambino i genitori devono mediare tra i benefici
e gli aggravi per il bambino previsti dal trattamento ed il
diritto del genitore di controllare l’assistenza per il figlio in
accordo con le convinzioni familiari. Poiché i bambini sono
soggetti altamente vulnerabili, i sanitari dovrebbero esercitare
scrupolosamente il principio di non maleficità.
Nel
neonato
In linea di massima non si dovrebbero negare alimentazione
ed idratazione ai neonati gravemente compromessi, eccetto
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che per i casi nei quali non vi è speranza di recupero ed il
neonato sembra non provare dolore dalla mancanza di
nutrimento e di idratazione.
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Giustizia e lealtà
Il rapporto medico-paziente nella società attuale è sempre
meno un affare privato, al contrario si realizza in un contesto
complesso di interazioni sociali: assistenza sanitaria pubblica,
allocazione di risorse per l’assistenza che non sono
inesauribili, ricerca e didattica clinica, medicina del lavoro e
salute pubblica. In questi ambiti trovano applicazione i
principi etici di giustizia e lealtà.
Giustizia
La giustizia consiste in senso lato nell’equa suddivisione di
benefici ed oneri (diritti e doveri) nell’ambito di una
comunità. Realizzare una politica sanitaria in accordo con il
principio di giustizia è un imperativo etico.
Lealtà
Tutte le persone hanno doveri di lealtà multipli: verso la
famiglia, gli amici, la religione, la comunità sociale, la
nazione. Tradizionalmente il medico è legato da un dovere di
lealtà verso il proprio paziente che è altamente prioritario
rispetto agli altri doveri. Il problema etico sorge quando il
dovere verso il proprio paziente sia in diretto contrasto verso
qualcuno degli altri doveri. Il dovere verso il paziente può
entrare in contrasto con gli obblighi sociali qualora vengano
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Data creazione: 03/01/2006
messe in atto politiche sanitarie di non equa distribuzione
delle risorse, o che non consentono di fornire al paziente tutta
l’assistenza necessaria.
Il medico ha, nei confronti del paziente, un dovere fiduciario,
Dovere
fiduciario
nel senso che è tenuto a perseguire gli interessi del paziente
con dedizione, riservatezza ed onestà. Soprattutto deve evitare
conflitti di interesse (finanziari e non) che potrebbero
pregiudicare l’assistenza fornita ai pazienti.
La famiglia, i parenti e gli amici del paziente hanno vari tipi
di interazione nel rapporto medico-paziente. Andrebbe
incoraggiata la collaborazione morale con queste persone che
svolgono un ruolo importante nelle strategie di assistenza.
In pediatria il ruolo della famiglia è accentuato per la
responsabilità dei genitori nelle scelte assistenziali rivolte al
loro bambino. Se esistono altri figli, i genitori hanno
responsabilità anche nei loro confronti e spesso si creano
conflitti all’interno della famiglia quando la maggior parte
delle risorse affettive, economiche e di tempo devono essere
dedicate al figlio malato. Questa situazione tende a
destabilizzare la famiglia stessa, accentuando spesso i
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Data creazione: 03/01/2006
contrasti tra coniugi e concorrendo a determinare separazione
e divorzio.
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Costi e decisioni cliniche
Le decisioni cliniche non dovrebbero essere subordinate al
costo dell’assistenza ma basate su procedure cliniche, linee
guida e studi di risultato. Fornire assistenza di qualità non
significa però fornire sempre tutta l’assistenza disponibile ma
quella appropriata e, a parità di efficacia, quella meno costosa.
Andrebbero privilegiate le cure primarie che consentono un
migliore rapporto costo/beneficio. Andrebbe salvaguardato il
rapporto di fiducia fra medico e paziente e l’autonomia del
paziente, sempre tenendo conto della giustizia distributiva al
fine di garantire il soddisfacimento di tutte le richieste lecite
nel contesto delle risorse umane, di tempo ed economiche
disponibili.
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Il medico “ amico”
Il rapporto fra l’operatore sanitario ed il paziente è un vincolo
interpersonale e sociale. L’amicizia, definita da Aristotele
virtù morale della vita sociale, racchiude in sé i principi di
beneficità, autonomia e giustizia ed è possibile solo tra
persone libere.
La President’s Commission statunitense ha riconosciuto la
necessità di superare, nel rapporto medico-paziente, il
dualismo tra paternalismo puro ed autonomismo puro,
fondando i rapporti sanitari sulla fiducia e la confidenza e cioè
sull’amicizia.
E’ nei momenti difficili, come la malattia,
che si ha
maggiormente bisogno di amici, della fiducia, della
confidenza e dell’amore che derivano dall’amicizia.
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Principi etici , minimo e massimo morale
Beneficità
Non maleficità Autonomia
Non causare
danno
al
paziente
Minimo
morale
Massimo Realizzare il
morale
massimo
beneficio
rispettando le
scelte e lo stile
di vita del
paziente
Seguire il
più
possibili le
proprie
preferenze
nella scelta
del
trattamento
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Giustizia
Curare ognuno
in base alle sue
necessità
distribuendo
equamente
le
risorse
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Data creazione: 03/01/2006
Glossario
Autenticità:
aderenza al proprio stile di vita, alle proprie convinzioni
profonde
Autonomia:
capacità della persona di pensare ed agire in base alle proprie
convinzioni, al di là di condizionamenti
Autorità morale:
facoltà di esercitare legittimamente il potere di decidere
sulla condotta morale
Beneficità:
capacità di realizzare il bene
Capacità decisionale:
capacità di prendere decisioni
Clinico:
che riguarda la clinica come scienza e pratica medica
Compliance:
termine inglese che significa rispetto, aderenza,
adesione a regole, comportamenti o trattamenti
Consenso informato:
permesso, accettazione, autorizzazione di un trattamento
derivante dalla conoscenza dei benefici e possibili danni
da esso derivanti
Controllo esterno:
controllo sulle decisioni di una persona esercitato da
altri
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Data creazione: 03/01/2006
Cure palliative:
cure volte ad alleviare il dolore causato da una malattia
senza eliminarne le cause
Dovere fiduciario:
dovere di lealtà totale verso coloro ai quali è rivolto
Duplice effetto:
principio morale secondo il quale si valuta un comportamento
che può causare due conseguenze, una positiva ed una
negativa
Empatia:
capacità di immedesimarsi in un'altra persona
fino a coglierne i pensieri e gli stati d'animo.
Etica:
parte della filosofia che studia la condotta morale dell’uomo
ed i criteri per valutarla
Giudizio clinico:
processo mentale mediante il quale il medico coniuga cultura
ed esperienza nel decidere in merito a problematiche cliniche
Intenzionalità:
capacità di compiere un’azione volutamente
Maleficità:
capacità di realizzare il male
Massimo morale:
il maggior risultato morale conseguibile
Miglior interesse:
ciò che è reputato la cosa migliore dalle persone sagge
Minimo morale:
il minor risultato morale conseguibile
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Data creazione: 03/01/2006
Morale:
ciò che regola il comportamento umano in rapporto all’idea
del bene e del male
Non utilità (futility in inglese):
incapacità di produrre qualsiasi risultato
Principi deontologici
Principi morali che affermano che cosa è bene e che
cosa è male
Procuratore:
persona incaricata di rappresentare la volontà di un
paziente incapace
Proporzionalità:
principio che rapporta i benefici ottenibili da un
trattamento con i danni da esso derivanti
Rapporto medico-paziente
Relazione tra curatore e curato basata su principi di
fiducia, che opera attraverso la comunicazione e la
condivisione delle finalità terapeutiche
Regola aurea:
idea etica fondamentale che esiste, a memoria d’uomo, in tutte
le grandi religioni
Qualità della vita:
soddisfazione personale espressa o sperimentata dagli
individui nella loro situazione fisica, mentale o sociale.
Sacralità della vita:
valore assoluto della vita intesa come dono di Dio
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Data creazione: 03/01/2006
Sintesi: tecnica, medicina ed etica
clinica
La pratica della medicina si avvale oggi di conoscenze
scientifiche ed applicazioni tecniche che consentono di
incidere in misura significativa sulla durata e qualità della
vita. Gran parte di queste possibilità sono state ottenute nella
seconda metà del secolo passato.
Fare buon uso di questi nuovi potenti strumenti richiede
un’elaborazione critica, proporzionata alla responsabilità che
l’uomo moderno
deve esercitare in primo luogo verso il
soggetto debole, fragile e vulnerabile ma anche nei confronti
delle generazioni future e della natura.
Il medico oggi deve applicare i principi etici tradizionali di
beneficità e non maleficità integrandoli e contemperandoli
con i principi di autonomia e giustizia. L’analisi etica, che è
parte integrante dell’atto medico, deve essere applicata al
contesto individuale del paziente, della sua famiglia e della
sua comunità. Egli potrà adattare i principi etici alle situazioni
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Data creazione: 03/01/2006
contingenti con lo stesso metodo che gli permette di formulare
il giudizio clinico. Le possibili tensioni tra i principi di
beneficità, autonomia e giustizia possono trovare soluzione
adottando atteggiamenti specifici per i singoli casi; il medico
deve dar prova di grande adattabilità e capacità creativa.
In particolare, queste doti sono necessarie trattando patologie
rare che danno spesso origine a situazioni insolite ed
imprevedibili.
La decisione etica, compatibile con i principi generali, sarà
volta ad ottenere il bene del paziente secondo le sue
preferenze ed il suo stile, compenetrando le sue esigenze con
le necessità di giustizia nella distribuzione delle risorse
assistenziali, materiali ed affettive.
Il porre il paziente al centro dell’interesse contribuisce a
facilitare la soluzione di problemi etici che astrattamente
parrebbero irrisolvibili
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Data creazione: 03/01/2006
Per illustrare l’applicazione del giudizio etico alla pratica
clinica, siamo ricorsi alla narrazione di alcune storie di
pazienti e curanti.
La narrazione è particolarmente adatta ad evidenziare gli
aspetti tecnici (cosa si può fare), quelli etici (cosa si dovrebbe
fare) e quelli esistenziali (cosa ogni persona coinvolta ritiene
giusto fare, in base alle convinzioni personali).
Le soluzioni eticamente corrette possono essere diverse nelle
stessa situazione, a seconda di chi interpreta l’azione. Non
esiste la soluzione eticamente migliore, ma la soluzione da
adottare sarà quella che meglio incontra le esigenze di tutti gli
attori, nel rispetto dei principi generali di beneficità, non
maleficità, autonomia e giustizia. Tanto più la decisione etica
sarà prossima ai valori esistenziali del paziente, tanto più sarà
vicina al raggiungimento del massimo morale.
L’etica clinica è in grado, in ogni caso, di promuovere la cura
e la salvaguardia del benessere dei pazienti, permettendo così
la piena realizzazione dell’atto medico.
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Data creazione: 03/01/2006
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Data creazione: 03/01/2006
STORIE
CLINICHE
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Data creazione: 03/01/2006
Prima Storia: maschio o femmina?
Serena nasce da una gravidanza di durata normale, senza
evidenza di patologia anche agli esami ecografici di routine.
Alla nascita presenta genitali caratterizzati da organo penoclitorideo ricurvo della lunghezza di 2,2 cm, ipospadia
perineale (sbocco dell’uretra alla base dell’organo penoclitorideo), pliche labio-scrotali (situazione intermedia tra
grandi labbra e scroto) contenenti le gonadi.
Il neonatologo è in forte imbarazzo nell’attribuire il sesso, ma
È un
maschio
infine decide che si tratta di un maschio e comunica questa
notizia ai genitori che sono disorientati e profondamente
turbati.
La madre è una trentenne, che esercita l’attività di
parrucchiera, alla prima gravidanza, di origini settentrionali.
Il padre di trentacinque anni, impiegato pubblico, è di origini
meridionali.
In questa famiglia i rapporti con le famiglie di origine (nonni)
sono scarsi e distanti. La madre non desiderava la gravidanza,
il padre desiderava un figlio maschio, ed i rapporti coniugali
erano già conflittuali.
Il bambino/bambina viene ricoverato per accertare il sesso di
attribuzione. La madre, reattivamente, si scaglia contro il
medico che comunica la diagnosi di intersessualità, il padre,
viceversa, appare pacato e tende a minimizzare con un
atteggiamento svalutante nei confronti della patologia e dei
medici.
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Data creazione: 03/01/2006
I cromosomi sono maschili, i genitali interni costituiti da
piccola vagina, l’utero è assente. Considerata la situazione
anatomica viene stabilita (all’età di tre mesi) l’attribuzione del
È una
femmina
sesso femminile (verrà chiamata Serena), correggendo la
prima dichiarazione del neonatologo. Vengono effettuati
esami ormonali che non precisano la diagnosi al di là di un
generico pseudoermafroditismo maschile (intersessualità con
presenza di testicoli).
All’età di un anno viene operata di genitoplastica (riduzione
dimensionale dell’organo peno-clitorideo con confezionamento di clitoride e piccole labbra, mantenendo le
terminazioni nervose che conferiscono sensibilità ai genitali
esterni). I testicoli vengono asportati.
La situazione destabilizza ulteriormente la coppia che si
separa. La bambina, rifiutata dalla madre, viene affidata al
A 5 anni
di età la
diagnosi
padre.
All’età di 5 anni viene stabilita la diagnosi di deficit di 5 alfa
reduttasi mediante un test genetico che non era non
disponibile alla nascita.
In questa malattia è frequente, nei casi ai quali viene attribuito
il sesso femminile, il desiderio di appartenere al sesso
maschile che si rinforza in pubertà. Di fatto la bambina, all’età
di 7 anni dimostra disturbi di identità di genere (atteggiamenti
di tipo maschile, dichiarazioni di sentirsi maschio).
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Data creazione: 03/01/2006
DEFICIT DI 5 ALFA REDUTTASI
Impedisce la completa differenziazione in utero in senso maschile
dei genitali esterni , attraverso la riduzione della sintesi del
diidrotestosterone, derivato dell’ormone maschile che agisce
prevalentemente nella vita fetale.
L’enzima 5-alfa reduttasi tipo 2 trasforma il testosterone
nell’androgeno diidrotestosterone, che è ancora più efficace del
testosterone nel differenziare i genitali esterni del feto in senso
maschile.
In età adulta è prevalente invece l’azione del testosterone che
tenderà a virilizzare se i testicoli sono mantenuti.
I soggetti con cariotipo XY e deficit dell’enzima mostrano alla
nascita una forma di intersessualità (presenza contemporanea di
elementi maschili e femminili) denominata ipospadia
perineoscrotale (sbocco dell’uretra alla base del fallo)
pseudovaginale (presenza di piccola vagina a fondo cieco).
Questi soggetti sono sottoposti nella vita fetale all’azione
prevalente del testosterone che agisce anche sulla
differenziazione in senso maschile delle strutture cerebrali.
Alla pubertà il testosterone agisce sui genitali con maggiore
efficacia rispetto al diidrotestosterone. Se i testicoli non vengono
asportati, in epoca puberale il fallo cresce, aumenta la massa
muscolare e si rinforza l’identità di genere maschile.
Nei pazienti ai quali viene attribuito il sesso femminile,
asportando i testicoli ed operando una femminilizzazione
chirurgica dei genitali esterni, l’identità di genere femminile può
non essere completa anche a causa dell’effetto prenatale degli
androgeni sull’encefalo.
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Data creazione: 03/01/2006
Punti critici e commenti
E’ da sottolineare in primis l’impossibilità di evidenziare la
patologia mediante i controlli di routine effettuati in
gravidanza.
La nascita del bambino con intersessualità è quasi sempre
imprevedibile. L’inattesa rivelazione alla nascita di una
condizione sconosciuta ed imprevista accentua l’impatto
emotivo sui genitori: l’aspetto dei genitali è assolutamente
inconsueto ed inquietante.
In tutte le culture umane l’aspetto dei genitali è segno
fortemente connotante, tant’è vero che la prima notizia che
viene data sul figlio appena nato è il sesso di appartenenza (“è
un maschio e sta bene”, e non come sarebbe più logico “sta
bene ed è un maschio”).
Il venir meno di questo segno causa una condizione di
incertezza ed inadeguatezza che si trasmette da coloro che
hanno assistito al parto ai genitori ed al loro entourage.
L’incertezza non può essere facilmente tollerata ed è questa
pressione esterna che induce nel caso oggetto di questa storia
il neonatologo ad attribuire superficialmente ed in maniera
intempestiva il sesso maschile.
Il bambino/bambina nasce in una famiglia già conflittuale e da
una gravidanza non desiderata.
I genitori sono privi di sostegno emotivo da parte delle
famiglie di origine e si trovano di fronte alla necessità di
decidere il sesso da attribuire partendo da posizioni non
coincidenti: il rifiuto della gravidanza nella madre che la porta
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Data creazione: 03/01/2006
a sviluppare un profondo e malcelato rifiuto nei confronti di
Serena ed il desiderio di un figlio maschio “ideale” nel padre
che non riesce a relazionarsi con il figlio/figlia reale.
Tecnicamente, il bambino/bambina presenta caratteristiche
intermedie tra i due sessi; le indagini per accertare il sesso
cromosomico e la struttura interna producono una diagnosi
generica. L’attribuzione definitiva del sesso arriva dopo 3
mesi di incertezze durante i quali al bambino/bambina non
viene attribuito neppure un nome.
Comunicazione
In questa fase di accertamenti la comunicazione con la
famiglia è particolarmente difficile: gli operatori sanitari sono
imbarazzati nel fornire notizie sull’andamento delle indagini e
spesso non sono in grado di tenere un atteggiamento
equidistante tra di loro e nei riguardi della scelta del sesso da
attribuire. Ne deriva un coro di opinioni dissonanti. I genitori
dal canto loro non sono in grado di comprendere appieno la
situazione e soprattutto di prevedere l’evoluzione futura del
bambino/bambina.
La scelta del sesso da attribuire si basa essenzialmente sul
ruolo sessuale che il/la paziente, opportunamente aiutati da
interventi chirurgici correttivi e terapia ormonale, potranno
svolgere da adulti.
Gli interventi femminilizzanti consistono nella rimozione dei
testicoli, riduzione dei genitali esterni e somministrazione di
ormoni femminili dalla pubertà: la femmina sarà infertile
(priva di utero ed ovaie) ma con genitali esterni capaci di
rapporto sessuale (con i limiti degli esiti chirurgici).
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Data creazione: 03/01/2006
Gli
interventi
mascolinizzanti
conservano
i
testicoli,
ricostruiscono il pene (in modo parziale) e possono richiedere
la somministrazione di ormone maschile dalla pubertà.
Entrambe le soluzioni sono parziali in quanto si approssimano
solo alla fisiologia normale. Il soggetto soffrirà sempre di un
certo grado di ambiguità per la parziale impregnazione
ormonale maschile del cervello nella vita fetale, per la
difficoltà di costruire una salda identità di genere nell’infanzia
a causa dei messaggi ambigui che gli vengono dall’ambiente
circostante, a sua volta influenzato dall’ambiguità della
situazione, e per le difficoltà obbiettive di riconoscersi in un
ruolo sessuale completo a fronte dell’incompletezza sessuale a
livello fisico.
L’attribuzione del sesso femminile è attuata per decisione
prevalente dell’equipe medica sulla base dell’esperienza e
della tradizione che vuole in casi simili sia più semplice
sostenere il sesso femminile.
Questa posizione tradizionale risente delle condizioni socioculturali e dei progressi tecnici, ed è pertanto suscettibile di
aggiornamenti e rivalutazioni nel tempo. Oggi è in atto una
revisione critica delle attribuzioni di sesso effettuate in
passato (da quando sono disponibili i trattamenti chirurgici ed
ormonali). Soprattutto è criticata l’impostazione paternalistica
delle decisioni e lo scarso spazio riservato al consenso dei
pazienti. In questo campo il problema del consenso è
particolarmente importante perché riguarda soggetti non
ancora in grado di decidere e che, quando saranno in grado,
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Data creazione: 03/01/2006
probabilmente
esprimeranno
nelle
loro
posizioni
l’appartenenza ad un identità di genere non completamente
strutturata e definita.
I genitori di Serena si separano. Questa svolta esistenziale è
Separazione
della coppia
genitoriale
chiaramente correlata alle difficoltà precedenti la gravidanza,
rese ancora più esplicite dal grave problema di Serena. La
madre ha una reazione di rifiuto e fuga ed il padre si assume
la responsabilità di Serena ma non riesce a sopperire alla
mancanza di una figura genitoriale materna.
La diagnosi precisa, resa possibile dai progressi tecnici ed
La
diagnosi
organizzativi, arriva tardi quando non può più influenzare
l’attribuzione del sesso. Questa particolare patologia è un
parametro dell’ambiguità: infatti causa ridotta mascolinizzazione in utero (ridotti livelli di diidrotestosterone) ma
attività androgenica adeguata nell’età adulta (se i testicoli
vengono mantenuti).
Nel caso di Serena il disturbo dell’identità di genere che viene
esplicitato in età scolare è probabilmente il risultato
dell’impregnazione cerebrale di androgeni in età prenatale cui
vanno sommati tutti i messaggi di ambiguità derivanti dalla
sua condizione di intersessualità, a livello personale e sociale
(non ultimo la mancanza della figura materna).
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Data creazione: 03/01/2006
Seconda storia: malattia degenerativa
Francesco nasce da una gravidanza normale in una famiglia in
buone condizioni economiche costituita da padre imprenditore
di circa 40 anni, madre insegnate di 30 anni, una sorella sana
di 5 anni. La famiglia ha sviluppo armonico di rapporti
interpersonali, ma scarsi rapporti con le famiglie di origine dei
genitori, per ragioni di distanza geografica.
Verso i 3 anni di età Francesco incomincia a regredire sul
piano
Decadimento
intellettivo
delle
performances
prima
neuro-motorie
e
successivamente intellettive. Ricoverato per accertamenti,
viene
evidenziata
caratterizzata
da
una
situazione
insufficiente
endocrinologica
secrezione
di
ormoni
surrenalici. Una risonanza magnetica mette in luce alterazioni
della mielinizzazione cerebrale che a successivi controlli si
rivelano ingravescenti.
Viene posta diagnosi di adrenoleucodistrofia, malattia che
coinvolge encefalo e surrene, di natura genetica ad andamento
progressivo. L’impatto sulla famiglia è devastante.
Il paziente viene trattato con ormoni surrenalici e fisioterapia.
Le condizioni neurologiche lentamente peggiorano: a 5 anni
non cammina più, a 6 anni le capacità intellettive sono
gravemente compromesse, a 7 anni cominciano le difficoltà
respiratorie e l’incapacità di assumere alimenti. Viene inserito
un dispositivo per l’alimentazione parenterale ed il paziente è
ricoverato in rianimazione ed intubato. Viene riorganizzato
l’assetto familiare in funzione di Francesco. Dall’età di 4 anni
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Data creazione: 03/01/2006
la madre ha rinunciato al lavoro ed entrambi i genitori
dedicano al figlio la maggior parte del loro tempo libero.
La sorella di Francesco presenta temporanee difficoltà
scolastiche ed un breve episodio di balbuzie.
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Data creazione: 03/01/2006
ADRENOLEUCODISTROFIA
Causata dal difetto di un gene posto sul cromosoma X.
Non dà conseguenze nelle femmine che hanno 2 cromosomi
X (il cromosoma sano compensa il difetto) ma si esprime
nei maschi che hanno un solo cromosoma X.
Il difetto genetico causa degenerazione progressiva del
tessuto nervoso e delle ghiandole surrenaliche.
I sintomi compaiono in genere nella seconda infanzia e
consistono in cambiamenti del comportamento, difficoltà
scolastiche, disartria, alterazioni della memoria, demenza
progressiva.
I sintomi di insufficienza surrenalica (collasso,
iposodiemia, iperpotassiemia, ipoglicemia) compaiono in
genere dopo i sintomi neurologici.
Non esiste trattamento efficace, ma solo terapia sintomatica
e sostitutiva dei deficit ormonali.
La prognosi è infausta e la morte di solito avviene in età
pediatrica.
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Data creazione: 03/01/2006
Punti critici e commenti
Regressione
intellettiva e
motoria
La presa di coscienza della regressione neuro-motoria è un
processo graduale nei genitori. Si tratta di un evento insolito
ed allarmante che mette in atto una reazione difensiva.
La diagnosi di adrenoleucodistrofia, malattia degenerativa non
La
diagnosi
guaribile e ad esito infausto, diventa sempre più evidente con
il progredire dei sintomi neurologici ed endocrinologici.
Vengono esplorate le ipotesi terapeutiche compreso il
trapianto di midollo osseo, ma tutte vengono scartate per la
mancanza di vantaggi dimostrabili.
Col tempo Francesco perde completamente l’autonomia, i
Progressione
dei sintomi
rapporti con gli altri decrescono, fino a una condizione di
coma con scarsa attività elettrica cerebrale, i movimenti si
riducono fino alla comparsa di crisi da decerebrazione, non si
alimenta autonomamente ed infine, a tratti, non respira. Viene
inserita un’apparecchiatura per alimentazione gastrostomica
(PEG) e viene periodicamente intubato.
Perdita
della
qualità
della vita
I familiari e le persone che lo assistono si interrogano sulla
sua qualità di vita e sul beneficio che potrebbe apportare ad
essa l’uso più aggressivo di tecnologia medica (tracheostomia
e respirazione assistita continua).
Emergono posizioni differenti sia tra i sanitari, che tra i
familiari ed il loro entourage: questi atteggiamenti cambiano
inoltre con la progressione dei sintomi e gli episodi di
parziale, transitorio miglioramento. Tra i sanitari, alcuni si
limitano ad applicare i protocolli terapeutici tradizionalmente
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utilizzati, senza sottoporre a revisione critica i protocolli stessi
ed il proprio ruolo, altri vorrebbero limitare l’uso aggressivo
della tecnologia, ma si trovano di fronte alla non condivisione
del loro punto di vista da parte dei colleghi.
Per quanto riguarda i familiari ed i loro amici, gli
atteggiamenti riguardo a come garantire al figlio la migliore
qualità di vita riflettono prevalentemente l’enorme impatto
emotivo della vicenda ed impediscono di formulare giudizi
morali autentici. Emergono dissidi tra madre e padre
sull’assistenza terminale al figlio che deve essere più
aggressiva per il padre e meno aggressiva per la madre.
La famiglia reagisce comunque alla condizione di estremo
disagio mettendo in campo tutte le risorse emotive, fisiche ed
economiche, anche se la madre è costretta al ruolo perenne di
infermiera e la sorella viene in parte trascurata da entrambi i
genitori.
Compare comunque una tendenza a ridurre i rapporti sociali
ed amicali con conseguente progressivo isolamento.
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Terza storia: malformazioni multiple
Davide è nato dalla seconda gravidanza. L’ecografia eseguita
alla ventesima settimana ha evidenziato ridotta lunghezza dei
femori. La gravidanza è stata proseguita per scelta della
madre, mentre il padre avrebbe preferito l’interruzione. Nelle
ecografie successive questo rilievo è stato confermato. Il
bimbo è nato a termine per parto spontaneo e presentava alla
nascita
aumento dei diametri del cranio, rigidità delle
articolazioni delle braccia e delle gambe, ipoplasia delle
gambe, piede torto. La radiografia dello scheletro evidenziava
ispessimenti della corticale delle ossa lunghe con riduzione
del canale midollare. Inoltre il bambino presentava pene
piccolo e testicoli ritenuti. Vi era il sospetto di problemi
auditivi e visivi e di un possibile ritardo neuro-motorio.
Alla nascita il padre (che soffre di disturbi fobico-ossessivi)
Abbandono
del padre
non accetta il bambino ed abbandona la casa familiare per
tornare a vivere presso la propria madre.
La madre di Davide, una donna molto solida, rimane con la
sorella maggiore, sana, di 5 anni, ed il neonato. In questo è
aiutata dalla propria madre. La patologia di Davide non ha
una diagnosi chiara; vengono affrontati i singoli problemi di
salute ma la regia degli interventi socio-assistenziali è
particolarmente complessa. Questa regia viene assunta dal
pediatra di famiglia che collabora con la madre per stendere
un
calendario
credibile
ed
attuabile
di
interventi
fisioterapeutici, accertamenti, visite ed interventi chirurgici.
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La madre, che aveva un lavoro da impiegata,
deve ora
ricorrere all’assistenza sociale per le necessità quotidiane.
Improvvisamente, all’età di 6 mesi le condizioni di Davide
peggiorano. Viene ricoverato per idrocefalo ostruttivo e
sottoposto ad intervento neurochirurgico. Le condizioni
motorie ed ortopediche che avevano registrato dei progressi
principalmente per merito della fisioterapia, subiscono una
battuta di arresto. La situazione familiare è ancora compensata
quando Davide ha un anno ma solo a spese di un dispendio di
risorse fisiche ed emotive da parte della madre e
dell’attivazione di una complessa ed onerosa rete socioassistenziale che è messa in atto dalle strutture pubbliche
territoriali con il concorso della famiglia materna.
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MALFORMAZIONI
Colpiscono il 3-4% dei nati vivi. Se multiple interessano 1
bambino ogni 1000/2000 nati e causano deficit psicomotori
in 2/3 dei casi.
Sono la prima causa di morte in età neonatale e la seconda
entro i 4 anni di età, dopo gli incidenti.
In genere le cause sono sconosciute. Tra quelle note vi sono
effetti ambientali, inquinamento chimico, alterazioni
dell’ambiente uterino, malattie metaboliche, insufficienza
placentare, briglie amniotiche e cause genetiche.
Il rischio di malformazioni in una gravidanza successiva è
basso, di poco superiore al rischio delle famiglie che non
hanno figli malformati.
Se una malformazione è causa delle altre, si parla di
sequenza malformativa.
Se vi è una causa comune di tutte le malformazioni, si parla
di sindrome.
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Punti critici e commenti
Allarme in
gravidanza
Dopo una prima gravidanza normale, viene segnalata una
possibile malformazione in una ecografia di controllo alla
ventesima settimana della seconda gravidanza.
Emerge un dissidio tra i genitori: la madre valuta il segnale di
allarme ma non ritiene per questo di dover interrompere la
gravidanza
Il padre ritiene la decisione della moglie unilaterale, non
condivisibile e gliela rimprovererà in seguito “punendola” con
l’abbandono del tetto coniugale.
Malformazioni
multiple alla
nascita
Il quadro malformativo presente alla nascita è grave, esteso e
non consente una diagnosi precisa.
Oltre a malformazioni scheletriche, articolari e genitali vi è il
sospetto di danni neurologici (che in seguito viene
confermato) e degli organi di senso (vista ed udito).
Il bimbo nasce in una famiglia già provata dalle condizioni
psichiche del padre che soffre di disturbi fobico-ossessivi. Il
padre accusa la moglie di averlo escluso dalla decisione di
proseguire la gravidanza e, sia pur con estrema sofferenza,
abbandona la famiglia.
La madre si trova di fronte il carico estremamente gravoso di
provvedere da sola alla famiglia ed alle onerose esigenze
assistenziali del bambino, non dedicando a se stessa più
alcuno spazio. La sorella sviluppa un forte senso di
responsabilità nei confronti di Davide ma manifesta una
considerevole introversione nei rapporti con i coetanei.
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Gli interventi assistenziali sono molteplici e richiedono una
Regia degli
interventi
socioassistenziali
attenta regia per la scelta delle modalità e priorità. Non tutti
gli interventi sono erogati dal sistema assistenziale pubblico.
Gli atteggiamenti dei sanitari e degli operatori sociali che si
interessano alla vicenda sono vari e scarsamente coordinati.
Il paziente viene dimesso dal nido neonatale con dimissione
protetta, ma le indicazioni date dai vari specialisti ai
neonatologi ed alla famiglia sono tali e tante che diventa in
pratica estremamente difficile realizzarle. La madre si
domanda a questo punto quale sia un atteggiamento
equilibrato
nei
confronti
di
questa
medicalizzazione
estremamente specialistica e frammentaria. Fortunatamente
trova aiuto nel pediatra di libera scelta che si assume l’onere
di valutare, insieme alla madre, il reale vantaggio delle
indicazioni degli specialisti rendendole concrete relativamente
alle possibilità di tempo, risorse, spostamenti della madre e
del bimbo. Si rende necessario che il pediatra di base si metta
in contatto con gli specialisti per mediare le esigenze di tutti.
Ciononostante, la situazione sfugge di mano quando avviene
un
aggravamento
scompensato)
ed
sul
il
piano
paziente
neurologico
necessita
di
(idrocefalo
intervento
neurochirurgico.
La madre, dovendo svolgere a tempo pieno il ruolo
assistenziale, non può più lavorare ed il bilancio economico
della famiglia è in grave crisi. Vengono messi in atto
interventi socio-assistenziali, compatibilmente con le risorse
economiche dei servizi di zona, che risultano solo di parziale
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aiuto. Anche le risorse affettive, fisiche e la disponibilità della
madre sono limitate e vengono dedicate in misura quasi totale
al piccolo Davide con conseguenze negative sulla vita della
sorella sana.
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Indice
Pag.
3
Prefazione di Sandro Spinsanti
Pag.
5
Presentazione
Pag.
8
Fare il bene ed evitare il male
Pag. 11
Scopi della medicina
Pag. 13
Interventi inappropriati
Pag. 15
Rapporto medico-paziente e consenso libero ed informato
Pag. 22
Le preferenze del paziente
Pag. 24
Il rifiuto dell’informazione e rifiuto del trattamento
Pag. 25
Prendere decisioni per pazienti incapaci
Pag. 27
La qualità di vita
Pag. 30
Qualità di vita minima e sostegno vitale
Pag. 32
Intervento ordinario o straordinario
Pag. 35
Giustizia e lealtà
Pag. 38
Costi e decisioni cliniche
Pag. 39
Il medico amico
Pag. 40
Principi etici, minimo e massimo morale
Pag. 41
Bibliografia essenziale
Pag. 45
Glossario
Pag. 48
Sintesi: tecnica, medicina ed etica clinica
Casi clinici
Pag. 53
Prima storia: maschio o femmina?
Pag. 56
Punti critici e commenti
Pag. 60
Seconda storia: malattia degenerativa
Pag. 63
Punti critici e commenti
Pag. 65
Terza storia: malformazioni multiple
Pag. 68
Punti critici e commenti
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Gli Autori
Dott. Roberto Lala
Endocrinologo Pediatra.
Presidente della Società per lo Studio delle Malattie Rare.
Membro del tavolo tecnico-scientifico della Rete per le
Malattie Rare della Regione Piemonte.
Dott. Giorgia Fenocchio
Psicologa.
Coordinatrice del Centro di Incontro
per malati di patologie rare “IncontRare” di Torino.
Prof. Alberto Musso
Pediatra.
Presidente della Federazione Malattie Rare Infantili.
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