L`impatto tossicologico ambientale dei pesticidi

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L`impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
Michele Giangrossi
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
di Michele Giangrossi
1. Generalità
Nel nostro secolo, la lotta antiparassitaria, consistente nell’ eliminazione
dalle piante coltivate di parassiti animali e vegetali che riducono la produttività dei
terreni e la qualità dei raccolti agricoli, ha raggiunto un grado di evoluzione tecnica
elevatissima.
La sintesi e produzione di nuovi principi attivi, la messa a punto di una
serie di sistemi di monitoraggio dei parassiti animali e vegetali, l’innovazione
delle macchine per la distribuzione dei fitofarmaci consentono la realizzazione di
adeguati interventi. (Vieri L., 1994)
La risoluzione dei problemi di carattere agronomico si è avvalsa anche dello
studio del comportamento ambientale di un particolare gruppo di pesticidi, gli
erbicidi.
In Italia, in ragione delle articolate direttive europee, sono sorti gruppi di
sperimentazione, nelle Università e nei Centri di ricerca, (Vicari A.,1995; Del Re
A.M.,1995) per elaborare nuovi metodi produttivi, agricoli e forestali, compatibili
con l’ambiente e ancor di più, per trovare un ‘codice di comportamento’ in
agricoltura che consenta di abbattere l’uso degli erbicidi, riscontrati nei campioni
di acque potabili, in concentrazioni ben superiori ai limiti di legge (Leandri
A.,1995).
L’applicazione di un pesticida sul bersaglio può avere diverse destinazioni:
dirette (aria, piante, terreno, acqua) e indirette (fauna terrestre, fauna acquatica,
uomo) (Vicari A., 1995).
1.1. Volatilizzazione e deriva
L’aria è soltanto un mezzo di trasporto di cui il pesticida ha bisogno per
raggiungere il suo bersaglio. I tempi di contatto con questo mezzo sono solitamente
brevi, ma il passaggio nell’atmosfera rappresenta sempre un aspetto negativo nella
distribuzione dei pesticidi in quanto entrano in gioco i fattori di stabilità all’aria e
alla luce dei composti utilizzati, di temperatura (volatilizzazione) e di movimenti
dell’aria (deriva).
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La volatilizzazione è la trasformazione del pesticida nella forma di vapore,
per sublimazione ed evaporazione. Questo fenomeno, che dipende dalla natura
chimica del composto e dalla temperatura dell’ambiente, genera dispersione del
prodotto.
Ad esso si può porre rimedio incorporando, più o meno immediatamente,
diserbanti nel terreno, o effettuando trattamenti nelle ore meno calde della giornata
(Vicari A., 1995; Vercesi B., 1995 ).
La deriva è il trasporto fisico del pesticida in un punto lontano da quello della
sua applicazione. Ne sono causa il vento, durante la distribuzione del prodotto, e i
trattamenti ai margini di appezzamenti (deriva trasversale) o alle testate del campo
(deriva longitudinale) (Leandri A., 1995).
1.2. Assorbimento delle piante
Le piante costituiscono il bersaglio primario dei trattamenti; solitamente
l’assorbimento del diserbante può essere consistente.
Infatti, nelle applicazioni su vegetazione ben sviluppata, può essere assorbita
fino al 50% della dose di prodotto impiegata. Al contrario, nelle applicazioni al
suolo, ciò dipende dalla natura del terreno e dal suo potere di assorbimento.
Nelle piante infestanti intervengono processi di metabolizzazione che
degradano l’erbicida a prodotti elementari non tossici. Per quanto riguarda le piante
coltivate si può avere una situazione differente, il pesticida non metabolizzato
può rimanere come residuo e passare con la raccolta nei prodotti destinati
all’alimentazione umana (Vercesi B., 1995).
1.3. Permanenza nel terreno
Sul terreno, oggetto diretto o indiretto del trattamento, confluisce la parte
più consistente del pesticida applicato. Qui i pesticidi seguono strade differenti
a seconda delle varie interazioni che si instaurano tra pesticida, terreno, piante e
fattori climatici.
Una volta giunto nel terreno, il diserbante può essere metabolizzato o
trasportato, il che ne determina la persistenza.
Tutti i pesticidi, in tempi più o meno lunghi, vengono metabolizzati e tramite
processi degradativi le molecole vengono ridotte a composti semplici quali acqua,
anidride carbonica e sali organici.
I meccanismi di degradazione possono essere di tipo biologico (microrganismi
presenti nel terreno), fotochimico (ossidazioni dovute dalle radiazioni solari) e
chimico (reazioni d’idrolisi in terreno, acqua e piante ).
Il parametro per esprimere la velocità di degradazione è il tempo di
dimezzamento (chiamato anche emivita o periodo di semitrasformazione) che
indica il tempo necessario per ridurre del 50% la quantità di erbicida immessa in
un dato ambiente.
I fattori che influenzano tale parametro sono, ad esempio, le proprietà
chimico-fisiche della sostanza (polarità, ionizzazione, formula commerciale)
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quantità di microrganismi presenti nel terreno, grado di umidità e temperatura del
terreno. (Vercesi B., 1995).
La determinazione della carica residua dei pesticidi nel terreno o dei loro
prodotti di metabolizzazione può essere condotta con analisi chimiche e/o
biologiche; con le prime è possibile effettuare una valutazione quantitativa del
prodotto mentre i test biologici, oltre all’aspetto quantitativo, forniscono elementi
inerenti gli effetti dei pesticidi sull’ambiente, come ad esempio la presenza o la
quantità di una sostanza in un substrato in base alla risposta di organismi viventi
sensibili al pesticida da analizzare.
Gli effetti negativi della persistenza dei pesticidi nei terreni si possono
esprimere in termini di “ecotossicologia”. Durante e dopo l’applicazione dei vari
prodotti essi possono venire in contatto con organismi diversi da quelli ‘bersaglio’
e quindi interferire in modo più o meno marcato sulla loro vita. Spesso si sono
verificati avvelenamenti causati indirettamente dall’applicazione di sostanze
che aumenterebbero l’appetibilità di piante tossiche che generalmente non sono
consumati dagli animali.
Per quanto riguarda gli animali selvatici, si sono verificati effetti gravi
nell’ambito della schiusura delle uova in alcune classi di uccelli, quali fagiani e
pernici: infatti alcune sostanze impedirebbero la schiusura o quanto meno
causerebbero la nascita di pulcini malformati .
Tutti gli studiosi sono comunque concordi nel ritenere che il problema principale
dell’uso dei diserbanti, per quanto riguarda la vita degli animali selvatici, non è tanto
di natura tossicologica quanto ecologica; l’uso sistematico dei diserbanti potrebbe
portare a un radicale cambiamento dell’ambiente naturale, sia per la riduzione della
flora e delle piante fornitrici di cibo, che per l’eliminazione dei rifugi.
Un altro effetto peculiare nella valutazione della ecotossicità dei prodotti è quello
sui microrganismi del terreno. Una loro alterazione negativa, in termini di modificazione
dei processi di respirazione e del ciclo dell’azoto, potrebbe infatti costituire motivo di
abbandono degli stessi prodotti ancora nella fase di messa a punto.
La valutazione sull’attività della microflora è ovviamente fondamentale per i
pesticidi a carica residuale per i quali il contatto con il terreno è di lunga durata.
1.4. Residui di pesticidi nell’acqua
Anche l’acqua, come il terreno, può essere oggetto diretto o indiretto del
trattamento. Nel primo caso non sono normalmente da temere effetti negativi
sull’ambiente in senso lato in quanto, nei casi specifici, i diserbanti vengono
impiegati a ragion veduta.
Come oggetto indiretto, invece, i riflessi sono quasi sempre negativi in quanto
si originano al di fuori di eventi controllabili e si configurano come fenomeni di
contaminazione sia di corpi idrici superficiali che di quelli profondi.
Anche in questo caso il tasso di contaminazione dipende dalla stabilità dei
composti in acqua, dalla sensibilità alla luce e dalla costante di dissociazione ai
diversi pH.
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Le direttive europee impongono che nessun pesticida sia presente nelle acque
potabili in concentrazioni superiori a 0.1 ppm per componente singolo o 0.5 ppm
come somma di più componenti.
Tuttavia questa strategia, insieme a molte altre formulate per la protezione
delle acque profonde, trascura completamente la tossicità del prodotto.
La presenza di frazioni infinitesimali di pesticidi nelle acque non significa
necessariamente che esse siano dannose alla salute.
Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha ritenuto
opportuno fornire caso per caso valori soglia diversi da quelli fissati dalla normativa
europea in maniera da rendere possibile l’utilizzo, per il consumo umano, di acque
altrimenti non valorizzabili (Vercesi B., 1995; Shahamat U.K., 1987).
2. Classificazione tossicologica dei pesticidi
Una sostanza viene definita tossica quando, introdotta nell’organismo per
una qualsiasi via (orale, respiratoria, dermale) è in grado di determinare alterazioni
più o meno gravi alle funzioni vitali dell’organismo stesso e portare in alcuni casi
alla morte.
La tossicità di un sostanza può essere di due tipi acuta e cronica; la prima
viene valutata attraverso test definiti ‘a breve termine’, che analizzano per l’uomo
e per gli altri organismi viventi fattori quali:
a) l’esposizione per via orale
b) l’esposizione per via dermale
c) l’esposizione per via inalatoria
d) la tossicità intraperitoneale e per endovena
In generale, la tossicità acuta orale è utilizzata come riferimento primario
per la classificazione dei pesticidi nella legislazione europea .
La tossicità acuta orale si esprime con la quantità di una data sostanza che,
somministrata in una sola volta ad un gruppo di animali (solitamente ratti da
laboratorio) ne determina la morte nel 50% dei casi. Viene indicata con la sigla
DL50 (dose letale) ed espressa in ppm o mg/kg di peso corporeo.
Per la tossicità cronica si considera, invece, la soglia di tale tossicità ovvero
la quantità massima giornaliera di sostanza che un animale o un individuo può
ingerire con gli alimenti per un lungo periodo di tempo, senza accusare nessun
effetto negativo.
Per i pesticidi, inoltre, si considerano anche i test di genotossicità (capacità di
una sostanza di provocare effetti biologici quali mutazioni genetiche, aberrazioni
cromosomiche, danni al DNA), test di teratogenesi (effetti sullo sviluppo
embrionale) e test di cancerogenesi e ecotossicità (tossicità verso organismi
acquatici, insetti, animali selvatici).
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Il regolamento del 3-08-68 n. 1255, attualmente ancora in vigore, divide i
pesticidi, in base alla tossicità acuta per l’uomo e per gli animali in 4 classi; tale
classificazione avviene in base alla DL50 ottenuta per via orale relativa ai ratti.
Tuttavia tale regolamento, pur mantenendo tuttora una sua validità
normativa per la classificazione dei presidi sanitari di III e IV classe tossicologica
è stata modificato dal D.P.R. n. 223 del 24-05-98, in attuazione della direttiva
CE n. 78/631 e di altre, che hanno dettato le norme generali sulla classificazione,
sull’imballaggio e sull’etichettatura dei presidi fitosanitari pericolosi, applicandole
in sostanza ai prodotti di I e II classe.
Il Ministero della Sanità, con D.M. n. 258 del 2 agosto 1990, ha imposto
ai produttori di antiparassitari di adeguarsi alla nuova normativa sottoponendo
all’approvazione dell’Autorità la riclassificazione di tutti i prodotti registrati. Per
le suddette norme, i presidi sanitari sono classificati in base alla tossicità effettiva
del formulato commerciale espressa dal valore più critico della DL50 acuta per via
orale e dermale nel ratto.
Per determinati prodotti, come formulati gassosi o i preparati in polveri
molto raffinate (diametro delle particelle inferiore a 50 micron), occorre valutare
anche la tossicità per via inalatoria (CL50 espressa in mg per litro d’aria).
Inoltre i presidi delle 4 classi tossicologiche risultati corrosivi, irritanti,
infiammabili, sensibilizzanti devono riportare sull’etichetta le frasi indicative di
tali rischi ed i relativi simboli.
L’attribuzione della classe tossicologica viene effettuata sulla base dei
seguenti criteri:
CLASSE 1: comprende i composti ‘molto tossici’ e ‘tossici’ che rientrano nei
seguenti valori di riferimento della DL50:
PREPARATI SOLIDI (POLVERI SECCHE, GRANULARI)
molto tossici
tossici
DL50 orale 5mg/kg
5 DL50 50mg/kg
DL50 dermale 10mg/kg
10 DL50 100mg/kg
PREPARATI LIQUIDI (LIQUIDI SOLUBILI)
molto tossici
tossici
DL50 orale 25 mg/kg
25 DL50 200 mg/kg
DL50 dermale 50 mg/kg
50 DL50 400 mg/kg
DL 50 inalatoria 0.5 mg/kg
0.5 DL50 2mg/kg
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CLASSE II: è la categoria che presenta la più alta frequenza di presidi sanitari
(nocivi), ma con relativamente pochi diserbanti, e comprende i prodotti nocivi che
rientrano nei seguenti valori di DL50:
PREPARATI SOLIDI
50 DL50 orale. 500mg/kg
100 DL50 dermale. 1000mg/kg
PREPARATI LIQUIDI
200 . DL50 orale . 500 mg/kg
400 . DL50 dermale . 4000mg/kg
2 DL50 . inalatoria . 20 mg/kg
CLASSE III: comprende prodotti meno pericolosi rispetto alle prime due
classi che hanno una DL50> 500 mg/kg, senza alcune differenziazione dei valori
in rapporto alla tipologia di formulazione e che, comunque sia, sono esclusi dalla
classificazione secondo i criteri sopra esposti.
CLASSE IV: comprende prodotti che comportano solo rischi trascurabili
per l’uomo, per cui la loro manipolazione ed impiego richiedono soltanto una
certa attenzione. Qualora però il formulato presentasse un sia pur minimo pericolo
l’etichetta deve riportare chiaramente l’indicazione e, se esiste, il simbolo.
Questa classe tossicologica contiene pochi prodotti registrati e tende ad essere
sempre meno applicata nella classificazione di prodotti di nuova introduzione per
la mancanza di presupposti oggettivi per ricorrere a tale classificazione, visto che
il progresso delle metodologie e dei protocolli sperimentali riescono a mettere
in chiara evidenza anche effetti minori che prima erano impercettibili o giudicati
trascurabili.
In accordo con le linee guida della Commissione Europea per l’Ambiente e
con alcuni studiosi che negli anni si sono occupati del problema, (Jimènez-Beltràn
D., 1997) il tentativo di caratterizzazione delle sostanze tossiche, dei pesticidi in
particolare, è stato condotto secondo il criterio della pericolosità delle diverse sostanze
in base al valore della DL50 (dose letale per il 50% delle cavie da laboratorio) orale.
Come sostanza di riferimento in base alla quale esprimere la tossicità
potenziale equivalente di ogni prodotto chimico utilizzato, in genere nelle pratiche
agricole, è stata considerata un’ipotetica sostanza con DL50 orale pari a 50 o 200
mg/kg (limite superiore di una sostanza classificata come tossica), a seconda,
rispettivamente, che si tratti di un composto in forma liquida o solida e con una
DL50 dermale pari a 100 mg/kg, in forma liquida o solida.
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La scelta è stata dettata dal fatto di voler porre in evidenza il problema
dell’uso dei pesticidi nella produzione di Biomassa, specialmente per quanto
riguarda il possibile inquinamento delle acque.
Il calcolo del fattore di conversione, che per semplicità chiameremo
TE (Toxical Effect) si ottiene con una semplice proporzione tra la DL50 sopra
specificata e la DL50 della sostanza in questione:
TE = 50/DL50 (sostanza ‘x’ in forma liquida)
per poi ottenere l’effetto tossicologico totale moltiplicando i singoli fattori
per le quantità di prodotto immesse nei diversi comparti ambientali e sommando
i risultati.
3. Specificità d’azione dei pesticidi interessati
I pesticidi, chiamati anche fitofarmaci, sono sostanze utilizzate, come
già detto, nella lotta antiparassitaria, aiutano a garantire la produzione agricola
impedendo che le coltivazioni agricole vengano attaccate da vari agenti infestanti.
Alcune delle principali categorie di pesticidi, classificate in base agli organismi
nocivi a cui sono destinate, sono gli erbicidi o diserbanti utilizzati contro piante
infestanti le colture agricole, gli insetticidi, gli acaricidi, topicidi, fungicidi. Sono
quasi sempre sintetizzati artificialmente, oppure elaborati a partire da sostanze
naturali di natura organica come la nicotina e il piretro.
Gli erbicidi possono essere selettivi o meno a seconda che uccidano
indistintamente tutte le specie vegetali su cui vengono sparsi o soltanto alcune
varietà specifiche. Tra gli erbicidi più diffusi quelli di natura organica sono a base
di composti quali solfati di rame, clorati e arsenicati di sodio; tra quelli di origine
organica, ad esempio, il dinitrobutifenolo e il dinitrocresolo.
Alcuni erbicidi devono essere applicati sulla parte aerea della pianta, altri
agiscono dal terreno penetrando in tessuti vegetali attraverso la radice. La maggior
parte dei diserbanti di recente sintesi viene irrorata durante lo sviluppo delle piante
e interferisce con la loro crescita senza danneggiare le colture agricole.
I diserbanti ‘totali’o non selettivi come il paraquat e il glufosinate sono
utilizzabili solo prima che spuntino le piantine seminate. Inoltre alcuni nuovi
diserbanti richiedono l’aggiunta di prodotti chimici che potenzino le difese naturali
della pianta contro i principi attivi che determinano l’eliminazione delle erbacce.
Gli insetticidi costituiscono la porzione minore del mercato mondiale dei
pesticidi (circa il 28% del totale). Caratteristica comune di questa categoria è l’alta
solubilità nei lipidi, espressa come coefficiente di ripartizione n-ottanolo/acqua.
Inoltre sono molto persistenti nell’ambiente per svariati fattori quali temperatura,
intensità luminosa, pH e percentuale di umidità.
Sono i più discussi, a causa degli effetti causati all’ambiente dai primi
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composti clororganici utilizzati, che nella maggior parte dei paesi sono oggi proibiti
o sottoposti a severe forme di controllo.
Uno dei più noti, ormai quasi totalmente in disuso, è il DDT (diclorodifeniltricloroetano), ampiamente utilizzato negli anni ’40 e ’50 contro svariati insetti
patogeni e dannosi, e poi abbandonato a causa dei gravissimi danni ecologici causati ( Klaassen C.D., 1992). Questo composto, infatti, assorbito dagli insetti a cui è
destinato, contamina anche gli animali che si nutrono di insetti, e risale via via tutti
i livelli trofici della rete alimentare, danneggiando numerose specie animali.
Altri pesticidi si comportano diversamente: ad esempio, quelli del gruppo
degli esteri fosforici (Parathion e Malathion) si decompongono dopo un certo
intervallo di tempo, impedendo che la loro tossicità si trasmetta a organismi diversi
da quelli a cui erano destinati.
Lo svantaggio di questo tipo di composti è che, prima che si decompongano,
sono altamente tossici, non solo per gli insetti, ma anche per l’uomo. Attualmente,
gli strumenti più promettenti nella lotta antiparassitaria mirata agli insetti sono le
nuove generazioni di biopesticidi.
I fungicidi contaminano soprattutto colture come i cereali e le viti e, ad
esempio, il fungo Erisyphe graminis, causa del mal bianco, è uno dei funghi patogeni
più dannosi e più combattuti, soprattutto in Europa. Il brusone (Pyricularia
oryzae) e la ruggine del riso (Pellicularia sasakii), invece, sono le principali malattie
fungine che colpiscono il riso. In molti casi i funghi sviluppano una resistenza agli
agenti fungicidi, per cui è necessaria l’applicazione combinata di differenti agenti
antiparassitari.
4. Effetti tossicologici sull’uomo
I pesticidi, oggetto della nostra ricerca, possono essere classificati in due
grosse categorie: organofosforati e clorurati/piretroidi:
PESTICIDI ORGANOFOSFORATI:
PESTICIDA
CLASSIFICAZIONE
Azinphos-Methyl
Insetticida
Chlorfenvinphos
Insetticida-acaricida
Chlorpiriphos
Insetticida-acaricida
Diazinon
Insetticida
Dichlorvos
Insetticida-acaricida
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Ethion
Acaricida
Fenitrothion
Insetticida
Fonofos
Insetticida
Malathion
Insetticida acaricida
Methidation
Insetticida acaricida
Pirimiphos-Methyl
Insetticida
Parathion-Et
Insetticida
Phosalone
Insetticida
PESTICIDI CLORURATI E PIRETROIDI:
PESTICIDA
CLASSIFICAZIONE
Alachlor
Erbicida
Aldrin e Dieldrin (somma)
Erbicida
Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane) Insetticida
Bromopropilate
Acaricida
DDT
Insetticida
Endrin
Insetticida-acaricida
Heptachlor e Heptachlor epossido (somma) Insetticida
HBC
Fungicida
HCH
Fungicida
HCH (lindane)
Fungicida
PCNB (somma di PCNB,PCA,PCTA )
Insetticida
Cipermetrine (e isomeri)
Insetticida-piretroide
Deltametrina
Insetticida-piretroide
Fenvelerate
Insetticida-piretroide
Permetrine
Insetticida-piretroide
Piretrine (somma)
Insetticida
Piperonil butossido
Insetticida-sinergizzante
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4.1. Pesticidi organofosforati
I pesticidi organofosforati hanno come caratteristica peculiare comune
quella di essere inibitori della acetilcolinesterasi, enzima coinvolto nell’interazione
dell’ acetilcolina con i recettori muscarinici e nicotinici a livello post sinaptico.
L’acetilcolina (Ach) si forma, a livello pre-sinaptico della terminazione
nervosa, dalla reazione tra colina, derivante dai fosfolipidi della dieta, e l’Acetil
CoA, che proviene dal metabolismo intermedio (mitocondrio).
Dopo la sintesi, l’Ach si deposita in vescicole insieme a proteine e ATP; il
calcio, presente anch’esso a livello presinaptico, favorisce l’esocitosi della vescicola
che libera il neurotrasmettitore, ATP, proteine nello spazio sinaptico.
L’acetilcolina interagisce con i recettori post-sinaptici nicotinici e muscarinici scatenando una serie di eventi biochimici che porta alla fine alla risposta
funzionale.
L’ultimo passaggio è catalizzato dalla acetilcolinesterasi, enzima che idrolizza
rapidamente l’acetilcolina, dopo il legame con i recettori, a colina e acetato; è un
enzima molto efficiente capace di idrolizzare subito fino a circa 14.000 molecole
per secondo, in condizioni di saturazione, in modo tale che il neurotrasmettitore
rimanga a contatto con i recettori per tempi brevi.
I pesticidi organofosforati, detti anticolinesteratici (anti-ChE), inibendo
l’idrolisi dell’Ach a livello post-sinaptico, la fanno accumulare nei siti recettoriali
colinergici e perciò sono potenzialmente capaci di produrre effetti equivalenti a
una stimolazione eccessiva dei recettori colinergici in tutti i distretti del sistema
nervoso centrale e periferico.
La loro estrema tossicità è dovuta alla loro capacità di determinare
l’inattivazione ‘irreversibile’, mediante legami covalenti, dell’AchE, ottenendo così
un’attività inibitoria di lunga durata.
In generale, per prevedere le proprietà farmacologiche degli anti-ChE, basta
conoscere le sedi in cui l’ACh viene liberata fisiologicamente dagli impulsi nervosi, il
grado di attività degli impulsi nervosi e le risposte all’ACh dei corrispondenti organi
effettori. Però, sebbene ciò sia corretto in linea di massima, le differenti localizzazioni
delle sinapsi colinergiche possono aumentare la complessità della risposta.
Potenzialmente, gli agenti anti-ChE sono in grado di produrre tutti i seguenti effetti:
1) stimolazione della risposta dei recettori muscarinici negli organi effettori
autonomi.
2) stimolazione, seguita da depressione o paralisi, di tutti i gangli autonomi
e dei muscoli scheletrici (azioni nicotiniche).
3) stimolazione, seguita talvolta da depressione, dei siti recettoriali colinergici
nel SNC.
Ad esempio, composti come il Parathion diventano più tossici quando si
distribuiscono sistematicamente, in quanto si convertono nella loro forma attiva,
il Paraxon.
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In generale, i composti contenenti un gruppo amminico quaternario non
penetrano facilmente attraverso le membrane cellulari e quindi gli agenti anti-ChE
appartenenti a tale categoria vengono assorbititi scarsamente attraverso il tratto
gastrointestinale e, a dosi basse, non possono esercitare un’apprezzabile azione sul
SNC non potendo superare la barriere ematoencefalica.
D’altra parte, tali composti agiscono in modo relativamente selettivo a
livello delle giunzioni neuromusculari della muscolatura scheletrica, esercitando
la loro azione sia come agenti anti-ChE sia come agonisti diretti. Il loro effetto
sui siti effettori autonomi è relativamente minore e le loro azioni sui gangli hanno
generalmente un’intensità intermedia.
Per contro, gli agenti anti-ChE più liposolubili vengono assorbiti bene per
via orale ed esercitano effetti ubiquitari sui siti recettoriali colinergici sia periferici
che centrali.
Le azioni degli anti-ChE sulle cellule effettrici autonome e sui siti corticali
e subcorticali del SNC, in cui i recettori sono in gran parte muscarinici, vengono
bloccate dall’atropina; analogamente l’atropina blocca alcune azioni eccitatorie
degli anti-ChE sui gangli autonomi, poiché nella neorotrasmissione gangliare è
implicata sia la stimolazione dei recettori muscarinici che dei recettori nicotinici.
Gli effetti dell’intossicazione acuta da anticolinesterasici si manifestano
con segni e sintomi muscarinici e nicotinici e, fatta eccezione per i composti con
liposolubilità estremamente bassa, con segni riferibili al SNC.
Gli effetti locali sono dovuti all’azione di vapori o aerosol nella sede del
contatto con gli occhi o con il tratto respiratorio o all’assorbimento locale di
sostanze liquidi che hanno contaminato la cute o le mucose, comprese quelle
del tratto gastrointestinale. Gli effetti sistemici si presentano entro alcuni minuti
dall’inalazione di vapori e aerosol; per contro dopo l’assorbimento gastrointestinale
e percutaneo, l’insorgenza dei sintomi è ritardata.
La durata degli effetti è determinata in gran parte dalle proprietà del
composto: liposolubilità, dal fatto che debba essere arrivato o meno, dalla stabilità
del legame tra il composto organofosforico e l’AchE e dal fatto che sia avvenuto o
meno ‘l’invecchiamento’ dell’enzima fosforilato.
Dopo l’esposizione locale a vapori o aerosol o dopo la loro inalazione,
generalmente insorgono dapprima effetti oculari e respiratori: un esempio è
rappresentato dal pesticida organofosforato Chlorpyrifos, insetticida ad ampio
spettro utilizzato per combattere un gran varietà di insetti come mosche,
pidocchi, formiche del fuoco, blatte in coltivazioni di grano, cotone e sulle piante
ornamentali.
Il Chlorpyrifos, per quanto riguarda gli effetti muscarinici, determina, a
livello respiratorio, tosse, naso sanguinante, fiato corto, oppressione toracica e
sibili respiratori, dovuti alla combinazione di broncocostrizione e aumento della
secrezione bronchiale.
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A livello oculare i sintomi comprendono una notevole miosi, dolore oculare,
congestione congiuntivale, calo della vista, spasmo ciliare e dolore sopraciliare.
Dopo ingestione si manifestano assai precocemente sintomi gastrointestinali
comprendenti nausea, vomito, crampi addominali, anoressia, spasmi addominali,
diarrea. A livello percutaneo, in caso di assorbimento di liquidi si osservano
generalmente, come manifestazioni più precoci, eccessiva sudorazione localizzata,
e fascicolazione muscolare nelle immediate vicinanze.
L’intossicazione grave da Chlorpyrifos si manifesta con profusa salivazione,
defecazione e minzione involtarie, lacrimazione, bradicardia e ipotensione.
Gli effetti nicotinici a livello delle giunzioni neuromuscolari consistono
generalmente in affaticamento e debolezza generalizzata, contrazioni involontarie,
fascicolazioni localizzate e, alla fine, grave debolezza e paralisi; la più grave
conseguenza delle azioni neuromuscolari è la paralisi dei muscoli respiratori.
L’avvelenamento grave determinerà, a livello del SNC, un ampio spettro
di effetti quali confusione, atassia, difficoltà nell’articolazione del linguaggio,
perdita dei riflessi, convulsioni generalizzate, coma e paralisi respiratoria centrale.
La più grave conseguenza delle azioni neuromuscolari è la paralisi dei muscoli
respiratori.
Dopo una singola esposizione acuta da Chlorpyrifos, la morte può insorgere
entro un intervallo di tempo che va da 5 minuti a quasi 24 ore, a seconda della
dose, della via di assunzione, altri fattori. La causa di morte è primariamente
un’insufficienza respiratoria accompagnata, generalmente, da una componente
cardiovascolare secondaria.
Le azioni muscariniche, nicotiniche e centrali contribuiscono tutte alla difficoltà respiratoria, le cui manifestazioni comprendono laringospasmo, broncocostrizione, aumento della secrezione tracheobronchiale e salivare, compromissione
del controllo del diaframma e dei muscoli intercostali e depressione respiratoria
centrale.
Benché la pressione arteriosa possa scendere a livelli preoccupanti e possano
intervenire irregolarità cardiache, probabilmente questi effetti possono essere
causati tanto dall’ipossiemia quanto dalle azioni specifiche prima menzionate,
poiché spesso possono essere fatti regredire dal ristabilimento di un’adeguata
ventilazione polmonare.
La diagnosi dell’intossicazione acuta grave da Chlorpyrifos, come anche per
la maggior parte dei pesticidi organofosforati, risulta essere facile se si considerano
le circostanze dell’esposizione e i segni e i sintomi caratteristici. Nei casi di sospetta
intossicazione acuta o cronica più mite, si può generalmente formulare la diagnosi
determinando le attività colinesterasiche negli eritrociti e nel plasma.
Il trattamento è nello stesso tempo specifico e molto efficace e prevede
l’utilizzo di Atropina; quest’ultima è un alcaloide presente nell’Atropa Belladonna
e in molte altre specie in natura, specialmente nelle Solanacee. È un estere organico
160
Michele Giangrossi
che si forma per combinazione di un acido aromatico, l’acido tropico, con una base
aromatica complessa, la tropina.
Perché l’atropina eserciti la sua azione antimuscarinica è necessario che
l’estere della tropina con l’acido tropico sia integro, poiché né l’azione dell’acido
libero ne la base presentano singolarmente un’apprezzabile attività muscarinica.
L’atropina è un antagonista competitivo delle azioni dell’Ach e degli altri
agonisti muscarinici, compete con tali agonisti per un comune sito di legame sul
recettore muscarinico, antagonizza efficacemente le azioni esercitate sui recettori,
tra cui l’aumento della secrezione tracheobronchiale e salivare, la stimolazione dei
gangli periferici e, in misura moderata, le azioni centrali.
Dose più elevate si rendono necessarie per ottenere concentrazioni di atropina a livello del SNC. L’atropina è pressoché inefficace contro l’attivazione neuromuscolare periferica e la conseguente paralisi. Quest’ultima azione degli anticolinoesterasici, nonché tutti gli altri effetti periferici, possono essere antagonizzati
da altre sostanze come la Pralidossina, un riattivatore di colinesterasi.
Nelle intossicazioni medio-gravi da pesticida organofosforati, la dose di
Pralidossina consigliata nell’adulto è di 1-2 grammi infusi per via endovenosa in
non meno di 5 minuti. Se la debolezza non si attenua o si ripresenta dopo 20 minuti,
la dose può essere ripetuta.
È molto importante che il trattamento sia precoce per assicurare che la
Pralidossina raggiunga l’Ache fosforilata quando questa può venire ancora
riattivata. Molti degli organofosforati sono estremamente liposolubili (ad esempio
l’Ethion e il Diazinon) e, se c’è stata una notevole ripartizione nei tessuti adiposi
dell’organismo, l’insorgenza della tossicità può essere ritardata e i sintomi possono
ripresentarsi dopo il trattamento iniziale; in alcuni casi, è stato necessario proseguire
per parecchie settimane il trattamento con Atropina e Pralidossina.
Talvolta è necessario prendere alcuni provvedimenti generali di sostegno,
che comprendono:
1) la cessazione dell’esposizione, mediante l’allontanamento del paziente o
l’applicazione di una maschera a gas se l’atmosfera è contaminata, l’allontanamento
e la distruzione dei vestiti contaminati, il lavaggio abbondante con acqua della cute
o delle mucose contaminate, o la lavanda gastrica.
2) il mantenimento della pervietà delle vie aeree, compreso l’aspirazione
endobronchiale.
3) la respirazione artificiale, se necessario.
4) la somministrazione di ossigeno.
5) il trattamento delle convulsioni persistenti mediante somministrazione di
Diazepam (5-10 mg, per via endovenosa) o di Tiopental sodico (soluzione al 2,5%,
per via endovenosa).
161
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
L’Atropina deve essere somministrata in dosi adeguate (di solito molto
elevate). Dopo un’iniezione iniziale di 2-4 mg, se possibile per via endovenosa,
altrimenti per via intramuscolare, la dose di 2mg deve essere ripetuta ogni 5-10
minuti finché non scompaiono i sintomi muscarinici, oppure fino alla comparsa di
segni di tossicità da Atropina. Il primo giorno possono rendersi necessari più di
200mg.
In seguito è consigliabile mantenere un moderato grado di blocco con
Atropina anche per 48 ore o fin quando i sintomi restano evidenti. I riattivatori
dell’Ache possono essere molto utili nella terapia delle intossicazioni da agenti
anti-ChE, ma il loro impiego deve essere considerato come integrativo della
somministrazione di Atropina (Taylor P., 1992).
4.2. Pesticidi clorurati
Gli insetticidi clorurati comprendono: i derivati del cloroetano, tra cui il DDT
è il più conosciuto; i ciclodieni, che comprendono l’ Aldrin, il Dieldrin, l’Eptaclor,
l’Endrin; altri idrocarburi tra cui gli esaclorocicloesani quali il Lindano.
Dalla metà degli anni Quaranta alla metà degli anni Settanta gli insetticidi
clorurati sono stati largamente usati sia in agricoltura che in campagne di
prevenzione della malaria (Royal society of Chemistry, 1991).
Il DDT (diclorodifeniltricloroetano), il più comune dei derivati del
cloroetano, è anche noto sotto il nome di clorofenotano; prima che venissero
adottate in molti paesi delle forti restrizioni al suo uso (negli Stati Uniti è proibito
per legge dal 1972) il DDT era il più conosciuto, il più economico, e probabilmente
uno dei più efficaci fra gli insetticidi sintetici. Per questi motivi, la sua realizzazione,
a metà degli anni quaranta, fu subito seguita da un’utilizzazione su larga scala.
Il DDT, disponibile sul mercato in varie forme, ad esempio polveri,
concentrati emulsionabili e aerosol, ha una solubilità estremamente bassa in acqua
e molto elevata nei grassi: è velocemente assorbito se sciolto in oli, grassi o nei
solventi polari, mentre è scarsamente assorbito come sostanza in polvere o in
sospensione acquosa.
Una volta assorbito, il DDT si concentra nel tessuto adiposo; l’accumulo
nei grassi si traduce in un meccanismo protettivo, perché viene così a diminuire la
quantità di sostanza presente nella sede della sua azione tossica, il cervello.
Il DDT attraversa la placenta e le sue concentrazioni nel sangue del cordone
ombelicale sono dello stesso ordine di grandezza di quelle che si raggiungono nel
sangue della madre esposta.
Per la lentezza della sua degradazione nell’ambiente e per l’accumulo nel
tessuto adiposo degli animali, viene ad essere l’esempio classico del processo della
Bioconcentrazione. Infatti una serie di organismi di una catena alimentare ne
accumulano nel loro tessuto adiposo quantità sempre crescenti a ogni successivo
livello trofico.
162
Michele Giangrossi
Alla fine, vi sarà una specie in cima alla catena alimentare che risentirà degli
effetti sfavorevoli della sostanza. Per esempio alcune popolazioni di uccelli che si
nutrono di pesci si è ridotta; questa diminuzione è attribuita all’assottigliamento
dei gusci delle loro uova, un effetto ben dimostrato dell’ingestione di DDT e di
molti altri insetticidi del gruppo dei derivati clorurati (ad esempio il Lindano o
l’Esaclorobenzene).
A causa della sua presenza ubiquitaria, ogni persona che sia nata dopo gli
anni Quaranta ha avuto una ininterrotta esposizione al DDT e, di conseguenza, lo
ha accumulato nel tessuto adiposo.
Ad un ritmo costante di assunzione, la concentrazione di DDT nel tessuto
adiposo raggiunge un valore di stato stazionario e rimane pressoché costante.
Una volta cessata l’esposizione, l’eliminazione del DDT dall’organismo si svolge
lentamente: una stima della velocità di eliminazione è di circa l’1% al giorno della
quantità presente nei depositi dell’organismo.
Prima di essere eliminato il DDT viene dealogenato e ossidato lentamente
dalle monossigenasi dipendenti dal citocromo P450; uno dei principali metaboliti
escreti, mediante le urine, è il DDA (acido bis[p-clorofenil] acetico).
Il DDT ha un ampio margine di sicurezza e, nonostante sia ancora largamente
utilizzato in moltissimi paesi, non vi è, per l’uomo, nessuna segnalazione
documentata di morte per avvelenamento da DDT. I pochi casi di decessi di persone
che erano incorse in una esposizione massima al DDT sono state probabilmente
dovute all’utilizzo di solventi come il Kerosene piuttosto che al pesticida.
I segni e i sintomi dell’avvelenamento da dosi elevate di DDT nell’ uomo
comprendono parestesie della lingua, delle labbra e della faccia. A livello del
SNC si può osservare una iperesponsinvità agli stimoli, uno stato di apprensione,
irritabilità, convulsioni toniche e croniche, tremori.
Il meccanismo d’azione del DDT a livello del SNC non è stato completamente
dimostrato, il composto è in grado di alterare il trasporto di Na+ e K+ attraverso le
membrane neuronali con un aumento del potenziale negativo, un prolungamento
del potenziale d’azione, a scariche ripetitive dopo un singolo stimolo e con ‘treni’
spontanei di potenziali d’azione. Si ritiene, in particolare, che il DDT inibisca
l’inattivazione dei canali del Na+ e l’attivazione della conduttanza per il K+
(Narahaschi T., 1979).
In ratti da laboratorio, la somministrazione endovenosa di DDT determina
morte per fibrillazione ventricolare; evidentemente il DDT condivide con gli altri
derivati clorurati la tendenza a sensibilizzare il miocardio e, mediante la sua azione
sul SNC e sulle surreali, può fornire lo stimolo necessario per la fibrillazione
ventricolare.
Dosi relativamente basse di DDT inducono il sistema delle ossidasi a
funzione mista del reticolo endoplasmatico epatico; l’induzione enzimatica è stata
documentata in addetti alla disinfestazione (Kolmodin B.,1969) e in operai di una
163
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
fabbrica di DDT (Poland A.P. and Smith D.,1970) ed ha come conseguenza un
alterato metabolismo di farmaci, di xenobiotici, di ormoni steroidei.
Soggetti volontari che si sono prestati all’ingestione quotidiana di 35 mg di
DDT (una quantità circa 1000 volte più elevata dell’ingestione media) sono giunti
fino a 25 mesi di assunzione senza effetti morbosi manifesti; vi è tuttavia il sospetto
che l’esposizione a piccole quantità di DDT per lunghi periodi di tempo possa
risultare cancerogena (Hayes W., 1963).
L’uso estensivo di DDT nei paesi industrializzati non è risultato in
rapporto con un aumento di casi di carcinoma epatico nell’uomo. In uno studio di
mortalità su oltre 3800 addetti alla disinfestazione non si è riscontrato un valore
significativamente elevato del tasso standardizzato di mortalità, ma si sono notati
valori in eccesso delle morti per leucemie, in particolare leucemia mieloide e per
tumori del cervello e dei polmoni.
Il DDT fu messo al bando, negli Stati Uniti, nel 1972, per qualsiasi uso salvo
quelli essenziali riguardanti l’igiene pubblica e per la difesa delle colture in mancanza
di alternative efficaci. Si è arrivati a tale decisione in considerazione del pericolo di
uno squilibrio ecologico derivante dall’uso ininterrotto del DDT, con conseguente
accumulo nell’organismo, e per l’affermarsi di ceppi resistenti di insetti. Numerosi
altri paesi hanno adottato analoghi provvedimenti. Come risultato, si è avuto che
il DDT è stato sostituito da altri pesticidi, molti dei quali ancora più tossici per
l’uomo (Blair A., 1983).
Un'altra categoria molto importante di pesticidi clorurati è rappresentata dai
Ciclodieni clorurati, ad esempio l’Aldrin, il Dieldrin, il Chlordane e l’Hepthaclor.
Questi composti hanno effetti stimolanti sul sistema nervoso e molti dei
segni e sintomi dell’avvelenamento sono sovrapponibili a quelli provocati dal
DDT.
A differenza del DDT, però, questi composti tendono a produrre convulsioni
prima che compaiano altri segni patologici meno gravi.
I soggetti intossicati da insetticidi clorociclodienici accusano nausea, cefalea,
vomito, vertigini, scosse cloniche di grado lieve; tuttavia alcuni pazienti vanno
incontro a convulsioni senza sintomi premonitori (Hayes W., 1963). A differenza
del DDT gli insetticidi clorociclodienici si sono resi responsabili di numerosi
decessi per avvelenamento acuto.
Un’altra importante differenza tra DDT e clorociclodienici è che questi
possono essere assorbiti dalla cute integra. I ciclodieni non rappresentano un
rischio molto maggiore del DDT se ci si riferisce alla popolazione generale esposta
alle piccole quantità a cui queste sostanze possono essere presenti negli alimenti,
ma la loro manipolazione in soluzioni concentrate può essere pericolosa.
Al pari del DDT, gli insetticidi clorociclodienici sono altamente solubili
nei lipidi e si accumulano nel tessuto adiposo; inducono il sistema epatico delle
ossidasi a funzione mista e, per questo motivo, ad esempio, nella somministrazione
164
Michele Giangrossi
di Chlordane si possono verificare iterazioni tra l’insetticida ed eventuali droghe
mediche somministrate che portano ad un diminuzione dell’efficacia di sostanze
quali anticoagulanti orali, fenilbutazone, clorpromazina, cortisolo ed altri
steroidi.
Inoltre si degradano lentamente, persistono nell’ambiente, vanno incontro a
bioconcentrazione attraverso la catena alimentare del mondo animale.
Nel topo, ad esempio, gli insetticidi di questo gruppo provocano epatomi
in maniera dose-dipendente e, fra gli insetticidi, hanno il rischio più elevato di
cancerogenicità. Per queste ragioni, ad esempio, nell’aprile del 1998 negli Stati
Uniti tutto l’uso di clordano è stato annullato.
Un altro esempio di derivati clorurati è rappresentato dal Esaclorocicloesano
(conosciuto anche come Benzene esacloruro o HCH). È una miscela di otto isomeri
e il γ isomero è chiamato anche lindano. Il γ isomero è il più tossico e, in pratica,
tutta l’attività insetticida dell’HCH è dovuta al lindano.
L’HCH viene utilizzato come ectoparassita e può dare segni di tossicità che
richiamano quelli del DDT: tremori, atassia, convulsioni e prostrazioni. Gli isomeri
α e γ hanno effetti stimolanti a livello del SNC, mentre gli isomeri β e δ hanno effetti
depressivi; il lindano e l’HCH sono stati ritenuti responsabili di numerosi casi di
anemia aplastica, anche se non è stato chiarito perfettamente il nesso tra l’incidenza
di anemie aplastiche ed esposizione professionale al pesticida (West I., 1967).
La biotrasformazione degli isomeri del HCH comporta la formazione di
clorofenoli che, in confronto al DDT, hanno una persistenza relativamente bassa
nell’ambiente.
Tra i funcididi clorurati va ricordato l’Esaclorobenzene (HCB), utilizzato
principalmente nel trattamento del frumento. L’esposizione a tale composto in dosi
massicce può portare, nell’uomo, ad un aumento del peso del fegato e della quantità
di reticolo endoplasmatico liscio e dell’attività delle monossigenasi dipendenti dal
citocromo P450 (Carlson G.P.and Tardiff R.G., 1976).
In Turchia, tra il 1955 e il 1959, si sono avuti più di 300 casi, fra cui alcuni
mortali, di avvelenamento da HCB, per impiego di grano trattato con il fungicida
(Schmid R., 1960). La sindrome più comune era rappresentata da porfiria cutanea
con lesioni della cute, porfirinuria e fotosensibilizzazione.
L’esaclorobenzene viene eliminato dall’organismo, dopo essere stato
metabolizzato in pentaclorofenolo, principalmente attraverso le feci (Rozman I.,
1983).
4.3. Piretri e piretroidi
Un’altra categoria di pesticidi è quella dei composti di provenienza
vegetale, i Piretri. Queste sostanze si ricavano dai fiori della pianta del piretro
Chrysanthenum cincerariaefolium, che vengono raccolti subito dopo la fioritura e
asciugati per essere poi ridotti in polvere o in olii mediante estrazione con solventi.
165
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
Generalmente sia gli estratti in polvere che gli olii contengono non meno del 30%
del principio attivo.
Devono la loro tossicità e la loro attività insetticida a composti strutturalmente
simili, di cui quella più attiva dal punto di vista insetticida è la piretrina I.
Il piretro e i derivati sintetici della piretrina (piretroidi come il Cypermethrin o il
Deltamethrin) sono impiegati in numerose preparazioni insetticide ad uso domestico,
in ragione della loro rapidità d’azione (Narahashi T, 1979). Il piretro è comunemente
catalogato come l’insetticida più sicuro, per la sua bassa tossicità acuta. Viene
scarsamente assorbito mediante il tratto gastrointestinale o la pelle, mentre può essere
rapidamente assorbito dall’uomo tramite i polmoni durante la respirazione.
Questa scarsa tossicità per i mammiferi è dovuta al fatto che i piretroidi sono
rapidamente biotrasformati per idrolisi esterica e/o idrossilazione. Negli insetti,
invece, il piretro viene metabolizzato lentamente e questo processo è ulteriormente
rallentato quando il composto è mescolato con butossido di piperonile (sostanza
che inibisce il citocromo P450) con seguente aumento dell’efficacia insetticida della
sostanza.
In confronto ad altri pesticidi le piretrine hanno spiccate proprietà
allergizzanti (specialmente le polveri a base di piretro rispetto ai piretroidi
sintetici). Sono stati documentati numerosi casi di dermatiti da contatto e di allergie
all’apparato respiratorio. I soggetti allergici al polline di piante del genere Ambrosia
(A.artemisiifolia, A.trifida) sono particolarmente predisposti a manifestazioni di
questo tipo.
I piretroidi, derivati sintetici della pietrine, vengono largamente usati
in coltivazioni quali cotone, funghi, cereali e in serre e giardini domestici; il
Deltamethrin, ad esempio, ha un ampio spettro d’azione ed è considerato il più
potente tra i piretroidi con un’azione quasi 3 volte più potente rispetto a composti
come il Permethrin o il Cipermethrin.
Gli effetti acuti da esposizione acuta prolungata a Deltamethrin, negli esseri
umani, includono atassia, convulsioni che portano a fibrillazioni del muscolo e
paralisi, dermatiti, edema, dispensa, emicrania, induzione microsomica epatica
degli enzimi, irritabilità.
Nei casi più gravi le reazione allergiche da Deltamethrin possono portare
a shock anafilattico con conseguente broncospasmo, gonfiore improvviso della
faccia, delle palpebre, labbra e delle mucose, tachicardia e addirittura a morte per
complicazioni respiratorie.
5. Un aspetto particolare e di attualità: il problema dei prodotti erboristici
La fitoterapia affonda le sue radici in epoche remote duranti le quali
l’esperienza pratica sopperiva alla conoscenza del mondo farmaceutico nelle forme
166
Michele Giangrossi
che sono oggi note a tutti, e tuttora rappresenta l’unica base terapeutica per intere
popolazioni che vivono in zone remote del globo o poco a contatto con il mondo
evoluto.
Dopo gli enormi progressi della chimica farmaceutica negli ultimi 40 anni che
hanno offuscato l’immagine della medicina tradizionale e posto nel dimenticatoio
buona parte delle applicazioni di tipo fitoterapeutico, si assiste già da qualche
anno ad un ritorno d’interesse per la terapia di disturbi lievi e passeggeri mediante
preparazioni semplici ottenute da droghe vegetali (Monti L., 1999).
A questo aumento d’interesse ha corrisposto, nelle farmacie, una crescente
richiesta di preparazioni officinali che ha rivitalizzato il settore della produzione di
fitofarmaci oggi in netta espansione.
Analogo andamento si è riscontrato anche in altri paesi europei quali la
Svizzera, la Germania o la Francia nei quali però la tradizione erboristica ha sempre
trovato un più largo impiego rispetto all’Italia.
Avendo recepito tale interesse, la Commissione per la Farmacopea Ufficiale
ha incrementato notevolmente il numero di monografie raccogliendole in un unico
volume che, allegato alla Farmacopea Ufficiale IX edizione, ne è parte integrante.
Le droghe vegetali sia di produzione italiana che di importazione, sono soggette
pertanto a norme ben definite che riguardano il contenuto di principi attivi ed
eventuali inquinanti di tipo microbiologico o chimico quali fumiganti, aflatossine,
metalli pesanti, radioattività o residui di pesticidi, che ne garantiscono la qualità.
La fitoterapia è una pratica terapeutica che si avvale di prodotti medicinali la
cui sostanza attiva è costituita esclusivamente da una droga o da una preparazione
vegetale. Le sostanze attive vegetali si distinguono per essere delle miscele complesse
di composti chimici (fitocomplessi) e non singoli composti chimici come avviene
nella maggior parte dei farmaci attualmente in uso (farmaci monomolecolari)
(Weiss R., 1996).
I farmaci vegetali possiedono, quindi, delle caratteristiche terapeutiche
proprie che derivano sia dalla contemporanea presenza di composti con attività
biologiche individuali distinte, sia da interazioni che possono avvenire fra questi
composti; il risultato è che il fitocomplesso esercita un’azione farmacologia che è
diversa da quella di ciascuno dei singoli composti che lo costituiscono.
Le droghe e le preparazioni vegetali hanno preceduto, nella storia della
medicina, i farmaci monomolecolari moderni, ma al pari di questi, agiscono con
meccanismi di interferenza nei processi biochimici dell’organismo prevenendo o
riparando le anomalie che portano alle malattie (Evans W.C., 1998).
I meccanismi dell’azione farmacologia e la potenza di tale azione vengono
studiati e dimostrati nelle sostanze attive vegetali ricorrendo ai metodi sperimentali
adottati anche nel caso dei farmaci monomolecolari. Di conseguenza, la fitoterapia
è una branca della medicina basata sulla scienza e non una medicina alternativa
basata su concetti filosofici estranei alla scienza.
167
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
5.1. Ragioni per le quali le piante curano le malattie
Le piante, al pari di altri organismi viventi che sono caratterizzati da una
esistenza fissa, affidano interamente alla chimica la loro possibilità di interagire con
l’ambiente che le circonda.
Determinati composti chimici prodotti dal loro metabolismo secondario
permettono, infatti, alle piante di adattarsi a vivere in una notevole diversità di
ambienti, caratterizzati anche da condizioni estreme (basse o alte temperature,
scarsa o eccessiva umidità o salinità del suolo, presenza nel suolo di metalli
pesanti tossici e di altri inquinanti, ecc.), di selezionare le strategie riproduttive più
convenienti (attrazione degli impollinatori, dispersione dei semi), di conquistare e
difendere un proprio spazio vitale, di difendersi dai predatori.
Nel caso particolare della difesa dai predatori, le piante mettono in atto
delle strategie che, basate sull’ azione di specifici composti chimici selezionati
dall’evoluzione, permettono di modificare il comportamento di piante concorrenti,
di insetti e di vertebrati, inclusi i mammiferi. Nella maggioranza dei casi,
questi composti chimici esercitano un potere deterrente attraverso il colore che
conferiscono alla pianta, l’odore sgradevole o il sapore amaro, oppure per mezzo
delle loro proprietà venefiche.
In altri casi, i meccanismi di difesa messi in atto da deteriminate piante
sono più raffinati, interferendo intimamente nella biologia dei predatori, come
quando attraverso l’indebolimento delle loro performances riproduttive limitano
la dimensione delle loro popolazioni (De Smet P., 1995).
Per produrre gli effetti descritti, è necessario che i metaboliti secondari delle
piante siano biologicamente attivi in altre specie viventi, inclusi i mammiferi e
l’uomo.
Questa realtà è testimoniata dal fatto che di tutte le strutture chimiche
basilari sino ad oggi note essere biologicamente attive, 1’85% ha origine naturale
e solo il 15% proviene dalla sintesi chimica di laboratorio; il 27% di tali strutture
è di origine vegetale.
In una certa percentuale di casi, la struttura chimica dei metaboliti secondari
vegetali è analoga a quella dei metaboliti secondari prodotti dagli animali o
addirittura uguale; per esempio, il fagiolo comune (Faseolus vulgaris) produce
17-p-estradiolo, l’ormone ad attività estrogenica delle femmine dei mammiferi,
mentre varie specie di pino producono testosterone, l’ormone sessuale maschile.
Esiste la possibilità che metaboliti secondari prodotti dalle piante con lo
scopo di difendersi dagli attacchi di microorganismi patogeni, batteri, funghi e
virus, esercitino, se ingeriti dagli animali, anche in questi un’azione xenobiotica.
In altri casi, le interferenze che metaboliti secondari vegetali esercitano nei
meccanismi biochimici animali possono produrre un effetto riparatore nei confronti
di quelli che cause organiche o esogene hanno deviato in senso patologico.
In effetti, molte classi dei farmaci che attualmente utilizziamo hanno come
168
Michele Giangrossi
capostipite un metabolita secondario di una pianta, o addiritura sono tal quali
metaboliti secondari di piante.
Per esempio, la Digossina (Lanoxin) è il principio attivo ricavato dalle foglie
di Digitalis purpurea e la Penicillina deriva dal fungo Penicillium notatum.
Oltre alle classi degli antiinfiammatori non steroidei, dei glicosidi cardioattivi
e degli antimalarici chinolinici cui si riferiscono questi esempi, altre classi di farmaci,
come per esempio quelle degli antiaritmici, dei bloccanti neuromuscolari, degli
analgesici-narcotici, degli anestetici locali e, spesso anche antitumorali derivano da
principi attivi vegetali.
Quindi, il modo di curare le malattie di molti farmaci di sintesi non differisce,
per lo meno per quanto riguarda i meccanismi biologici basilari, da quello delle
piante.
5.2. Droghe, preparazione di droghe e farmaci vegetali
Al fine di poter somministrare i principi attivi contenuti nelle piante, è
necessario che esse siano sottoposte ad alcune lavorazioni. La più semplice di
queste è la frantumazione spesso preceduta o seguita da essiccamento; il prodotto
di queste operazioni si chiama droga (forse dall’olandese ‘droog’ che vuol dire
secco).
La droga consiste quindi in una pianta o in una determinata parte di una
pianta (foglia, fiore, tutta la parte che affiora dal suolo, la radice, il frutto, ecc.)
raccolta nel periodo conveniente della stagione (tempo balsamico), sottoposta o
meno ad opportuni processi di essiccamento e frantumata. Va sottolineato che,
per convenzione, una droga è considerata vegetale anche quando proviene da un
fungo, da un’alga o da un lichene.
In alcuni casi, i principi farmacologicamente attivi non sono presenti nella
pianta, ma si formano attraverso reazioni chimiche che sopravvengono all’atto
dell’essiccamento attuato nel processo di preparazione della droga. Le droghe, in
un numero limitato di casi, possono essere somministrate come tali dopo essere
state finemente polverizzate e incluse in una forma farmaceutica (compressa o
capsula) eventualmente assieme ad adatti eccipienti.
Nella maggioranza dei casi, le droghe servono per ottenere le tisane. In
pratica, la preparazione di una tisana rappresenta un procedimento domestico di
estrazione con acqua calda, che consente a determinati principi attivi di passare
dalla droga alla soluzione acquosa destinata ad essere bevuta.
Tuttavia, sono prevalentemente altri i procedimenti che servono, nei
laboratori d’analisi e nell’industria, per separare i principi attivi contenuti nelle
droghe e presentarli in forme adatte per essere utilizzate nella produzione dei
farmaci vegetali. Sicuramente, i procedimenti più utilizzati sono quelli di estrazione
con solventi, seguiti da quelli di distillazione, di pressatura, ecc..
Fra i procedimenti più classici della fitopreparazione occorre ricordare
169
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
l’estrazione della pianta fresca effettuata per macerazione o per percolazione con
una miscela di acqua ed alcool; le soluzioni che si ricavano in questo modo sono
conosciute con il nome di ‘tinture madri’.
Altri procedimenti tradizionali di estrazione ricevono il nome dal tipo di
solvente di estrazione impiegato, come avviene per esempio nel caso dei glicerinati.
Più frequentemente, i procedimenti di estrazione e i solventi o le miscele
di solventi sono selezionati in relazione alla natura chimica dei principi attivi che
è necessario far passare dalla droga all’estratto o anche che è necessario non far
passare nell’estratto perché tossici. A seconda che il solvente di estrazione sia
rimosso interamente o solo parzialmente, è possibile ottenere una varia tipologia
di estratti secchi (preparazioni solide ottenute per evaporazione completa del
solvente impiegato per l’estrazione), molli (preparazioni semisolide ottenute per
evaporazione completa o parziale del solvente di estrazione) e fluidi (preparazioni
liquide ottenute per macerazione seguita da percolazione con un solvente, alcool
etilico e/o acqua).
Un prodotto di prima estrazione (estratto totale) può essere sottoposto
ad ulteriori procedimenti estrattivi con solventi diversi da quello impiegato per
la prima volta e ciò per ricavare fitocomplessi arricchiti in determinati principi
attivi contenuti nella pianta piuttosto che in altri. In generale, gli estratti che
sono preparati in modo da contenere costantemente quantità percentuali fisse di
determinati principi attivi o costituenti chimici sono chiamati ‘standardizzati’.
La distillazione è un ulteriore procedimento fra quelli tradizionalmente
utilizzati per separare i principi attivi utili dai materiali inutili di una pianta.
Più comunemente, è utilizzata l’estrazione in corrente di vapore, che permette
di estrarre i principi attivi della pianta quando questi sono dei composti chimici
volatili; la sostanza che si ricava è detta olio essenziale o essenza.
Negli estratti, negli oli essenziali e in tutte le altre sostanze che si ricavano
dalle droghe essiccate o fresche sottoponendole a procedimenti di frazionamento,
alcuni principi farmacologicamente attivi risultano essere fortemente concentrati.
Questa caratteristica, unitamente al fatto che, per via del frazionamento, alcuni
componenti originari della droga o della pianta possono risultare eliminati,
fa in modo che gli estratti o le essenze possano essere caratterizzate da attività
farmacologiche che differiscono da quelle della droga o della pianta di partenza e
che comunque sono più potenti.
Deriva da ciò che se i margini di sicurezza di una droga sono ampi,
non altrettanto può essere per le preparazioni che da quella droga derivano.
Le preparazioni vegetali sono generalmente somministrate dopo essere state
opportunamente formulate.
5.3. Il ruolo della Fitoterapia nella medicina
La tipologia dei farmaci che al giorno d’oggi sono a disposizione della
170
Michele Giangrossi
medicina è molto variegata, con estremi costituiti da farmaci il cui impiego in
determinate malattie è indispensabile per salvare la vita e da farmaci che non hanno
una effettiva capacità curativa, ma che servono solo per eliminare certi sintomi più
fastidiosi che pericolosi.
Poiché i prodotti medicinali vegetali agiscono, come visto, con meccanismi
farmacologici che sono uguali o simili a quelli dei farmaci di altra natura, anche nel
loro caso si riproducono le tipologie di impiego descritte. Esistono quindi farmaci
vegetali che possono essere impiegati per la cura di malattie importanti ed esistono
farmaci vegetali che sono solo sintomatici o palliativi.
In una notevole proporzione dei casi, i prodotti medicinali vegetali sono però
adatti solo per indicazioni terapeutiche minori o servono da supporto all’azione di
farmaci più importanti di altra natura, tanto che la fitoterapia viene normalmente
iscritta fra le pratiche mediche complementari. Per esempio non esiste, per lo meno
allo stato attuale, alcun farmaco vegetale che possa sostituire gli antinfiammatori
non steroidei di sintesi e tanto meno i modificatori della risposta biologica nel
trattamento delle gravi forme di artrosi e di artrite reumatoide.
Alcune piante, comunque, come per esempio l’ortica, esercitano una loro
azione analgesica-antiinfiammatoria che permette di ridurre i dosaggi, e quindi gli
effetti collaterali, di tali farmaci, fornendo ai pazienti un beneficio di non poco conto.
È possibile affermare che in certi casi la qualità della vita viene compromessa non
tanto dal danno provocato dalla malattia ma dalla sintomatologia che l’accompagna
e che in questi casi la medicina complementare può svolgere un suo importante
ruolo.
I principi attivi contenuti nelle droghe e nelle preparazioni, essendo miscelati
con altri composti chimici, conferiscono ad esse una potenza farmacologica
inferiore a quella che eserciterebbero se somministrati come tali.
Di conseguenza, i farmaci vegetali possono rivelarsi particolarmente utili per
il trattamento di disturbi cronici che sarebbe inopportuno aggredire con terapie
più pesanti.
5.4. Le norme regolatrici riguardanti i prodotti medicinali vegetali in Italia
e in Europa
Le varie nazioni hanno sviluppato a partire dall’epoca della rivoluzione
industriale delle regole che prevedono l’impossibilità di commercializzare i prodotti
farmaceutici prima che essi abbiano subito un esame preventivo rivolto a certificare
che essi posseggano determinati requisiti (registrazione). Le stesse nazioni si sono
trovate d’accordo nello stabilire che tali requisiti debbano principalmente essere la
qualità, la sicurezza e l’efficacia.
Per qualità di un prodotto farmaceutico si intende che gli ingredienti che
lo costituiscono, compresa la sostanza attiva, devono essere effettivamente quelli
dichiarati dal produttore (identità), che tali ingredienti non devono contenere
171
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
impurezze in quantità superiori rispetto a standard prestabiliti (purezza) e che
le quantità di sostanza attiva contenute devono essere tali da assicurare l’effetto
terapeutico richiesto (potenza).
Per sicurezza di un prodotto farmaceutico si intende che, alle dosi e nelle
condizioni d’uso prescritte, i benefici attesi dalla sua somministrazione sono
superiori ai rischi tossici (o, se si vuole, che i rischi della malattia sono superiori ai
rischi della terapia).
Infine, per efficacia di un prodotto farmaceutico si intende che l’esistenza
dei benefici attesi dalla sua somministrazione è stata dimostrata in una ampia range
di pazienti. Risulta facilmente intuibile che dalla qualità di un prodotto dipendono
in una certa misura la sua sicurezza e la sua qualità.
Ancora prima che, nel corso del 1900, fossero definiti con precisione i
concetti di sicurezza e di efficacia, il problema della qualità dei prodotti medicinali
era ben presente, come testimoniano trattati quali ‘Il nuovo ricettario’ pubblicato
a Firenze nel 1498, che, antesignani delle moderne Farmacopee, si preoccupavano
di dettare delle regole per la preparazione dei medicamenti che ne assicurassero
l’omogeneità di composizione ovunque e da chiunque fossero allestiti.
Anche le moderne Farmacopee sono degli standards qualitativi di riferimento
ai quali i produttori sono obbligati ad attenersi.
Esse sono generalmente costituite da parti generali, in cui vengono indicati
i metodi analitici ufficialmente accettati per il riconoscimento e la determinazione
quatitativa dei principi farmacologicamente attivi, degli eccipienti e delle rispettive
più comuni impurezze; inoltre, sono presenti monografie di farmaci, in cui sono
indicati i requisiti analitici che ciascuno di essi deve possedere, inclusi i limiti delle
impurezze. Lo sviluppo delle Farmacopee è dettato dall’introduzione sia di nuove
metodiche analitiche, più affidabili delle precedenti, sia di nuove monografie
ogniqualvolta un nuovo farmaco esce dal periodo di protezione brevettuale.
Sia i metodi analitici generali che le specifiche di prodotto di una Farmacopea
riflettono il livello di sviluppo culturale e tecnologico del paese di appartenenza.
Tuttavia, la diffusione universale della scienza e della tecnologia e, soprattutto,
i processi in atto di armonizzazione internazionale delle regole farmaceutiche
hanno favorito l’affermazione di Farmacopee sopranazionali che rappresentano
il compendio di quelle originarie di singoli paesi che si sono poi legati con patti
politici o economici.
Così, in Italia, sono contemporaneamente in vigore sia la Farmacopea Italiana
sia la Farmacopea Europea, che incorpora non solo le Farmacopee dei paesi facenti
parte della Unione Europea, ma anche l’ex Compendium Medicamentorum dei
paesi dell’Europa Orientale e l’ex Nordic Pharmacopoeia dei paesi Scandinavi.
Sulla base della legislazione vigente, la commercializzazione dei farmaci
vegetali in Italia è soggetta ad una autorizzazione ministeriale rilasciata in
accordo con le regole valide anche per i farmaci di altri generi, monomolecolari
172
Michele Giangrossi
o meno. Questo fatto costituisce un ostacolo alla registrazione di questo tipo
di farmaci; esiste quindi nel nostro paese un numero non ampio di specialità
medicinali che rientrano nella definizione di ‘farmaco vegetale’ e che, a seconda
dell’ indicazione farmaceutica, possono essere a prescrizione medica oppure per
automedicazione.
Tuttavia, il mercato più ampio dei prodotti medicinali vegetali è rappresentato
in Italia dagli integratori alimentari, forse più noti come prodotti erboristici.
La commercializzazione di questi prodotti non cade attualmente sotto la
regolamentazione farmaceutica, ma sotto quella relativa ai prodotti alimentari,
per cui essi non subiscono alcun controllo per quanto riguarda la qualità di grado
farmaceutico, la sicurezza e l’efficacia e il possesso di questi requisiti è a discrezione
dei produttori.
Ciò non significa che i consumatori italiani non possano disporre di farmaci
vegetali controllati secondo le regole farmaceutiche. Infatti, le droghe e alcune delle
preparazioni vegetali di uso più diffuso sono inserite nella Farmacopea Italiana
e, con qualche differenza, nella Farmacopea Europea. Alcune formulazioni di
sostanze vegetali sono incluse nel Formulario Nazionale annesso alla Farmacopea
Italiana.
La legge autorizza i Farmacisti ad allestire nei propri laboratori prodotti
medicinali vegetali inclusi sia nella Farmacopea Italiana che in quella Europea, che
sono noti con il nome di prodotti galenici.
Vi sono due tipi di prodotti galenici: quelli magistrali, che sono preparati
dietro specifica richiesta del cliente, e quelli officinali, che possono essere preparati
in anticipo dal Farmacista in modo che il cliente li trovi pronti e che sono
producibili anche industrialmente. A seconda della natura della sostanza vegetale,
alcuni prodotti galenici sono preparabili dal Farmacista solo se il cliente è munito
della richiesta di un medico, mentre altri sono liberamente acquistabili.
La Farmacopea Italiana elenca 62 droghe vegetali alle quali è dedicata una
monografia; inoltre sono iscritti 19 tra estratti e tinture, 14 polveri titolate e 16
essenze. Nella European Pharmacopeia sono invece elencate 108 droghe, 16
essenze, 11 fra estratti e tinture e 3 polveri titolate.
Il settore dei farmaci in Europa1 è fortemente organizzato per quanto riguarda
gli aspetti regolatori. Dal 1993, i problemi relativi alla valutazione dei farmaci sono
affidati ad un organo tecnico centrale, denominato European Medicines Evaluation
Agency (EMEA), che ha sede a Londra e al quale compete la risoluzione sul
piano generale della problematica connessa con il rilascio delle autorizzazioni alla
commercializzazione dei prodotti medicinali. La struttura dell’EMEA è articolata
e complessa, ma le funzioni più importanti per l’aspetto tecnico-scientifico sono
1
La regolamentazione farmaceutica europea fa capo alla Comunità Europea e non all’Unione Europea,
poichè ad essa aderiscono anche paesi come la Svizzera, non della UE.
173
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
affidate a 4 comitati, il comitato per i prodotti medicinali per uso umano (CHMP)
e il comitato per i farmaci per uso meterinario (CVMP), il comitato per i farmaci
orfani (COMP) e il comitato per i prodotti medicinali vegetali (CHMP).
Allo stato attuale, vigono in Europa tre distinte procedure per la registrazione
dei farmaci: la procedura nazionale, la procedura di mutuo riconoscimento e
la procedura centralizzata. Le procedure nazionali sono quelle originali che i
singoli paesi dell’Unione si sono date; esse sono state fortemente armonizzate fra
loro negli ultimi decenni, ma non sono completamente sovrapponibili; i farmaci
registrati con tali procedure possono circolare solo nel paese che ha rilasciato
l’autorizzazione.
La procedura europea di mutuo riconoscimento permette di rendere
l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco, ottenuta in una nazione,
valida anche in altri paesi membri utilizzando la stessa documentazione (dossier)
predisposta per la prima registrazione. La procedura centralizzata, che è gestita
direttamente dall’EMEA, è obbligatoria per i farmaci biotecnologici ed altri farmaci
di alta tecnologia; i farmaci registrati con questa procedura sono automaticamente
commercializzabili in tutti i paesi dell’Unione.
È in corso di stesura una direttiva europea riguardante i prodotti medicinali
vegetali tradizionali; quando questa direttiva sarà promulgata, sarà possibile nei
paesi europei registrare i prodotti medicinali vegetali con una specifica procedura,
che si aggiungerà alle tre esistenti. Questa procedura è appositamente concepita al
fine di non ostacolare l’accesso al mercato di questi particolari farmaci con regole
troppo restrittive e nello stesso tempo di garantire la loro qualità e sicurezza.
Il costituendo comitato per i prodotti medicinali vegetali si occuperà,
nell’ambito dell’EMEA, dei farmaci vegetali che hanno i requisiti per poter essere
registrati con la procedura di mutuo riconoscimento oppure con la procedura per
l’uso tradizionale.
6. Il caso della Serenoa repens (saw palmetto):
La serenoa repens, chiamata anche Sabal o Palmetto della Florida, è una pianta
che cresce nelle zone costiere a clima subtropicale dell’America settentrionale, nel
Sud-Europa e nel Nord Africa (Gerber G.S., 2000). Presenta foglie a forma di
ventaglio e frutti tipo bacche delle dimensioni di un’oliva di colore rosso scuro.
Composizione dell’estratto:
Acidi grassi: acido laurico, miristico, caprilico, caprico, politico, stearico,
oleico, linoleico. Metil ed etil esteri di acidi grassi: beta-sitosterolo, stigmasterolo,
campesterolo, luppolo, cicloartenolo, beta-sitosterolo 3-0-beta-D-glucosoide. Alcoli saturi e insaturi a lunga catena: esacosanolo, 1-octacosanolo.
Flavonoidi: rutina e isoquercina.
174
Michele Giangrossi
Polisaccaridi: galattosio, arabinosio, xilosio, ramnosio, glucosio e acido
glucoronico (Weiss R., 1996)
Proprietà farmacologiche:
L’efficacia farmacologica della Serenoa repens è data dall’insieme di diversi
meccanismi d’azione:
- antagonismo selettivo locale del legame tra diidrotestosterone e recettore
per gli androgeni.
- inibizione della 5-alfa-reduttasi, enzima implicato nella trasformazione del
testosterone in 5-diidrotestosterone (DHT), metabolita biologicamente
attivo che stimola la proliferazione cellulare, favorendo quindi l’ipertrofia
del tessuto prostatico.
Quest’enzima stimola, inoltre, la formazione di forfora e di sebo in eccesso
sul cuoio capelluto, soffocando il bulbo pilifero che diventa sempre più atrofico
(miniaturirazzione del capello) fino a cadere prematuramente.
- azione antinfiammatoria e antiedemigena, dimostrata dalla scarsa permeabilità capillare indotta dall’istamina; viene inoltre ridotta l’ostruzione
cervicoprostatica.
- espettorante contro raffreddore, asma e bronchiti (Bombardelli E. and
Morazzoni P., 1997).
Impiego terapeutico della serenoa repens:
La Serenoa repens è indicata principalmente nel trattamento dell’ipertrofia
prostatica benigna al primo stadio, in cui predominano disturbi unirari indicati col
termine ‘disuria’.
In parte è utile anche al secondo stadio, in cui aumenta la ritenzione urinaria,
per cui la vescica non si svuota mai completamente, ma rimane sempre un residuo.
L’analisi dei risultati di trials clinici effettuati per verificare l’efficacia della
Serenoa repens nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna dimostrano che
esiste un effettivo miglioramento della pollachiuria e della nicturia nei pazienti che
l’assumono rispetto ai pazienti trattati con placebo.
Il dosaggio varia a seconda della severità dei sintomi. Generalmente l’estratto
standardizzato di Serenoa repens dovrebbe essere assunto alla dose di 160 mg per
due volte al giorno per 1-3 mesi (Plosker G.L and Brogden R.N., 1996).
La Serenoa repens è presente in commercio in preparazioni farmaceutiche
registrate e preparazioni erboristiche, quali compresse e tinture madri.
Gli effetti collaterali, in seguito all’assunzione di Serenoa repens, sono
piuttosto rari e sono costituiti principalmente da disturbi gastrointestinali, nausea,
cefalea, vertigini (Tasca A., et al., 1985). È stato riscontrato un unico caso di epatite
colestatica in un uomo che aveva assunto una preparazione contenente Serenoa
repens per un periodo di 2 settimane.
Al momento, inoltre, non è stata segnalata nessuna reazione avversa da
interazione con farmaci di sintesi o altre erbe medicinali.
175
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
7. Scopo della ricerca
Scopo della presente ricerca, svolta nel 2004 in collaborazione con il
Laboratorio LabAnalysis di Casanova Lonati (Pv), è stato confrontare le
concentrazioni dei pesticidi riscontrate nei campioni di Serenoa repens con i limiti
di legge imposti dalla Farmacopea ufficiale.
Il settore erboristico negli ultimi anni ha conosciuto un enorme sviluppo e
interesse che ha reso indispensabile un attento criterio di analisi per verificare la
presenza dei pesticidi nelle piante officinali.
Negli ultimi anni, infatti, il numero di persone che si sono avvicinate alla
fitoterapia, così come la quantità delle piante officinali presenti sul mercato è
andato aumentando notevolmente.
Questo ha determinato una richiesta ingente in termini quantitativi di erbe
che sino a qualche tempo fa erano prodotte in quantità limitate.
Il passaggio da piccole e limitate piantagioni a vere proprie colture estensive
ha inevitabilmente richiesto un approccio agricolo alla coltura di queste erbe che
richiede l’uso consistente sia di concimi che di pesticidi.
Inoltre le piantagioni di produzione delle erbe utilizzate in fitoterapia spesso
sono situate in nazioni con legislazioni carenti o comunque non equipollenti a
quella presenti in Europa.
Per questo motivo è diventato sempre più importante applicare anche alle
importazioni di erbe officinale gli stessi severi controlli tossicologici delle colture
foraggere o cerealicole.
Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare in un campione di pianta
erboristica, quale la Serenoa repens, molto famosa e utilizzata per le sue proprietà
terapeutiche, la presenza e la concentrazione di pesticidi clorurati, fosforati,
piretroidi e piperonil butossido e confrontare i risultati ottenuti con i limiti imposti
dalla Farmacopea ufficiale.
8. Determinazione dei pesticidi fosforati, clorurati, piretroidi
e del piperonil butossido in campioni di serenoa repens frutti
8.1. Campo di applicazione.
Il metodo descritto permette la determinazione di pesticidi clorurati,
fosforati, piretroidi e piperonil butossido in campioni di serenoa repens frutti.
Il metodo è applicabile ai pesticidi riportati in dettaglio nelle tabelle 1 e 2,
nelle quali viene anche specificato l’intervallo di concentrazioni entro cui il metodo
è applicabile. Nel caso in cui il campione abbia una concentrazione maggiore
per alcuni pesticidi rispetto a quelle indicate si deve procedere con opportune
diluizioni.
176
Michele Giangrossi
TAB. 1 - ELENCO DEI PESTICIDI FOSFORATI (PH. EUR 3ND ED.) CUI IL METODO È APPLICABILE E CAMPO DI APPLICABILITÀ
PESTICIDA
Azinfos-Me
Cholfenvinphos
Cholpiriphos
Diazinon
Dichlorvos
Ethion
Fenitrothion
Fonovos
Malathion
Metidathion
Parathion-Me
Parathion-Et
Phosalone
Pirimiphos-Me
TAB. 2 - ELENCO
CAMPO DI APPLICABILITA’
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-1µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-2µg/g
0-0.2µg/g
0-2µg/g
DEI PESTICIDI CLORURATI E PIRETROIDI
(PH. EUR. 3ND ED.)
CUI IL
METODO È APPLICABILE E CAMPO DI APPLICABILITÀ
PESTICIDA
Alachlor
Aldrin e Dieldrin (somma)
Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane)
Bromopropilate
DDT (somma di p,p’-DDT, o,p’-DDT,p,p’-DDE, p,p’-DDD)
Endosulfan (somma di isomeri e endosulfan sulphate)
Endrin
Heptachlor e Heptachlor epossido (somma)
HBC
α,β- HBC
γ-HCH (lindane)
PCNB (somma di PCNB,PCA,PCTA)
Cipermetrine (e isomeri)
Deltametrina
Fenvelarate
Permetrine
Pietrine (somma di)
Piperonil butossido
177
CAMPO DI APPLICABILITA’
0-0.6µg/g
0-0.6µg/g
0-0.6µg/g
0-1.5µg/g
0-0.6µg/g
0-0.6µg/g
0-0.3µg/g
0-0.6µg/g
0-0.6µg/g
0-0.8µg/g
0-0.2µg/g
0-0.6µg/g
0-2µg/g
0-1µg/g
0-1.5µg/g
0-1.5µg/g
0-1.5µg/g
0-2µg/g
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
8.2 Principio del metodo
Si procede ad una estrazione del campione con acetone e, dopo purificazione,
si analizza la soluzione mediante gascromatografia con rilevatori ECD, NPD e
mediante gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa.
8.3. Apparecchiature
8.3.1. Evaporatore rotante.
8.3.2. sistema di concentrazione sotto flusso d’azoto.
8.3.3. Gascromatografo con rilevatore ECD; mod. HP 6890.
8.3.4. Gascromatografo con rilevatore NPD; mod. HP 6890.
8.3.5. Gascromatografo accoppiato allo spettrometro di massa MSD (Hewlett
Packard 5973).
8.3.6. Sistema di purificazione mediante cromatografia liquida a permeazione
di gel equipaggiato con colonna avente diametro interno di 1cm e altezza 30cm
(mod. 1L MLS-Lab-Service od equivalente).
8.3.7. Bilancia analitica.
8.3.8. Bilancia termica.
8.4. Reagenti
8.4.1. Cicloesano, etile acetato, acetone, etere di petrolio, etere etilico,
acetonitrile grado pesticidi.
8.4.2. Soluzione eluente etile acetato/cicloesano 50/50 (V/V).
8.4.3. Soluzione standard interno per pesticidi fosforati: si pesano accuratamente
15 mg di Ethoprofos, si sciolgono in cicloesano e si portano a 100 ml.
8.4.4. Soluzione standard interno per pesticidi clorurati: si pesano accuratamente
5 mg di Fenchlorphos (Ronnel), si sciolgono in cicloesano e si portano a 100 ml.
8.4.5. Florisil attivato per 12 ore a 130 0C.
8.4.6. Florisil disattivato: al florisil come al punto 4.5 viene aggiunta acqua
distillata (10%p/p). Mescolare vigorosamente e lasciare equilibrare per circa 12 ore
in essiccatore agitando periodicamente.
8.5. Preparazione del campione
8.5.1. estrazione con acetone:
Si pesano accuratamente circa 20 gr di campione in una beuta da 250 ml e si
procede nel seguente modo:
si aggiungono 200 ml di acetone e si lascia sotto agitazione per una notte;
si lascia decantare e si filtra la soluzione su filtro di carta;
si aggiungono nella beuta altri 100 ml di acetone, si mettono in bagno ad
ultrasuoni per 15 minuti e si filtra nuovamente.
Si riuniscono i filtrati e si concentra a 10 ml con il rotavapor a 40o C.
8.5.2. partizione acetonitrile/etere di petrolio:
Si prelevano 2 ml dell’estratto ottenuto al punto 5.1, si trasferiscono in un
pallone da 100 ml e si concentra a piccolo volume dapprima con rotavapor e poi
178
Michele Giangrossi
con flusso d’azoto. Si riprende con 30 ml di etere di petrolio e si trasferisce la
soluzione in un imbuto separatore da 250 ml.
Si effettuano 2 estrazioni con 50 ml di acetonitrile saturo di etere di petrolio.
Ad ogni estrazione si raccoglie la fase sottostante raccogliendola in un pallone da 250
ml. Le frazioni riunite vengono portate a piccolo volume con rotavapor. Si effettua
un cambio di solvente da acetonitrile ad etile acetato e si riconcentra a 2 ml.
8.5.3. Purificazione mediante cromatografia di esclusione:
All’estratto concentrato a 2 ml ottenuto al punto 5.2 si aggiungono 2 ml
di cicloesano e la soluzione, previa filtrazione su filtro a membrana da 0.45µm,
viene avviata alla purificazione mediante cromatografia a permeazione di gel come
descritto al punto 3.6. Il sistema è dotato di loop di iniezione da 1 ml.
8.5.4. Purificazione degli estratti mediante florisil attivato (limitatamente ai
pesticidi clorurati, piretroidi e piperonil butossido):
Si prepara una colonnina di florisil nel seguente modo: pesare circa 6 gr di florisil
attivato come descritto in 4.5 in un becker da 100 ml; aggiungere circa 50 ml di etere di
petrolio e versare la sospensione in una colonna in vetro alta 25-30 cm e del diametro
di 1 cm; lasciar sedimentare il florisil lasciando fluire l’eccesso di solvente.
Si trasferiscono 0.25 ml dell’estratto ottenuto in 5.3 in testa alla colonna e si
eluisce con 200 ml di una soluzione etere etilico/etere di petrolio 50:50.
Si concentra la fase organica prima con rotavapor poi sotto flusso di azoto
fino a 100µl, si aggiungono 5µl della soluzione 4.4 diluita 1:1 in cicloesano e si
analizza con gascromatografia con rivelatore ECD.
8.5.5. Purificazione degli estratti mediante florisil disattivato (limitatamente
ai pesticidi fosforati):
0.25 ml della soluzione ottenuta al punto 5.3 vengono caricati su una
colonnina di florisil da 1 gr. preparata come descritto al punto 4.6;
si fluisce con 30 ml di una soluzione etere etilico/etere di petrolio 50:50;
si riduce a piccolo volume dapprima con rotavapor e poi con flusso d’azoto
fino a 100µl;
si aggiungono 2.5 µl della soluzione 4.3 diluita 1:1 in cicloesano;
si analizza mediante gascromatografia con rilevatore NPD.
8.6. Dettagli analitici e strumentali
8.6.1. Determinazione dei pesticidi fosforati:
Si impiega una colonna capillare HP-5 30 m, I.D. 0.25 mm, film 0.25 µm od
equivalente montata su gascromatografo con rilevatore NPD.
Il programma termico impiegato è il seguente:
Temperatura iniziale: 50-80o C. isoterma per 1-5 min;
rampa no1: 20o C./min fino a 100-150o C; isoterma per 1-5 min;
rampa no2: 3-5o C/min fino a 220-280o C; isoterma per 0-5 min;
rampa no3: 20o C/min fino a 300o C; isoterma di 5-10 min.
Temperatura iniettore: 200-280o C: Temperatura detector: 325o C.
Sistema d’iniezione: split/splitless con chiusura della valvola per 1 minuto.
179
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
Gas di trasporto: elio.
8.6.2. Determinazione dei pesticidi clorurati e piretroidi:
Si impiega una colonna capillare SPB-608 30 cm, I.D. 0.25 mm, film 0.25 µm
od equivalente montata su gascromatografo con rilevatore ECD.
Il programma termico utilizzato è il seguente:
Temperatura iniziale: 50-80 o C. isoterma per 1-5 min;
rampa no1: 20o C./min fino a 100-150 oC; isoterma per 1-5 min;
rampa no2: 3-5o C/min fino a 290-300o C; isoterma per 5-10 min;
Temperatura iniettore: 200-280o C: Temperatura detector: 310o C.
Sistema d’iniezione: split/splitless con chiusura della valvola per 1 minuto.
Gas di trasporto:azoto.
8.6.3. Determinazione del piperonil butossido e conferma dei pesticidi
identificati in GC-ECD e GC-NPD:
Si impiega una colonna cromatografia del tipo HP-5 MS 30 m, I.D.0.25 mm,
film 0.25 µm ed equivalente e si utilizza il seguente programma termico:
Temperatura iniziale: 80-110o C per 1-5 minuti;
rampa no1: 3-8 min fino a 300o C; isoterma per 2-10 min.
Temperatura iniettore: 200-280o C: Temperatura ‘transfer line’: 300o C
Sistema d’iniezione: split/splitless con chiusura della valvola per 1 minuto.
Gas di trasporto: elio.
8.7. Preparazione delle soluzioni di riferimento
8.7.1. Preparazione delle soluzioni di riferimento per la convalida.
8.7.1.1. Preparazione delle soluzioni dei pesticidi fosforati:
Si preparano accuratamente circa 10 mg di ciascun pesticida mediante una
bilancia con sensibilità di almeno 0.1 mg in un matraccio da 10 ml. Si aggiunge
il solvente adatto alla solubilizzazione del pesticida in esame (vedi tabella 3) e si
porta a volume con lo stesso solvente (soluzioni di riferimento da 1000 mg/l).
TABELLA 3
pesticida
Azinfos-Me
Cholfenvinphos
Cholpiriphos
Diazinon
Dichlorvos
Ethion
Fenitrothion
Fonovos
Malathion
Metidathion
Parathion-Me
Parathion-Et
Phosalone
Pirimiphos-Me
Solvente di solubilizzazione
Acetone
Acetone
Acetone
Cicloesano
Metanolo
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
180
Michele Giangrossi
Dalle soluzioni singole si preparano le soluzioni madre PP e Ppbis seguendo
le indicazioni riportate nelle tabelle 4 e 5; (le soluzioni PP e Ppbis hanno una
concentrazione pari a circa 10 volte il limite della Ph. Eur).
TAB. 4 - SOLUZIONE MADRE PP (VOLUME FINALE: 10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO)
PESTICIDA
Azinfos-Me
Cholfenvinphos
Cholpiriphos
Diazinon
Dichlorvos
Ethion
Fenitrothion
Fonovos
Malathion
Metidathion
µl PRELEVATI
100
50
20
50
100
200
500
5
100
20
TAB. 5 - SOLUZIONE MADRE PPBIS PP (VOLUME FINALE: 10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO)
SOLUZIONI DA 1000 MG/L
Phosalone
Parathion
Me-parathion
µL PRELEVATI
10
50
20
Dalle soluzioni madre PP e PPbis vengono preparate le soluzioni di lavoro
seguendo le indicazioni riportate nella tabella 6.
TABELLA 6
PP75%
PP100%
PP125%
PPbis 75%
PPbis
PPbis 125%
µl prelevati della
soluzione madre PP
75
100
125
-
µl prelevati della
soluzione madre PPbis
75
100
125
Volume finale(ml)
Solvente cicloesano
1
1
1
1
1
1
8.7.1.2. Preparazione delle soluzioni di riferimento dei pesticidi clorurati,
piretroidi e piperonil butossido:
Si preparano accuratamente circa 10 mg di ciascun pesticida mediante una
bilancia con sensibilità di almeno 0.1 mg in un matraccio da 10 ml. Si aggiunge
il solvente adatto alla solubilizzazione del pesticida in esame (vedi tabella 3) e si
porta a volume con lo stesso solvente (soluzioni di riferimento da 1000 mg/l).
181
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
TABELLA 7
PESTICIDA
Alachlor
Aldrin e Dieldrin (somma)
Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane)
Bromopropilate
DDT (somma di p,p’-DDT, o,p’-DDT,p,p’-DDE, p,p’-DDD)
Endosulfan (somma di isomeri e endosulfan sulphate)
Endrin
Heptachlor e Heptachlor epossido (somma)
HBC
α,β- HBC
γ-HCH (lindane)
PCNB (somma di PCNB,PCA,PCTA)
Cipermetrine (e isomeri)
Deltametrina
Fenvelarate
Permetrine
Pietrine (somma di)
Piperonil butossido
Solvente di solubilizzazione
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Xylene
Acetone
Acetone
Cicloesano
Acetone
Acetone
Metanolo
Cicloesano
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Acetone
Dalle soluzioni singole si preparano le soluzioni madre PCl e Pclbis
seguendo le istruzioni riportate nelle tabelle 8 e 9; (le soluzioni PP e Ppbis hanno
una concentrazione pari a circa 10 volte il limite della Ph. Eur).
TAB. 8 - SOLUZIONE MADRE PCL (VOLUME FINALE: 10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO)
PESTICIDA
Alachlor
Aldrin e Dieldrin (somma)
Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane)
Bromopropilate
DDT (somma di p,p’-DDT, o,p’-DDT,p,p’-DDE, p,p’-DDD)
Endosulfan (somma di isomeri e endosulfan sulphate)
Endrin
Heptachlor e Heptachlor epossido (somma)
HBC
α,β- HBC
γ-HCH (lindane)
PCNB (somma di PCNB,PCA,PCTA)
Cipermetrine (e isomeri)
Deltametrina
Fenvelarate
Permetrine
Pietrine (somma di)
Piperonil butossido
182
µl PRELEVATI
2
2.5
2.5
300
25
5
5
2.5
10
15
15
30
100
50
150
100
300
300
Michele Giangrossi
TAB. 9 - SOLUZIONE MADRE PCBIS (VOLUME FINALE:10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO)
SOLUZIONI DA 1000 MG/L
α-endosulfan
β-endosulfan
Endosulfan solfato
µL PRELEVATI
100
100
100
Dalle soluzioni madre PCL PClbis vengono preparate le soluzioni di lavoro
seguendo le indicazioni riportate nella tabella 10.
TABELLA 10
PCl75%
PCl100%
PCl125%
PCl bis 75%
PCl bis
PCl bis 125%
µl prelevati della
soluzione madre PCl
75
100
125
-
µl prelevati della
soluzione madre PClbis
75
100
125
Volume finale(ml)
Solvente cicloesano
1
1
1
1
1
1
8.7.2. Soluzioni di riferimento per l’analisi dei campioni.
8.7.2.1. Soluzioni di riferimento dei pesticidi fosforati:
Come soluzione di riferimento vengono prese le soluzioni A2, A4, A6 e A2
bis, A4 bis, A6 bis preparate secondo la P-PRO-15 (punto 7.1.1).
8.7.2.2. Soluzioni di riferimento dei pesticidi clorurati, piretrodi, e piperonil
butossido:
Come soluzione di riferimento vengono prese le soluzioni B2, B4, B6 e B2
bis, B4 bis, B6 bis preparate secondo la P-PRO-15 (punto 7.1.2.).
8.8. Preparazione della curva di calibrazione
Si effettuano almeno tre replicazioni per ciascun livello di concentrazione in
fase di convalida del metodo e due replicazioni per ciascun livello di concentrazione
in fase di analisi dei campioni.
8.9. Determinazione del contenuto del pesticida del campione
Effettuare almeno 2 replicazioni delle analisi cromatografiche su un campione
preparato secondo le indicazioni riportate al punto 5. Controllare sistematicamente
ogni 4-5 determinazioni la concentrazione delle soluzioni di riferimento relative
all’analisi del campione: se la media di 2 determinazioni successive differisce di oltre
il 10% dal corrispondente valore letto sulla curva di taratura occorre procedere alla
costruzione di una nuova curva di taratura.
183
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi
Nel caso in cui, dall’analisi con rilevatore ECD o NPD venga evidenziata la
presenza di un pesticida, quest’ultimo viene confermato mediante analisi della
soluzione con GC-MS.
8.9.1 calcoli
la concentrazione Cc di ciascun pesticida in esame, espressa in mg/Kg, si ricava
mediante la formula:
Cc = (CS * 5)/p
dove:
CS: concentrazione del pesticida in esame nella soluzione contenente il campione, ricavata
dalla curva di taratura ed espressa in µg/ml, tenendo conto delle eventuali diluizioni;
p: peso del campione trattato espresso in grammi.
8.9.2 Presentazione del risultato
Si utilizza la formula:
Concentrazione del pesticida(µg/g) = Cc ± CV(%)
dove:
Cc: media di due determinazioni ricavate come descritta al punto 9.1;
CV: deviazione standard relativa percentuale del metodo.
9. Validazione pesticidi serenoa repens frutti
PESTICIDI CLORURATI, PIRETROIDI E PIPERONIL BUTOSSIDO:
HBC
α-HCH,β-HCH
γ-HCH
Heptachlor (somma di)
PCA, PCNB, PCTA
Alachlor
Aldrin, Dieldrin
Chlordane (somma di)
DDT(somma di)
Piretrine(somma di)
Endrin
Bromopropilate
Permetrine
Cypermetrine
Fenvelerate
Deltametrina
Endosulfan
Limiti Ph.Eur Limiti richiesti
mg/kg
mg/kg
Limite raggiunto
mg/kg
0,1
0,3
0,6
0,05
1
0,02
0,05
0,05
1
3
0,05
3
1
1
1,5
0,5
3
0,026
0,038
0,169
0,009
0,081
0,01
0,007
0,013
0,065
0,766
0,15
0,875
0,258
0,035
0,040
0,049
0,256
0,01
0,03
0,06
0,005
0,1
0,002
0,005
0,005
0,1
0,3
0,005
0,3
0,1
0,1
0,15
0,05
0,3
184
Tecnica
GC-ECD
GC-ECD
GC-ECD
GC-ECD GC-MS
GC-ECD
GC-ECD GC-MS
GC-ECD
GC-ECD
GC-ECD
GC-ECD
GC-ECD
GC-MS
GC-MS
GC-MS/ECD
GC-MS/ECD
GC-MS/ECD
GC-ECD
Michele Giangrossi
PESTICIDI AZO-FOSFORATI:
Limiti Ph.Eur
mg/kg
Azinphos-Me 1
Chlorfenvinphos
0,5
Chlorpyriphos 0,12
Me-Chlorpyriphos 0,1
Diazinon
0,5
Dichlorvos
1
Ethion
2
Fenitrothion
0,5
Fonofos
0,05
Malathion
1
Me-Pirymiphos
4
Metidathion
0,2
Me-Parathion 0,2
Et-Parathion
0,5
Phosalone
0,1
Limiti richiesti
mg/kg
0,1
0,05
0,002
0,01
0,05
0,1
0,2
0,05
0,005
0,1
0,4
0,02
0,02
0,05
0,01
Limite raggiunto
mg/kg
0,276
0,276
0,068
0,033
0,144
0,307
0,455
0,146
0,024
0,287
0,976
0,058
0,056
0,025
0,035
Tecnica
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
GC-NPD
10. Conclusioni
La verifica finale ha confermato che i campioni di Serenoa repens analizzati
in laboratorio avevano concentrazioni di pesticidi clorurati, fosforati, piretroidi
e piperonil butossido decisamente al di sotto dei limiti di legge e per tanto
testimoniavano la provenienza da colture esenti da contaminazioni e per questo
sane e sicure per le finalità cui erano destinate.
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