TORTURA, ATROCE LEGA
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TORTURA, ATROCE LEGA
TORTURA, ATROCE LEGA Marianela aveva 33 anni quando venne crivellata di colpi. Era il 13 marzo del 1983 nel Pulgarcito de America, il "pollicino d´America", come veniva definito il Salvador. Marianela Garcia Villas era la presidente della Commissione per i diritti umani del suo piccolo Paese e nel mondo la chiamavano «l´avvocato dei contadini» per via delle leggendarie arringhe che teneva in tribunale per difendere i poveri torturati, violentati, sfruttati dai ricchi latifondisti. Era nel mirino della giunta militare democristiana a cui lei, da cristiana, si opponeva. Il 13 marzo Marianela era in missione sul territorio per raccogliere le prove sull´uso delle armi chimiche da parte dell´esercito contro la popolazione civile delle campagne. L´Europa attendeva con ansia i risultati di quell´indagine. Per questo lei era tornata nel Pulgarcito pur sapendo che il suo nome era stato inserito nell´elenco dei cento cittadini "condannati a morte" dal maggiore Roberto D´Abuisson, presidente dell´Assemblea Costituente e uomo indicato come il mandante dell’assassinio di monsignor Oscar Arnulfo Romero. Gli squadroni della morte erano già pronti all’esecuzione, che venne messa in atto con estrema freddezza il giorno in cui l´esercito si accanì contro un gruppo di contadini. Marianela tentò un´ultima disperata difesa dei suoi fratelli oppressi. *** La vicenda di Marianela Garcia Villas è riecheggiata giovedì in parlamento dove si è consumata l´ultima deriva politica della maggioranza di centrodestra. È passato infatti alla Camera l´emendamento della Lega alla legge sulla tortura che ridimensiona l´obbrobrio di quel sistema di violenze considerandolo un reato solo se "reiterato". Un balzo indietro che stride fortemente con la dichiarazione universale dei diritti umani per i quali è morta ammazzata Marianela Garcia. Quando venne violentata e torturata selvaggiamente in uno dei ripetuti arresti subìti, si mise a piangere, piangere, piangere e per gridare tutto il suo sdegno e la sua rabbia scelse le ginocchia ancora forti di monsignor Romero, che la esortò a non alimentare sentimenti di vendetta ma soltanto di amore, perché «è quello che vuole Cristo da noi». E così fece. In un giro di conferenze che la portò anche in Italia nel 1981, dopo quel terrificante "battesimo di sangue", Marianela cercò di interpretare la sua personale vicenda di donna torturata e violentata nel quadro generale delle torture e violenze inflitte al suo popolo: «Non parlate di me, la mia è solo una storia comune - disse - come me migliaia di altre donne hanno avuto gli stessi maltrattamenti, hanno subito la stessa sorte (...) Il novanta per cento delle donne salvadoregne che sono arrestate e trattenute nelle carceri o nelle caserme vengono violentate; e questo perchè nella mentalità, nella psicologia, insieme maschilista e prepotente delle forze di polizia e dei soldati del regime l´avere tra le mani una donna e non possederla sarebbe considerato un atto di debolezza, una prova di impotenza». Marianela lavorava nella Commissione per i diritti umani con il sogno nel cuore di costruire un mondo in cui l´idea stessa della tortura e della violenza fosse inconciliabile con qualsiasi diritto positivo. Perché la tortura è già l´inizio di una condanna a morte. Anche un´unica, non «reiterata» tortura rappresenta un viatico per l´eliminazione di una identità, di un volto, di una vita. Così è morto, suicida, frei Tito Alencar da Lima, il domenicano brasiliano accusato di essere vicino ai comunisti di Marighella. Nel carcere di Tiradentes fu orribilmente torturato. Probabilmente una sola volta. Tanto gli è bastato per costruirsi un doppio suicidio. Il primo a poche ore dalle violenze, ancora in carcere, quando tentò di tagliarsi le vene dei polsi, il secondo alcuni anni più tardi, quando i fantasmi dei torturatori lo inseguirono in Francia dove era fuggito per dimenticare. Non ci riuscì e si appese ad un albero in un giardino di Lione. *** Non è un caso che gli Stati Uniti d´America si siano opposti in prima istanza al trattato aggiuntivo alla Convenzione sulla tortura dell’Onu, che vieta tale sistema nelle prigioni e nei commissariati di polizia. La violenza in America è ormai diventata regola dell’ordine metropolitano, dimensione esistenziale del quotidiano, scelta di vita. E anche su questo punto la maggioranza al governo del nostro Paese pare intenzionata ad uniformarsi. Ancora una volta la Lega detta la linea promuovendo un provvedimento sulla legittima difesa che apre spazi di diritto alle pistole come strumenti di difesa personale e di difesa dei beni immobili. Un provvedimento scaturito dopo che un gioielliere di Milano ha sparato, ferendo mortalmente un ladro che aveva tentato una rapina nel negozio. Ci vuole più sicurezza, spiegano nella Cdl, e dunque diamo ai cittadini esposti al rischio della violenza una possibilità di difesa. E così passa, anche da noi, il concetto di una difesa armata personale, un concetto che apre la strada alla cultura della sicurezza violenta che tanti guai sta provocando negli States. Chiunque abbia visto il capolavoro del regista americano Michael Moore («Bowling for Columbine») non può che rimanere freddato dalle cifre della violenza riferite dal filmato. Sono 11.000 all´anno i morti per arma da fuoco negli States. Sono 65 quelli del vicino Canada. Quasi tutti gli americani hanno pistole e fucili in casa. Pochi nascondono le pistole sotto i cuscini in Canada. Le case degli americani vengono tutte chiuse e sigillate con rinforzi d´acciaio. Pochi tengono le porte chiuse in Canada. Le grandi domande che si pone (e ci pone) Michael Moore con il suo capolavoro sono queste: «Come mai noi americani ci continuiamo ad armare per essere più sicuri e nel momento in cui facciamo così siamo più insicuri? Come mai la nostra società ha fatto della sicurezza una sorte di paranoia del quotidiano e nel far questo ha provocato una spirale di violenza inaudita? Cosa c´è di terribile in questa società che ha il potere di costruire il nemico e di renderlo così reale in ogni strada, in ogni via, in ogni palazzo delle nostre città? E perché un bimbo di sei anni uccide con una pistola sottratta al genitore un altro bimbo davanti agli occhi increduli dell´insegnante in una scuola elementare? E cosa porta un gruppo di di studenti bianchi, figli della borghesia del nostro Paese, a fare irruzione nella Columbine School e provocare un massacro di compagni di scuola? E com´è possibile che un americano figlio della cultura della sicurezza made in Usa faccia saltare in aria un palazzo federale a Oklahoma City?». Non sarebbe più utile rispondere a queste domande prima di approvare provvedimenti che possono ritorcersi contro la malattia che si vuole curare? di Francesco Comina L’Adige 24 aprile 2004