Leggi tutto - Opera Omnia di Giacomo B. Contri
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20 gennaio 1995 5° Seduta GIACOMO B. CONTRI OSSERVAZIONI IL DIRITTO VIGENTE DI OGNI SOGGETTO In tutte le patologie i sessi vengono alla ribalta prendendo voce in capitolo, in forme diverse e in misure spropositate, fino alla più grande indiscrezione, fino alla monomania, al contrario di ciò che dovrebbe risultare palese: la discrezione (la parola più precisa è "verginità", che caratterizza la normalità della quale parliamo)1. Ogni soggetto si regola secondo il diritto vigente, che è quello che gli è proprio. I diritti vigenti non sono mille: ne esiste uno solo (quello normale), più altri quattro (quelli patologici), al di là del diritto dello Stato. Quello che chiamiamo "psiche" (la vita psichica) è un diritto vigente, proprio come si dice: "Io mi comporto secondo il diritto vigente in Italia". Nella condizione umana – riguardo al diritto vigente – la normalità ha questo di proprio: ogni momento possiamo commettere infrazione al diritto vigente (alla nostra formula), non solo perché ciò accade al bambino che si ammala, ma perché nell’adulto, anche guarito, l’infrazione alla legge è sempre possibile. La normalità lascia intatta questa possibilità2. Se noi non sentiamo speciale esigenza di collaborazione con giuristi, è per l’unica ragione che siamo colleghi: noi infatti diciamo che tutti sono magistrati o avvocati nella misura in cui si confrontano con la guarigione (nella misura in cui la norma è tenuta come termine di paragone). Ma ci distinguiamo da avvocati e magistrati perché ci occupiamo di un’altra classe di delitti, non meno delitti. Le cose che andiamo dicendo da quattro anni costituiscono una competenza giuridica non meno giuridica di quell’altra. Vi porto un piccolo esempio. Si tratta di una paziente giovane, venticinque anni, passata da anoressia e bulimia. È capacissima della più grande indifferenza in tutto: al cibo, ovviamente. Capacissima di gonfiarsi e sgonfiarsi come i soffietti, dal lato bulimico o dal lato anoressico, così come nulla fosse. In particolare una bella indifferenza sul piano sessuale: è capace di passare dai numeri prostitutivi più incredibili a lunghissimi periodi in cui potrebbe essere considerata una vestale. In una delle sue performance più recenti è andata a cercarsi un qualcuno attraverso le rubriche dei giornali per incontri di un certo tipo, ponendo un’unica 1 Non spendo la parola "castrazione", che abbiamo motivato con limiti molto precisi. Non è che, poiché sono guarito, usando la parola antica, "Non pecco più". Ho usato il verbo "peccare" pensando alla formula di Agostino che parla di "potere peccare". 2 1 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Testo non rivisto dall’Autore SEMINARIO DI SCUOLA PRATICA DI PSICOPATOLOGIA 1994-1995 VITA PSICHICA COME VITA GIURIDICA condizione: non sapere come si chiamasse l’altro. È stata formale nel domandare che fosse il rapporto-non rapporto con quello che segniamo come Aq. Costui è stato interessante, perché le ha chiesto di pagarlo, cosa che lei ha fatto senza fiatare. La seconda volta gli ha chiesto se doveva ancora pagarlo. Fin da bambina, nel modo più esplicito, la madre non le parlava d’altro che della propria insoddisfazione, in particolare nel rapporto con il marito. Riguardo alla madre, la sua frase più tipica è stata: «Mia madre da bambina mi parlava come a un’amica»: l’amica che si va a trovare, a cui si racconta la propria storia e naturalmente i propri guai. Quando il rapporto risulta essere fra un A e un altro A, come in questo caso, il risultato immediato è l’assunzione, da parte della bambina, del problema di soddisfazione della madre, ovviamente irresolubile. L’accaduto psichico, che ha impedito altri accadere psichici, è stato il primo crimine: una precisa, specifica attribuzione di responsabilità. Per questo dico sempre: attenzione a non attribuire al bambino la responsabilità della soddisfazione dell’altro. È un delitto che – come dicevano all’antica – grida vendetta al cospetto di Dio. Solo una cosa l’adulto non ha da fare con il bambino: caricarlo della responsabilità della propria soddisfazione: «Mi parlava come a un’amica». «Allora io ho sempre fatto in modo che mia madre fosse contenta»: è il seguito del delitto. Il finale è quello che già una volta illustravo come "associazione per delinquere". La cosa notevole è che, nella patologia, il rapporto diventa rapporto con Altri qualunque3. Questa madre, questo particolare A, che cosa ha fatto? Ha fatto della freccia δ (che va da sé, A, a S) γ: è essa a domandare, a pseudo-domandare, perché non domanda soddisfazione, ma piuttosto incarica S della propria insoddisfazione, il che è completamente diverso. Infatti, il progetto di questa condotta è che non abbia mai fine la propria insoddisfazione e che vengano associati Altri alla propria insoddisfazione. È scomparsa la domanda, perché questa "domanda" non ha come fine una meta, ossia un termine; non ha come fine la soddisfazione. Questa bambina si è trovata a lavorare (e quanto lavorare!), fino a dire: «Sono sempre affaticata». La lingua è molto precisa: nella patologia si è smesso di lavorare per solo faticare, il senso di affaticamento psichico, mentale, è abbastanza comune. Il soggetto si è trovato a dovere mettere nella freccia del proprio lavoro (quando è normale è γ, la domanda) quello che indichiamo con la lettera δ: un disperante lavoro per la soddisfazione di A, e dalla posizione di S! Il crimine continua. La guarigione è la cessazione di quel diritto deformato, ma vigente. La resistenza alla guarigione equivale alla parola "vigente": non si tratta di andare a scovare la resistenza sotto le ragioni psichiche: essa è vigente. Per questo la resistenza non è interna, ma è esterna: la mia resistenza alla mia guarigione siete voi, è il mondo, sono i miei altri. È così vero che si tratta di diritto, perché il diritto, per essere vigente, deve essere sostenuto dalla collettività. Raffaella Colombo Quando S non individua, in A, S e A (AS-A), ma individua i genitori (i "genitori da sempre"), si assume l’insoddisfazione di A proprio perché A, in quanto genitori, non è individuato come un S insoddisfatto da un A (ovvero: la sostituzione di AS-A con Agenitori mette in ombra la possibilità di questa individuazione). E il Soggetto si assume la colpa di insoddisfare. Nel ribaltamento S-A, io, Soggetto, sono insoddisfatto e imparo da te, Altro, che da te non viene soddisfazione. Pertanto la domanda che rimane o è in eccesso, fino a domandare ogni permesso4, o diviene domanda di riconoscimento: "Riconoscimi come l’altro per te". È un riconoscimento che non è domanda: "Riconoscimi bisognoso!", "Vedi che brucio!" Questa domanda di riconoscimento è la coscienza: costruzione dei rapporti, da parte del Soggetto, 3 Dovessi fare un richiamo a noi stessi, direi che il rapporto Soggetto-Altro non solo non è infantile, ma è proprio la legge più matura. Coloro fra noi che hanno dei rapporti più personali con altri, non obbligatoriamente quelli coniugali, facciano in modo di essere sempre e comunque in uno di quei due posti. Che i nostri rapporti siano sempre da Soggetto a Altro, di cinque minuti in cinque minuti. 4 Fino alla domanda di respirare, diceva Giacomo B. Contri. 2 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri sui risultati di elaborazioni. Ponendosi in quanto Altro per l’Altro, consegue, nei rapporti, che il Soggetto perde continuamente il posto di privilegio rispetto all’Altro: là dove in un rapporto la meta non è di soddisfazione (posizione di privilegio), si passa facilmente a invidia: l’Altro non passa a fonte di beneficio da cui ricevere l’Altro soddisfacente; la fonte del beneficio passa a essere colui come si dovrebbe o vorrebbe essere: è l’invidia5. Giacomo B. Contri In qualsiasi sede, in qualsiasi modo, con qualsiasi malato lavoriamo (o altri lavorano con noi stessi come malati), è nella freccia della domanda (γ) che si tratta di lavorare. Non si tratta di partire dall’offrire qualche cosa6, perché il partire dall’offerta non ha nulla di diverso da quello che si è sempre chiamata la beneficenza e la beneficenza è fonte di invidia7. Ambrogio Ballabio Facciamo questi schemi (o grafi) per motivi economici, per avere la batteria di tutti i nostri concetti fondamentali presenti nello stesso momento. Oggi mi si è chiarito che il limite attuale è il seguente: l’avere rielaborato certi concetti freudiani ci ha indotti a abbandonarne alcuni, che pure, oggi, tornano – almeno in certe fasi di passaggio – come termini che risultano economici. Per esempio, molte affermazioni sia di Pietro sia di Raffaella, si chiariscono bene con la parola "identificazione": "Io farò come te, anche a mio danno". L’identificazione interviene dove c’è carenza di giudizio, per cui si decide di fare come l’Altro o di assumersi le sue colpe e i suoi debiti, anche a proprio danno. Molto di quanto Pietro Cavalleri ha detto del nevrotico, mi faceva pensare al discorso freudiano circa la coscienza morale del nevrotico, che si costituisce per identificazioni che risalgono all’epoca in cui, essendo il giudizio incompleto, c’è stata l’offesa o l’alleanza perversa con l’altro patogeno. Riprendere le cose in questi termini può anche facilitare la distinzione tra il modo in cui avviene la sostituzione dell’altro nella nevrosi rispetto alla psicosi. L’altro termine che non rientra nei grafi dei primi due tempi è "castrazione". Infatti, facciamo degli sforzi per collocare delle sbarre dove l’Altro sessuato è a sua volta Soggetto, collocando al di sotto la relazione Uomo-Donna (si vedano le Figure). Mettiamo le sbarre per dire che si tratta di genitori (quindi presi in una particolare versione del legame Uomo-Donna e presi come un corpo unico) oppure per indicare la trasformazione in maschio-femmina: questi sono gli effetti della castrazione nella patologia. E allora: questo è il termine che manca nel grafo, perché non c’è ancora il grafo del momento di dubbio e di errore che, non dobbiamo dimenticare, è il momento originale di ogni destino psicopatologico. Per risolvere certe questioni occorre fare il grafo del momento dell’errore, ovvero del terzo e quarto tempo della legge. L’ultima osservazione: non avverto la preoccupazione segnalata in partenza del rischio di matematizzare queste cose. Per correre quel rischio occorrerebbe che ci fosse qualcosa di matematizzabile. Nel nostro caso non c’è nulla. More geometrico non vuol dire appassionarsi di formule, ma introdurre l’idea di un sistema assiomatico da cui dedurre a-soggettivamente tutte le conseguenze logiche. 5 Rimando a altra occasione il trattare la deformazione della legge nell’invidia. Eccetto la possibilità offerta dalla propria persona e dalla propria tecnica. 7 Non esiste un solo beneficato delle beneficenze organizzate da un secolo in qua che sia stato riconoscente al benefattore. Nessuno guarisce a partire dall’invidia che peraltro è provocata. L’invidia manifesta uno speciale radicalismo, che ha messo in crisi giustamente anche tutti gli psicoanalisti, che ancora vanno a cercare le brave interpretazioni su quello che sta dietro e su quello che sta sotto. Ma no! L’handicappato è tutto sopra! È niente sotto, è niente dentro. È la perfetta assenza del foro interno. È l’annullamento della psiche. 6 3 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Giacomo B. Contri Allorché ci si imbatte con fenomeni umani matematizzabili, si è di fronte a una diagnosi di psicopatologia. Un soggetto che viva more geometrico è malato. Non si tratta quindi di prendere questa strada piuttosto che un’altra; l’altra, allorché esiste, è segnale di malattia8. Un’altra ragione per cui non esiste rischio di matematizzare, è che i quattro grandi gruppi psicopatologici – nel loro essere differenti dalla norma – non sono il risultato di una qualche deduzione operata dal soggetto. Sono il risultato di rotoloni, della volgarità del rotolone. Se le classi sono quattro, è perché non esiste una quinta possibilità di rotolare male9. Nella patologia si tratta di un dispotismo in cui non c’è più nessuno che la faccia da padrone 10, perché il despota è pur sempre un soggetto che si prende il rischio ("rischio" significa che da qualche parte vi sarà una sanzione), mentre qui abbiamo a che fare con un dispotismo che si sottrae strenuamente alla sanzione. Il padrone, che fa da padrone, si prende pur sempre la briga di mettersi nella posizione di A e dovrà pur sempre lavorare a dare soddisfazione a qualcuno, non fosse che al gruppo o alle classi che lo sostengono. Per quanto discutibile sia questa soddisfazione, è una soddisfazione. BATTUTE FINALI La prima: se c’è una cosa da non fare, se si è preti, sono i corsi per fidanzati. Che cos’è il corso per fidanzati? È riunire della gente per parlare di sessualità. Che poi la si benedica è ancora peggio: benedire la sessualità equivale a farla passare alla perversione; all’inizio, almeno, è solo nevrotica. La seconda battuta è un buon slogan patogeno: «Quien no llora no mama», "Chi non piange (pena), non succhia". Meglio: "Chi non risica, non rosica", tanto più che il risicare, una volta che si è individuato il "risico" nell’esistenza della sanzione, diviene interessante poiché diventa un sapere che assume un interesse estremamente rigoroso, ma di un altro rigore rispetto a quello matematico: il sapersi condurre in funzione dell’esistenza della sanzione. Il despota che non la fa più da padrone, ha abolito il rischio, la possibilità della sanzione ossia la stessa possibilità del giudizio. È il massimo della patologia: la guerra alla possibilità del giudizio. Un’osservazione su "q". È la difficoltà specifica di coloro che operano in settori pubblici e privati della cura: il soggetto, che è così poco Soggetto, lavora a qualunquizzarvi, in modo vistoso, macroscopico e quotidiano. Credo che la vostra fatica11 sia nel risalire ogni volta una china, come quando ci si arrampica su una china terrosa o sabbiosa e si ritorna sempre giù. Si è sempre ributtati nella posizione del qualunque. La tentazione è quella di rifare: "Provaci ancora, Sam!". Vedremo la retta andare all’infinito, perché quest’altra volta sarà un numero n che tende all’infinito. O a quella cessazione dell’infinito che è il cimitero. Nella frase: «Troppo perde il tempo, chi ben non t’ama», che credo fosse di Savonarola (riferita a Gesù Cristo, ma ora io sto riferendo a tutti riguardo a tutti): cosa può significare "ben"? L’ideologia è mentire a livello del "ben". Noi stiamo cercando di dare un significato definito al "ben". Man mano procediamo con queste esplicitazioni e formule, tanto più evidenziamo il senso del catalogo dei vizi e delle virtù. Qualcuno che volesse, potrebbe divertirsi a trovare le varianti delle formule, ma non si tratta di diventare i fanatici della formula; è meglio concepire la formula come se fosse una scritta 8 Non siamo lontani: il cognitivismo fa questo, è già in atto. Per questo ricordo la battuta del mio maestro Lacan: "L’umanità non vale niente. Neanche è capace di inventare una nuova perversione". Ma lo credo bene. Non c’è più nulla da inventare. Si possono rifare le latrine, ma non ci sono nuove latrine da inventare. 10 L’era del computer inaugura un’era di dispotismo completamente diversa. 11 Spesso la fatica si sostituisce al lavoro. 9 4 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri su un foglio di plastica che anche accartocciato: non la deforma. La patologia non è una formazione di questo tipo. Una frase sentita questa mattina detta dai genitori ai figli: «Io e il papà ci separiamo per colpa vostra»12. Nel momento in cui accade (in questo caso è un accadere per l’udito del bambino), il bambino pensa che è pazzesco (il primo giudizio non è ancora distrutto), ma diventa muto, ammutolisce. Diventa muto in ciò in cui potrebbe parlare, in cui il giudizio dovrebbe essere espresso. Una delle conseguenze, e la più vistosa, è che ammutolisce per quanto riguarda il giudizio, ma diventa chiassoso e, all’estremo, perverso riguardo ai sessi. I soli che non dovrebbero avere voce in capitolo, assumono la voce in capitolo. Ogni altra cosa, giudizio anzitutto, perde la voce in capitolo. O l’uno o l’altro: è questo il concetto di verginità (o di castrazione, come suo sostituto) che abbiamo introdotto. © Studium Cartello – 2007 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 12 Pietro R. Cavalleri ricorda la versione più comune di questa frase: «Stiamo assieme per voi». 5 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri