Prione e mucca pazza

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Prione e mucca pazza
EuroBrain Vol. 4, N. 1 – Giugno 2002
Prione e mucca pazza
1, 5 – 6 DILAGA IL PANICO
PER LA MALATTIA
DELLA «MUCCA PAZZA»,
CHE COSA FARE?
2 – 4 ANTICORPI ANTIPRIONI:
UNA STRATEGIA CONTRO
LA MALATTIA DI CREUTZFELDTJAKOB E QUELLA DELLA
MUCCA PAZZA?
DILAGA IL PANICO PER
LA MALATTIA DELLA «MUCCA PAZZA»,
CHE COSA FARE?
I timori generati dalla malattia della
mucca pazza si ripercuotono sulla
catena alimentare umana. Quando alcuni
casi di questa malattia, denominata
encefalopatia spongiforme bovina (BSE)
furono segnalati in Francia, in Germania,
in Italia e in Spagna, i consumatori europei eliminarono rapidamente la carne
bovina dalle loro tavole. La cifra d’affari
di McDonald’s calò improvvisamente trascinando con sé il valore delle azioni. Il
famoso ristorante parigino, Arpège, uno
dei gioielli della cucina francese, annunciò che era possibile mangiare dei menu
vegetariani. Temendo che anche gli
Stati Uniti fossero colpiti, i responsabili
americani della salute pubblica pretesero l’applicazione di misure preventive
più severe.
una malattia rarissima (125 casi segnalati fino ad ora) la malattia di CreutzfeldtJakob, è provocata dal prione, un insidioso agente patogeno estremamente
difficile da individuare, resistente alla
sterilizzazione, che conduce alla morte
le sue vittime.
Gli scienziati britannici compresero di
avere a che fare con una nuova malattia
umana quando a metà degli anni ’90 degli
individui giovani, a volte adolescenti,
manifestarono i sintomi della malattia
di Creutzfeldt-Jakob, che normalmente
sopraggiunge più tardivamente. La sintomatologia prende inizio con tremiti e
agitazione che degenerano in disturbi
psicotici. I pazienti perdono il controllo
motorio e muoiono dopo circa un anno,
ciechi, incontinenti e dementi. L’autopsia
rivela la presenza nel tessuto cerebrale
di «placche» attorniate da alveoli (da
cui la terminologia di encefalopatia
«spongiforme»).
L’origine dell’allarme non è la BSE, ma
la sua variante umana, la malattia di
Creutzfeldt-Jakob (nvMCJ). Benché sia
The
European
Dana Alliance
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Segue a pagina 5
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Elaine Snell
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scientists that promotes the importance of brain research.
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EuroBrain Vol. 4, N. 1 – Giugno 2002
Anticorpi antiprioni: un
contro la malattia di Cre
e quella della mucca pazz
ben determinata della PrPC. Questa strategia ha permesso di cartografare delle
particolari zone della proteina prionica, identificando alcune regioni che
potrebbero divenire un possibile bersaglio
terapeutico.
È stato dimostrato che la risposta immunitaria umorale può prevenire la malattia a
prioni in vivo, questo significa che un intervento immunoterapeutico non è utopico. I
vaccini e le strategie post-esposizione
basate sugli anticorpi potranno un giorno
sconfiggere la scrapie degli ovini, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) o la
malattia Creutzfeldt-Jakob?
Nel nostro laboratorio abbiamo cercato di
capire se il sistema immunitario dei mammiferi può produrre una risposta umorale
contro i prioni. A questo scopo, abbiamo
creato dei topi transgenici con un repertorio di anticorpi particolarmente adatti al
riconoscimento della proteina prionica
normale, PrPC. Abbiamo costatato che l’inoculazione intraperitoneale di prioni proteggeva dalla patogenesi della scrapie,
l’encefalopatia spongiforme ovina. La
coespressione degli anticorpi anti-PrPC
e della PrPC a livello fisiologico non ha
indotto la malattia autoimmune evidente.
Questa scoperta possiede un certo rilievo
poiché costituisce un passo importante
nella prospettiva di un vaccino antiprioni.
I vaccini sono spesso molto efficaci per
proteggere dalle infezioni virali e da alcune
patologie di origine batterica. Dalla nascita
all’età adulta, le persone sono vaccinate
contro malattie molto differenti, dalla rosolia alle infezioni a Clostridium. Allo stesso
modo, gli animali domestici vengono immunizzati contro le malattie che li colpiscono.
Tuttavia per molto tempo, le patologie a
prioni sono state refrattarie alle tecniche
di immunizzazione.
Adriano Aguzzi
Di recente sono stati realizzati innumerevoli studi, sia in vitro sia in vivo, allo scopo
di valutare gli effetti degli anticorpi sulla
moltiplicazione e sulla disseminazione dei
prioni. Enari e Weissmann hanno evidenziato che è possibile prevenire la formazione della proteina prionica patologica
(PrPSc) in vivo, somministrando congiuntamente dei prioni infetti e un anticorpo
monoclonale diretto contro la proteina
prionica normale (PrPC). Qualche settimana
più tardi, Peretz e i suoi collaboratori hanno
confermato questi risultati nell’ambito di
uno studio che consisteva nel dirigere dei
frammenti di anticorpo contro una parte
Abbiamo in questo modo raggirato il problema della non-risposta del sistema immunitario all’auto-antigene ubiquitario PrPC,
causata dalla tolleranza immunitaria alla
PrPC endogena. Infatti, le cellule B non
sembrano avere una tolleranza intrinseca
alla PrP, è probabilmente la tolleranza delle
cellule T-helper che inibisce l’immunità ai
prioni nel topo normale, non modificato
geneticamente. Sarebbe interessante
sapere se questa tolleranza può essere
superata, per esempio presentando al
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a strategia
eutzfeldt-Jakob
za?
sistema immunitario la PrPC in un contesto
reso opportunamente favorevole.
potrebbero mascherare la PrPC e prevenire
la moltiplicazione dei prioni. Infatti la proteina prionica normale della cellula – che
costituisce il substrato necessario per la
conversione in PrPSc – è meno disponibile.
Una seconda possibilità è che gli anticorpi
anti-PrP interagiscano direttamente con la
PrPSc, bloccando l’interazione tra PrPCPrPSc. Una terza via possibile è che gli anticorpi provochino una ridistribuzione della
proteina prionica normale a livello dei compartimenti subcellulari. Nel caso dell’antiPrP nei topi transgenici, sappiamo che la
quantità totale della PrPC cellulare non è
molto differente della quantità riscontrata
nei topi non transgenici, ma questo non può
escludere che la PrPC possa essere «scollata» dalla superficie cellulare e che di
conseguenza non possa più avere un ruolo
nella patogenesi della malattia.
Terminiamo con uno studio realizzato da
Souan e dai suoi collaboratori, che conferma l’idea dell’induzione prionostatica
della risposta immunitaria: immunizzando
dei topi normali con dei peptidi proteici del
prione, i ricercatori hanno indotto dei livelli
anti-PrP e ridotto la formazione della PrPSc.
Da un punto di vista strutturale, la maggior
parte degli studi ha messo in evidenza che
una regione della proteina prionica (tra i
codoni 132-156) è essenziale per la moltiplicazione prionica. Le future ricerche
potranno considerare questa regione come
un bersaglio promettente per lo sviluppo
d’innovative tecniche terapeutiche.
QUALI SONO I MECCANISMI
DELLA PREVENZIONE PRIONICA
MEDIATA DAGLI ANTICORPI?
Con quale meccanismo gli anticorpi riescono ad interferire con la moltiplicazione
e la diffusione dei prioni? Nel contesto dell’ipotesi strettamente proteica (proteinonly), utilizzando delle colture cellulari sono
stati descritti almeno tre differenti scenari
che descrivono quanto avviene all’interno
delle cellule, ai quali è possibile aggiungere
un fenomeno che può prodursi in vivo, negli
animali (vedi figura 1). La prima possibilità
è che gli anticorpi anti-PrPC leghino la PrPC
endogena, fissata alla membrana cellulare
con un’ancora di glicosilfosfatidilinositolo.
In questo caso gli anticorpi anti-PrPC
Segnaliamo infine un quarto meccanismo
che potrebbe avere un ruolo negli esperimenti in vivo realizzati nei topi transgenici.
Questo meccanismo coinvolge le immunoglobuline anti-PrP della membrana delle
cellule B. Le cellule dendritiche follicolari
(CDF), che si trovano nello stroma degli
organi linforeticolari, possiedono un ruolo
importante nella patogenesi periferica
delle malattie a prioni. Dato che le CDF
sono in stretta relazione con le cellule B, gli
anticorpi anti-PrP della membrana (denominati recettori dell’antigene della cellula
B) potrebbero interferire con la moltiplicazione dei prioni a livello delle cellule
dendritiche follicolari.
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PROSPETTIVE
Qualche anno fa, era impensabile immaginare un trattamento per le malattie
generate dai prioni. La visione pessimistica
non è essenzialmente cambiata; infatti, non
si è ancora riusciti a salvare un paziente
o un animale colpiti da queste terribili
malattie. Tuttavia, i recenti sviluppi hanno
GLOSSARIO
Le malattie a prioni che comprendono
l’encefalopatia spongiforme bovina
(BSE) e la sua variante umana, la
malattia di Creutzfeldt-Jakob, sono
delle malattie degenerative del
sistema nervoso centrale. Una delle
caratteristiche più evidenti di queste
patologie è l’accumulo di una proteina denominata PrP Sc nel sistema nervoso centrale. Nella nuova
variante della malattia di CreutzfeldtJakob, l’accumulo avviene anche
negli organi linforeticolari. La PrP Sc
costituisce la forma modificata di una
proteina cellulare normale, denominata PrPC. È presente nel cervello di
tutti i mammiferi, in particolare sulla
superficie dei neuroni. Per i sostenitori dell’ipotesi strettamente proteica
(protein-only), l’agente responsabile della malattia a prioni sarebbe
la PrP Sc, che si moltiplica convertendo la normale proteina PrP C in
quella patologica PrP Sc, associata
alla malattia.
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evidenziato degli approcci possibili per
affrontare le patologie a prioni. Purtroppo
la maggior parte delle strategie proposte
fino ad ora funziona unicamente con cellule
prodotte in coltura, oppure in modelli sperimentali in cui si iniettano ad animali dei
prioni unitamente agli anticorpi. L’induzione
di un’immunità protettiva antiprioni, che
abbiamo cercato di sviluppare nel nostro
laboratorio, appare fattibile, ma resta molto
complicata poiché richiede l’introduzione
di un’immunoglobulina transgenica, procedimento che è difficilmente adattabile a
contingenze di un uso corrente.
clinici di una malattia a prioni, i danni al
cervello sono di tale entità che qualsiasi
trattamento diviene inutile. Contemporaneamente alle strategie antiprioni, sarà
imperativo lo sviluppo di sistemi di diagnosi
sufficientemente sensibili per depistare gli
individui ad alto rischio; anche in questa
direzione sono state tracciate piste interessanti. Se la ricerca continuerà a fare
progredire contemporaneamente sia la
diagnostica sia la prevenzione, un giorno
potremo affrontare la nuova variante della
malattia di Creutzfeldt-Jakob, una meta che
è ancora lontana, ma che oggi grazie alle
nuove scoperte non sembra più così irraggiungibile come un tempo.
Recentemente sono apparse nuove soluzioni, di cui le più promettenti utilizzano il
principio della profilassi, prima e dopo l’esposizione. Infatti, quando appaiono i segni
Adriano Aguzzi,
Istituto di Neuropatologia,
Zurigo, Svizzera
Fig. 1 – Il processo di moltiplicazione del prione
e la sua inibizione attraverso gli anticorpi.
a
ipotesi proteica
proteina
prionica
normale
(PrPC)
b
possibilità 1
c
possibilità 2
d
possibilità 3
cellula
B
cellula
B
anticorpi
anti-PrPC
CDF
a) L’ipotesi strettamente proteica postula un’interazione diretta tra la PrPSc esogena che
s’introduce nell’organismo (triangoli) e la
PrPC endogena (quadratini). Sotto l’effetto
della eterodimerizzazione si produce una
reazione pseudocatalitica, nel corso della
quale la PrPC è convertita in PrPSc.
b) Gli anticorpi solubili diretti contro la PrPC
potrebbero agire legando e mascherando
funzionalmente la PrPC endogena, che non
essendo più disponibile per servire da
substrato alla conversione PrPSc, impedisce
la moltiplicazione del prione. Gli anticorpi
potrebbero anche influire sulla distribuzione
subcellulare del prione endogeno, riducendo
in questo modo la disponibilità del PrPC
sulla superficie della cellula. Si noterà tuttavia che la quantità totale della proteina
prionica presente del topo transgenico antiPrP è la stessa che nei suoi piccoli non
transgenici.
c) L’interazione tra gli anticorpi anti-PrP solubili e la PrPC è forse estranea al loro effetto
protettore, che potrebbe essere conseguente
al fatto che essi interagiscono direttamente
con la PrPSc, bloccando il reclutamento della
PrPC. Questa ipotesi non è incompatibile con
quella presentata al punto (b).
d) Infine, è possibile che gli anticorpi anti-PrP
della membrana cellulare (che sono i recettori d’antigene delle cellule B), presenti alla
superficie delle cellule B, interferiscano
direttamente con la moltiplicazione dei prioni in luoghi critici, come quelli alla superficie delle cellule dendritiche follicolari (CDF).
proteina
prionica
patologica
(PrPSc)
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DILAGA IL PANICO PER LA MALATTIA DELLA «MUCCA PAZZA», CHE COSA FARE? [SEGUE DALLA PRIMA PAGINA]
Questa malattia è provocata dal prione,
un agente infettivo unico. Al contrario di
tutti gli altri agenti infettivi – virus, batteri, funghi e protozoi – che sono organismi viventi, il prione non possiede il DNA.
Si tratta di una proteina, codificata come
tutte le altre proteine, da un gene del
nostro DNA. La sua funzione normale
è per ora sconosciuta, ma la mutazione
del gene che codifica per il prione ne
modifica la conformazione che diventa
patogena e letale.
Il prione infettivo trasforma il prione normale nella sua forma patogena che si
accumula in aggregati o placche osservabili nel cervello delle persone affette
dalla nvMCJ. Questi aggregati possiedono la capacità di distruggere i neuroni
attraverso un meccanismo non ancora
delucidato. Da notare che esistono
anche placche costituite da proteine di
origine differente, che si osservano in
altre malattie neurodegenerative come
ad esempio la malattia di Parkinson o la
malattia di Alzheimer.
della nvMCJ nel 1995, milioni di loro concittadini sono stati esposti alla malattia
consumando carne bovina o prodotti da
essa derivati durante il decennio precedente. Se l’encefalopatia spongiforme
bovina è stata messa sotto controllo,
bandendo nel 1988 l’uso delle farine
animali (alimenti per bovini a base di
carcasse di pecore o mucche), che si
Il fatto che inquieta i responsabili britannici della salute pubblica, è che dal
momento in cui sono apparsi i primi casi
ritengono i responsabili dell’estensione
assunta dalla malattia, si ignora ancora,
qual è il periodo d’incubazione della sua
variante umana che potrebbe essere
anche di più decenni. Il numero di casi
recensiti è passato da 3 nel 1995 a 20
nel 2001, ma nessuno può prevedere se
questo numero aumenterà progressivamente per poi ridiscendere oppure se
esploderà bruscamente.
Occorre aggiungere che esiste la
possibilità che la variante umana di
questa malattia si diffonda attraverso il
sangue dei donatori, i trapianti d’organi
o gli strumenti chirurgici contaminati.
f
PrPC
ast
p
Fig. 1 – Illustrazione della moltiplicazione e della
disseminazione del prione a livello cellulare.
Il nervo entra in contatto con il prione normale
(«PrPc» sullo schema), nel punto «f». I prioni
mutati («p») sono trasmessi attraverso il nervo ai
prioni normali, che ne inducono un cambiamento
di configurazione. Un altro meccanismo possibile, è quello della trasmissione attraverso il
sangue, mostrata nella parte inferiore a sinistra
dello schema. I linfociti infetti («l») entrano in
contatto con gli astrociti («ast»), che fungono da
supporto alla produzione dei prioni patologici.
Copyright Russell Kightley Media, rkm.com.au
l
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Il rischio è plausibile, infatti, la proteina
prionica è presente nel tessuto linfoide,
che include le tonsille, i linfonodi, la
milza e le cellule B nel sangue. Si sa ad
esempio che i prodotti derivati dal sangue di tre donatori che hanno sviluppato
più tardi la nvMCJ sono stati esportati in
undici paesi differenti. Tra questi prodotti
c’erano 83’500 dosi di vaccino contro la
poliomielite somministrati a bebè e bambini irlandesi tra il 1998 e il 1999.
e nell’animale e una diagnosi precoce
per sviluppare una terapia. Dei ricercatori svizzeri hanno recentemente messo
a punto un metodo di rilevamento rapido
che consiste nell’impiego di un enzima
che separa in due parti il prione; uno dei
frammenti proteici prodotti può poi
essere facilmente rivelato. (Arch. Virol.
Suppl. 2000; (16): 189-95).
Le prospettive di trattamento sono lontane, ma non irraggiungibili. Il laboratorio di Stanley Prusiner, lo «scopritore»
del prione, ha recentemente annunciato
che delle sostanze denominate poliamine
ramificate possono distruggere i prioni
patogeni in vitro. Questa potrebbe essere
una possibile pista terapeutica.
Benché nessun legame sia stato ancora
stabilito tra la nvMCJ e le trasfusioni di
sangue, alcuni paesi, tra cui gli USA,
hanno vietato di donare il sangue alle
persone che hanno soggiornato per
lungo tempo in paesi come la Gran Bretagna, Irlanda, Francia e Portogallo in cui
è stata endemica la BSE. Queste misure
comportano evidentemente il rischio di
una carenza in prodotti derivati dal sangue o di organi da trapiantare.
La risposta risiede nelle future ricerche.
Occorre un metodo sicuro e semplice
per depistare il prione infetto nell’uomo
June Kinoshita,
Belmont MA, USA,
adattato da Brain Work Vol. 11 N. 3, 2001.
Editorial Board:
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Colin Blakemore, Leslie Iversen,
Wolf Singer, Piergiorgio Strata,
Jacques Glowinski,
Norbert Herschkowitz
Production Manager:
Béatrice Roth
Contributing Editor:
Elaine Snell
A Dana Alliance for the Brain Inc
Newsletter prepared by EDAB,
the European subsidiary of DABI
The
European
Dana Alliance
for the Brain
Chairman
William Safire
O
Vice Chairmen
Colin Blakemore,
PhD, ScD, FRS
W. Maxwell Cowan,
BM, BCh, DPhil, FRS
Chief Executive
Colin Blakemore,
PhD, ScD, FRS
Fig. 2 – Questo schema illustra la via di
trasmissione possibile della BSE dalla mucca al
cervello umano. Il prione mutato («O») passa da
un animale all’altro (spesso attraverso gli
alimenti che contengono parti infette provenienti
da altre mucche). L’uomo attraverso l’ingestione
di carne bovina contaminata, entra in contatto
con i prioni fissati sul sistema linfoide. I linfociti
(«L») migrano verso la milza («M»), dove si
replicano. Attraverso i nervi («N») che collegano
la milza al sistema nervoso centrale i prioni
raggiungono il cervello. Coesiste anche la
possibilità che i prioni possano raggiungere il
cervello utilizzando come via il sangue.
President
Edward F. Rover
N
Dana Alliance
for Brain Initiatives (DABI) – US
L
Executive Director
Barbara E. Gill
stomaco
M
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6
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Albert Gjedde, Dr Med
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