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Prima c’era il Chianti, poi sono arrivati il Tignanello e il Solaia. E per la
blasonata casata fiorentina è stato subito un successo senza frontiere,
in particolare negli Usa. E ai vigneti in Toscana si sono aggiunti quelli
La nobiltà del vino
si chiama Antinori
LEADER GLOCALISTI 1
a cura di Guido Vigna
in Puglia, Umbria, Franciacorta e Piemonte per un’estensione di oltre
1.800 ettari. Ma nulla è capitato per caso. Come spiega in questa intervista il capo azienda Piero
l Rinascimento del vino italiano è, in
gran parte, merito suo. E non poteva
essere altrimenti. Chi meglio di un fiorentino, di un innamorato del vino, del
nobile di una casata che da sei secoli e
passa vanta protagonismo nell’arte dei
vinattieri, poteva interpretare il
Rinascimento enoico che ha regalato
all’Italia un’immagine di raffinatezza, di
classe e di grandeur alla quale sembravano
poter ambire soltanto i francesi?
Stiamo parlando di Piero Antinori. Che è
marchese, in grado di esibire luccichio di
una nobiltà che s’allunga sino al
Medioevo. E dottore in economia e commercio. E cavaliere del lavoro, che vuol
dire nobiltà nell’imprenditoria perché della
piccola e polverosa, parole sue, cantina che
il padre gli passò nell’anno di grazia 1966
ha fatto una casa che di superlativi ne
merita parecchi. Le cifre raccontano che gli
Antinori, grazie a Piero, 67 anni, venticinquesima generazione di una dinastia che
cominciò a spremere uva “per passione e
vocazione” nel 1385, possono vantarsi di
essere la più importante famiglia italiana
del vino e, in virtù dei filari, di essere la
prima casa vinicola europea. E forse anche
la più gloriosa. E forse anche la più inter-
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nazionale, visto che lo stemma degli
Antinori spicca, al di là dell’Italia, dove
non è più confinato in Toscana, in Cile, in
California, nello stato di Washington, in
Ungheria, a Malta. Più di 1.800 ettari di
filari scelti, a cominciare dalla Toscana
dove alcune proprietà sono secolari, nei
territori della migliore e consacrata vocazione. Perchè l’alone dell’eccellenza degli
Antinori continui a splendere. Una gran
bella storia da raccontare.
Che comincia quando ?
Mi faccia fare i conti. Nel 1966, e allora
l’anno prossimo farò i quarant’anni. Sì, era
il 1966 quando mio padre, Niccolò, con due
ci, si ritirò da ogni incarico e io mi ritrovai
a essere il numero uno.
Era preparato?
Direi di sì. In cantina c’ero già da quattro, cinque anni. M’ero laureato in economia e commercio, qui a Firenze, proprio
perché avevo un destino segnato. Poi, mi
piaceva occuparmi di vino: si vede che noi
Antinori lo si ha nel sangue.
Che azienda era l’Antinori quando lei
diventò il numero uno?
Insomma, le uve comperate non dovevano essere un granché…
Proprio così. Colpa dei tempi. Negli anni
Sessanta c’era stata l’abolizione della mezMolto locale. Però già si esportava. Un
zadria e da noi s’era creata una viticoltura
15-20% del fatturato, che era di 5-6
particolare e promiscua. Si coltivava uva per
miliardi di lire. Antinori all’estero era
le proprie necessità e il di più si vendeva.
conosciuto già nell’Ottocento. Oggi oltre i Era uva che costava poco e valeva altrettanconfini va il 60% e passa.
to. Il che spiega la decadenza del Chianti.
Sicché quando mio padre mi passò la
Quali erano i vini degli anni Sessanta? responsabilità di guidare l’azienda, io avevo
Avevamo una quindicina di etichette ed due prospettive o liquidare tutto e cambiare
eravamo concentrati sul Chianti: era ancora mestiere, e molti nelle mie condizioni fecero
l’epoca del fiasco. Antinori era un bel
così, o avviare una rivoluzione in casa a
nome, perché la storia conta, ma l’azienda
suon di investimenti. Scelsi questa strada.
era, come dire?, un po’ polverosa.
Quali furono le sue prime mosse?
Perché?
Cercando di imparare il mestiere, cominPerché il contesto era difficile, il Chianti ciai a girare il mondo. Bisogna aver cultura
godeva di una reputazione che era vicino
per fare le rivoluzioni e io, almeno in fatto
allo zero e noi si era più acquirenti di uve
di vino, ne sapevo poco, molto poco. Però
che produttori.
ero ambizioso, e lo sono ancora, nel senso
che ciò che faccio lo devo fare bene, benissiE questo che cosa vuol dire?
mo, questa è la mia ambizione. Mi misi a
Che perlopiù si faceva vino con le uve
visitare le case dei grandi rossi, perché il
degli altri e un vino comincia a essere
vino è rosso. Frequentai soprattutto
grande dalla terra, cioè dalle uve, e se non
Bordeaux: lì si creavano rossi straordinari e
sei tu a controllarle, a farle maturare, si
lì feci l’incontro che ha contribuito non
rischia, e di grosso, sulla qualità.
poco a cambiare la mia vita.
_Il marchese Piero Antinori con le figlie Albiera, Allegra
ed Alessia nella tenuta di Tignanello
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LA NOBILTÀ DEL VINO SI CHIAMA ANTINORI
non si vendeva Chianti sfuso. Era una regola
e come tutte le regole c’era l’eccezione. La si
faceva per un vecchio cliente che aveva un
E chi è?
ristorante a Milano. Una volta che passai da
Un professore universitario, un filosofo,
lui, volle farmi assaggiare il nostro Chianti
uno scienziato del vino. Un grande scienzia- maturato nella sua cantina. Era tutt’altra
to. E, soprattutto, un innamorato del vino.
cosa dal nostro. Senza mezzi termini: era più
Mi ascoltò, mi prese a cuore. Anzi, dovrei
buono, tanto più buono, del Chianti che pure
dire ci prese a cuore, perché al mio fianco
era onorato dall’etichetta Antinori. Merito
c’era Giacomo Tachis, un grande enologo, un delle botti dalle quali era passato, più piccole,
grandissimo enologo. Noi gli si disse, a
nuove, di rovere. Quando, e al mio fianco
Peynaud, dei nostri problemi, io gli raccontai avevo sempre sia Peynaud sia Tachis, si ebbe
ciò che avevo in testa e lui seppe aiutarci.
la convinzione di aver cambiato in meglio la
produzione delle uve e il sistema di invecLei che cosa aveva in testa?
chiamento, mi dissi che era giunto il
Girando il mondo, mi ero reso conto che momento di passare al nuovo vino. Noi lo si
bisognava cambiare sia il vino sia il modo di aveva in testa, ma un conto è la teoria e un
farlo. Io pensavo a uno stile tutto nuovo, a
conto è la pratica. Se si vuol fare un vino
un vino, base sangiovese, dunque con carat- nuovo è di pazienza che bisogna armarsi
tere toscano, però con maggior eleganza, più perché bisogna studiare e sperimentare, speclasse, più complessità. Cercavo un qualcosa rimentare e studiare. Per anni.
di fortemente aristocratico, lo volevo per una
Che cosa nacque?
élite. E con Peynaud, con Tachis, si cominciò
Il Tignanello, il primo di quei grandi vini
dalla terra a cambiare l’Antinori, anche
che gli americani, devo dire con indubbia
acquistandola, la terra, ma soprattutto traefficacia, hanno chiamato Super Tuscan.
sformandola.
Devo molto per il Tignanello a Peynaud e a
Tachis.
Perchè?
Perché nel Chianti era tutta coltura promiscua e noi si voleva soltanto vigneti speCome fu l’accoglienza?
cializzati. Di altissima specializzazione.
All’inizio freddina. Per tanti motivi. Era
Come tutti i grandi creatori di vini avevano. nata la doc Chianti e il Tignanello non se ne
Il vino è il risultato di una lunga serie di
fregiava, del resto era figlio, oltre che di sanoperazioni, a me piace dire che il buon vino
giovese, di cabernet, sull’etichetta c’era scritè espressione di un atto d’amore, di un inna- to vino da tavola. Poi c’era il prezzo, un
moramento. Girando il mondo, facendo la
prezzo di rottura, noi lo si vendeva a 3.100
conoscenza di tutte le maggiori case, avevo
lire, che in enoteca arrivavano a seimila.
capito che soltanto con il controllo totale di
Mica poco. Pensi che il primo Tignanello,
ogni passaggio si può avere un grande vino. vendemmia 1971, oggi vale non meno di
E il controllo totale si ha unicamente quando 2.000 euro. Infine, particolare non irrilevani vigneti sono di proprietà. Oltretutto quan- te, c’era molto scetticismo sul fatto che in
do sono tuoi, c’è stabilità sia nei prezzi sia
Toscana potesse nascere un grande rosso. I
nella qualità. Dopo la terra e i conseguenti
grandi rossi, allora, sembravano un’esclusiva
cambiamenti che avevano toccato la materia dei piemontesi, era il Piemonte che in quegli
prima, cioè l’uva, mi rivolsi alla cantina.
anni trionfava. Ma la freddezza, era il 1974,
Anche lì fu tutta una rivoluzione.
durò poche settimane. I giornalisti specializzati si accorsero del Tignanello e se ne accorIn che senso?
sero i consumatori e i ristoratori. Pinchiorri,
In tutti i sensi. A partire dall’invecchiaper dire, fu uno dei primi, grandi sostenitori
mento. Fu grazie a un ristoratore di Milano del Tignanello.
che cominciai ad aprire gli occhi su questo
problema.
Lei s’attendeva quel trionfo che fu poi
decretato dal mercato?
Si spieghi.
Un po’ sì. Pensi che di Tignanello 1971
Noi, c’era ancora il mio babbo in cantina, ne facemmo per più di 1,1 milioni di bottiChi incontrò?
Emile Peynaud.
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glie. Nel 1975, soltanto un anno dopo la sua
apparizione sul mercato, noi non ne avevamo più. Tutto venduto. Un successo che
diede ad Antinori una fama internazionale.
Fu anche il segnale di una svolta in Toscana
che mi convinse a continuare sulla strada
che Peynaud aveva consigliato. E dopo il
Tignanello venne il Solaia e fu un altro successo. Intanto, insistevo nell’espansione. Che
per me significava acquistare altra terra nella
quale insinuare vigneti specializzati.
Avete comperato anche lì?
No. Abbiamo affittato un’azienda, sono
60 ettari. Abbiamo rifatto i vigneti e costruito la cantina. Che non c’era, prima lì si limitavano a vendere l’uva, non facevano bollicine. Già si produce. Siamo a 80.000 bottiglie
l’anno di Montenisa, questo il nome della
casa, con la prospettiva di superare quota
250.000.
Tra Toscana, Piemonte, Puglia, Umbria e
Lombardia quanti sono gli ettari vitati di
casa Antinori?
Sempre in Toscana?
Sono più di 1.800. Per l’esattezza, 1.838.
Direi soprattutto in Toscana. Perché voleE il grosso è in Toscana. Poco meno di 1.200
vamo essere forti lì dove avevamo le radici.
in zone di altissima vocazione, Chianti clasCosì abbiamo preso altra terra nel Chianti
classico e poi in Maremma e nelle zone a doc sico, Bolgheri, con la tenuta di Guado al
Tasso, Montalcino, Montepulciano.
Montepulciano e Brunello. Ma guardavo
anche oltre i confini della regione e guardaE all’estero?
vo non soltanto alla terra, ma anche a case di
Più o meno 450. In Cile, negli Stati Uniti,
fama consolidata. Ed è così che è finito sotto
l’ala degli Antinori un grande nome piemon- in California e nello stato di Washington, poi
in Ungheria e, ultimamente, a Malta.
tese come Prunotto, creatore di barolo, barbaresco e barbera di rara eccellenza.
Dove si trovano, all’estero, gli insediaPrunotto è nostro al 100%.
menti più importanti?
Direi negli Usa. In California. Abbiamo
E poi?
250 ettari coltivati a cabernet, merlot, sanPoi abbiamo investito in Puglia. Ci sono
giovese, che ho portato io, e chardonnay.
vigneti degli Antinori in provincia di Bari
Un grande, splendido vigneto che al
nella zona della doc Castel del Monte e nel
Brindisino nella doc Salento. Ci credo molto. momento dell’acquisizione, nel 1993, ci eraC’è molto da lavorare, ma i vitigni autoctoni vamo impegnati a lasciare in affitto ai vecchi proprietari. L’affitto adesso è agli sgoccome l’aglianico e il primitivo regaleranno,
cioli e quindi, dall’anno prossimo, dico dal
ne sono sicuro, grandi soddisfazioni.
2006, succederemo noi anche nel creare
Si dimentica l’Umbria che pure vi ha dato vino.
riconoscimenti da incorniciare con quel
Come mai si è avventurato oltre i confini
Cervaro della Sala, che è tra i bianchi
dell’Italia?
più titolati d’Italia…
Per imparare, per arricchire la nostra
Nessuna dimenticanza. La tenuta umbra
esperienza. Faccio professione di umiltà,
è degli Antinori da molto tempo, la acquisì
mio padre negli anni Venti. Io mi sono limi- quando crei vino devi essere umile, sempre
pronto ad apprendere qualcosa di nuovo, a
tato a rilanciarla.
confrontarti con gli altri. Vede, io faccio vino
e vengo da una famiglia che da secoli del
E in Franciacorta?
Noi Antinori abbiamo una vecchia e con- vino ha fatto un’arte ma sono, soprattutto,
un innamorato del vino.
solidata tradizione spumantistica. Più o
meno sono cent’anni che facciamo un
E che cosa vuol dire?
Antinori metodo classico che ha i suoi tifosi.
Che per me il vino è piacere, uno dei più
Cominciò mio nonno. Però, bisogna essere
sinceri, non è che la Toscana abbia nel setto- grandi piaceri della vita e un piacere che non
si esprime nel bere ma nel gustare, nel godere un’immagine. Questa è terra di rossi.
re anche visivamente, anche nel tatto. Me lo
Bianchi e bollicine sono prerogativa di altri
lasci dire: il vino è anche soddisfazione inteled è per questo che siamo andati in
lettuale.
Franciacorta.
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LA NOBILTÀ DEL VINO SI CHIAMA ANTINORI
Nel futuro dell’Antinori che cosa legge?
Altre acquisizioni? Magari ancora all’estero…
C’è sempre la voglia di tentare qualcosa
di nuovo. E le regioni ecologicamente interessanti non mancano. Penso alla Romania,
alla Bulgaria, al Sud Africa, al Caucaso: qui è
nata la viticoltura. Ma adesso, per noi
Antinori, dico io e le mie tre figlie, Albera,
Allegra e Alessia, che sono la ventiseiesima
generazione, è il momento di consolidare.
Morale: dobbiamo concentrarci sulla Puglia,
sul Montenisa in Franciacorta, sulla
California. E sulla nuova cantina a Bargino
di San Casciano Val di Pesa.
Quale grande architetto la firmerà?
Noi Antinori si va spesso controcorrente.
Tante case di vino hanno pescato nel gotha
dell’architettura per realizzare le loro cantine. Noi no. Abbiamo affidato progetto e realizzazione a un architetto che diventerà
grande. Si partirà nel 2006.
L’innamorato del vino, come lei si definisce, che cosa sogna?
Ovvio: il vino perfetto.
Che è?
Innanzitutto un rosso. Che può proporsi
buono in due anni e che deve avere un bel
potenziale di longevità. Poi deve presentarsi
bene. Infine, deve dare un grande piacere.
Anzi, deve dare tanti piaceri. Anche intellettuali.
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I NUMERI DELLA ANTINORI
Anno di nascita:
Fatturato:
Utile:
Dipendenti:
In quali Paesi esteri:
1385
108 milioni di euro
10 milioni di euro
150
Cile, Malta, Ungheria, Usa
Una Cantinetta internazionale
Antinori è anche una Cantinetta che, a sua
volta, è un ristorante di gran classe e che
ha la funzione strategica di biglietto da
visita della casa. La prima Cantinetta si
aprì nel cuore di Firenze, nel palazzo, cinque secoli giusti nel 2006, ovviamente
palazzo Antinori, che s’affaccia, altrettanto
ovviamente, in piazza Antinori, alla fine di
via de’ Tornabuoni. Era il 1966.
Quarant’anni dopo c’è una Cantinetta
Antinori anche a Zurigo, Vienna, Mosca, e
ognuna è un’ambasciata, frequentatissima,
dello stile Antinori e del suo buon bere.