Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Il quotidiano viene rianimato dalla bizzarria e dall'immaginazione, attraverso tre storie tragicomiche e sei
personaggi in cerca d'amore. Le vite monotone di alcuni abitanti di un anonimo condominio in periferia, residuo
di un'epoca di grandi speculazioni edilizie e pessime scelte urbanistiche ai danni dei meno abbienti, si
trasformano radicalmente, in un delizioso film dei destini incrociati.
scheda tecnica
titolo originale:
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
soggetto:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
mus iche:
scenografia:
costumi:
distribuzione:
ASPHALTE
100 MINUTI
FRANCIA
2015
SAMUEL BENCHETRIT
CRONACHE DALL'ASFALTO DI SAMUEL BENCHETRIT
SAMUEL BENCHETRIT, GABOR RASSOV
PIERRE AÏM
THOMAS FERNANDEZ
RAPHAËL
JEAN MOULIN
MIMI LEMPICKA
CINEMA
interpreti:
ISABELLE HUPPERT (Jeanne Meyer), GUSTAVE KERVERN (Sternkowitz), VALERIA
BRUNI TEDESCHI (Infermiera), TASSADIT MANDI (Madame Hamida), JULES BENCHETRIT (Charly), MICHAEL PITT
(John McKenzie), ABDELMADJID BARJA (Madjid), MICKAËL GRAEHLING (Dédé), LAROUCI DIDI (Mouloud),
THIERRY GIMENEZ (Monsieur Gilosa)
riconoscimenti:
2016: candidato al premio César per il miglior adattamento; 2016: Prix Jacques
Prévert du Scénario per il miglior adattamento.
Samuel Benchetrit
Samuel Benchetrit nasce nel 1973 a Champigny-sur-Marne, alla periferia di Parigi. Suo padre, di origini ebraicomarocchine, è fabbro, mentre sua madre parrucchiera. Conclusi gli studi all'età di quindici anni, inizia a lavorare
come assistente fotografo e come usciere nei cinema. Nel 2000 pubblica il suo primo romanzo, Récit d’un
branleur, elegantemente tradotto come Diario di un cazzeggiatore, e dopo qualche tentativo da autodidatta
realizza il cortometraggio Nouvelles de la tour L, interpretato da Sami Bouajila, che si aggiudica il Premio del
Pubblico al Festival International du Film d'Amiens. Lo stesso anno porta sul palcoscenico Poème à Lou di
Guillaume Apollinaire, con Jean-Louis Trintignant, che l'anno successivo reciterà in Comédie sur un quai de gare,
opera teatrale scritta dallo stesso Benchetrit e selezionata per il Molière per il Miglior Autore Francofono nel
2001. Nel 2003 Benchetrit dirige il suo primo lungometraggio, Janis et John, che vede tra i protagonisti Marie
Trintignant, figlia del grande Jean-Louis e moglie del regista. E' la prima di una serie di brillanti commedie (ma
non solo) che il regista gira pur non smettendo di dedicarsi anche ad altre arti. Il 2005 è infatti l'anno della
tragicommedia teatrale Moins Deux e dell'inizio della sua autobiografia in cinque volumi, Cronache dell'asfalto.
Nel 2007 ha scritto e diretto il suo secondo lungometraggio, J'ai toujours rêvé d'être un gangster. La commedia
con tocchi drammatici si sviluppa intorno a un café di periferia, raccontando le storie dei suoi avventori
inaspettatamente unite dal destino, che valgono al regista e sceneggiatore il premio alla miglior sceneggiatura al
Sundance Film Festival 2008 e il Premio Lumière per la migliore sceneggiatura nel 2009. Nel medesimo anno
pubblica un nuovo romanzo, Le Cœur en dehors, che vince il Prix Eugène Dabit, a cui seguirà nel 2015 Chien.
I suo ultimi lavori sono Chez Gino, interpretato da José Garcia nel 2011, e il dramma Un voyage, uscito nel 2014.
Nel 2015 esce Il condominio dei cuori infranti , che gli vale una candidatura al premio César per il miglior
adattamento del primo volume della sua autobiografia.
La paro la ai protagonisti
Intervista al regista Samuel Benchetrit
Che legami ci sono tra il tuo libro Le cronache dell'asfalto e le storie narrate nel film?
Il punto di partenza è stato il libro che ho scritto dieci anni fa in reazione a quella che era la situazione degli
alloggi popolari in Francia, quartieri sempre mostrati in un certo modo. Avevo voglia invece di mostrare storie
diverse, non necessariamente legate ad atti di violenza o ira o collera. Sentivo che c’era qualcos’altro da
raccontare di queste realtà. I diritti per l’adattamento cinematografico di questi libri mi sono stati chiesti
parecchie volte, e io sentivo che non avevo voglia di darli ad altri, finché ho iniziato a riflettere sul fatto che
volevo realizzarne io stesso un film. Due storie su tre sono tratte direttamente dal libro. Quella di Sternkowitz e
quella del cosmonauta, mentre quella di Huppert e Jules è stata scritta per il film. Il film parla di tre abitanti, tre
ospiti che riceveranno degli stranieri. Tutte queste storie parlano di personaggi immersi nei loro problemi e
dell'assenza della madre. Non c'era un ordine tra le storie, le abbiamo scritte e poi abbiamo cercato di metterle
in relazione creando dei legami. Nel momento in cui si legge il libro ci si rende conto che in realtà poco è stato
adattato. Per questo ho deciso di non scrivere nei titoli "tratto dal libro". Nel libro le storie sono delle favole, non
c'è sviluppo. Il film invece può essere visto come uno sviluppo del libro, l'idea di volgere un nuovo sguardo alla
periferia. Le cronache dell'asfalto sono più che altro una raccolta di ricordi d'infanzia. Questo invece è un film
sulla caduta: abbiamo un uomo che cade in una sedia a rotelle, un'attrice che cade nella vita e un ragazzo che
cade dal cielo. Cadono per caso da delle persone piuttosto mal viste dalla società, dagli abitanti del quartiere, ma
che nonostante questo li aiuteranno a rialzarsi.
Quanto è cambiata quella periferia che raccontavi dieci anni fa?
Sicuramente la periferia cambia o meglio si degrada ogni giorno, ed è questo il motivo per cui la prima immagine
del film è un campo lungo sul grande edificio, il grosso stabile fitto di appartamenti. Un’immagine che rimanda
un po’ a una nave alla deriva in mezzo al mare, dove ci sono i passeggeri che sono prigionieri di questo mezzo in
movimento, come lo sono gli abitanti di questi quartieri periferici. Quando i miei genitori, negli anni Settanta,
decisero di trasferirsi in una di questi quartieri di case popolari, lo fecero per una scelta precisa. Erano una novità,
una culla di comunismo autentico che non aveva nulla a che vedere con quello dell'Unione Sovietica. Erano realtà
dove si manteneva un alto livello di cultura e istruzione, che venivano messe a disposizione degli abitanti. Tutto è
stato fatto letteralmente saltare in aria con l’arrivo della droga nella realtà francese. Ha di fatto sradicato
l’essenza di queste realtà e del motivo che aveva portato alla loro creazione. E danneggiato moltissimo i giovani
con il suo commercio, in termini di spaccio e consumo. Oggi il problema non è più la droga, ma la
radicalizzazione. Parliamo degli estremismi che nascono in questi quartieri. Ma ancora una volta parliamo di
offerte che vengono fatte in un contesto di noia e assenza di qualunque tipo di proposta di vita altra, come
invece era un tempo. La droga, la radicalizzazione, gli estremismi sono proposte. La proposta di andare ad
addestrarsi in Siria è una proposta di viaggio, di evasione da un luogo che lascia profondamente insoddisfatti e
senza speranza. Ciò che mi stupisce è l’assenza di comprensione per queste dinamiche, per questa realtà. E il
disamore che c’è nei confronti di questa stessa realtà. Perché si stanno sgretolando i tre pilastri su cui si fonda il
nostro paese. Cultura, istruzione, sport.
Hai voluto comunque nel film mantenere uno sguardo tenero, umano e sorridente.
Sì. Le situazioni che io racconto nel film esistono ancora. Questi quartieri sono dei ghetti che alimentano violenza
e collera, ma anche ghetti che coltivano la poesia, l’umorismo, l’autoironia, chiave fondamentale per la
sopravvivenza. Sono persone che hanno imparato ad aiutarsi reciprocamente nell’esistenza ed è questa la
meraviglia che genera una periferia come questa. Ma è un luogo morente; anche dal punto di vista
architettonico, l'impressione è che questi edifici piangano, stiano per sgretolarsi. Di fatto il quartiere dove
abbiamo girato il film è stato distrutto, non esiste più. Ciò che mi ha stupito e mi continua a stupire è che la gente
piange quando vede che questi immobili sono rasi al suolo. Sono i palazzi che loro per primi hanno chiesto
venissero distrutti, perché nulla funzionava più, perché mancavano i servizi, perché erano decadenti. Però
piangono perché è qualcosa che viene perduto. Presagiscono la melanconia che sta per arrivare. Sono veramente
gli ultimi baluardi di questo tipo di realtà, un’immagine che va sparendo
Che cosa significa per te questo film, dal punto di vista non solo artistico ma personale?
Credo che questo sia il film più vicino al mio pensiero. I precedenti da un lato erano influenzati dalla scuola di
cinema frequentata o erano fatti in opposizione l’uno all’altro. Ognuno in opposizione radicale rispetto al film
precedente. Questo film ha un legame diretto con la mia infanzia, con la mia vita e in qualche modo è quel che
incarna ciò mi piace di più nel cinema e nella letteratura: raccontare la condizione del mondo, ma il più vicino
possibile al sogno, a un universo che sia comunque onirico. In questo film io racconto una realtà, uno stato del
mondo, ma anche un sogno che non voglio che sia dimenticato. La possibilità di un contesto alternativo. E in
questo senso è il film che mi rappresenta di più.
I personaggi che vediamo nel film nascono da incontri reali?
Mi sono ispirato a persone che esistono davvero. In particolare, Hamida corrisponde a una donna che avevo
conosciuto io da ragazzino ed è, salvo pochissime eccezioni, identica, anche dal punto fisico, al personaggio del
film. Io volevo mostrare personaggi capaci di cadere. Da una caduta piccola, come può essere quella da una sedia
a rotelle come quella di Stemkowitz alla caduta dell’astronauta, dallo spazio, la caduta estrema. E l’altro tipo di
ricerca che avevo voglia di fare era su un linguaggio diverso, non soltanto in termini di diversa nazionalità, quindi
l’inglese e il francese, ma anche alla comunicazione tra generazioni differenti. E poi, come ad esempio per il caso
di Stemkowitz e dell’infermiera Valeria Bruni Tedeschi, volevo che i miei personaggi caduti incontrassero
qualcuno in grado di aiutarli
Come è stato il rapporto con gli attori?
Il lavoro con gli attori per questo film è stato piuttosto particolare perché gli ho parlato molto poco. Avevo dei
grandi attori, che quindi sapevano perfettamente cosa fare, e io avevo voglia di incoraggiarli ad avere ancora più
immaginazione. Tra di loro erano molto differenti: Gustave [Kervern n.d.r.] è una montagna timida, Valeria [Bruni
Tedeschin.d.r.] ha qualcosa di particolare nelle sue espressioni. Mi sono comportato in un modo piuttosto strano
perché avevo deciso che gli attori non avrebbero dovuto incontrarsi prima delle riprese. Michael Pitt e io
eravamo realmente entrati nel dialogo di "Io Tarzan, Tu Jane". Tassadit [Mandi n.d.r.] recitava in un modo
meravigliosamente falso, e quando le ho chiesto cosa facesse nella vita prima di andare in pensione e lei mi ha
risposto che era stata prof di inglese le dissi che per me era una grande attrice perché mi dava l'impressione di
non capire assolutamente nulla [rispetto alle frasi in inglese dell'astronauta interpretato da Pitt n.d.r.]. Mio figlio
[Jules Benchetrit n.d.r.] ha realmente cercato di trovare il suo personaggio e ha lavorato molto con Isabelle
Huppert. Avevo qualche dubbio sul lavorare con mio figlio perché era una grande responsabilità. Se fosse stato
un flop sarebbe stato davvero terribile per lui. Jules ha conosciuto il palcoscenico sin da piccolo, ha visto gente
lavorare molto, suo nonno [Jean-Louis Trintig nant n.d.r.] ha un rispetto per il suo mestiere e un'umiltà incredibili,
e anche sua madre Marie l'aveva. E' stato molto bello affrontare questa prova insieme, ero davvero felice che lui
fosse lì e che fosse così bravo.
Oltre ai protagonisti della storia rimangono molto impresse le ambientazioni. Dove si trovava il set?
La ricerca dei luoghi è stata piuttosto complicata. Nelle città abitate avremmo dovuto disturbare le persone e loro
avrebbero disturbato noi. Abbiamo quindi deciso di scegliere una città che sarebbe stata poi distrutta. Già
avevamo un certo legame con questo luogo e inoltre volevamo girare un film che avesse i colori dell'est, quindi
abbiamo scelto l'Alsazia. Mentre giravamo, non c'era più nessuno nell'edificio, quindi abbiamo potuto
appropriarci dei luog hi, rompere muri per piazzare le macchine da presa. Giravamo tra le macerie ma c'era
qualcosa di molto grazioso nell'essere lì tutti insieme. Con questo film avevo voglia di raccontare la banlieue in
modo diverso attraverso dei personaggi che non siamo abituati a vedere quando parliamo di periferie. E se
dovessi riassumere il tema della pellicola dire che si tratta di tre storie di caduta: come si può cadere - dal cielo,
da una sedia a rotelle o dal proprio piedistallo - e ricevere un aiuto per rialzarsi? È questa la domanda che
percorre in ogni istante il film, perché la gente delle periferie sa essere molto brava a recuperare. Ho vissuto la
mia giovinezza in un quartiere popolare e posso affermare di non avere mai conosciuto un senso di solidarietà
così forte come in periferia.
Quali influenze cinematografiche possiamo ritrovare nel tuo film?
Quando vedo un film ho voglia che possa essere una sorta di stato delle cose, ma anche che il cinema si avvicini
al sogno. Cerco quindi di avere entrambe queste caratteristiche, per quanto sia difficile. Detto ciò ho
l'impressione che il cinema esista per questo, che sia la realtà a creare il sogno, questa realtà leggermente
deformata che fabbrica una sorta di cosa improbabile, nonostante io pensi che in questo grande mondo possa
comunque verificarsi. C'è qualcosa che mi affascina molto in questo periodo, sia al cinema che alla televisione.
Mi sono messo a guardare molte serie. Mi sono detto che tutte le grandi serie che sto guardando, da Fargo a
Gomorra, sono ispirate a grandi film o almeno gli rendono omaggio. Significa che per la prima volta da molto
tempo il cinema deve ricominciare a ispirarsi a se stesso e la televisione lo aiuterà nell'impresa. Il primo a
cominciare questo percorso è stato David Lynch con Twin Peaks, ma anche in Game of Thrones troviamo Peter
Jackson in og ni inquadratura. Tutte queste serie si chiedono "quali sono i migliori prodotti del cinema oggi?".
Inoltre anche i grandi registi come Fincher in Gone Girl si rifanno alle serie, quel film potrebbe essere una serie
perfetta. Nelle serie la psicologia si sviluppa in un altro modo, non ci sono transizioni, non ci sono tizi che ci
mettono due ore a tornare a casa. Questa filosofia ricorda il cinema degli anni 80, quando c'erano autori deliranti
a cui oggi dovremmo ispirarci di nuovo. Con il mio sceneggiatore durante la fase di scrittura e successivamente al
montaggio volevamo essere sempre all'azione, nell'informazione, abbiamo tagliato moltissime scene noiose tra
gli attori.
Recensioni
Marzia Gandolfi. MyMovies
(...) Ispirato a due racconti di Chroniques de l'asphalte, il quinto film di Samuel Benchetrit è una commedia
surreale e sociale che descrive la realtà nella sua desolazione e la riscatta attraverso la mobilitazione di
un'umanità inattesa. Scrittore e regista, Benchetrit pesca nella sua autobiografia e mette in schermo le banlieue
della sua infanzia, osservandone l'impassibilità e facendone esplodere il contenuto emotivo. Con uno stile
rigoroso, inquadrature fisse e pochi movimenti di macchina, Il condominio dei cuori infranti unisce la pulizia delle
immagini alla semplicità della progressione narrativa, spogliata di qualsiasi sentimentalismo. Seriamete ironica, la
poetica dell'autore impiega il linguaggio della sconfitta per parlare di speranza, della caduta per dire della risalita.
In una cité in disarmo sotto un cielo coperto e incolore, che amplifica il suono livido di uno sportello scambiato
per pianto, grido, supplica, l'autore innamora anime belle che nell'incontro con l'altro ritrovano il senso e la
volontà. Le loro traiettorie chiuse subiranno importanti variazioni aprendole ad altri ambienti e mettendole in
contatto con persone diverse ma con la stessa voglia di lasciarsi alle spalle memorie dolorose. Trasognato e
sotterraneamente politico, Il condominio dei cuori infranti combina realismo sociale e scrittura tragicomica,
affrontando poeticamente l'emarginazione. A creare la sospensione e la fluidità sognante del racconto
contribuiscono il luogo della vicenda, la banlieue tenuta fuori campo e poi svelata nel piano finale che scioglierà il
terrore sociale e l'aneddotica sul gemito prodotto dal vento, e i vestiti, i personaggi sono abbigliati sempre allo
stesso modo, in fogge che li qualificano e identificano. Scoglio ostinato in un mare di uniformità, il film di
Benchetrit afferma la sua natura altra, intima e densa svolgendo una serie di ritratti maschili e femminili che
condividono un condominio e un'assenza, il sentimento forte di una mancanza: il figlio per madame Harmida, la
madre per Charly, la homeland per John, la compag na per Sternkowtiz, un ruolo (nella vita) per Jeanne. I
personaggi di Benchetrit incarnano la solitudine contemporanea sfuggendo tuttavia lo stereotipo grazie alla
frontalità della messa in scena e a battute secche che li inchiodano al proprio ruolo o lo definiscono con humour.
Tra i piani, lungo i corridoi, dentro gli appartamenti, nell'ascensore, si muove un'umanità spicciola che Benchetrit
ama di sconfinato amore. La petites gens che diluisce la malinconia e gli affanni nel fare, nel parlare, nel cucinare,
nel regalare un gesto che ha come premio il gusto irripetibile di un sorriso o di una lacrima. Se ancora una volta
Isabelle Huppert e Gustave Kervern hanno 'peso specifico', è Michael Pitt a stabilire la differenza che lo distingue
nei lunghi silenzi o nelle battute in inglese, ling ua straniera che diventa risorsa comica non verbale. Dandy caduto
sulla terra con gli occhi acquosi davanti allo sguardo materno di Tassadit Mandi, il suo astronauta è l'alieno
precipitato sul lato oscuro del pianeta, sul lato grigio di Parigi che diventa 'piattaforma' da cui ripartire. Parabola
umanista, narrata con irreale leggerezza, Il condominio dei cuori infranti trasforma in poesia la banalità del
quotidiano, sospendendo i suoi protagonisti tra prigione del reale e sogno di fuga. Struggenti come le polaroid di
Sternkowtiz, gli antieroi di Benchetrit escono dall'anonimato attraverso l'amore perché è lo slancio verso l'altro a
dare senso alla vita.
Simona Santoni. Panorama
Ammaliante cantastorie, Samuel Benchetrit ordisce un film che è un autentico regalo per il pubblico. Da vedere.
(...) Il condominio dei cuori infranti sfugge alle definizioni e cattura irrimediabilmente. È umorismo e spessore, è
originalità e vita quotidiana. Pura poesia, ma anche sarcasmo disincantato.
Il regista e scrittore francese fa muovere dei personaggi un po' strampalati e solitari. Li osserva con sguardo
intelligente, tenerissimo, crudele, divertito. Le bizze ricorrenti di un ascensore mal funzionante sono il mezzo che
porta a incontri, spesso improbabili. (...) Non lasciatevi ingannare dal titolo italiano (Asphalte il titolo originale): Il
condominio dei cuori infranti non è una commedia sentimentale da fazzoletti in mano. A volte può far
commuovere, ma è un sorriso stupito e affettuoso quello che prevale in viso. Affetto per personaggi che entrano
subito nel cuore. Tratto da due dei racconti di Les Chroniques de l'Asphalte, libro del 2005 dello stesso Benchetrit,
Il condominio dei cuori infranti ci porta in una periferia francese annoiata e quasi addormentata, in un
condominio semi abbandonato di un quartiere popolare. Vediamo la banlieue come non siamo abituati a
vederla: all'estremità della città, un inatteso senso di solidarietà raccoglie chi cade. Non sono violenza e rabbia le
protagoniste ma solitudine e, soprattutto, amore. "Ho vissuto la mia giovinezza in un quartiere popolare e posso
affermare di non avere mai conosciuto un senso di solidarietà così forte come in periferia", ha detto il regista, che
ha anche curato la sceneggiatura. "Quando si parla di periferie vengono in bocca sempre le stesse parole:
punizione, religione, scontro... E non si parla mai di amore. Eppure mi sembra evidente che la mancanza di
amore sia la causa di numerosi mali che oggi affliggono quei quartieri".
Sei sono gli antieroi protagonisti e ognuno merita attenzione. Stemkowitz (interpretato da Gustave Kervern) è un
uomo smarrito e impacciato, arido e romantico al contempo, col cuore in attesa di disgelo. Sulla sua sedia a
rotelle si imbatte in un'infermiera (Valeria Bruni Tedeschi) che fa il turno di notte, di cui è percebile un malessere
sottile. Charly è un adolescente abbandonato a sé stesso, con una madre assente (è interpretato da Jules
Benchetrit, mag netico figlio del regista, la cui vita privata ha dei rimandi con quella del suo personaggio: sua
madre è Marie Trintignant, morta nel 2003 dopo le percosse del fidanzato Bertrand Cantat, cantante dei Noir
Désir). Nell'appartamento accanto si trasferisce Jeanne Meyer (Isabelle Huppert), attrice degli anni '80 in crisi
depressiva. La sig nora Hamida (Tassadit Mandi) ha il figlio in prigione; John McKenzie (Michael Pitt) è un
cosmonauta americano che vola nello spazio. I sei sono uniti da tre storie di caduta: c'è chi cade dal cielo, chi da
una sedia a rotelle, chi dal proprio piedistallo. Inaspettatamente arrivano altrettanti aiuti per rialzarsi. (...) Dietro
l'apparente casuale collage di scene e storie si nasconde un'attenta cura stilistica, in ogni dettaglio. Il formato
scelto è particolare, è un 1:1.33, voluto dal regista perché il film è girato in ambienti piccoli e non si sarebbe
potuto usare il Cinemascope in spazi così ristretti. È difficile datare l'epoca dei fatti, permeati da una ricercata e
voluta patina anni '80: vediamo un vecchio televisore Grundig, il poster di Die Hard o un walkman giallo, ma
anche dvd di film attuali. "Questo miscuglio è una mia precisa volontà", ha detto Benchetrit. "Quando oggi mi
capita di tornare nel quartiere popolare dove sono cresciuto negli anni '80 non mi sento spaesato, perché la
periferia è stata profondamente segnata da quel decennio".
Ci sono poche battute nel film, prevalgono i piani sequenza e i silenzi. La musica, curata da Raphaël, è discreta e
non onnipresente. Il condominio dei cuori infranti è anche l'occasione per rispolverare il film del 1977 La
merlettaia di Claude Goretta, con una giovanissima Isabelle Huppert, ribattezzato nella finzione La donna senza
braccia. La soap opera Beautiful è invece un simpatico mezzo di comunicazione tra la sig nora Hamida e il suo
ospite. (...) Il condominio dei cuori infranti colpisce per la modernità del tono e per la sua energia libera e
raffinata. È una raccolta di storie indipendenti, che però compongono un'unità solida e meravigliosa. Trasudano
ironia, divertono, emozionano. Il racconto è scandito da momenti surreali, quasi incongrui, favole metaforiche,
che però pulsano di stupefacente realismo. Da qualsiasi angolazione lo si guardi, Il condominio dei cuori infranti è
una sorpresa. Davvero bella.
Go ffredo Fofi. Internazionale
Asphalte, ovvero in Italia, più platealmente, Il condominio dei cuori infranti , è un film di Samuel Benchetrit, 40
anni, di origini ebreo-marocchine, attivo (troppo!) come attore autore regista in cinema e in teatro e come
estensore di una sorta di autobiografia in più tomi che si chiama, appunto, Cronache dell’asfalto. (...) Si pensa,
con la prima scena (una riunione di condominio, in zona periferica e squallida di una qualche città o banlieue), a
un imitatore di Ballard o Cheever, e subito dopo a un seguace del Tati comico-critico di una triste modernità (da
Mio zio a Playtime). E sicuramente Benchetrit ha preso qualcosa dalle sue gag a freddo, dalla sua distanza e dai
suoi silenzi, ma puntando ad altro. Questo “altro” è un messaggio umanistico di stampo truffautiano, retto con
un acume intellettuale del tutto assente dalla tradizione nostrana, più convenzionale e più sentimentale, che è
poi quella dello zavattinismo. Ed è proprio questo a impressionare. (...) Qui la diversità tra i due personaggi si fa
davvero estrema, a evidenziare che non si cerca il realismo e il plausibile, ma un’invenzione che, nella bizzarria
dei confronti, consenta un discorso di tolleranza. (...) Basta poco per non sentirsi soli, dice Benchetrit, ma quello
che in una commedia italiana mainstream suonerebbe insopportabile per il sovraccarico di smorfie e battutine e
ricattucci, qui invece funziona, per il semplice motivo che si fa stile. Benchetrit cerca e trova un suo linguaggio
andando oltre il banale. I silenzi sono importanti quanto i discorsi, l’ambientazione quanto le psicologie, le
trovate quanto il messaggio. Si tratta sempre, diciamo così, di una piccola o piccolissima borghesia che cerca di
nobilitarsi, di “darsi una ragione”, ma a partire da una sofferenza reale, non dalla recita della sofferenza.
Fab io Ferzetti. Il Messaggero
Tre appartamenti in un palazzone cadente. Tre incontri stravaganti fino alla meraviglia. Tre amori castissimi e
quasi magici, nel senso di quel “realismo magico” che fece grande il cinema francese anni 40. (...) È
l’inclassificabile, imprevedibile, imperdibile Asphalte, da noi Il condominio dei cuori infranti. (...) Benchetrit, figlio
di ebrei marocchini, in banlieue ci è nato. E anche se oggi si è «imborghesito», cercava uno sguardo diverso su
quei luoghi. «Alla parola “periferia” - dice Benchetrit - seguono sempre quelle di violenza, scontro, castigo.
Nessuno parla mai d’amore, ma proprio dalla mancanza d’amore nascono molti di questi mali». È vero, prosegue
il regista, che «dagli anni 80-90, con l’arrivo massiccio della droga, tutto è cambiato. Prima c’erano mille attività
culturali, educatori, botteghe, una solidarietà mai vista, fototeche e cineclub. Poi più nulla, solo tossici e
spacciatori».
Il resto lo sappiamo, ma non si tratta solo di cultura o di religione. «Nel ’98 la Francia vinse i mondiali di calcio e
nelle periferie esplose l’orgoglio nazionale: 18 giocatori su 22 venivano dalle banlieue. Ma questo cosa cambiò?
Niente. Nel 2002 lo stato tagliò il budget dello Sport del 30%, nel 2006 del 60%».
E allora riprendiamoci almeno l’immaginazione. Anche per questo oggi i narratori rifiutano la retorica della
disperazione e riscoprono la fiaba, il meraviglioso. In fondo anche Le mille e una notte del portoghese Miguel
Gomes, racconta in questa chiave la crisi. Ma Benchetrit tocca corde più intime, e rischiose, con suprema
eleganza. Basti dire che il ragazzo che trova nella Huppert anche una specie di “madre vicaria” è suo figlio Louis
(«Ho resistito a lungo all’idea, poi mi sono arreso: nessuno faceva quel personaggio meglio di lui»). E la vera
madre di Louis era Marie Trintignant, l’attrice uccisa dal suo compagno di allora nel 2003. Raramente un film ha
captato con più grazia l’indicibile. E con più coraggio.
Mauriz io Porro. Corr iere della Sera
(...) Non lasciatevi sviare dall’ottocentesco titolo italiano Il condominio dei cuori infranti. Asphalte è un racconto
cinico, prensile, ruvido, surreale e pure reale, la cronaca di una piccola fauna di varia umanità che vive in
condominio della periferia parigina. L’attrice, il giovinetto, l’infermiera, il disabile con ripicca e perfino un
astronauta yankee (interpretato da Michael Pitt) che casca nella casa di una donna araba. Concatenando i generi
e i rimandi, l’autore riesce in un’opera personale dove tutto passa per i codici di cinema ma con sentimenti
autentici, spesso non corrisposti. Del resto asfalto è qualcosa di duro, comune e anonimo e così si chiama
l’autobiografia del regista Benchetrit.
Silvana Silvestri. Il Manifesto
(...) Una salutare evasione dalla commedia italiana e dalla cronaca, un film di emozioni distillate, potente
antidoto al clima di terrore. Quali misteri può racchiudere un condominio anonimo? Parecchi, assicura il regista e
autore dei racconti su cui è sviluppata la sceneggiatura (1er étage face ascenseur e 12eme étage face ascenseur,
pubblicati in Italia da Neri Pozza raccolti in Cronache dell’asfalto). Il nonsense degli avvenimenti o meglio il senso
dell’assurdo che caratterizza le situazioni lo collocano in una sfera di umorismo nordico che bene si addice al cielo
plumbeo dell’Alsazia, dove il film è stato girato. Chi ama Kaurismaki si troverà a suo agio, anche se lo sguardo è
meno metafisico. (...) Nel condominio, a dispetto del richiamo alla solidarietà, ognuno è solo, una solitudine che
ciascuno si trova a superare in modo tra il disperato, la casualità e la situazione paradossale, con diversi gradi di
umorismo mescolato a piccole dosi di sentimento.
Federico Pontiggia. Il Fatto Quotidiano
(...) II condominio dei cuori infranti (titolo originale Asphalte) è quel film che nasce piccolo, cresce piccolo, ma
infine si ritrova grande sullo schermo: non per aderenza alla realtà, perché il registro è volutamente surreale, ma
per aspirazione alla verità, la verità dei rapporti umani. Non ci sono pletoriche volontà sociologiche e mancano
affondi di critica sociale, perché alla denuncia e l'impegno civile Benchetrit, anche misurato sceneggiatore,
preferisce l'apologo umanista, pur mantenendo i piedi ben piantati a terra (...). Dalla sua raccolta di racconti
Cronache dall'asfalto (Neri Pozza), dunque, lo spirito della periferia è condensato in un palazzone, un ascensore
guasto e sei personaggi in cerca dell'autore principe, la vita, e nella vita la famosa seconda possibilità. Lo
sappiamo, il condominio è luogo cinematografico per eccellenza, congeniale - nel suo essere montaggio di
appartamenti-inquadrature - alla grammatica stilistica e alla sintassi poetica: un simile palazzone potrebbe ben
ospitare l'apocalittica selezione della specie di Delicatessen (regia di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, 1991)
oppure far da quinta al riscatto-parkour di Banlieue 13 (Pierre Morel, 2004), al contrario, Asphalte rifiuta le
geolocalizzazioni e la spiccia adesione al genere per farsi paradigma della 'grande capacità di recupero degli
abitanti delle periferie'. (...) Sei solitudini, tre incontri, una promessa di felicità: il grande cinema non ha bisog no
di molti ingredienti, ma della ricetta giusta, e Benchetrit, scrittore, attore, regista e drammaturgo, ce l'ha. La
quadratura - le immagini sono quasi quadrate - del cerchio sta nella suggestione, nell'evocazione, ovvero nella
ritrosia: questo condominio non alberga stolide certezze, non alloggia 'happy ending' a equo canone, si limita a
suggerire la speranza. E lo fa con una sorta di realismo magico inclusivo e universale, memore della lezione
zavattiniana, non estraneo alle geometrie esistenziali di Aki Kaurismäki: anche i cuori infranti, quelli dei perdenti
e degli ultimi, battono. Aiutano attori come questi: empatici, perfetti - dalla chirurgica Huppert all'indovinato Pitt,
passando per la bella scoperta Jules Benchetrit - nella loro esibita inadeguatezza, nella loro irredimibile umanità.
Da vedere.
Federico Boni. Cineblog.it
(...) Asphalte è il suo quinto titolo, così malinconico e grottesco da ammaliare, perché delicato nel mostrarci le
sfaccettature di un mondo fatto di solitudine, qui rinchiuso all'interno di un palazzo nella sudicia periferia di
Parigi. Tutto ruota attorno a questo anonimo e triste condominio che svetta in un complesso di casa popolari.
Non si vede Torre Eiffel, sullo sfondo, bensì grigi palazzoni e strade sporche. All'interno di questo stabile c'è un
ascensore guasto da cambiare e un unico condomino, abitando al primo piano, che si oppone alla sua costosa
sostituzione. Fino a quando il destino, ovviamente, andrà a bussare alla sua porta. Tre incontri e sei personaggi
principali, quelli ideati da Benchetrit, che gioca con relazioni apparentemente impossibili. Opposti che si
scontrano tra silenzi, imbarazzo e quotidianeità, mentre da lontano un inquietante 'sibilo alieno' interrompe
discussioni e approcci. (...) Un film sulla solidarietà e sull'abbandono, un film sugli sguardi e sui lunghi silenzi, un
film sulla banlieue parigina, qui mostrata come mai l'avevamo vista. Perché per una volta non è la violenza, nè la
delinquenza, a rappresentarla, bensì la sua umanità. I sei personaggi scritti da Benchetrit sono apparentemente
antipodi, solitari e bisognosi di aiuto, perché chiamati a rialzarsi dopo una rovinosa caduta. (...) Ironico e
pungente, surreale e commovente, Il condominio dei cuori infranti procede lento nella sua costruzione, fatta di
piani-sequenza e silenz i, senza però mai suscitare noia o disinteresse. Tutt'altro. Merito di una sceneggiatura
amaramente divertente, centrata su personaggi tanto assurdi quanto 'autentici', nelle loro debolezze e plateali
mancanze. Legami invisibili che prendono forma tra un vhs in bianco e nero da vedere e riscoprire, un piatto di
couscous da cucinare e poi mangiare e una foto da elaborare e poi scattare. Con la consapevolezza che anche un
cuore infranto, se aiutato a dovere, è in grado di ricomporsi. Ricominciando a battere.