Lingua e diritto. Livelli di analisi - LED
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Lingua e diritto. Livelli di analisi - LED
ESEDRA COLLANA DI LETTURE LINGUA E DIRITTO LIVELLI DI ANALISI A cura di Jacqueline Visconti Testi di Gianmaria Ajani Pascale Berteloot Pierluigi Chiassoni Amedeo Giovanni Conte Paolo Di Lucia Elena Ioriatti Ferrari Silvia Ferreri Bice Mortara Garavelli Mario Garavelli Riccardo Guastini Iørn Korzen Giuseppe Lorini Giovanni Rovere Rodolfo Sacco Marcello Soffritti Daniela Tiscornia Visconti-442-9-fronte.indd 1 12-05-2010 13:30:45 Lingua e diritto livelli di analisi Introduzione di Jacqueline Visconti What say you? Are you guilty or not? Speak the truth. I will speak the truth. I have seen sights and been scared. I have been very wicked. I hope I shall be better, if God will help me. (The Salem Witchcraft Papers, 405 1) In the earliest stages of which vestiges have been left to us, legal acts are magical acts. This is a fact of great importance for comprehending our legal language. In its origin it is the language of magic. (K. Olivecrona, Legal language and reality, 1962, 176 2) Per Luigi Lombardi Vallauri: «Jeder gute Jurist ist immer ein misslungenes Was Anderes», ogni buon giurista è sempre un mancato qualcos’altro; anzi: «forse solo chi non è nato giurista può essere un buon giurista» 3. Se si lascia ai giuristi la curiosità di verificare quanto questa affermazione sia fondata, è però vero che le idee più affascinanti nascono 1 In K.L. Doty - R. Hiltunen, Formulaic discourse and speech acts in the witchcraft trial records of Salem, 1692, Journal of Pragmatics 41, 3 (2009), 466. 2 In R.A. Newman, Essays in Jurisprudence in honor of Roscoe Pound, Indianapolis - New York, Bobbs - Merrill, 1962, 151-191. 3 Il Bigiavi. Taccuino multilingue della Società Italiana di Diritto e Letteratura 2 (2008), a cura di E. Pattaro, 12-13. 7 Jacqueline Visconti spesso alle frontiere tra discipline, in quei territori inesplorati in cui vengono meno le certezze del ‘core’, in cui si confrontano – talora provocando crisi – paradigmi e concezioni di provenienza diversa. Proprio a queste esplorazioni è dedicato il presente volume, in cui filosofi, giuristi e linguisti affrontano temi vicini da ottiche diverse e complementari, mettendo in luce aspetti diversi nello studio dei rapporti tra lingua e diritto. Tra i diversi, affascinanti, risvolti di tale questione 4, questa raccolta ne privilegia uno: la riflessione sul rapporto tra il significato «letterale» dei testi giuridici e la loro interpretazione. In particolare, i sedici saggi raccolti mettono in luce aspetti diversi del modo in cui i livelli linguistici – lessicale, morfo-sintattico, semantico, testuale – contribuiscano alla definizione del significato letterale del testo e di come le informazioni contestuali (di origine co-testuale, situazionale o enciclopedica) interagiscano nell’arricchire tale significato. Il rapporto tra questi due livelli di significato, detti, nella tradizione di linguistica testuale che adotto, significato «linguistico» e significato «comunicativo», è precisato da Ferrari (2008, 22) 5: Il significato linguistico può essere definito come il significato iscritto nella struttura linguistica della ‘frase’, vale a dire quel significato dato dalla combinazione dei significati delle forme lessicali secondo le indicazioni offerte dalla sintassi e dalla punteggiatura. Quanto al significato comunicativo, esso è invece quel significato che nasce inferenzialmente dalla combinazione del significato linguistico con le informazioni contestuali che la situazione d’enunciazione presenta come pertinenti; le quali informazioni […] possono avere un’origine situazionale (legata alla concreta situazione fisica in cui avviene l’atto comunicativo), cotestuale (relativa all’intorno linguistico della ‘frase’) o enciclopedica (legata a proprie esperienze cognitive, affettive ecc.). Si veda, ad esempio, l’introduzione di P. Di Lucia alla silloge di U. Scarpel li - P. Di Lucia, Il linguaggio del diritto, Milano, LED, 1994; P. Fiorelli, Intorno alle parole del diritto, Milano, Giuffrè, 2008; B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia, Torino, Einaudi, 2001; F. Sabatini, Analisi del linguaggio giuridico, in M. D’Antonio (a cura di), Corso di studi superiori legislativi 1988-1989, Padova, Cedam, 675-724; R. Sacco, Langue et droit, in Les multiples langues du droit européen uniforme, éd. par Id. et L. Castellani, Torino, L’Harmattan, 1999, 163185; tr. it. Lingua e diritto, Ars Interpretandi 5 (2000), 117-134. 5 A. Ferrari, L’interfaccia lingua e testo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008. 4 8 Lingua e diritto. Livelli di analisi Il significato linguistico può essere considerato come un insieme di istruzioni date dal locutore affinché l’interprete elabori le inferenze necessarie alla costruzione del significato comunicativo. Come nota Conte (1999 [1988], 84): «Le sequenze testuali guidano [steuern] la costruzione della coerenza testuale» 6. Il significato comunicativo è così «un’ipotesi interpretativa dell’interlocutore» (Ferrari 2008, 23) che i diversi livelli linguistici, o «moduli», contribuiscono in vario modo a delineare. Molta della riflessione sia giuridica sia linguistica verte, a mio avviso, sulla modulazione del passaggio dal primo tipo di significato al secondo; si pensi, ad esempio, alle considerazioni già in Bobbio (1950, 359) sul passaggio dall’interpretazione dei verba all’interpretazione della mens legis 7; o alla dibattuta (quanto insoluta) questione della distinzione tra semantica e pragmatica (per alcuni: semantica = si gnificato codificato dalla lingua; pragmatica = significato elaborato inferenzialmente per interazione tra il significato linguistico e i dati contestuali pertinenti) 8. Il contributo che gli studi raccolti in questo volume apportano a tale questione si distribuisce a diversi livelli. 1.1. – Un primo gruppo di contributi riflette sulla natura stessa del l’interpretazione giuridica. Le questioni trattate comprendono: il ruolo dell’enciclopedia; i tipi di processi inferenziali che portano al significato comunicativo; il rapporto tra il piano sintattico-semantico e il piano pragmatico nel risolvere l’ambiguità di una disposizione; la tensione tra la funzione creativa dell’attività giurisprudenziale e l’importanza del livello della decodifica dei «mezzi di prova». In particolare, addentrandoci nei singoli capitoli: 6 M.-E. Conte, Condizioni di coerenza, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999. Si veda anche ivi, 84-95. 7 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile (1950), 342-367. 8 Per una sintesi delle diverse posizioni si veda M.B. Mosegaard Hansen K. Turner (eds.), Explorations in the semantics-pragmatics interface, Acta Lin guistica Hafniensia 38 (2006), 7-13. 9 Jacqueline Visconti In Introduzione alla teoria dell’interpretazione Riccardo Guastini elabora i tratti fondamentali di una teoria generale dell’interpretazione dei testi normativi a partire dall’ambiguità del vocabolo ‘interpretazione’ in contesti giuridici. Le distinzioni principali sono tre. La prima concerne l’opposizione tra interpretazione in abstracto e interpretazione in concreto. L’interpretazione in abstracto (o textoriented) consiste nell’identificare il contenuto di senso, cioè il contenuto normativo espresso da, e/o logicamente implicito in, un testo normativo (una fonte del diritto) senza riferimento ad alcuna fattispecie concreta; l’interpretazione in concreto (o fact-oriented) consiste invece nel sussumere una fattispecie concreta nel campo di applicazione di una norma previamente identificata in abstracto. Se l’interpretazione in abstracto è assimilabile alla traduzione (intralinguistica), perché consiste nel riformulare (rewording) il testo interpretato, l’interpretazione in concreto concerne invece la decisione intorno alla estensione di un concetto. La seconda distinzione è tra interpretazione cognitiva, decisoria, e creativa: (i) l’interpretazione cognitiva, o interpretazione-accertamento, consiste nell’identificare i diversi possibili significati di un testo normativo (sulla base delle regole della lingua, delle diverse tecniche interpretative in uso, del le tesi dogmatiche diffuse in dottrina, ecc.) senza sceglierne alcuno; (ii) l’interpretazione decisoria consiste nello scegliere un significato determinato nell’ambito dei significati identificati (o identificabili) per mezzo dell’interpretazione cognitiva, scartando i rimanenti; (iii) l’interpretazione creativa consiste nell’attribuire ad un testo un significato «nuovo», non compreso tra quelli identificabili in sede di interpretazione cognitiva. La terza distinzione è tra interpretazione in senso stretto e «costruzione giuridica», cioè la costruzione di norme «inespresse», non formulate da alcuna autorità normativa ma elaborate dagli interpreti per mezzo di vari procedimenti argomentativi pseudo-logici. La prima distinzione è connessa alla duplice indeterminatezza del diritto: molteplicità di significati degli enunciati normativi e, rispettivamente, vaghezza di ciascun significato. La seconda pretende di risolvere l’annosa questione dottrinale se l’interpretazione sia atto di conoscenza o atto di volontà. La terza vuole mettere in luce che non tutte le operazioni compiute dai giuristi sui testi normativi sono riconducibili all’interpretazione strettamente intesa. 10 1. AZIONE, PENSIERO, PAROLA NELlA CREAZIONE DEL DIRITTO di Rodolfo Sacco 1.1. – Cosa raccontano le facoltà di giurisprudenza quando trattano il tema della creazione del diritto – detto altrimenti, il tema delle fonti del diritto? Non c’è dubbio che il posto centrale viene assegnato alla legge. Si menzionerà, accanto alla legge e contrapposta ad essa, la consuetudine. Ma il discorso sulla legge, sul modo della sua produzione, sulla sua interpretazione, sarà lungo, articolato, approfondito, e sarà ripreso (con sviluppi anche più impegnativi) nel corso di diritto costituzionale. Il discorso sulla consuetudine sarà embrionale; spesso si lascerà intendere che la consuetudine è operante e legittima solo là dove sia presente un rinvio della legge. Il civilista, in specie, sarà più o meno disponibile a menzionare la consuetudine fra le fonti, ma tratterà poi questa definizione come una nozione libresca priva di sviluppi reali, e non giustificherà mai con la consuetudine la soluzione che intende dare ad un problema (salva sempre l’ipotesi, infrequente, dell’uso richiamato dal diritto scritto). Il giurista, d’altronde, obbedisce a certe convenzioni, e fra queste la più vincolante impone (da due secoli a questa parte) di iniziare il discorso giuridico partendo dalla costituzione. E la costituzione, fonte somma tra le regole scritte autoritative, ama regolare (e deve regolare) la produzione delle leggi, delle ordinanze e dei referendum, cioè del le altre fonti scritte autoritative, e invece ignora il diritto spontaneo, consuetudinario, il quale, proprio perché spontaneo, non ha bisogno di nessuna giustificazione e legittimazione proveniente dalla costituzione o da un’altra fonte scritta. 21 Rodolfo Sacco La legge è, in modo evidente, una dichiarazione. Essa esprime un imperativo (metaforicamente: una volontà) e promana da un’autorità – e cioè: dallo Stato, o dagli organi cui lo Stato affida il compito di creare norme (regioni, comuni, autorità indipendenti, ecc.); e dalle organizzazioni sovrastatuali cui lo Stato ha deferito il corrispondente potere. La brevità della trattazione della consuetudine va di pari con lo scarso apprezzamento per questa fonte non scritta, accusata di venir elaborata in modo troppo lento, e di essere perciò fatalmente arretrata 1. 1.2. – La realtà è diversa dalle declamazioni. Nella realtà attuale, il bi lancio non può dirsi così negativo per le fonti non scritte. La consuetudine è tuttora fonte primaria del diritto internazionale. Nell’area del common law, la legge autoritativa esiste e fiorisce, ma non è considerata la base dell’ordinamento. Il sistema non può dirsi fondato sulla consuetudine, ma è aperto a tanti apporti. In Cina, In Giappone, in India il diritto tradizionale spontaneo convive con il diritto scritto a modello europeo inglese o americano; l’ambito in cui operano l’uno e l’altro non è ben definito nella vita rea le, e meno ancora è ricostruito dagli studiosi 2. In tutta l’Africa è ben evidente che il diritto tradizionale, spontaneo, riesce a circoscrivere l’ambito di applicazione del diritto scritto autoritativo, di marca europea o sciaraitica 3. In America latina, non sappiamo in quale misura i conflitti giuridici vengano risolti dagli organi giurisdizionali statuali, e in quale misura operino invece autorità di fatto, che fanno applicazione di regole spontanee o tradizionali, cui solo ora la dottrina incomincia a prestare attenzione 4. Anche studiosi ben disposti verso la consuetudine la giudicano conservatrice: J. Gilissen, voce «Consuetudine», in Digesto IV, Disc. priv. Sez. civ., III, Torino, Utet, 1988; Id., La coutume, Recueils de la société Jean Bodin (1988), 4 voll.; A. Pizzorusso, voce «Consuetudine», in Enc. Giur., VIII, Roma, Istituto Treccani, 1988. 2 Chiarimenti (su qualche punto, innovativi) in A. Gambaro - R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, Torino, Utet, 20083. 3 Riferimenti ben documentati in R. Sacco, Il diritto africano, Torino, Utet, 1995, 112-115, 124-136 e soprattutto 190-199. 4 Si veda ad es. A. Levaggi (coord.), El aborigen y el derecho en el pasado y el presente, Buenos Aires, Univ. Museo social argentino, 1990 – e ivi si noti l’articolo di Chàvez sul servinakuy (matrimonio consuetudinario) nel Perù. 1 22 Azione, pensiero, parola nella creazione del diritto In Russia il diritto statuale autoritativo è ben analizzato e sponsorizzato dal pensiero accademico: ma noi non siamo completamente certi che nel paese di Tolstoj questo diritto culto trovato dapprima a Bisanzio, poi in Francia, e, per l’ultimo secolo, in Germania, abbia soffocato qualsiasi modo alternativo di soluzione dei conflitti. Un po’ dovunque comunità di immigrati recenti, che parlano una lingua diversa da quella ufficiale, risolvono le loro questioni giuridiche in modi non conformi alle regole scritte. Qualche studio viene ora pubblicato sul diritto degli zingari 5. Da una data recente in Australia, in Canada, e altrove, si consente a giurisdizioni tradizionali di applicare alla luce del sole un diritto spontaneo che discende da quello che era in vigore prima dell’invasione europea. E nel nostro Paese? In Italia gli usi sono previsti – in forma generale e astratta – nel l’art. 8 delle preleggi al c.c. del 1942; ivi si dispone che l’uso vincola se è richiamato dalla legge. Ma in realtà la consuetudine – entro e fuori dell’ambito dell’art. 8 – pervade, in modo conclamato o senza farsi notare – tutto il diritto privato 6. La proprietà è ben permeabile alla consuetudine. La legge, con affermazioni ogni volta più perentorie e roboanti, riserva al proprietario del suolo la proprietà dei prodotti della terra, anche nel caso in cui la terra li offra all’uomo senza il concorso del lavoro di quest’ultimo: funghi, bacche, more, e così via 7. Ma la legge non ha nulla mutato dell’ordine, spontaneamente creatosi da tempo immemorabile, che consente a chiunque la libera A. Simoni (a cura di), Stato di diritto e identità rom, Torino, l’Harmattan Italia, 2005. 6 Su questo fenomeno, poco osservato dai civilisti, R. Sacco, Il diritto non scritto, in G. Alpa - A. Guarneri - P.G. Monateri - G. Pascuzzi - R. Sacco, Le fonti non scritte e l’interpretazione, Torino, Utet, 1999. 7 Leggiamo il Code Napoléon. Art. 546: «La propriété d’une chose […] donne droit sur tout ce qu’elle produit». Art. 551: «Tout ce qui s’unit à la chose appartient au propriétaire». Art. 713: «Les biens qui n’ont pas de maître appartiennent à la nation». Leggiamo il c.c. it. (1942). Art. 812: «È bene immobile […] tutto ciò che è naturalmente […] incorporato al suolo». Art. 820: «Sono frutti naturali […] i prodotti agricoli». Art. 934: «Qualunque piantagione […] appartiene al proprietario del suolo». 5 23 Rodolfo Sacco raccolta. Sì che la legge finisce poi per riconoscere tacitamente la consuetudine, presupponendo la libera raccolta là dove adotta singole norme di dettaglio per disciplinare la raccolta delle piante medicamentose, o dei tartufi; e il regolamento locale procede con la medesima logica quando sottopone la raccolta dei funghi sul fondo altrui a chicanes amministrative di varia natura. Fuori del nostro paese (in Svizzera, in Germania, in Svezia), il di ritto scritto ha oramai legittimato anche formalmente questa prassi (qualcuno in futuro potrà pensare che la regola sia stata concepita nella riflessione che si matura nelle aule dei Parlamenti). Non sempre la consuetudine è così antica. Da qualche tempo l’uomo scia su fondo altrui, e l’autorità comunale protegge questo svago non solo regolamentando l’attività sportiva ma soprattutto indirizzando al proprietario cento divieti (di erigere costruzioni o ostacoli, ecc.). Il contratto è totalmente sposato alla regola consuetudinaria. L’art. 1374 c.c. it., rubricato «integrazione del contratto», riserva a questo negozio gli effetti che ne derivano secondo la legge e secondo gli usi. L’interprete ama proclamare che l’uso incide sull’effetto del contratto se richiamato dalla legge (si dimentica che il richiamo è operato proprio dall’art. citato), e con ciò sembra far avvizzire la grande regola dell’art. 1374. Ma poi la stessa giurisprudenza, dovendo interpretare la comune volontà dei contraenti, si basa su massime d’esperienza relative a ciò che le parti considerano essere la regola e a ciò che la comunità ha finora praticato (relative all’opinione e all’attuazione, ossia ai due elementi costitutivi della regola giuridica consuetudinaria). Ad ogni negozio possono ricollegarsi effetti previsti ex lege. Così avviene nell’area dei contratti «tipici», cioè appartenenti ad una di quelle figure che il legislatore ha definito e regolato in modo specifico (come avviene per la vendita, il mutuo, l’appalto, ecc.). Ma la prassi crea sempre più numerosi modelli atipici, i cui effetti corrispondono a ciò che le parti dicono e, nel silenzio del testo, a regole via via elaborate dai giudici; e i giudici decidono non già a capriccio, ma in base alle attese delle parti, modellate sulla prassi e sulle valutazioni del l’operatore medio – e cioè, ancora una volta, sulla consuetudine. Se la giustizia e l’economia lo richiedono, il giudice elabora tipi contrattuali nuovi, per sottrarre il singolo contratto alle regole che la legge 24 Azione, pensiero, parola nella creazione del diritto ha enunziato per un dato tipo legale. Ad es., per sottrarre il mercato borsistico alle regole legali sul mandato, e dare spazio agli usi di borsa, egli inventa il contratto, atipico, dell’«ordine di borsa» 8. Il segreto bancario – cardine del rapporto fra la banca e il cliente – opera senza l’appoggio della legge, e deroga ad ogni legge contrastante. Maldestri tentativi vengono talora condotti per regalare origini legali all’istituto. La pratica conosce bene la società di fatto, antichissima, ignota alla legge scritta. La legge italiana (art. 1350 c.c.) impone la forma scritta per ogni alienazione immobiliare. Ma non ha potuto eliminare la pratica del conferimento di fondi agricoli (collatio agrorum rusticorum), con cui alcuni proprietarii di fondi, volendo costruire una strada, conferiscono le aree necessarie, che così facendo diventano comuni 9. 1.3. – Fin qui, si è visto che il civilista è restio a riconoscere uno spazio al diritto spontaneo. Ma il costituzionalista non nega che gli organi supremi dello Stato, in date circostanze, per procedere secondo il diritto debbono allontanarsi dalla regola scritta. I nomi dati a questa figura sono principio di effettività 10, norma non scritta che giustifica la regola fattuale 11; l’atto dell’organo si chiama procedimento extra ordinem. Su un piano anche più generale, la dottrina non manca di aggiungere alla dottrina delle fonti del diritto ogni opportuno discorso sul l’interpretazione, sulla realtà sociale, sullo spirito del diritto, e queste riflessioni conducono poi a contrapporre alla nuda lettera della legge un diritto «vivente», un diritto in action, un diritto «spontaneo», una natura delle cose, un diritto contrassegnato dalla effettività, una visione realistica del diritto. Con queste elaborazioni si entra nell’area di un diritto applicato, diverso dal diritto scritto, conformatosi in modo spontaneo, consuetudinario. Cass. 23 dicembre 1977, n. 5724, Banca, borsa e tit. cred. 2 (1978), 129. La giurisprudenza, costantissima, è abbondante. Da ultimo Cass. 29 ottobre 1983, n. 6442; Cass. 26 novembre 1997, n. 11842. 10 Pizzorusso, voce cit., 1.1 e 5.4. 11 G. Zagrebelsky, Sulla consuetudine costituzionale nella teoria delle fonti del diritto, Torino, Einaudi, 1970, 134. 8 9 25 2. IL CONCETTO DI VALENZA NELlA FILOSOFIA DELl’ATTO GIURIDICO di Paolo Di Lucia Nell’ambito del sociale, v’è un fenomeno che è del tutto assente nell’ambito della natura: la nullità [Nichtigkeit]. Infatti, un’azione umana può presentarsi con la soggettiva pretesa di validità […] senza essere tale oggettivamente. […] Nell’ambito della natura non vi sono atti nulli. (Hans Kelsen) 2.0. Due paradigmi per una filosofia dell’atto giuridico Nel presente studio elaboro due paradigmi per una filosofia dell’atto giuridico: (i) atto parlato vs. atto muto (§ 2.1.); (ii) atto bivalente vs. atto trivalente (§ 2.2.). 2.1. Primo paradigma: atto parlato vs. atto muto 2.1.0. È merito di Rodolfo Sacco aver denunciato il privilegiamento dell’atto linguistico verbale (e l’oscuramento dell’atto semplice) nella teoria dell’atto giuridico. Egli lo ha fatto, in particolare, nel contesto di una teoria dell’atto «autonomo». «Autonomo» 1, nel lessico dei giuristi, è l’atto con il qua 1 Una storia del concetto di atto autonomo non è stata ancora scritta. Come osserva lo stesso Rodolfo Sacco (Autonomia nel diritto privato, 1987), quali siano 43 Paolo Di Lucia le il soggetto pone esso stesso (autós) regole (nómoi) immediatamente, senza la mediazione e l’intervento d’una legge. Scrive Sacco in proposito: […] il giurista (legislatore e studioso) incontra, senza veramente analizzarle, tante figure di esercizio dell’autonomia, che si estrinsecano non già nel dichiarare e consentire, ma nell’esercitare il diritto che si vuole creare, nello svolgere quella prestazione che è oggetto dello scambio, nel far cessare di fatto un carico che gravava giuridicamente sul vicino e di cui si vuole che egli sia finalmente libero. Ecco l’individuo che raccoglie una bacca e ne diventa proprietario. Ecco quel raccoglitore che consegna un frutto ad altri, e gli trasferisce una proprietà. 2 Ma è anche merito di Rodolfo Sacco aver introdotto nella teoria dell’at to giuridico il paradigma inedito: atto parlato (parlante) vs. atto muto 3. I due esempi di «atti muti» (di autonomia) più familiari al giurista sono i seguenti: (i) la presa di possesso (occupazione); (ii) l’abbandono (derelizione). L’elenco degli atti muti di Sacco è molto lungo e «i più significativi fra essi vengono da epoche arcaiche (essi non hanno bisogno del linguaggio articolato!)» 4. gli atti autonomi dipende dall’ordinamento giuridico preso in considerazione. La categoria dell’autonomia è invece una categoria transsistematica. 2 R. Sacco, Antropologia giuridica, 2007, 296. 3 Cfr. R. Sacco, Il diritto muto, 1993, 695. Sul differente significato dell’agget tivo «muto» nei sintagmi «atto muto» e «diritto muto» cfr. A.G. Conte, Erlebnisrecht. Diritto vissuto nell’antropologia filosofica di Rodolfo Sacco, 2008. Il sintagma «atto muto» appare, credo, per la prima volta, nell’opera di Giambattista Vico (1668-1744), La scienza nuova, nella forma plurale e in un significato differente da quello introdotto da Sacco. In particolare Vico parla della lingua degli atti muti: «Tre spezie di lingue. Delle quali la prima fu una lingua divina mentale per atti muti religiosi, o sieno divine cerimonie; onde restaron in ragion civile a’ romani gli ‘atti legitimi’, co’ quali celebravano tutte le faccende delle loro civili utilità. Qual lingua si conviene alle religioni per tal proprietà: che più importa loro esser riverite che ragionate; e fu necessaria ne’ primi tempi, che gli uomini gentili non sapevano ancor articolare la favella. La seconda fu per imprese eroiche, con le quali parlano l’armi; la qual favella, come abbian sopra detto, restò alla militar disciplina. La terza è per parlari, che per tutte le nazioni oggi s’usano, articolati». 4 Cfr. R. Sacco, Il diritto africano, 1995. 44 Il concetto di valenza nella filosofia dell’atto giuridico Ecco quattordici esempi di atti «muti» (non dichiarativi), vivissimi nel diritto delle società più avanzate, riportati da Sacco: […] l’occupazione, il possesso, l’abbandono della cosa, la consegna, l’accettazione tacita di eredità, la sanatoria di un negozio invalido mediante esecuzione, l’accettazione tacita di un mandato e l’accettazione di un’ordinazione mediante l’invio della merce, la distribuzione di prodotti o di titoli di legittimazione mediante apparecchi automatici, la società di fatto, il rapporto di lavoro di fatto, il rapporto maritale-uxorio di fatto, il rapporto parentale di fatto. 5 Ma qual è il criterio di individuazione (determinazione, riconoscimento) degli atti che Rodolfo Sacco chiama «atti muti»? Per rispondere a questa domanda è necessario indagare la pragmatica dell’atto muto. 2.1.1. Pragmatica dell’atto muto 2.1.1.1. Che cosa l’atto muto non è Nel saggio Il diritto muto (1993) Rodolfo Sacco denuncia una «visuale contorta delle relazioni umane», in virtù della quale: «[…] quando si deve definire l’atto muto, esso si definisce ricorrendo all’analogia con l’atto parlato». Secondo questa visuale «contorta» l’atto muto è equiparato ad una dichiarazione tacita 6. Scrive Sacco: Si spiega che il soggetto vuole un certo effetto giuridico, che egli deve dunque manifestare la volontà corrispondente, che a questo fine può essere sufficiente l’esecuzione dell’atto in questione: e l’esecuzione funzionerà qui come una tacita dichiarazione. 7 R. Sacco, Antropologia giuridica, 2007, 183. Inesplicabilmente, l’insieme più esteso di atti muti, individuato da Sacco, non è omogeneo. Almeno cinque delle entità che Sacco chiama «atti muti» non sono atti (né muti né non-muti). In particolare non sono atti: il possesso; la società di fatto; il rapporto di lavoro di fatto; il rapporto maritale-uxorio di fatto; il rapporto parentale di fatto. «Atto muto» non equivale ad atto ‘bruto’ (G.E.M. Anscombe [1910-2001]). A sua volta, «atto muto» non equivale ad ‘evento’. 6 Sul concetto di «dichiarazione» cfr. P. Schlesinger, voce «Dichiarazione (teoria generale)», 1964. 7 R. Sacco, Il diritto muto, 1993, 700. 5 45 Paolo Di Lucia Un «visuale contorta» caratterizza, secondo Sacco, anche il modo di ricostruire l’atto autonomo muto nell’epoca più remota del diritto, l’epoca del diritto muto (diritto «senza linguaggio articolato»). L’uomo che attua in silenzio attua direttamente un rapporto. Il giurista della parola ricostruisce la sequenza in modo più complesso. Secondo le sue categorie, l’uomo silenzioso vorrebbe costituire un rapporto, saprebbe che per costituirlo occorre un negozio, ossia una dichiarazione, che l’esecuzione del rapporto equivale a dichiarazione, e a questo punto eseguirebbe […]. Quando l’uomo non parlava, la dinamica del diritto si riduceva (ce rimonie a parte) all’attuazione di rapporti (inizio, prosecuzione, cessazione dell’attuazione, sostituzione di un soggetto all’altro nell’attua zione), né c’è ragione per vedere oggi nell’atto semplice una realtà più complessa di quella che interveniva in quei tempi. 8 2.1.1.2. Che cosa l’atto muto è Nell’opera di Rodolfo Sacco, gli «atti muti» costituiscono, dunque, uno dei due termini di un’opposizione paradigmatica: atti parlati vs. atti muti. L’elaborazione del concetto di «atto muto» si articola attraverso due passaggi. Ripercorro i due passaggi dell’argomentazione di Sacco che si svolge nel contesto di una macrostoria del diritto. Primo passaggio: Sacco riconosce esplicitamente il ruolo svolto dalla «parola» quale strumento essenziale per formulare e conformare le relazioni giuridiche. Esempi: promessa, donazione, patto, società, testamento. Scrive Sacco: Le culture dell’uomo che ci è dato conoscere formulano e conformano mediante lo strumento «parola» le relazioni giuridiche che convengono agli interessati: l’impegno di dare una cosa in cambio di una cosa; il trasferimento generoso della proprietà di un bene; il patto per cui l’uno dei due non caccerà […] se non a monte, e l’altro non caccerà se non a valle; la costituzione di una società; il testamento. 9 8 9 Ibidem. R. Sacco, Antropologia giuridica, 2007, 183. 46 3. INTRODUZIONE ALlA TEORIA dell’INTERPRETAZIONE di Riccardo Guastini 3.1. Ambiguità di ‘interpretazione’ Nel linguaggio giuridico il vocabolo ‘interpretazione’ soffre di una molteplice ambiguità: è ambiguo sotto (almeno) quattro profili 1. 3.1.1. Prima ambiguità Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta ad una attività, talaltra al risultato, all’esito, o al prodotto di tale attività 2. Ad esempio, in enunciati del tipo «La tale disposizione è ambigua sicché richiede interpretazione», «Non c’è applicazione senza previa 1 Il discorso che segue è circoscritto agli usi linguistici correnti dei giuristi europei contemporanei, dove il vocabolo ‘interpretazione’ (come i suoi equivalenti in altre lingue), pure con le ambiguità di cui ora dirò, sempre riguarda l’attribuzione di significato a testi normativi. Trascuro senz’altro l’uso (molto ampio e, in verità, molto oscuro) di ‘interpretazione’ che si incontra in molta letteratura (soprattutto) americana al confine tra filosofia giuridica e filosofia politica normativa. Cfr. ad es. M. Rosenfeld, Just interpretations. Law between ethics and politics, Berkeley - Los Angeles 1998; R. Dworkin, Law’s empire, Cambridge (Mass.) 1986. Si veda anche S.M. Griffin, Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica [1996]; tr. it. Bologna 2003, cap. V. 2 Cfr. G. Tarello, Orientamenti analitico-linguistici e teoria dell’interpretazio ne giuridica, in U. Scarpelli (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, Milano 1976. 61 Riccardo Guastini interpretazione», etc., il vocabolo ‘interpretazione’ denota evidentemente un’attività (potrebbe essere sostituito con il sintagma ‘attività interpretativa’). Per contro, in enunciati del tipo «Della tale disposizione la Cassazione dà una interpretazione restrittiva», lo stesso vocabolo palesemente denota non un’attività, ma piuttosto il suo risultato (nel caso: la «restrizione» del significato di una certa disposizione). 3.1.2. Seconda ambiguità Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta all’attribuzione di significato ad un testo normativo – «T» significa «S» – talaltra alla qualificazione giuridica di una fattispecie concreta – «X costituisce omicidio» – qualificazione che dà poi fondamento alla soluzione di una specifica controversia. Sebbene questa seconda cosa presupponga logicamente la prima, e sebbene le due cose siano probabilmente indistinguibili nel processo psicologico di interpretazione (specie se compiuto da un giudice, soprattutto un giudice di merito), si tratta di due attività intellettuali logicamente distinte 3. Un conto è interrogarsi sul senso di una sequenza di parole; un altro conto è domandarsi se una particolare fattispecie concreta ricada o no nel campo di applicazione di una data norma, previamente identificata 4. Dobbiamo dunque distinguere tra: a. l’interpretazione in abstracto (o text-oriented), che consiste nel l’identificare il contenuto di senso – cioè il contenuto normativo (la norma o, più spesso, le norme) – espresso da, e/o logicamente 3 Cfr. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano 2004, cap. VI; P. Chiassoni, Tecnica dell’interpretazione giuridica, Bologna 2007, cap. II. Si veda anche M. Troper, La notion de pouvoir judiciaire au début de la Révolution française, in Présence du droit public et des droits de l’homme. Mélanges offerts à Jacques Velu, Bruxelles 1992. 4 Occorre forse chiarire che ogni norma presenta la forma logica di un condizionale (diciamo: «Se F, allora G»), in cui l’antecedente si riferisce ad una classe di fatti (cosiddetta «fattispecie astratta») e il conseguente ad una classe di conseguenze giuridiche (quali una sanzione, l’acquisizione di un diritto, la nascita di un obbligo, la validità o l’invalidità di un atto, etc.). Il «campo di applicazione» della norma altro non è che la classe dei fatti ai quali è imputabile quel tipo di conseguenza giuridica. E naturalmente tale classe non può che essere configurata mediante predicati, ossia appunto mediante termini che denotano classi. 62 Introduzione alla teoria dell’interpretazione implicito in, un testo normativo (una fonte del diritto) senza riferimento ad alcuna fattispecie concreta; b. l’interpretazione in concreto (o fact-oriented), che consiste nel sussumere una fattispecie concreta nel campo di applicazione di una norma previamente identificata in abstracto. L’interpretazione in abstracto è assimilabile alla traduzione (intra linguistica), giacché consiste nel riformulare (rewording) il testo interpretato 5. L’interpretazione in concreto altro non è, banalmente, che la decisione intorno alla estensione di un concetto (del concetto mediante il quale l’autorità normativa ha configurato una classe di fattispecie). Ancora: l’interpretazione in abstracto consiste nell’interpretare enunciati normativi completi 6. Mentre l’interpretazione in concreto consiste nell’interpretare predicati in senso logico, ossia termini che denotano classi. Nell’un caso, si identificano le norme in vigore; nel l’altro, si identificano i casi concreti che sono disciplinati da ciascuna norma. Ora, il diritto, come tra poco vedremo, è duplicemente indetermi nato. Per un verso, è indeterminato il sistema giuridico, nel senso che – a causa dell’equivocità dei testi normativi – non si sa quali norme appartengano ad esso o siano in vigore. Per un altro verso, è indeterminata ogni singola norma vigente, nel senso che – a causa della vaghezza dei predicati in ogni linguaggio naturale – non si sa quali fattispecie ricadano nel suo campo di applicazione Ebbene, l’interpretazione in abstracto riduce l’indeterminatezza del sistema giuridico in quanto tale, identificando le norme in vigore; mentre l’interpretazione in concreto riduce l’indeterminatezza delle U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano 2003, cap. X. 6 Occorre avvertire che l’«enunciato completo», fatto oggetto di interpreta zione in astratto, non necessariamente è una precisa disposizione delle fonti normative (il comma tale dell’articolo tale della legge tale): può anche essere, e frequentemente è, un frammento di disposizione, oppure il frutto della ricomposizione, da parte dell’interprete, di vari frammenti di disposizioni, talora disperse in una pluralità di documenti normativi. 5 63 Riccardo Guastini norme, identificando i casi concreti che sono disciplinati da ciascuna norma. 3.1.3. Terza ambiguità Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta ad un atto di conoscenza, talaltra ad un atto di decisione, altre volte ancora ad un atto di creazione normativa 7. Dobbiamo dunque distinguere: (i) l’interpretazione cognitiva, o interpretazione-accertamento, che consiste nell’identificare i diversi possibili significati di un testo normativo (sulla base delle regole della lingua, delle diverse tecniche interpretative in uso, delle tesi dogmatiche diffuse in dottrina, etc.) senza sceglierne alcuno; (ii) l’interpretazione decisoria, o interpretazione-decisione, che consiste nello scegliere un significato determinato nell’ambito dei significati identificati (o identificabili) per mezzo dell’interpretazione cognitiva, scartando i rimanenti; (iii)l’interpretazione creativa, o interpretazione-creazione, che consiste nell’attribuire ad un testo un significato «nuovo», non compreso tra quelli identificabili in sede di interpretazione cognitiva. Poniamo che una certa disposizione D sia ambigua, e possa dunque essere intesa come esprimente la norma N1 o la norma N2. Ebbene: a. l’interpretazione cognitiva si esprimerà mediante l’enunciato «D può significare N1 o N2»; b. l’interpretazione decisoria si esprimerà mediante l’enunciato «D significa N1», oppure mediante l’enunciato «D significa N2»; c. l’interpretazione creativa si esprimerà mediante un enunciato del tipo «D significa N3» (non sfuggirà che, in ipotesi, la norma N3 non rientra tra i significati possibili della disposizione D, quali sono stati identificati in sede di interpretazione cognitiva). L’interpretazione cognitiva è in tutto analoga alla definizione lessicale (ricognizione degli usi linguistici effettivi). L’interpretazio7 H. Kelsen, Dottrina pura del diritto [1960], Torino 1966, cap. VIII; Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi cit., cap. VI. Si veda anche O. Pfersmann, La notion moderne de constitution, in L. Favoreu (éd.), Droit constitutionnel, Paris, 20003, 113 ss. 64 Introduzione alla teoria dell’interpretazione ne decisoria è analoga alla ridefinizione (selezione di un significato determinato nell’ambito degli usi effettivi). L’interpretazione creativa è analoga alla definizione stipulativa (introduzione di un significato nuovo, inusuale) 8. L’interpretazione cognitiva è un’operazione puramente scientifica, priva di qualunque effetto pratico, mentre l’interpretazione decisoria e l’interpretazione creativa sono operazioni ‘politiche’ (in senso ampio), che possono essere compiute tanto da un giurista, quanto da un organo dell’applicazione. La sola differenza importante è che solo l’interpretazione compiuta da un organo dell’applicazione è «autentica», nel senso kelseniano, ossia provvista di conseguenze giuridiche (delle quali è invece priva l’interpretazione offerta dai giuristi) 9. Occorre tuttavia sottolineare che l’interpretazione creativa, così come è stata qui definita, è fenomeno abbastanza raro. Nella maggior parte dei casi, ciò che intuitivamente appare come una interpretazione «creativa» consiste nel ricavare dal testo delle norme inespresse (dette «implicite») con mezzi pseudo-logici, ossia mediante ragionamenti non deduttivi, e pertanto non stringenti (ad esempio, mediante l’argomento analogico). Tale operazione non è, strettamente parlando, un atto di «interpretazione»: si tratta di un vero atto di creazione normativa, il cui nome appropriato è (forse) «costruzione giuridica». Il che ci conduce alla quarta ambiguità. 3.1.4. Quarta ambiguità Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta all’attribuzione di significato ad un testo, talaltra a ciò che, in mancanza di meglio, chiameremo «costruzione giuridica» 10. L’attività di costruzione giuridica include una vasta serie di operazioni caratteristiche della dottrina (primariamente della dottrina, ma, 8 Cfr. R. Guastini, Interpretive statements, in E. Garzón Valdés et al. (eds.), Normative systems in legal and moral theory. Festschrift for Carlos E. Alchourrón and Eugenio Bulygin, Berlin 1997. 9 Kelsen, Dottrina pura del diritto cit., cap. VIII. 10 Cfr. in proposito G. Lazzaro, Storia e teoria della costruzione giuridica, Torino 1965. 65 Riccardo Guastini beninteso, anche della giurisprudenza), di cui sarebbe difficile stendere un elenco completo. Si possono menzionare, a titolo di esempio: le congetture intorno alla ratio di una norma o di un intero documento normativo; la creazione di gerarchie assiologiche tra norme; la elaborazione di norme inespresse (che si pretendono implicite,) ivi inclusa la formulazione di «principi generali»; la concretizzazione di principi espressi; il bilanciamento tra principi confliggenti; e così via enumerando. Tra queste molteplici operazioni la elaborazione di norme inespresse riveste un ruolo speciale. Nella maggior parte dei casi, ciò che abbiamo chiamato interpretazione creativa consiste precisamente in questo: nel costruire – a partire da norme «esplicite», espressamente formulate dalle autorità normative – norme «inespresse» («implicite», ma in un senso molto ampio, non logico, di questa parola): norme, insomma che nessuna autorità normativa ha mai formulato. È espressa ogni norma che possa essere imputata ad una precisa disposizione come suo significato. È inespressa ogni norma di cui non si possa dire che costituisce il significato di una determinata disposizione. Vi torneremo tra un momento. 3.2. La duplice indeterminatezza del diritto Il diritto, si diceva sopra, è duplicemente indeterminato. L’indeterminatezza del diritto concerne: per un verso, il sistema giuridico in quanto tale; per un altro verso, ciascuno dei suoi componenti, ossia ciascuna norma 11. 3.2.1. L’equivocità dei testi normativi In primo luogo, è indeterminato il sistema giuridico nel senso che – a causa dell’equivocità dei testi normativi – è dubbio quali norme appartengano ad esso. Alcuni esempi caratteristici di controversie interpretative possono chiarire il punto. (a)Talvolta, un testo normativo è ambiguo: ci si domanda se esso esprima la norma N1 o invece la norma N2. 11 Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi cit., cap. V. 66 4. ANALISI LINGUISTICA E TEORIA DELl’INTERPRETAZIONE GIURIDICA Ancora sulla sempiterna disputa tra scettici e misti(ci) di Pierluigi Chiassoni 4.0. Premessa Un noto film di Costa Gavras, Z. L’orgia del potere, si apre con la sce na di una conferenza. Il conferenziere, (presumibilmente) un professore di agronomia, ricorda all’uditorio il pericolo rappresentato, per le colture viticole, dal flagello della peronospera. In prima fila siede un generale, comandante della gendarmeria nazionale ellenica. Il generale chiede la parola. Gli preme infatti rammentare all’uditorio la presenza di un altro flagello, a suo avviso assai più pericoloso della peronospera: un flagello di natura politica, che identifica con la minaccia comunista alla (testuali parole) civiltà el leno-cristiana. Anche la teoria dell’interpretazione giuridica soffre da tempo, a mio avviso, di flagelli dai quali è opportuno sbarazzarsi. In questo lavoro, mi propongo pertanto due obiettivi. Il primo obiettivo consiste nell’identificare, in generale, alcuni dei difetti che, a mio avviso, viziano, o possono viziare, quei discorsi che siamo soliti chiamare «teorie dell’interpretazione (giuridica)». A tale fine, richiamerò l’attenzione su alcune distinzioni meta-teoriche, di cui, a mio avviso, si dovrebbe tenere conto: sia quando si elaborano «teorie dell’interpretazione»; sia quando si analizzano «teorie dell’in terpretazione altrui»; sia, infine, quando si formulano argomenti per difendere o confutare «teorie dell’interpretazione». Il secondo obiettivo è sperimentale: consiste nell’utilizzare un tale apparato di nozioni e distinzioni meta-teoriche per analizzare una 75 Pierluigi Chiassoni particolare teoria dell’interpretazione giuridica: la teoria analitica di Eugenio Bulygin. Poiché si tratta di una teoria mista (nel senso che preciserò tra breve), che appare sotto più aspetti difettosa, questo mio contributo può anche essere inteso, come suggerisce il titolo, come un’ulteriore pagina nell’annosa disputa tra scettici e misti(ci). La teoria di Bulygin costituisce, in particolare, un esempio paradigmatico di quasi-cognitivismo semantico, e si contrappone, in quanto tale, a ciò che potrebbe chiamarsi non-cognitivismo pragmatico. 4.1. Alcuni strumenti meta-teorici «I giuristi ancora cercano una teoria dell’interpretazione». Per mimesi kantiana, verrebbe da dire così osservando il fiume d’inchiostro super interpretationem che percorre il pensiero giuridico contemporaneo. Tra i fattori che si possono menzionare per spiegare la persistenza del «problema dell’interpretazione» nella cultura giuridica vi è, indubbiamente, il costante modificarsi della condizione umana: l’incessante mutare delle esigenze materiali, delle strutture concettuali, dei valori e delle ideologie. Di modo che il complesso fenomeno culturale dell’interpretazione giuridica appare uno schermo opaco, sul quale viene proiettata una pluralità di immagini diverse, talvolta scarsamente somiglianti, secondo i tempi e le prospettive di volta in volta adottate. Questa prima spiegazione vale peraltro, com’è ovvio, per qualsiasi fenomeno culturale. Vi sono tuttavia alcuni fattori esplicativi che attengono in modo più specifico all’interpretazione giuridica. Tra questi, un ruolo primario va ascritto a due confusioni d’ordine concettuale – a due omissioni in distinguendo –, che riflettono un deficit di consapevolezza metodologica nei cultori dell’interpretazione giuridica. La prima confusione consiste nel non distinguere – o non distinguere con la necessaria accuratezza – tra discorsi in funzione descrittiva (descrizione, esplicazione, teoria) e discorsi in funzione prescrittiva (prescrizione, dottrina, ideologia): tra discorsi sull’interpretazione giuridica quale essa, di fatto, è in una o più esperienze giuridiche de 76 Analisi linguistica e teoria dell’interpretazione giuridica terminate, e discorsi sull’interpretazione giuridica quale essa deve essere, in generale o in particolari esperienze. La distinzione tra teorie (strettamente intese) e ideologie è stata fatta oggetto, in tempi recenti, di critiche volte a metterne in luce l’infondatezza, l’inutilità, l’esizialità. Si tratta però di critiche che possono essere disattese. Basti qui questa considerazione. Chi coerentemente – e sottolineo: coerentemente – faccia a meno della distinzione tra fatti e valori, pur con tutti i limiti e le cautele che nel tracciarla devono essere prese, si trova a – e sceglie di – vivere in un mondo nel quale la realtà si confonde con il desiderio, le immagini dettate dalle passioni sostituiscono i dati di esperienza, vi si sovrappongono, li intorbidano, li indeboliscono (viene da pensare ai molli, esausti, orologi di Salvador Dalì): è un mondo di false luci, di suggestioni alimentate da parole suadenti, di cose che sfumano misteriosamente l’una nell’altra; un mondo che disprezza la ragione e la scienza, e considera il rigore intellettuale un orpello fuori moda. La seconda confusione attiene in modo specifico alle teorie (descrittive) dell’interpretazione giuridica e consiste, in particolare, in una confusione di prospettive. Nel dare conto del fenomeno interpretazione giuridica – vuoi per esplicare la natura dell’attività interpretativa, vuoi per illustrarne la struttura, vuoi per esporne gli strumenti – i teorici tendono sovente a confondere – a non distinguere con la necessaria accuratezza – (non meno di) tre diverse dimensioni del fenomeno interpretativo e, corrispondentemente, tre diverse prospettive dalle quale si può «fare teoria» dell’interpretazione. 1. Un prima prospettiva è la prospettiva cognitiva della psicologia del l’interpretazione. Da questo punto di vista, l’interpretazione è indagata in quanto processo intellettuale in mente interpretis, al fine di descriverla mediante modelli rappresentativi psicologici costruiti sull’introspezione e su congetture comportamentistiche a partire dai discorsi interpretativi. 2. Una seconda prospettiva è la prospettiva della metodologia dell’in terpretazione. Da questo punto di vista, l’interpretazione è indagata in quanto discorso giustificatorio formulato in documenti quali le sentenze giudiziali, le opere dottrinali, le comparse e le arringhe degli avvocati. L’interpretazione giuridica, da un punto di vista metodologico, consiste pertanto in stringhe di enunciati che compongono ragionamenti interpretativi, dei quali si tratta d’indagare, 77 Pierluigi Chiassoni porre in luce e, se del caso, ricostruire mediante forme e concetti perspicui, gli strumenti (schemi discorsivi, argomenti, metodi, tecniche, canoni, direttive) e la struttura logica. 3. Una terza prospettiva, infine, è la prospettiva sociologica del la teoria dell’azione sociale. Da questo punto di vista, l’interpretazione giuridica è indagata in quanto attività – psicologica e/o discorsiva-giustificatoria – socialmente condizionata: soggetta a vincoli, o condizionamenti, provenienti dai modi di pensare e dal le ideologie diffuse tra gli operatori del diritto e/o i consociati at large. Per effetto della confusione tra le tre prospettive sopra menzionate (che potrebbe denominarsi sincretismo prospettico o di prospettive), le teorie dell’interpretazione sono sovente discorsi ibridi, nei quali considerazioni psicologiche, metodologiche, e socio-culturali si mescolano inavvertitamente e casualmente tra loro, a scapito del rigore delle analisi e della fondatezza, e controllabilità, delle conclusioni. Alle confusioni appena richiamate si possono aggiungere altri difetti, tra cui il seguente. Non di rado i teorici dell’interpretazione giuridica, nell’accostarsi al – e dare conto del – fenomeno, utilizzano prospettive e strumenti mutuati da altri campi del sapere: ad esempio, da un qualche indirizzo nella filosofia del linguaggio, nell’epistemologia, nella metafisica, nella teoria della critica letteraria, nella linguistica, etc. Un tale modo di procedere – fecondo e commendevole – può tuttavia dare luogo a due inconvenienti, segnalati a suo tempo da Norberto Bobbio con riguardo alla filosofia del diritto italiana del primo novecento: la trasposizione estrinseca e l’abuso del metodo concettuale 1. Accade, in altre parole, questo: l’interpretazione giuridica viene adagiata su letti di Procuste fabbricati in altri campi del sapere, per altri fenomeni, ed acriticamente introdotti tra l’armamentario del teo rico del diritto. In conclusione: la persistenza del «problema dell’interpretazione» nella cultura giuridica occidentale dipende, in buona misura, dal cospirare di non meno di quattro principali fattori (uno fisiologico, e tre patologici): 1 N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, Comunità, 1965, parte I. 78 Analisi linguistica e teoria dell’interpretazione giuridica a. la fluidità della condizione umana; b. la confusione, nei discorsi sull’interpretazione, tra teorie (strettamente intese) e ideologie; c. la confusione, nelle teorie dell’interpretazione, tra prospettiva psicologica, prospettiva metodologica, e prospettiva socioculturale; d. il riduzionismo teorico. Di questi fattori, gli ultimi tre favoriscono il prodursi di dispute tendenzialmente perpetue, tra esperti ostinati nel difendere e contrapporre tesi eterogenee, e magari del tutto conciliabili, percepite però, ad un tempo, come omogenee – attinenti allo stesso oggetto e allo stesso, preciso, problema – e inconciliabili. 4.2. La teoria «mista» di Eugenio Bulygin, in poche parole La teoria dell’interpretazione di Eugenio Bulygin – quale può ricavarsi da alcuni passi de Il positivismo giuridico, dal paragrafo centrale di Asserti normativi veri o falsi e, soprattutto, da altri lavori che menzionerò in seguito, alcuni dei quali scritti con Carlos E. Alchourrón – costituisce, a mio avviso, un esempio istruttivo di teoria difettosa: sia sotto il profilo della confusione tra le prospettive psicologica, metodologica, e socioculturale (sincretismo prospettico); sia per la trasposizione riduzionistica di modi di pensare elaborati in campi diversi dal diritto (riduzionismo teorico). Per suffragare queste conclusioni, offrirò una breve, ma (spero) circostanziata, esposizione della teoria dell’interpretazione di Bulygin. Una teoria, come si vedrà tra poco, assai suggestiva, condivisa nelle sue linee portanti da avveduti teorici del diritto 2, che avanza pretese di correttezza la cui infondatezza è, prima facie, tutt’altro che evidente. La teoria dell’interpretazione giuridica di Bulygin è un discorso descrittivo (non, apparentemente, un’ideologia), tra i cui obiettivi primari vi è quello di fornire una risposta al problema della natura dell’attività interpretativa. 2 Tra cui, ad esempio: Herbert Hart, Genaro R. Carrió, José Juan Moreso, e Andrei Marmor. 79 5. I GIUDICI E IL LINGUAGGIO di Mario Garavelli Il giurista americano Roscoe Pound scrisse nel 1910 un saggio intitolato Law in book and law in action 1, distinguendo il diritto concepito nelle sistemazioni teoriche degli studiosi da quello che si attua nella vita di tutti i giorni. Qui vorremmo parlare dei nessi tra il linguaggio e uno dei più tipici diritti in action, quello che nasce dalle decisioni dei giudici, e che la Corte Costituzionale ha anch’essa a sua volta definito il «diritto vivente». Non ho bisogno di sottolineare due aspetti preliminari di questo discorso: il primo è che è ormai non si parla più del giudice come bouche de la loi, come semplice traduttore in pratica dei dettami di norme in sé precise ed esaurienti, ma si riconosce la funzione creativa dell’attività giurisprudenziale (Lord Denning diceva: «La verità è che il diritto è incerto. Nessuno può dire quale sia il diritto finché le Corti non lo definiscono. I giudici producono diritto ogni giorno, sebbene ammetterlo sia quasi un’eresia»). Il secondo aspetto, che accomuna in un certo senso i magistrati ai linguisti, è che anche i magistrati lavorano sulla lingua, costituente la materia prima di cui essi fanno un uso costante; i mattoni delle loro costruzioni non sono che parole, prima le parole che essi leggono negli atti di causa e nei testi legislativi, poi le parole con le quali danno conto delle loro decisioni nelle tre tipologie (sentenze, ordinanze, decreti) previste dai codici di pro- 1 R. Pound, Law in book and law in action, American Law Review (1910), 10. 97 Mario Garavelli cedura. I «discorsi dei giuristi» che Tarello, in un saggio del 1974 2, riferiva soltanto alla dottrina possono essere estesi a tutta la corporazione, includendovi la magistratura, che produce i propri discorsi nelle motivazioni dei suoi provvedimenti, quelle motivazioni che la stessa Costituzione, all’art. 111, dichiara obbligatorie riconoscendone l’essenziale importanza nell’esercizio della funzione, in un contesto di democrazia dove ogni autorità pubblica dovrebbe giustificare le sue scelte di fronte ai cittadini. E non vanno dimenticati gli avvocati, che nel diritto in azione hanno così tanta parte, e la cui forza sta sia nella parola scritta che in quella pronunciata oralmente. Da tutto questo dovrebbero nascere una costante curiosità dei giuristi nei confronti di chi si occupa professionalmente della lingua e un’alleanza tra questi due tipi di intellettuali per un costante miglioramento degli strumenti argomentativi utilizzati dai primi; la scarsa sensibilità di costoro al riguardo (con significative eccezioni) denota uno degli aspetti della crisi attuale della giustizia, che è certo dovuta a molteplici cause ma che è dovuta anche a una certa sordità culturale dei suoi protagonisti. Quando si dice che i magistrati basano il loro lavoro su testi linguistici si pensa comunemente all’interpretazione dei dettati normativi, come se questo fosse l’unico campo di indagine che attiene al tema di cui trattiamo. Questo campo è ben più ampio, perché la tecnica giurisprudenziale deve sempre necessariamente partire dalla ricostruzione del fatto, la quale è basata sulle prove. Come tutti sanno, quelli che i codici di procedura sia civile che penale (art. 202 e titolo secondo del libro III rispettivamente) chiamano «mezzi di prova» sono molteplici, ma i più comuni sono le testimonianze, i documenti, le perizie: ebbene, gran parte delle fatiche di chi si occupa dei processi, sia penali che civili, sta proprio nel comprendere appieno il significato dei segni linguistici nei quali si traducono quelle fonti probatorie, attraverso i quali è possibile l’accertamento di quanto è avvenuto con la maggior chiarezza possibile. È ovvio quindi che già qui sono impegnate pienamente le competenze linguistiche dei giuristi pratici (lo stesso discorso infatti coinvolge gli avvocati); e può darsi il caso che la limitatezza di queste competenze renda necessario l’interven 2 G. Tarello, Linguaggio descrittivo e linguaggio precettivo nei discorsi dei giuristi, riprodotto nel vol. a cura di U. Scarpelli e P. Di Lucia, Il linguaggio del diritto, Milano, Led, 1994, 349. 98 I giudici e il linguaggio to degli specialisti della lingua. Ricordo che un amico dialettologo, il prof. Corrado Grassi, eseguì una perizia su intercettazioni telefoniche relative a sospetti criminali, e riuscì a individuare la provenienza degli interlocutori attraverso le particolarità fonetiche dei loro discorsi. In una dimensione civilistica, ricordo anche una perizia affidata a tre esperti di lingua in occasione di una causa tra due famose riviste di enigmistica, una delle quali accusava l’altra di aver copiato gli schemi e i procedimenti di alcuni giochi di grande diffusione. Ecco dunque un campo dove l’alleanza tra giuristi e linguisti può essere preziosa. Solo dopo aver eseguito, con gli strumenti di analisi prima accennati, un’accettabile ricostruzione degli avvenimenti oggetto del giudizio l’attenzione del giurista si rivolge alla norma che appare applicabile alla fattispecie sottoposta al suo esame, e naturalmente anche qui gli aspetti linguistici appaiono preponderanti; basta ricordare la fondamentale regola contenuta nell’art. 12, primo comma, del codice civile: «Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore». Questo è il campo nel quale quello che Luigi Lombardi chiamava il diritto giurisprudenziale 3 trova le più ampie possibilità di azione e dove le competenze linguistiche degli interpreti possono esercitarsi con grande libertà. Il legislatore infatti usa ampiamente, come è logico, termini appartenenti sia al linguaggio naturale che a quello strettamente giuri dico, sui cui rapporti ha detto cose acutissime Giovanni Tarello 4. Andrea Belvedere, in un saggio del 1987 5, parla di «termini fattuali e termini normativi» contenuti nel codice civile, elencando, tra i primi, «persona», «parentela», «morte», «gravidanza», «albero», «erba», ecc., e tra i secondi «contratto», «obbligazione», «debitore», ecc. 3 1967. L. Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, Giuffrè, 4 Si veda in particolare G. Tarello, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, dir. da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, Milano, Giuffrè, 1980, passim. 5 A. Belvedere, Il linguaggio del codice civile: alcune osservazioni, riprodotto nel vol. a cura di Scarpelli e Di Lucia, Il linguaggio del diritto cit., 415. 99 6. CONDIZIONI DI ETEROGENEITÀ DISCORSIVA NEL DIALOGATO DI PROCEDIMENTI PENALI di Bice Mortara Garavelli 6.0. Generalità Varie manifestazioni del «parlato in tribunale» sono state oggetto di studi in anni recenti 1. Basti qui ricordare il lavoro imponente compiuto in questo campo da Patrizia Bellucci, documentato da vari saggi e da interessanti materiali di lavoro, e culminato nel fondamentale Bellucci (2002) (che si raccomanda anche per la ricca bibliografia). Segnalo inoltre l’accurato articolo di Galatolo (2002) centrato sull’in terrogatorio. Le mie osservazioni verteranno sul carattere composito di dialoghi in cui si possono trovare elementi ascrivibili a diverse varietà linguistiche 2 distribuiti in proporzioni disuguali nel parlato dei dialoganti. I tratti linguistici di per sé non basterebbero a distinguere in misura caratterizzante rispetto ad altri generi di parlato testi come quelli che costituiscono il nostro corpus di riferimento. È la maggiore rigidità dei vincoli imposti dall’esterno la principale responsabile dei tratti tipologicamente pertinenti. Ne dipende in parte cospicua la strutturazione linguistico-testuale dei discorsi. 1 Riprendo in questo contributo una parte delle analisi e delle osservazioni contenute in un mio precedente articolo (Mortara Garavelli 2005). 2 Mi riferisco alle varietà diafasiche, diastratiche, diatopiche (per le quali basta rinviare qui a Berruto 1993 e 1998), e alle varietà di apprendimento (cfr. Ber ruto 2001) che costituiscono l’italiano di stranieri attestato in buona misura negli atti processuali. 103 Bice Mortara Garavelli Il corpus a cui appartiene l’esemplificazione qui prodotta (frammenti minimi rispetto all’insieme) comprende registrazioni di esami di testimoni e di interrogatori di imputati in due udienze di processi svolti presso il Tribunale di Torino 3. I vari tipi di interazione si distinguono fondamentalmente per «il sistema di avvicendamento di turni e le restrizioni in atto all’interno di uno schema sequenziale domandarisposta» (Caffi 2001, 172) 4. Il tipo di comunicazione asimmetrica di cui mi sto occupando è quello regolato nel modo più rigido: se non erro, è l’unico esempio di interazione le cui procedure siano stabilite istituzionalmente, e giuridicamente, fino a prevedere, per l’inosservanza di alcuni passaggi obbligati, l’invalidità del procedimento di cui l’interazione stessa è parte costitutiva. Mi riferisco alla normativa contenuta negli articoli 465-548 del codice di procedura penale, che compongono il libro VII, sotto il titolo generale Giudizio. 3 Date delle udienze: il 10 e il 19 febbraio 2003. Sigle rispettive nelle citazioni di esempi: C.; Ag., precedute ciascuna dal numero d’ordine dei nastri che contengono le registrazioni, e seguite dal numero dei turni. Le registrazioni su nastro occupano la prima un’ora e mezzo; la seconda tre ore. Le trascrizioni definitive dei passi riportati negli esempi sono opera di Ida Tucci, specialista di notazione prosodica presso il Laboratorio Linguistico LABLITA, alla scuola di Emanuela Cresti, nell’Università di Firenze. Riproduco integralmente le spiegazioni delle convenzioni seguite. «Segni di scansione prosodica del continuum fonico: // Interruzione prosodica [d’ora in poi, IP] terminale (fine enunciato); ? IP terminale interrogativa (fine enunciato); ! IP terminale esclamativa (fine enunciato); … IP di enunciato intenzionalmente lasciato sospeso (fine enunciato); + IP terminale di enunciato interrotto; / IP non terminale; [?] IP connessa ad una esitazione; [/] [//] [///] IP connessa a una falsa partenza; ‘ Indice applicato sulla destra delle unità prosodiche che appartengono a un discorso riportato (es. /’ //’ ecc.). Altri segni: # Pausa; xxx Parola o parole non comprese; <parola parola> Parentesi che delimitano le parti di un turno sovrapposte; [<] Segno che indica la relazione di sovrapposizione tra due stringhe sovrapposte; & Segno che etichetta una serie di caratteri che realizzano un frammento di parola». 4 Ho tenuto presenti, pur senza rimandarvi esplicitamente nelle singole occasioni, le strategie della mitigazione descritte nell’ampio e denso lavoro di Caffi (2001), dedicato alla comunicazione in contesti terapeutici; ove una parte consistente sia delle indicazioni di metodo sia dei principi che la studiosa pone a fondamento delle sue analisi è esportabile in ambiti diversi delle indagini conversazionali. 104 Eterogeneità discorsiva nel dialogato di procedimenti penali 6.1.La normazione delle procedure e dei turni del discorso Nell’organizzazione del dialogato negli esami testimoniali e negli interrogatori degli imputati la «relazione diretta fra status e ruolo da un lato e diritti e doveri discorsivi dall’altro» 5 determina senza deroghe le modalità del succedersi dei turni. È ciò che distingue nel modo più immediatamente percepibile questo tipo di parlato dalla conversazione ordinaria. Nella pratica giudiziaria le infrazioni alle regole procedurali sono immediatamente rilevate e censurate o dal presidente, che dirige il dibattimento, o dai rappresentanti della pubblica accusa e della difesa (ad es., con i rituali «Mi oppongo»; «Opposizione» e simili, o con altre meno sintetiche proteste formali). È un intrecciarsi di restrizioni che agiscono in più direzioni; e sono le principali responsabili nel l’assegnare le prese di parola e nel modellare i turni. Ne sono fortemente caratterizzati i dialoghi che hanno luogo negli esami e nei controesami di testi e di imputati. Negli articoli 465-548 del codice di procedura penale, oltre alle prescrizioni riguardanti le fasi e la conduzione del dibattimento, gli atti relativi, eccetera, troviamo: a. La precisa determinazione di chi è ammesso a fare domande ai testimoni nel corso dell’esame diretto e del controesame e l’ordine – rigido – di successione degli interventi da parte dei diversi interroganti (artt. 498 e 506 c.p.p.). b. Le condizioni di liceità delle domande. Queste devono vertere «su fatti specifici» (donde, nelle fasi processuali, gli abbastanza frequenti richiami ai testimoni o alle parti: «Si attenga ai fatti» / «Non esprima opinioni»); non devono essere tali da pregiudicare la «sincerità delle risposte» o tendere «a suggerire le risposte» (commi 1-3 dell’art. 499 c.p.p. intitolato Regole per l’esame testimoniale). c. Un vero e proprio codice di comportamento delle parti, espresso nell’elenco delle garanzie che il presidente deve tutelare: curare «che l’esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto del la persona»; «assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità 5 Cito da Drew - Heritage (1992, 48-49), servendomi della traduzione di Caffi (2001, 173). 105 Bice Mortara Garavelli delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni» (art. 499.4-6 c.p.p.); impedire «ogni divagazione, ripetizione e interruzione» come recitano gli articoli riguardanti, il 493.4, le «richieste di prova» e il 523.3 la discussione finale del dibattimento 6. Si veda, nel seguente esempio (1), l’intervento moderatore del presidente in seguito alle proteste di un teste per l’aggressività con cui il difensore di un imputato fa il controesame: (1) 1C. 508TESTE A.: [<] <cioè / se mi deve chiedere determinate cose come sono andate / io gliele dico / se> lei mi deve aggredire / io non riesco a <dirle più niente> // 509 DIF. V.: <io non aggredisco> nessuno / faccio delle domande // poi se non vuole rispondere / <è un suo diritto> // 510PRES.: [<] <le faccia> un pochino più con + non so come <dire> // […] 517PRES.: semplicemente / con un [/] co’ un po’ / meno aggressività / ecco // che è un teste / mi pare / abbastanza chiaro // perché noi / testi / qua / ne abbiamo a bizzeffe // e ce n’è di quelli che han fatto / non dico in questo processo / ma in tutti i processi / che han fatto veramente pena / a cavargli le parole + questo è / insomma è un teste che cerca di [/] di [/] di / mi pare / di esprimersi abbastanza bene // per cui / non ha bisogno <di essere> + In nessun altro genere dialogico la successione dei turni è altrettanto rigidamente prestabilita. Questa condizione pragmatica vincola in modo predeterminante l’organizzazione testuale (sintattica e retorica) del discorso. Ad esempio, vietando che si divaghi, che si ripetano enunciazioni di fatti già formulate e argomenti già addotti, che si in 6 Sui contenuti e sull’organizzazione argomentativa del dibattito verte la precisazione delle competenze del presidente (art. 506.1 c.p.p.); nelle regole per la discussione finale sancite nell’art. 523 è ribadita la fissità dell’ordine sequenziale nelle fasi del dibattimento. 106 Eterogeneità discorsiva nel dialogato di procedimenti penali terrompano gli altri partecipanti, si agisce sulle strutture retoriche del discorso e si cerca di contenerlo entro limiti che sarebbero impensabili per i prodotti di interazioni spontanee. Se qualcosa di analogo si può osservare per dibattiti guidati in altre sedi 7, permane tuttavia una differenza sostanziale, di carattere giuridico-normativo: le limitazioni alla lunghezza, ai modi di argomentare eccetera non si possono avvalere, in nessun altro caso e ambiente, dell’autorità legale che compete a chi presiede un collegio giudicante. 6.2.Aspetti pragmatici: gli atti di «controllo del discorso» Dal condizionamento dei diritti e doveri discorsivi dovuto alla difformità dei ruoli rivestiti dai partecipanti all’interazione nascono gli atti di «controllo del discorso» descritti da Thomas (1989). Ne vedremo esempi ascrivibili alle categorie: (1) degli indicatori discorsivi [discoursal indicators]; (2) dei commenti metadiscorsivi [metadiscoursal comments]; (3) dei controllori interazionali [interactional controllers]. 6.2.1. Agli indicatori discorsivi (o «discorsuali»), con cui il parlante dominante intende stabilire lo scopo e la natura del discorso, definire gli argomenti della comunicazione e la pertinenza del modo in cui vengono trattati, possiamo ascrivere le espressioni con le quali chi interroga fissa preliminarmente le modalità della risposta attesa: (2) 1C. 29P.M.: ecco // mi vuol raccontare bene / in maniera completa / com’è che è nata l’idea / di acquistare questo appartamento / e che cosa è successo in seguito? 7 Diversi tipi e situazioni di dialogo sono analizzati in Bazzanella (a cura di) 2002. Segnalo per analogie con argomenti del presente mio contributo, i saggi di Galatolo, di Eerdmans e Walsh, di Bazzanella; di quest’ultima in particolare la trattazione dei tratti prototipici del dialogo. Si veda inoltre Scarano (a cura di) 2003. 107 7. IL PRINCIPIO DELl’ECONOMIA NELlA LINGUA GIURIDICA Gli avverbi in -mente di Giovanni Rovere 7.1. – Il titolo scelto impone alcune osservazioni di ordine terminologico e metodologico. Infatti, anche a trascurare la complicazione lessicale e sintattica non funzionale a esigenze denotative, descritta come tratto ricorrente nel linguaggio giuridico (cfr. soprattutto Mortara Garavelli 2001, 2003, 2006), è palese che l’articolazione linguistica di molti testi giuridici si contrappone diametralmente per complessità allo stile telegrafico dei piccoli annunci economici o dei messaggini cellulari, gli esempi prototipici di economia linguistica. Il modello di economia linguistica più noto è quello sviluppato, in prospettiva diacronica, da Martinet (1955), con particolare riguardo alla fonologia. Altri modelli si trovano in studi linguistici che, seppur dissimili tra loro quanto ad impostazione e obiettivi, permettono di identificare nell’impegno, nel risultato e nell’ambito di applicazione i parametri rilevanti per un inquadramento del fenomeno (cfr. Roelcke 2007, 10) 1. Tali studi hanno in comune il fatto di interpretare l’economia non nel senso, evocato di frequente nelle trattazioni della doppia articolazione, d’impiego di mezzi linguistici minimo, diretto a ottenere il rendimento denotativo massimo 2, bensì come principio del minimo 1 Cfr. ad esempio gli studi di Wilder et al. (1996), Prince e Smolensky (1997), Chomsky (1998). 2 Affermazioni analoghe si trovano anche in ambito cognitivista, si veda ad es. «Human cognitive processes […] are geared to achieving the greatest possible cognitive effect for the smallest possible processing effort» (Sperber - Wilson 1986, VII); si veda anche Wilder et al. (1996, 31n.). 119 Giovanni Rovere sforzo. Secondo tale concezione «l’homme ne se dépense que dans la mesure où il peut ainsi atteindre aux buts qu’ils s’est fixés [l’uomo consuma energia solo nei limiti necessari a raggiungere i fini che si è proposto]» (Martinet 1980, 176 s.). Pertanto, in luogo della variabilità simultanea dei due parametri, l’impegno e il risultato, uno dei due, generalmente il risultato, è tenuto costante; l’economia è allora concepita come minimizzazione dell’impegno. Il concetto di economia occupa nelle definizioni di lingua speciale una posizione secondaria. Quale proprietà principale figura la precisione, intesa come il riferimento più appropriato possibile di tecnicismi a fatti, eventi e processi dell’ambito settoriale in questione. Nella tradizionale concezione del lessico tecnico la funzione della definizione terminologica consiste, in effetti, nel determinare il significato di un tecnicismo in modo da renderlo univoco, a prescindere da ogni sua attualizzazione. Se si estende l’attenzione dal livello sistemico, in cui la lingua speciale è considerata in primo luogo come inventario di tecnicismi, al livello testuale in cui essa si manifesta in funzione dei fini del discorso, la precisione risulta prioritariamente una proprietà dell’uso in contesti tecnici. In tal modo il contrasto tra la postulata univocità dei tecnicismi e la loro frequente polisemia si risolve considerando la monosemia il risultato di una determinazione contestuale 3. La marginalità dell’economia nelle descrizioni dei tratti prospettati come tipici delle lingue speciali si spiega con il diffuso assunto secondo cui l’esigenza di precisione terminologica, generando una continua espansione quantitativa del lessico tecnico, prevarrebbe necessariamente sul principio dell’economia. Rispunta in tal modo la concezione del l’economia linguistica che considera la minimizzazione dell’impegno e la massimizzazione del risultato come processi simultanei. In realtà, in quanto succintamente esposto a proposito della precisione si riconoscono due manifestazioni fondamentali del principio di economia: la polisemia che contribuisce a moderare l’aumento di significanti, e la lessicalizzazione terminologica. La sostituzione di perifrasi, descrizioni e spiegazioni con tecnicismi definiti, rappresenta, infatti, la 3 Così, per fare un rapido esempio, la discriminazione tra le accezioni di escutere ‘interrogare (un testimone) in un processo’ e ‘avviare un’azione legale contro un debitore’ dipende dall’individuazione dei diversi quadri argomentali del verbo che si manifestano nei rispettivi contesti d’uso. 120 Il principio dell’economia nella lingua giuridica forma più economica di denotazione tecnica. Un ulteriore grado di condensazione è possibile ricorrendo ai vari tipi di accorciamento del tecnicismo, secondo le modalità previste dalle singole lingue speciali, a condizione, pur tuttavia, che fra base e forma accorciata sussista un rapporto di sinonimia (Mayer - Rovere 2007, 213). L’ambito di applicazione dell’economia linguistica è nelle osserva zioni seguenti il lessico studiato in chiave sistemica e sincronica. L’attenzione per il livello sistemico significa che la dimensione testuale è tenuta in considerazione innanzitutto per osservazioni sul profilo combinatorio dei lessemi sotto esame e per ricerche sull’equivalenza all’interno di serie di potenziali alternative lessicali. I procedimenti di condensazione sintattica operanti nel discorso e le figure retoriche con funzioni stilistiche passano invece in secondo piano 4. Né assume rilievo immediato quanto in nomografia è considerato come principio economico (si veda ad es. Schäffer 1987, 120). Il postulato secondo cui tutto ciò che viene formulato in un testo di legge deve avere un contenuto normativo, si traduce, di conseguenza, principalmente in strategie di natura testuale, riassumibili in termini di concisione e brevità. Un’eccezione è data dalla formazione di parole astratte, funzionale alla necessità di riferirsi in modo intensionale (e non referenziale) agli oggetti da sottoporre a normazione. Fenomeni come l’accorciamento richiedono, d’altra parte, almeno un accenno alle dimensioni pragmatica e cognitiva. In una prospettiva comunicativa, l’economia linguistica va considerata come concetto relazionale il cui secondo termine è rappresentato dagli interlocutori coinvolti nell’atto comunicativo, sia sul versante della produzione e del suo controllo, sia su quello dei processi di ricezione e d’interpretazione. In testi tecnici destinati a interlocutori esperti, l’economia è un elemento costitutivo dell’efficienza comunicativa (cfr. Rovere 2008). 7.2. – Gli avverbi derivati in -mente fanno parte, secondo l’ipotesi che vorrei proporre, dei fenomeni lessicali della lingua giuridica in cui è riconoscibile l’azione del principio dell’economia. Il quadro in cui si inseri 4 Per la sostituzione di frasi relative con il participio presente («princìpi attribuenti solo al giudice») si vedano Mortara Garavelli (2001, 166 s.), con aggettivi reggenti un complemento preposizionale («lesivo del principio») Rovere (2005, 110) e ora la ricerca approfondita di Dell’Anna (in corso di stampa). 121 Giovanni Rovere sce l’argomento è costituito dalla tendenza ad ampliare il lessico tecnico rimanendo all’interno della famiglia lessicale di tecnicismi già esistenti. Questi fungono da base morfologica nei processi derivazionali oppure semantica nella formazione non derivazionale. Si tratta di un’economia a forte valenza cognitiva dato che favorisce per via associativa l’autore nell’atto della produzione e il destinatario nel lavoro d’interpretazione. Di seguito si ipotizza che la formazione di avverbi tecnici con il suffisso -mente in quanto alternativa sintetica, e quindi economica, ad espressioni analitiche semanticamente equivalenti, manifesti nella lingua giuridica, rispetto alla lingua comune, una particolare produttività 5. Per verificare in termini statistici tale rilevanza sarebbe necessario controllare preliminarmente le occorrenze degli avverbi nel corpus elettronico a disposizione, in particolare quelle che, per vari motivi, andrebbero escluse o conteggiate diversamente da quanto elaborato automaticamente dal programma di concordanze. I dati depurati andrebbero poi confrontati con i risultati ottenuti attraverso uno studio comparativo sulla diffusione degli avverbi nella lingua comune. Nel l’impossibilità di svolgere in questa sede un tale lavoro, mi limiterò a segnalare tendenze e a riportare valori approssimativi. La base empirica consiste in un elenco di più di 2300 avverbi tecnici e non tecnici in -mente, attestati in ventuno annate del «Foro italiano» (1987-2007), disposti per ordine alfabetico e di frequenza 6. Per il numero complessivo poco maneggevole, mi concentro su un campione di circa duecento avverbi, composto essenzialmente da quegli inizianti per a-. Il primo criterio fondamentale per una loro classificazione consiste nell’opposizione tra avverbi comuni (tipo abbondantemente) e tecnici (tipo accessoriamente) 7. Incertezze nell’assegnazione all’una o l’altra categoria emergono, quando da una verifica lessicografica risulta che l’avverbio è registrato come sottolemma di un aggettivo di cui non sono riportate accezioni giuridiche. A proposito di abusivo, ad esempio, il GDU dà un’accezione giuridica solo del nome abuso (‘sfruttamento di un diritto o potere oltre i limiti leciti; esercizio il legittimo di un potere, di un’attività’), esemplificata con commettere Cfr. a proposito Bellucci (2002, 340n.). Ringrazio Maurice Mayer dell’assistenza fornita. 7 Per considerazioni generali sullo statuto di lemmi inizianti per a- contraddistinti nello Zingarelli come termini del diritto si veda Cortelazzo (1997, 43 s.). 5 6 122 Il principio dell’economia nella lingua giuridica un abuso, abuso edilizio. L’aspetto problematico consiste nel fatto che queste collocazioni non si differenziano per grado di tecnicità da quel le fornite per l’uso aggettivale: costruzione abusiva, porto d’armi abusivo. Il ricorso al corpus giuridico permette innanzitutto di esemplificare quanto osservato sulla formazione di tecnicismi all’interno della stessa famiglia lessicale: accanto ad abuso si registra una presenza consistente di abusivismo e abusività, tecnicismi specifici, funzionali all’esigenza disciplinare di disporre di termini (molto) astratti, cfr. (1)-(2). Abusivista, meno frequente ma formato con evidenti intenti economici, ricorre sia come nome sia come aggettivo, cfr. (3)-(4) 8. In secondo luogo, l’appartenenza di abusivo al lessico giuridico risulta confermata dal suo uso all’interno di frequenti collocazioni come clausole abusive, lottizzazione abusiva, ricorso abusivo al credito, esercizio abusivo di (attività commerciale / …), porto abusivo (di armi / …), specie in contesti in cui fungono, analogamente al nome, da parole chiave, cfr. (5)-(6). Infine, le contestualizzazioni semantiche dell’avverbio in (7)-(9) corrispondono, a loro volta, a quelle usuali del nome e dell’aggettivo. Di particolare rilevanza sono le attestazioni in cui l’impiego dell’avverbio è oggetto di osservazioni linguistiche volte a sottolineare il tratto semantico giuridico dell’illegittimità, cfr. (10)-(11). Appare palese l’alto grado di lessicalizzazione, sia per la frequenza assoluta dell’avverbio giuridico, sia per il fatto che le alternative analitiche in modo abusivo / in maniera abusiva sono attestate in numero esiguo. Molto rare le occorrenze raccolte in corpora giornalistici, in cui la coniazione assume talora carattere espressivo, cfr. «L’uomo che sequestrò uccelli e villaggi turistici, che assolse ladri e spogliarelliste e condannò mamme manesche, ladri spericolati e abusivisti incalliti, non ci sta» (La Stampa, 31.5.1999). Più vicino al l’uso denotativo: «Il Governo si autolimita perché riconosce che ha competenza solo sugli abusi maggiori, puniti penalmente, mentre gli abusi minori, colpiti da sanzioni pecuniarie e amministrative, sono di competenza delle Regioni e dei Comuni. Siamo quindi di fronte a un provvedimento irragionevole sul piano costituzionale, che penalizza i cittadini colpevoli di piccoli abusi e premia i grandi abusivisti» (Il Sole-24 Ore, 10.10.2003). 8 123 8. LINGUA, COGNIZIONE E DUE COSTITUZIONI di Iørn Korzen 8.1. Introduzione Nelle pagine seguenti tratterò la struttura testuale della Costituzione Italiana. Da una parte la mia analisi indagherà la costruzione linguistico-grammaticale (morfo-sintattica e testuale), dall’altra la disposizione del contenuto in parti e sezioni. L’approccio generale sarà comparativo: farò un paragone con la ‘mia’ Costituzione, quella Danese, e cercherò di individuare e di definire gli elementi più importanti che accomunano i due testi e quelli che li distinguono. Farò un breve confronto con altri testi – giuridici e non – ed esaminerò le somiglianze e le differenze alla luce delle ipotesi sull’influenza della lingua sul pensiero umano, più precisamente da una parte sul nostro modo di concepire il mondo intorno a noi, dall’altra sul nostro modo di verbalizzare e ‘raccontare’ lo stesso mondo e di organizzare il contenuto dei nostri ‘racconti’. Comincerò con una breve presentazione di alcune affermazioni sul legame tra lingua e pensiero, dopodiché passerò ad una veloce esposizione delle più fondamentali differenze strutturali tra le lingue romanze e quelle germaniche. Proporrò poi alcune ipotesi sulle possibili influenze di questi due ceppi linguistici sul nostro modo di organizzare e strutturare i nostri pensieri e, conseguentemente, i nostri testi, e infine, alla luce di tali considerazioni, paragonerò struttura e composizione delle due Carte Costituzionali. 163 Iørn Korzen 8.2. Dal sistema linguistico al modo di pensare Come è noto, le ipotesi su una correlazione tra lingua e pensiero 1 e, con ciò, secondo alcuni, tra lingua e carattere umano, sono tutt’altro che recenti. Probabilmente la prima attestazione è quella di Isidoro di Siviglia (560 ca. - 636), vescovo di Siviglia dal 600 ca. ed autore dei venti Ethimologiarum libri, sive Origines che costituirono l’enciclopedia di tutto lo scibile del tempo e che in larga misura influenzarono la cultura medievale. Nel nono libro troviamo il famoso detto: … ex linguis gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt (Isidoro di Siviglia, Etymologiae, Liber IX: De linguis, gentibus, regnis, militia, civibus, affinitatibus). Nel millennio seguente Giambatista Vico (1668-1744) fu autore di si mili riflessioni: […] le indoli dei popoli si formano con le lingue e non le lingue con le indoli (De nostri temporis studiorum ratione [1709]; cit.: Vico 2001, 141). […] le lingue sono, per dir così, il veicolo onde si stransfonde in chi le appara lo spirito delle nazioni (Lettera XII a Francesco Saverio Estevan [1729]; cit.: Vico 2001, 334) 2. E 100 anni dopo, nel pieno Romanticismo tedesco, Wilhelm von Humboldt (1767-1835) scrive fra l’altro (tradotto in inglese): [T]he difference between languages would achieve historical relevance to the extent that it influences and determines the working of the human mind […]. Languages and the differences between them must therefore be considered a dominant force in the history of mankind (On the national character of languages [1822]; cit.: Humboldt 1997, 60). Con ciò si è preparata la strada per la famosa (o, secondo alcuni, famigerata) «ipotesi Sapir-Whorf», ovvero il principio della relatività linguistica, secondo cui la lingua è determinante per il nostro modo 1 Più precisamente il tipo di pensiero che Slobin (1996, 76) chiama «thinking for speaking». 2 Ringrazio il collega Remo Stefano Chiari per questi riferimenti a Vico. 164 Lingua, cognizione e due Costituzioni di concepire e di interpretare il mondo intorno a noi. Edward Sapir (1884-1939) sostiene per esempio: We see and hear and otherwise experience very largely as we do because the language habits of our community predispose certain choices of interpretation. […] From this standpoint we may think of language as the symbolic guide to culture (The status of linguistics as a science [1929]; cit.: Sapir 1964, 69). It would be possible to go on indefinitely with such examples of incommensurable analyses of experience in different languages. The upshot of it all would be to make very real to us a kind of relativity that is generally hidden from us by our naïve acceptance of fixed habits of speech as guides to an objective understanding of the nature of experience. This is the relativity of concepts or, as it might be called, the relativity of the form of thought (The grammarian and his language [1924]; cit.: Sapir 1968, 159). La nozione di «relatività linguistica» e, conseguentemente, di relatività della «forma del pensiero» fu approfondita e sviluppata da uno degli allievi di Sapir, Benjamin Lee Whorf (1897-1941): [T]he linguistic relativity principle […] means, in informal terms, that users of markedly different grammars are pointed by their grammars toward different types of observations and different evaluations of externally similar acts of observation, and hence are not equivalent as observers but must arrive at somewhat different views of the world (Linguistics as an exact science [1940]; cit.: Whorf 1956, 221). We cut nature up, organize it into concepts, and ascribe significances as we do, largely because we are parties to an agreement to organize it this way – an agreement that holds throughout our speech community and is coded in the patterns of our language (Science and linguistics [1940]; cit.: Whorf 1956, 213). Oltre alla professione di linguista, Sapir era anche antropologo e aveva studiato le lingue degli amerindi. Un’altra antropologa e studiosa degli stessi popoli era Dorothy D. Lee (1905-1975), che con palese riferimento a Sapir dichiarò: It has been said that a language will delineate and limit the logical concepts of the individual who speaks it. Conversely, a language is an organ for the expression of thought, of concepts and principles of classification. True enough, the thought of the individual must run along its grooves; but these grooves, themselves, are a heritage from 165 Iørn Korzen individuals who laid them down in an unconscious effort to express their attitude toward the world. Grammar contains in crystallized form the accumulated and accumulating experience, the Weltanschauung of a people (Lee 1938, 89). Come è noto, l’ipotesi Sapir-Whorf ebbe sia sostenitori che oppositori, e il fiorire della grammatica generativo-trasformazionale negli anni ’60 ridusse l’interesse per la relazione tra lingua e pensiero. Esso rinacque però all’inizio degli anni ’80, soprattutto nel campo degli psicolinguisti, di cui uno, Alfred Bloom, espresse il suo punto di vista, piuttosto ‘equilibrato’, nella seguente affermazione: Is it not reasonable to suppose, in other words, that despite an obvious need for qualification and greater precision, Whorf may have been on the right track? […] [L]et us suppose that a language, by whether it labels or does not label any specific mode of categorizing experience, cannot determine whether its speakers will think that way, but can either encourage or not encourage them to develop a labeled cognitive schema specific to that mode of thought (Bloom 1981, 11, 20). Lo spazio concessomi in questa sede non mi permette ulteriori approfondimenti delle ipotesi sulla relazione tra lingua e pensiero e sulla relatività linguistica, e mi permetto invece di rimandare agli accurati e scrupolosi studi di Lucy (1992), di Gumperz e Levinson (1996) e di altri studiosi ivi menzionati. Cfr. anche Korzen (2005a, b, c). 8.3. Lingue «endocentriche» e lingue «esocentriche» A questo punto sposterei brevemente l’attenzione su una serie di lavori di un’équipe di linguisti della Copenhagen Business School. In questi lavori gli studiosi, iscrivendosi nella tradizione delineata nella sezione precedente, espongono una descrizione tipologica delle più fondamentali differenze tra le lingue romanze e quelle germaniche 3. 3 Fra i lavori collettivi dell’équipe mi limito a citare Korzen - Marello (a cura di) (2000); Herslund (éd.) (2003); Baron (ed.) (2003); Herslund - Baron (éds.) (2005); Korzen - D’Achille (a cura di) (2005); Korzen - Lammert - Vassiliadou (éds.) (2007); Korzen - Lavinio (a cura di) (2009). 166 9. CONDIZIONI RESTRITTIVE NEI CODICI TEDESCHI E ITALIANI di Marcello Soffritti 9.0.Introduzione e delimitazione del tema La ricerca sui linguaggi giuridici ha già largamente esplorato la terminologia di codici e leggi in Germania, Svizzera, Austria e Italia, e, con il ricorso a corpora, ha prodotto importanti analisi empiriche di aspetti sintattici, stilistici e pragmatici di testi della comunicazione giuridica (ad es. Höhmann 2005; Lombardi 2004; Wiesmann 2004; Heller 2003, ed altri). Ora si presenta l’occasione di approfondire l’inquadramento contrastivo e traduttivo della sintassi, della semantica e per certi versi della pragmatica dei costrutti condizionali in testi di legge tedeschi e italiani. Questa occasione deriva in particolare dal progetto, ormai concluso, di J. Visconti (qui ci si riferisce in particolare a Visconti 2007), volto a realizzare un lessico contrastivo plurilingue dei connettori ipotetici con particolare riferimento ai testi giuridici. In questo contributo mi propongo di discutere dettagliatamente la portata dell’approccio di Visconti utilizzando un corpus di codici tedeschi e italiani. Cercherò in particolare di chiarire fino a che punto sia applicabile la distinzione fra due classi fondamentali di connettori ipotetici (generici e restrittivi), e in che misura sia possibile trasferire i risultati dell’indagine in un lessico plurilingue degli stessi connettori. La funzione genericamente ipotetica e quella ipotetica-restrittiva sembrano riconducibili, in italiano, a due liste di connettori che, alme 203 Marcello Soffritti no nella comunicazione orale informale, si possono classificare con una certa chiarezza con l’aiuto di tratti pragmatici, sintattici, semantici e prosodici. Questa suddivisione basata sulla categoria della restrittività, molto plausibile dal punto di vista teorico, appare tuttavia meno agevole nei testi di legge italiani e soprattutto in quelli tedeschi, dove i connettori e le altre forme espressive utilizzate nei costrutti condizionali non sono altrettanto facili da classificare. Le questioni sul tappeto non riguardano solo l’analisi contrastiva dei linguaggi specifici, in quanto il lessico dei connettori ipotetici è concepito anche per consentire e facilitare traduzioni più precise. In questo contributo mi occuperò tuttavia soprattutto delle questioni descrittive e contrastive. Solo in una o più pubblicazioni future sarà possibile trattare le questioni traduttive con l’aiuto di corpora paral leli. Dal punto di vista metodologico mi propongo di approfondire i seguenti punti: • È sufficiente la classificazione lessicale dei connettori in senso stretto per descrivere adeguatamente la gamma di variazione delle espressioni ipotetiche? • Quali fattori pragmatici e testuali determinano l’uso di connettori restrittivi in testi giuridici normativi? •I parametri (e in particolare i parametri pragmatici) utilizzati da Visconti nel suo modello sono ugualmente rilevanti sia all’interno, sia al di fuori della comunicazione giuridica? •Si potrebbero proporre ulteriori categorie o parametri per classificare i connettori nel linguaggio della comunicazione giuridica? 9.1. La base di dati Le proposte di classificazione avanzate da Visconti, pur sviluppate partendo all’analisi di trattati internazionali, si riferiscono in linea di massima all’intera gamma dei testi giuridici. Nel mio contributo condurrò invece il confronto tra le espressioni ipotetiche entro una forma testuale specifica, cioè i codici di leggi. Questa delimitazione consente infatti non solo di ridurre a dimensioni gestibili la massa dei dati da 204 Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani esaminare, ma anche di utilizzare proficuamente una serie di risultati ottenuti in studi precedenti. Diversamente da una precedente pubblicazione (Soffritti 1999), in cui esaminavo solo il Codice Civile della Repubblica Federale Tedesca (Bürgerliches Gesetzbuch – BGB) e quello italiano (CC), mi avvalgo ora di una raccolta più vasta, composta per entrambi i Paesi dal Codice Civile (BGB e CC), dal Codice Penale (Strafgesetzbuch – StGB e CP) e dal Codice di Procedura Penale (Strafprozessordnung – StPO e CPP). In questo modo è garantita, in primo luogo, la congruenza tematica e testuale che deve stare alla base di ogni indagine comparativa. Si tratta infatti di codici, cioè di grandi raccolte di norme sviluppatesi in entrambi i Paesi nel corso di numerosi decenni, che debbono essere costantemente prese come riferimento per la comunicazione specialistica e l’intera prassi, compresa la legislazione corrente. Di qui è sorta anche una certa esemplarità linguistica dei codici, che si fa sentire chiaramente nella redazione delle singole leggi e che influenza in parte anche la semantica dei connettori ipotetici. D’altro lato, non si può attribuire a questo corpus una piena rappresentatività per l’intera sfera dei testi normativi (nel senso definito da Busse 2000), per le seguenti ragioni: (i) A differenza delle singole leggi di emanazione corrente, i codici sono stati soggetti, nel corso di numerosi decenni, a continui adattamenti e aggiornamenti, e questa stratificazione è avvertibile. (ii)I codici sono concepiti come raccolte suddivise in numerosi settori tematici, al cui interno valgono particolari condizioni di coerenza testuale e disciplinare non sempre presenti nelle leggi singole. (iii)A differenza di leggi singole, regolamenti e altre disposizioni applicative, i codici non contengono in genere riferimenti a concreti problemi quotidiani, liste dettagliate di oggetti o specifiche motivazioni di determinate misure. Resta dunque un vasto spazio per ulteriori approfondimenti, che sarebbero da dedicare non solo, come si è detto, a singole leggi, regolamenti e norme di applicazione, ma anche e soprattutto ai testi non normativi della comunicazione giuridica. Ecco i principali valori quantitativi del corpus utilizzato: 205 Marcello Soffritti Bürgerliches Gesetzbuch Articoli Parole 2.385 178.615 Codice civile Strafgesetzbuch 358 Parole 2.969 190.897 734 68.673 61.236 Codice penale Strafprozessordnung Articoli 495 72.185 Codice di Procedura Penale 1 746 + 260 + 36 135.913 1 Poiché non si devono fare particolari confronti statistici fra la parte italiana e quella tedesca del corpus, il fatto che la parte italiana sia sensibilmente più estesa non crea particolari inconvenienti. È invece certamente soddisfatta la condizione metodologica essenziale, vale a dire che ciascuna parte sia rappresentativa per l’uso linguistico della legislazione normativa nel relativo paese. 9.2. Aspetti metodologici 9.2.1. La classe dei connettori propriamente detti a confronto con la gamma delle espressioni ipotetiche Nel momento in cui si cerca di definire l’oggetto di questa indagine, ci si deve chiedere se si intenda isolare i connettori ipotetici come classe morfosintattica, cioè come un repertorio tendenzialmente chiuso di elementi che connettono le frasi, o se non sia meglio allargare la prospettiva a tutte le forme linguistiche con cui un’autorità normativa (nel nostro caso) formula nei suoi testi espressioni da intendere come condizioni. Ovviamente, porre questa alternativa non significa rifiutare l’ipotesi di un lessico dei connettori, bensì puntualizzare l’effettiva portata della classificazione di lessemi specifici delle singole lingue: i connettori (insieme alle frasi che collegano) non sono l’unico mezzo per esprimere condizioni. Le condizioni, al pari di molti altri col 1 Sono qui comprese due corpose raccolte di norme di applicazione, che fanno parte dell’edizione ufficiale. 206 Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani legamenti concettuali fra contenuti proposizionali astratti, si possono esprimere con diverse realizzazioni al di sotto del livello sintattico frasale (e non si intenda con ciò la loro semplice anaforizzazione). Come è già stato constatato in linea generale (Heller 2003 e Soffritti 1999), una condizione può essere espressa in diversissimi modi. Può essere contenuta in una costruzione ellittica: […] si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel l’articolo 322-ter (CP, 640-quater). L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi del l’articolo 274.(CC, 279, 1). Der Überweisende kann, soweit vereinbart, dem Kreditinstitut den zu überweisenden Geldbetrag auch in bar zur Verfügung stellen (BGB, 233). o in un sintagma preposizionale: Le disposizioni dell’art. 29 e del secondo capoverso dell’art. 32 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo (CP, 33, 1). Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d’ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (CC, 126). Der Vormund kann den Mündel nicht vertreten: 1. bei einem Rechtsgeschäft zwischen seinem Ehegatten, seinem Lebenspartner oder einem seiner Verwandten in gerader Linie einerseits und dem Mündel andererseits, es sei denn, dass das Rechtsgeschäft ausschließlich in der Erfül lung einer Verbindlichkeit besteht […] (BGB, 1795, 1). Eine Willenserklärung, welche durch die zur Übermittelung verwendete Person oder Einrichtung unrichtig übermittelt worden ist, kann unter der gleichen Voraussetzung angefochten werden wie nach § 119 eine irrtümlich abgegebene Willenserklärung (BGB, 120). o in un avverbio: Quando revoca la sentenza di non luogo a procedere, il giudice, se il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, fissa l’udienza preliminare (418), dandone avviso agli interessati presenti e disponendo per gli altri la notificazione; altrimenti ordina la riapertura delle indagini (CPP, 436, 2). 207 9. CONDIZIONI RESTRITTIVE NEI CODICI TEDESCHI E ITALIANI di Marcello Soffritti 9.0.Introduzione e delimitazione del tema La ricerca sui linguaggi giuridici ha già largamente esplorato la terminologia di codici e leggi in Germania, Svizzera, Austria e Italia, e, con il ricorso a corpora, ha prodotto importanti analisi empiriche di aspetti sintattici, stilistici e pragmatici di testi della comunicazione giuridica (ad es. Höhmann 2005; Lombardi 2004; Wiesmann 2004; Heller 2003, ed altri). Ora si presenta l’occasione di approfondire l’inquadramento contrastivo e traduttivo della sintassi, della semantica e per certi versi della pragmatica dei costrutti condizionali in testi di legge tedeschi e italiani. Questa occasione deriva in particolare dal progetto, ormai concluso, di J. Visconti (qui ci si riferisce in particolare a Visconti 2007), volto a realizzare un lessico contrastivo plurilingue dei connettori ipotetici con particolare riferimento ai testi giuridici. In questo contributo mi propongo di discutere dettagliatamente la portata dell’approccio di Visconti utilizzando un corpus di codici tedeschi e italiani. Cercherò in particolare di chiarire fino a che punto sia applicabile la distinzione fra due classi fondamentali di connettori ipotetici (generici e restrittivi), e in che misura sia possibile trasferire i risultati dell’indagine in un lessico plurilingue degli stessi connettori. La funzione genericamente ipotetica e quella ipotetica-restrittiva sembrano riconducibili, in italiano, a due liste di connettori che, alme 203 Marcello Soffritti no nella comunicazione orale informale, si possono classificare con una certa chiarezza con l’aiuto di tratti pragmatici, sintattici, semantici e prosodici. Questa suddivisione basata sulla categoria della restrittività, molto plausibile dal punto di vista teorico, appare tuttavia meno agevole nei testi di legge italiani e soprattutto in quelli tedeschi, dove i connettori e le altre forme espressive utilizzate nei costrutti condizionali non sono altrettanto facili da classificare. Le questioni sul tappeto non riguardano solo l’analisi contrastiva dei linguaggi specifici, in quanto il lessico dei connettori ipotetici è concepito anche per consentire e facilitare traduzioni più precise. In questo contributo mi occuperò tuttavia soprattutto delle questioni descrittive e contrastive. Solo in una o più pubblicazioni future sarà possibile trattare le questioni traduttive con l’aiuto di corpora paral leli. Dal punto di vista metodologico mi propongo di approfondire i seguenti punti: • È sufficiente la classificazione lessicale dei connettori in senso stretto per descrivere adeguatamente la gamma di variazione delle espressioni ipotetiche? • Quali fattori pragmatici e testuali determinano l’uso di connettori restrittivi in testi giuridici normativi? •I parametri (e in particolare i parametri pragmatici) utilizzati da Visconti nel suo modello sono ugualmente rilevanti sia all’interno, sia al di fuori della comunicazione giuridica? •Si potrebbero proporre ulteriori categorie o parametri per classificare i connettori nel linguaggio della comunicazione giuridica? 9.1. La base di dati Le proposte di classificazione avanzate da Visconti, pur sviluppate partendo all’analisi di trattati internazionali, si riferiscono in linea di massima all’intera gamma dei testi giuridici. Nel mio contributo condurrò invece il confronto tra le espressioni ipotetiche entro una forma testuale specifica, cioè i codici di leggi. Questa delimitazione consente infatti non solo di ridurre a dimensioni gestibili la massa dei dati da 204 Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani esaminare, ma anche di utilizzare proficuamente una serie di risultati ottenuti in studi precedenti. Diversamente da una precedente pubblicazione (Soffritti 1999), in cui esaminavo solo il Codice Civile della Repubblica Federale Tedesca (Bürgerliches Gesetzbuch – BGB) e quello italiano (CC), mi avvalgo ora di una raccolta più vasta, composta per entrambi i Paesi dal Codice Civile (BGB e CC), dal Codice Penale (Strafgesetzbuch – StGB e CP) e dal Codice di Procedura Penale (Strafprozessordnung – StPO e CPP). In questo modo è garantita, in primo luogo, la congruenza tematica e testuale che deve stare alla base di ogni indagine comparativa. Si tratta infatti di codici, cioè di grandi raccolte di norme sviluppatesi in entrambi i Paesi nel corso di numerosi decenni, che debbono essere costantemente prese come riferimento per la comunicazione specialistica e l’intera prassi, compresa la legislazione corrente. Di qui è sorta anche una certa esemplarità linguistica dei codici, che si fa sentire chiaramente nella redazione delle singole leggi e che influenza in parte anche la semantica dei connettori ipotetici. D’altro lato, non si può attribuire a questo corpus una piena rappresentatività per l’intera sfera dei testi normativi (nel senso definito da Busse 2000), per le seguenti ragioni: (i) A differenza delle singole leggi di emanazione corrente, i codici sono stati soggetti, nel corso di numerosi decenni, a continui adattamenti e aggiornamenti, e questa stratificazione è avvertibile. (ii)I codici sono concepiti come raccolte suddivise in numerosi settori tematici, al cui interno valgono particolari condizioni di coerenza testuale e disciplinare non sempre presenti nelle leggi singole. (iii)A differenza di leggi singole, regolamenti e altre disposizioni applicative, i codici non contengono in genere riferimenti a concreti problemi quotidiani, liste dettagliate di oggetti o specifiche motivazioni di determinate misure. Resta dunque un vasto spazio per ulteriori approfondimenti, che sarebbero da dedicare non solo, come si è detto, a singole leggi, regolamenti e norme di applicazione, ma anche e soprattutto ai testi non normativi della comunicazione giuridica. Ecco i principali valori quantitativi del corpus utilizzato: 205 Marcello Soffritti Bürgerliches Gesetzbuch Articoli Parole 2.385 178.615 Codice civile Strafgesetzbuch 358 Parole 2.969 190.897 734 68.673 61.236 Codice penale Strafprozessordnung Articoli 495 72.185 Codice di Procedura Penale 1 746 + 260 + 36 135.913 1 Poiché non si devono fare particolari confronti statistici fra la parte italiana e quella tedesca del corpus, il fatto che la parte italiana sia sensibilmente più estesa non crea particolari inconvenienti. È invece certamente soddisfatta la condizione metodologica essenziale, vale a dire che ciascuna parte sia rappresentativa per l’uso linguistico della legislazione normativa nel relativo paese. 9.2. Aspetti metodologici 9.2.1. La classe dei connettori propriamente detti a confronto con la gamma delle espressioni ipotetiche Nel momento in cui si cerca di definire l’oggetto di questa indagine, ci si deve chiedere se si intenda isolare i connettori ipotetici come classe morfosintattica, cioè come un repertorio tendenzialmente chiuso di elementi che connettono le frasi, o se non sia meglio allargare la prospettiva a tutte le forme linguistiche con cui un’autorità normativa (nel nostro caso) formula nei suoi testi espressioni da intendere come condizioni. Ovviamente, porre questa alternativa non significa rifiutare l’ipotesi di un lessico dei connettori, bensì puntualizzare l’effettiva portata della classificazione di lessemi specifici delle singole lingue: i connettori (insieme alle frasi che collegano) non sono l’unico mezzo per esprimere condizioni. Le condizioni, al pari di molti altri col 1 Sono qui comprese due corpose raccolte di norme di applicazione, che fanno parte dell’edizione ufficiale. 206 Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani legamenti concettuali fra contenuti proposizionali astratti, si possono esprimere con diverse realizzazioni al di sotto del livello sintattico frasale (e non si intenda con ciò la loro semplice anaforizzazione). Come è già stato constatato in linea generale (Heller 2003 e Soffritti 1999), una condizione può essere espressa in diversissimi modi. Può essere contenuta in una costruzione ellittica: […] si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel l’articolo 322-ter (CP, 640-quater). L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi del l’articolo 274.(CC, 279, 1). Der Überweisende kann, soweit vereinbart, dem Kreditinstitut den zu überweisenden Geldbetrag auch in bar zur Verfügung stellen (BGB, 233). o in un sintagma preposizionale: Le disposizioni dell’art. 29 e del secondo capoverso dell’art. 32 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo (CP, 33, 1). Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d’ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (CC, 126). Der Vormund kann den Mündel nicht vertreten: 1. bei einem Rechtsgeschäft zwischen seinem Ehegatten, seinem Lebenspartner oder einem seiner Verwandten in gerader Linie einerseits und dem Mündel andererseits, es sei denn, dass das Rechtsgeschäft ausschließlich in der Erfül lung einer Verbindlichkeit besteht […] (BGB, 1795, 1). Eine Willenserklärung, welche durch die zur Übermittelung verwendete Person oder Einrichtung unrichtig übermittelt worden ist, kann unter der gleichen Voraussetzung angefochten werden wie nach § 119 eine irrtümlich abgegebene Willenserklärung (BGB, 120). o in un avverbio: Quando revoca la sentenza di non luogo a procedere, il giudice, se il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, fissa l’udienza preliminare (418), dandone avviso agli interessati presenti e disponendo per gli altri la notificazione; altrimenti ordina la riapertura delle indagini (CPP, 436, 2). 207 10. COERENZA DEL DIRITTO PRIVATO EUROPEO Il problema del multilinguismo di Gianmaria Ajani 10.1. Comparazione giuridica e traduzione La comparazione quale indagine sul ‘trapianto’ di norme giuridiche e sulle insidie della traduzione dei concetti in culture e ordinamenti diversi da quelli di origine ha negli anni recenti dato luogo a molteplici incontri interdisciplinari fra comparatisti, studiosi del diritto privato europeo, linguisti, studiosi dell’intelligenza artificiale 1. L’intensificar 1 È in quell’ambito che è stata attivata dal Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Torino una rete di ricerca europea denominata Uniform Terminology for European Law, finalizzata alla produzione di un repertorio digitale di concetti e regole in materia di diritti dei consumatori, strumento di ausilio dei progetti di armonizzazione delle regole nazionali che applicano la normativa europea: http://www.eulawtaxonomy.org. Il progetto aspira a presentare una più completa definizione dei termini impiegati sia al livello dell’acquis che dei diritti nazionali dei cinque maggiori sistemi giuridici dell’Unione (Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna) nella materia del diritto dei consumatori. I termini scelti per l’elaborazione del Syllabus sono quelli considerati significativi nel contesto del diritto europeo dei contratti sia dal punto di vista categoriale (quali «danno», o «conclusione del contratto»), sia da quello della prospettiva interpretativa (ad es.: la nozione di «chiaro e comprensibile», o di «pubblicità ingannevole»). Si vedano ampiamente G. Ajani - G. Boella - L. Lesmo - M. Martin - A. Mazzei - P. Rossi, A development tool for multilingual ontology-based conceptual dictionaries, in Proceedings of 5th International Conference on language resources and evaluation, Genova 2006; P. Rossi, Ontologie applicate e comparazione giuridica, Riv. Crit. Dir. Priv. (2004); P. Rossi - C. Vogel, Terms and concepts: towards a syllabus for European private law, European Review of Private Law (2004), 293, S. Ferreri, La lingua del legislatore. Modelli comunitari e attuazione negli Stati membri, Rivista 231 Gianmaria Ajani si di tali incontri e le pubblicazioni che ne derivano confermano la fertilità di tale approccio, che mira ad unire una componente descrittiva, la ricerca sulle modalità di produzione transnazionale delle regole, ad una di metodo; metodo che si interroga sugli effetti per il diritto positivo del contatto con norme elaborate in un contesto diverso da quello nazionale, e concepite, nonostante la finzione di pari status di tutte le lingue dell’Unione europea, in una lingua giuridica (o due) nella maggior parte dei casi diversa da quella di ricezione 2. Accanto ad una accelerata e diffusa produzione di modelli operativi (normativa sul controllo societario, ad esempio, o normativa antitrust) appartenenti al formante legislativo, modelli legittimati in quanto si è radicata l’idea che certe regole giuridiche siano un fattore di crescita dei mercati e di sviluppo economico, abbiamo assistito, negli anni più recenti, al ricorso a formule vaghe, principi generali, nozioni di sicura forza mediatica, ma dal contenuto difficilmente identificabile, o comunque non univoco. Si ha in ciò un processo di astrazione analogo a quello utilizzato dal diritto internazionale. L’idea di individuare norme comuni alle diverse nazioni, di portata globale, non è certo nuova, avendo essa fondato in buona misura i discorsi dei cultori del diritto internazionale classico volti a legittimare la disciplina; la pretesa di universalità ha rappresentato quindi un importante elemento di validazione del diritto internazionale, unitamente al formalismo. Si riproduce, in tal modo, la divisione di campo fra le competenze di analisi e valutazione della governance globale, proprie del diritto internazionale, che al fine di mantenere il grado di universalità inducono una esasperazione della generalità ed astrazione delle regole, e le competenze di raffronto ed armonizzazione delle culture giuridiche, proprie del diritto comparato, che vengono paralizzate da una diffusa consapevolezza dei limiti all’integrazione dir. civ. 2 (2004), 561 ss., nonché. G. Ajani - M. Ebers (eds.), Uniform terminology for European contract law, Baden Baden 2005. 2 Connessa a ciò è poi la considerazione che la «lingua del diritto» possa utilizzare terminologie differenti anche qualora le lingue di comunicazione siano la stessa. Ciò vale sia in senso orizzontale (ad esempio il francese del diritto belga e il francese del diritto francese), sia in senso verticale (l’italiano di una direttiva e l’italiano della normativa di attuazione). 232 Coerenza del diritto privato europeo rappresentati dai particolarismi e dalle diversità. È evidente il caso dell’Unione europea; il processo di allargamento giunto a compimento in questi anni (2004-2007) è stato inaugurato all’inizio degli anni ’90 dalla inclusione della nozione di Rule of law entro gli Accordi di associazione stipulati fra la Comunità e gli Stati dell’Europa centroorientale per preparare all’adesione le economie e i sistemi giuridici degli Stati candidati 3. Ma la questione può essere ancora più complessa: la determina zione di standards di riferimento per il trapianto di norme entro alcune macro-nozioni, quali Rule of law, Governance, Due process, sembra poter veicolare importanti mutamenti al momento della recezione proprio in forza della natura ingenua (ossia non tecnica) del linguaggio che le caratterizza. Una distanza dal dato tecnico contingente che è ulteriormente moltiplicata da traduzioni ambigue o inaffidabili, estranee al contesto dato da prassi e istituzioni. Fare ricerca sull’adattamento e trapianto della norma è da tempo una delle attività preferite dal comparatista; è, tuttavia, quello che stiamo qui osservando, un lavoro diverso: la pratica attuale del l’innovazione giuridica rende la ricerca sul processo di costruzione della norma ancora più peculiare, in quanto insiste nell’esaminare il ruolo di quei soggetti (in primo luogo le organizzazioni finanziarie internazionali) che, pur privi di un modello giuridico formale (potremmo dire di un sistema di norme) proprio, sottolineano la funzione del modello economico che si intende vestire di forme giuridiche. La strumentalità dell’innovazione legislativa rispetto alla performance economica diviene così il paradigma dominante, utile a giustificare e legittimare il processo di trapianti di norme da sistemi economicamente maturi a sistemi in transizione o in sviluppo 4. Cfr. B. Pasa, Gli Accordi di Associazione ed i partenariati di adesione con i Paesi dell’Europa centro-orientale, I. Questioni generali, cap. 9, in I nuovi contratti. Il diritto privato nella giurisprudenza, dir. da P. Cendon, Torino 2004. 4 Si ha con ciò una ripresa di certi discorsi già condotti negli anni ’60, al l’epoca della decolonizzazione e della offerta, ai nuovi stati indipendenti del l’Africa e dell’Asia, di modelli giuridici di «buon funzionamento» della società e dello Stato. Oggi, tuttavia, l’enfasi è su una più intensa universalità (fondata sull’idea di «mercato efficiente») dei modelli, mentre all’epoca del «diritto per lo sviluppo» i modelli venivano ricercati nelle diverse storie costituzionali dei Paesi colonizzatori. Non è certo casuale che la nozione di good governance, coniata al 3 233 11. LA LINGUA DEL LEGISLATORE EUROPEO di Silvia Ferreri 11.0. Premessa Quando i giuristi dei diversi Stati membri dell’Unione europea si ritrovano per qualche occasione di lavoro esiste un tema comune che li riunisce: è la solfa, il refrain, il leitmotiv sulla povera qualità della legislazione europea. Ogni osservatore locale ha il proprio repertorio di assurdità linguistiche, di ibridi mal riusciti, di espressioni infelici imputabili al le fucine di Bruxelles: i giuristi dei diversi Stati, spesso così polemici sulle soluzioni da seguire di fronte ai problemi che il commercio internazionale pone, o alle difficoltà di dare effetto a procedimenti giudiziari stranieri, ritrovano l’unanimità e il consenso nel deprecare l’imprecisione, l’ambiguità, la carenza delle fonti sopranazionali. Così almeno un effetto aggregante si verifica: l’unione non sulle regole, ma … contro il legislatore comune. Quando il legislatore europeo parla di «professionista» in realtà – si dice – intende il «contraente di mestiere» anziché occasionale (non il «professionista intellettuale» o il praticante di una «professione liberale»); quando la CE parla di «clausola abusiva» in realtà intende clausola «vessatoria», e clausola «stipulata malgrado la buona fede» significa in realtà «contro la buona fede» 1; un remedy non è davvero un 1 Direttiva 93/13/CE, 5 aprile 1993, art. 3: «[…] una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, malgrado 247 Silvia Ferreri remedy (che implicherebbe il pagamento di damages); una warranty non è una vera warranty, ma una guarantee, piuttosto, ecc. 11.1. Quali sono i rimproveri più ricorrenti? I giuristi imputano agli uffici responsabili della redazione di direttive e regolamenti comunitari di dedicare poca attenzione al versante propriamente giuridico degli atti normativi via via varati: ci si lamenta che i negoziati, le contrattazioni a Bruxelles (e Strasburgo per il Parlamento europeo) guardino più ai risultati in senso economico, alla risoluzione di un intralcio commerciale, allo scarso o limitato accesso ai servizi per i cittadini europei, piuttosto che agli esatti rimedi, ai procedimenti giuridici che vengono introdotti. In qualche modo questa distribuzione dell’attenzione del legislatore europeo è anche testimoniata dai preamboli degli atti normativi, ad esempio nelle direttive, dove si enunciano gli obbiettivi da raggiungere, spesso estesamente illustrati da numerosi considerando, mentre la parte normativa, gli articoli effettivamente vincolanti sono pochi, sommari, scritti in un linguaggio volutamente atecnico, che cerca di non aderire ad un modello nazionale troppo visibile, troppo identificabile. Il legislatore sopranazionale cerca di non sbilanciarsi troppo a favore di uno degli Stati (o, peggio, verso una soluzione nordamericana): anche se talvolta qualche termine propriamente anglofono entra nella terminologia, ad es. in materia societaria o nell’area della responsabilità da prodotto difettoso. Non accennerò (se non in modo incidentale, ad es. rispetto al «supporto durevole») al problema del modo in cui termini anglofoni stingano sulle altre lingue. Alcuni esempi sono divertenti: come il caso in cui un collega ha parlato a proposito dei difetti che colpiscono il bene venduto di «vizi che affettano il bene» (da «defects affecting the good») o altri parlano di «scannare un testo scritto (da «scanner»). E, dal francese, stinge sulla nostra Cassazione l’idea di «una funzione di orientamento e indirizzo che […] svolgono gli arresti della Corte Europea» 2. Anche l’espresil requisito della buona fede determina un significativo squilibrio dei diritti degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». 2 Cass., sez. lav., 27 marzo 2004, n. 6173. 248 La lingua del legislatore europeo sione, talvolta ricorrente nella pubblicità, su un «tappeto resiliente» lascia spazio a qualche incertezza sulla provenienza della definizione (forse una restituzione di un termine originariamente latino? Così come capita quando un Lord inglese risponde all’interrogazione in Parlamento: content?). Un gergo speciale è in azione, al di là del linguaggio che tutti dominiamo. Tornando alla questione delle lamentele, anche il carattere indefinito, vago, di alcune previsioni come il concetto di «consumatore informato» suscitano reazioni analoghe a quelle che si sono spesso indirizzate alle convenzioni internazionali 3. In sostanza i giuristi spesso criticano il carattere sommario, empirico, giuridicamente impreciso delle fonti europee: coniugato però – in modo curioso – ad una qualche ricercatezza linguistica. Ad esempio, leggendo le versioni inglesi dei regolamenti europei e delle direttive, si nota un’abbondanza di espressioni latineggianti, di formule lontane dal linguaggio corrente: causa di frequenti commenti irridenti da parte dei lettori più severi 4. 3 Nel volume del 1998 sulle Fonti scritte del diritto, nel Trattato Sacco di diritto civile, I, Torino, Utet, avevo dedicato un paragrafo alle formule «elastiche» (p. 306); P. Tiersma nel volume del 1999, Legal language, ricorda a sua volta il prudent investor delle convenzioni internazionali. 4 A titolo di esempio si nota l’uso del verbo to permit quando normalmente diremmo to allow; si usa consent in luogo di agreement (art. 9 nella 97/7/EC, Distance Selling Directive), inertia selling (piuttosto che unsolicited goods, più corrente) nella stessa direttiva, ecc. Per evitare di ripetere i richiami, rinvio all’intervento al convegno di Trento: «Interpretazione e traduzione del diritto» (30 novembre 2007), http://www.jus.unitn.it/services/arc/2007/1130/docs/Ferreri_convegno_ traduzione_trento.pdf. In Inghilterra (come – ad altri fini – in Australia, negli Stati Uniti e altrove), esiste una Plain Language Association che è alquanto feroce nel dissezionare i provvedimenti europei, nel metterli alla berlina per l’eccesso di fumosità e nel riscrivere i testi dimostrando come sarebbe possibile limitare il numero di parole adoperate e sciogliere l’espressione ermetica: le accuse al legal lingo, al gobbledygook europeo sono abbastanza cocenti. Si veda Plain Language International Association (http://plainlanguagenetwork.org/stephens/intro.html): tra l’altro vi si trovano alcune direttive comunitarie riscritte secondo le regole della trasparenza linguistica, con semplificazioni della sintassi, correzione della punteggiatura ecc. 249 12. Linguismo euruniònico e redazione della norma comunitaria scritta Prime riflessioni di Elena Ioriatti Ferrari 12.0. Introduzione La norma comunitaria scritta costituisce il risultato di un procedimento di redazione complesso 1. Questa complessità è riconducibile in primo luogo all’assenza di un’attribuzione funzionale unitaria del potere normativo comunitario ad una specifica istituzione: nell’ambito del c.d. «Primo pilastro» il potere normativo è condiviso tra dalla Commissione e dal Consiglio, unitamente al Parlamento europeo 2. La «funzione legislativa» 3 comu 1 A. Vedaschi, Istituzioni europee e tecnica legislativa, Giuffrè, Milano, 2001; P. Raworth, The legislative process in the European Community, Deventer - Boston, Kluwer Law Taxation Publisher, 1993; T.C. Hartley, The foundations of European Community law, Oxford, Oxford University Press, 2003; M. Westlake - D. Gal loway, The Council of the European Union, London, John Harper Publishing, 2006. 2 Organi consultivi sono inoltre il Comitato Economico Sociale e il Comitato delle Regioni. Alla Banca Centrale Europea (art. 266 ss. TCE) è inoltre attribuita competenza di iniziativa normativa che attiene alla «Unione economica e monetaria» (art. 266 ss. TCE). Accanto alle istituzioni alle quali i Trattati attribuiscono formalmente la funzione legislativa, deve essere inoltre annoverata la Corte di Giustizia delle Comunità europee, per l’importanza del ruolo assunto non solo nell’attuazione, ma altresì nella creazione del diritto comunitario: A. Barav, Omnipotent Courts, in D. Curtin - T. Heukels, Institutional dynamics of European integration. Essay in honour of Henry G. Schermers, Dordrecht - Boston - London, Martinus Nijhoff Publisher, 1994. 3 Critico nei confronti di una struttura del potere legislativo che avrebbe perso l’iniziale connotazione di separazione dei poteri federale: R. Schütze, The 261 Elena Ioriatti Ferrari nitaria è quindi il risultato di una dinamica collaborazione tra poteri, orientata verso l’adozione di atti normativi 4. All’assenza di un’attribuzione unitaria del potere normativo è inoltre ricondotta la mancanza di una procedura unica per l’adozione degli atti comunitari; il modo di produzione del diritto comunitario secondario si può infatti articolare in cinque differenti procedimenti decisionali, ognuno dei quali riflette il diverso modo di atteggiarsi dei rapporti fra le tre istituzioni che compongono il c.d. Triangle Institutionnel 5. Ad oggi, la procedura più utilizzata è la codecisione, il cui potenziamento costituisce il risultato dello sforzo di coinvolgere il Parlamento europeo nel procedimento normativo con funzioni non solo consultive, ma decisionali. Questa scelta, di carattere democratico, ha però accresciuto ulteriormente la complessità della procedura di redazione soprattutto delle direttive e dei regolamenti, aggiungendo al già complicato iter redazionale comunitario nuove fasi e nuovi attori. Fornire un quadro dettagliato degli innumerevoli passaggi ai quali è sottoposto il testo normativo dall’iniziativa della Commissione al l’approvazione in Consiglio esula dallo scopo di questo lavoro. Basti qui segnalare un dato temporale: il completamento della sola fase di redazione di una proposta normativa da parte della Commissione può durare alcuni anni 6. Un ulteriore elemento di complessità della produzione normativa comunitaria dipende dal fatto che essa non avviene su base consensuale, bensì istituzionale 7 ed è quindi spesso svincolata dal consenso morphology of legislative power in the European Community: legal instruments and the federal division of powers, in P. Eeckhout - T. Tridimas (eds.), Yearbook of European law, Oxford, Oxford University Press, 2006, 148 ss. 4 Identifica il legislatore europeo nell’ambito dei rapporti dialettici tra «organi legislativi parziali» B. Nabli, La figure du législateur de l’Union européenne, Revue française de Droit Constitutionel (2007), 696. 5 Il parere conforme, la procedura di consultazione, la cooperazione. La concertazione, introdotta con la Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione del 4 marzo 1975, ad oggi è sostanzialmente assorbita dalla codecisione. R. Corbett - F. Jacobs - M. Shackleton, The European Parliament, London, John Harper Publishing, 2005. 6 Raworth, The legislative process in the European Community cit., 30. 7 Scannicchio, Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti, in N. Lipari (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, I, Padova, Cedam, 2003,100. 262 Linguismo euruniònico e redazione della norma comunitaria scritta di tutti gli Stati partecipanti 8. A differenza del diritto internazionale, la norma comunitaria scritta è il prodotto degli stessi organi del l’Unione e non l’oggetto di una Convenzione tra Stati. Ciò nonostante, l’ordinamento comunitario è ancora dominato da logiche tipiche dell’ordinamento internazionale 9, le cui conseguenze si ripercuotono sul contenuto della norma. Come in ambito internazionale, anche nel contesto comunitario i delegati degli Stati membri percepiscono il proprio ruolo come una funzione diplomatica, piuttosto che legislativa 10. Obiettivo principale dei delegati/redattori della norma non è quindi l’accordo sui contenuti giuridici, sul futuro operativo del testo normativo; piuttosto, si persegue l’obiettivo di fissare sulla carta il risultato del negoziato, inteso come accordo politico sulle frasi, sulle parole. Come nel diritto internazionale, questa tecnica di redazione tiene poco conto della necessità di riuscita della comunicazione del messaggio contenuto nella norma, ossia della regola da applicare 11. Nell’ambito del Consiglio i compromessi dell’ultimo minuto, particolarmente frequenti in alcune aree del diritto comunitario quali l’ambiente o l’agricoltura, vengono così trasposti in testi formulati o modificati frettolosamente e quindi a volte poco chiari 12; non è raro che il compromesso stesso venga raggiunto grazie alla formulazione di un testo intenzionalmente vago, in modo da consentire al delegato nazionale di dichiarare raggiunto l’obiettivo del proprio mandato. Cfr. i casi nei quali le norme del Trattato richiedono non l’unanimità, ma la maggioranza (semplice o qualificata). Ad esempio l’art. 95 TCE, che attribuisce alla Comunità europea la competenza a procedere al riavvicinamento delle legislazioni. 9 L. Sico, Il diritto dell’Unione europea nei rapporti con il diritto internazionale, in P. Fois - R. Clerici, I caratteri del diritto dell’Unione Europea, Padova, Cedam, 2007, 61. 10 T. Gallas, EC-law between social message and record of agreement. How the theory of legislation can contribute to the understanding practical problems of negotiated law, in L. Wintgens - P. Thion - M. Carly (eds.), The theory and practice of legislation: essays in legisprudence, Hants (England), Aldershot, 2005. 11 Ibidem. 12 R. Wainwright, Techniques of drafting European Community legislation: problems of interpretation, Statute Law Review (1996), 12. 8 263 13. Unione europea Accesso al diritto e molteplicità delle lingue di Pascale Berteloot La vita sociale, personale, commerciale, economica non si svolge più unicamente a livello di una regione o dello Stato, ma anche a livello di continente e a livello mondiale. L’accesso al diritto nazionale di ciascuno degli Stati membri del l’Unione europea e l’accesso al diritto europeo – che possono ancora migliorare nell’ambito dell’evoluzione delle tecnologie – sembrano realizzati. Il cittadino può accedere facilmente alle norme, molte volte anche alla giurisprudenza dell’Unione europea e nel suo Stato e nella sua lingua. In questo contesto le esigenze attuali fanno riferimento al la qualità, leggibilità e comprensibilità delle norme. Ciò vuol dire che gli sforzi da parte dello Stato e dell’amministrazione incaricata della diffusione del diritto devono essere editoriali. Adesso, in un mondo più globalizzato, i cittadini e i giuristi di tutte le professioni hanno bisogno dell’accesso ai diritti nazionali dei vicini. Questo bisogno è nato negli ultimi anni ed è stato riconosciuto in vari testi e con varie azioni. I bisogni d’accesso ai diritti nazionali sono da sempre legati alle misure di recepimento delle direttive di diritto comunitario, ma lo sviluppo del principio di sussidiarietà 1 dall’entrata in vigore del trattato di Maastricht, che rileva l’importanza del diritto nazionale e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni introdotta dallo 1 Art. 3 B, Trattato sull’Unione europea. 313 Pascale Berteloot stesso trattato 2, da allora in crescita continua, hanno in gran parte contribuito a porre nuove categorie di persone – giuristi o no – di fronte alla necessità di accedere ai diritti degli altri Stati membri del l’Unione. Queste necessità sono state espresse alle riunioni di un gruppo di lavoro del Consiglio dell’Unione europea, il gruppo Informatica giuridica, che riunisce due volte all’anno specialisti di tutti gli Stati membri in materia 3. Questo gruppo ha promosso lo sviluppo, da parte dell’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, del sito N-Lex 4, stimolando una riflessione sull’accesso centralizzato alla giurisprudenza nazionale. Secondo i termini stessi del sito, N-Lex è «un’interfaccia che permette di accedere alle banche dati ufficiali legislative di 23 Stati membri dell’Unione europea […] N-Lex mette a disposizione un modulo di ricerca uniforme, disponibile in 22 delle lingue ufficiali dell’UE». È anche interessante rilevare che, nel corso degli ultimi mesi, il Consiglio ha adottato una risoluzione ed una decisione che interessano entrambe il settore dell’accesso al diritto nazionale degli Stati membri. Su invito della presidenza francese dell’Unione europea nel secondo semestre 2008, il Consiglio Competitività ha adottato nella riunione del 25 e 26 settembre 2008 delle risoluzioni sul miglioramento della regolamentazione 5; al punto 9 si auspica «la prosecuzione dei lavori sul miglioramento del collegamento tra EUR-Lex 6 e le banche dati sulle legislazioni nazionali degli Stati membri, quale reso possibile da N-Lex» 7. In un altro contesto, il Consiglio ha adottato nel dicembre 2008 una risoluzione sulla creazione di una rete di cooperazione legislatiArt. 29, Trattato sull’Unione europea. Tutti i documenti di lavoro di questo gruppo sono nel sito ufficiale del Consiglio nel registro pubblico sotto la voce «JURINFO»: http://www.consilium. europa.eu, «Documenti». 4 Si veda http://eur-lex.europa.eu/n-lex/. 5 Si veda Comunicato Stampa della 2891a sessione, nel registro pubblico del Consiglio, documento 12959/1/08 REV 1. 6 L’accesso diretto e gratuito al diritto dell’Unione europea è disponibile nel sito http://eur-lex.europa.eu. 7 Il documento adottato è disponibile nel registro pubblico del Consiglio sotto il numero 13148/08. 2 3 314 Unione europea: accesso al diritto e molteplicità delle lingue va dei ministeri della giustizia 8 per la «promozione di una migliore comprensione delle leggi degli altri Stati membri» e per «potenziare l’accesso alle informazioni di cui dispongono i ministeri della giustizia degli Stati membri dell’Unione europea sulla legislazione in vigore, sui sistemi giudiziari e giuridici e sui grandi progetti di riforma giudiziaria». La risoluzione prevede anche di rendere «accessibili i risultati delle ricerche di diritto comparato effettuate dai ministeri della giustizia di ciascuno Stato». Si aggiunga che spesso, a livello dei Parlamenti nazionali, al momento della discussione di una riforma legislativa importante, sono effettuati anche studi di diritto comparato. La descrizione di questo contesto mostra quanto l’accesso al diritto degli stati vicini sia ora richiesto. Al momento dei primi sviluppi di N-Lex, quattro tipi di ostacoli erano stati identificati, di cui uno era l’ostacolo linguistico 9. Le banche di dati nazionali sono sviluppate nella lingua nazionale di uno Stato. Le lingue nazionali prese in considerazione come lingue ufficiali dell’Unione europea sono attualmente 23. Ritenendo che un utente di qualsiasi Stato membro può avere bisogno di conoscere il diritto nazionale di qualsiasi altro Stato, si arriva alla necessità di gestire 506 combinazioni linguistiche. Infatti, se N-Lex offre effettivamente un’interfaccia in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, i risultati appariranno sempre nella lingua della base nazionale. L’interfaccia plurilingue può facilitare la ricerca secondo criteri formali quali la data o il numero di un atto, ma alle volte la ricerca per parola non potrà essere realizzata che nella lingua della base. A titolo d’aiuto, l’utente di N-Lex ha accesso al thesaurus Eurovoc 10 che descrive l’attività europea in tutte le lingue, ma – oltre che poco sviluppato nel settore giuridico – quest’ultimo non è adatto alla ricerca in basi di diritto nazionale. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, C326, 20.12.2008, 1. I tre altri ostacoli erano tecnici (relativi alla stessa concezione di ciascuna delle banche dati nazionali), giuridici (la conoscenza delle strutture giuridiche elementari del diritto straniero è indispensabile) e documentari (i metadati documentari associati in ciascuno dei sistemi ai documenti divergono fortemente e non permettono sempre l’utilizzazione degli stessi criteri di ricerca). 10 Si veda http://europa.eu/eurovoc/. 8 9 315 Pascale Berteloot Per quanto riguarda i risultati di una ricerca, i più ottimisti ritengono che a breve scadenza la traduzione automatica darà risultati sorprendenti. Le nuove tecniche basate non sull’analisi linguistica comparata, ma su calcoli statistici sono forse un’apertura. Esse però sono basate sul trattamento di corpora di testi molto importanti che saranno sempre più voluminosi e daranno risultati migliori per lingue molto utilizzate rispetto a corpora inevitabilmente più ridotti in lingue aventi un numero più ristretto di interlocutori 11. Questi elementi bastano a dimostrare la complessità della questione d’accesso ai diritti nazionali degli stati vicini, tanto più che l’ostacolo è certamente linguistico, ma si noterà – come tutti quelli che hanno lavorato nel settore «lingua e diritto» sanno – che oltre alla conoscenza della lingua generale e della lingua di specialità, come in ogni settore professionale, la comprensione esige in questo campo anche una conoscenza delle strutture e dei concetti di base del diritto straniero. Il principio è dunque che senza conoscenza della lingua nazionale, l’accesso al contenuto di un sistema elettronico d’informazione giuridica di diritto straniero resta molto problematico. Anche se nel caso di stati bi- o plurilingui 12 nei quali la legislazione esiste ed è diffusa in due o più lingue nazionali, il diritto è accessibile in più d’una sola lingua, nella maggioranza dei casi la questione resta insolubile, salvo conoscenza delle lingue nazionali dello Stato di cui si vuole consultare la legislazione e la giurisprudenza. Si può tuttavia pensare a proposte di soluzioni che potrebbero essere oggetto di raccomandazioni a livello politico. La Svizzera ha sviluppato il suo sistema d’accesso al diritto in modo multilingue, nelle quattro lingue ufficiali del paese, cioè il tedesco, il francese, l’italiano e il ladino, ma aggiungendo una lingua veicolare comune e neutrale rispetto alle lingue nazionali della Confederazione elvetica, scelta anche per coloro che non parlano alcuna delle lingue nazionali, l’inglese 13. 11 Per un’informazione aggiornata in materia di traduzione automatica, si veda Y. Wilks, Machine translation, its scope and limits, Springer 2009. 12 Ad es. il Belgio, con francese, olandese e tedesco, Malta con inglese e maltese e la Finlandia con finlandese e svedese. 13 Per il sito ufficiale sviluppato dalle Autorità federali della Confederazione svizzera, si veda http://www.admin.ch/ch/f/rs/rs.html. 316 14. Il linguaggio giuridico nella prospettiva computazionale di Daniela Tiscornia 14.1. Introduzione Per quanto potenti ed in grado di trattare enormi masse di dati, la capacità dei mezzi informatici di gestire efficacemente l’informazione digitale è condizionata dalle «barriere linguistiche» cioè dalla possibilità di raggiungere i contenuti al di là della formulazione linguistica, in modo da trasformare i dati in conoscenza «comprensibile» ed elaborabile dai programmi. Senza strumenti che consentano di catalogare, selezionare ed interpretare la massa di dati distribuita dalla rete, l’informazione diventa ingestibile ed inutile, ne è prova l’enorme impiego di risorse umane e finanziarie destinate all’iniziativa del cosiddetto «web semantico». Considerata la dimensione sociale dell’informazione normativa, per cui garantire la conoscenza significa da un lato accrescere la capacità conoscitiva dell’utente, dall’altro soddisfare un più generale obbligo di informazione che grava sulle istituzioni statali, l’accesso ai contenuti è un tema strategico anche per l’informatica giuridica. Nel dominio del diritto il trattamento della conoscenza deve inoltre misurarsi con la grande frammentarietà e disorganicità dei dati normativi e con la necessità di garantirne l’autenticità e l’aggiornamento nonostante il rapido succedersi e stratificarsi delle fonti. Il Semantic Web adotta un approccio ‘cognitivo’, con lo scopo di fondare la comunicazione su modelli di descrizione indipendenti dal linguaggio e quindi formalizzati, ma in grado di cogliere la dimensione sociale nella formazione dei significati e quindi di trattar- 321 Daniela Tiscornia ne gli aspetti pragmatici del linguaggio su cui basare la condivisione. Tale esigenza diventa determinante in un dominio come quello giuridico, dove i processi di interpretazione e applicazione del testo normativo sono fattori costitutivi della conoscenza giuridica. Va notato che gli approcci delle tecnologie dell’informazione, in qualsiasi settore si collochino, sono caratterizzati da una prospettiva pragmatica, dettata dalla necessità di risolvere problemi ben individuati e definiti; questo può essere un vantaggio perché semplifica le scelte metodologiche, valutate sulla base dei risultati concreti piuttosto che sulla base di assunzioni di partenza, e in ultima analisi può fornire elementi interessanti di valutazione anche sul piano della investigazione teorica. Lo scopo di questo contributo è perciò di descrivere alcuni approcci all’analisi del linguaggio del diritto destinato al trattamento computazionale dei testi giuridici, in particolare mettendo in luce il ruolo che i metodi ‘ontologici’ possono giocare per affrontare la semantica giuridica. La nozione di ontologia applicata, emersa negli ultimi anni come elemento fondante di una teoria cognitiva e computabile del significato, costituisce la vera novità nel settore informatico per affrontare la gestione dei contenuti. L’obbiettivo è la rappresentazione di significati condivisi, attribuiti agli elementi della realtà fisica o sociale da una comunità di ‘consociati’, attraverso cui diviene possibile la comunicazione, significati non necessariamente univoci, né universalmente accettati. L’ingegneria ontologica studia le assunzioni di significato che guidano la percezione della realtà, la concettualizzazione individuale e la condivisione dei significati che è implicita nei processi comunicativi, per riuscire così a trasferire tale conoscenza nelle macchine. 14.2. Linguaggio e diritto Esiste una stretta connessione fra diritto e linguaggio, caratterizzata dalla coesistenza di due sistemi autonomi, ma strutturalmente affini: entrambi sono dotati di regole che sottostanno alla costruzione del sistema steso, ne guidano l’evoluzione e ne garantiscono la coerenza. Entrambi sono condizionati dalla dimensione sociale in cui si 322 Il linguaggio giuridico nella prospettiva computazionale collocano, per cui fissano e definiscono il loro oggetto in relazione a un contesto culturale e dinamico. L’interrelazione fra linguaggio e diritto non è simmetrica, perché esiste una stretta dipendenza del diritto dalla sua espressione linguistica: il diritto deve essere comunicato, e la trasmissione del le regole sociali e giuridiche passa in gran parte attraverso la loro espressione scritta ed orale. Anche quando i comportamenti assurgono a regola esiste quasi sempre una fase di verbalizzazione che ne consente l’identificazione o il riconoscimento; anche se il diritto non può essere ridotto al linguaggio che lo esprime, nonostante ciò, non può sfuggire alla propria testualità. Nei documenti giuridici convivono perciò due tipi di informazioni semantiche associate agli elementi del testo, da un lato, «there is ontological structuring in the form of a conceptual model of the legal domain, consisting of a complex structure of concepts, forms and abstraction from legal textual material», dall’altro «there is a vocabulary of lexical items that lexicalize concepts, which are not necessarily restricted to the legal domain, and are associated with specific linguistic information» 1. Ulteriore caratteristica del discorso giuridico è l’articolazione in più livelli: il linguaggio del diritto, con cui il legislatore enuncia il diritto, ed il linguaggio dei giuristi, che parlano del diritto per studiare, classificare comparare, e per elaborare norme individuali 2. Tale struttura a più livelli incide sulle caratteristiche stilistiche del discorso, sulla tecnicità (maggiore nel linguaggio legislativo), sulle caratteristiche logiche, (il linguaggio dei giuristi è per, sua natura un metalinguaggio), sulla semantica, in particolare sul ruolo della giurisprudenza nella assegnazione dei significati estensionali dei concetti open textured. La sovrapposizione fra linguaggio e conoscenza diventa cruciale nei contesti multilingui, ove i complessi temi della traduzione giuriPeters - Sagri - Tiscornia (2006). «L’elaborazione, l’interpretazione e l’applicazione del diritto hanno bisogno di operazioni di carattere diverso […] Il loro svolgimento implica da un lato l’enunciazione del diritto, la quale avviene nel linguaggio del diritto, e dall’altro un discorso sul diritto, che a sua volta avviene nel linguaggio dei giuristi» (Kalinowski 1965, 197). 1 2 323 Daniela Tiscornia dica coinvolgono traduzione e comparazione 3 ed, a maggior ragione, in ambito comunitario a causa del plurilinguismo istituzionale 4. Le differenze tra i sistemi giuridici nazionali ed i moduli linguistici comunitari, generate dai complessi processi di mediazione linguistica nella fase di redazione, hanno prodotto un linguaggio giuridico diplomatico, ‘contrattato’ tra i vari operatori, tale da garantire l’univocità dei significati espressi dalle versioni ufficiali 5. Ciò si scontra con le diversità che da sempre caratterizzano i sistemi giuridici europei e comporta quindi lo stratificarsi di un linguaggio ‘europeo’, spesso avulso dal linguaggio utilizzato nei testi giuridici nazionali. 14.3. L’analisi logica del linguaggio giuridico Dal punto di vista delle tecnologie dell’informazione, l’obiettivo è, come si è detto, squisitamente concreto: in primo luogo, consentire all’utente di raggiungere le fonti di informazioni in modo preciso e completo, lasciandone l’interpretazione e la rielaborazione al destinatario; in applicazioni più complesse, fornire conoscenza rielaborata ed integrata attivando processi di ragionamento per la soluzione di problemi specifici. Senza entrare in dettagli tecnici, si è soliti ricondurre il primo filone ai temi dell’information retrieval, il secondo ai temi della rappresentazione della conoscenza. In entrambi i settori, l’analisi logica dei documenti giuridici gioca un ruolo determinante. L’analisi del lessico giuridico è volta alla costruzione di reti terminologiche concettualmente consistenti, organizzate in strutture semanticamente coerenti con i contesti giuridici, utilizzate dai mo 3 Per uno sguardo di insieme su un tema oggetto di vastissima letteratura, si veda il numero monografico La traduzione di informazioni giuridiche, Ars Interpretandi, Annuario di Ermeneutica giuridica, Traduzione e Diritto 5 (2000), Padova, Cedam. Agli aspetti di confronto ed integrazione fra comparatisti, ontologi e linguisti è dedicato il volume The multilingual complexity of European law. Methodologies in comparison, ed. by G. Ajani, G. Peruginelli, G. Sartor and D. Tiscornia, Firenze, European Press Academy Publishing, 2007. 4 Rossi (2007). 5 Gallas (2006). 324 Il linguaggio giuridico nella prospettiva computazionale tori di ricerca per espandere concettualmente la ricerca indipendentemente dalla formulazione linguistica delle domande, in modo da rintracciare contenuti affini o espressi in lingue diverse. Sul piano della rappresentazione della conoscenza, l’analisi del linguaggio ha come oggetto le strutture testuali dei documenti giuridici, per identificare strutture linguistiche isomorfe ai modelli logici di rappresentazione delle norme, ad esempio, attraverso l’analisi dei connettivi proposizionali fra enunciati legislativi 6 e la classificazione degli enunciati legislativi in base alla funzione normativa 7. Altri aspetti riguardano l’analisi della struttura narrativa dei testi per il riconoscimento dei modelli argomentativi impliciti nelle pronunzie giudiziarie 8. Sia nella costruzione dei lessici che nella formalizzazione di schemi di ragionamento e di strutture retoriche, la metodologia per il trattamento degli aspetti semantici è basata su strutture concettuali a vari livelli di formalizzazione, chiamate «ontologie». 14.4. L’approccio ontologico Sul piano teorico, la moderna accezione di ontologia ha inizialmente echeggiato il «metodo ontologico», come concepito dai filosofi classici, teso ad obiettivi ben più ambiziosi degli attuali, quali la spiegazione degli elementi costitutivi della realtà, attraverso lo sviluppo di teorie che ne cogliessero l’essenza. La connotazione epistemologica è stata poi progressivamente abbandonata a favore di una prospettiva descrittiva; secondo Barry Smith 9: «L’ontologia descrittiva o realista non cerca una spiegazione bensì una descrizione della realtà nei termini di una classificazione di entità che sia esaustiva … nel senso che vi siano inclusi tutti i tipi di entità, compresi i tipi di relazioni con cui le entità sono legate insieme». 6 7 8 9 Allen (1958). Biagioli (2007). Mochales Palau - Moens (2008). Smith (2003), 156. 325 15. Referenti in testi normativi * di Giuseppe Lorini La véritable éloquence consiste à dire tout ce qu’il faut, et à ne dire que ce qu’il faut. La vera eloquenza consiste nel dire tutto e soltanto ciò che deve essere detto. (François de La Rochefoucauld) 15.0.Cinque specie di termini designativi nei testi normativi 15.0.1. Il presente saggio si propone di indagare la referenza nei testi normativi, esaminando un sottoinsieme dei termini che compaiono nei testi normativi: i termini designativi 1. In particolare, esaminerò i termini designativi che ricorrono in un particolare testo normativo: la Carta dei diritti fondamentali del l’Unione europea [Charter of fundamental rights of the European Union, Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Charta der Grundrechte der europäischen Union], proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. * Il presente saggio è dedicato a Maria-Elisabeth Conte (Soest in Westfalen, 12 novembre 1935 - Pavia, 6 marzo 1998), esploratrice dei riferimenti anaforici, nel decennale della sua scomparsa. 1 Ricordo che di «segni designativi nel linguaggio in uso normativo» parla già Uberto Scarpelli nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo, 1959, 1985, 119. 339 Giuseppe Lorini 15.0.2. Quali specie di «termini designativi» appaiono nel testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea 2? Nel testo della Carta, ho individuato almeno cinque differenti specie di termini designativi, che ho distinto in base al tipo di entità alla quale i termini si riferiscono. Ecco le cinque specie: (i) termini designativi di entità ontiche; (ii) termini designativi di valori; (iii)termini designativi di status deontici; (iv)termini designativi di istituzioni; (v) termini designativi di entità istituzionali. 15.1.Prima specie: termini designativi di entità ontiche 15.1.0. La prima delle cinque specie di termini designativi della Carta consta dei termini designativi di entità ontiche 3. 15.1.1. Determinare se un termine sia designativo di un’entità ontica è esso stesso un difficile problema filosofico. Accanto a termini univocamente designativi di entità ontiche, vi sono termini dei quali è dubbio se designino entità ontiche. Un termine univocamente designativo di un’entità ontica è il termine ‘età’ [age, âge, Alter], il quale ricorre nell’art. 21, 1: (1) È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le con 2 Mi avvarrò della ricerca sul linguaggio della Carta svolta da Paolo Di Lucia nel saggio La carta dei diritti fondamentali. Linguaggio axiologico e linguaggio deontico, 2003. Nel presente saggio, indago i termini designativi in testi normativi. Per un’indagine, invece, dei verbi deontici in testi normativi, cfr. A.G. Conte, Valori non-normativi di verbi deontici in testi normativi, 2007. 3 L’aggettivo ‘ontico’ (che appare nell’espressione «entità ontiche») ha una trasparente etimologia: deriva dal secondo membro del sintagma greco tÕ Ôn (tò ón) «ciò che è», l’«essente», secondo membro che è il neutro del participio presente del verbo e„m… «essere». 340 Referenti in testi normativi vinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età [age, âge, Alter] o le tendenze sessuali. Any discrimination based on any ground such as sex, race, colour, ethnic or social origin, genetic features, language, religion or belief, political or any other opinion, membership of a national minority, property, birth, disability, age or sexual orientation shall be prohibited. È dubbio, invece, se il termine ‘corpo umano’ [human body, corps humain, menschlicher Körper] (che appare nell’art. 3 della Carta) sia propriamente un termine designativo di un’entità ontica. 4 15.2. Seconda specie: termini designativi di valori 15.2.0. La seconda delle cinque specie di termini designativi della Carta consta dei termini designativi di valori, dei termini designativi di una ¢x…a (axía) 5. 15.2.1. La rilevanza dei termini designativi di valori per il linguaggio della Carta appare già dal Preambolo, nel quale si legge: (2) L’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà. The Union is founded on the indivisible, universal values of human dignity, freedom, equality and solidarity. Qui appaiono quattro termini che non designano, ovviamente, entità ontiche: (i) ‘dignità umana’ [human dignity, dignité humaine, Würde des Menschen]; (ii) ‘libertà’ [freedom, liberté, Freiheit]; Cfr. G.M. Azzoni, L’arbitrarietà del corpo umano, 2003. Dai termini designativi di valori (ad esempio, ‘libertà’), termini che sono avalutativi, si distinguono i «termini valutativi» (ad esempio, ‘depravato’), o axionimi, nella terminologia di Maria-Elisabeth Conte (Deissi testuale ed anafora, 1981, 1988, 23). 4 5 341 Giuseppe Lorini (iii)‘uguaglianza’ [equality, égalité, Gleichheit]; (iv)‘solidarietà’ [solidarity, solidarité, Solidarität]. 15.2.2. Ma che cosa designano allora questi quattro termini? La natura delle entità alle quali queste quattro espressioni si riferiscono è esplicitata già dal testo stesso della Carta: si tratta di valori («valori indivisibili e universali»). Questi quattro termini sono, quindi, termini che designano valori: rispettivamente il valore della dignità umana, il valore della libertà, il valore dell’uguaglianza, il valore della solidarietà. 15.3. Terza specie: termini designativi di status deontici 15.3.0. La terza delle cinque specie di termini designativi della Carta consta dei termini designativi di status deontici 6. Tre esempi di status deontici sono: il divieto d’accesso ai non addetti ai lavori, l’obbligatorietà dell’azione penale, il dovere di pagare le decime. 15.3.1. Esaminiamo ora l’art. 9 della Carta: (3) Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. The right to marry and the right to found a family shall be guaranteed in accordance with the national laws governing the exercise of these rights. Che cosa designa il sintagma ‘il diritto di sposarsi’ [the right to marry, le droit de se marier, das Recht, eine Ehe einzugehen]? Il sintagma ‘il diritto di sposarsi’ non designa ovviamente né un’entità ontica, né un valore. Ciò che il sintagma ‘il diritto di sposarsi’ designa è uno status deontico. Gli status deontici sono «gli análoga [deontici] dei fatti (ossia gli obblighi, i divieti […])», cioè gli stati di cose deontici 7. 6 Il termine ‘deontico’ deriva dal secondo membro del sintagma greco tÕ dšon (tò déon) «ciò che è necessario», «ciò che si deve». 7 A.G. Conte, Studio per una teoria della validità, 1970, 1989, 62. In questo saggio, Conte indaga quali siano le entità che possono fungere da referenti del 342 16. Xenonimía Sinonimía Sinsemía di Amedeo Giovanni Conte Dwuznaczności płodza̧ wiele znaczeń. I doppi sensi generano molti significati. (Stanisław Jerzy Lec) Gdy dwuznaczniki traca̧ jedno znaczenie, nie znacza̧ nic. Quando le parole a doppio senso ne perdono uno, non significano nulla. (Stanisław Jerzy Lec 1) 16.0.Prologo: tre tesi sul rapporto tra linguaggio e pensiero (tre tesi sulle funzioni del linguaggio) Vi sono due tesi, antitetiche, sul rapporto tra linguaggio e pensiero. (i) Prima tesi: Il linguaggio serve a manifestare il pensiero. (In altri termini: Funzione del linguaggio è manifestare il pen siero) 2. (ii) Seconda tesi: Il linguaggio serve (non: a manifestare il pensiero, ma:) a nascondere/occultare (déguiser) il pensiero. (In altri termini: Funzione del linguaggio è occultare il pensiero) 3. Stanisław Jerzy Lec (Lwów, 1909 - Warszawa, 1966), Myśli nieuczesane wszystkie, redakcja i posłowie Lidia Kos´ka, Warszawa, Noir sur Blanc, 2007; tr. it. dal polacco P. Marchesani (a cura di), Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati, Milano, Bompiani, 1984, 1992². 2 La prima tesi (Il linguaggio serve a manifestare il pensiero) è documentata in Molière (Jean-Baptiste Poquelin [Paris, 1622 - Paris, 1673]). 3 La seconda tesi (Il linguaggio serve a nascondere, a déguiser il pensiero) è documentata in Voltaire (François-Marie Arouet [Paris, 1694 - Paris, 1778]). 1 353 Amedeo Giovanni Conte Sono due tesi antitetiche (manifestare vs. nascondere). Ma esse non esauriscono le possibilità. Tertium datur. Il tertium è la mia tesi: (iii)Terza tesi (di Amedeo Giovanni Conte): il linguaggio serve (non: a manifestare il pensiero, non: a nascondere il pensiero, ma:) a nascondere l’assenza di pensiero. (In altri termini: Funzione del linguaggio non è: manifestare il pensiero, non è: nascondere il pensiero; ma: nascondere l’assenza di pensiero). 16.1. La triade: xenonimía, sinonimía, sinsemía . . Duzo rzeczy nie powstało z niemozności ich nazwania. Molte cose non sono venute ad esistenza per impossibilità di dare ad esse un nome. (Stanisław Jerzy Lec 4) 16.1.1. Xenonimía [Xenonymie; xenonymy; xénonymie] Chiamo xenonimo (in tedesco: Xenonym; in inglese: xenonym; in francese: xénonyme) ogni termine il quale ne traduca un altro; ogni termine il quale (secondo almeno un dizionario bilingue) sia traducente [ustreznica, traduzione] di un termine di una lingua straniera 5. Date due lingue (una lingua l1 e una lingua straniera l2: l1 è la lingua a qua, la lingua dalla quale si traduce; l2 è la lingua ad quam, la lingua straniera nella quale si traduce) 6, chiamo xenonimo d’un termine t1 di l1 ogni termine t2 di l2 il quale sia (secondo almeno un dizionario bilingue) una traduzione (un «traducente», una ustreznica) di t1 dalla lingua l1 alla lingua l2. Chiamo xenonimía (in tedesco: Xenonymie; in inglese: xenonymy; in francese: xénonymie) la relazione diadica tra due termini t1 e t2 di Lec, Myśli nieuczesane wszystkie cit. Io uso le virgolette semplici: ‘ ’ solo per indicare che ciò che esse includono è in suppositione materiali. In tutti gli altri casi, io uso le virgolette doppie: « ». 6 Il sintagma ‘lingua a qua’ exempla il sintagma ‘terminus a quo’; il sintagma ‘lingua ad quam’ exempla il sintagma ‘terminus ad quem’. 4 5 354 Xenonimía sinonimía sinsemía due lingue (una lingua a qua l1 e una lingua straniera ad quam l2) il secondo dei quali (t2: il «traducente») sia (in un dizionario bilingue) una traduzione del primo (t1: il «traducendo») 7. Xenonimo è un concetto relazionale, un concetto-di-relazione: nessun termine è, in assoluto, uno xenonimo. Ogni xenonimo è xenonimo in relazione ad un altro termine. ‘Xenonimo’ equivale a ‘xenonimo-di’. L’etimo di ‘xenonimía’ [Xenonymie; xenonymy; xénonymie] e di ‘xenonimo’ [Xenonym; xenonym; xénonyme] è trasparente: (i) xšnoj (xénos) «straniero» (cfr. ‘xenofobia’, ‘xenoglossia’); (ii) Ônuma (ónyma) vel Ônoma (ónoma) «nome» (cfr. ‘omonimia’, ‘sinonimía’, ‘pseudonimo’) 8. Ecco cinque esempi di xenonimía: (i)Il sostantivo polacco prawo è uno xenonimo polacco (una ustreznica polacca) del sostantivo finnico oikeus; (ii) il sostantivo polacco prawda è uno xenonimo polacco del sostantivo russo истина (istina); (iii)il sostantivo polacco sprawiedliwość è uno xenonimo polacco del sostantivo tedesco Gerechtigkeit; 7 La xenonimía (l’essere un termine xenonimo di un altro termine) è questione puramente fattuale: è questione puramente fattuale se almeno un dizionario bilingue (ad esempio, il dizionario bilingue polacco-francese: K. Kupisz - B. Kielski, Podrȩczny słownik francusko-polski, Warszawa, Wiedza Powszechna, 1987) indichi il termine polacco prawda come xenonimo del termine francese vérité. Il termine prawda è effettivamente indicato come xenonimo del termine vérité, e precisamente alla p. 887. Analogamente, è questione puramente fattuale se almeno un dizionario bilingue (ad esempio, il dizionario bilingue tedesco-inglese: K. Wildhagen - W. Hérancourt, Englisch-Deutsches Deutsch-Englisches Wörterbuch / English-German German-English Dictionary, Wiesbaden - London, Brandstetter - Al len and Unwin, 1972) indichi (così come indica: cfr. vol. I, p. 87) il termine tedesco Buch come xenonimo del termine inglese book. 8 Sia i sostantivi ‘xenonimía’, Xenonymie, xenonymy, xénonymie, sia i sostantivi xenónimo, Xenonym, xenonym, xénonyme, sono neologismi di Amedeo Giovanni Conte. Talvolta, gli xenonimi sono chiamati «traducenti». Ignoro a chi risalga l’uso di ‘traducente’ per «xenonimo», e di ‘traducenza’ per «xenonimía». Giulio Ciro Lepschy propone di chiamare «il traducendo» il termine, del quale uno xenonimo è, appunto, xenonimo («traducente»). (Testimonianza di Jacqueline Visconti). Il sostantivo (maschile) italiano ‘traducente’ è tradotto con il sostantivo (femminile) sloveno ustreznica (vocabolo proparossitono: ustréznica) in D.F. Bajc, Sloveno. Dizionario compatto Sloveno-Italiano Italiano-Sloveno, Bologna, Zanichelli, 2005, sezione Italiano-sloveno, voce «traducente», 480. 355 gli autori Gianmaria Ajani è professore ordinario di Diritto privato comparato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dove insegna anche Diritto cinese. È curatore del Legal Taxonomy Syllabus, un dizionario semantico plurilingue in materia di diritto dei consumatori. Ha pubblicato numerose monografie e saggi in tema di diritto e lingua, trapianto di norma, riforma giuridica e trasformazione economica. È direttore (con A. Benacchio) del Trattato di diritto privato dell’Unione Europea (Torino, Giappichelli). Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, Dipartimento di Scienze giuridiche. e-mail: [email protected]. Pascale Berteloot è stata Chef d’Unité alla Corte di Giustizia delle Comunità europee dal 1995 e attualmente all’Ufficio delle Pubblicazio ni dell’Unione europea, lavorando sempre in domini relativi al trattamento del multilinguismo e dell’informatica giuridica. Relatrice in molti congressi internazionali, è autrice di diverse pubblicazioni su questi temi. Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg. e-mail: [email protected]. Pierluigi Chiassoni è professore ordinario di Filosofia del diritto nel l’Università di Genova. Tra le pubblicazioni più recenti: Tecnica del 371 Gli Autori l’interpretazione giuridica (Bologna, Il Mulino, 2007); L’indirizzo ana litico nella filosofia del diritto. I. Da Bentham a Kelsen (Torino, Giap pichelli, 2009). Università Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Cultura giuridica Giovanni Tarello. e-mail: [email protected]. Amedeo Giovanni Conte è libero docente all’Università di Torino; professore all’Università di Pavia, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei (Classe di Scienze morali), Roma; socio dell’Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere (Classe di Scienze morali), Milano; socio fondatore dei Seminari filosofici internazionali di Sant’Alberto di Butrio; socio fondatore del Centro di Filosofia sociale dell’Università di Pavia. Tra il 1957 ed il 2009 (se si computano non solo le opere originali, ma anche le riedizioni, le traduzioni, le recensioni) ha pubblicato più di 350 entità bibliografiche, tra cui: Filosofia del linguaggio normativo. Studi (Torino, Giappichelli, 1989-2001, 3 voll.); Filosofia dell’ordinamento. Studi 1957-1968 (Torino, Giappichelli, 1997); Res ex nomine (Napoli, Editoriale Scientifica, 2009). Università degli Studi di Pavia; Accademia dei Lincei, Roma. e-mail: [email protected]. Paolo Di Lucia è professore ordinario di Filosofia del diritto all’Università degli Studi di Milano. Dal 2006 è coordinatore del Dottorato di ricerca in Filosofia del diritto dell’Università degli Studi di Milano e professore invitato alla Facoltà di Teologia di Lugano. È autore, tra l’altro, di: Deontica in von Wright (Milano 1992); L’universale della promessa (Milano 1997); Normatività. Diritto linguaggio azione (Torino 2003); Ricerche di filosofia del diritto (Torino 2006). È curatore, tra l’altro, di: Il linguaggio del diritto (con Uberto Scarpelli, Milano 1994); Nomografia. Linguaggio e redazione delle leggi (Milano 1995); Filosofia del diritto (Milano 2002); Assiomatica del normativo (Milano 2009). Università degli Studi di Milano, Istituto di Filosofia e sociologia del diritto. e-mail: [email protected]. 372 Gli Autori Silvia Ferreri è professore ordinario di Diritto comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino dove insegna il corso di Sistemi giuridici comparati e Anglo-american Law. In precedenza ha insegnato a Venezia (Facoltà di Economia) e ad Alessandria, per l’Università del Piemonte orientale. Ha pubblicato alcune monografie in materia di tutela del diritto di proprietà, sull’interpretazione del contratto, in relazione al contratto di vendita e sulle fonti del diritto extra-nazionali. Siede nel direttivo dell’Association Henri Capitant des amis de la culture française ed è socia dell’International Academy of Comparative Law. Nel 2008 è stata Visiting Professor negli USA, presso la Law School della Lousiana State University di Baton Rouge. Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, Dipartimento di Scienze giuridiche. e-mail: [email protected]. Mario Garavelli è stato magistrato in Pretura, Tribunale, Corte d’Appello e Corte di Cassazione; presidente del Tribunale di Torino fino al 2000 e della Corte d’Appello di Genova fino al termine del 2002. È stato relatore in numerosi importanti processi penali per terrorismo e criminalità organizzata, occupandosi, in Cassazione, di procedimenti di rilevanza nazionale, quale il processo per l’omicidio Ambrosoli a carico di Michele Sindona. Tra le sue pubblicazioni si segnalano i volumi: Connessione, riunione e separazione dei procedimenti (Milano, Giuffrè, 1989); Il sequestro nel processo penale (Torino, UTET, 2002); Ma cos’è questa giustizia? Luci e ombre di un’istituzione contestata (Roma, Editori Riuniti, 2003). In collaborazione con G.C. Caselli: Droga: in nome della legge (Torino, EGA, 1990) e L’attività antidroga della polizia giudiziaria (Torino, Utet, 1991). Già presidente della Corte d’Appello di Genova. Riccardo Guastini è professore di Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza di Genova. È stato Visiting Professor in diverse università straniere (Francia, Spagna, USA) e relatore in molti congressi internazionali. Nel corso degli anni, si è occupato di filosofia politica, teoria generale del diritto, metodologia giuridica, e teoria costituzionale. Insegna attualmente Filosofia del diritto e Tecniche dell’interpretazione. Ha pubblicato tra l’altro: Dalle fonti alle norme (1992); Le 373 Gli Autori fonti del diritto e l’interpretazione (1994); Distinguendo. Studi di teoria e metateoria del diritto (1996); Teoria e dogmatica delle fonti (1998); L’interpretazione dei documenti normativi (2004). Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Cultura giuridica Giovanni Tarello. e-mail: [email protected]. Elena Ioriatti Ferrari è ricercatrice in Diritto privato comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, dove insegna Sistemi giuridici comparati e Traduzione giuridica. È responsabile scientifico del progetto Lingua e Diritto presso la medesima facoltà. Collabora con le Istituzioni comunitarie come docente nell’ambito del programma di formazione dei funzionari comunitari ed esperto nominato dalla Commissione europea nell’ambito della Rete di Eccellenza dell’Italiano Istituzionale. È autrice della monografia Codice Civile Europeo. Il dibattito, i modelli, le tendenze (Padova, Cedam, 2006) oltre che di saggi sul tema della traduzione giuridica in diverse lingue e curatrice di tre volumi collettanei, tra i quali Interpretazione e traduzione del diritto (Padova, Cedam, 2008). Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Scienze giuridiche. e-mail: [email protected]. Iørn Korzen dopo diversi anni di insegnamento di Linguistica italiana nelle università di Odense e di Copenaghen, è attualmente professore ordinario alla Copenhagen Business School, dove è responsabile del Dipartimento di Italiano. Nel 1996 ha ottenuto la libera docenza con la dissertazione L’articolo italiano fra concetto ed entità (études Romanes 36, Copenaghen, Museum Tusculanum). È autore di più di cento saggi linguistici, ultimamente con particolare riguardo ad aspetti tipologici, sintattici e pragmatici della strutturazione testuale, ed è autore e (co-)redattore di una serie di miscellanee e monografie su simili ed altri argomenti. Fra le miscellanee, che sono anche atti di seminari italo-danesi organizzati in Italia, vanno menzionate: Per una linguistica della traduzione (con Carla Marello, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2000); Tipologia linguistica e società (con Paolo D’Achille, Firenze, Franco Cesati, 2005) e Lingue, culture e testi istituzionali (con Cristina Lavinio, Firenze, Franco Cesati, 2009). Nel biennio 2002- 374 Gli Autori 2004 è stato presidente della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana. Copenhagen Business School, Istituto di Studi internazionali di Cultura e Comunicazione. e-mail: [email protected]. Giuseppe Lorini è dal 2005 professore associato di Filosofia del diritto presso l’Università di Cagliari. È autore dei seguenti tre libri: Dimensioni giuridiche dell’istituzionale (Padova, CEDAM, 2000); Il valore logico delle norme (Bari, Adriatica, 2003); Atto e oggetto. Contributo alla Filosofia del diritto (Torino, Giappichelli, 2008). È coautore (con Amedeo G. Conte, Paolo Di Lucia, Antonio Incampo, Wojciech . Zełaniec) di: Ricerche di Filosofia del diritto, a cura di Lorenzo Passerini Glazel (Torino, Giappichelli, 2007). Ha curato, inoltre, il volume Atto giuridico (Bari, Adriatica, 2002). Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Diritto pubblico e Studi sociali. e-mail: lorini@unicat. Bice Mortara Garavelli è professore emerito di Grammatica italiana nell’Università di Torino. È accademica della Crusca e socia dell’Accademia delle Scienze di Torino. Tra i suoi libri più recenti: Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani (Einaudi, Torino, 2001); Manuale di retorica (Milano, Bompiani, 2008, XI edizione); Prontuario di punteggiatura (Roma - Bari, Laterza, 2009, XII edizione). Ha curato, oltre all’edizione di opere di Daniello Bartoli, i volumi: Parafrasi. Dalla ricerca linguistica alla ricerca psicopedagogica, in collaborazione con Lucia Lumbelli (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999); Storia della punteggiatura in Europa (Laterza, Roma - Bari, 2008). Professore emerito, Università degli Studi di Torino; Accademia della Crusca, Firenze. e-mail: [email protected]. Giovanni Rovere insegna Linguistica italiana all’Istituto di Linguistica generale e applicata dell’Università di Heidelberg. Si occupa di varietà dell’italiano e di (meta)lessicografia. È autore di: Testi di italiano 375 Gli Autori popolare, prefazione di T. De Mauro (Roma, CSER, 1977); Il discorso omiletico (Roma, CSER, 1982); Un’autobiografia popolare del primo Ottocento (Torino, Il Punto, 2002 [19921]); Capitoli di linguistica giuridica (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2005). È coautore del Wörterbuch der italienischen Verben (Stuttgart, Klett, 1998) e del Dizionario idiomatico tedesco italiano (Bologna, Zanichelli, 2009). Ha collaborato al Dizionario di italianismi in francese, inglese, tedesco (Firenze, Accademia della Crusca, 2008). Collabora al Dictionary of Lexicography and Dictionary Research (Berlin, De Gryuter). Università di Heidelberg, Neuphilologische Fakultät. e-mail: [email protected]. Rodolfo Sacco, professore emerito dell’Università di Torino, è riconosciuto caposcuola del diritto privato comparato. Più volte presidente di associazioni internazionali di diritto comparato, membro dell’Accademia dei Lincei, è stato tradotto in molte lingue. Tra i suoi libri: Introduzione al diritto comparato (Torino, Giappichelli), Sistemi giuridici comparati (con A. Gambaro, Torino, Utet), Il contratto (con G. De Nova, Torino, Utet, 2004, III edizione, 2 voll.), Antropologia giuridica (Bologna, Il Mulino). Dirige inoltre il Trattato di diritto civile (Torino, Utet) ed il Trattato di diritto comparato (Torino, Utet). Professore emerito, Università degli Studi di Torino; Accademia dei Lincei, Roma. Marcello Soffritti, dal 1992 professore ordinario di Lingua e linguistica tedesca alla Scuola Superiore di Lingue moderne per Interpreti e Traduttori dell’Università di Bologna (sede di Forlì) e coordinatore del Dottorato di ricerca in Traduzione, Interpretazione e Interculturalità. Si occupa di linguistica contrastiva (con particolare riferimento ai linguaggi specifici), teoria e analisi della traduzione (con particolare riferimento alla comunicazione specialistica e multimediale), terminologia e applicazioni computazionali. Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Studi interdisciplinari su Traduzione, Lingue e Culture. e-mail: [email protected]. 376 Gli Autori Daniela Tiscornia è dirigente di ricerca presso l’Istituto di Teoria e Tecniche per l’Informazione giuridica di Firenze, organo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ove coordina il gruppo di ricerca Ontologie giuridiche e trattamento automatico del linguaggio giuridico. Le sue attività di ricerca si svolgono nel settore dell’informatica giuridica, con un particolare interesse per l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione nell’analisi del linguaggio e nella modellazione della conoscenza e del ragionamento giuridico. È coordinatore di progetti di ricerca ed di iniziative a livello nazionale ed europeo relative a tali tematiche, su cui ha ampiamente pubblicato. Istituto di Teoria e Tecniche per l’Informazione giuridica del Consiglio Nazionale delle Ricerche. e-mail: [email protected]. 377