sussidio - Parrocchia San Nicolao della Flue

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sussidio - Parrocchia San Nicolao della Flue
IN QUESTA CITTÀ IO HO UN POPOLO NUMEROSO,
DICE IL SIGNORE
Papa Francesco visita Milano e le terre ambrosiane
Sabato 25 marzo 2017
PRESENTAZIONE
Papa Francesco, il vescovo di Roma venuto “quasi dalla fine del mondo”, viene a visitare le terre
ambrosiane. Si tratta di un grande dono, espressione dell’affetto che il Santo Padre nutre per la nostra gente.
L’intenso itinerario che papa Francesco percorrerà il 25 marzo, dalle Case Bianche al carcere di San Vittore,
dal Duomo di Milano al parco di Monza per la celebrazione della Santa Messa, fino all’incontro con i
cresimandi e cresimati allo stadio di San Siro, è il segno più eloquente di una proposta che si rivolge alla
libertà di tutti. Questo evento spirituale accade significativamente mentre la visita pastorale “feriale” del
nostro arcivescovo Angelo alla diocesi si trova ormai nella sua ultima fase e si lega così profondamente al
cammino di riforma della Chiesa in atto anche tra noi.
Perché la visita di papa Francesco possa essere davvero significativa per le nostre comunità e per la società
civile occorre, in questo tempo che ci separa dal 25 marzo, svolgere un cammino che prepari i cuori ad
accogliere quanto ci sarà donato di vivere.
Senso e struttura del sussidio
Tutte le realtà della nostra diocesi – parrocchie, aggregazioni, istituti di vita consacrata e altre realtà
ecclesiali – sono chiamate a coinvolgersi in un percorso formativo. Oltre al gesto a livello diocesano della Via
Crucis con il Sacro Chiodo, nelle diverse zone pastorali insieme all’arcivescovo, pensiamo sia importante
promuovere sul territorio e negli ambienti alcuni gesti di sensibilizzazione, per i quali è stato pensato questo
sussidio. Le pagine che qui presentiamo sono rivolte innanzitutto agli operatori pastorali perché possano
animare adeguatamente le comunità ecclesiali in vista dell’incontro con il Papa.
“In questa città ho un popolo numeroso, dice il Signore”. Il sussidio che avete tra le mani intende
presentare e spiegare il titolo dato al cammino di preparazione, aiutandoci a leggere l’incontro con il Papa
come l’occasione dataci dallo Spirito per riscoprire la nostra identità di popolo di Dio. Dopo un momento di
contestualizzazione generale (l’introduzione), il testo approfondisce tre dimensioni di questa identità:
teologica (primo capitolo), sociale (secondo capitolo), culturale (terzo capitolo). Siamo appunto popolo di
Dio, che abita nella città e che si sente popolo “tra” e per “tutti” i popoli.
Modi di utilizzo del sussidio
La riscoperta di questa nostra identità è lo scopo del sussidio, e diventa guida e suggerimento anche per il
suo utilizzo. Proponiamo di usarlo anzitutto all’interno dei momenti che la pastorale ordinaria ci fornisce. I
suoi materiali possono essere una fonte utile per la predicazione domenicale (in particolare nelle domeniche di
quaresima immediatamente precedenti la visita). Gli stessi materiali possono anche dare origine a un breve
ciclo di catechesi o di conferenze, oppure diventare la traccia per i quaresimali.
Il presente sussidio può diventare oggetto di incontri o stimolo per dibattiti, incontri e momenti di
confronto dentro la società civile con le istituzioni, le amministrazioni o altri soggetti pubblici, così da
coinvolgere sempre più persone nel percorso di preparazione alla visita del Papa, e aggregare un popolo
sempre più numeroso. Molti temi toccati dal testo sono infatti utili a tutti (abitiamo un territorio sempre più
plurale, viviamo trasformazioni che generano novità ma anche rischi, tutti siamo obbligati a confrontarci con
le nuove frontiere tecnologiche, etiche, sociali, istituzionali).
Proponiamo questo sussidio come utile strumento anche al mondo della scuola e più in generale alle tante
realtà educative (scuole cattoliche o di ispirazione cristiana, promosse da associazioni cattoliche, da istituti di
vita consacrata, collegi arcivescovili). L’interessamento alla visita del Papa può essere proposto nell’ora di
religione ma anche attraverso dibattiti, mostre ed eventi che coinvolgano anche altre discipline toccate dal
magistero del Papa. Invitiamo i tanti e diversi soggetti ecclesiali ad accendere la loro fantasia per una
recezione creativa del sussidio, così da innescare miriadi di processi che sul territorio consentono a tutti di
intrecciare le loro storie con la visita del Papa. Testimonianze, assemblee, eventi, gesti, animazioni: tutti i
linguaggi della comunicazione possono servire per una preparazione attiva all’incontro con papa Francesco.
Per favorire processi di interiorizzazione, al termine di ogni capitolo abbiamo posto delle domande. Sono
lì come un suggerimento, un indizio esemplificativo di un lavoro di riflessione sinodale e discernimento a cui
il Papa ha chiamato tutta la Chiesa italiana, perché sia sempre più popolo capace di testimoniare la gioia del
Vangelo anche qui a Milano, oggi.
Milano, 18 gennaio 2017
Festa della Cattedra di San Pietro
Il Comitato per la preparazione, sezione contenuti:
SE Mons Pierantonio Tremolada
SE Mons Paolo Martinelli
Mons Luca Bressan
Valentina Soncini
Silvia Landra
Paolo Antonio Petracca
Alberto Sportoletti
INTRODUZIONE
Con gioia accogliamo papa Francesco, che viene a visitare la Chiesa di Milano e le terre ambrosiane. Egli
viene come vescovo di Roma, cioè come colui che “presiede alla carità” di tutte le Chiese, per rinnovare i legami
che ci uniscono alla Chiesa tutta e confermarci nella fede come figli e fratelli. Saremo così incoraggiati e
spronati a essere “discepolimissionari” nella testimonianza della nostra fede (cfr. papa Francesco, Evangelii
Gaudium, 2013, n. 120).
Questa visita pastorale avviene qui, nella terra di Ambrogio, nella diocesi che conta un numero molto alto
di battezzati e una straordinaria strutturazione della vita della Chiesa locale. Numerosissime sono le
parrocchie e molteplici sono gli enti che nella storia sono sorti per grazia, ingegno, creatività nell’ambito della
carità, della cultura, dell’educazione. Milano è anche la città di Italia più esposta allo scenario europeo: per
collocazione geografica, perché nella pianura e luogo di transito verso l’Oltralpe; per sensibilità, perché aperta
all’incontro tra persone e comunità, allo scambio economico, all’accoglienza.
“Il territorio ambrosiano è incastonato al centro dell’Europa, una terra di mezzo in più di un senso. (…) La gente
ambrosiana ha sempre respirato con due polmoni, quello locale – del campanile, del municipio, del cortile – e quello
dell’Europa. La sua posizione di crocevia europeo ha connotato una storia e una temperie culturale in cui radicamento
locale e vocazione internazionale sono sempre stati fortemente intrecciati. Si può anche dire che Milano non è stata una
città cosmopolita nel senso di altre capitali europee ma, ben di più, una città da cui si viene adottati, si vedono esaltati i
propri talenti e la propria capacità di contribuire allo sviluppo e ci si può sentire profondamente milanesi” (A. Scola,
Milano e il futuro dell’Europa. Discorso di Sant’Ambrogio, 2016).
Oggi questa creatività prende nuova forma. Sempre nel suo discorso alla città, l’arcivescovo ha tratteggiato
un interessante quadro della realtà di Milano, offrendone uno spaccato variegato: Milano, insieme alle sue
terre, è motore propulsore dell’economia, sede privilegiata di processi e azioni innovative, luogo di ricerca
scientifica di alto livello con una presenza di studenti universitari che si aggira intorno ai 200.000 iscritti di cui
più del 10% stranieri, centro metropolitano con un notevolissimo concentrato di start up in ambito
imprenditoriale, meta riscoperta e apprezzata di flussi turistici molto consistenti (complice il rinnovamento
avuto con EXPO) ma anche luogo con una forte percentuale di lombardi impegnati nel volontariato. Milano
è dunque anche abitata da “gente solidale, che si mescola, si incontra e coopera”, espressione di un
umanesimo cristiano che ha generato un tipico “cattolicesimo lombardo”, dalla storia plurisecolare e dalla
vitalità ancora ben riconoscibile.
La realtà della metropoli è però provocata e anche sfidata da un nuovo contesto culturale e sociale che
non sempre favorisce l’incontro di popoli e di culture in una convivenza capace di conciliare le differenze.
Milano ha antiche radici cristiane ma non è “scontatamente” cristiana tanto che – sempre “nel suo discorso
alla città – l’arcivescovo ha provocatoriamente posto l’interrogativo: “Milano senza cristianesimo?”. Certamente
no, ma a condizioni di sapersi erede di valori evangelici da testimoniare con coraggio e con gioia. La Chiesa
ambrosiana deve lasciarsi scuotere, lasciarsi convertire, ritornando sempre più decisamente ai “quattro
pilastri” della vita delle prime comunità cristiane (cfr. A. Scola, Alla scoperta del Dio vicino, 2012, n.8).
Alla nostra Chiesa sentiamo indirizzate le parole che il Papa ha rivolto all’Europa lo scorso 6 maggio in
occasione del discorso per il premio Carlo Magno quando, invitando a non perdere la preziosa memoria del
passato, ha esortato il vecchio continente ad
“affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di
“aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la
capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare” (papa Francesco, Roma 6 maggio 2015).
Impresa troppo alta? Non per una Chiesa come quella italiana – dice il Papa – e dunque anche
ambrosiana, diciamo noi; una Chiesa
“di antiche origini, adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti… Una Chiesa chiamata a
credere al genio del Cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del
popolo di questo straordinario Paese” (papa Francesco, Firenze 10 novembre 2015).
Papa Francesco continua poi il suo discorso alla Chiesa italiana lanciandoci un invito accorato a fare
proprio il testo di Evangelii Gaudium, per condurre a compimento un simile compito ecclesiale.
“Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i
prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, in
modo sinodale, un approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue
disposizioni” (ivi).
L’esortazione risuona forte e chiara. Noi vorremmo dunque raccoglierla, cercando di darle attuazione
mentre ci prepariamo all’incontro con il Santo Padre. Rivolto alla Chiesa ambrosiana, questo invito suona
come un appello a entrare in un preciso orizzonte, ad assumere una specifica prospettiva di lettura della realtà
e da qui considerare la vita e la missione della Chiesa.
Dalla meditazione attenta di questa intensa esortazione emergono le linee programmatiche del pontificato
di Francesco per la trasformazione missionaria della Chiesa, le quali si raccolgono in un’idea forza: il volto
misericordioso della Chiesa come annuncio vivente della salvezza di Dio. Una Chiesa “umile, beata e
disinteressata”, protesa verso il mondo nello slancio missionario; Chiesa “in uscita” che svela la verità di se
stessa facendosi carico con amore generoso del desiderio di vita dell’intera umanità, spesso dolorosamente
ferita dal male; una Chiesa che proprio per queste caratteristiche pone al centro i poveri, da cui imparare lo
stesso farsi povero di Gesù e da cui farsi richiamare al primato della carità (EG 198).
In questa prospettiva sono chiamate a iscriversi sempre più chiaramente le priorità pastorali che la nostra
diocesi ha maturato in questi ultimi anni, grazie al magistero sapiente dei suoi pastori: anzitutto l’invito a
incarnare i tratti essenziali della comunità degli apostoli: l’ascolto della Parola di Dio, l’esperienza viva della
preghiera, la vita sacramentale, la comunione fraterna, la costante dimensione missionaria (At 2,42-47); poi
l’esigenza di crescere nella educazione al pensiero di Cristo, raccogliendo la sfida posta dalla cultura corrente;
quindi, ancora, il perseguire come forma di reale comunione all’interno della Chiesa e come via di
evangelizzazione l’obiettivo della “pluriformità nell’unità”; e, infine, l’impegnarsi a realizzare una vera
“comunità educante” per la crescita nella fede delle nuove generazioni.
Ci è sembrato particolarmente illuminante accostare in modo sintetico il messaggio di Evangelii Gaudium
facendo leva sulla presentazione della Chiesa come “popolo di Dio”, un popolo da lui plasmato e convocato,
chiamato ad abitare la città degli uomini e a testimoniare l’accoglienza del Padre per ognuno dei suoi figli.
Proprio questo punto è diventato il focus su cui concentrare l’attenzione nel titolo che abbiamo voluto dare al
cammino di preparazione per la visita del Santo Padre: “In questa città io ho un popolo numeroso, dice il Signore” (cfr.
At 18,10). I numeri centrali di Evangelii Gaudium raccolgono i tratti fondamentali di questa categoria di
“popolo di Dio”, coniata per definire la Chiesa nel Concilio Vaticano II (cfr. Lumen Gentium, cap. II) e ancora
tutta da riscoprire.
“Essere Chiesa – scrive papa Francesco – significa essere popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore
del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di
Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che
diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi
accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo” (EG 114).
Nella visione della Chiesa come popolo di Dio si fondono vitalmente le due grandi verità del primato
della grazia di Dio e del compito missionario. Esse ci portano a guardare alla Chiesa di Cristo come “Chiesa
della misericordia” e “Chiesa in uscita”, come popolo dai molti volti, popolo per tutti, comunità dei carismi,
luogo dell’incontro e del dialogo. Tutti i battezzati (nella nostra diocesi sono milioni!) sono già questo
“popolo di Dio”, chiamati a essere insieme discepoli e testimoni affinché tutti gli uomini e le donne si sentano
destinatari del progetto d’amore di Dio. Al centro c’è l’evento di grazia della Pasqua, da cui sorge
misteriosamente questo popolo dalle caratteristiche straordinarie: è “un popolo che nasce da Dio” e si pone
come fermento in mezzo all’umanità; è “un popolo che vive nella città degli uomini” per annunciare e portare
la salvezza con parole e gesti inclusivi, riconcilianti, consolanti; è “un popolo per tutti i popoli”, che parla le
loro molteplici lingue, che apprezza e valorizza le loro differenti culture.
Proprio questi tre passi noi compiremo nel presente sussidio, presentando in sintesi il messaggio di
Evangelii Gaudium alla luce della categoria della Chiesa come popolo di Dio. Ci muove il desiderio di
contribuire a suscitare in ciascuno la gioia del Vangelo e di celebrarla nell’incontro con papa Francesco.
1° CAPITOLO. POPOLO DI DIO
Un popolo voluto da Dio
Papa Francesco viene a visitare la diocesi di Milano in cui c’è un “popolo numeroso” che appartiene al
Signore. Viene a confermarci nella fede.
È il popolo dei battezzati che nasce per iniziativa gratuita della Santissima Trinità. Appartenere a questo
popolo è dono immenso, perché nessuno può meritarselo, ed è compito grande, perché quanto ci è dato per
grazia va testimoniato a tutti. La Chiesa è “un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua
concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore” (EG 111). L’incontro con papa Francesco è
davvero una grande occasione, un kairos per orientare e animare la nostra fede.
Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa è la Celebrazione Eucaristica, in particolare
l’assemblea liturgica domenicale, in cui il popolo cristiano si raduna per fare memoria viva della Pasqua di Cristo;
un popolo che passa così dalla morte alla vita. Si tratta dunque di un popolo nuovo che il Risorto, con la
potenza dello Spirito, manda nel mondo ad annunciare a tutti la gioia del Vangelo (EG 1).
La Chiesa come popolo di Dio è una espressione molto cara a papa Francesco, richiamata fin dalle sue
prime parole pronunciate in piazza San Pietro subito dopo la sua elezione, quando si è posto in silenzio e ci
ha chiesto di pregare per lui, perché il Signore lo benedicesse, all’inizio del suo ministero.
“E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che
voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo
in silenzio questa preghiera di voi su di me”.
Questo gesto semplice e umile ci richiama al valore della Chiesa come popolo di Dio, come il Concilio
Vaticano II, nella costituzione dogmatica Lumen Gentium ha affermato (LG 9-17). Rileggendo questo
documento e assaporandone di nuovo le molte immagini tratte dalla Parola di Dio, cogliamo la Chiesa come
un popolo di popoli, plurale e diversificato “che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”
(LG 4).
Si tratta del popolo dei credenti che riconosce la “signoria di Dio” e dove si è chiamati a essere gli uni
membra degli altri per formare così un solo corpo, il “corpo di Cristo” (LG 7).
La Chiesa è mistero, non pienamente comprensibile dal nostro sforzo di razionalizzare, eppure una realtà
tanto concreta e storica da essere chiara e visibile a tutti.
L’essere Chiesa è dono di Dio e non frutto di nostri sforzi: è dono per tutti. Questo popolo si inserisce in
tutte le nazioni della terra, si mette con tutti in dialogo senza paura, è animato da un fermento missionario che
cerca un regno che non è di questo mondo, ma che ama questo mondo, parte dalla vita e dalla concretezza, è
gioioso e inclusivo verso ogni uomo.
È un popolo che ha trovato nel Signore misericordia; è rigenerato continuamente dal perdono di Dio; è il
popolo dei redenti che ascolta l’invito del Signore a essere “misericordiosi come il Padre”. Proprio come abbiamo
potuto fare esperienza durante il Giubileo, è la misericordia, potente farmaco di Dio che cura e risana, a fare
di noi il popolo che Dio si è scelto dentro la storia del mondo:
“La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si
manifesta il suo mistero divino. Dio è misericordioso (cfr Es 34,6), la sua misericordia dura in eterno (cfr Sal 136), di
generazione in generazione abbraccia ogni persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita”
(papa Francesco, Misericordia et Misera, 2016, n. 2).
E ancora:
“La misericordia rinnova e redime, perché è l’incontro di due cuori: quello di Dio che viene incontro a quello dell’uomo.
Questo si riscalda e il primo lo risana: il cuore di pietra viene trasformato in cuore di carne (cfr Ez 36,26), capace di
amare nonostante il suo peccato. Qui si percepisce di essere davvero una “nuova creatura” (cfr Gal 6,15): sono amato,
dunque esisto; sono perdonato, quindi rinasco a vita nuova; sono stato “misericordiato”, quindi divento strumento di
misericordia” (ivi, n. 16).
La fisionomia del popolo di Dio risiede nella gioiosa fatica di stare dentro il tempo che ci è dato, vicini alla
gente, soprattutto accanto ai poveri, per citare alcune sottolineature frequenti di papa Francesco. C’è un posto
privilegiato dei poveri nel popolo di Dio:
“Essi (i poveri) hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il
Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a
riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire
Cristo in loro, a prestare a essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli
e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro” (EG 198).
Un popolo in cammino in questa Chiesa particolare
Questo popolo di Dio, che si mostra nel volto concreto di una Chiesa particolare, è chiamato oggi a vivere
una conversione pastorale. È un richiamo che papa Francesco ha fatto a tutti nella esortazione apostolica Evangelii
Gaudium, perché ciascuno è chiamato a essere soggetto missionario, autentico portatore del Vangelo.
“Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa cattolica sotto la guida del suo vescovo, è anch’essa chiamata alla
conversione missionaria. Essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto è la manifestazione concreta dell’unica Chiesa
in un luogo del mondo” (EG 30).
Persone, comunità, strutture: tutto è chiamato nella Chiesa a una conversione pastorale e missionaria:
“Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e
ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale più che per
l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso:
fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e
aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti
coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia” (EG 27).
La nostra Chiesa ambrosiana sotto la guida dei suoi pastori ha intrapreso da tempo il cammino della
conversione pastorale alla quale il Papa invita tutti. Con l’arcivescovo Angelo abbiamo camminato in questi anni
dando una centralità particolare ai cardini dell’esistenza quotidiana che è fatta di affetti, lavoro e riposo,
mostrando in tal modo quanto il Vangelo di Cristo sia l’Evangelo dell’umano, buona notizia per l’uomo e la
donna del nostro tempo, come risposta di senso – significato e direzione – per la vita buona di tutti.
Questa prospettiva antropologica con la quale accogliere il Vangelo ci muove, ci fa “uscire”, ci rende
autenticamente attenti agli altri nell’oggi, se la viviamo con gli occhi puntati sull’essenziale. Gesù si presenta a
noi come il compimento dell’umano (GS 22) e perciò fonte di nuovo umanesimo.
“Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto
autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di
quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di
Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il Misericordiae Vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il
nostro umanesimo” (papa Francesco, Firenze 2015).
Puntare all’essenziale, vuol dire dunque, guardare a Cristo, vivere e proporre a tutti l’incontro con lui,
imparando il suo modo di vedere la vita, educandoci ad avere in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo
Gesù (Fil 2,5), il suo “pensiero” (1Cor 2,16), rinnovando così la nostra mentalità (Rom 12, 1-2):
“Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio
dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva»” (EG 7).
“Gesù diventa il centro affettivo della persona. L’incontro con Gesù per il credente è la sorgente di un nuovo modo di
pensare gli affetti, il lavoro, il riposo, la festa, l’educazione, il dolore, la vita e la morte, il male e la giustizia. Egli trova
in Cristo il criterio per valutare ogni cosa approfondendo l’unità della propria persona” (A. Scola, Educarsi al pensiero
di Cristo, 2015).
Sentiamo fortemente il richiamo di papa Francesco ad avere in noi i tratti di quel nuovo umanesimo che
emergono dal Vangelo delle beatitudini (Mt 5, 3-10) e del giudizio universale (Mt 25): essere popolo che vive
l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine, impegnato nelle opere di misericordia a portare a tutti consolazione e pace
fino alle periferie geografiche ed esistenziali (papa Francesco, Firenze 2015).
Puntiamo all’essenziale rimettendo al centro i pilastri fondamentali della vita cristiana, come vediamo nel
racconto degli Atti degli Apostoli (2, 42-47), perseverando nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione e
condivisione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere, nella costante tensione missionaria.
Il “campo” del cammino personale e comunitario nel quale incontrare tutti, senza aspettare che vengano a
cercarci, “è il mondo”, come spesso l’arcivescovo ci ha ricordato in questi anni, a partire dalla sua lettera
pastorale del 2013, da cui traiamo un passaggio significativo che lo esplicita.
“Il mondo che Gesù chiama “il campo” chiede di essere pensato come il luogo in cui ogni uomo e ogni donna possono
rispondere al loro desiderio di felicità. Sono consapevole che nello stesso Vangelo di Giovanni la parola “mondo” è usata
anche in senso negativo, come l’ambito dell’estraneità o della vera e propria ostilità a Cristo. Eppure anche per questo
mondo Gesù è morto e risorto” (A. Scola, Il campo è il mondo, 2013).
Un popolo numeroso
La nostra Chiesa ambrosiana è davvero un popolo numeroso! I battezzati sono circa 5 milioni. I sacerdoti
sono quasi 1900, i diaconi permanenti circa 150. Nel Seminario Arcivescovile parecchi giovani si stanno
preparando al presbiterato. I consacrati sono circa 7000, uomini e donne, variamente impegnati e distribuiti
sul territorio diocesano: parrocchie, scuole, ospedali, centri culturali, opere caritative e di vicinanza ai poveri,
oppure inseriti con discrezione nelle condizioni comuni del vivere. Le parrocchie sono oltre 1100 e
compongono la struttura pastorale più prossima alla vita della gente.
“La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del
dialogo, dell’annuncio della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività la
parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. (…) Però dobbiamo riconoscere
che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più
vicine alla vita della gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la
missione” (EG 28).
Parrocchie e comunità pastorali, espressione di un volto molto popolare della Chiesa che nel contesto
ambrosiano è ancora forte, sono certo i luoghi nei quali meglio può essere accolto e reso concreto il
rinnovamento.
Sentiamo l’importanza che la comunità ecclesiale sostenga il cammino di fede di tutti, in particolare dei
giovani, che entrino in modo adulto nella vita e prendano decisioni vocazionali, esercitando appieno la loro
libertà e non si lascino bloccare dalla “cultura del provvisorio”. Occorre “comprendere le loro inquietudini o
le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono” (EG 105).
Decisiva a questo proposito appare la famiglia, vera “Chiesa domestica” (LG 11), perché sia sempre più il
soggetto fondamentale dell’azione pastorale e di evangelizzazione (cfr. Francesco, Amoris Laetitia, 2016, n.
290; A. Scola, Educarsi al pensiero di Cristo, 2015, pp. 60-65). Proprio la famiglia può mostrare il volto del nuovo
umanesimo che nasce dalla sequela di Gesù, che superi la divisione tra la fede e la vita, l’estraneità venutasi a
creare nella modernità tra l’umano e l’annuncio cristiano, tra il Vangelo e la cultura. Proprio in questa
separazione il beato Paolo VI vedeva il dramma del nostro tempo (papa Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 1975, n.
20).
Nel processo di riforma verso cui ci spinge papa Francesco ci aiutano grandi figure di santità che anche
recentemente hanno fecondato il terreno della Chiesa ambrosiana: arcivescovi (Andrea Carlo Ferrari, Alfredo
Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Montini), laici (Gianna Beretta Molla, Contardo Ferrini), consacrati
(Enrichetta Alfieri, Samuele Marzorati, Luigi Monti, Ludovico Pavoni, Eugenia Picco, Maria Anna Sala),
sacerdoti (Luigi Biraghi, Carlo Gnocchi, Giovanni Mazzucconi, Luigi Monza, Serafino Morazzone, Luigi
Talamoni, Clemente Vismara), tutti con spiccate attitudini educative, sociali o caritative e capaci di rivelare il
coraggio della Chiesa in uscita che non teme il confronto con i cambiamenti più radicali.
Un popolo ricco di doni e aperto alle sfide
Nel cammino di questi anni ci siamo riscoperti popolo multiforme, ricco di soggetti, con carismi e
ministeri diversi. Papa Francesco trova nella Chiesa ambrosiana la ricchezza di carismi condivisi, antichi e nuovi,
che stanno imparando a camminare insieme (syn-odos) mettendo a disposizione della Chiesa i propri doni.
Associazioni, movimenti, aggregazioni ecclesiali, insieme agli istituti di vita consacrata, segnano da lungo
tempo la vita ambrosiana.
(I carismi) “Non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali
dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta
evangelizzatrice. Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi
armonicamente nella vita del popolo di Dio per il bene di tutti” (EG 130).
Queste realtà suscitate dallo Spirito per la comunicazione efficace del Vangelo possono aiutare a vivere
intensamente la pastorale ordinaria e organica della diocesi, superando la divisione tra pastorale parrocchiale e
di ambiente. Tutto ciò viene illuminato dalla immagine del “poliedro” che il santo Padre utilizza per spiegare
la vita pastorale della Chiesa e non solo:
“Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze
tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la
loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno”
(EG 236).
La pluriformità nell’unità permette di praticare quella coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici che animano la
Chiesa come comunione missionaria.
“Le differenze tra le persone e le comunità a volte sono fastidiose, ma lo Spirito Santo, che suscita questa diversità, può
trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione. La diversità
dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la
molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’unità. Invece, quando siamo noi che pretendiamo la diversità e ci
rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, provochiamo la divisione e, d’altra parte, quando siamo
noi che vogliamo costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità, l’omologazione. Questo non
aiuta la missione della Chiesa” (EG 131).
Accogliamo la sfida di papa Francesco che ci invita a uno stile sinodale di Chiesa, in cui si impara a
camminare insieme, nella condivisione e nella testimonianza reciproca. Solo accogliendo questa sfida i doni
diventeranno realmente fecondi per tutti.
DOMANDE PER FAVORIRE LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO
1.
2.
3.
In che modo la tua comunità si sente popolo di Dio e soggetto di evangelizzazione (EG 111)?
Si possono riconoscere segni di una conversione pastorale e missionaria delle nostre comunità ecclesiali?
Quali gesti, iniziative e opere trovi più efficaci per esprimere, in quanto persona e in quanto popolo, l’attenzione a tutti
coloro che abitano il territorio, agli ambienti significativi di vita e alle questioni più cruciali del tempo che viviamo?
4. Quale percorso è proposto perché il richiamo all’essenzialità della fede diventi vita e nuovo umanesimo capace di
incontrare chiunque? Quali nuovi processi Evangelii Gaudium ci invita a far succedere per favorire l’avvento di un
nuovo umanesimo?
2° CAPITOLO. POPOLO NELLA CITTÀ
Un popolo nella storia della città
Milano e le terre ambrosiane, uscite fortemente provate dal secondo conflitto mondiale e al tempo stesso
cariche di speranza e di energia per ricostruire il proprio tessuto economico, politico, culturale e religioso,
lacerato dai conflitti intestini e dalla guerra, riuscirono a trovare nella società il punto di forza per dare di
nuovo vita in forma moderna e contemporanea alle due caratteristiche che da secoli segnano il profilo
migliore delle nostre comunità: ovvero la capacità di innovare includendo o meglio di intraprendere
consolidando tessuti sociali solidali e coesi, grazie anche a un humus storicamente e trasversalmente radicato in
un cattolicesimo di carattere popolare.
Se si rivolge uno sguardo d’insieme agli ultimi settant’anni non si può non riconoscere alcuni pilastri che
hanno fondato – e ancora fondano seppur tra le difficoltà – la convivenza delle donne e degli uomini nel
nostro territorio. Il consolidarsi e rinnovarsi del movimento sociale cattolico e delle sue opere (che in terra
ambrosiana hanno ancora oggi il segno della loro presenza capillare in ciascun comune e in ciascun quartiere a
partire dalle parrocchie), insieme alla rinascita delle istituzioni mutualistiche per i lavoratori, la ripresa e la
crescita esponenziale delle attività economiche in ogni settore e in ogni forma di organizzazione (dalle
imprese private alle cooperative, dalle fondazioni agli enti morali) insieme a una capillare presenza dei
sindacati sui luoghi di lavoro (almeno per il primo quarantennio), il prevalere di un approccio pragmatico
nella dimensione politica (pur in presenza di forti contrapposizioni ideologiche), il progressivo consolidarsi di
istituzioni culturali in ogni campo del sapere e la sempre maggiore apertura alle relazioni internazionali di tutti
i segmenti del corpo sociale (nel contesto di una pace fondata sul trinomio democrazia-welfare-mercato che
ha caratterizzato l’Europa e l’Italia) hanno consentito di riprendere e rafforzare un sentiero di sviluppo della
società ambrosiana, riuscendo a garantire opportunità di lavoro, di studio e di vita per molte centinaia di
migliaia di persone spesso provenienti da altre regioni o nazioni in cerca di una migliore condizione di vita.
Il risultato di questi processi, che abbiamo sotto gli occhi, è una realtà che rappresenta il principale motore
economico italiano e uno dei più importanti d’Europa: pur nella durissima crisi vissuta e non certo superata, il
territorio ambrosiano presenta eccellenze non solo nei settori industriale, commerciale, finanziario, delle
comunicazioni e delle tecnologie innovative ma anche culturale, educativo, della sanità pubblica e privata e
delle imprese sociali e del terzo settore: un unicum in termini di completezza di sviluppo e opportunità ma
anche di complessità, contraddizioni e sfide sempre nuove. Nelle terre ambrosiane si è sostanzialmente
riusciti a far lavorare insieme elementi altrimenti divergenti (capitalismo e lavoro, poveri e ricchi, periferie e
centro, ceti istruiti e meno istruiti) in una logica inclusiva.
La Chiesa ambrosiana, nella transizione dalla modernità alla postmodernità, ha saputo attraversare le
profonde trasformazioni avvenute rimanendo un punto di riferimento per le nostre comunità e rivelandosi
sempre più evangelicamente piccolo e significativo gregge, testimone di praticabili alternative di vita buona
rispetto al disumanizzante paradigma tecnocratico illustrato da papa Francesco nella Laudato si’. Essa ha
cercato e realizzato senza sosta una presenza nelle periferie e incontrando migranti, poveri ed emarginati, a
partire dall’impulso esercitato dall’istituzione (ricordiamo il piano Montini per le periferie) e dai numerosi
testimoni di una fede operosa e missionaria (alcuni di essi citati nel cap. 1).
Un popolo di fronte alle sfide della città
“L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi
campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute,
dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne
del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la
disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti Paesi ricchi. La gioia di vivere
frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna
lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità” (EG 52).
Una situazione che affonda le sue radici prima che in quella economica, che ne è solo conseguenza, in una
crisi antropologica e culturale in particolare del mondo occidentale. Una progressiva ideologizzazione dei
valori distaccati dalla loro origine cristiana sfociato in un nichilismo (apparentemente) gaio e nell’era della
cosiddetta post-verità portano a una “liquefazione” delle relazioni e dei legami provocando un individualismo
e una frammentazione dilaganti a tutti i livelli: personale, famigliare, comunitario e politico; e con essi una
insicurezza esistenziale che genera paura, conflittualità e difesa dall’altro e dal diverso. E che esplode
principalmente nelle città.
Le ripercussioni di questa crisi antropologica vengono sottolineate in modo vibrante dallo stesso Papa. Ne
prendiamo solo alcune a esempio in ambiti diversi ma con cause comuni. In primo luogo un io adulto spesso
scettico e cinico, quindi “spento”, demotivato, incapace di rischiare e assumersi responsabilità che si riflette
nelle giovani generazioni sotto forma di apatia, forse il maggior sintomo dell’emergenza educativa a cui siamo
di fronte.
“Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate a essere modelli nel parlare e
nell’agire (cfr. 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per
favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico” (papa
Francesco, Firenze 2015).
In secondo luogo una finanziarizzazione dell’economia, o meglio una separazione della finanza
dall’economia reale, che ha causato i disastri ben noti, e una riduzione economicistica del lavoro umano, che
ha portato in tante situazioni a privilegiare i tagli del personale rispetto ad altre soluzioni forse più faticose ma
più lungimiranti per il futuro dell’azienda e della società in cui opera.
“I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani.
Rinunciare a investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società” (papa
Francesco, Laudato si', 2015, n. 128).
Infine i danni arrecati all’ambiente stanno producendo il riscaldamento globale e numerose altre “ferite”
alla madre terra con conseguenze disastrose per intere popolazioni, divenendo la terza causa migratoria dopo
la povertà e le guerre.
Tutto questo causa anche la diffusione e intensificazione della povertà. Il Pontefice centra uno dei punti
focali della crisi strutturale che il modello finanziario, economico, politico e culturale dominante sta
provocando:
“Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della
speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in
definitiva nessun problema” e che “l’inequità è la radice dei mali sociali” (EG 202).
Pur in un contesto di complessiva tenuta del sentiero di pace e quindi di tentativo di sviluppo integrale
delle nostre comunità non possiamo nasconderci che i mali che stanno affliggendo il mondo sono presenti e
rischiano di minare alle fondamenta la nostra società anche nei nostri territori, dove come in tutto l’Occidente
e nell’intero pianeta, le diseguaglianze sono drammaticamente aumentate. Negli ultimi decenni i ricchi sono
divenuti sempre più ricchi, i ceti medi hanno visto assottigliarsi le opportunità rispetto alla generazione
precedente e i loro figli – ci spiegano gli esperti – avranno meno opportunità dei loro padri; inoltre, anche alle
nostre latitudini, il numero dei poveri assoluti e relativi è aumentato drasticamente negli ultimi anni. Anche a
Milano sono dunque presenti le stesse sfide che papa Francesco mette al centro dell’azione della Chiesa: una
Chiesa povera per i poveri.
“Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo
sviluppo integrale dei più abbandonati della società” (EG 186).
Di fronte a queste sfide il cristiano non può stare tranquillo, magari cercando riparo nella Chiesa e
riducendo la fede a un anestetico:
“L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è
tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci
danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo
tranquilli»” (EG 49).
Un popolo che vuole rispondere insieme alle sfide della città
Prima che dalle buone intenzioni e dai progetti futuri, occorre partire dal bene che già c’è, che ha
permesso a Milano e alle terre ambrosiane di conoscere una storia di crescita e di rinascita.
A partire dal bene presente nelle persone: siamo infatti consapevoli che nella quotidiana lotta per la
sopravvivenza di molti cittadini “si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso
religioso” e che Dio opera e abita nelle nostre case, nelle nostre strade, nelle nostre piazze, e “vive tra i cittadini
promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia” (EG 71-75).
Affrontando e accettando, noi per primi come occasione di verifica della fede, le sfide e le emergenze che
colpiscono noi e i nostri fratelli uomini con cui viviamo fianco a fianco nella città (educazione, povertà,
lavoro, migrazioni, etc…) e che suscitano domande e provocazioni che mettono in difficoltà vecchi schemi
interpretativi e tentativi di risposta, abbiamo l’occasione di uscire dall’autoreferenzialità e riscoprire
“l'intelligenza” della fede che diventa intelligenza della realtà (papa Benedetto XVI, Roma 21 maggio 2010).
“Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito
pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti
sono cittadini” (papa Francesco, Firenze 2015).
Tali sfide ed emergenze sono di fatto occasione di dialogo, non ridotto a dialettica, negoziazione o
dibattito di opinioni, ma come innescarsi di processi, di un “fare insieme” con i nostri fratelli uomini.
“Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa
insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona
volontà” (ivi).
Come credenti e come Chiesa ambrosiana siamo già al lavoro su questo sentiero con numerose istituzioni
ecclesiali e programmi pastorali e collaboriamo, attraverso le organizzazioni sociali, educative, culturali ed
economiche che vedono i cristiani protagonisti in numerose azioni e processi nella direzione indicata dal
Pontefice. Gesti, iniziative, opere educative, di accoglienza, di carità, di aiuto al lavoro, etc… Rappresentano
spesso luoghi di umanità rinnovata in cui la speranza si rende visibile concretamente attraverso gesti
esemplificativi in grado di ridestare l’uomo alla sua natura relazionale che si realizza pienamente nella gratuità
e nella carità. Il cattolicesimo ambrosiano ha una storia e un presente ricco di esempi in questo senso. Tali
gesti e opere non di rado hanno dimostrato la capacità di entrare in rapporto con realtà apparentemente
lontane e di innescare processi che facilitano una convivenza costruttiva e pacifica.
È necessario moltiplicare gli sforzi, a partire dalla valorizzazione di esempi positivi già esistenti, perché nel
lavoro “libero, creativo, partecipativo e solidale” ciascuna persona possa “esprimere e accrescere la dignità
della propria vita” (EG 192). E quindi intendiamo impegnarci innanzitutto perché il lavoro ci sia, ci sia per
tutti e per tutte e sia “un contributo alla Creazione” e una onesta fonte di un “giusto salario”.
“Emerge con chiarezza il bisogno di dar vita a nuovi modelli imprenditoriali che, nel promuovere lo sviluppo di tecnologie
avanzate, siano anche in grado di utilizzarle per creare un lavoro dignitoso per tutti” (papa Francesco, Messaggio al
World Economic Fotum, Davos 2016).
Intendiamo perciò dare il nostro contributo come popolo di Dio perché tutti, cristiani e non, credenti e
non si possa diventare un popolo, consapevoli che ciò “richiede un costante processo nel quale ogni nuova
generazione si vede coinvolta”, “un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo
fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia” (EG 220), convinti che
“il senso unitario e completo della vita umana che il Vangelo propone è il miglior rimedio ai mali della città, sebbene
dobbiamo considerare che un programma e uno stile uniforme e rigido di evangelizzazione non sono adatti per questa
realtà. Ma vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in
qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città” (EG 75).
DOMANDE PER FAVORIRE LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO
5.
Quali sono le priorità che l’esperienza ci consegna e come Evangelii Gaudium ci può aiutare a affrontarle in un’ottica
di popolo?
6. Nella tua esperienza personale e comunitaria cosa è stato in grado di vincere l’apatia dei giovani e lo scetticismo degli
adulti (cfr. Discorso alla Chiesa italiana Firenze )?
7. La provocazione di Evangelii Gaudium a essere popolo nella città, fermento di una rinnovata vita sociale, uno spazio
di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti come ci interpella? Ci può aiutare a innescare processi per
rompere l’autoreferenzialità dei nostri gruppi e/o delle nostre iniziative?
8. Quali sono gli esempi più efficaci di dialogo e di processi inclusivi che hai vissuto, e perché?
3° CAPITOLO. POPOLO PER TUTTI I POPOLI
La Milano che si prepara ad accogliere papa Francesco è una città che sta vivendo sulla propria pelle quel
cambiamento d’epoca (molto più potente di una semplice epoca di cambiamenti) di cui il Papa parla spesso.
Milano e tutto il suo tessuto urbano (che copre e supera il territorio diocesano) fatica a vedere con lucida
consapevolezza le dimensioni della trasformazione: è una città che per alcuni tratti può pensarsi ancora borgo
comunale ma per altri sta già vivendo processi che la accomunano alle grandi metropoli europee; è una città
che comincia a misurarsi con il rilievo simbolico delle grandi scelte che è chiamata a fare, come quella della
Città Metropolitana.
Tutta questa evoluzione ci colloca dentro una situazione di inquietudine e anche un po’ di
disorientamento. Come l’arcivescovo ha più volte richiamato, Milano e le sue terre sono alla ricerca di una
nuova anima, capace di fondere in unità i tanti significativi frammenti di vita buona che nell’area
metropolitana si accompagnano a pesanti contraddizioni.
Un popolo impegnato nel rinnovare l’anima della città
La visita di papa Francesco diventa un dono prezioso, dentro questo processo di ricerca e di ricostruzione
dell’anima della città. Ci dà infatti energie per superare la paura che genera atteggiamenti irrigiditi e forme di
chiusura. Chiede al popolo cristiano di essere sentinella e antidoto, perché queste paure non prendano corpo
e non si agglutinino in movimenti sociali e culturali; chiede di trasformare ciò che viviamo come una semplice
emergenza (la presenza di tanti profughi, l’apparire di nuove forme di povertà e di emarginazione) in uno
strumento per una rieducazione del nostro cuore e delle nostre menti.
Avere il pensiero di Cristo, sviluppare una mentalità cattolica, letteralmente aperta al tutto, abituarsi a
vivere la nostra identità cristiana dentro una società plurale: la visita del Papa diventa l’occasione e lo stimolo
per pensarsi a Milano come popolo di Dio tra i tanti popoli del mondo, come popolo per tutti i popoli, con il
compito di accendere processi di riconciliazione e di riunificazione.
“Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al
realismo della dimensione sociale del Vangelo. (…) Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il
volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un
costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla
comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri” (EG 88).
Una simile attitudine non si sviluppa a tavolino. Come in ogni processo storico è necessario partire dal
soggetto, dalle persone e dalla loro capacità di testimonianza. Occorre recuperare il “per chi” facciamo
questo: un atteggiamento libero che, non avendo nulla da difendere se non la testimonianza di Cristo, è in
grado di rimettere in discussione la forma della testimonianza in rapporto ai segni dei tempi e alle indicazioni
di chi guida la Chiesa. Il primo fattore di novità, infatti, è il porsi del soggetto stesso. Senza un soggetto
nuovo, personale e sociale non supereremo la grave crisi del desiderio che ci rende oggi incapaci di speranza,
di slanci ideali, di passioni, di rischio, di avventura. Solo così i tanti esempi e le tante risposte positive che già
stiamo elaborando diverranno quella testimonianza che come papa Francesco ci chiede è capace di
sconvolgere il mondo con la gioia del Vangelo.
“Così prende forma la più grande minaccia, che «è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale
tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità».
Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà,
dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si
impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio». Chiamati a illuminare e a comunicare vita, alla
fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore, e che debilitano il dinamismo
apostolico. Per tutto ciò mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!” (EG 83).
La cattolicità intrinseca alla comunione cristiana, se fedele alla sua origine, è speranza per il mondo in
quanto vince l’individualismo, la frammentazione e la divisione dilagante a tutti i livelli. La nostra forza non è
il proselitismo ma l’attrattiva della testimonianza dell’amore di Cristo.
“Se pensiamo che le cose non cambieranno, ricordiamo che Gesù Cristo ha trionfato sul peccato e sulla morte ed è ricolmo
di potenza. Gesù Cristo vive veramente. Altrimenti, «se Cristo non è risorto, vuota è la nostra predicazione» (1 Cor
15,14). Il Vangelo ci racconta che quando i primi discepoli partirono per predicare, «il Signore agiva insieme con loro e
confermava la Parola» (Mc 16,20). Questo accade anche oggi. Siamo invitati a scoprirlo, a viverlo. Cristo risorto e
glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci
affida” (EG 275).
Se la paura dilagante ci insegna che la migliore strategia è una violenza più efficace (l’homo homini lupus di
Thomas Hobbes), il popolo di Dio vive dentro i cambiamenti del mondo con lo stile di Gesù Cristo: ai
cristiani oggi è chiesto di vivere l’Ecce homo di Gesù, che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona,
salva, come ci ha ricordato papa Francesco al Convegno Ecclesiale di Firenze.
Ripensare la grammatica dell’umano. Questo imperativo, un dovere che si impone da sé, non per calcoli
politici o in seguito a gruppi di pressione, ma grazie all’apparire alla nostra coscienza del bene che tutti
vogliamo per la nostra società, per gli uomini, per le nuove generazioni, è il tratto che ci consente di rifare
nostro lo stile di Gesù. Il popolo di Dio che papa Francesco incontrerà è un popolo che vuole restare fedele
al movimento di incarnazione che Dio ha realizzato donandoci suo Figlio. Alla testimonianza cristiana spetta
di mostrare come il Vangelo entra pazientemente nel tempo e nello spazio attraversando tutta la condizione
umana fin nelle sue periferie più remote, senza paura di mischiarsi con la zizzania, con quanto è segnato dal
male. Il mondo che Gesù chiama “il campo” chiede di essere pensato come il luogo in cui ogni uomo e ogni
donna possono rispondere al loro desiderio di felicità, ci ricorda il nostro arcivescovo.
Un popolo capace di testimoniare
La testimonianza è il principio che ci permette di abitare senza paura e inibizioni il cambiamento d’epoca.
La testimonianza è il cuore che fa di noi un popolo capace di abbracciare tutti i popoli. Non siamo i primi,
d’altronde, a essere chiamati a vivere la nostra fede in una simile prospettiva. Milano è terra ambrosiana, dove
l’aggettivo “ambrosiano” suona come sinonimo di accoglienza, riconoscimento, rispetto, apertura a Dio,
luogo in cui il cristianesimo ha saputo elaborare grandi frutti, anche nel campo sociale e politico. Milano è
terra ambrosiana ovvero terra laboriosa, in cui il monachesimo (con le sue abbazie padane) prima e il
rinascimento poi hanno infuso cultura e strategie per la produzione e un governo ecologico del territorio.
Milano è terra ambrosiana perché grandi vescovi hanno saputo leggere, coinvolgere, disciplinare e
moltiplicare le energie politiche e sociali della gente, generando una forma di vita cristiana unica al mondo: il
cattolicesimo popolare, ovvero una fede vicina alla gente, capace di condividere il quotidiano, assumerlo e
trasfigurarlo trovando risposte inedite ai gravi problemi che presentava.
Essere popolo per tutti i popoli chiede di sapere assumere e dare futuro a questa attitudine ambrosiana:
continuare a costruire una Milano capace di innovazione, ma allo stesso tempo attenta a che lo sviluppo non
generi difformità e squilibri; una Milano capace di fare fronte comune, stemperando le tensioni generate dalle
battaglie politiche e ideologiche, per moltiplicare risorse ed energie; una Milano che sa abitare senza isterismi
una trasformazione che assume tinte forti e dirompenti.
“Nuove culture continuano a generarsi in queste enormi geografie umane dove il cristiano non suole più essere promotore
o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti
di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù. Una cultura inedita palpita e si progetta nella città. (…) Si rende
necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che
susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la
Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città” (EG 72-73).
È ormai normale incontrare gruppi di ragazzi e di adolescenti che, nati a Milano, sono però figli di culture,
tradizioni e religioni che a Milano sono arrivate con i loro genitori. Ed è interessante vedere come queste
nuove generazioni di milanesi sono capaci di abitare la memoria che la città consegna loro con i suoi luoghi, i
suoi percorsi e i suoi ritmi, riuscendo a fare nuove sintesi tra tradizioni, interrogando e arricchendo la nostra,
e allo stesso tempo aprendo piste di sviluppo che disegnano il futuro della nostra città, soprattutto il futuro
della sua anima.
Milano, la città ambrosiana, ha un’anima che si colora in modo nuovo grazie alle tante operazioni di
meticciamento in atto; tocca al popolo di Dio curare che quest’anima continui ad abitare in modo creativo
queste trasformazioni, per evitare i rischi di frammentazione che le novità sempre portano con sé, e riuscire a
fondere in unità i tanti ingredienti positivi che la memoria ci ha tramandato, unitamente ai nuovi innesti che le
trasformazioni in essere ci consegnano. Siamo popolo per tutti i popoli; abbiamo bisogno di continuare a
essere sorgente delle buone pratiche che hanno resa famosa Milano. Milano laboratorio di un umanesimo in
grado di abitare il ventunesimo secolo; Milano capace di mostrare come le grandi operazioni culturali che
costruiscono la persona umana di ogni epoca (curare, nutrire, produrre, vestire, abitare, generare, educare,
trasmettere, conoscere, pregare, governare…) sono non soltanto possibili nel nuovo contesto urbano, ma
addirittura consentono di generare uomini e donne adulti e maturi, portatori di vita buona.
Un popolo costruttore di un meticciato di pace
Milano terra di mezzo. Le terre ambrosiane sono sempre state terre di incontro e di scambio, luoghi di
accoglienza e di sviluppo. Di fronte alle grandi trasformazioni in atto Milano ha la responsabilità di saper
realizzare un meticciato urbano che sappia essere l’alternativa a forme di separazione e di discriminazione, di
rifiuto e di scarto. Il popolo ambrosiano può mostrare come la cultura dell’incontro e la civiltà dell’amore
possono essere una reale alternativa alla globalizzazione dell’indifferenza e alla guerra di civiltà. In questa sfida
vale la pena giocare l’originale impronta ambrosiana: la nostra identità di popolo di Dio può giocare un ruolo
(e lo sta facendo) nel costruire un concetto di pace che non sia soltanto negativo (evitare conflitti) ma positivo
e dialogico (favorire incontri e relazioni, lavorare per generare quell’amicizia civica che è la base di ogni
convivenza).
In questa situazione, il peccato da combattere è la distrazione che ci rende sterili e provoca fratture e
divisioni. Così, pur convinti dell’amore di Dio che salva il mondo, non riusciamo a vedere il bene che si sta
realizzando, non riusciamo a leggere nel presente il disegno di salvezza che Dio sta operando anche oggi.
Questo è il rischio maggiore e il peccato di cui come cristiani dobbiamo chiedere perdono: le divisioni tra di
noi, il ripiegamento identitario ci fanno correre il rischio di non essere capaci di vedere la salvezza che Dio sta
operando anche in mezzo ai tanti segni di stanchezza e di fatica. Il nostro peccato ci inibisce lo sguardo, la
speranza. Rischiamo di cadere vittime di quella «tristezza individualista che ci trasforma in persone risentite,
scontente, senza vita».
“Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista
che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la
vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la
voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti
corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita.
Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello
Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto” (EG 2).
Il luogo dove vivere questa sfida, il luogo dove stiamo imparando a essere popolo per tutti i popoli sono
le tante periferie, che non solo a Milano stanno cambiando a una velocità ben superiore alla comprensione
che ci stiamo facendo del fenomeno. Le periferie sono il grande laboratorio non solo della città ma anche
della Chiesa del domani (ma già dell’oggi). E gli strumenti per abitare questa sfida sono quelli che la tradizione
ambrosiana ci consegna: una dimensione religiosa da vivere nel quotidiano come sorgente di energie e di
senso, un lavoro educativo e culturale capillare e continuo, una voglia di condivisione che fa della festa la
celebrazione dei momenti di incontro e di relazione, una carità che sa non soltanto riconoscere i bisogni ed
elaborare risposte, ma che abita questi bisogni come luogo a partire dal quale costruire nuovi legami e tessuti
sociali.
In tutto questo quadro si colloca l’impegno per un ecumenismo di popolo e una volontà di dialogo tra le
religioni e con tutti gli uomini di buona volontà. Milano ha visto la nascita del Consiglio delle Chiese cristiane,
e ci vede impegnati insieme come cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi) a seminare nelle terre ambrosiane
la medicina del perdono, del dialogo, dei cammini di riconciliazione e di comunione. Abitando in un mondo
impaurito e a rischio rassegnazione, l’ecumenismo di popolo ci permette di toccare con mano che ciò che ci
unisce è molto più forte di ciò che ci divide. Possiamo perciò stimolarci reciprocamente, nel cercare di vivere
con fedeltà la nostra testimonianza al Vangelo, imparando a crescere nell’unità. E la comunione che stiamo
imparando a vivere tra cristiani ci da forza per quel dialogo tra le religioni che anche Milano vuole vivere, per
essere laboratorio di pace.
In queste periferie che sono la Milano del ventunesimo secolo papa Francesco ci spinge a vedere i tratti
della Chiesa in uscita, ovvero pronta a fare delle sfide un luogo di rigenerazione del proprio corpo ecclesiale,
mostrando la capacità di entrare in rapporto e di innescare processi con realtà e comunità di altre religioni,
facilitando esempi di convivenza costruttiva e positiva anche tra diverse etnie.
“Non bisogna dimenticare che la città è un ambito multiculturale. Nelle grandi città si può osservare un tessuto
connettivo in cui gruppi di persone condividono le medesime modalità di sognare la vita e immaginari simili e si
costituiscono in nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili. Svariate forme culturali convivono di fatto,
ma esercitano molte volte pratiche di segregazione e di violenza. La Chiesa è chiamata a porsi al servizio di un dialogo
difficile” (EG 74).
Se il compito ci apparisse difficile e il confronto con le sfide impossibile, vale la pena assumere e fare
nostra l’attitudine e lo sguardo di Maria, la Madre del Signore. Come ci ricorda papa Francesco, è proprio
guardando Lei che possiamo dispiegare il nostro impegno a essere popolo di Dio nella città, tra e per i popoli,
convinti del sostegno solido e ricco di fantasia dello Spirito Santo.
“Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di
tenerezza. Lei è la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode. È l’amica sempre attenta perché non venga a
mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto dalla spada, che comprende tutte le pene. Quale madre
di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria
che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita, aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera
madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio” (EG 286).
DOMANDE PER FAVORIRE LA RIFLESSIONE E IL CONFRONTO
9. Cosa significa nella tua esperienza impegnarsi per dare un’anima alla città da credenti in dialogo con tutti?
10. Quali esempi di testimonianza a tuo avviso sono particolarmente da evidenziare come innovativi e contemporanei per
noi “credenti nella città” (Luogo dove Dio già abita) (EG71)?
11. Evangelii Gaudium ci ricorda che il Suo Popolo si incarna nei popoli della terra, ciascuno con una propria cultura
(EG 115). Come essere pertanto capaci di riconoscere la dignità di ogni cultura nella società multiculturale, oltre ogni
paura dell’altro, del migrante, del diverso?