cliccando qui - Gruppo Bilancio Sociale
Transcript
cliccando qui - Gruppo Bilancio Sociale
Press marzo 2015 / no.75 ISSN 2039-540X Professione Economica e Sistema Sociale Press Sommario/marzo PRIMO PIANO 37 Domenico Calvelli Schilder: “L’impegno dello IAASB per le Pmi” CNDCEC REPORT - Pag. 8 38 L’attività di marzo EDITORIALE Longobardi: “Revisione legale valore aggiunto per imprese e collettività” - Pag. 4 Maria Luisa Campise 3 L’INTERVENTO 4 6 8 10 12 14 16 18 Gerardo Longobardi Raffaele Marcello Arnold Schilder Marcello Bessone Raffaele D’Alessio Laura Pedicini Mariarita Cafulli Valter Cantino Alain Devalle 28 Neil Stevenson CONVEGNI Marcello: “Principi scalabili e proporzionati” - Pag. 6 20 L'adozione dei principi professionali in materia di revisione ISA Italia IL PUNTO 32 M. E. Di Giandomenico DIAMO I NUMERI 44 RSO: aumenta il tasso di crescita degli iscritti all’Albo PROFESSIONE E TEMPO LIBERO 47 Letti per voi Bessone: “Il ruolo del MEF nell’emanazione dei principi di revisione ISA Italia” - Pag. 10 32 Etica, finanza e performance competitiva aziendale, connessione imprescindibile nella new economy Marco Eugenio Di Giandomenico Docente di Logica e Organizzazione di Impresa presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano - Membro del Consiglio Scientifico del Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (GBS) di Milano Il comportamento socialmente responsabile delle imprese ottimizza i processi aziendali e contribuisce a sviluppare un tessuto sociale produttivo più sano perare in maniera “sostenibile” e adottare buone pratiche “etiche” rappresenta l’unica modalità possibile per la sopravvivenza dell’impresa nel medio-lungo periodo. È questa la nuova frontiera dell’economia aziendale che ai vecchi schemi classici della crescita ad ogni costo tesa alla massimizzazione degli output attesi dai vari attori economici (produttore, investitore, consumatore) ha sostituito, oramai da più di due decenni, le nuove direttive dell’economia equa e solidale che vede nella massimizzazione delle aspettative lecite degli stakeholder il vero viatico per il successo ultragenerazionale dell’impresa del terzo millennio. Oramai la parola d’ordine è “etica” e, senza scomodare le affascinanti teorie di Serge Latouche sulla decrescita “felice”, le discipline aziendalistiche si affannano sempre di O più - e il corposo sistema della Corporate Social Reporting ne è un’esemplificazione tangibile - a fornire nuovi strumenti e metodologie che permettano la quantificazione del raggiungimento da parte dell’impresa degli obiettivi di sostenibilità che si legano necessariamente a quelli di performance competitiva in ambito internazionale. Un’impresa che funziona e per più anni è un’impresa che può onorare nel medio e lungo periodo le proprie obbligazioni, soprattutto con chi, come le banche, operano nel campo del credito finanziario, dovendo quotare il rischio di (in-)solvenza relativamente a un futuro che nell’epoca del new media e del virtuale risulta sempre più difficilmente ponderabile. Da qualche mese è finalmente operativo in Italia il rating di legalità, il nuovo strumento che le banche possono adottare nelle operazione di concessione di credito alle imprese, dando un contributo tangibile alla promozione di best practise nel mondo economico, incentivando comportamenti che privilegino gli stakeholder e le loro legittime aspettative. Il Rating di legalità è stato introdotto dall’art. 5-ter, d.l. 24 gennaio 2012 n. 1 (convertito dalla legge n. 62 del 26 marzo 2012) e da ultimo reso operativo dal Regolamento AGCM n. 24075/2012 (da ultimo modificato dalla Delibera n. 24953 del 5 giugno 2014) e dal d.m. Economia e Finanze n. 57 del 20 febbraio 2014. In linea di massima, per le imprese tale strumento si atteggia a base per così dire “volontaristica”, essendo collegato all’attivazione di procedure per l’ottenimento di finanziamenti pubblici e/o bancari. Nulla di nuovo, se ci si pensa bene: infatti anche l’adozione dei meccanismi di rendicontazione sociale, a parte alcune fattispecie allo Il Punto stato attuale abbastanza delimitate (si pensi, ad esempio, alle imprese sociali, che hanno l’obbligo di redigere il bilancio sociale), costituisce, mutatis mutandis, una scelta libera per l’imprenditore che vuole cambiare il suo modo di operare in termini “sostenibili”. La grande novità, invece, risiede nella circostanza che per la prima volta il Legislatore pone il focus esplicito e diretto sui comportamenti etici da parte delle imprese, attribuendo una rilevante accezione economica a tale rating, vincolando contemporaneamente gli istituti di credito e le amministrazioni pubbliche a tenerne conto in sede di erogazione delle risorse finanziarie di riferimento; infatti: l’Amministrazione Pubblica ha l’obbligo di considerare il rating di legalità come discriminante nell’assegnazione dei finanziamenti utilizzando uno, tutti o una combinazione dei seguenti criteri: a) preferenza in graduatoria; b) attribuzione di punteggio aggiuntivo; c) riserva di quota delle risorse finanziarie allocate; gli istituti di credito devono collegare al rating di legalità una riduzione dei costi e dei tempi di istruttoria, nonché un iter agevolato e condizioni maggiormente favorevoli per l’accesso al credito. La procedura di attribuzione del rating è abbastanza semplice e ricalca sostanzialmente lo schema e le procedure di solito adottati per la richiesta e concessione di incentivi pubblici. L’impresa presenta la domanda per l’attribuzione del rating di legalità in via telematica seguendo le istruzioni dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) disponibili sul sito web (www.agcm.it). Verificate le condizioni soggettive (mancanza di misure di prevenzione e/o cautelari, sentenze/decreti penali di condanna, sentenze di patteggiamento per reati tributari ex d.lgs. 74/2000 e per reati ex d.lgs. n. 231/2001 con riferimento a componenti della governance aziendale), viene attribuito il rating di legalità, vale a dire un punteggio ordinale (una, due e tre “stellette”). Per essere ammessa al beneficio e ottenere quindi la prima “stelletta” occorre che l’impresa abbia la sede operativa in Italia, un fatturato minimo di 2 mln di euro annuo nell’esercizio precedente la richiesta del rating e un’iscrizione di almeno 2 anni al Registro delle imprese. Con l’attivazione di alcune pratiche è possibile guadagnare un “+”, ottenendo, ogni tre “+”, una stelletta 33 (★) aggiuntiva fino ad un massimo di tre stellette, con l’ulteriore possibilità di ottenere ancora un ulteriore ultimo “+” (una sorte di lode) se l’impresa abbia denunciato all’autorità giudiziaria o alle forze di polizia uno o più reati tra quelli ex d.lgs. 74/2000, ex d.lgs. n. 231/2001 e/o art 405 c.c.p., commessi a danno dell’imprenditore, di propri familiari e/o collaboratori e a seguito di tale denuncia sia stata esercitata azione penale in relazione ai fatti di reato denunciati. I suddetti “+” si ottengono in connessione con le seguenti circostanze: rispettare i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’Interno e da Confindustria in data 10 maggio 2010 e le successive versioni dello stesso e le Linee Guida che ne costituiscono attuazione e i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’Interno e dalla Lega delle 34 Il Punto Cooperative in data 14 novembre 2013 oltre ai protocolli sottoscritti a livello locale dalle Prefetture e dalle associazioni di categoria; utilizzare sistemi di tracciabilità dei pagamenti per le somme inferiori a 1000 €; adottare una funzione o struttura organizzativa che espleti il controllo di conformità delle attività aziendali a disposizioni normative applicabili all’impresa o un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231/2001; applicare processi volti a garantire forme di Corporate Social Responsibility; iscriversi in uno degli elenchi di soggetti non sottoposti a tentativi di infiltrazione mafiosa istituiti ai sensi delle vigenti disposizioni di legge; aderire a codici etici di autoregolamentazione specifici per la categoria d’impresa e di inserire, anche qualora non sia previsto a norma di legge, clausole di mediazione per la risoluzione dei contratti tra impresa e consumatori o adottare protocolli per l’attuazione di conciliazioni paritetiche. A ben vedere l’AGCM ha il duplice ruolo di decisore e controllore nell’assegnazione dei vari punteggi. Decisore in quanto regola le modalità di richiesta e di assegnazione del rating attraverso i suoi regolamenti interni, scegliendo, gestendo e modificando i requisiti per l’ottenimento del punteggio e regolando le richieste di rinnovo da parte delle imprese. Controllore in quanto ha la responsabilità di provvedere alla verifica della veridicità delle dichiarazioni attraverso la consultazione dei registri e di tutta la documentazione necessaria, collaborando eventualmente con le amministrazioni pubbliche che dovranno a norma di legge fornire tutto l’aiuto possibile. L’aspetto interessante su cui riflettere attiene alle banche, che, qualora ritengano di adottare tale strumento, sono tenute a considerare il rating di legalità tra le variabili di individuazione del profilo di rischio con l’obbligo di ridurre sia i tempi e i costi di istruttoria sia il costo e la durata del debito per le imprese virtuose, agevolando la relativa erogazione del prestito. Il legislatore lascia libero l’istituto bancario di considerare o meno il rating di legalità tra le variabili rilevanti per l’erogazione del credito addossandogli, tuttavia, l’obbligo, entro il 30 aprile di ogni anno, di comunicare in modo dettagliato alla Banca d’Italia i casi e le motivazioni dell’astensione e di pubblicarle sul sito internet delle stesse. Evidentemente, le intersezioni con la CSR sono molteplici e necessarie e le questioni da risolvere altrettanto: un istituto di credito, che non incentiva le buone pratiche aziendali attraverso l’adozione del sistema del rating di legalità, come rendiconterà tale scelta nel proprio bilancio sociale? una scarsa attenzione della banca all’etica può essere foriera di una diminuzione di fiducia da parte di azionisti e investitori, oltre che di un boomerang negativo in termini di validazione e reputation pubblica? la non adozione del rating può sollecitare l’attenzione di Banca d’Italia (o di chi per essa) che potrebbe ipotizzare collegamenti con società a stampo mafioso? A questo punto le banche rivestono un ruolo importante nel “miglioramento” etico dell’imprenditoria italiana: applicare il regolamento, calibrando il profilo di rischio dell’impresa (da cui derivano le analisi successive sul costo e sul tempo di ritorno del credito) sull’assegnazione del rating di legalità, diventa una sorta di strumento must-have, un’azione doverosa nella direzione di promuovere aziende più sane e longeve, meno soggette a default, così da ottenere efficacemente in breve tempo una bonifica sostanziale del tessuto imprenditoriale nazionale, di cui le banche stesse per prime beneficerebbero. D’altronde, il modello applicativo del rating si basa sul ragionamento sintetizzabile nella locuzione “più requisiti più sconto”, non incidendo né sui ragionamenti di tipo economico che l’istituto bancario elabora prima della concessione del credito né sui modelli statistici di valutazione di rating interno utilizzati nella normale prassi bancaria: il rating di legalità, basandosi principalmente su ragionamenti di ponderazione matematica dei requisiti etico - legali considerati, è verificato velocemente. Anche se nel medio - lungo periodo rimane comunque incerta la capacità reddituale dell’impresa, una buona performance in termini di rating di legalità è sicuramente foriera di una buona capacità di restituzione del credito ottenuto da parte dell’impresa medesima, riducendosi la sua probability of default (anche con riferimento al singolo investimento) e in particolare la probabilità che venga sottoposta a giudizio, a sequestri o comunque debba pagare sanzioni penali e civili che possono minare completamente Il Punto la riuscita di un progetto. Oramai è incontrovertibile lo strettissimo legale tra CSR e performance aziendale. La letteratura d’oltreoceano individua quattro macro-motivazioni alla CSR: dovere morale (fare business rispettando le persone, la comunità e l’ambiente), sostenibilità (soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni), licenza per operare (bisogno, da parte di ogni azienda, di recepire un’autorizzazione ad operare, tacita o esplicita, da parte dei governi, comunità, etc.), reputazione (miglioramento dell’immagine aziendale e quindi aumento della fiducia da parte di azionisti e investitori con conseguente incremento del valore delle azioni). Risulta evidente che l’impresa deve affrontare la problematica “sociale” del suo operare con gli stessi strumenti utilizzati per analizzare la sua posizione competitiva e sviluppare la strategia: le attività di CSR non devono semplicemente derivare da impulsi emozionali isolati ovvero da pressioni esterne, bensì da un programma strutturato che massimizzi il beneficio sociale e al contempo gli utili ritraibili dal business. Tale programmazione socialmente responsabile comprende, pertanto, tanto le ramificazioni sociali della catena del valore, quanto le dimensioni sociali del contesto competitivo (legami “outside-in”) con l’obiettivo di migliorare la produttività e attuare la strategia. Le imprese di successo hanno bisogno di un contesto socioeconomico sano. Istruzione, sanità e pari opportunità sono elementi focali di una forza lavoro produttiva. Prodotti e condizioni di lavoro sicuri non solo attirano i clienti, ma riducono i costi interni. Utilizzo efficiente di terra, acqua, energia e altre risorse naturali rende l’attività più produttiva. Il buon governo e l’ordinamento legislativo (soprattutto in merito ai diritti di proprietà) sono essenziali per l’efficienza e l’innovazione. I forti standard normativi proteggono i consumatori e le aziende competitive dallo sfruttamento. In definitiva, una società sana crea espansione della domanda per le imprese, in quanto sono soddisfatte le esigenze più “umane” e sono incrementate le aspirazioni. Qualsiasi azienda che persegue i suoi fini a spese della società in cui opera persegue un successo illusorio e inevitabilmente temporaneo. Allo stesso tempo, una società sana ha bisogno di aziende di successo. Nessun programma sociale può competere con il settore delle imprese, quando si tratta di creare posti di lavoro, ricchezza e innovazione, che migliorano gli standard di vita e le condizioni sociali nel tempo. Se i governi e i vari attori della società civile indeboliscono la capacità delle imprese di operare in modo produttivo, possono vincere le battaglie, ma perderanno sicuramente la guerra, in quanto con il venir meno della competitività aziendale e locale, i salari ristagnano, i posti di lavoro scompaiono, e tutto quel mondo in grado di sovvenzionare il terzo settore e di contribuire alla spesa pubblica pagando le imposte sparisce inevitabilmente. Imprese e attori della società civile hanno per lungo tempo perseguito una politica di attrito e contrapposizione, anziché di 35 condivisone. La loro dipendenza reciproca implica che le decisioni di business e le politiche sociali di entrambi devono seguire il principio del valore condiviso, vale a dire che le loro scelte devono beneficiare entrambe le parti, rinunciando al perseguimento miope di interessi particolari a spese altrui, ottenendo guadagni temporanei, che minano la prosperità a lungo termine dell’intera collettività. Da quanto sopra emerge con chiarezza come il comportamento socialmente responsabile delle imprese, il quale rientra a piena titolo nella loro programmazione strategica aziendale e va rendicontato mediante il corposo sistema della CSR, concerne differenti aspetti, tra loro tutti interconnessi: ottimizza i processi aziendali, incrementando la produttività dei vari fattori produttivi e diminuendo i costi interni, favorendo il perseguimento di obiettivi di performance competitiva e di equilibrio economico- finanziario di medio-lungo periodo; contribuisce a sviluppare un tessuto sociale produttivo più sano, che a sua volta ha più risorse per promuovere le buone pratiche di CSR, così da accompagnare le imprese nel loro processo di sviluppo in chiave internazionale, contribuendo alla minimizzazione dei rischi di default; deve diventare l’obiettivo di tutti gli attori economici e in particolare delle banche, le quali hanno solo da guadagnare da un miglioramento “etico” delle imprese, in quanto grazie alla minimizzazione dei rischi di default possono a loro volta ridurre le sofferenze sui crediti erogati.