Dopo le sei - Mondolibri

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Dopo le sei - Mondolibri
LIBRO
IN ASSAGGIO
DOPO DI LEI
DI JONATHAN TROPPER
Russ è fatto. Lo si capisce dal bianco dei suoi occhi, che in realtà sembra piuttosto un rosa
vitreo sotto la tremolante luce gialla della veranda, dai dischi scuri delle sue pupille dilatate,
dal modo in cui le palpebre gli restano pigramente sospese a mezz’asta e dalla nonchalance
con cui si appoggia al poliziotto scoglionato che lo sta reggendo in piedi davanti alla mia
porta d’ingresso. Sembrano due compagni di bevute che escono barcollanti nella notte dopo
l’ultimo giro di drink. E mezzanotte e qualche minuto e, quando il campanello ha suonato, ero
stravaccato sul divano nella mia posizione consueta, addormentato per metà ma ubriaco per
intero, intento a torturarmi strappando a casaccio ricordi dalla mente come fiammiferi da una
bustina, accendendoli uno alla volta per poi darmi fuoco con fare sonnolento.
«Cos’è successo?» chiedo.
«Si è azzuffato con alcuni altri ragazzi giù al 7-Eleven», spiega il poliziotto sempre
stringendogli il braccio. Noto solo ora le lacerazioni e i lividi sul viso di Russ, il rabbioso
graffio a forma di mezzaluna sul suo collo. La maglietta nera è irreparabilmente sformata e
strappata lungo il colletto, e il lobo gli sta sanguinando laddove uno degli orecchini si
dev’essere impigliato in qualcosa.
«Stai bene?» gli chiedo.
«Fottiti, Doug. »
Non lo vedevo da un po’, si è fatto crescere della peluria in faccia, una ispida, minuscola
mosca appena sotto il labbro inferiore.
«Lei non è il padre?» chiede l’agente.
«No.» Mi strofino gli occhi con i pugni, tentando di schiarirmi le idee. Pochi istanti prima il
whisky mi stava cantando la sua ninna nanna finale, e nella quiete appena infranta ho ancora
l’impressione di trovarmi sott’acqua.
«Il ragazzo ha detto che lei è suo padre.»
«In pratica mi ha ripudiato», dichiara amaramente Russ.
«Sono il suo patrigno», spiego. «Lo ero, comunque.»
«Lo era.» Il poliziotto lo dice con l’espressione di chi abbia appena assaggiato del pessimo
cibo thailandese e mi rivolge un’occhiata severa. E un tipo grande e grosso, devi esserlo per
potere sorreggere Russ, che a sedici anni è già più di un metro e ottanta, robusto e massiccio.
«Sembra abbastanza giovane per essere suo fratello. »
«Ero sposato con sua madre», affermo.
«E lei dov’è?»
«Se n’è andata.»
«Vuoi dire che è morta», precisa Russ sprezzante. Solleva la mano e la abbassa in un arco
discendente, fischiando mentre la porta giù per poi terminare con l’effetto sonoro di
un’esplosione. «Bye bye.»
«Chiudi quella bocca, Russ.»
«Chiudimela tu, Doug.»
L’agente gli serra le grosse dita sul braccio. «Silenzio, figliolo.»
«Non sono suo figlio», ringhia Russ, cercando vanamente di sottrarsi alla morsa d’acciaio.
«Non sono il figlio di nessuno.»
Il poliziotto lo preme agevolmente contro lo stipite della porta per bloccargli le braccia
mulinanti e poi si rivolge di nuovo a me. «E il padre?»
«Non lo so.» Mi giro verso Russ. «Dov’è Jim?» Russ si stringe nelle spalle. «Giù in Florida
per un paio di giorni.»
«E Angie?»
«È con lui.»
«Ti hanno lasciato solo?»
«Solo per due notti. Tornano domani.»
«Angie?» chiede il poliziotto.
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«La moglie di suo padre.»
L’agente ha l’aria seccata, come se gli stessimo facendo venire il mal di testa. Vorrei
spiegargli tutto, dimostrargli che in realtà la situazione non è incasinata come sembra, ma poi
mi viene in mente che invece lo è.
«Quindi il ragazzo non vive qui?»
«Un tempo ci viveva», rispondo. «Voglio dire che questa era la casa di sua madre.»
«Mi ascolti», dice stancamente il poliziotto. E un tizio di mezza età, con baffi brizzolati simili
a un bruco e occhi stanchi. «Qualsiasi cosa abbia fumato, non gliene ho trovata addosso. Sto
per finire il turno e non ho alcun desiderio di passare un’altra ora annotando tutti i dati del
ragazzo per una stupida rissa in un parcheggio. Ho tre figli. Adesso sta facendo il duro, ma
sull’autopattuglia ha pianto e chiesto di portarlo qui. Quindi ecco come funziona: posso
accompagnarlo alla stazione e stilare il verbale sulla sua manciata di infrazioni oppure lei può
farlo entrare e promettermi che non succederà più.»
Russ si limita a fissarmi astiosamente, come se fosse tutta colpa mia.
«Non succederà più», dichiaro.
«D’accordo, allora.» Il poliziotto lascia andare Russ che ritrae il braccio di scatto, con
violenza, poi si catapulta dentro casa e su per le scale fino alla sua stanza, scoccandomi
un’occhiata di puro odio che trafigge come un arpione lo strato di grasso di balena del mio
torpore alcolico. «Grazie, agente», dico. «È un bravo ragazzo. Ha avuto solo un anno
difficile.»
«Per sua informazione», ribatte lui, grattandosi il mento con aria meditabonda, «non è la
prima volta che si ficca nei guai.»
«Che genere di guai?»
L’uomo fa spallucce. «La solita roba. Risse, per lo più. Qualche atto vandalico. E ovviamente
non è nuovo all’uso dell’erba. Il ragazzo è su una brutta strada. Non so come funzionino le
cose qui, ma qualcuno deve iniziare a imporgli il coprifuoco, e magari portarlo da uno
specialista.»
«Parlerò con suo padre», prometto.
«La prossima volta verrà schedato.»
«Capisco. Grazie ancora.»
Il poliziotto mi rivolge un’ultima occhiata scettica, e io mi vedo attraverso i suoi occhi,
trasandato, con la barba lunga e gli occhi iniettati di sangue, semisbronzo. Sarei scettico
anch’io. «Mi dispiace per sua moglie», dice.
«Già», ribatto, chiudendogli la porta alle spalle. «Dispiace anche a me.» Al piano di sopra,
Russ si è infilato sotto le coperte nel buio di quella che un tempo era la sua camera. E tutto
identico a come lo ha lasciato perché, in questa stanza come in quasi tutte le altre, non ho
toccato nulla durante l’anno trascorso dalla morte di Hailey. La casa è come un fermoimmagine sulla nostra vita di un tempo, realizzato un attimo prima che tutto venisse spazzato
via. Rimango immobile nel corridoio, in controluce, la mia ombra che cade sulle curve e le
pieghe della sua trapunta mentre cerco di trovare qualcosa da dire a questo ragazzo strano,
rabbioso, cui si presume mi senta in qualche modo legato. «Ti sento respirare»> dice, senza
staccare la faccia dal cuscino.
«Scusa», ribatto entrando nella stanza. «Allora, cos’ha provocato la rissa?»
«Niente di che. Quei bastardi hanno semplicemente cominciato a dirci stronzate.»
«Frequentano la tua scuola?»
«No, sono più vecchi.»
«Presumo sia difficile opporre molta resistenza, quando ti sei appena fatto una canna.»
«Giusto.» Si mette supino e solleva la testa per guardarmi sogghignando. «Ti credi davvero la
persona più indicata per farmi la ramanzina sui pericoli della droga, capitano Jack Daniels?»
Sospiro.
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«Già. Lo immaginavo», continua lui, girandosi di nuovo verso il cuscino e affondando il viso
tra le braccia. «Senti, è stata una serata fottutamente lunga, quindi se non ti dispiace... »
«L’ho persa anch’io, Russ», dico.
Contro le braccia emette un suono che potrebbe essere una sbuffata beffarda o un singulto
soffocato, non sono in grado di stabilirlo. «Chiudi la porta, uscendo», sussurra.
© 2007 Garzanti Libri s.p.a, Milano
Titolo originale How to Talk to a Widower
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