LA CASA LA CASA - IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza

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LA CASA LA CASA - IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza
U FFI C IA L E
DEI
GR U PPI
DI
PREGHIERA
e
d e ll ’ o p e r a
di
san
pio
LA
CASA
Sollievo della Sofferenza
La Casa Sollievo della Sofferenza • Organo Ufficiale dei Gruppi di Preghiera e dell’Opera di San Pio • Redazione e Amministrazione: 71013 San Giovanni Rotondo • Sped. in a.p. Art. 2 Comma 20/C. Legge 662/96. Foggia CPO • € 4,00
ORGANO
ANNO LXI
DICEMBRE 2010
Concluso il Master
di II livello in “Bioetica
e medicina centrata
sul paziente”
50 anni dalla morte
Ricordando
il dottor
Kisvarday
w w w.o pe r a padre pio. it
L’omaggio
floreale
all’immacolata
di piazza di spagna
Casa Sollievo della Sofferenza
Organo Ufficiale dei Gruppi
di Preghiera e dell’Opera di San Pio
•Supervisore
S. E. Monsignor Michele Castoro
•Direttore Editoriale
Domenico Crupi
•Direttore Responsabile
Giulio Michele Siena
•Comitato di Redazione
Domenico Di Bisceglie, Michele Giuliani,
Giuseppe Gusso, Lucia Miglionico,
padre Marciano Morra,
Maria Antonietta Ricciardi, Pio Trombetta,
Angelo Vescovi
•In Redazione
Maria Pia Bellucci,
Maria Rosa Comparato, Bruno Corzani, Maristella Ferrara,
Michele Martino,
Pierina Roversi.
•Hanno collaborato
Giovanni Chifari,
padre Leonardo Triggiani, padre Enzo La Porta,
Don Michele Nasuti, Luciano Modugno,
Paolo Comparato, Michele Miglionico,
Concetta Spadaro, Nicola Fiorentino,
Loreta Sanpaolo, Feliciana Fiore.
•Coordinatore di Redazione:
Bruno Corzani
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•Responsabile fotografia e grafica:
Michele Martino
•Fotografie:
Archivio Casa Sollievo della Sofferenza, Michele Martino.
Registrazione Tribunale di Foggia
N° 19 del 10-10-1949
Spedizione in abbonamento postale.
Art. 2 Comma 20/C, Legge 662/96.
•Progettazione, impianti e stampa:
Grafiche Grilli srl - 71121 Foggia
Via Manfredonia Km 2,200
Tel. 0881.568040-568034
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Questo numero è stato chiuso in Redazione
per la stampa il 15 dicembre 2010
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Ordinario
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Sostenitore
€ 50,00
Benemerito
€ 100,00
In questo numero
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La
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Editoriale
L’OPERA DI SAN PIO
L’onorificenza del Governo albanese
L’ottavo premio Bonifacio VIII
SPIRITUALITÀ
DIREZIONE SANITARIA
Concluso il Master di II livello in “Bioetica
e Medicina centrata sul paziente”
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LA PEDIATRIA
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Ricordando Carlo Kisvarday
di Paolo Comparato
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A COLLOQUIO CON PADRE MARCIANO
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Il Convegno della Diocesi di Noto
Il recital di Natale dei bambini
La Casa Sollievo al Festival dell’Innovazione
LA BORSA DEL TURISMO RELIGIOSO
LETTERE DAL GARGANO
Mistici: Angela e le altre
di Gherardo Leone
DON TONINO BELLO
La spiritualità del servizio e della condivisione
di Giovanni Chifari
Natale: un presepio senza Gesù Bambino?
GRUPPI DI PREGHIERA
L’omaggio floreale all’Immacolata
di Piazza di Spagna
L’avvocato Berardino Tizzani
di Don Michele Nasuti
COSì CI SCRIVONO
NOSTRE INFORMAZIONI
GLI APPUNTAMENTI DEI GRUPPI DI PREGHIERA
15:07 Pagina 1
LULA
molto
e d i to r i a l e
LA
CASA
Sollievo della Sofferenza
RETRO COPERTINA
COPERTINA
06
Recapiti della Rivista
Come adottare
Redazione
Adotta anche
tu una
o più cellule 170
staminali cerebrali:
Villa Kisvarday,
viale
Cappuccini
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una speranza
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di persone, sostenendo
71013 San
Giovanni
Rotondo
la ricerca per combattere le malattie neurodegenerative.
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NATALE
luce nel cammino di ricerca della verità
a servizio dell’uomo e della vita
L
L
e recenti vicissitudini mediatiche evidenziano bene lo stato di disagio dell’uomo postmoderno, che nella sua affannosa ricerca della verità,
mentre da un lato manifesta il desiderio di colmare
quel vuoto di senso e bisogno di assoluto connaturale
alla sua dimensione antropologica, dall’altro non sembra sfuggire alla suggestione di farla coincidere con
ciò che è parziale, frammentario, a volte anche unilaterale. La lezione della storia globale ci mostra che far
coincidere la verità con un idea ha sempre comportato
amari fallimenti, e come la stessa negazione di Dio
si sia tradotta nell’eclissi dell’uomo. Oggi la verità
sembra abitare in tante idee, che divengono
tante antropologie e tante rispettive etiche,
dipingendo un quadro di scetticismo e relativismo etico e culturale.
Una di queste tendenze, apparentemente
condivise da una certa linea di pensiero, ama
definire il senso della verità e della vita, in particolar modo, quella travagliata dal peso della sofferenza e della malattia, a partire dall’autonomia
e dall’autodeterminazione del soggetto che,
nell’esercizio supremo del valore della propria
libertà, troverebbe la riconciliazione con la verità, anche se il frutto di tale scelta determina derive abortistiche ed eutanasiche.
• effettuando un versamento online sul sito
www.adottaunacellula.org con carta di credito
• effettuando un bonifico bancario
per un valore superiore ai 10 euro sul
C/C IT89 W03067785 90000000000718
• con un versamento sul conto corrente postale
n. 6076382, intestato a Fondazione Casa Sollievo
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Oltre un milione
di persone
in Italia sono afflitte
da malattie
neurodegenerative
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In questo orizzonte culturale, vogliamo accogliere le
parole che Benedetto XVI ha voluto rivolgere a tutti gli
organi di stampa cattolici, esortandoli a «servire con
coraggio la verità, per aiutare l’opinione pubblica a guardare e a leggere la realtà da un punto di vista evangelico»,1 e a «promuovere una cultura della vita». 2 In quanto rivista dal profilo scientifico e dall’indole cattolica, che
cerca di coniugare scienza e fede, tecnica e preghiera,
ricerca e sapienza, servizio ed amore, ci sentiamo particolarmente interpellati dall’invito del Santo Padre.
Accogliere la prospettiva del vangelo per quanto concerne tematiche così delicate, che riguardano l’uomo nella
sua integralità, significa aprirsi ad un itinerario discepolare centrato sul discernimento, operazione nello
Spirito e dello Spirito che presiede alla testimonianza
del cristiano. Non abbiamo bisogno di alzare i toni o la
voce, ma semplicemente sul piano della spiritualità cristiana scommettere sul valore e sulla testimonianza di
quel silenzio orante, che scaturisce dalla forza della
preghiera; mentre dal punto di vista culturale presentare quelle “ragioni della fede” che «hanno pieno diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico». Intendiamo
adempiere a tale compito valorizzando quella mission che promana dal carisma di Padre Pio,
memoria che abbiamo ricevuto affinché possa continuare a tradurre una profezia per
l’oggi. In san Pio essa è cristologicamente fondata.
La verità per l’umile Frate
non è un’idea ma una Persona.
Lui è il medico, ma anche
l’ammalato (cf. Mt 25).
Questa esperienza ci
invita a leggere la realtà a
partire da quella opzione
preferenziale per gli ultimi, facendoci poveri e
servi di tutti come il
bimbo che nasce nella
grotta di Betlem.
Gesù non inizia poi il suo ministero volgendo lo sguardo ai poveri e agli ammalati, ai deboli e ai soli, agli emarginati e agli oppressi? Non siamo in presenza della stessa carità che ispira in san Pio l’intuizione profetica della
Casa?
Servire l’uomo, significherà accogliere il peso della sua
sofferenza, cercando di sollevarlo con l’Amore e la cura,
con la preghiera e con una scienza orientata alla sua vocazione di servizio all’uomo, la cui vita, nell’orizzonte della
resurrezione è pur sempre bene penultimo.
La Casa Sollievo della Sofferenza
e il Centro Gruppi di Preghiera di Padre Pio
porgono a tutti gli amici e benefattori
gli auguri per un Santo Natale e un Anno Nuovo
pieno di grazie e benedizioni.
1
Benedetto XVI, Discorso alla Federazione Italiana
dei Settimanali Cattolici, 26 novembre 2010.
2
Benedetto XVI, Omelia per i Primi Vespri della I
Domenica di Avvento. All’interno della “Veglia di
preghiera per la vita nascente”, 27 novembre 2010.
“Perché l’esperienza
della sofferenza
sia occasione per
comprendere le situazioni di
disagio e di dolore in cui
versano le persone sole, gli
ammalati e gli anziani, e
stimoli tutti ad andare loro
incontro con generosità”.
È questa l’intenzione generale di
preghiera proposta per il mese di
dicembre dal Santo Padre
Benedetto XVI contenuta nella
lettera pontificia affidata
all’Apostolato della Preghiera, una
iniziativa che conta circa 50 milioni
di persone nei cinque continenti.
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«Gesù Bambino apporti al tuo cuore quella pace da te tanto desiderata,
la sua stella rifulga sempre di nuova luce al tuo intelletto,
il suo amore incenerisca sempre più il tuo
e lo faccia alla fine palpitare tutto per lui».
DOMENICO CRUPI
S. E. Mons. Michele Castoro
Vice-Presidente della Fondazione
Casa Sollievo della Sofferenza
Arcivescovo Presidente
della Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza
Direttore Generale
dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio
L’onorificenza del Governo albanese
per l’assistenza sanitaria
prestata ai bambini albanesi
Anagni, il 5 dicembre scorso
L’ottavo Premio
Bonifacio VIII
al dottor Domenico Crupi
Tra i premiati anche
la Casa Sollievo
della Sofferenza
con il direttore
Domenico Crupi
NICOLA FIORENTINO
I pa zienti Albanesi in
Casa Sollievo della
I
l dottor Crupi, Direttore Generale della Casa Sollievo
della Sofferenza, è stato insignito
dell’Onorificenza della Repubblica
Albanese durante una cerimonia ufficiale sabato 20 novembre, nell’aula “Salviati” dell’Ospedale Bambin
Gesù di Roma. A consegnare il premio – per l’impegno della Santa Sede e dell’Italia a favore della salute
dei bambini albanesi – è stato il presidente della Repubblica Albanese
Bamir Topi in visita ufficiale.
La cerimonia – svoltasi in presenza di numerose personalità del mondo diplomatico italiano, vaticano e
albanese – ha insignito con l’onorificenza del governo albanese, oltre
al dottor Crupi, anche il prof. Giuseppe Profiti, presidente del Bambin Gesù, Giuseppe De Simone, Responsabile Coordinamento Missioni Internazionali del Bambin Gesù,
Giovanna Leo, Presidente dell’associazione Peter Pan e il cardiochirurgo Vittorio Vanini.
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Sofferenza
Sono 742 i pazienti residenti in Albania che negli ultimi 10 anni sono stati assistiti presso l’ospedale
Casa Sollievo della Sofferenza. Di questi la maggior parte, quasi il 80%, arrivano nel nostro ospedale
per interventi di tipo chirurgico, i rimanenti vengono sottoposti a degenze e a cure di tipo medico.
Per quanto riguarda la composizione anagrafica, più del 70% di questi assistiti sono maggiorenni.
Proprio nei mesi scorsi - come ampiamente trattato dall’articolo di Antonio Lo Vecchio nel numero
Luglio-Agosto – vi abbiamo raccontato la storia dei piccoli Ignasio e Valton, entrambi giunti
a San Giovanni Rotondo in precarie condizione di salute e prontamente accolti dal reparto
di Urologia Pediatrica. Nel caso del piccolo Valton - privo di permesso di soggiorno e quindi impossibilitato
a ricevere la fornitura periodica dei cateteri - il reparto si è prontamente attivato anche per raccogliere fondi
necessari a garantirgli almeno una fornitura trimestrale.
C
ardinali, arcivescovi, vescovi, ambasciatori, politici e magistrati, hanno chiuso l’ottava edizione del Premio Bonifacio VIII nazionale ed internazionale, anch’essa contraddistinta dall’alto livello culturale e sociale, che
ormai dal 2003, evidenzia l’evento
dell’anno dell’Accademia Bonifaciana. Ospiti ed insigniti d’eccezione,
quindi, che si sono alternati a ritirare la nota scultura del maestro Egidio Ambrosetti, che raffigura solennemente il profilo del papa anagnino, ideatore del primo anno santo della storia della
cristianità.
Per il mondo scientifico e sociale il «Bonifacio» internazionale è andato al direttore generale e legale
rappresentante della Casa Sollievo della
Sofferenza di San Giovanni Rotondo, il professor Domenico Francesco
Crupi per le sue qualità
morali, professionali e
dirigenziali.
Il dottor Crupi ha ringraziato e dedicato il conferimento a tutti i collaboratori dell’Opera di San Pio da Pietrelcina e degenti di Casa Sollievo,
donando al presidente De Angelis,
alcune pubblicazioni inerenti l’opera
stessa ed ha presentato brevemente
l’iniziativa “Adotta una cellula”.
“Sono convinto che la Bonifaciana possa essere un’eccellente interprete dell’esortazione che fece nel
2003 Papa Wojtyla a far si che questo Premio diventi il segno di una
vera cultura della Pace” ha detto il
Cardinale Marchisano (già Vicario
di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente emerito della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa).
Erano presenti alla manifestazione anche Walter Brundmuller (già
Presidente del Pontificio Comitato
di Scienze Storiche, fresco di porpora cardinalizia e la cerimonia della Bonifaciana è stata la prima uscita fuori Roma), gli Arcivescovi: l’Ordinario Militare per l’Italia Vincenzo
Pelvi e il Gran Priore dell’Ordine del
Santo Sepolcro di Gerusalemme Franco Croci, il Vescovo di Locri-Gerace Giuseppe Fiorini Morosini, accolti dal Vescovo
diocesano monsignor
Lorenzo Loppa, ed ancora gli Ambasciatori
del Kosovo e dell’Austria in Italia Albert
Prenkaj e Christian
Berlakovits, il Deputato Questore della Camera dei Deputati Antonio Mazzocchi, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Ita-
liano Generale di Corpo d’Armata
Giuseppe Valotto, il Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria Nicola
Gratteri, il Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ilva Sapora ed il Ministro della Difesa della Repubblica di Albania Arben Imami, solo alcuni nomi per sottolineare il grande parterre di Autorità civili, religiose e militari, che
hanno accolto l’invito del Presidente dell’Accademia Bonifaciana Sante
De Angelis, degli Enti Patrocinatori
e del Comitato Scientifico a presenziare a quest’evento, giunto all’ottava edizione.
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l’operadisanpio l’operadisanpiol’operadisanpio
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s p i r i t ua l i t à
I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi
La relazione del dottor Domenico Crupi,
Vice Presidente della Casa Sollievo
della Sofferenza
Il 27 novembre scorso a San Severo (Foggia),
nel salone delle Opere Parrocchiali
«Madonna della Divina Provvidenza»,
si è tenuto un seminario in preparazione
al Terzo Convegno Ecclesiale Regionale previsto a
San Giovanni Rotondo dal 28 aprile al 1° maggio 2011.
Nel seminario si è approfondito il tema:
«Il ruolo culturale, sociale e politico dei laici».
I
nizierei questa conversazione
cercando di declinare, da subito ed in modo non equivoco, in che
cosa debba consistere il ruolo culturale, sociale e politico dei laici, con
l’obiettivo di cercare un comune denominatore a prescindere dalle contingenze storiche, dai diversi ambiti e dalle diverse modalità in cui può
esprimersi un ruolo.
A tale scopo farò ricorso alla lettera apostolica “Octogesima adveniens” di Sua Santità Paolo VI: “Oggi più che mai la parola di Dio non potrà essere annunciata ed ascoltata,
se ad essa non si accompagna la testimonianza della potenza dello
Spirito Santo, che opera nell’azione dei cristiani posta al servizio dei
fratelli, proprio su quei punti dove
sono in gioco la loro esistenza ed il
loro avvenire”.
L’esigenza di una nuova evangelizzazione porta la Chiesa a comprendere, come afferma Sua Santità Gio-
vanni Paolo II, nella Lettera Enciclica Centesimus Annus, “che il suo
messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna”.
È spiegabile in tal senso l’insistenza e la pressante spinta da parte della Chiesa tesa a incoraggiare l’impegno dei cristiani a testimoniare
con spirito di servizio il Vangelo in campo sociale, non disgiunto, anzi preceduto dall’aiuto a cercare e scoprire la verità e la retta via
da seguire.
Credo che questo rapporto consequenziale del compito pastorale sia
compiutamente espresso da Monsignor Renna nella sua lettera pastorale “Al servizio di Dio e del popolo”: “La testimonianza del cristiano non consiste soltanto nell’annunciare il Vangelo di Cristo, ma incarnando uno stile di vita articolata sulla vita di Cristo. Si annuncia più con
la fede vissuta che professata! Il cristiano deve, quindi, conoscere bene
il Vangelo e sforzarsi di viverlo: allora il suo annuncio avrà valore e rilevanza di testimonianza”.
Ed è umanamente illuminante la
lettura dei paragrafi che seguono tale brano, ovvero quelli in cui si tracciano appunto i contenuti della testimonianza personale e comunitaria:
“Nella propria famiglia, nel proprio
ambiente sociale e di lavoro il cristiano deve poter testimoniare Cristo, cioè irradiare la forza del Vangelo della salvezza, con la credibilità di opere e azioni veramente ispirate alla fede”.
Tra i vari possibili approcci al tema, ho voluto subito porre l’accento sull’impegno inteso come testimonianza operativa, non solo perché è una costante del magistero,
ma perché credo che non sia più ulteriormente differibile la ricerca e
possibilmente l’individuazione del-
le cause di questa dissolvenza dei
valori cristiani nella società in cui
viviamo, di questa possibile ed accettata dicotomia tra etica pubblica
ed etica privata, di questo incepparsi della cinghia di trasmissione tra
valori dichiarati e comportamenti
praticati.
Senza indulgere in qualunquistiche semplificazioni e affidando alla sapienza pastorale la ricerca delle cause più profonde, da rinvenire
forse in quella fase complessa della
formazione cristiana, della spiritualità e del rinnovamento interiore, che costituiscono il presupposto dell’impegno del fedele laico,
mi limito ad individuare tra le
probabili/possibili cause l’assenza appunto di testimoni veri nei diversi ambiti della vita sociale, nei quali
ognuno di noi è chiamato ad operare, in spirito di servizio, di carità e
di giustizia. A mio avviso vi è una ulteriore causa ancora più grave, per
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alcuni versi, della nostra incapacità
di testimoniare il Vangelo: è la solitudine, nella quale spesso lasciamo
coloro che, operando in ambiti complessi, “esprimono la verità della loro fede e nello stesso tempo la verità della dottrina sociale della Chiesa, che trova la sua piena realizzazione quando è vissuta in termini
concreti per la soluzione dei problemi sociali”.
Per non parlare del silenzio che
questa società, più propensa a parlare del nulla e dell’effimero, riserva a
quei testimoni del Vangelo che, per
esempio, in queste notti di freddo
girano per le nostre città ad assistere i diseredati e gli emarginati, che
adottano solo bambini diversamente abili, che già preparano il pranzo
di Natale nel caldo accogliente delle nostre Chiese, per le migliaia di
persone, respinte dall’egoismo ed
espulse dalla società del cosiddetto benessere.
Non sono loro che reclamano visibilità per la loro testimonianza, ma
sono questi i modelli da proporre alle nuove generazioni, evitando che
anche noi cristiani li oscuriamo, relegandoli nelle seconde file, mentre
spesso riserviamo le prime agli atei
devoti o agli occasionali e distratti
frequentatori di processioni e di celebrazioni liturgiche.
È questa una forma di testimonianza, anche se un tale modo di
esprimermi può non apparire ispirato alla prudenza, ossia alla riflessione, alla valutazione e al discernimento, che deve sempre assistere anche il dire del fedele laico.
A maggior ragione la prudenza deve accompagnare l’agire nelle realtà temporali proprie del vivere umano e quindi: famiglia, impegno professionale in ambito lavorativo, scienza e ricerca, cultura, economia,
politica.
L’attuale momento si caratterizza per istituzioni,
strutture - o qualsivoglia
altra realtà secolare - che
sono, che appaiono o vengono percepite sempre di
più come strumenti asserviti agli interessi individuali o di gruppo e quindi in
rotta di collisione con l’etica del bene comune proprio
della dottrina sociale della
Chiesa.
In questo contesto,
l’agire, il decidere costituiscono il momento rivelatore e qualificante, a volte interiormente drammatico, di un impegno e di una
testimonianza.
San Tommaso D’Aquino osservava che il bene
morale, essendo una realtà pratica, lo conosce primariamente non chi lo teorizza, ma chi lo pratica:
è lui che sa riconoscerlo e
quindi sceglierlo con certezza tutte le volte in cui è
in discussione (brano tratto da: “L’etica del bene comune” di S.E.R. Card. Tarcisio Bertone).
Se è connaturale all’etica del bene
comune il collocarsi nella prospettiva della persona che agisce, (Veritatis Splendor) e non nella prospettiva neutra e tantomeno distaccata dello spettatore imparziale, sono certo che non vi apparirà esagerato l’aver definito drammatico il travaglio interiore di chi deve necessariamente decidere, anche nella consapevolezza che così facendo può influire, per esempio, sulle condizioni
di vita di altre persone.
Nell’itinerario formativo all’esercizio della prudenza, ovvero:
- quella “virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati
per compierlo. Grazie ad essa si
applicano correttamente i principi morali ai casi particolari.
- quella virtù che rende capaci di
prendere decisioni coerenti, con
realismo e senso di responsabilità nei confronti delle conseguenze delle proprie azioni (“Compendio della Dottrina sociale della
Chiesa”)
occorre acquisire le necessarie
qualità:
- memoria: capacità di ritenere le
proprie esperienze passate in modo obiettivo senza falsificazioni;
- docilitas: capacità di lasciarsi istruire e di trarre vantaggio
dall’esperienza altrui sulla base
dell’autentico amore per la verità;
- solertia: abilità nell’affrontare gli imprevisti agendo in modo
obiettivo, per volgere ogni situazione al servizio del bene, vincendo le tentazioni di intemperanza,
ingiustizia e viltà (San Tommaso D’Aquino: “Summa Theologiae”).
Tra gli ambiti dell’impegno sociale dei fedeli laici emerge anzitutto il servizio alla persona umana:
la promozione della dignità di
ogni persona; il bene più prezioso che l’uomo possiede è il compito “essenziale, anzi in un certo
senso il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa
e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli
uomini (Giovanni Paolo II: Esortazione apostolica “Cristhi fideles laici”).
1° ESEMPIO/CASO
I laici nella
Chiesa
e
nella
società pugliese,
La presentazione dei risultati attraverso lo
strumento del Bilancio di Missione ha rappresentato certamente una forma di coinvolgimento e di rendicontazione formale a
quanti, direttamente o indirettamente, utilizzano, producono e finanziano i servizi che
eroghiamo.
Ponendoci nella prospettiva di fedeli laici che operano nell’ Ospedale fondato da San Pio di Pietrelcina e posto alle dipendenze della Santa Sede, tale strumento, se
inteso come momento di testimonianza comunitaria,
deve costituire soprattutto una occasione di riflessione e verifica sulla nostra coerenza ai Carismi fondazionali e sul nostro contributo alla costruzione del Bene Comune.
Ciò nella convinzione che la responsabilità sociale
d’impresa si possa apprezzare compiutamente solo nella sequenza: valori e quindi identità, impegno individuale e quindi coerenza, risultati e quindi missione.
La congiuntura economica negativa che si riflette
sull’entità della remunerazione delle prestazioni acquistate dal servizio sanitario, sino al punto che di fatto i
ricavi diventano una variabile indipendente dalla gestione, ci ha indotto a concentrare gli sforzi per avviare operativamente nel
2009 un processo di controllo delle dinamiche economiche della produzione, che si caratterizza per l’attribuzione progressiva delle risorse al singolo episodio di ricovero, ciò
nella convinzione della valenza etica dell’efficienza. Per
una impresa sanitaria no profit, l’orientamento al bene
comune riguarda certamente la quantità e l’efficacia dei
servizi pensati per la collettività, ma non può non comprendere l’analisi degli indicatori che esprimono la capacità di creare valore sul piano economico, di generare posti di lavoro, di ridistribuire ricchezza, di sviluppare competenze, elementi questi che condizionano positivamente il contesto socio-ambientale. Tutto ciò non
può prescindere da un’etica della gestione, tesa a consolidare nel tempo la sostenibilità economica dell’impresa e a tutelare durevolmente gli interessi della collettività, principalmente, nel nostro caso, quelli delle fasce
più deboli e più fragili, ma anche quelli dei nostri dipendenti e dei nostri fornitori.
2° ESEMPIO /CASO
La promozione della dignità umana
implica anzitutto l’affermazione dell’inviolabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale, il primo
tra tutti e condizione per tutti gli altri
diritti della persona (“Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”). È purtroppo opinione comune che la pratica della ricerca scientifica implichi problemi di coscienza per chi è credente. Infatti
sembra che la cultura scientifica generi per sua natura
posizioni filosofiche e pratiche di vita contrarie ad una
visione religiosa del mondo. I mezzi di comunicazione
di massa contribuiscono non poco ad alimentare l’argomento secondo il quale scienza e religione siano inconciliabili. L’attività scientifica che Casa Sollievo della Sofferenza svolge da circa venti anni nel settore biomedico
testimonia invece il contrario. E lo fa cercando di seguire le intenzioni del Fondatore, che immaginava per la
sua Casa un centro di studi intercontinentale che potesse supportare gli operatori sanitari nel fornire agli ammalati le migliori cure possibili.
Secondo la sua missione istituzionale e sulla base del
patrimonio scientifico consolidato nel settore della Genetica e della Malattie eredo-familiari, Casa Sollievo
della Sofferenza si dedicherà nel prossimo futuro
al settore della medicina rigenerativa.
Si tratta di un settore della ricerca biomedica cui sono
legate le speranze di tanti malati che vedono nelle cellule staminali l’unica possibilità di cura per malattie fortemente invalidanti (SLA, sclerosi multipla, malattia di
Alzheimer, morbo di Parkinson, etc.).
È questo uno dei temi “eticamente” più sensibili degli
ultimi anni poiché esso viene spesso legato alla proble-
matica dell’utilizzo di embrioni come “fonti”
di cellule staminali per la “rigenerazione” di
tessuti “malati”.
Tale pratica, la cui validità scientifica è
tutt’altro che dimostrata, è in aperto contrasto con il principio universale della dignità
della persona umana.
Essa viene fortemente sponsorizzata dall’attuale presidenza degli Stati Uniti che, sotto la pressione di diverse
aziende farmaceutiche, ha destinato ingenti fondi pubblici alla ricerca sulle cellule staminali embrionali.
È inoltre da sottolineare come la campagna del presidente Barack Obama sia stata pesantemente finanziata dallo stato della California che ospita un’enorme concentrazione di aziende biotech che si dedicano allo studio delle cellule staminali embrionali.
Il giro d’affari generato dalle staminali è enorme.
Alcune stime parlano di un “mercato delle staminali” di 8,5 miliardi di dollari nei soli Stati Uniti e di circa 32 miliardi di dollari a livello planetario. Non trascurabile è poi il fatto che uno degli attori più “agguerriti”
della scena internazionale è Singapore, Paese in cui si
concentrano le più grosse multinazionali farmaceutiche del mondo.
In contrapposizione a tali logiche, Casa Sollievo della
Sofferenza vuole mostrare che si può fare ricerca scientifica eticamente accettabile nel settore della medicina
rigenerativa. Infatti i nostri laboratori avvieranno a breve linee di ricerca sulle cellule staminali adulte che, a differenza delle cellule derivate da embrioni, hanno dato risultati promettenti per la cura delle malattie neurodegenerative e il cui utilizzo è in piena sintonia con gli insegnamenti del Magistero della Chiesa Cattolica.
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ASSEM B L EA GENERA L E DEI GRU PPI DI PREGHIERA
Il Tempo
di Avvento
Ricerca ed attesa
dell’incontro
con Cristo
Carissimi,
l’Ascolto della Parola, che la Chiesa ci dona nelle Divine Scritture, ci raduna e ci «ritrova in Gesù come un solo ovile sotto un solo Pastore» (cfr. P.
Pio, I disc.).
Essa è vero cibo che ci sostiene, che alimenta il dialogo orante con Dio,
e ci inserisce in quella comunione «della vita sovrabbondante che Gesù è
venuto a dare» (cfr. II disc.).
In questo tempo di Avvento in attesa vigilante e fedele disponiamo il
nostro amore all’accoglienza di quel «tesoro di grazie» che scorgiamo nel
“trono” della culla di Betlemme e riceviamo in piena effusione dal “trono”
della croce.
Questo sussidio possa accompagnare i Gruppi di Preghiera in questo
tempo di avvento in preparazione al Natale, offrendovi una guida ed un
sostegno per i vostri incontri.
Impartisco a tutti la mia fraterna benedizione.
† Mons. Michele Castoro
12
I
l tempo di Avvento è un tempo
di grazia che la Chiesa ci dona
affinché, nell’attesa vigilante, possiamo fare esperienza del Dio che ci ama
di amore eterno e sconfinato, provocandoci al cambiamento ed alla conversione.
L’Avvento ci rimanda al futuro, alla ricerca ed attesa dell’incontro con
Cristo, che non è demandato soltanto nel tempo escatologico ma avviene qui ed ora attraverso le mediazioni della Parola e dei Sacramenti, della comunione fraterna e del servizio
che la Chiesa ci dona.
La Chiesa, madre che ci ha generati alla fede, costantemente ci invita ad abbeverarci alla preziosa fonte
della Parola, indicandola come evento centrale e forza propulsiva nel cammino della sequela di Cristo,1 invitando tutti a «nutrirsi della Parola, per
essere ‘servi della Parola’, nell’impegno e nell’evangelizzazione», 2 che
potrà essere esercitata attraverso la
mediazione della diaconia cristiana e
ministeriale.
Coloro che si riconoscono nei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, secondo
il carisma del Santo Fondatore, come
ribadito nel proprio Statuto, troveranno nel rinnovato ascolto della Parola
di Dio, una via nella quale concepire il
primato della santità e della preghiera.3 Quest’ultima, purificata dalla Parola, potrà contemplare Colui che essi incessantemente, quali «intercessori che bussano al cuore di Dio», sono chiamati a invocare «per ottenere
le grazie necessarie alla Chiesa e al
mondo»,4 orientando la loro preghiera verso ciò che è vero, buono e giusto, tendendo a quel binomio inscindibile costituito dall’amore di Dio e
dall’amore per il prossimo.
I Gruppi di Preghiera, potranno
adempiere questa loro chiamata e
missione se si lasceranno plasmare
e forgiare dalla Parola e dalla docile
guida della Chiesa, ravvivando ogni
giorno quell’esser «vivai di fede e focolai d’amore» come auspicava san
Pio. L’importanza di questo cammino sembra rimarcata dallo stesso Padre Pio, che, commentando l’esortazione dell’Apostolo: «La Parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente»
(Col 3, 16), invitava R. Cerase a «leggere assiduamente la Sacra Scrittura e quei libri che trattano delle cose di Dio» (Ep. II, 236). La centralità della Scrittura è, infatti, motivo di
«grande pascolo dell’anima e avanzamento nella via della perfezione» (Ep.
II, 129), poiché consente di “salire a
Dio”, attraverso «la lezione, la meditazione e l’orazione e la contemplazione» (II, 142-143), ovvero i tempi
della lectio divina, per tradurre la Parola nella vita.5 La ricchezza della Parola di Cristo, che sostiene i carismi
dell’insegnamento e dell’esortazione, si esprime, infatti, in una vita e in
un fare che operano nel nome del Signore e a sua gloria (cf. 1Cor 10, 31).
Parola e vita, come luce sul cammino
di conoscenza (Sal 118, 105), discernimento e conformazione alla volontà di Dio. Il presente contributo non
è ancora lectio divina, anche se in futuro auspica di divenire tale, ma un
sussidio e un commento, che intende introdurre alla ricchezza insondabile della Parola per poterne cogliere
il suo riflesso nella vita.
In questo cammino ci sostiene e
ci incoraggia l’intera Opera di Padre
Pio nelle persone di coloro che sono
stati chiamati a presiedere tale apostolato, S. E. Mons. Michele Castoro, Presidente dell’Opera e Direttore Generale dei Gruppi di Preghiera, il Dott. Domenico Crupi, Direttore Generale, Padre Marciano Morra,
Segretario Generale dei Gruppi, che
hanno a cuore quel “motore” e “polmone” dell’Opera costituito dai Gruppi di Preghiera. Vorrei ricordare infine l’instancabile lavoro della redazione della Rivista, testimonianza visibile del legame fra memoria e profezia, sintetizzato nell’intuito e competenza nonché passione per il carisma
di san Pio del suo Direttore, il Dott.
Giulio Siena.
Giovanni Chifari
CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, Roma 29 giugno 2001, nn. 3-5.
2
Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, 6 gennaio 2001, nn. 39-41.
3
Così come richiamato anche dallo Statuto dei Gruppi di Preghiera, art. 2. Si veda la
nota esplicativa della Commissione del 24 marzo del 2010, confluita nel Regolamento
dei Gruppi di Preghiera, Tavola sinottica, pag. 7. Questa necessità in seno alla Chiesa
è sottolineata anche da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica di cui sopra.
4
Benedet to XVI, Discorso ai Partecipanti al Pellegrinaggio delle Opere di San Pio da Pietrelcina, Piazza San Pietro, Roma 14 ottobre 2006.
5
L’importanza di una catechesi biblica, alla luce della Lectio Divina, quale via maestra
ed insostituibile in grado di tratteggiare l’identità dei Gruppi di Preghiera, nella storia
recente è stata più volte segnalata nella nostra rivista. Ulteriori spunti si potranno rinvenire in diversi articoli a partire dal maggio del 2004.
1
Padre Pio vegliando
vede la Gloria di Dio
e da orante invoca
le sue celesti
consolazioni
D
al Bambino Gesù discendono quelle «celesti consolazioni» (I, 208; 321) che «il dolcissimo Gesù centuplica in questi
giorni» e che Padre Pio, da orante
che contempla e sperimenta in se
stesso l’esito di tali operazioni, invoca abbondantemente su coloro
che si affidano alle sue preghiere e che egli presenta al Signore,
«importunando il divino Infante perché possa con la sua grazia
esaudirne i desideri» (cf. I, 325).
Padre Pio di fronte alla nascita
del Messia, rafforza le sue orazioni che si traducono in veglie ed
intercessioni. Egli si preoccupa
di intercedere affinché nessuno
rischi di «perdere Gesù Bambino» (I, 208). Il suo cuore, nell’imminenza del Natale, si sente «rinascere a novella vita» ma nello stesso tempo «troppo piccolo
per contenere i beni celesti» (II,
273) e i suoi carismi che egli invoca per tutti gli uomini (II, 274)
primo fra tutti il dono della carità
(II, 281). La preghiera del nostro
orante incessantemente si eleva a
Dio perché il nostro cuore possa
divenire «la Sua culla fiorita, nella quale Egli possa adagiarsi senza incomodo alcuno e nulla risentire del suo essere uscito dal Padre per venire nel mondo (Gv 16,
28)» (cf. I, 1106-1007); offrendo
suppliche affinché il «Divin Pargolo possa riempirci del suo Spirito divino, trasformarci e farci
santi» (I, 1250), e possa in questa
notte santa scendere nel cuore di
ognuno, riempendolo del suo divino amore (I, 1254). Beata e felicissima notte (I, 981) che il 24 dicembre del 1917 Padre Pio confessa di aver vissuto «tutta in piedi», in un certo modo vegliando
come i pastori, per vedere quella
Gloria di Dio che intende rischiarare le tenebre del mondo.
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l’avvento l’avvento l’avvento l’avvento
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g ru p p i d i p r e g h i e r a
XII convegno dei Gruppi di Preghiera
di Padre Pio della Diocesi di Noto
«La preghiera
è la vera forza»
L’
appuntamento che la famiglia dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio della Diocesi di
Noto si dà annualmente per il Convegno Diocesano ha visto riuniti, il
7 novembre 2010, centinaia di fedeli attorno al Vescovo e Pastore della Chiesa netina, monsignor Antonio Staglianò.
Come di consueto il convegno si
è svolto presso la Chiesa Madre di
Ispica, il cui Gruppo di Preghiera e il
suo Assistente Spirituale, don Sebastiano Vizzini, hanno
accolto l’intera assemblea con la calorosa ospitalità di
sempre.
Su 14 Gruppi di Preghiera presenti in diocesi, ben 11 hanno partecipato con grande fervore e devozione in
ascolto della Parola di Dio, dell’omelia del vescovo, della meditazione
che ha preceduto la Celebrazione
Eucaristica.
La relazione di
padre Enzo La Porta
La giornata si è aperta con la celebrazione delle Lodi Mattutine a cui
è seguita la meditazione che verteva sulla «Spiritualità francescana di
Padre Pio» dettata da Padre Enzo La
Porta, Vice Coordinatore Diocesano
e Consigliere Generale dei Gruppi di
Preghiera. Eccone alcuni stralci.
«Padre Pio ha incarnato per il nostro tempo quella spiritualità che
lo Spirito Santo ha acceso nel
cuore di Francesco di Assisi più
di otto secoli or sono.
Quali realtà il Signore ha fatto esplodere nel cuore di Francesco di Assisi! Innanzitutto
attraverso il lebbroso che il Signore stesso ha presentato a Francesco. “Il Signore concesse a me, frate
Francesco – lui stesso ci
racconta nel Testamento - di incominciare così
a fare penitenza; quando
ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara avvicinare i lebbrosi
e il Signore mi condusse
tra di loro”. Allora, ecco,
la prima realtà che il Signore presenta a Francesco. Proiettiamo questo, cari fratelli e sorelle,
otto secoli dopo in Padre
Pio: quale realtà brucia nel suo cuore, quale sofferenza! Sotto tutti gli
aspetti: la sofferenza spirituale e la
sofferenza fisica. E questo lo leggiamo nel suo Epistolario e nel Diario di
padre Agostino, suo padre spirituale: Padre Pio avverte un forte desiderio di offrirsi vittima per i poveri peccatori. “È questa la mia offerta, padre
mio - scrive in una lettera - ma adesso vorrei farla con il vostro permesso
cioè un’offerta ufficiale”. Padre Pio si
offre vittima per i peccatori cioè per
coloro che soffrono e che sono ammalati nello spirito.
Miei cari fratelli e sorelle, oggi
una grande porzione di umanità è
affetta dalle malattie spirituali; spesso i nostri occhi si fermano a guardare soltanto le malattie fisiche. Amici miei, il male del secolo è la lontananza da Dio, è il peccato. È il peccato che sta rovinando il cuore dell’esistenza degli uomini. Padre Pio, figlio
di Francesco di Assisi, avverte questa urgenza. Il Signore presenta davanti ai suoi occhi questa realtà del
mondo di oggi. Un’umanità che soffre a causa del peccato. E Padre Pio
si offre vittima, cioè offre tutta la
sua disponibilità, la sua vita, non un
po’ di tempo ma offre tutto sé stesso. L’altro aspetto di questa risposta
riguarda il venir incontro anche alla sofferenza fisica. Quando la folla
cominciò ad assillare il povero Padre Pio, che da poco tempo era stato
scelto dall’alto per una missione tutta straordinaria, attraverso l’impressione dei segni della passione di Cristo, lui si sentì schiacciato: tutti chiedono una grazia, tutti chiedono una
guarigione. E Padre Pio pensa a un
ospedale: ecco la sua risposta.
Padre Pio, santo del sud, fonda proprio nel sud uno dei più grandi ospedali a livello europeo: la Casa Sollievo della Sofferenza. Anche San Fran-
cesco aveva intuito questa chiamata
e comincia ad andare incontro al lebbroso. Quale cambiamento avviene
nell’intimo di Francesco! Un cambiamento radicale. E dopo il lebbroso, il
Signore si presenta, Egli stesso, attraverso il Crocifisso di San Damiano; quel Crocifisso dice: “Francesco
va’, ripara la mia casa che come vedi è
tutta in rovina”. E la risposta di Francesco qual è? Si rimbocca le maniche
e comincia fisicamente a ricostruire le chiese diroccate di Assisi. Comincia con San Damiano, Santa Maria degli Angeli, e così via. Ma arrivato a un certo momento si accorge
che c’è qualche cosa che deve cambiare. Lui stesso scrive nel Testamento: “Il Signore mi donò dei fratelli … ed io non sapevo che cosa dovevo
fare”. Non era un progetto umano, il
suo. “…ma lo stesso Altissimo mi rivelò cosa fare”. Doveva vivere secondo la forma del Vangelo.
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g ru p p i d i p r e g h i e r a
Doveva ricostruire le chiese non
con i mattoni ma con gli uomini.
Dobbiamo ricostruire la Chiesa. Attenzione “Chiesa” non è il Papa, i vescovi, i sacerdoti. La Chiesa siamo
tutti noi. E ognuno di noi è tutta la
Chiesa. E allora quando mormoriamo sulla Chiesa, quando critichiamo
la Chiesa, altro non facciamo che,
per usare un’immagine dei nostri antichi, prendere il fango e strofinarcelo sulla faccia perché parliamo male
di noi. Francesco non sta lì a mettersi fango sulla faccia. Francesco comincia a ricostruire. Cioè risponde
al Signore, non gli importa di ciò che
non va, inizia a lavorare.
Padre Pio dopo l’impatto con la
sofferenza a tutti i livelli, si ritrova
in preghiera nel coro della piccola
chiesetta di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, era il
20 settembre del 1918, e lì il Croci-
fisso gli parla; otto secoli prima un
Crocifisso aveva parlato a Francesco nella chiesetta di San Damiano.
Otto secoli dopo lo stesso Crocifisso, ma con un altro linguaggio, si rivela ad un figlio di San Francesco. Il
crocifisso di San Giovanni Rotondo
non rivela a Padre Pio la rovina della
Chiesa, ma il dolore del mondo, imprimendolo nella sua carne. E Padre
Pio accoglie nella sua vita il dolore
del mondo. Ecco la risposta di Padre
Pio sulla scia di Francesco.
E la fedeltà alla spiritualità di San
Francesco da parte di Padre Pio non
consiste nel portare lo stesso saio
rattoppato, oppure nel fare la chierica, oppure nell’andare con i sandali. Non dobbiamo dimenticare che
da San Francesco a Padre Pio sono
passati più di otto secoli e il mondo
in questi otto secoli non si è fermato ma ha guardato oltre. Se ci guardiamo oggi noi qui, non vestiamo alla maniera dei tempi di San Francesco, le nostre case oggi non sono
quelle dei tempi di San Francesco
perché siamo andati avanti. In che
cosa Padre Pio ha ricalcato le orme
di San Francesco? È uno il segreto:
l’Amore. Perché la santità, cari fratelli e sorelle, in che cosa consiste?
La santità è la perfezione dell’Amore. Gesù nel Vangelo ci esorta: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto
il Padre”. Ma di quale perfezione sta
parlando Gesù? Forse della forma
degli occhi o della muscolatura? Non
è una perfezione fisica, ma la perfezione dell’Amore. In altri termini la
Bibbia ci dice: “Siate voi dunque santi perché io, il Signore Dio vostro, sono
santo”. E allora noi siamo chiamati a
questa perfezione dell’Amore. Quindi, lo specifico che unisce Francesco
e Padre Pio sta proprio nella risposta d’Amore al Signore che chiama.
Ed è un Amore unico e irripetibile.
Un Amore che va oltre ogni ostacolo, ogni difficoltà.
Padre Pio, in nome dell’Amore, accoglie l’invito a venire incontro alla sofferenza dell’umanità, accoglie
nella sua vita il dolore dell’umanità.
Un giorno un confratello era stato
ricoverato in Casa Sollievo. Quando
viene dimesso, va da Padre Pio e gli
dice: “Padre, i medici mi hanno detto che ho una malattia fastidiosa e
lunga. Non è mortale, ma è fastidiosa e lunga. Preghi il Signore perché
me ne liberi”. E Padre Pio, con gli occhi di un bambino, lo guarda e gli risponde: “Figlio mio, nella mia persona non ho un centimetro libero per caricarmi della tua malattia. Ma se il
Signore me lo permetterà, ti prometto che lo farò”. Immaginate la reazione di quel confratello. Non avrebbe
mai immaginato una risposta del genere. Per stare bene lui se ne doveva
caricare il Padre: ma allora ognuno
si tiene le sue sofferenze.
Cari amici miei, se noi comprendessimo! Quelle Croci di cui ci vogliamo liberare devono essere caricate da qualcun altro. Questo è il
mistero del dolore che il compianto Giovanni Paolo II, nella lettera
Salvifici Doloris, ci indica: ci deve
essere sempre qualche Cireneo generoso che si faccia carico dei nostri dolori.
E allora anche noi, aderenti ai
Gruppi di Preghiera di Padre Pio,
viviamo una spiritualità francescana. E, sulla scia di questa spiritualità
di Francesco, fondati sulla spiritualità di Padre Pio, dobbiamo esserne
i continuatori, oggi.
La spiritualità francescana è uno
specifico della Chiesa. Ognuno ha
il suo carisma specifico, e tutti in-
sieme formiamo la grande sinfonia
della Chiesa. Lo Spirito Santo ha una
fantasia straordinaria. È lui che suscita questi carismi. Noi non dobbiamo farli morire ma piuttosto alimentarli con la nostra vita, con la nostra
risposta sempre più generosa. Perciò è sempre più importante non fermarci solo alla devozione su Padre
Pio ma conoscere questa spiritualità francescana che lui ha incarnato.
L’ha fatta sua perché anche noi possiamo muoverci e camminare nello
stesso solco per dare la risposta che
oggi il mondo si aspetta da noi.
Ritorno al Convegno Diocesano
d’inizio d’anno con il quale ho cominciato la mia relazione: “Lungo
le strade del sud alla scuola di Gesù
per coltivare la speranza”.
Oggi c’è tanta gente senza speranza. Padre Pio, con la sua umiltà e col
suo mistero è stato capace di riaccendere la speranza nel cuore di tanti uomini, di tante donne, di tanti giovani. Spendendosi senza limiti.
Un episodio bello, a tal proposito.
Padre Carmelo da Sessano, superiore di Padre Pio nell’ultimo scorcio
degli anni ‘50, il superiore con il quale Padre Pio ha costruito il Santuario della Madonna delle Grazie, con
il quale ha inaugurato Casa Sollievo
della Sofferenza, un giorno va da Padre Pio e gli dice: “Sono venuti due
giovani a chiedere l’elemosina”; e Padre Pio gli domanda: “E tu che cosa
hai fatto?”. Padre Carmelo risponde:
“Ho dato loro qualche cosa”. E Padre
Pio: “Hai fatto male, perché domani
avranno bisogno di nuovo. Il lavoro
gli devi cercare!”. Padre Carmelo riprende: “Ed io che sono, l’ufficio di
collocamento?”. Padre Pio riprende
deciso: “Datti da fare!”.
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E Padre Carmelo si mette in moto. Comincia a girare, va a Roma,
sorretto dalle sofferenze e dalle preghiere di Padre Pio.
Cosi si realizzarono, nel sud, a
Foggia, le prime scuole professionali
in cui i giovani si preparavano per il
futuro. I primi giovani che hanno occupato i posti nelle fabbriche come
operai specializzati, sono usciti dalle scuole professionali di Padre Pio.
Pensate che intuito! La promozione
umana realizzata non soltanto a livello spirituale, ma anche nella vita
di ogni giorno. Padre Pio ha fatto girare le rotelle del suo cervello per il
bene contro il male. Il Signore ci ha
dotato di tanta intelligenza, e allora
se siamo più generosi, se lasciamo
agire la fantasia verso progetti rivolti al bene anche noi, come Padre Pio,
possiamo portare tanto bene in questa nostra società.
E noi Gruppi di Preghiera abbiamo questa grande responsabilità,
da una parte coltivare la preghiera, coltivarla non soltanto en passant, superficialmente, ma coltivarla a fondo, spenderci nella preghiera,
diventare, come diceva Madre Candida dell’Eucaristia delle Carmelitane di Ragusa, “come lampada che
si consuma davanti a Gesù”. Questa
deve essere la nostra preghiera, ma
nello stesso tempo attivarci perché,
attraverso questa preghiera, il mondo possa avere un volto diverso, un
volto nuovo.
Padre Pio ha pregato ma ha anche
agito. Ed ha potuto ben agire perché
pregava. Guardiamo lui come modello da imitare».
La Concelebrazione Eucaristica e
l’omelia di monsignor Staglianò
Edificati da queste riflessioni che
hanno rinsaldato nei presenti l’identità francescana della spiritualità dei
Gruppi di Preghiera, subito dopo
l’arrivo del Vescovo, è stata celebrata l’Eucaristia presieduta da Mons.
Staglianò e concelebrata da P. Enzo
La Porta e da Don Sebastiano Vizzini. Toccanti ed incisive le parole
di cui S.E. Mons. Staglianò ha fatto dono a tutta l’assemblea durante l’omelia.
Ecco i brani più significativi.
«Vorrei parlare a voi da cuore a
cuore. Da cuore a cuore vuol dire
creare un dialogo d’affetto nel quale
poter parlare di Padre Pio non come
un grande personaggio del passato
ma, anche lui come Gesù, di un no-
stro contemporaneo. Padre Pio parla e lo sentono tutti quelli che hanno
orecchio per ascoltarlo. Benché non
tutti lo sentano.
Prima di morire Padre Pio poteva
parlare a quelli che andavano a trovarlo. Adesso, da morto, la sua vita,
la sua testimonianza cristiana, la sua
opera di carità è parola universale.
Detta a tutti: ascoltino o non ascoltino. Ecco cosa accade alla morte di
un autentico cristiano. Ecco su cosa Gesù istruiva i sadducei increduli sulla resurrezione dei morti e cosa insegna la Chiesa cattolica: che i
morti risorgeranno; e la resurrezione sarà nella carne. E non risorge
semplicemente un’anima svolazzante, indistinta, ma risorge un corpo,
una personalità vivente, risorge una
realtà, una vita. Un corpo che semini
corruttibile e risorge incorruttibile,
nella sua totalità e nella sua bellezza.
Questo noi confessiamo.
Ecco, Padre Pio oggi parla a ciascuno di noi e dice: “Ti ringrazio
perché tu sei mio devoto, ti ringrazio
perché tu preghi nel Gruppo di Preghiera, perché la tua devozione e la
tua preghiera aiutano il transito dalla corruttibilità allo splendore”.
E quali sono i corpi che splenderanno di più? Sono quei corpi che
hanno di più operato nella carità. Io
cerco di impegnarmi quale Vesco-
vo di Noto a far qualcosa e può darsi
pure che diventerò un grande santo.
Però immagino che un corpo di San
Francesco d’Assisi... che splendore!
Rispetto al suo splendore io sono un
lumicino! Immagino il corpo di San
Francesco di Assisi, di Padre Pio, dei
santi francescani!
Vorrei dirvelo da cuore a cuore,
con concretezza: così funzionerà.
Tutto il bene che si fa, con generosità, con apertura di intelligenza, con
grandezza di cuore, qui, su questa
terra è un investimento ed il Padreterno saprà valorizzarlo, nella sua
misericordia, nascondendo le nostre debolezze, i nostri peccati, i nostri fallimenti, le nostre illusioni, per
esaltare gioiosamente le opere di bene che abbiamo saputo fare. È importante credere nella resurrezione della carne, perché chi non crede e non
spera in un ”oltre”, in questa vita non
si impegna. Attraverso noi cristiani
il mondo deve parlare, dunque, il linguaggio nuovo dell’Amore: “Amatevi come io ho amato voi” e per amarvi come io ho amato voi, spingetevi
a morire per l’altro, a soccorrere l’altro, andando a cercare l’altro nel suo
bisogno e nella sua necessità. L’altro
ha bisogno di te, di una tua parola, di
un tuo gesto, di un tuo sorriso, del
tuo perdono, della tua carità. E non
c’è nessuno qui che non abbia bisogno degli altri.
Allora il cristianesimo, il Padreterno, la resurrezione dei corpi ha a che
fare con questo impegno di vita nella carità operosa; ecco perché Padre
Pio ci parla e ci dice: “Operate il bene; non vi voglio devoti a chiacchiere”. Evitiamo il ritmo parolaio della preghiera. “Signore, Signore”, va
bene, ma il fratello lo perdoni? “Signore, Signore”, va bene, ma hai ancora quel rancore dentro la tua vita?
“Signore, Signore, Signore”, va bene, ma continui a dire ad un povero:
“ non ti do niente, vattene via”? Questo vale per voi, vale per me, vale per
i preti. Ricordate Ezechiele quando
si rivolge ai sacerdoti, alle guide dicendo: “Voi pastori, invece di orientare il mio gregge me lo sfruttate,
mungete le mie pecore, le sfruttate e non le guidate. E non guidate la
zoppa e non andate a trovare la malata e non vi prendete cura della ferita ma organizzate le cerimonie dentro le chiese. Fate delle belle predi-
che agli appuntamenti diocesani dei
gruppi di Padre Pio, ma non è lì che
mostrate quanta fede avete nella resurrezione”.
Ci sono, cari fratelli e sorelle, delle opere da compiere e soltanto in
quelle opere si vede se credo nella
resurrezione dei morti: sono le opere del perdono e della misericordia
donata al fratello che ha bisogno.
Solo con queste opere io mostro al
mondo che sono un credente e che
sono un devoto di Padre Pio. Nessuno dica di essere devoto di Padre Pio se non accoglie questa luce
dell’Amore che illumina la sua coscienza ed il suo cuore.
Perciò, cari fratelli e sorelle, il vostro Vescovo è contento che voi ci
siate, siete come una lampada vivente accesa.
La preghiera è la vera forza! Chi
non prega non opera nella carità,
chi non vuole operare nella carità
non prega.
La preghiera è la vera forza! E voi,
Gruppi di Preghiera, pregate per voi
e per la vostra diocesi, pregate anche
per il Vescovo.
La preghiera diventi per voi l’esperienza che vi consenta
di salire fino a raggiungere il cuore di Dio e dal
cuore di Dio guardare
con occhi nuovi, con gli
stessi occhi del Padreterno.
Cosa accadrà nell’ora
della nostra morte quando busseremo alle porte del Padreterno? Volete che ve lo dico cosa
accadrà? Il Padreterno,
dopo aver sentito il tocco del nostro bussare,
ci aprirà, ci guarderà in
faccia e dirà: “Ecco un
figlio della resurrezione, un figlio di Dio”. E
noi gli diremo: “Ecco
Padre, ma da dove vedi che sono figlio tuo?”
“Semplice, quando avevo fame mi hai dato da
mangiare, quando avevo sete mi hai dato da
bere, quando ero svestito mi hai coperto, quando ero nella solitudine
del carcere sei venuto
a trovarmi, sei diventa-
to prossimo, in te è cresciuto un corpo e un’anima da figlio di Dio, adesso vieni e goditi il Paradiso preparato da tempo prima che il mondo
fosse”.
Un augurio grande: per intercessione di Padre Pio, avvenga così per
il vostro vescovo, avvenga così per
ciascuno di voi nell’ora della vostra
morte e così sia».
Il saluto alla fine della Celebrazione Eucaristica ha visto tutti i partecipanti gioiosi e commossi per un incontro così ricco di contenuti e denso di spiritualità.
L’assemblea si è quindi congedata con vivo senso di gratitudine e
di lode, con l’auspicio di un proficuo cammino spirituale sia all’interno dei singoli Gruppi di Preghiera che nell’ambito e a servizio della
Chiesa, locale e universale.
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g ru p p i d i p r e g h i e r a
a cu r a d i l o r e ta s a n pao l o
GRUPPI DI PREGHIERA
In occasione di un ulteriore Pellegrinaggio da P. Pio
da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, avvenuto in
data 10 ottobre 2010 del nostro gruppo di pellegrini
di Casalotti – Roma coordinati dai capogruppo
Stefanucci Alessio e Molinari Valeria, abbiamo
pensato di donare come nostro devoto ricordo un
Bambinello fatto pervenire appositamente da
Betlemme accompagnato da una targa, consegnati
al momento dell’Offertorio durante la Santa Messa
delle ore 9.30 celebrata nella Cappella
dell’Ospedale da P. Timoteo.
È stato un momento veramente di intimo
raccoglimento e di forti emozioni.
Siamo certi che questo Bambinello sia una memoria
sempre viva della vita che Gesù è venuto a portare,
perché Lui è il Salvatore di tutti, ma ha misericordia
soprattutto di coloro che hanno bisogno.
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«Nostra Signora di Lourdes»,
Cento (Ferrara)
Il gruppo di Cento anche quest’anno ha
organizzato gli esercizi spirituali per la diocesi di
Bologna. L’evento, svoltosi al Centro di Spiritualità
«Santa Clelia Barbieri alle Budrie» di San Giovanni
in Persiceto dal 30 settembre al 3 ottobre, è ormai
giunto alle XXIII edizione.
L’incontro, per il terzo anno consecutivo, è stato
impreziosito dalla presenza di monsignor Pasquale
Maria Minolfi di Benevento nelle vesti di guida
spirituale. Di rilievo anche la presenza di don Nello
Castello.
_
Il Gruppo di Preghiera
di Padre Pio
di S. Pancrazio Sal.no (BR) il 17.10.2010
U.S. in pellegrinaggio a S. Giovanni Rotondo.
Ha vissuto una giornata indimenticabile,
ricca di preghiera e di spiritualità,
visitando la tomba del nostro Santo Fondatore,
i luoghi dove è vissuto e partecipando
alla S. Messa delle ore 11.00
nella grande e bella chiesa dedicata al Santo.
Il Gruppo è stato accompagnato
dalla capogruppo Elda Frassanito. _
TORONTO (CANADA)
Si tratta del gruppo di preghiera “San Pio da
Pietrelcina” di Toronto, Ontario (Canada).
Il gruppo si riunisce nella chiesa Holy Angels’ di
Toronto. La guida spirituale è P. Pietro Gioppato. La
responsabile laica é la Sig.ra Maria Michela
Giannini.
Le foto si riferiscono ai festeggiamenti fatti in
occasione del 50° anniversario della dedicazione
della chiesa dove il gruppo di preghiera si riunisce
periodicammente per gli incontri di preghiera. Per
l’occasione il gruppo ha pensato di inviare 300,00
dollari per intestare un lettino nella Casa Sollievo
della Sofferenza.
È un gruppo nato nel maggio del 2008
dall’ispirazione della sig.ra Maria Michela
Giannini, la capogruppo che si è prodigata
tantissimo a far conoscere e divulgare la nostra
rivista “La Casa” aderendo all’iniziativa. Oggi è
riuscita a fare 56 abbonamenti singoli.
È un gruppo che sente forte il senso di
appartenenza alla grande famiglia dei gruppi di
preghiera di San Pio sparsi nel mondo intero e alla
Casa Sollievo della Sofferenza. La devozione al
nostro caro Fondatore è grande e tutti gli aderenti
al gruppo si sforzano di fare un cammino di fede
alla scuola di Padre Pio.
_
Trivento (Campobasso)
Una giornata dal nostro caro Padre Pio
Il gruppo di preghiera, formatosi undici anni fa
per volontà di alcuni fedeli, si riunisce nella chiesa
di «Santa Croce» ogni primo venerdì del mese
per pregare, per recitare il Rosario e meditare
sulla vita di San Pio.
L’8 novembre scorso, accompagnati
dai nostri assistenti spirituali, don Luigi Di Lella
e don Vladimiro Porfirio, ci siamo recati
in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo.
Nonostante una mattinata a tratti piovosa,
abbiamo percorso la Via Crucis per rivivere,
attraverso la preghiera e la lettura delle sacre
scritture, la Passione di nostro Signore Gesù.
Rigenerati nell’anima, ci siamo diretti verso
la cripta dove riposa Padre Pio per partecipare
alla Messa presieduta da monsignor Antonio
Santucci, Vescovo Emerito della diocesi di Trivento.
Il nostro pellegrinaggio si è concluso con la visita
al Santuario della Madonna dell’Incoronata
di Foggia.
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Nota biografica
L’avvocato
P
Berardino Tizzani
rezioso come l’oro è un amico.
La sapienza biblica lo chiama
tesoro. Ma dire la “bugia” all’amico,
a dir poco, non è bello! Far rispondere al telefono che squilla: “Don Michele non c’è; è in Terra Santa”, questo è proprio brutto. Ma Berardino,
ora che è nella nuvola dei testimoni
di Eb 12,1, saprà sorridere come ha
saputo fare per una vita intera su uomini, fatti e misfatti di questo povero
mondo, amato da Dio, ma un pochino
cattivello se ha saputo uccidere perfino il suo Figlio unigenito sulla Croce. Finiva con ...09 il numero telefonico fisso dell’Avv. Tizzani e in questi
ultimi anni ho avuto l’onore di essere considerato l’amico e il confidente, bontà della sua – ve lo assicuro –
non comune intelligenza. Io sono stato solo l’ultimo degli amici preti; prima di me c’erano l’Arcivescovo Cesarano, l’Arcivescovo Vailati, l’Arcivescovo D’Ambrosio, don Mario Carmone ... e quando in guerra non ci
sono più cavalli bisogna combattere
con gli ... asini che restano! Questione di tattica bellica! Così, quasi ogni
settimana gli facevo visita gradita,
ma “sofferta”, perché il Presidente
non era più quello di prima. Era l’uomo vero che soffre i limiti della malattia. Ed ero io che dovevo essere il
forte e il bravo (me lo rinfacciava con
allusione manzoniana!) e lui doveva
essere il fragile. Ma “prepotente” come sapeva essere, non si accontenta-
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DON MICHELE NASUTI
va di una sola visita a settimana! Mi
voleva spesso!
Perché …. quando saremo anziani avremo dimenticato di aver fatto e di aver detto la stessa cosa più
volte... E don Michele si difendeva
quando squillava il telefonino e vedeva... 09 finale...
Poi andavo da solo quando potevo
e gli portavo la S. Comunione.
Potrebbe sembrare che io abbia
voglia di parlare di me... Invece voglio sottolineare un aspetto inedito
dell’Avv. Tizzani, il Presidente! E’
stato anche lui un sofferente, negli
ultimi anni. Proprio come Gesù che
incarnandosi ha assaporato tutti gli
aspetti della fragilità umana, eccetto il peccato (per Gesù!). Tutti conoscono il valore professionale e la
personalità brillante dell’Avv. Tizzani. Certamente essere un po’ superiori alla media, suscita gelosie, ma
l’intelligenza non si compra e non si
vende. Chi è poco intelligente, purtroppo, non si accorge che l’altro vale di più, ma accusa l’altro come causa dei suoi mali. Succede in tutte le
categorie di persone …. . Però devo
dire che le mie visite erano confortate dalla dolcissima presenza della
moglie Immacolatina, la quale si scusava con me: “Don Michele, abbi pazienza, non è più lui!”
La moglie è stata un vero Angelo
Custode, sempre, non solo alla fine.
La storia di un uomo non si può raccontare mai tutta e bene. Dio Padre
possiede il libro intero della nostra vita e Lui è il nostro specchio. Quando
noi parliamo di un’altra persona andiamo sulle generiche, perché solo
Gesù “sa che cosa c’è nell’uomo” (Gv
2,24). Poiché testimoni della vita privata e dell’attività civica dell’Avv. Tizzani siamo stati in molti, laici e preti,
preferisco dare la parola a Mons. Domenico D’Ambrosio arcivescovo di
Lecce che ha inviato un breve scritto
in occasione della messa... “pasquale” del Presidente.
“Con l’amico Berardino si chiude
una lunga e significativa pagina della storia civile e religiosa della comunità di Manfredonia. Il suo impegno
politico, a servizio della comunità lo
ha visto lungamente presente, animato da una fede salda e forte, fin dagli anni immediatamente seguenti la
seconda guerra mondiale, nella vita
della comunità con competenza, passione e lungimiranza, pronto al dialogo anche con gli avversari politici
dei quali rispettava e con i quali condivideva lo stesso impegno civico di
servizio alla πολισ.
La città di Manfredonia, la provincia di Foggia, l’ordine degli avvocati lo hanno visto animatore instancabile di quel prezioso e oggi talvolta dimenticato livello etico che sa
mettere al primo posto non il proprio interesse ma il bene comune.
Da sempre intensi rapporti di amicizia hanno arricchito il nostro dialogo e le nostre comuni preoccupazioni. Non posso dimenticare la sua
feconda collaborazione con i pastori della Chiesa Sipontina: Mons. Cesarano che è stato il suo vero padre
nella fede e lo ha guidato a scegliere
il servizio alla cosa pubblica in nome
di quella fede che è la caratteristica e il connotato dell’uomo Tizzani.
Mons. Vailati che lo ha voluto impegnato anche nel processo diocesano
per la causa di beatificazione di San
Pio da Pietrelcina. Mons. D’Addario
che ha goduto della sua amicizia e
della sua professionalità. Nei sei anni del mio servizio episcopale alla
Chiesa Sipontina, sono state tante le
occasioni nelle quali ho goduto della
memoria storica del caro Berardino
e della sua lungimiranza nell’attenta partecipazione, anche se distaccata, alla vita pubblica della comunità
e della stessa Chiesa”.
Quanto alla partecipazione
dell’Avv. Berardino al processo di
canonizzazione di Padre Pio, è da
ricordare il suo ruolo di Presidente della Commissione storica, svolto con competenza e professionalità puntigliosa. Tutto il lavoro svolto dalla Commissione storica da lui
presieduta fa parte ormai di quei numerosi volumi che si conservano negli archivi competenti ad perpetuam
rei memoriam.
Grande edificazione ho ricevuto
dalla testimonianza del Presidente
degli Avvocati della provincia e del
rappresentante degli Avvocati del
Foro di Manfredonia. Non erano parole di circostanza. Traspariva l’affetto, la stima e la sofferenza per una
grande perdita. Ricorderò Berardino nel vigore dei suoi anni, quando
anch’io ero più giovane e sono contento di avergli date negli ultimi anni le carezze riconoscenti dei tanti
presbiteri che lo hanno avvicinato e
dei quali Berardino è stato l’Avvocato …. salvatore e consolatore! La storia di Berardino deve ancora essere
scoperta e scritta per bene. Ci penseranno i nipoti i quali ricorderanno
che nonno Berardino era sinonimo
di Presidente!
_
L’incontro con Padre Pio
“
Tra le altre cose che ho fatto, e delle quali sono riconoscente a chi ha voluto e preteso che le facessi, feci parte della
Commissione storica per la causa di Beatificazione di Padre
Pio. Mi chiamarono a rendere una testimonianza al Tribunale
ecclesiastico dove mi chiesero se e perché ritenessi Padre Pio
degno di divenire Santo. Risposi con la parola di Cristo che affermava: «Devi voler bene a Dio e ai tuoi fratelli». Padre Pio ha
tenuto in vita un buon rapporto con Dio, dal quale ha ricevuto
le stimmate e, per i suoi fratelli, ha costruito un grande ospedale. Che cosa avrebbe dovuto fare di più? Un paio di aneddoti.
Spesso ero io ad accompagnare i leader democristiani nazionali che andavano in
visita da Padre Pio. Anche Aldo Moro, da presidente del Consiglio si recò da lui.
Padre Pio era solito accogliere i prestigiosi politici chiamandoli «mariul». All’inizio
non capivo per quale motivo dicesse questo. Poi lo compresi. Non gli andava giù
che il governo italiano, per una legge vigente sui capitali esteri, avesse preso il
50% della enorme donazione di Fiorello La Guardia, sindaco di New York e figlio
della Capitanata, per la costruzione dell’ospedale di San Giovanni Rotondo. Fui
proprio io a spiegare al povero ed esterrefatto Moro il significato di quel «mariul».
Padre Pio, per l’importanza dell somma donata, era arrivato a pensare di intitolare
l’ospedale a Fiorello La Guardia.
Un altro aneddoto. Accompagnai da Padre Pio i cinque presidenti delle provincie
pugliesi. Prima di entrare mi chiesero se io credevo nella santità di Padre Pio. Feci
vedere loro l’ospedale in costruzione e risposi: «Quest’uomo senza nemmeno una
lira sta costruendo tutto questo. Se noi ci mettessimo tutti insieme in consorzio non
riusciremmo a costruire la metà di quello che sta facendo lui».
Si convinsero ed andammo da Padre Pio.
„
_
Berardino Tizzani
nasce a Manfredonia
il 18 gennaio del 1923.
È sposato con tre figli.
Dopo la maturità
conseguita presso il Liceo
classico «V. Lanza»
di Foggia si iscrive a
Bari alla Facoltà di Giurisprudenza
dove si laurea con una tesi dal titolo
Essentialia delicti, discussa con
il professore Aldo Moro.
Dopo la laurea si avvia alla libera
professioe di avvocato. Compie
l’apprendistato politico
nelle associazioni cattoliche
presiedendo a Manfredonia
l’Azione Cattolica, la Fuci
e i Laureati cattolici. Si iscrive,
dalla fondazione, alla Dc e ben
presto diviene delegato giovanile
provinciale dello «scudocrociato»
di Capitanata. Nel 1949 è assessore
ai Lavori pubblici al Comune
di Manfredonia con
l’Amministrazione Brigida. Nel
1952 è eletto per la prima volta
consigliere alla Provincia di Foggia
ed è riconfermato ininterrottamente
nella carica fino al 1971.
Dal 1966 al 1971 è presidente
della Provincia di Foggia.
Per molti anni componente
del Consiglio di amministrazione
e della Giunta esecutiva dell’Ept e
presidente del Consiglio
di amministrazione dell’Istituto
tecnico nautico di Manfredonia.
Dal 1957 al 1966 è presidente
dell’istituto autonome case popolari.
Nel 1968 gli viene conferita
l’onorificenza di Grand’Ufficiale
al merito della Repubblica e nel 1971
ottiene dal Ministero della Pubblica
istruzione la Medaglia d’Oro
dei benemeriti della scuola,
della cultura e dell’arte.
Dal 1974 al 1996 è presidente
dell’Ordine forense presso
il Tribunale di Foggia ed è per molti
anni consigliere nazionale forense.
Giornalista pubblicista, è da sempre
impegnato nello studio e nella
ricerca riguardante i problemi
della Capitanata, della Puglia
e del Mezzogiorno d’Italia.
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co s ì ci s cri vono
così ci scrivono
così ci scrivono
EMATOLOGIA
Ci siete stati sempre vicini in questi anni di sofferenza
ono il marito della signora C. M.. Mia moglie, affetta da mieloma multiplo, era
in cura presso il vostro Ospedale dal 2003 ed è deceduta l’11 ottobre scorso.
Questa lettera è un breve ma sentito ringraziamento ai medici e al personale infermieristico del reparto di Ematologia, guidato dal primario dottor Nicola
Cascavilla, per le amorevoli cure prestate alla mia consorte e per la qualità del servizio offerto dalla struttura ospedaliera.
A tal proposito mi permetta di citare in modo particolare il dottor Rosario Potito
Scalzulli che, in ogni fase della malattia, ha seguito costantemente, con grande sensibilità ed alta professionalità, mia moglie, curandola con le migliori terapie attualmente possibili e permettendole una buona qualità di vita nella speranza che un giorno la ricerca avrebbe potuto fornire una cura definitiva per il suo tipo di patologia.
Persone come il dottor Scalzulli non si possono non menzionare anche per il grande
conforto mostrato sia a me che ai miei sette figli, in questi lunghi anni di sofferenza.
S
Lettera firmata
Un grazie al reparto di Rianimazione II
Non ho mai sentito parlare di arrendersi a lottare
arissimo primario, cari dottori, infermieri, suora e collaboratori tutti, sono il figlio
della signora A.. La mia cara mamma gode di ottima salute e di questo io ve ne ringrazio di vero cuore.
Nella struttura ospedaliera dov’era ricoverata mia madre, prima della degenza
a San Giovanni Rotondo, non mi avevano dato speranze di miglioramento o di guarigione.
Nel vostro Ospedale, invece, non ho mai sentito parlare di arrendersi a lottare e, adesso che
vedo mia madre serena, ne sono veramente entusiasta.
Riporto i ringraziamenti di mia madre e tutta la mia famiglia.
Vi ringraziamo per la professionalità con cui svolgete il vostro lavoro e la comprensione
e delicatezza che offrite ai degenti.
Grazie di vero cuore
C
NEFROLOGIA
R
C
ingrazio ancora e sempre per tutto quello che avete fatto per me.
Per questo faccio 1000 chilometri,
perché siete straordinari!
Continuate ad offrire serenità e
rispetto verso chi soffre
iò che vi rende medici, infermieri, ausiliari è la vostra professione, ma ciò che vi rende
persone speciali è la vostra
capacità di accoglienza, di ascolto e di
cura. La malasanità fa rumore come un
albero che cade, la buona sanità è silenziosa come un albero che cresce. Nostro
Pietro C.
padre si è adagiato sotto questo albero
silenzioso, vi ha trovato ristoro, frescura, sollievo e alla sua ombra si è addormentato. Voi siete la linfa vitale di questo
albero. Anche nelle difficoltà, non lasciate morire questo albero. Continuate ad
essere presenza serena, sensibile, competente, silenziosa e rispettosa della
dignità umana. Allora il dolore di un corpo fragile e sfiancato verrà mitigato ed
ogni sofferenza lascerà il posto ad un’infinita gratitudine.
Grazie di cuore a tutti di tutto.
Famiglia Lombardi
Ci avete ridato la gioia di vivere
S
ento il sincero bisogno di manifestare tutta la mia più vera gratitudine e ammirazione al dottor Aurelio D’Ecclesia per la professionalità, la bravura, la peculiare competenza e, soprattutto, per la tempestiva premura dimostrate nella
diagnosi e nella terapia del male che affliggeva la mia esistenza e la vita dei
miei cari.
Grazie di cuore dottor D’Ecclesia per averci ridato la gioia di vivere, sconfiggendo un nemico tanto agguerrito quanto subdolo, poco noto e vile.
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Professionalità e umanità nel reparto di Urologia
on questa lettera vorrei spendere qualche parola di elogio nei confronti del carissimo dottor Giuseppe Cretì, del reparto di Urologia della Casa Sollievo della
Sofferenza.
Ho avuto modo di apprezzare questa grandissima Opera in quanto sono stata
personalmente sottoposta ad un intervento di laparoscopia operativa nel settembre del 1997.
Anche mio figlio, all’età di due anni, è stato sottoposto ad un intervento urologico ricostruttivo nel maggio del ’96, effettuato dal dottor Cretì.
In quest’ultimo periodo siamo rimasti colpiti e sconcertati dalle vicende che riguardano
la mala sanità. Però bisogno anche affermare che esiste un’altra Sanità, quella buona, di cui
bisognerebbe parlare di più.
Ancora una volta, a distanza di quattordici anni, mio figlio ha dovuto nuovamente subire
un intervento urologico e per me è stato naturale rivolgermi allo stesso Ospedale e allo stesso medico. Allora colgo l’occasione per sottolineare la professionalità, la grande umanità e
la disponibilità che si respirano nel reparto di Urologia dell’Opera di Padre Pio, qualità che
contraddistinguono in particolare il dottor Cretì.
Il 29 ottobre scorso, giorno dell’intervento di mio figlio, il dottor Cretì, anche dopo una
estenuante giornata di lavoro in reparto, è rimasto sempre a nostra disposizione con generosità e bontà d’animo.
È proprio nella figura di questo medico meraviglioso che si possono rispecchiare le belle parole di Padre Pio: «Voi medici avete la missione di curare il malato, ma se al letto del
malato non portate l’amore non credo che i farmaci servano a molto».
C
Maria Pia P.
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C ONVEGNO
A 50 anni dalla morte
C ONVEGNO
Carlo Kisvarday
Da Z ar a a San Giovan ni Rotondo
gherardo
ella Zara del primo Novecento, dov’era nato il 9 agosto
1877, Carlo Kisvarday era un notabile. Tra i ventimila abiN
tanti della città. Per tre quarti italiani. Il resto croati, come in
Ricordando il dottor
Carlo Kisvarday
paolo comparato
D
alla scomparsa del dottor Carlo Kisvarday, avvenuta il 14 agosto 1960, sono trascorsi cinquant’anni.
Egli fu uno dei miei primi superiori che ebbi modo di conoscere e avvicinare spesso per ragioni di lavoro.
Quando, nel mese di dicembre del
1951, la mia famiglia si trasferì da
Udine a San Giovanni Rotondo, fu
lui la prima persona che conoscemmo. Avevamo sentito parlare di lui
dalla signorina Antonietta Taucer,
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responsabile di un gruppo di preghiera di Udine. Ci recammo nella
sua villetta, vicinissima alla nostra
casa che avevamo appena acquistato. Ci accolse con molta cordialità e
si meravigliò sapendo del nostro trasferimento.
Ci disse che il nostro era il primo
caso di un’intera famiglia che veniva
ad abitare vicino a Padre Pio.
Quando la signorina Taucer – venuta da Udine per la confessione da
Padre Pio, come faceva periodica-
mente – andò a salutare il dottore,
egli le disse che era preoccupato per
la nostra famiglia da poco trasferitasi, e la pregò di venire da noi per rendersi conto della nostra condizione.
In effetti non ci eravamo ancora ambientati. Avvertivamo i primi disagi,
come la mancanza di energia elettrica e dell’acqua potabile.
Vi era soltanto una cisterna d’acqua piovana fuori dalla casa.
Dall’interessamento e dalle premure del dottor Kisvarday capimmo
che egli era una persona speciale.
La sua villa fungeva anche da ufficio. Tutta la corrispondenza veniva
portata lì. Anche le lettere che i pellegrini mettevano nelle mani di Padre Pio, con offerte per l’Ospedale,
egli, ogni giorno, le faceva pervenire a Kisvarday.
Il Dottore apriva tutta la corrispondenza, leggeva ogni lettera, e componeva dei piccoli gruppi che riponeva in un casellario in attesa di distribuirli perché fosse data risposta.
tutta la Dalmazia. Sottoposta all’impero austro-ungarico. Era
un irredentista, un patriota, filoitaliano. Venne la guerra mondiale. Alla fine l’Italia, vittoriosa, ebbe l’ambita Zara. Farmacista, proprietario di case e di terre, la carica onorifica di capitano dei pompieri, così scorreva la
sua vita, fino a quando...
Si stava recando in macchina, con
la moglie Mary, a Konnersreuth, in
Austria, dalla stimmatizzata Teresa
Neumann, quando sentì parlare di
un altro stimmatizzato: un cappuccino, in Italia, in Puglia. Non ci pensò due volte, invertì la marcia e si recò da lui.
Quell’incontro, a metà degli anni
Trenta, cambiò la sua vita. Divenuta, da quel momento, storia stessa di
Padre Pio. Che lo conquistò subito.
Si stabilì a San Giovanni Rotondo,
costruendovi una villa, che, dal gennaio del 1940, quando si
formò un comitato per consentire a Padre Pio di realizzare il
«sollievo della sofferenza», divenne il capolinea dell’Opera.
Con la raccolta delle offerte, scrupolosamente registrate da
Kisvarday «cassiere», i consigli di amministrazione, la corrispondenza, i rapporti con i visitatori. Accolti con affabilità familiare, l’eloquio simpaticamente veneto. Retaggio della multisecolare appartenenza di Zara alla Repubblica di Venezia,
prima del dominio francese e di quello asburgico.
Amato da tutti per il suo tratto semplice, «Carletto» per gli amici, di una umiltà naturale senza mai esporsi. Nessuno svago.
Solo le recite cui assisteva Padre Pio. Lui sempre in cima alle
sue giornate.
Vedovo dal 1941, lo accudiva Paola Novak, sua conterranea.
In famiglia fin da ragazza.
È morto il 14 agosto del 1960, amareggiatissimo per la bufera
che s’era scatenata su Padre Pio. Riposa in una cappella del cimitero, con vicino la moglie Mary e la fedelissima Paola.
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Le lettere venivano poi destinate
ai vari uffici che provvedevano a rispondere secondo le indicazioni e
gli orientamenti dati da Padre Pio,
al quale venivano sottoposti i casi
particolari e più delicati. La risposta più comune era: «Padre Pio prega e benedice», come suggerito dal
Padre stesso.
Un giorno, giunse un telegramma
con richiesta di preghiere urgenti
per un malato. Trattandosi di persona molto conosciuta nell’Opera, un
mio superiore mi mandò da Padre
Pio perché leggesse il telegramma.
La risposta fu la stessa: «Rispondete che io prego». E le persone ricevevano le grazie anche se il Padre non
leggeva neppure le loro lettere. Egli
pregava per tutti coloro che si rivolgevano a lui, in ogni forma, scritta
o verbale.
Fino al mese di settembre del
1954, la corrispondenza veniva firmata anche dal dottor Sanguinetti.
Dopo la sua morte, avvenuta il 6 settembre 1954, tutte le lettere portavano la firma del dottor Kisvarday, e si
può immaginare quanto gravoso fosse per lui questo compito, oltre quello di cassiere. Possedeva una grande
e pesante cassaforte ove riponeva il
denaro, vaglia, assegni, ed anche oggetti d’oro donati dai benefattori.
Egli era instancabile nel suo lavoro. Si alzava prestissimo la mattina e
terminava la sua giornata la notte.
Non tollerava discorsi inutili: «Ciacole, ciacole» diceva nel suo dialetto
zaratino. Apparentemente burbero,
aveva un cuore d’oro.
Si diceva che quando Padre Pio
non riusciva a liberarsi di qualche
penitente che gli faceva perdere
troppo tempo, diceva: «Andate da
Carletto Kisvarday che vi deve parlare». Il dottore – che era d’accordo
col Padre – ricevendo queste persone, le abbracciava e diceva di voler
loro tanto bene. Mi trovai presente
quando, nell’ingresso della villa entrò una signora che disse: «Dottore,
mi manda il Padre, cosa mi deve dire?», e il dottore abbracciandola le
disse: «Che ghe voio tanto ben». E
la signora, commossa e soddisfatta, se ne andò.
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al termine d’un duro lavoro, da una
parte e dall’altra del modesto tavolo quadrato al quale Carletto lavorava. Si parlavano quietamente, parcamente, senza gesticolare. Sanguinetti riversava su quel tavolo i fazzolettoni colorati e i sacchetti bianchi
pieni di banconote che riportava dalla cella di Padre Pio. Kisvarday contava il danaro, lo raggruppava, lo sistemava in cassaforte, dopo averlo
registrato nei suoi quaderni dalla copertina nera. Un lavoro importantissimo, compiuto da una parte e dall’altra in assoluta umiltà.
Ha lavorato fino all’ultimo, fino a
qualche ora prima che l’ultimo violento attacco del suo male gli togliesse la parola e immobilizzasse per
sempre la sua mano. Quella sua mano grossa, paffuta, instancabile nel
mettere firme (…)».
lo ricorda così:
Gherardo Leone
lo ricorda così:
Nell’articolo «Le sue mani», ho rivisto il dottore così com’era, la sua persona, il suo carattere, così ben tratteggiato da Gherardo Leone: «Lo si
vedeva salire al convento nelle ore
ufficiali: grassottello, panciuto».
«Saliva di scatto i gradini del sagrato, con un’agilità insospettata, tenendosi le mani sul ventre. Parlava
rapido, affabilmente con tutti(…)».
«Parco e sorprendente era il suo
tenore di vita, il cosiddetto ménage
familiare(…)».
«Viveva della verdura del suo orto,
che coltivava di persona, aiutato dalla fedele Paola, la “ragazza” zaratina
che viveva fin da piccola in casa Kisvarday. La sua Paola vendeva ai vicini di casa le uova fresche del pollaio dietro casa. Non aveva bisogno di
molto, Carletto Kisvarday; dava tutte le sue energie all’Opera di Padre
Pio, senza nulla accettare in cambio(…)».
«Spinoso e brontolone appariva
qualche volta l’uomo ai superficiali.
Il fatto è che non tollerava di dover
perdere tempo. Era capace di ascoltare per intere ore una storia di mise-
Nel periodico della Casa, n°1314 del luglio 1957, Gherardo Leone – nell’imminenza dell’ottantesimo compleanno di Kisvarday – gli
rende omaggio con l’articolo «Gli ottant’anni di Carlo Kisvarday», e scri-
ve, con il titoletto «Il cartello»: «A ottant’anni suonati, Carlo Kisvarday
conserva un’invidiabile capacità fisica di lavoro, e un’elasticità di corpo
e di spirito da far impallidire, al confronto, non pochi uomini che abbiano, a dir molto, la metà dei suoi anni.
Non ha limitazioni d’orario: è “sempre” al servizio della Casa. Continua
a lavorare le sue dieci, dodici, e forse
più, ore giornaliere».
E prosegue più in là: «Non so di
chi fu l’idea di erigere nel suo orto
un grande cartello volto alla strada, che diceva all’incirca: “Erigenda Casa Sollievo della Sofferenza dr. Carlo Kisvarday”. Quel cartello
sconvolse la vita di Kisvarday. Come
la casa del protagonista di Pian della Tortilla, la sua villa divenne di tutti. La prima ad essere occupata fu la
stanza da pranzo. Il tavolo e il buffet
si coprirono di corrispondenza, poi
apparve una portatile, qualcuno cominciò a picchiettare sui tasti. Quindi fu la volta della stanza d’ingresso:
vi fu messo un tavolo, poi un altro,
poi una macchina per scrivere. Gradualmente fu conquistata tutta la ca-
sa: il corridoio posteriore, i ripostigli, i pianerottoli, il soffitto, l’interrato e, infine, la cucina e la camera da
letto. Per coricarsi, il dottor Kisvarday doveva scavalcare i pacchi in attesa di sistemazione, e sgombrare,
a volte, il letto da paramenti sacri o
da quadri arrivati di fresco. Per una
diecina d’anni visse a questa maniera. Respirò di sollievo il giorno in cui
uffici e magazzini furono trasferiti
altrove. Ma non smise la sua vita da
stakhanovista».
L’articolo prosegue con il titoletto
«La sua cassaforte», dove viene tratteggiata la figura del dottore intento al suo lavoro, in piedi, vicino alla
cassaforte: «(…)Le sue mani grosse e calme si fanno quasi tenere, ieratiche, quando si poggiano sulla rotonda maniglia dello sportello e v’infilano la chiave. Bisogna vedere con
quale attenta cura manipola il denaro per capire come ogni banconota,
di grande o di piccolo taglio, e ogni
moneta metallica abbia per lui un valore tutto particolare. Forse ogni volta, dietro quelle banconote, e dietro
quelle monete metalliche, rivede le
rie e di malattie, pronto a commuoversi, ad asciugarsi gli occhi grandi
e azzurri con un lembo del suo fazzoletto bianco. Ma altrettanto pronto a troncare brusco, con una battuta del suo bel dialetto zaratino, qualche seccatore che andava per le lunghe. “Lavoré, lavoré” usava dire con
un suo tono di giovanile baldanza, e
quando l’antico fervore l’animava, girellando per la sua stanza di lavoro
canterellava con voce di mezzo baritono canzoni della sua terra. Trotterellava qua e là, con la sua curiosa camminatura di patriarca ancora
agile e sveglio (…)».
«Mi commuoveva la sua venerazione per Guglielmo Sanguinetti, il consigliere delegato, che pure era minore di lui di una quindicina d’anni. I
due uomini sedevano a volte di fronte: grandi e chiari, pieni d’una tranquilla bontà, gli occhi di Carlo Kisvarday nel volto un po’ di patriarca; chiari e grandi, pieni di una luce
di energia, e lucidi a volte di commozione, gli occhi del dottor Sanguinetti nel volto d’imperatore romano. Sedevano di fronte, specie verso sera,
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mani di chi gliel’ha date». «(…) Forse nei suoi sogni, Carlo Kisvarday rivede qualche volta i volti delle diecine di migliaia di persone che si sono
succedute nel suo ufficio, risente le
loro voci gravi o argentine, entusiaste o dolenti, riascolta i loro racconti di sofferenza e di miseria». «(…)
Ha ricevuto le confidenze, le più intime, le più delicate, di centinaia di
migliaia di sconosciuti, a voce e per
iscritto.
54
w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
Sul suo tavolo si sono spiegati i
casi più complicati della coscienza
umana, i drammi più impensabili
della sofferenza».
In occasione dell’ottantesimo compleanno del dottor Kisvarday, che ricorreva il 9 agosto 1957, in una saletta attigua al convento dei Cappuccini, fu preparata una festicciola in
suo onore. Nella breve cronaca che
descrive quanto avvenne, (n° 17 del
1957, del giornale dell’Opera), si legge, tra l’altro: «Il Padre Provinciale,
(Padre Agostino da San Marco in
Lamis), lo prese per un braccio, e lo
mostrò al pubblico che affollava l’angusta sala».
Poi pronunziò un brevissimo discorso che concluse in modo originale: “Qui ci fa caldo. Che ci stiamo
a fare?”. E così si allontanarono infilando una porticina che dava sull’orto del convento.
La breve cronaca prosegue: «In
questo modo inaspettato s’iniziava e
si chiudeva, nel giro di pochi minuti,
l’accademiola in onore del dottor Kisvarday». Il dottore ha sempre avu-
to buoni rapporti con i confratelli di
Padre Pio, e da questi era molto stimato e rispettato.
Spesso veniva invitato a pranzo
dai frati, specialmente in particolari
anniversari, festività o ricorrenze.
seguenza del Suo immacolato concepimento».
E più oltre prosegue: «Voleva andare da Teresa Neumann, aveva stabilito di recarsi in Germania per conoscere la donna nella quale si erano rinnovati i segni della Passione di
Gesù, quando un ritaglio di giornale gli fece conoscere “per caso” Padre Pio. Ciò che noi chiamiamo caso
non è che il misterioso richiamo di
Dio che, attraverso le cause seconde, bussa alla nostra anima, ci chiama. Kisvarday pensava di recarsi a
San Giovanni Rotondo per una visita e invece vi restò per tutto il resto
della sua vita(…)».
«E a San Giovanni Rotondo Carlo Kisvarday trovò la sua pace, visse
i suoi giorni in serenità, raggiunse
una santa vecchiaia. Quando giunse
la sua sera, da amministratore saggio, tirò le somme. Aveva lavorato
bene. Era pronto per il grande viaggio che per lui, però, non presentava più incognite. Aveva raggiunto la
Fede viva, la Fede fiammeggiante, la
Fede concreta».
Poi, verso la fine dell’articolo, Giovanni Gigliozzi, descrive il pianto di
Padre Pio per la perdita dell’amato
“Carletto”:
«Padre Pio piangeva per l’amico
che se ne andava, l’amico dei vecchi
tempi, dei tempi bellissimi ed eroici della sua opera, quando credere alla sua realizzazione richiedeva
un autentico atto di fede. Era un altro frammento del suo mondo di ieri che si avviava verso il cimitero dove riposa Mamma Giuseppa e papà
Orazio, dove il Dottor Sanguinetti
ha preceduto il suo più anziano collaboratore.
La testa fra le mani Padre Pio piangeva. Un pianto sconsolato di bimbo
che resta solo. Sempre più solo(…)».
All’uscita del feretro dalla chiesa
Santa Maria delle Grazie, dopo il rito funebre, il dottor Gigliozzi – appostato sotto il vecchio olmo del piazzale del convento – ha rivolto l’estremo
saluto all’amico Kisvarday.
Concludo con un mio ricordo di un
incontro del dottor Kisvarday con
Padre Pio, avvenuto circa sei mesi
prima della sua scomparsa.
Il dottore era stato accompagnato in convento non appena dimesso
dall’Ospedale dove era stato ricoverato. L’incontro avvenne vicino al refettorio dei frati dove il Padre era sceso
per il pranzo. Infor-
mato di quello che stava per avvenire, corsi al convento, munito di macchina fotografica. Trovai, nella portineria, padre Vincenzo, frate molto
severo e intransigente, restio a far
varcare la soglia della clausura. Gli
esposi il mio proposito di fotografare
il dottor Kisvarday, convalescente,
con Padre Pio, ed egli, con mia sorpresa, mi aprì l’uscio senza battere
ciglio. Infilato il corridoio che porta
al refettorio, arrivai giusto in tempo
per scattare una serie di fotografie
in rapida successione, per documentare quell’incontro così affabile tra il
Padre e il dottore.
Subito dopo, essendomi trovato
vicinissimo a Padre Pio, con mia sorpresa, egli mi chiese se ero riuscito
nel mio intento, al che io risposi affermativamente. Fu questa l’unica
volta in cui il padre si era preoccupato della riuscita di un servizio fotografico. E certamente lo fece soltanto per l’amore che
nutriva per il suo fedelissimo collaboratore.
_
Giovanni Gigliozzi
lo ricorda così:
Anche Giovanni Gigliozzi ha voluto ricordare la figura del dottor Kisvarday, con l’articolo «Significato di
una vita», che inizia così: «La Vigilia della festa dell’Assunzione, Carlo Kisvarday ha chiuso per sempre
gli occhi al sole di San Giovanni Rotondo(…)»
«La “Janua Coeli”, Maria, la porta
della nostra Redenzione era venuta
a prendere il suo vecchio servo fedele al termine di una lunga laboriosa
giornata affinché partecipasse al tripudio del Paradiso nel giorno in cui
la Chiesa Militante celebra la sua Assunzione nel corpo purissimo, con-
L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0
55
testimonianza
Suor Pura Pagani
La suora del sorriso
e dell’accoglienza
“Quando ritorna a San Giovanni Rotondo
prega per me sulla tomba del Padre”
L’
esperienza ci dice che quando un personaggio famoso
muore (politico, scienziato, artista
ecc.) se ne parla per un po’ e dopo tutto
si dimentica oppure lo si rispolvera dopo un po’ di anni per qualche anniversario. Ricordo che qualche anno fa, in
occasione della ricorrenza dei defunti,
mentre gironzolavo per i viali del cimitero monumentale del Verano di Roma,
sul retro del porticato centrale vidi una
tomba in stato di abbandono (disadorna, come direbbe il principe Antonio
de Curtis). Sulla lapide tre nomi: quelli
del nonno, del figlio e del nipote, tutti e
tre medici. Il nome del nonno era quello
del grande Valdoni, chirurgo di fama
internazionale, che io vidi quando ero
ragazzo a San Giovanni Rotondo.
Il prof. Pietro Valdoni, già medico di
Giovanni XXIII, fu colui che salvò la
vita a Palmiro Togliatti e che collaborò
con Casa Sollievo della Sofferenza solo
perchè ammirava l’uomo che la ideò e
la fondò: Padre Pio. Lo vedevo quando veniva sul Monte Castellana, dopo
i suoi interventi chirurgici in ospedale
e passava da Padre Pio a salutarlo, con
il codazzo dei medici della “Casa” e di
tutti i devoti del nostro santo. I pellegrini chiedevano chi fosse quella personalità. Il prof. Valdoni, dimenticato come
tanti “grandi”! Nei giorni che seguirono la morte di Padre Pio, sul sagrato del
Santuario di Santa Maria delle Grazie
c’erano tanti giornalisti in cerca di notizie e di curiosità. Ne riconobbi uno in
particolare, noto scrittore e grande del
giornalismo italiano, che disse e scrisse che ormai la fama di questo frate
finiva con la sua morte e che con questa
cessava il fanatismo dei tanti devoti. Io
che ho avuto la grazia di conoscerlo da
sempre, il nostro “monaco santo” (così
lo chiamavano i sangiovannesi quando
arrivò in paese nel 1916), l’ho visto innalzato agli onori degli altari e, a parere
di tutti i cristiani e non, è uno dei più
MICHELE MIGLIONICO
grandi santi della Chiesa universale.
Lui mosse e sta ancora muovendo il
mondo della solidarietà e della scienza
attraverso milioni di devoti e migliaia di
“Gruppi di preghiera Padre Pio” sparsi
in tutto il globo. Dopo oltre quarant’anni dalla morte, le sue profezie si avverano puntualmente: “Farò più rumore da
morto che da vivo”.
La storia si ripete, come si usa dire.
Nel 1999 conobbi un sacerdote vicentino, grazie a una mia pubblicazione sullo
Stimmatizzato. Mi telefonò dicendomi
che era curioso di conoscere la mia
pittura e che tra l’altro c’era un ritratto
di Padre Pio che gli interessava. Iniziò
una bella amicizia che continua tuttora.
Fui fortunato a conoscerlo perchè lui a
sua volta mi parlò di una mistica: suor
Pura Pagani. Chi era costei? Ogni uomo durante la sua vita ha problemi di
varia natura e ha bisogno di una spalla
amica cui appoggiarsi. Ne parlai con
questo mio nuovo amico, don Paolo
Baio, che mi dava fiducia. Sacerdote
semplice e prudente, mi propose subito di incontrare questa suorina e mi
disse che mi sarebbe stata di grande
conforto. Era “la suora del sorriso e
dell’accoglienza”.
Nell’estate del 2000, una domenica,
mi recai a San Zeno di Mozzecane (Verona) dove lei si occupava della scuola materna. Mi accompagnarono degli amici di don Paolo, che lo sono anche, carissimi, della mia famiglia. Riuscii a incontrarla dopo una decina di ore
di attesa, tante erano le persone che si
rivolgevano a lei che “aveva il carisma
dell’ascolto e dell’accoglienza e questo
le permetteva di vedere le oscurità degli uomini prima che le manifestasse-
ro”. Mi accolse come se mi conoscesse
da sempre, nel suo studiolo c’erano i ritratti dei suoi “Padri spirituali”. Le dissi che ero di San Giovanni Rotondo e
lei mi confidò che era figlia spirituale
di Padre Pio. Dopo il colloquio, nel salutarla, mi disse di pregare per lei sulla tomba del padre: aveva bisogno delle mie preghiere, io che le avevo appena detto che non riuscivo più a pregare. Non ricordo quanti minuti durò la
nostra conversazione. Nel parlarle, la
mia sensazione era quella di rivivere
gli incontri che qualche volta avevo avuto con Padre Pio. Il nostro riferimento
era lui, nello sconforto lui sapeva come
sollevarci. Dopo lo sfogo e il pianto, ci
consigliava di pregare la Madonna delle Grazie, la sua “Mammina bella” e a
me diceva “Tu hai San Michele che ti
protegge... pregalo”. Dall’incontro con
questa suora, dal sorriso amorevole che
faceva trasparire tutte le energie caritatevoli da versare sugli uomini attraverso Cristo Signore, ne uscii alleggerito nell’animo e nella mente. Tornato in famiglia, lo raccontai. Grazia Pia,
mia moglie, pure lei manifestò il desiderio di conoscerla. Purtroppo non feci a
tempo. Alla notizia della sua morte mia
moglie esclamò: “E adesso chi mi deve
ascoltare?”, frase simile a quella pubblicata in un opuscolo da Beppe Amico
qualche anno dopo la dipartita.
“E adesso chi ci ascolta...”. Padre Pio
non c’è più ormai da trentatre anni, suor
Pura l’ha raggiunto in Cielo. Noi uomini
abituati alla materia e al rapporto diretto, molte volte ci dimentichiamo dell’Altissimo e delle promesse che i nostri
intercessori ci hanno fatto. Suor Pura aveva detto: “Vi aiuterò più di là che
di qua” e Padre Pio aveva riferito che
aspetta i suoi figli spirituali all’ingresso del Paradiso per accompagnarli da
Nostro Signore.
Il cammino di suor Pura fu difficile
e doloroso. Pronunciò i voti definitivi
il 12 gennaio del 1941 e fu subito inviata alla scuola materna di Monte Romano (Viterbo). Maestra d’asilo estremamente espansiva, esuberante, solare, vi
restò fino al 1954. In quell’anno venne
improvvisamente richiamata alla casa
madre di Castelletto di Brenzone (Verona) dove la calunnia e la diffamazione l’avevano preceduta, al punto che le
fu chiesto di rinunciare ai voti e ritirarsi
dalla vita religiosa. A lei, che da bimba
rispondeva a coloro che le chiedevano
cosa avrebbe fatto da grande, rispondeva con fermezza e la semplicità dei bimbi: “Voglio diventare santa!”.
Nel 1955 suor Pura si recò in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. Fu la
prima volta che incontrò Padre Pio. Ella
si confidò col Santo e ne divenne figlia
spirituale. Quando glielo chiese, il frate
le rispose: “Un uomo molto più santo di
me ti aspetta a Roma”. “Chi è?”, chiese
dubbiosa la religiosa. “Padre Cappello,
lo troverai e capirai”, fu la risposta (dal
libro di Beppe Amico).
Padre Felice Cappello S.J. insigne canonista, considerato il più grande giurista della Chiesa, divenne il suo padre
spirituale a Roma. Ma suor Pura con
Padre Pio stabilì un legame molto forte dovuto alla carica spirituale che i due
non potevano nascondersi.
Negli anni sessanta ad opera del frate del Gargano la donna ebbe una guarigione miracolosa.
Pensate un po’ alla coincidenza d’incontro di questi tre personaggi carichi
di grande cuore per il nostro Dio. Questa suora che intercedeva e intercede
presso l’Altissimo e che fece diventare
San Zeno di Mozzecane (Verona) come una piccola San Giovanni Rotondo
ai tempi di Padre Pio in vita. E io ne sono testimone.
Questa suora così ricca di segni di
fede e santità che consigliava alle tante persone che si recavano da lei a chiedere consigli e consolazione, diceva loro di recarsi a San Giovanni Rotondo a
chiedere a Padre Pio con insistenza le
grazie desiderate, perchè lui ha la sua
“Mammina bella” che intercede verso
Suo Figlio e un figlio non può dire di no
a una mamma.
Ho vissuto una storia particolare e
la sto vivendo ancora, grazie al “Padre
amato” (come padre Carmelo da Sessano chiamava Padre Pio). Tramite lui
io ebbi modo di conoscere questa suora e ancora oggi dopo nove anni dalla sua morte vedo che il suo ricordo è
rimasto in me come in tante altre persone che da varie regioni italiane si recano a Campofontana, frazione di Selva di Progno (Verona) a pregare sulla
sua tomba.
Il 4 luglio di quest’anno, in occasione
del nono anniversario della sua dipartita, ci recammo da Lupia di Sandrigo
(Vicenza) a Campofontana per rendere omaggio a questa particolare figlia
spirituale del nostro San Pio. Arrivammo verso le 9 del mattino e il piazzale
antistante il cimitero era già gremito di
gente e la tomba coperta di fiori. Ci consigliarono di prendere subito posto nella bella chiesa ottocentesca che si trova
a 1260 metri sul livello del mare, la più
alta parrocchia del Veronese. Alle ore
11 ci fu la concelebrazione eucaristica
presieduta da don Roberto Fiorucci, un
giovane sacerdote vissuto all’ombra di
suor Pura, la cui vocazione è maturata sull’esempio della nostra madre delle Piccole suore della Sacra Famiglia.
Don Roberto è originario di Monte Romano, la cittadina che ospitò suor Pura per 13 anni.
Nella Santa Messa, presenti centinaia di persone e tante religiose, fu evidente la gioia e la commozione di questo giovane sacerdote nell’omaggio alla
“Madre Maestra”. Nell’omelia don Roberto (legato al frate stimmatizzato attraverso i gruppi di preghiera di Civitavecchia) evidenziò il rapporto di suor
Pura con San Pio da Pietrelcina. Al termine ci recammo di nuovo al cimitero
per salutare la suora. Migliaia di persone stavano sul piazzale antistante il
cimitero, con una grande tenda-ristorante allestita per ospitare i pellegrini.
Al bar incontrai un distinto signore che
mi parlò di Padre Pio, riferendomi che
da lui aveva ricevuto tanto. Io gli dissi
che ero del Sud, al che il mio interlocutore si meravigliò che anche tanta gente del Meridione conoscesse la “Suora
dell’ascolto”. Poi gli confessai che ero di
San Giovanni Rotondo e vidi in lui una
grande commozione.
Chiamò la moglie cui evidenziò il
grande legame tra i due mistici, facendo riferimento alle mie origini sangiovannesi.
Altre persone che hanno conosciuto
suor Pura mi parlarono dell’amicizia tra
lei, il notaio Gianni Frumento e la moglie Mariarosa. I coniugi si trasferirono
a San Giovanni Rotondo per stare vicino al santo. Una volta li andai a trovare
e mi presentai loro come amico di suor
Pura. Mi ricevette la signora Mariarosa che inizialmente mi parve incredula,
ma man mano che iniziammo a parlare di lei, diventò un fiume in piena. Era
rimasta vedova da qualche mese, la vidi addolorata ma la sua fede la consolava in quanto era certa che il marito era
in Paradiso. Madre Pura (così la chiamava) quando si recava a San Giovanni Rotondo era ospite in casa sua. Mi
riferì tanti episodi e particolari curiosi che in altre circostanze sicuramente
testimonierò. Ma ciò che più mi colpì
fu il racconto dell’ultima volta che suor
Pura si recò sulla tomba di Padre Pio.
Prima che lei ripartisse per San Zeno,
la signora Mariarosa la invitò a tornare, dicendole che le avrebbe preparato
una camera più accogliente. Ma lei le rispose che non avrebbe potuto perchè si
sarebbe recata in una villa tutta bianca
piena di fiori. Il 2 luglio del 2001 la suora dell’ascolto, con il solito sorriso sulle
labbra, restituì l’anima a Dio. Otto giorni prima che morisse, disse a una figlia
spirituale: “Non piangete. E se accadesse che tu non mi vedessi più, sappi che
se m’invochi, Gesù farà sì che nel tuo
spirito sentirai le mie risposte”. Così
suor Pura andò incontro al suo “Padre
Spirituale” che l’attendeva alle porte
del Paradiso per accompagnarla presso Nostro Signore. E noi che l’abbiamo
conosciuta ringraziamo Dio per avercela data. L’anno prossimo sarà il decimo
anniversario della sua scomparsa e noi
saremo a Campofontana a ricordarla, confidando nella misericordia di Dio perchè
si apra il processo di canonizzazione.
_
TESTIMONIANZA TESTIMONIANZA TESTIMONIANZA
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Padre Pio fu un vero
«privilegio celeste»
per la nostra famiglia
I
michele papa
Giuseppe Barbera
I
«Il Tenente di Padre Pio»
LUCIANO MODUGNO
l Tenente Giuseppe Barbera
giunse a San Giovanni Rotondo
nel 1965 e venne trasferito ad Ascoli
Piceno in seguito a promozione a Capitano dei Carabinieri nel 1970. Fu il
primo Comandante della Tenenza di
San Giovanni Rotondo.
Si notarono subito le sue eccellenti doti organizzative e professionali,
brillando particolarmente nel settore della Polizia Giudiziaria, assicurando alla giustizia numerosi colpevoli di gravi reati.
Sembrava burbero talvolta, ma in
realtà aveva un cuore d’oro che lo portava ad aiutare i propri dipendenti e la
popolazione, senza mai infrangere la
legge. Il carisma di Padre Pio lo colpì
particolarmente, tanto che ne diven-
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tò figlio spirituale devotissimo, così
che il poeta di San Giovanni Rotondo, Giovanni Scarale, lo definì: «Il tenente di Padre Pio», avendo con lui –
proprio per il suo particolare servizio
di tutela dell’ordine pubblico – contatti giornalieri.
All’epoca io ero brigadiere e fungevo da suo segretario, per cui in qualsiasi circostanza, religiosa o di normale servizio d’istituto, ero sempre al
suo fianco, imparando da lui tantissimo. Diceva sempre che si era forgiato
alla Scuola Sottufficiali, provenendo
quindi dalla cosiddetta «gavetta».
Quando si trasferì ad Ascoli Piceno, per motivi di servizio, nel cuore
di tutti noi dipendenti e dei cittadini
di San Giovanni Rotondo, che lo ave-
vano ben conosciuto (in special modo quando il 26 settembre 1968 diresse l’organizzazione dei servizi in occasione dei funerali di Padre Pio, ai
quali partecipò una immensa folla di
fedeli), lasciò un forte rammarico.
Di prima mattina, tutti i giorni, eravamo pronti per il servizio al Santuario ove Padre Pio celebrava la santa Messa, con il concorso sempre di
numerosi fedeli, fra i quali si confondevano pregiudicati provenienti da
varie parti, con l’intento di compiere misfatti.
Durante la sua permanenza a San
Giovanni Rotondo, si sposò con la signora Annamaria Palmiero.
LA sua prima figlia, Laura Francesca Romana, morì poco dopo la na-
scita ed è sepolta nel cimitero di San
Giovanni Rotondo.
In seguito ebbe altri due figli: Alessandro, attualmente Colonnello della Guardia di Finanza in servizio a
Napoli e Maria Laura, Vice Questore Aggiunto in servizio presso il Viminale a Roma. Nello sconforto della tristissima notizia pervenutami poco prima del Santo Natale 2009, ho ripetuto fra me: «Addio caro mitico Tenente Barbera; spero tanto che Padre Pio nella sua bontà ti presenti al
Signore mostrando tutti i tuoi meriti
umani e cristiani».
Il Generale Barbera è deceduto improvvisamente a Napoli il 20 aprile
2009. Ricorderò sempre quando, dopo la tumulazione di Padre Pio, con
i suoi uomini rientrando in caserma, disse: «È la prima volta che lasciamo il Convento senza la sua benedizione».
Il 22 febbraio 2010 è stata celebrata una santa Messa per il Generale
Giuseppe Barbera nel Santuario di
Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Rotondo, con la partecipazione della sua famiglia, del Luogotenente Vincenzo Pugliese, Comandante della Stazione Carabinieri di
San Giovanni Rotondo, del giornalista professor Antonio Cascavilla e
del sottoscritto.
_
miei genitori, Maria e Antonio
Papa, furono figli spirituali di
San Pio fin dal 1960. Per la nostra numerosa famiglia (cinque figli, quattro
maschi e una donna) fu un vero privilegio celeste conoscere Padre Pio.
La Divina Provvidenza e la sua intercessione non mancarono mai per
ciascuno di noi, sia nelle difficoltà materiali che in quelle spirituali.
Io fui accolto a Milano dai miei zii
e potei frequentare l’Università Cattolica del «Sacro Cuore». Non a caso,
proprio al Sacro Cuore i miei genitori
consacrarono la nostra famiglia con fede ardente e perseverante negli anni.
Mia madre Maria, l’8 settembre
1979, all’età di 69 anni, morì proprio
il giorno della Natività della Madonna
senza soffrire. Mio padre si trasferì a
casa di mia sorella Rita, a Pescarenico
di Lecco. Visse fino al 14 maggio 1989.
Una esistenza di preghiera, di amore e
di teneri ricordi della sua sposa, della
sua città natia (Foggia) che fu costretta a lasciare dopo averci vissuto per
70 anni.
Il lago di Lecco e i luoghi manzioniani facevano da cornice alla sua inconsolabile solitudine. Immagino che
Padre Pio, dal Cielo, indirizzasse i suoi
passi e nutrisse il suo cuore.
Il 20 novembre scorso, mio padre
avrebbe compiuto cent’anni. La vita
dei miei cari genitori fu densa di privazioni, di sacrifici ma anche ricca
di gioie. Io mi laureai in Legge, mio
fratello Giulio in Medicina, mia sorella divenne maestra elementare a
Lecco. Gli altri due fratelli (Giuseppe
e Francesco) si inserirono, superando il concorso, nelle ferrovie statali
a Milano.
La gioia più grande per i miei genitori fu quella di avere ben 14 nipoti, a cui
erano affezionati moltissimo.
_
testimonianzatestimonianza
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La spiritualità del servizio e della condivisione
in don Tonino Bello
I
giovanni chifari
Nato ad Alessano (Lecce)
il 18 marzo del 1935.
Ordinato sacerdote l’8 dicembre
del 1957, fu educatore e parroco.
Nel 1982 diviene Vescovo
di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo
e Terlizzi. Nel 1985 è presidente
nazionale del movimento
“Pax Christi”. Muore in seguito
ad una lunga malattia,
il 20 aprile del 1993 a Molfetta.
È in corso la causa
di beatificazione.
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l tempo di grazia che s’irradia
sulla vita del mondo e degli uomini a partire dall’evento decisivo e
fondamentale dell’incarnazione di
Gesù, da intendere dal punto di vista teologico come un tuttuno con la
sua morte e resurrezione nell’opera
della salvezza integrale dell’uomo,
ha trovato accoglienza e stabile dimora in quanti non hanno opposto
resistenza a questo docile percorso
dell’agire divino, che ama nascondersi fra le pieghe della storia.
Fra questi innumerevoli testimoni
di Cristo, intendiamo segnalare don
Tonino Bello, Pastore mite e umile,
che esercita la sua diaconia ministeriale incarnando la spiritualità del
servizio e della condivisione. Egli fa
la stessa esperienza dell’uomo descritto nella parabola sul Regno di
Dio. Trova un tesoro nascosto in un
campo (cf. Mt 13,44), che gli causa
una gioia che non riesce a trattenere, per esso si spende, spogliandosi
di tutto ciò che è vano al fine di guadagnarlo ed essere trovato in Lui (cf.
Fil 3,8). La parabola ci dice che nessuno vede quel tesoro, tuttavia chi
lo trova lo manifesta attraverso delle
azioni visibili, che suscitano meraviglia e stupore, contraddizione e turbamento, poiché scaturiscono non
da un’autoaffermazione personale,
ma dall’accoglienza di una conversione centrata sul primato della Parola e dell’Eucarestia, da cui deriva
quella diaconia ministeriale che annuncia l’inscindibile legame tra contemplazione orante ed azione, che
vogliamo sintetizzare con la geniale intuizione del nostro autore, che
la ama definire “contemplattività”
(con due t).
4
1
2
3
Il campo, nel quale «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3), è proprio il Cristo, mentre il tesoro nascosto è quel
Regno di Dio, che è il Cristo stesso che si comunica mediante la Sua
Parola.1
L’instancabile impegno profuso a
favore degli ultimi, degli emarginati, degli ammalati, dei poveri e degli immigrati, le porte “aperte” della sua casa, non sono opere di carità, ma svelano la carità delle opere
di quanti traggono forza e dinamismo da quella diaconia che sgorga
dalla sorgente del “tavolo dell’eucarestia”, e dalla fede di chi si abbandona in Cristo e non si aggrappa a
Lui per paura. 2 L’esperienza dolorosa della sofferenza non lo vedrà mai
abbandonare il gregge a lui affidato, e infondere anche in questo tempo la testimonianza della sequela di
Cristo, attraverso una fede luminosa ed una speranza certa nel valore
salvifico di una sofferenza vissuta in
Cristo. Come lui diceva, infatti, Egli
è unito a noi nella sofferenza, nella
condivisione di una croce nella quale «siamo confitti (non sconfitti)», 3
nella speranza che questa croce possa cambiare il mondo.
La ricorrenza del Natale è presentata negli scritti epistolari del vescovo costruttore di pace, come opportunità nella quale lasciarsi docilmente guidare dallo Spirito, chiamato a
rinnovare la Chiesa e il cammino
dell’uomo. La festa del Natale è insieme “notte santa” e “notte empia”,
con quest’ultima che si rinnova in
tutte quelle forme di rifiuto e ingiustizia sociale, sintetizzate nelle lapidarie parole dell’evangelista: «lo de-
posero nella mangiatoia perché per
loro non c’era posto» (Lc 2,7).4 Sente infine quale suo dovere di vescovo, in occasione delle feste natalizie,
quello di offrire una parola in grado
di disturbare ed infastidire quanti
non si lasciano rinnovare dalla novità assoluta che è l’amore di Dio per
l’uomo. Li definisce “Auguri scomodi”, perché dalla vicenda di Betlemme richiamano la necessità del vivere l’esistenza come donazione, del
praticare il valore dell’ospitalità, il rigettare ogni forma d’ingiustizia sociale, il lasciarsi mettere in crisi dalla sofferenza altrui, dalla mancanza
del lavoro e della pace, dallo sfruttamento delle risorse ambientali, individuando nell’apertura agli ultimi
l’unica possibilità per scorgere realmente quella luce venuta a illuminare ogni uomo. In questo tempo natalizio è più che mai fecondo tale contributo, offrendoci un richiamo efficace su come debbano essere intese questo tempo di gioia, festa, amore e pace.
_
Si veda il commento di Sant’Agostino, Quest. in Evangelium ad Mt 13.
Si rimanda agli scritti di don Tonino Bello, Commento a Gv 13.
Don Tonino Bello, Come linfa vitale, Discorso agli ammalati, 27 febbraio 1993.
Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo, Ed. San Paolo, Milano
1988, pag. 106, pp.108-109 per gli “Auguri scomodi”.
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A COLLOQUIO CON PADRE MARCIANO
Natale: un presepio senza Gesù Bambino?
...Le vetrine e le strade con gli addobbi festosi preannunciano la
grande festa del Natale. Quelle luminarie mi fanno ritornare al tempo dell’infanzia e mi danno la possibilità di creare nei miei piccoli
la gioia dell’attesa della nascita di Gesù Bambino. Ho una
preoccupazione: non è che anche quest’anno si griderà che
il presepio non si deve allestire
nelle scuole e poi ci si scaglierà
contro gli extracomunitari? Mi
dica, Padre, faccio male se nel
mio presepio di casa metto alcuni pastori raffiguranti il mondo musulmano?
Daria – Brescia
I
l presepio è la rappresentazione della beatitudine «Beati gli operatori di pace». In effetti, in una grotta di una cittadina della Palestina, nasce il re della pace. All’evento partecipano più persone, anche se sono in contrasto fra loro per nazionalità, cultura, religione.
Ricordo il presepio che realizzava mio padre
mettendo tanta passione nel sistemare le montagne, il fiume, le casette, la grotta. Vi erano gli
angeli che chiamavano i pastori e i vari personaggi indaffarati nei loro lavori quotidiani. Vi erano i soldati con il fucile pronto per
sparare, Totò che faceva scena, il frate francescano che predicava. Io guardavo quel capolavoro di mio padre e non mi chiedevo neppure se il frate francescano esistesse prima della nascita di Gesù Bambino. In effetti, la concezione del presepio napoletano e popolare si basa su
di una grande idea di fondo: rappresenta la famiglia
umana, gli uomini buoni e cattivi.
Tutti, però, orientati verso un unico punto: la grotta del Bambinello.
Abbiamo accennato al presepio
di ispirazione popolare, con i classici pastori in legno scolpito, quelli vestiti alla foggia delle varie epoche, e quelli, poverini, di creta, di
gesso, di plastica. Ma è opportuno
fare un riferimento al presepio voluto da Francesco d’Assisi, dove i «pastorelli» erano tutti esseri viventi. Il
bue e l’asinello, i frati, il proprietario
terriero, i contadini, o meglio, i servi della gleba. Tutti, nella notte fonda, con le fiaccole in mano sì da illuminare la valle di Greccio, in cammino verso una stalla dove Francesco
parla di amore universale. Può darsi che tra quella gente, attratto dalla
luce delle fiaccole, vi fosse qualche
brigante che Francesco non cacciò
via, ma accolse e abbracciò. E il lupo divenne agnello. No! Non vi può
essere un autentico presepio se non
c’è Gesù Bambino. Egli, nascendo a
Betlemme, è entrato a far parte della storia umana. Inoltre, con molta
chiarezza, afferma che qualsiasi cosa facciamo al bisognoso e al forestiero la facciamo a Lui stesso. Noi ci
offendiamo se, a causa delle nostre
discriminazioni, ci sentiamo chiamare razzisti, ma dobbiamo ammettere che certe frasi e alcuni comportamenti hanno tutto il sapore del razzismo. Gli immigrati si comportano
male? Ma, oltre alle tante promesse, cosa si fa perché la loro permanenza non sia da noi considerata solo
come un’occasione da sfruttare? Ci
vogliono
le leggi?
Giusto!
Si facciano!
Ma quelle che
rispettano la dignità
dell’uomo! Che non si
ripeta quello che ebbero a soffrire gli immigrati italiani negli Stati Uniti dove furono disprezzati, umiliati, condannati ingiustamente, tanto
da indurli alla violenza come forma di autodifesa. Chi portò luce in
quell’ambiente di mafia nascente, conseguenza di leggi ingiuste?
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Furono le opere di santa Francesca Cabrini, la “madre degli italiani”.
Si prodigò istituendo corsi di lingua
inglese, assistenza sanitaria e scolastica, impegno religioso e sociale.
E adesso una confidenza.
Mi ero attardato in queste riflessioni, quando pian piano mi sono appisolato. Non so se ho dormito, ma
certamente ho sognato. Mi è sembrato di trovarmi a Betlemme proprio quando Giuseppe e Maria entravano nella cittadina e il canto degli
angeli, Tu scendi dalle stelle, faceva
da colonna sonora al mio sogno. Giuseppe bussa alla porta delle case, al
caravanserraglio, alla sinagoga, ma
la risposta è sempre identica. Non vi
è posto. “Siamo capitati male – dice
Maria – a motivo dei tanti pellegrini venuti per il censimento”. Giuseppe, uomo pratico, ribatte: “Al vederci, hanno capito subito che abbiamo
il portafoglio vuoto e, poi, tu stai in
quello stato e nessuno vuole fastidi!
Senti, Maria, andiamo in un’altra nazione e certamente troveremo un posto per far nascere Gesù”. Sorvolano le varie nazioni del Medio Oriente e Maria, attenta osservatrice della vita degli uomini, chiede a Giuseppe: “Ma chi sono tutti quei sol-
dati con tanti carri armati?”. “Sono soldati
dell’occidente venuti qui a portare la pace”. “E con la distruzione e la morte vogliono portare la pace?”. “Maria,
andiamo subito via”. “Ecco siamo in India” dice Giuseppe. Entrano in una casetta e vedono in
un angolo la cappellina della preghiera. Si dicono: “Siamo nella casa
giusta!”. Ma la padrona di casa, con
la signorilità e la dignità delle donne
indiane, riferisce che, in una regione
confinante, è in atto una persecuzione contro i cristiani. È bene fuggire!
Una volta sulla strada, Giuseppe, deciso, dice di volere andare in America latina. Interviene subito Maria:
“Andiamo in Italia, è la culla del cristianesimo”. Giungono in città, chiedono informazioni ad un passante e
questi gentilmente risponde: “Ecco, state proprio davanti alla USL, è
l’ufficio che fa per voi”. L’impiegato,
dopo aver scrutato Giuseppe e Maria, con il volto trasecolato, esclama:
“Voi siete venuti dalla Palestina fin
qui per partorire, ma non sapete che
noi siamo una nazione civile ed abbiamo la legge dell’aborto?”. Giusep-
pe sta lì lì per reagire quando Maria, con il volto rigato dalle lacrime, si avvia verso l’uscita.
Afflitti, frastornati, escono e si
siedono su di una panchina che è
proprio lì vicino.
In quel momento aprii gli occhi e non vidi Giuseppe né Maria e neppure l’asinello. Allora capii che avevo sognato… ma il sogno
era veritiero.
Cara lettrice, invita Maria e Giuseppe a venire a casa tua. Essa diventerà un presepio vero, anzi, se
partecipando alla Messa ricevi la
Comunione, il tuo cuore diventerà
come la mangiatoia che accolse Gesù. Se, poi, lungo la strada incontri
qualche extracomunitario, invitalo
a casa tua a mangiare una fetta di
panettone e a bere un bicchiere di
spumante. Allora la tua casa non sarà più solo un presepio ma una chiesa vera.
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ROMA, 20 Novembre 2010
ASSEMBLEA
CNAL
I
l 20 novembre 2010 si è tenuta a
Roma nella sede di Via Aurelia
l’assemblea della Consulta delle Aggregazioni Laicali (CNAL). Una celebrazione eucaristica presieduta da
Mons. Ugo Ughi ha preceduto l’inizio dei lavori, moderati dalla segretaria Paola Dal Toso, che in un breve
intervento introduttivo ha ripercorso
il lavoro svolto dal consiglio direttivo
ed ha presentato la programmazione
dell’attività per il prossimo anno.
È stata poi la volta di Rosario Carello, conduttore del noto programma
televisivo “A sua immagine”. Presentando due libri, il primo di F. Miano,
dal titolo “Chi ama educa”, l’altro di
A. Matteo, dal titolo “La prima generazione incredula”, egli ha affrontato
il delicato problema della formazione
dei giovani e del difficile compito di
chi deve assumersi la responsabilità
di educare ed insegnare.
La parte centrale dell’incontro ha dato spazio allo splendido intervento di
LEANDRO CASCAVILLA
S.E. Mons. Gianni Ambrosio vescovo di Piacenza-Bobbio e presidente
della Commissione episcopale per
l’educazione cattolica, la scuola e
l’università.
Nel richiamare il documento della
Conferenza Episcopale Italiana
“Educare alla vita buona del Vangelo”, che raccoglie gli Orientamenti
pastorali dell’Episcopato italiano per
il decennio 2010-2020, Mons. Ambrosio ha affrontato il tema dell’emergenza educativa. «Educare non è soltanto doveroso, ma è possibile», ha
affermato, rinnovando alle aggregazioni laicali, «che hanno voce in capitolo perché impegnate sul territorio», l’invito «a proseguire con rinnovato slancio il compito di sempre»
che è quello di accompagnare l’uomo. «È quanto mai importante l’alleanza educativa e la presenza delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti». La bella immagine che ha usato
per sottolinearne il ruolo è quella del-
le sponde di un fiume: «L’ acqua ha
bisogno di sponde per arrivare al mare, altrimenti ristagna: le associazioni e i movimenti, nelle loro varie forme e carismi, possono essere queste
sponde che incanalano la corrente e
la aiutano ad andare avanti».
È stato bello constatare come i Gruppi di Preghiera di P. Pio siano perfettamente in linea con gli orientamenti proposti dalla CEI. Le commissioni di studio, di recente istituzione, si
preoccupano proprio di pianificare
e dare spessore ad un impegno di
formazione, di educazione, di evangelizzazione, di testimonianza, di
operosa carità, di coinvolgimento
sociale e politico, che deve rinnovare e ringiovanire i gruppi e concretizzarsi nelle realtà locali contribuendo al bene delle singole comunità cittadine.
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Roma, 8 dicembre
L’omelia di
don Pietro Bongiovanni,
coordinatore dei Gruppi
di Roma e del Lazio
F
L’omaggio floreale
ratelli e sorelle carissimi,
come ogni anno, ci troviamo
in questo Santuario della Madonna
posto nell’antica Basilica di Sant’Andrea delle Fratte per celebrare un
rito che ormai è una tradizione nella storia della nostra città di Roma:
l’omaggio floreale alla Madonna di
Piazza di Spagna. Un omaggio floreale voluto da Padre Pio da Pietrelcina. Compito che affidò ad una sua
figlia spirituale, dicendole: «Figlia
mia, mi raccomando, porta una rosa ai fedeli e alla Madonna in Piazza di Spagna. In ogni petalo di questo fiore ci sarà un ammalato di Casa Sollievo».
Raccomandiamoci alla Mamma
del Cielo affinché scenda su questa
Casa e sul mondo intero una pioggia
abbondante di grazia e di benevolenza. È bello vedere che, finalmente,
quest’anno accanto ai tradizionali
presenti di questa celebrazione, vi
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sia una delegazione di Casa Sollievo della Sofferenza, che a nome di
tutti voglio salutare ed incoraggiare a prendere a cuore quest’iniziativa. Noi siamo, oggi, qui riuniti per
celebrare la festa più bella, la festa
della Madonna dell’Immacolata. Mi
è venuta in mente una cosa: quando il Beato Pio IX proclamò il giorno dell’Immacolata, l’umanità intera viveva un momento drammatico.
Drammatico dal punto di vista della
fede e della perdita dei valori cristiani. Pio IX si vedeva accerchiato non
da un nemico umano.
I nemici umani durano la stagione di una vita, poi passano, mentre i
drammi dell’umanità si perpetuano
nel tempo. Il problema è che Pio IX
vedeva in questi elementi di attacco,
lo scatenarsi dell’inferno, di Satana,
del Demonio, che ha un’unica e sola intenzione: distruggere la Chiesa.
Pio IX vive questa tentazione, ma è
impossibile da realizzare perché il
Signore ci ha detto: «Io sarò con voi
fino alla fine dei tempi». Nonostante
gli attacchi diabolici, lui ha guardato su in cielo, non si è fermato a piangere sui mali della terra. In cielo ha
visto che l’unica arma che il Signore ha posto nelle nostre mani per di-
fenderci dagli attacchi del nemico
era il volto di una Madre Immacolata, tutta santa, preservata dal peccato originale, che l’apostolo Giovanni
descrive come Colei che è capace di
scacciare il Demonio nel tormento
e nel travaglio del Padre e far rinascere nella storia quel Figlio dell’attesa e della speranza. Pio IX proclama il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria e dice all’intera umanità: «Guardate Lei e troverete rifugio nel momento della grande prova». Fra poco, porteremo questo monumentale cesto di fiori alla Madonna, lo porteremo con le mani e con
il cuore di Padre Pio, lo porteremo
con le mani e con il cuore di ognuno di noi. Saremo obbligati a far che
cosa? Ad alzare anche noi il nostro
sguardo verso il cielo e contemplare la bellezza di una Donna luminosa perché Madre di Dio, tutta santa
perché Tabernacolo della Nuova Alleanza, immacolata perché ci indica
con la sua santità la via che ognuno
di noi deve poter seguire per scalare questa colonna delle virtù e poter
salire alle altezze a cui Dio chiama
ognuno di noi. Dobbiamo guardare
a Maria per rendere santi noi e per
santificare questo mondo.
dei Gruppi di Preghiera all’Immacolata
di Piazza di Spagna
Lo diceva anche Padre Pio: «Quante volte sento il Signore che mi dice:
santificati per santificare». Guardate, fratelli e sorelle, che non basta
esprimere una fede fatta di gesti,
non basta esprimere una fede fatta di parole, non serve nulla di tutto questo. Noi dobbiamo diventare
una fede che si manifesta nella coerenza del cammino della nostra vita.
Com’è possibile tutto questo? Quando ci sentiamo deboli, peccatori, fragili, poveri, il Padre lo dice a Maria:
«Non temere. Nulla è impossibile a
Dio». Qual è, allora, la via che ci porta ad iniziare a concretizzare questo
cammino di santità che Maria, oggi,
nel fulgore della sua gloria, ci indica
come via da fare per l’ eterna beatitudine della salvezza anche storica
dell’umanità? Bisogna aver fiducia,
fidarsi di Dio, credere che Lui può
affidarci alla premura di una Madre,
che non viene mai meno, che è sempre accanto a noi e che noi possiamo
sperimentare come presenza benevola, come presenza incoraggiante,
come presenza che ci accompagna
sulla via della santità ogni istante
della nostra vita, sia nella gioia che
nel dolore.
Cari fratelli, oggi più che mai, dob-
biamo sentirci chiamati con entusiasmo, con vigore, con forza, a testimoniare la presenza di un Vangelo che
costruisce la società qui in terra e
che ci apre con la chiave dell’amore di Dio la porta del Paradiso. Vogliamo essere fino in fondo uomini e donne di fede. Vogliamo essere cristiani.
Vogliamo testimoniare la fede e la
speranza che è nei nostri cuori così
come ha fatto San Pio da Pietrelcina, il quale ha affrontato anche il rischio dell’isolamento e della persecuzione. Certi che alla fine il cuore
immacolato di Maria trionferà perché in Lei è la presenza dell’altissimo Dio, in Lei sta il Figlio Gesù. E,
con il trionfo del suo cuore di Madre,
trionfa così la Santissima e Divinissima Trinità. Con Lei trionfiamo anche noi, quali figli amati, perdonati e
redenti. Allora, fratelli cari, che vogliamo fare della nostra vita? Diciamolo alla Madonna: «Madonna benedetta, prendici per mano, aiutaci a
scalare questo monte delle tante virtù. Dacci il coraggio di trasformare
il chiacchierio e la critica, di trasformare le pigrizie e le paure, in ardore di fede. O, Maria Concepita senza peccato, prega per il tuo popolo,
che rischia di perdersi stravolto dalle tentazioni di Satana. O, Maria concepita senza peccato, proteggi e benedici la tua Chiesa. Manda vocazioni, tante, numerose. Proteggi e salva
le famiglie. Manda su tutti noi la benedizione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, perché questo gesto
sia l’immagine simbolica di una fioritura dei cuori, di una riaccensione
della speranza e di un incendio della fede, che coinvolga tutti e ci riporti a Dio». Amen.
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Atto di Venerazione all’Immacolata
a piazza di Spagna
Discorso del Santo Padre Benedetto XVI
Lo sguardo di Maria
è lo sguardo di Dio
su ciascuno di noi
Cari fratelli e sorelle!
Cari fratelli e sorelle!
Anche quest’anno ci siamo dati appuntamento qui, in Piazza di Spagna,
per rendere omaggio alla Vergine Immacolata, in occasione della sua festa
solenne. A tutti voi, che siete venuti
numerosi, come pure a quanti partecipano mediante la radio e la televisione, rivolgo il mio saluto cordiale. Siamo raccolti intorno a questo storico
monumento, che oggi è tutto circondato da fiori, segno dell’amore e della devozione del popolo romano per la
Madre di Gesù. E il dono più bello, e
a Lei più gradito, che noi offriamo è la
nostra preghiera, quella che portiamo
nel cuore e che affidiamo alla sua intercessione. Sono invocazioni di ringraziamento e di supplica: ringraziamento per il dono della fede e per tutto il bene che quotidianamente riceviamo da Dio; e supplica per le diverse necessità, per la famiglia, la salute,
il lavoro, per ogni difficoltà che la vita
ci fa incontrare.
Ma quando noi veniamo qui, specialmente in questa ricorrenza dell’8 dicembre, è molto più importante quello che riceviamo da Maria, rispetto a
ciò che le offriamo. Lei, infatti, ci dona
un messaggio destinato a ciascuno di
noi, alla città di Roma e al mondo intero. Anch’io, che sono il Vescovo di questa Città, vengo per mettermi in ascolto, non solo per me, ma per tutti. E che
cosa ci dice Maria? Lei ci parla con la
Parola di Dio, che si è fatta carne nel
suo grembo. Il suo “messaggio” non è
altro che Gesù, Lui che è tutta la sua
vita. È grazie a Lui e per Lui che lei è
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l’Immacolata. E come il Figlio di Dio
si è fatto uomo per noi, così anche lei,
la Madre, è stata preservata dal peccato per noi, per tutti, quale anticipo della salvezza di Dio per ogni uomo. Così Maria ci dice che siamo tutti chiamati ad aprirci all’azione dello Spirito
Santo per poter giungere, nel nostro
destino finale, ad essere immacolati,
pienamente e definitivamente liberi
dal male. Ce lo dice con la sua stessa
santità, con uno sguardo pieno di speranza e di compassione, che evoca parole come queste: “Non temere, figlio,
Dio ti vuole bene; ti ama personalmente; ti ha pensato prima che tu venissi
al mondo e ti ha chiamato all’esistenza per ricolmarti di amore e di vita; e
per questo ti è venuto incontro, si è
fatto come te, è diventato Gesù, DioUomo, in tutto simile a te, ma senza il
peccato; ha dato se stesso per te, fino
a morire sulla croce, e così ti ha donato una vita nuova, libera, santa e immacolata” (cfr Ef 1,3-5).
Questo messaggio ci dona Maria,
e quando vengo qui, in questa Festa,
mi colpisce, perché lo sento rivolto a
tutta la Città, a tutti gli uomini e
le donne che vivono a Roma:
anche a chi non ci pensa,
a chi oggi non ricorda
neppure che è la Festa
dell’Immacolata; a chi
si sente solo e abbandonato.
Lo sguardo di Maria è lo sguardo
di Dio su ciascuno. Lei ci guarda con
l’amore stesso del Padre e ci benedice. Si comporta come nostra “avvocata” – e così la invochiamo nella Salve, Regina: “Advocata nostra”. Anche
se tutti parlassero male di noi, lei, la
Madre, direbbe bene, perché il suo
cuore immacolato è sintonizzato con
la misericordia di Dio. Così lei vede la
Città: non come un agglomerato anonimo, ma come una costellazione dove Dio conosce tutti personalmente
per nome, ad uno ad uno, e ci chiama
a risplendere della sua luce. E quelli
che agli occhi del mondo sono i primi, per Dio sono gli ultimi; quelli che
sono piccoli, per Dio sono grandi. La
Madre guarda noi come Dio ha guardato lei, umile fanciulla di Nazareth,
insignificante agli occhi del mondo,
ma scelta e preziosa per Dio. Riconosce in ciascuno la somiglianza con il
suo Figlio Gesù, anche se noi siamo
così differenti! Ma chi più di lei conosce la potenza della Grazia divina? Chi meglio di lei sa che nulla è
impossibile a Dio, capace addirittura di trarre il bene dal male?
Ecco, cari fratelli e sorelle, il messaggio che riceviamo qui, ai piedi di
Maria Immacolata.
È un messaggio di fiducia per ogni
persona di questa Città e del mondo intero. Un messaggio di speranza non fatto di parole, ma della sua
stessa storia: lei, una donna della
nostra stirpe, che ha dato alla luce
il Figlio di Dio e ha condiviso tutta
la propria esistenza con Lui! E oggi
ci dice: questo è anche il tuo destino, il vostro, il destino di tutti: essere santi come il nostro Padre, essere
immacolati come il nostro Fratello
Gesù Cristo, essere figli amati, tutti
adottati per formare una grande famiglia, senza confini di nazionalità,
di colore, di lingua, perché uno solo
è Dio, Padre di ogni uomo.
Grazie, o Madre Immacolata, di
essere sempre con noi! Veglia sempre sulla nostra Città: conforta i malati, incoraggia i giovani, sostieni le
famiglie. Infondi la forza per rigettare il male, in ogni sua forma, e di scegliere il bene, anche quando costa e
comporta l’andare contro-corrente.
Donaci la gioia di sentirci amati da
Dio, benedetti da Lui, predestinati
ad essere suoi figli.
Vergine Immacolata, dolcissima
Madre nostra, prega per noi!
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IMMA
L’
COLA
tano nel tempo, questo stesso amore ci faccia trovare riuniti nel paradiso di Dio. Nell’attesa vogliamo ripetere per l’ennesima volta alia Madonna, almeno con il cuore, le parole di un canto a Lei dedicate, risuonato in chiesa più volte queste sere
della Novena:
TA
di lei; questa progenie ti schiaccerà il
capo” (Gen 3,15). Nel Nuovo Testamento, l’Arcangelo Gabriele saluta
Maria, dicendoLe: “Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è teco”
(Lc 1,28). Come a dirLe: “Ave, o Immacolata!”.
La Chiesa continuerà a cantare
nei secoli: “Tota pulchra es, Maria”
(Tutta bella sei, o Maria). Sì, in questo mondo corrotto e corruttore solo Lei, Maria di Nazareth, brilla quale astro fulgente in mezzo alle tenebre del peccato. Ebbene, l’Immacolata interceda per noi presso Dio e ci
ottenga la gioia e la grazia della purezza. La purezza brilli sempre nel
nostro sguardo e si sprigioni quale
profumo soavissimo da tutta la no-
padre leonardo triggiani
O
ggi la Chiesa festeggia la
solennità dell’Immacolata. L’Immacolata! La tutta Bella,
la tutta Santa, la Piena di grazia, la
Benedetta tra le donne, la Beata fra
le genti, la “Donna vestita di sole, con
la luna sotto i piedi e sul capo una
corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Ma
che significa “immacolata”?. Che la
Madonna è stata sempre vergine o
santificata nel grembo materno o
vissuta intemerata (senza peccato)?
Anche, ma troppo poco. Immacolata
significa “preservata”, anche da quella colpa con la quale ognuno di noi
nasce macchiato: la colpa originale.
Privilegio più unico che raro: solo
a Lei, a nessun altro! – Veramente,
un giorno anche noi fummo se non
proprio immacolati, almeno innocenti: il giorno del nostro battesimo. E
restammo innocenti per qualche
anno. Poi, un brutto giorno, forse
non ricordiamo più neppure come
fu, innocenti non fummo più, perché penetrammo furtivamente nel
giardino del peccato e cogliemmo la
rosa proibita. Subito dopo, di quella
rosa rimase nelle nostre mani solo il
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“
gambo spinoso e i petali appassiti.
Ma perché questo singolare privilegio concesso a Maria di Nazareth?
Solo perché doveva diventare la Madre di Dio. A proposito dell’Immacolata Concezione, il
francescano Duns
Scoto diceva: “Deus
potuit. Decuit. Ergo fecit”. Dio poteva farlo, era conveniente che lo facesse. Lo ha fatto.
L’ha creata Immacolata. E noi come
tale oggi La veneriamo e festeggiamo. – Ma noi come
siamo arrivati a capire questo privile-
stra persona. E gli altri, vedendo la
purezza brillare nel nostro sguardo,
sentendo il profumo della purezza
sprigionarsi da tutta la nostra persona, siano indotti a non lasciarsi travolgere dall’onda fangosa del male,
che dilaga sempre più. L’Immacolata ci aiuti a recuperare, se non proprio l’innocenza – l’innocenza e come la gioventù: passa e non torna
più! – almeno un po’ di quella purezza, alia quale Gesu ha legato una beatitudine, quando disse: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”(Mt
5,8).
L’amore che questa sera ci trova
qui riuniti in un cuor solo e in un’anima sola, nel nome della Madonna Immacolata, un giorno più o meno lon-
Immacolata,
Vergine e bella,
di nostra vita
tu sei la Stella.
Fra le tempeste
tu guidi il cuore
Di chi ti invoca
Stella d’amore.
Siam peccatori,
ma figli tuoi.
Immacolata,
prega per noi.
„
4 maggio 1960.
Padre Pio incorona la statua
della Madonna Immacolata,
donata alla sua Opera
dal Gruppo di Preghiera
di San Casciano Val di Pesa.
gio di Maria, cioè è nata Immacolata? Ci è stato rivelato. Nell’Antico
Testamento, Dio dice al serpente:
“E io porrò inimicizia tra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie
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Al termine della recita, il presidente, il direttore generale e il direttore sanitario della Casa
Sollievo della Sofferenza hanno rivolto parole
di ringraziamento e di auguri ai piccoli «attori» della Pediatria.
Nove
doni
per
Natale
Il recital dei bambini
della onco-ematologia pediatrica
M
artedì 14 dicembre i piccoli pazienti della
Scuola Ospedaliera Paritaria della Oncoematologia Pediatrica di Casa Sollievo della
Sofferenza, diretta dalla professoressa Cinzia Patrizio, hanno presentato il Recital “Nove doni per
Natale”.
Alla richiesta di un bambino che vuole diventare
grande in modo giusto, Gesù Bambino gli invia l’Angelo Custode perché gli porti i suoi nove doni, sotto forma di consigli e segreti.
Per cominciare, la preghiera di don Tonino Bello, che esorta ad accogliere, come Maria, la parola di Dio nel nostro cuore perché solo cosi anche il
corpo potrà brillare della sua luce.
Il bue e l’asinello sono gli animali scelti da Dio
nella grotta di Betlemme, perché la sanno lunga sulla umiltà e la pazienza!
Ed ecco la sincerità: chi è più sincero di un bambino? Madre Teresa di Calcutta ci invita ad essere
“l’espressione della bontà nel volto, negli occhi, nel
sorriso, nel saluto”. Il più complicato, difficile, costoso è il perdono! E poi donare, come ci suggerisce Mahatma Gandhi: “prendi un raggio di sole,
fallo volare là dove regna la notte”.
E ancora l’amore che non si compra e non si vende, ma che tutti posseggono e può far accendere il
sorriso. Ma, la forza che tiene uniti i cuori e muove
e rinnova le coscienze e il mondo è la preghiera.
“Che potenza enorme ha la preghiera dei bambini!”, dice Giovanni Paolo II nella sua lettera ai bambini del 13 dicembre 1994.
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Ad omaggiare i piccoli-grandi campioni insieme
ai genitori e amici vi erano l’Arcivescovo Michele
Castoro, il Direttore Generale Domenico Crupi, Il
Direttore Sanitario Domenico Di Bisceglie, il Direttore Amministrativo Michele Giuliani e il personale del Reparto unitamente al primario Saverio Ladogana. Incredibile la scioltezza e la bravura di questi ragazzi! Il vescovo li ha elogiati, incoraggiati e
abbracciati tutti con il suo grande cuore. Tanta
l’emozione e la commozione sui volti di tutti! Per
qualche ora, come per magia, la malattia e la sofferenza, hanno ceduto il posto alla gioia e alla spensieratezza di cui ogni bimbo dovrebbe godere.
Monsignor Castoro. Siamo venuti qui per fare gli
auguri a questi bambini, ma questi bambini gli auguri li
hanno fatti a noi. Siamo venuti per portare una parola
di speranza, ma sono loro che hanno riempito il nostro
cuore di gioia. Allora, siamo qui a dire grazie. Grazie
al primario, all’insegnante Cinzia, a tutti gli operatori
del reparto di Pediatria Oncologica, per tutto quello che
fanno per questi bambini. Un po’ ci rappresentano tutti
perché tutti vorremmo fare qualcosa di più per loro. E,
allora, noi ci affidiamo a questi operatori, che sono in
prima fila, per mettere in pratica il comandamento del
Signore: quello di amare soprattutto i bambini. Un giorno
Gesù disse che qualunque cosa noi facciamo per i bambini è come se la facessimo direttamente a Lui. «Se avete
dato anche solo un bicchiere d’acqua – dice Gesù – ad
uno dei miei fratelli più piccoli, voi l’avete dato a me». In
questo caso, non si tratta solo di un bicchiere d’acqua.
Qui, si tratta di ridonare la salute. E, allora, oggi, siamo
tutti in festa, per dire a questi bambini: «Vi vogliamo
bene!». Sono stati bravissimi a fare questa recita. Mi è
piaciuta molto quella strofetta che dice: «Prendi un po’
d’amore e dallo a chi non sa donare». Ecco, io credo
che il senso del Natale sia racchiuso proprio in questo. Il
Natale è il mistero dell’amore, il mistero dell’amore di Dio
che abbandona i Cieli Altissimi, il suo trono di gloria, per
venire ad abitare in mezzo a noi, per diventare uno di noi.
Lui è diventato proprio bambino. Poteva nascere già gran-
de, chi glielo impediva? D’altronde Lui era il Re dei re, il
Creatore dell’universo, ma ha voluto nascere bambino.
Sapete perché? Perché non c’è povertà, non c’è miseria,
non c’è persona umile che non possa avvicinarsi ad un
bambino. In questo modo, lui è alla portata di tutti, può essere avvicinato da tutti, può essere amato da tutti. Allora,
il Natale, che è il mistero della nascita di un Bambino, ci
porta ad amare in maniera più bella e più intensa proprio
questi bambini, i quali hanno più bisogno di amore. L’augurio che faccio a questi bambini, qual è? Che possano
presto tornare a casa completamente guariti.
Crupi. Cari bambini, sappiate che per tutti noi siete come dei «fratellini». Vi vogliamo molto bene qui, nel nostro
ospedale, ma io vi auguro di poter guarire il prima possibile e tornare a casa. Prima di andare, avrei una proposta
da farvi. Voi siete qui con delle persone un po’ speciali,
facciamo un grande applauso a tutto il personale della
Pediatria Oncologica. Buon Natale a tutti e grazie.
Di Bisceglie. Cari bambini, voi avete avete avuto sfortuna nella vita, ma al contempo avete avuto la grande
fortuna, rispetto agli altri che hanno le vostre stesse
malattie, di essere curati in questo Reparto. Questo non
vuol dire che dovete essere contenti di essere ammalati,
però, credo che in nessun altro posto come questo, avete
la possibilità non soltanto di guarire, ma di essere trattati
con tutto l’amore che questo ospedale sa dare, a partire
dal Direttore Generale e dal Presidente fino a tutti i camici
bianchi, che lavorano qui dentro. Vi ringrazio per quello
che ci avete dato oggi e vi faccio i migliori auguri di Buon
Natale. Grazie.
_
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La sofferenza diventa “oro”
se assunta nel nome di Gesù
L’oro
di San Giovanni Rotondo
L’AMCI di Volterra
Pio
In visita all’Opera di
San
I
l 26 novembre 2010, la sezione
diocesana dell’AMCI di Volterra ha iniziato il periodico pellegrinaggio in quell’angolo straordinario
del Gargano dove per tanti anni la figura gigantesca di San Pio (Padre
Pio per gli inguaribili nostalgici) ha
rinnovato al mondo intero la grazia
di una testimonianza autenticamente tangibile di Gesù Cristo.
Se un pellegrinaggio deve rappresentare non solo una visita a luoghi
sacri fisicamente percepibili, ma anche (e soprattutto) la metafora di un
viaggio interiore alla riscoperta dei
valori più profondi di una coscienza sopita dal tempo, questo scopo è
stato perfettamente raggiunto grazie ad un incontro che ha davvero il
sapore di qualcosa voluto e benedetto dal cielo.
Infatti, guidati dal presidente,
dott. Mino Fierabracci e dal vicepresidente Mascolo (nonché orga-
36
w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
nizzatore, perché di origini garganiche), noi medici cattolici di Volterra
abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di essere ricevuti dalla Dott.ssa
Lucia Miglionico nel “suo” Centro di
Oncoematologia Pediatrica.
Ispirata da autentica fede, alta professionalità, umanità senza pari, Lucia ha illuminato il nostro gruppo di
una luce troppo spesso affievolita
dalle assurde contraddizioni della
routine professionale, per riproporre la sfacciata evidenza della vera
missione del medico; guidati passo
passo nel Centro, che si colloca senza alcun dubbio ai vertici dell’eccellenza clinica, abbiamo potuto toccare con mano la realizzazione in pratica di quel nome ricco di significato voluto da Padre Pio: Casa Sollievo della Sofferenza .
Chi vi entra viene accolto dal calore di una “casa”, preso in “cura”
(non “ti curo”, ma “mi prendo cura
di te”) ad altissimo livello tecnico e
tecnologico, ma con lo scopo primario di “alleviare” il più possibile la
“sofferenza”.
A conclusione della visita, la S.
Messa celebrata dal nostro assistente Mons. Volpi nella Cappella
del Centro e… la scoperta finale che
ha il sapore di un piccolo-grande miracolo: la sensazione unanimemente condivisa di una “gioia” profonda
che stride con la tristezza abituale
che permea certi ambienti sanitari.
È allora possibile non solo alleviare la sofferenza ma trasformarla addirittura in gioia ?!!!
Il miracolo di Padre Pio continua
a realizzarsi anche grazie a chi sa
esserne degno testimone ed interprete!
Grazie da tutti noi
_
I
MONSIGNOR ARMANDO VOLPI
l 26, 27 e 28 novembre, ho avuto l’opportunità e il piacere di
partecipare al pellegrinaggio che il
gruppo dei Medici Cattolici di Volterra, ha fatto a San Giovanni Rotondo, per venerare le spoglie del Santo
Padre Pio da Pietrelcina. Chi va ora a
San Giovanni Rotondo, non può non
rimanere confusamente ammirato
dalla grandezza e dalla forma ardita
che l’architetto Piano ha voluto dare
alla Basilica.
Visitata la Basilica superiore, con
ancora negli occhi tale arditezza, il
visitatore lentamente prende il camminamento che, in lieve pendio, lo
porta alla cripta dove è conservato il
corpo del Santo. È quello che ho fatto anch’io, insieme a tutto il gruppo.
Sapevo che il percorso alla cripta e
tutta la cripta stessa erano stati ricoperti dai mosaici realizzati da padre Marko Ivan Rupnik, che già conoscevo per altre sue opere, e quindi
mi sono introdotto sapendo già che
avrei visto cose molto belle.
Lungo il camminamento che porta alla cripta l’artista ha rappresentato alcune scene della vita di San
Pio e di San Francesco, racchiuse in
vani che distanziano le une dalle altre. Un lavoro molto bello e, anche se
grande, direi “leggero”, tale da appa-
rire “un cammino angelico” verso le
spoglie di San Pio. Ma quanto grande non è stata la sorpresa quando,
entrato nella cripta, anch’essa molto ampia, ho visto una chiesa tutta
ricoperta di oro, pitture e mosaici. Il
soffitto è praticamente una cupola in
oro ed emana un “bagliore” che quasi acceca. Di fronte a tanto splendore, allo stupore si è subito aggiunto
un senso di smarrimento...
Successivamente, ripensandoci,
mi sono “riconciliato” con l’opera. È
vero che tanto sfarzo può contrastare con lo stile di vita del “povero frate”, pur tuttavia la ricchezza di oro e
di figure che ricoprono la superficie
interna della chiesa a me pare che
un senso ce l’abbia. L’artista ci dice
che tutte le opere compiute da Padre
Pio, dalle più grandi alle più piccole
ed umili, sono “trasparenza di Dio”,
significato dall’oro che del divino è
il segno. Dio ha parlato agli uomini
di oggi anche attraverso Padre Pio:
chi ha parlato con il padre, ha “intravisto” Dio, la sua Grandezza, la sua
Misericordia, dunque vede l’oro.
Ma, a questo punto, mi sono posto una domanda: è proprio la Basilica con tutto il suo oro, il vero “gioiello” e la “ricchezza” di San Giovanni Rotondo?
Nel programma del pellegrinaggio era inclusa
la visita e la celebrazione della Messa, nella
Cappella del Poliambulatorio, la struttura
annessa all’Ospedale, nella quale c’è il Reparto
dove vengono curati i bambini colpiti da tumore.
Nella visita siamo stati accompagnati dalla
dottoressa Lucia Miglionico. Il suo volto
sorridente, le sue parole sommesse, accanto alla
serenità che si respirava in tutti gli ambienti, la
leggerezza del muoversi di tutto il personale, mi
ha detto che “di fatto” mi trovavo in una chiesa
e non in un ospedale. Ed ho sentito sprigionarsi
da quella “chiesa” una tale grandezza, forza,
tenerezza d’amore, che mi ha fatto pensare: “Se
l’amore che si esprime attorno ai malati è così
grande, allora, la sofferenza è necessaria!”.
Ma noi sappiamo che Dio vuole i suoi figli
felici, partecipi della Sua beatitudine eterna,
dunque, come si può affermare che la sofferenza
è necessaria? Senza affrontare questioni più
profonde, mi limito a dire che, in questo mondo,
per l’uomo, la sofferenza è ineliminabile : la
sofferenza c’è, ed è tanta. In alcuni casi però,
essa è capace di trarre fuori dall’uomo tutto il
bene e l’amore di cui è ricco. Per cui la sofferenza
può diventare la massima incarnazione
dell’amore. Il Figlio di Dio, diventando uomo, non
ha scansato la sofferenza, ma l’ha presa su di sé,
vivendola “da Dio”, trasformandola così nel più
grande atto d’amore per tutti gli uomini.
Nel cuore di Gesù la sofferenza è diventata “oro”
e “oro può diventare ogni sofferenza umana se
assunta da Lui e nel nome di Lui. L’ “oro”, e la
ricchezza della Basilica di San Pio, non sono
perciò, fine a se stessi, ma danno una lucentezza
agli infiniti gesti di carità che fioriscono nel
complesso Casa Sollievo della Sofferenza che
Padre Pio ha voluto e che “miracolosamente”
continua a crescere.
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La Casa Sollievo al
I
l Festival dell’Innovazione
2010, l’appuntamento biennale con l’innovazione svoltosi a Bari
mercoledì 1, giovedì 2 e venerdì 3 dicembre presso la Fiera del Levante
ha rappresentato per Casa Sollievo
della Sofferenza una vetrina di rilievo per presentare i propri progetti
di innovazione tecnologica e ricerca
e che rappresenta un’occasione im-
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portante per incontrarsi con i protagonisti dell’innovazione pugliese
e internazionale: aziende, operatori, scienziati impegnati nelle sfide
dell’innovazione e della ricerca.
La seconda edizione della manifestazione promossa dalla Regione Puglia, dall’ARTI, dalle cinque università pugliesi, dal CNR, dall’ENEA e
dalla Fiera del Levante ha concentrato l’attenzione su quattro macroaree tematiche:
•biotecnologie e scienze della vita, agroalimentare, tecnologie per
l’energia e l’ambiente;
•aerospazio, meccanica e meccatronica, logistica e tecnologie per
i sistemi produttivi, nuovi materiali e nanotecnologie, ICT;
• innovazioni per beni culturali, turismo, formazione, comunicazione, multimediale, Pubblica Amministrazione;
•innovazioni per la qualità della vita
(in prosecuzione del progetto InnovAbilia – Festival delle innovazioni per le diverse abilità, svoltosi a Foggia nel dicembre 2009).
Lo stand di Casa Sollievo ha espo-
sto il plastico dell’ospedale con le
nuove aree e reparti, nuovi percorsi e poli dei servizi e della logistica,
nuovi settori di ricerca e una moderna piattaforma tecnologica per consentire un innovativo modello di gestione “malatocentrico”, con un utilizzo razionale delle risorse e delle
tecnologie e con la sfida ambientale dell’ “ospedale verde” . Per quanto riguarda la ricerca, l’Istituto ha
presentato le attività di laboratorio e
promosso la nuova campagna “Adotta una cellula” per la realizzazione di
sperimentazione cliniche sull’uomo
affinché vengano sviluppate, nel più
breve tempo possibile, terapie cellulari efficaci per le malattie neurodegenerative.
Nell’arco delle tre giornate è stato
inoltre distribuito materiale informativo riguardante la «Banca del Latte
Umano Donato» e il progetto HOPE:
la Banca del Latte offre la possibilità
non solo di donare ma anche di ricevere latte materno per i bambini meno fortunati; HOPE (HOme for Elderly People), progetto internazionale di ricerca che aiuta, attraverso
il supporto di sensori, persone anziane con esigenze speciali, causate da
disagi mentali, in particolare dovuti
a malattia di Alzheimer, a vivere in
maniera indipendente.
Una nota di merito va alla ispirata
lectio magistralis tenuta da Albert
Làszlò Barabàsi, scienziato ungherese esperto di reti, che nel 1999 introdusse il concetto di reti ad invarianza di scala e che ha ispirato gli
studi di Francesco Giuliani, dirigente fisico di Casa Sollievo.
Un’altra presenza di rilievo è stata quella di Alastair John Campbell,
giornalista inglese e portavoce di Tony Blair dal ’94 al ’97, che ha parlato
di “Strategia della comunicazione e
crisis mediation” .
Nelle tre giornate del festival hanno presidiato lo stand i nostri ricercatori Giuseppe Merla (laboratorio
di genetica medica) e Antonella Marucci (laboratorio di diabetologia ed
endocrinologia), Giovanni Favuzzi
(laboratorio di Emostasi e Trombosi ), Ada Piepoli e Leonardo Mottola
(laboratorio di gastroenterologia),
Giulia Paroni (laboratorio di geriatria) e Raffaella Barbano (laboratorio di oncologia), che hanno risposto
alle domande sulla ricerca e sul mestiere di ricercatore, poste soprattutto dalle scolaresche.
Casa Sollievo ha chiuso la sua partecipazione a questo evento con il
workshop tenuto da Lidia De Filippis
(biologa ricercatrice dell’Università
Bicocca di Milano e collaboratrice di
Angelo Vescovi, direttore scientifico
del nostro IRCCS) sulla banca della
cellule staminali neurali e sulle nuove frontiere della medicina rigenerativa. Una presentazione tra il tecnico
e il divulgativo che ha letteralmente
riempito lo spazio convegni e suscitato numerose domande, soprattutto sulla possibilità di riuscire ad ottenere risultati significativi e decisivi
nello studio della SLA e della Sclerosi multipla. Il direttore sanitario Di
Bisceglie, durante l’accesa discussione che ne è seguita, ha sottolineato in un suo breve intervento l’importanza del coinvolgimento dell’ospedale in questa sfida.
Il discorso di chiusura del Presidente della Regione Nichi Vendola ha concluso la manifestazione. Il
Presidente ha elogiato la continua
attività innovativa della regione Puglia, soprattutto quella finalizzata al
benessere delle persone malate. Immediatamente dopo il suo intervento
dal palco, durante il suo giro fra gli
espositori, il Presidente ha visitato il
nostro stand, interessandosi in particolare al nuovo progetto “Adotta una
cellula” e conversando brevemente
con noi sullo stato della ricerca nelle
patologie neurodegenerative.
_
L’asilo nido aziendale
In occasione dell’inaugurazione del Festival dell’Innovazione,
tenutasi a Bari il 1 dicembre scorso presso la Fiera del Levante,
in cui la Casa Sollievo della Sofferenza ha allestito uno stand
per pubblicizzare la campagna «Adotta una Cellula»,
il dottor Domenico Crupi ha incontrato la dottoressa
Elena Gentile, assessore regionale alla Solidarietà,
per formalizzare gli atti finali di un finanziamento pubblico
con il quale l’Opera di San Pio realizzerà un asilo nido aziendale.
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Alla Bitrel hanno preso parte numerosi operatori turistici e giornalisti di settore, interessati a conoscere
nuovi territori e nuove opportunità
di pellegrinaggio. Per gli operatori
solo stati predisposti due workshop
per il cosiddetto matching, l’interazione tra domanda e offerta di servizi turistici, per i giornalisti invece
tre educational tematici: Via Francigena del Sud, Lungo i luoghi di Padre
Pio e Gli Eremi e la Foresta Sacra.
Tra gli eventi collaterali alla BITRel, sabato 27 novembre nell’aula
Maria Pyle della Chiesa di San Pio è
stata presentata l’anteprima del documentario televisivo prodotto dalla
Rainieri Made dal titolo “Padre Pio
il frate del Gargano” di Maite Carpio, regista vincitrice nel 2009 del
Roma Fiction Fest nella sezione documentari.
Nell’ambito dei convegni ha destato particolare interesse la tavola ro-
Turismo Religioso
Conclusa
la prima edizione
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w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
D
al 26 al 29 novembre scorso si è svolta la prima edizione della Bitrel (Borsa Internazionale del Turismo Religioso dei Cammini e dei Pellegrinaggi) un evento
che ha unito simbolicamente la provincia di Foggia, Monte Sant’Angelo
e San Giovanni Rotondo.
Finanziato da enti pubblici e privati, Bitrel è ripartita da dove si era
interrotta l’esperienza di Aurea, la
Borsa del Turismo Religioso e delle Aree Protette che fino al 2007 si
era svolta annualmente a San Giovanni Rotondo e poi trasferita a Foggia per carenza di strutture espositive adeguate.
Sono stati quattro giorni pieni di
appuntamenti: workshop, convegni, incontri, mostre, degustazioni
ed educational con l’obiettivo di promuovere il Gargano mistico, la terra dell’antica devozione verso San
Michele Arcangelo, la stessa terra
che, nei secoli successivi, ha rivelato al mondo le opere di San Pio da
Pietrelcina.
“Il progetto di Bitrel è valido perché
vuole unire diversi attori sul territorio e va nella direzione di creare una
visione di insieme per elaborare una
proposta globale”, ha dichiarato padre
Caesar Alimsinya Acuire, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi. “Ora auspichiamo
che tutto il territorio risponda secondo
le intenzioni seminate da questa edizione della Borsa del turismo religioso, che è anche riscoperta dei pellegrinaggi e dei cammini”.
ra di San Pio sottolineando l’impegno della Casa per assicurare ai suoi
ospiti prodotti e materie prime di
qualità, quale contributo al suo disegno più ampio di sollievo della sofferenza.
_
La relazione del dottor Carlo Gatta, direttore
dell’Immobiliare Casa Sollievo della Sofferenza
La Borsa Internazionale
del
Nicola Fiorentino
tonda di sabato 27 dal titolo Bio Divino, Conventi e Monasteri che producono Prodotti Biologici. Tra i relatori
il dottor Carlo Gatta, direttore della
Società Immobiliare “Casa Sollievo
della Sofferenza”, che ha presentato l’attività delle Fattorie dell’Ope-
«
DIVINO»
Il rapporto
tra la fede
e il mondo
dell’agricoltura
U
n ringraziamento allo staff
del Comune di San Giovanni Rotondo e quindi agli organizzatori della BITREL per la caparbietà dimostrata nel riportare qui la
borsa del turismo religioso, un evento che rappresenta una fondamentale vetrina di promozione del nostro territorio. Un sincero ringraziamento anche per avermi invitato
qui oggi a presentare l’Azienda per
cui lavoro.
Veniamo all’argomento in questione: “Bio divino”, ovvero le produzioni biologiche, o permettetemi agrozootecniche, che in qualche modo
hanno a che fare con enti o istituti
religiosi. Certo il tema del convegno
potrebbe stimolare discussioni molto interessanti, tipo i rapporti fra la
fede e il mondo agricolo o tra la fede
e l’alimentazione. Le domande che
ci potremmo porre questa sera sono tante: “Esiste una qualche rela-
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XIX Convegno dei Gruppi dell’Italia Meridionale
42
zione tra la spiritualità e la produzione biologica? Tra la spiritualità e
la filiera corta? Tra la spiritualità e
il sostegno ai piccoli produttori o alle produzioni locali?”. Facendo una
breve riflessione potrei rispondere
sì, credo di sì, soprattutto se consideriamo che la dottrina sociale della Chiesa più volte ha richiamato l’attenzione verso un’equa distribuzione dei prodotti alimentari, al rispetto della natura da tutelare e preservare in quanto creata da Dio e bene
comune, al rispetto del lavoratore in
quanto essere umano, ma a queste
domande credo possano rispondere
persone molto più autorevoli di me.
Io qui oggi rappresento l’Immobiliare Casa Sollievo della Sofferenza,
proprietaria delle aziende agricole
che da molti anni ormai producono
alimenti per l’Ospedale e per le altre
strutture dell’Opera di San Pio, ed è
di questo che vi voglio parlare.
In pratica, e lo dico soprattutto per
chi non conosce la realtà di Casa Sollievo della Sofferenza, prima ancora
che l’Ospedale entrasse in funzione si era andata delineando una base logistica per il suo futuro sostentamento alimentare, valorizzando e
incrementando le produzioni agricole delle fattorie e dei terreni donati a Padre Pio dai suoi devoti e generosi benefattori.
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La prima attività agricola della Casa Sollievo della Sofferenza è sorta agli inizi degli anni cinquanta,
più precisamente nel 1955 un anno
prima dell’apertura dell’Ospedale,
presso la fattoria Sant’Antonio a poche centinaia di metri dal Convento Santa Maria delle Grazie, dove
un gruppo di Padovani guidati dalla
Costantina Nalesso e dal Dottor Sanguinetti avevano iniziato ad allevare
poche mucche per la produzione del
latte, i maiali per la produzione della carne, le galline per la produzione
delle uova, e a coltivare la terra per
la produzione degli ortaggi. Ad essa
si è presto aggiunta la masseria Calderoso, per la produzione dell’olio e,
a partire dal 1984, l’azienda agricolozootecnica Posta la Via, situata sulla
piana del Tavoliere di fronte all’aeroporto militare di Amendola.
La Masseria Calderoso è situata in
agro di San Marco in Lamis, all’ottavo chilometro della Strada Provinciale Borgo Celano - Foggia, sull’altopiano che degrada dolcemente verso il Tavoliere.
L’azienda agricola è pervenuta
all’Opera di Padre Pio nel maggio
del 1955 tramite donazione testamentaria della baronessa Gisella
Colletta di Napoli, con l’obbligo di
celebrare una santa messa al giorno
a suffragio della sua anima.
I fabbricati rurali della Masseria
Calderoso, risalenti al ‘700 e propri delle masserie fortificate pugliesi, sono stati edificati nel rispetto
dei canoni dell’architettura rurale.
L’antica casa baronale è circondata dalla quiete di un immenso uliveto che si estende per 71 ettari con
circa 12.000 piante di olivo secolari
della varietà Peranzana, Ogliarola
Garganica e Rotondella: cultivar tipici della Terra di Capitanata. Le olive appena raccolte vengono molite a
freddo presso il frantoio aziendale e
l’olio ottenuto conserva così tutta la
sua fragranza e restituisce sulla ta-
vola il profumo ed il sapore fruttato
con retrogusto di mandorlato tipico
del Gargano, con un grado di acidità libera inferiore allo 0,5%.
L’olio extravergine di oliva, ottenuto con processo produttivo rigorosamente biologico, viene per lo più
utilizzato dall’Ospedale e dalle altre
strutture della Casa Sollievo, come
la Casa per Anziani “Padre Pio” ed
il Centro d’Accoglienza Santa Maria
delle Grazie. La restante parte viene
commercializzata all’esterno presso
i Punti Vendita aziendali.
Dal marzo 2010 il fascino e la storia della Masseria Calderoso si sono
aperte al pubblico grazie all’esercizio dell’attività “Agrituristica”.
L’Azienda “Posta la Via” è un lascito testamentario di un medico napoletano, il dottor Mario Di Giacomo, pervenuto alla Casa Sollievo nel
1952. Essa si sviluppa su oltre 200 ettari di terreno con un allevamento di
circa seicento capi bovini sia da latte
che da carne, un Caseificio per la lavorazione del latte e un Macello per
la lavorazione della carne.
L’azienda Posta la Via può essere
divisa in tre settori: agricolo, zootecnico e caseario. Il primo provvede alla coltivazione – in regime biologico – dei foraggi utilizzati per l’alimentazione del bestiame. Il settore
zootecnico provvede all’allevamento
di circa 400 bovini da latte e di 180
vitelli da ingrasso. Tutte le bovine
da latte sono nate in Azienda e sono
alimentate esclusivamente con materie prime e foraggi di propria produzione, vengono munte due volte
al giorno e sono costantemente controllate dagli operai. Il latte appena
munto viene trasferito direttamente
all’interno del Caseificio ed entro dodici ore viene già imbottigliato o utilizzato per la produzione dei vari tipi di latticini e di formaggi (mozzarelle, ricotta, caciocavalli, caciottine, burro, crescenza, yogurt, budini e gelato). I processi produttivi dei
formaggi rispettano la tradizione locale e conservano la tipicità delle fasi di lavorazione in modo da garantire prodotti di elevata qualità.
In conclusione, permettetemi alcune riflessioni personali.
Potrebbe sembrare ironico ma,
già negli anni ’50, Padre Pio aveva
pensato alla filiera corta per il suo
Ospedale in questa terra garganica.
All’epoca non esistevano né iper né
supermercati, né imprese di importexport e, di conseguenza, non si correva nemmeno il rischio di mangiare “parmesan” invece dell’originale
parmigiano. Ma lo scopo del Santo
Fondatore era, e rimane, quello di
produrre materie prime di qualità
per l’alimentazione degli ammalati
quale contributo al suo disegno più
ampio di sollievo della sofferenza.
Dobbiamo arrivare ai giorni nostri
per sentir parlare di prodotti a chilometro zero e di qualità degli alimenti
nelle mense ospedaliere. Infatti, fino
a poco tempo fa, si prestava maggiore attenzione al risparmio, in termini
di costo, che alla qualità ed alla provenienza dei prodotti stessi. E, solo
di recente, ci si è resi conto che il miglioramento del benessere psico-fisico del malato, della qualità dell’assistenza e della stessa percezione
del cittadino nei confronti dei servizi
sanitari, si consolidano anche attraverso una buona e corretta alimentazione del paziente. Difatti, è ormai
riconosciuto da molti che una buona
alimentazione del malato è un ausilio alla cura del malato stesso.
Ancora una volta Padre Pio aveva
anticipato i tempi!
Inoltre, non è da sottovalutare la
potenzialità che l’utilizzo di prodotti locali e genuini all’interno di un
Ospedale possa essere anche un modo di promozione del territorio, basti
pensare al fatto che presso l’Ospe-
dale Casa Sollievo della Sofferenza,
nel corso del 2009, ci sono stati circa
57.000 ricoveri di cui solo 6.000 cittadini di San Giovanni Rotondo.
Concludo dicendo che, così come
l’Ospedale anche le fattorie dell’Opera di San Pio, come avete avuto modo di constatare, sono frutto della
Provvidenza, del lavoro e della passione degli uomini che vi hanno lavorato in passato e che lavorano tuttora.
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l e t t e r e da l g a r g a n o
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ALTRE
la Santissima Trinità
Gherardo Leone
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io le parlava familiarmente, con un affetto
come innato. Gesù discorreva con
lei da pari a pari. Lo Spirito Santo l’accompagnava pertinacemente,
anche quando lei insisteva per non
volerlo.
Padre Pio
Angela era avvolta tutta nella Santissima Trinità. «A me sembra di stare a giacere in mezzo a quella Trinità che vedo con tanta tenebra».
Così questa mistica del secolo tredicesimo si è espressa nel suo Memoriale.
La Trinità-Dio, Dna della fede, sancita da Cristo, Gesù di Nazaret, con
il dire agli apostoli: «Andate
e fate miei discepoli tutti
i popoli, battezzandoli
nel nome del Padre,
del Figliolo e dello
Spirito Santo» (Mt
28, 18-20), era stata oggetto, nei
primi tempi del
Cristianesimo,
di veementi dispute tra i Padri
della Chiesa.
Fino ad arrivare, nel terzo secolo, a veri scontri. Ario la negava con l’escludere
che il Figlio avesse la stessa sostanza del Padre.
Atanasio la difendeva, sostenendola
con tutte le sue forze. Il Concilio di Nicea, indetto nel 1325
da Costantino, l’imperatore che aveva sdoganato il Cristianesimo
e agiva anche quasi co-
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me capo della Chiesa, sembrò aver
chiarito, assestato tutto, promulgando il Credo, simbolo della fede. Che
viene rienunciato in ogni messa, a riaffermare l’identità del cristiano.
Ario venne scomunicato. Ma, stranamente, neanche Atanasio la passò
liscia. La sua fermezza nel difendere
l’ortodossia, rifiutando ogni compromesso, gli pose contro Eusebio da
Cesarea, che con gli ariani cercava
di mediare, pur condividendo sulla
Trinità il pensiero di Atanasio.
Che, proprio dopo il Concilio, ebbe a subire vicissitudini rocambolesche. Condannato e riabilitato più
volte, secondo l’alternarsi dei protettori, politici ed ecclesiastici. Esiliato e graziato. Fuggiasco per ben otto anni nel deserto, protetto dai monaci anacoreti, che lo apprezzavano
molto. Eppure, continuò intrepido,
anche nella clandestinità, a scrivere le sue opere apologetiche. Che ne
fanno il «dottore» per antonomasia
della Santissima Trinità.
Se Angela fosse vissuta in quel tempo, con il suo misticismo da frontiera,
in simbiosi com’era con la Santissima
Trinità, che cosa sarebbe stato di lei?
Avrebbe subìto la sorte di Atanasio?
perseguitata, imprigionata, esiliata,
condannata dai vescovi contrari, e dagli imperatori ambipotenti? O le sue
visioni sarebbero state credute? accogliendo quel suo ménage diviso tra
Padre, Figlio e Spirito Santo, come un
segno divino di crisma. Arrestando
definitivamente le feroci dispute?
Ma nei primi secoli della Chiesa,
i mistici non avevano voce né volto.
E i profeti, che parlavano in nome di
Dio, erano lontani nel tempo. Si erano esauriti, è da pensare, con Giovanni il Battista. Che aveva suggellato le profezie della venuta del Messia, riconoscendolo mentre gli veniva incontro nelle acque del Giordano per farsi battezzare, e l’aveva indicato al popolo come Colui che si
attendeva.
Con Cristo, c’era la concretezza
dei miracoli, che facevano da appoggio visibile alla sua parola, la «buona novella», che completava la Legge
data da Dio a Israele. Carismi da lui
estesi ai suoi discepoli, per rendere
credibile il vangelo che andavano annunziando per il mondo: guarendo
gli infermi, scacciando i demoni.
I mistici, i puri contemplatori di
Dio, i suoi ricercatori, indagatori, sarebbero venuti un po’ più tardi. Con
gli eremiti, gli stiliti, i penitenti anomali, bizzarri, anche assurdi nelle loro performance masochistiche.
Poco dopo, nel quarto secolo, Agostino, redento, per le preghiere insistenti della madre Monica, dalle passioni del mondo, aprì la strada della
contemplazione. Che aveva saggiato con le sue introspezioni, rivolto al
Dio misconosciuto, non considerato per tanta parte della giovinezza.
«Tardi ti ho amato, Signore!».
La Trinità era il suo assillo. Un mistero, che voleva spiegare a se stesso. Un giorno, era il tempo in cui stava scrivendo il trattato sulla Trinità,
mentre immerso nei suoi pensieri
camminava lungo la riva del mare,
vide un bambino che con una conchiglia attingeva l’acqua e la riversava in una piccola buca scavata nella sabbia.
Alla domanda di Agostino che cosa intendesse fare, rispose che voleva mettere nella buca tutto il mare.
All’osservazione di Agostino che era
impossibile, il bambino gli disse che
allo stesso modo era per lui impossibile comprendere il mistero della
Trinità. Una visione di un angelo?
Un episodio, comunque, che mostra
quanto intensamente Agostino contemplasse Dio.
La Chiesa, nel suo tempo, dopo i
fasti dell’epoca costantiniana, quando la fede in Cristo veniva ostentata
in battaglia come un’arra di vittoria,
stava attraversando una fase di lassismo. Per vivificarla e rinvigorirla,
Agostino incoraggiò religiosi e monache all’ascetismo.
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Ma ci volevano le donne, ben otto
secoli dopo, per portare al top la contemplazione di Dio. Le mistiche del
medioevo, audaci, disinibite. Amanti
passionali, senza timore di sbeffeggiamenti nel denunziare l’intimità
con Gesù Cristo. Donne intrepide,
che guardano a Dio, al Mistero, con
una confidenza sconcertante.
La schiettezza di chi padroneggia la vita. La promuove, l’asseconda, la custodisce gelosamente fino
a quando non si svela. Sicura di se
stessa, tanto da arrogarsi il diritto,
nell’aberrazione, di poterla distruggere, come di cosa del tutto propria.
Abiurando alla sua dignità di sostanziale collaboratrice di Dio. Che le ha
dato il privilegio, con Maria di Nazaret, di mettere al mondo Gesù, suo
Figlio.
tanto Angela da Foligno? E non quello della sua casata, certo conosciutissima. Per umiltà, volendo tagliare completamente i ponti con tutto
quello che c’era stato prima?
Padre perduto in epoca imprecisata. Madre di ceto nobiliare, che non
curò gran che la sua educazione. Entrò subito nel circuito della gioventù
cosiddetta bene, diciamo pure vip,
conducendo vita mondana. A venti
anni si sposò, ebbe dei figli.
Non ci è stato tramandato nulla
di quegli anni. Sappiamo solo che
non era una baciapile frequentatrice di chiese. Guardava, anzi, con disprezzo i cosiddetti «penitenti», numerosi in quell’epoca, che vivevano
in una povertà volontaria, pregando, digiunando, praticando la carità evangelica.
Angela. Una mistica super. Forse
la più grande, se non di tutta la galassia del misticismo femminile, per lo
meno del medioevo.
Conviveva con il Padre, il Figlio, lo
Spirito Santo. Da mane a sera. Cercava, a volte, di distogliersene, per
il dubbio che fossero tutte sue allucinazioni. Lo chiedeva e richiedeva
ai suoi interlocutori divini, perché
non voleva illudersi. Ed essi le davano ampie rassicurazioni, chiamando
anche in causa persone a lei familiari a conferma di quanto le dicevano.
Un’amante totale. Da far impallidire quelle del mondo che asservono le passioni a calcoli di interesse e
d’ambizione.
Ma nel 1285, qualcosa comincia a
cambiare dentro di sé. A poco a poco
prende coscienza della futilità della
sua vita. È allora che ha una prima
esperienza mistica. Prega san Francesco di illuminarla, e san Francesco le appare in visione.
Si sottopone a una confessione generale con un frate. Tre anni dopo, in
pochi mesi, muoiono la madre, il marito, i figli. Una catastrofe, crollate
tutte le sue basi affettive. Si disfà allora di tutti i suoi beni e diventa terziaria francescana. È il 1291.
Ora sale ai vertici della contemplazione. Una ascesa vertiginosa.
Violenta. Nella chiesa superiore di
Assisi, durante un pellegrinaggio,
prorompe in grida d’amore. «urlavo senza vergogna, dicendo: “Amore non conosciuto, e perché e perché
e perché?”».
Fa pensare a san Francesco che
per Assisi andava gridando piangendo: «L’Amore non è amato! L’Amore
non è amato!».
Si affida a un frate, nominato solo
A. (identificabile, forse, in Arnaldo,
suo parente), che la segue in dialoghi-confessione, annotandoli scrupolosamente. Seguito poi da altri frati, tutti anonimi. Spronata da loro, si
apre, svelando le meraviglie e dolcezze delle sue visioni.
Così per ventiquattro anni. Quanti ne ha ancora vissuti dopo la conversione. Avvenuta alla non più tenera età di trentasette anni. Non tutta
d’un colpo, come Saul sulla via di Damasco. Ma per gradi ravvicinati. In
un iter di ragionevolezza, niente colpi di testa, abbandoni in tronco del
mondo, lasciando problemi in sospeso, impicci per gli altri.
Da donna pratica qual era. Nata
in una famiglia benestante. A Foligno, nel 1248.
Ma perché contrassegnata solo
dal nome della sua città? perché sol-
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Agli inizi della conversione, mentre si andava liberando dei suoi beni, si lamentò con Dio perché non lo
sentiva. E Dio le disse: «... appena
avrai finito, tutta la Trinità verrà con
te». Le disse anche: «Tu hai l’anello
del mio amore e sei stata presa da
me in pegno e non ti allontanerai mai
più da me». E ancora: «Figlia della
divina sapienza, tempio dell’Amato,
piacere dell’Amato… Figlia della pace, in te riposa tutta la Trinità, tutta
la verità, di modo che tu mi possiedi
e io ti posseggo».
È completamente presa da Cristo.
«…nella veglia, mentre stavo pregando, Cristo mi si manifestò sulla croce con maggiore chiarezza, cioè mi
dette più profonda conoscenza di sé.
Mi chiamò e mi disse di avvicinare
la bocca alla ferita del costato e mi
sembrò di vedere e bere il suo sangue, che usciva proprio in quel momento, e capii che in esso mi purificavo».
Una volta, mentre ascoltava la
messa conventuale, si sentì dire da
Dio: «Sono molti coloro che mi spezzano e mi fanno pure uscire sangue
dal dorso» (E a me viene da pensare
a Padre Pio che vedeva sacerdoti indegni prepararsi a dir messa massacrando il corpo di Cristo).
Era da anni che inseguivo Angela
da Foligno. Non so che mi colpisse
di lei. Ma la cercavo, leggevo le sue
scarne notizie personali, e ciò che
potevo reperire dei suoi memoriali. Avrei voluto scrivere su di lei. Ma
non mi era chiaro come. Frastornato dal latino di certi suoi testi, e dalla
esiguità delle traduzioni. Per di più
premuto com’ero dalle priorità quotidiane. Finché il Papa...
Quest’estate scorsa, si è dedicato, settimanalmente, alle donne. Le
grandi donne che hanno dato tutto
se stesse alla Chiesa. Quelle del medioevo. Nella catechesi del 13 ottobre, Angela da Foligno.
Una mistica tutta nel solco francescano. Il tratteggio, limpido e conciso, che ne ha fatto il Papa, lo mostra con chiarezza. E qui ho capito
che cosa mi attraeva di lei. Il motivo,
subcosciente, che me la faceva cercare. La somiglianza con Padre Pio
nel suo rapporto con Cristo.
Il Crocifisso. Prima di tutto e soprattutto. «Angela (dice il Papa) contempla di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vede realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio».
Cristo crocifisso è il fondamentospiegazione di tutta la parabola Padre Pio. La spiritualità francescana
s’impernia sul crocifisso. La vocazione di san Francesco nasce dalla
chiamata del Crocifisso di san Damiano. Nella formazione del cappuccino, è dominante, statuita dalle Costituzioni, la meditazione sul crocifisso.
Il Papa: «Nell’itinerario spirituale di Angela, il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da
ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avviene attraverso il Crocifisso».
Il misticismo di Padre Pio ha come perno centrale il Crocifisso: Cristo-uomo. Filiazione del Padre-Dio.
La contemplazione-amore per Cristo
crocifisso lo porta a ricevere da lui in
dono le sue ferite.
Angela desidera «di morire con
tutti i dolori sofferti dal Dio-uomo
crocifisso per essere trasformata totalmente in Lui».
Padre Pio li soffre per tutta la vita, a cominciare dal 10 settembre del
1910. Riceve le stimmate mentre è in
preghiera-meditazione nella campagna di famiglia a Pietrelcina. Supplica Dio perché scompaiano. Restano
invisibili. Ma «Dal giovedì sera fino
al sabato, come anche il martedì, è
una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani ed i piedi sembrami che
siano trapassati da una spada; tanto
è il dolore che ne sento» (Epist.I).
Riappaiono, clamorosamente, otto
anni dopo, quando, esauriti tutti gli
obblighi legati allo Stato, è definitivamente approdato nella solitudine
dell’eremo di San Giovanni Rotondo,
ideale per la contemplazione.
È un percorso tracciato dalla Provvidenza. Si immagini, se gli fossero
state donate prima, quale trattamento avrebbe avuto per il suo dover sottostare alle visite negli ospedali militari. Con conseguenze inimmaginabili. O troppo immaginabili.
Ora, a San Giovanni Rotondo, libero da ogni altro dovere, è un religioso incastonato in una milizia
(per usare una parola abituale in Padre Pio) che non è del mondo, ma di
Dio, di Cristo, della Chiesa.
Soffre e vuole soffrire. Lo svela in
alcune delle risposte date a Cleonice Morcaldi, la sua discepola fin da
ragazzina, dedicatasi completamente, senza alcuna riserva, è il caso di
ribadirlo, come nessun altro a lui,
nel comportamento, nelle azioni, nei
pensieri. Una vocazione d’amore totale, durante tutta la vita terrena di
Padre Pio, e dopo. È per questa dedizione completa che Padre Pio le concedeva risposte alle domande che
gli faceva.
«Padre, è vero che avete la corona di spine?». «E ne dubiti?». «Solo
durante la S. Messa?». «Il diadema
non si lascia mai». «Quante saranno le spine?». «Una trentina». «Io so
e dico: sono 300». «E bè? Che ho tolto? Uno zero… per non spaventarti».
«Dove soffrite di più?». «Nella testa
e nel cuore». «Mi hanno detto che
siete tutto una piaga». «Se non ci sarà più spazio nel mio corpo, faremo
piaga su piaga».
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abbastanza lontana da Dio. Ma poi
l’incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l’incontro col
Cristo Crocifisso risveglia l’anima
per la presenza di Dio, per il fatto che
solo con Dio la vita diventa vera vita,
perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia».
Il Papa: «Dalla conversione
all’unione mistica con il Cristo crocifisso, all’inesprimibile. Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante». E cita testualmente un insegnamento di Angela.
«Quanto più pregherai tanto maggiormente sarai illuminato; quanto
più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il
Sommo Bene, l’Essere sommamente buono; quanto più profondamente e intensamente lo vedrai, tanto più
lo amerai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quanto più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprenderai e diventerai capace di capirlo. Successivamente arriverai alla pienezza della luce, perché capirai
di non poter comprendere».
La preghiera costante, perseverante, continua, incessante, è il “segreto” (la parola usata dal Papa per
Angela) di Padre Pio. La base di tutto. L’humus della sua spiritualità. Il
tracciato permanente per giungere
a Dio. Alimentandosi dei suoi doni,
per alimentare gli altri.
«La vita della beata Angela - così il
Papa conclude la sua catechesi -comincia con un’esistenza mondana,
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Impregnata e appagata delle dolcezze delle sue visioni, Angela non
riteneva egoisticamente per sé gli
insegnamenti che riceveva, ma, nei
suoi incontri e nelle lettere, li riversava fraternamente sugli altri.
Quando reciti il «“Padre nostro”
non correre, considera cos’è che dici e non correre…».
«L’umiltà di cuore… è la matrice
da cui nascono e derivano tutte le
altre virtù e le loro operazioni, come il tronco e i rami derivano dalla radice».
«Gesù, Dio e Uomo, quando... sulla croce... gridò “Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?”... gridò
anche per darci speranza e incoraggiarci a non venir meno nella disperazione, allorché siamo afflitti, tribolati e in qualche dolore anche abbandonati, perché insieme alla tentazione egli dà pure la via d’uscita».
Una mistica del tredicesimo secolo, che parla un linguaggio di estrema attualità. Anche per questo, posso credere, eccelle tra le altre del
suo tempo. Di quel Medioevo che le
ha viste fiorire in più nazioni.
Nel tredicesimo secolo, c’era a
Helfta, in Sassonia, un monastero
famoso in tutta la Germania, e nel resto d’Europa, come Centro di spiritualità mistica, ma anche di cultura.
Scienza, filosofia, teologia, vi venivano coltivate, dalla comunità di regola benedettina, non meno della Sacra
Scrittura, la Liturgia, la Patristica, e
della musica e il canto sacro.
Era sorto nel 1258, e ne era badessa Geltrude, della nobile, ricca, e potente famiglia degli Hackeborn, della Turingia, imparentata con l’imperatore Federico II. Aveva solo diciannove anni, e aveva voluto lei quel monastero, in un castello ottenuto dalla sua famiglia. Trasferendo da Rodersdorf quello cistercense in cui fino allora aveva vissuto. E dove, a sette anni, era entrata la sorella minore
Matilde, per esservi educata, come
delle famiglie usavano allora. Passate tutte e due nella nuova sede, anche lei s’era fatta monaca.
Le fu affidata, nel 1261, la cura di
una bambina di cinque anni, Geltrude, nativa proprio di Helfta. Dieci anni dopo, entrò nel monastero anche
un’altra Matilde, di Magdeburgo, più
anziana di tutte le altre tre.
Tutte e quattro, formavano uno
stretto sodalizio di amicizia e di spiritualità. Le tre sottoposte alla badessa avevano una marcia in più:
l’ascetismo, con esperienze mistiche
di grande rilievo. Prima e più fra tutte Geltrude di Helfta.
Il Papa ha parlato di lei nella catechesi del 4 ottobre:
«... una delle mistiche più famose, l’unica donna della Germania ad
avere l’appellativo di “Grande”, per la
statura culturale ed evangelica: con
la sua vita e il suo pensiero ha inciso in modo singolare sulla spiritualità cristiana».
E nella precedente catechesi del
20 settembre, di Matilde di Hackeborn ha detto: «Era il rifugio e la consolatrice di tutti, ed aveva, per dono
singolare di Dio, la grazia di rivelare liberamente i segreti del cuore di
ciascuno... In una delle sue visioni è
Gesù stesso a raccomandarle il Vangelo; aprendole la piaga del suo dolcissimo Cuore, le dice: “Considera
quanto immenso sia il mio amore:
se vorrai conoscerlo bene, in nessun luogo lo troverai espresso tanto chiaramente che nel Vangelo...”».
Nella stessa catechesi, il Papa nomina Matilde di Magdeburgo.
Una storia, questa delle mistiche
di Helfta, che emersa dai dati sobri
del Papa, mi ha affascinato. E posso
credere che nelle parole che ha loro
dedicato, vi fosse una nota particolare di affetto. Perché tutte della sua
terra. Formatesi, per di più, nella regola austera di san Benedetto, a lui
immensamente caro.
Anche per queste grandi mistiche
tedesche c’è un punto di contatto con
Padre Pio. Geltrude la Grande può
dirsi l’iniziatrice della devozione al
Sacro Cuore di Gesù, tanto da essere definita «la teologa del Sacro Cuore»; e con lei la consorella Matilde di
Hackeborn. Precorrendo di ben tre
secoli la francese Margherita Lacocque, con la quale la devozione al Cuore di Gesù è diventata universale.
Padre Pio l’aveva in cima alle sue
devozioni abituali. Recitava ogni
giorno la “coroncina al Cuore di Gesù”, diffusissima tra i suoi fedeli.
I mistici, per certi aspetti, si somigliano molto. Non ci sono tra loro barriere di epoca e di nazionalità. Incanalati come sono tutti nella
sola unica strada che porta a Dio: la
sua contemplazione.
Il Medioevo ne ha avute tante, di
mistiche, religiose o laiche, conosciute e sconosciute. Quel secolo
XIII ne abbonda, come per un contagio. Seguito dal XIV, con Ildegarda di Bingen, Brigida di Svezia, Caterina da Siena. A quest’ultima, il
Papa ha dedicato la catechesi del 25
novembre. E in quelle precedenti ha
parlato di Giuliana di Cornillon, del
dodicesimo secolo, e di Giuliana di
Norwich, del quattordicesimo.
La Chiesa appare avere un debole
per le mistiche. Quante di esse sono state perseguitate, scomunicate,
condannate?
Credo di poter dire che Margherita Porete, bruciata viva come eretica nel 1310, a Parigi, sia un caso isolato. Il suo libro, «Lo specchio delle
anime semplici annientate», aveva
scombussolato e diviso i teologi per
le sue tesi ardite. Il tribunale dell’Inquisizione le accordò un anno e mezzo di tempo per abiurarle. Infine, dopo aver sentito il giudizio negativo
di un consesso di teologi e canonisti
dell’università di Parigi, la condannò a morte. Ma la sua opera non morì con lei. Era stato ordinato di bruciarla tutta, ma qualche copia si salvò, circolando tra intellettuali, religiosi e laici, d’ogni tempo. Anche nel
nostro è stata studiata e discussa, da
cattolici e non, tra cui Romana Guarnieri, strettissima collaboratrice di
don Giuseppe De Luca alle sue Edizioni di Storia e Letteratura.
indugi più, lo accompagna e scorta,
nel 1376, per tutto il lungo viaggio di
ritorno a Roma.
Dopo il Medioevo, si salta al secolo XVI, con Teresa D’Avila, Margherita Alacoque. Un salto ancora,
e nel secolo XIX troviamo Teresa di
Lisieux. Ma qui ci fermiamo, chiudendo con la parola del Papa nella
catechesi del 15 settembre su santa Chiara d’Assisi: «La sua testimonianza ci mostra quanto la Chiesa
tutta sia debitrice a donne coraggiose e ricche di fede come lei, capaci di
dare un decisivo impulso per il rinnovamento della Chiesa».
Una sentenza risolutiva, che fa
giustizia anche delle tante reiterate accuse alla Chiesa di antifemminismo.
Gherardo Leone
6 dicembre 2010
Nella messa al rogo di Giovanna
D’Arco, anche lei francese, nel 1431,
a soli diciannove anni, entrano invece molto le ragioni politiche. A capo delle truppe francesi, da lei rianimate e riorganizzate, nel corso della “guerra dei cento anni”, aveva inferto brucianti sconfitte agli inglesi.
Che, avutala tra le mani, venduta loro dai Borgognoni che l’avevano catturata, la sottoposero a un processo
per eresia. Che papa Callisto III, venticinque anni dopo, dichiarò nullo.
Nel 1909, Pio X la beatificò. E Benedetto XV, nel 1920, canonizzò.
E tutte le altre mistiche? Tollerate,
per lo meno, anche quando le loro rivelazioni, e le loro idee e comportamenti sono audaci. Caterina da Siena, che osa parlare apertamente al
Papa Gregorio XI. Lo rimprovera per
la sua mitezza nell’affrontare situazioni difficili, fino a dirgli: «Siatemi
virile, Santità!». E il Papa mostra di
non adontarsene. Lo sprona a porre
fine al suo esilio volontario ad Avignone, e per essere sicura che non
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s p i r i t ua l i t à
SAN
tra dimensione spirituale e materiale, così come quello tra spirito e corpo. Essa è utilizzata dalla Scrittura
per segnalare come attendere il
Signore e prepararsi a questo
decisivo incontro. Il linguaggio profetico in previsione di
questa venuta ci ha invitato a
“riparare” la nostra casa, poiché essa, pur essendo stata edificata nel Signore, mostra le crepe e le fratture del peccato, che
intaccano le fondamenta e la stabilità dell’edificio spirituale. Si
dovrà provvedere ad un’opera di
restauro, ad “alzare i frontali delle nostre porte” (cf. Sal 23,7),
perché siano pronte ad accogliere il Re della Gloria.
PADRE LEONARDO TRIGGIANI
Un Natale nel segno
della “Casa”
giovanni chifari
«S
e il Signore
non costruisce la casa, invano
vi faticano i costruttori» (Sal 126,1).
L’immagine della “casa” bene descrive il cammino che ci ha condotto al
Natale, poiché sul piano antropologico suggerisce l’inscindibile legame
14
Con accenti più radicali, il linguaggio
apocalittico ha inteso suggerire di
sradicare la nostra “casa” e costruirne una nuova nel Signore, non perché quella di prima non fosse riparabile ma poiché la Scrittura intende tradurre lo stato di saturazione
determinato dal peccato che esige un totale rinnovamento, che
faccia esperienza del primato assoluto del Signore, che è insieme sia
Colui che costruisce che Colui che
la abita. La Scrittura ci indica tuttavia
che non siamo soli nel compiere tali
operazioni, troviamo un aiuto magistrale nel dono della grazia divina,
che si esprime attraverso la
Provvidenza che non rende vana la
fatica di una quotidianità vissuta nel
Signore (1 Ts 1,3), edificata su quella
pietra angolare che è Cristo (cf. Ef
2,20ss). Nell’evento del Natale, i cie-
li si squarciano, il Signore viene, e
pianta la sua tenda in mezzo a noi (cf.
Gv 1,14), ed inaugura un tempo nuovo nel quale l’uomo dovrà fare esperienza della decisività ed imprescindibilità della Sua presenza. Il Dio
Creatore e Signore del cielo e della
terra, che stipula un’alleanza con il
suo popolo, con fine e sapiente pedagogia, nella «pienezza dei tempi» (cf.
Eb 1,1ss), manda il Figlio Suo quale
sigillo e fondamento sul quale edificare la nuova ed eterna alleanza con
l’umanità. Il Natale celebra questa
irruzione divina discreta ed umile,
che chiederà di essere riconosciuta
attraverso la luce dei segni, nei quali
siamo invitati a contemplare l’agire di
Dio nella storia. La grotta e la stalla,
la mangiatoia, le fasce e i pastori, tutto parla di povertà ed umiliazione nelle quali si manifesta la forza dell’amore e della regalità messianica. La
nostra “casa” dovrà poter accogliere
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il Figlio di Dio, e divenirne tempio, in
grado di esprimere durante l’esperienza terrena sapienza e intelligenza, servizio e preghiera, amore e condivisione.
La veglia e l’intercessione
di Padre Pio.
In questo cammino abbiamo un
alleato ed un potente intercessore in
San Pio da Pietrelcina. Nei suoi scritti epistolari il tempo di avvicinamento al Natale è presentato come tempo
di grazia assoluta, nel quale si effondono quelle «celesti consolazioni» (I,
208; 321) che discendono dal
Bambino Gesù e che Egli «centuplica in questi giorni».
L’incarnazione di Gesù porta con
se questo bagaglio di divine consolazioni, che rispondono al cammino di
faticosa ricerca della verità e del senso dell’esistenza comune ad ogni
uomo, e che adesso sono largamente ed universalmente offerte a tutta
l’umanità. Tuttavia la Scrittura ci indica che esse saranno realmente accolte e recepite soltanto da coloro che
sanno attenderle nella vigilanza fedele. Del resto l’evangelista Giovanni,
nel prologo del suo Vangelo, ci narra
l’esito di una certa parte dell’umanità che non accoglie questa Luce che
giunge nel mondo (cf. Gv 1,1ss).
Padre Pio, a partire dalla sua sofferenza, ha certamente fatto esperienza del Dio buono e misericordioso
che, come ricorda l’Apostolo, consola in ogni tribolazione perché possiamo consolare anche noi coloro che si
trovano in ogni genere di afflizioni
(cf. 2 Cor 1,4). Egli ha gustato quella
consolazione divina che provenendo
dall’ascolto fedele delle Scritture tiene fissa la speranza (cf. Rm 15,4),
sostiene e solleva la sofferenza, inserendola nella gioia e nella pace. Da
vegliardo che scruta i misteri divini,
ad orante che li impetra e li invoca
per tutti i suoi figli, egli continua ad
intercedere per noi e per la sua
Opera. Comprendiamo quindi perché proprio in questo tempo natalizio, Padre Pio invocava incessantemente Dio perché preservasse tutti
coloro che erano e continuano ad
essere affidati alle sue preghiere, da
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quella che considera «la disgrazia di
perdere Gesù Bambino» (I, 208), raddoppiando e centuplicando le sue
veglie, orazioni ed intercessioni,
«importunando il divino Infante perche possa con la sua grazia esaudirne i desideri» (cf. I, 325), perché tutti possano lasciarsi trasformare e
riempire il cuore dal divino amore di
Gesù (I, 1254). Un cuore colmo di
amore è, infatti, disposto alla conversione e ad un reale servizio ai fratelli. Esso in questa notte santa dovrà
divenire «la Sua culla fiorita, nella
quale Egli possa adagiarsi senza incomodo alcuno e nulla risentire del suo
essere uscito dal Padre per venire nel
mondo (cf. Gv 16,28)» (cf. I, 11061007); e colmo del Suo Spirito divino,
«trasformarci e facci santi» (I, 1250).
Lui ha già sperimentato in se stesso il felice esito di tali operazioni divine, il suo cuore, infatti, in questo tempo si sente «rinascere a novella vita»
anche se umilmente «troppo piccolo
per contenere i beni celesti» (II, 273).
Amiamo immaginarlo in questa beata e felicissima notte (I, 981 cf. il 24
dicembre del 1917) «in piedi», di fronte a ciascuno di noi e alla sua Opera,
in un certo modo vegliando come i
pastori, per vedere quella Gloria di
Dio che intende rischiarare le tenebre del mondo, invocando ancora
una volta, insieme alle consolazioni, tutti i carismi e le virtù della
vita cristiana, fra questi quello
della fede, della speranza e
della carità (II, 274; 281)
e quella perseveranza
nella preghiera che
sostiene ad alimenta la nostra
“casa”, e la sua
“Casa”.
Per una spiritualità
del servizio
e della condivisione
Il realismo dell’incarnazione del
Verbo, il suo abbassamento kenotico
che si dipanerà fino alla croce e alla
morte, per essere esaltato nella
resurrezione gloriosa, ci mostra il
percorso di un discepolato che si
esprime nella spiritualità del servizio
e della condivisione che ammiriamo
nei santi e traiamo da quelle mediazioni che la Chiesa ci offre, prime fra
tutte quelle della Parola e dei
Sacramenti. Attingendo a queste fonti possiamo celebrare la nascita del
Signore, l’esperienza del riconoscerlo incarnato nel povero, nel sofferente, nell’ammalato, nel carcerato,
negli ultimi e negli emarginati, perché qualunque cosa abbiamo fatto a
loro, l’abbiamo fatta anche a Lui (cf.
Mt 25,40).
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natalenatalenatalenatalenatalenatale
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Festa Liturgica di Santa Lucia
Come Santa Lucia
torniamo a Cristo
con un cuore disponibile
L’Omelia dell’Arcivescovo
Michele Castoro
C
arissimi fratelli e sorelle,
nonostante la festa di
Santa Lucia sia stata celebrata ieri
in tutta la Chiesa, secondo il
calendario liturgico, noi di Casa
Sollievo abbiamo voluto posticiparla a oggi per farla coincidere
con un martedì di Avvento che ci
vede in preghiera in attesa del
Signore che viene. Perciò oggi si uniscono alla nostra celebrazione il primario, i medici, gli infermieri, gli
operatori del Reparto di Oculistica,
assieme ai malati del loro reparto,
anch’essi spiritualmente presenti,
per ricordare e implorare la loro celeste patrona. Tutti saluto con particolare affetto e con l’augurio che, per
intercessione di Santa Lucia, la luce
brilli nei nostri cuori e nel mondo
intero. Un saluto particolare al direttore generale, al direttore sanitario,
agli altri dirigenti, primari e medici,
infermieri, operatori qui presenti.
Le notizie sulla vita di Santa Lucia
non sono molte, essendo ella vissuta
in tempi lontani dai nostri. È certo
che nacque a Siracusa sul finire del
III secolo, da una nobile famiglia cristiana. Fanciulla intelligente e virtuosa, meditava assiduamente le
Sacre Scritture, e assiduamente si
recava alle sacre celebrazioni. Spinta
da un grande amore per Gesù, è stata esempio di tante donne del suo
tempo decise a consacrarsi a Dio. Il
suo modello di santità era Sant’Agata
di Catania. Lucia, allora, decise di
distribuire i suoi beni ai
poveri per farsi povera
per Cristo.
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Sotto la feroce persecuzione
dell’imperatore Diocleziano, Lucia
fu arrestata e condotta al supplizio.
Ma, prima di morire, Lucia riuscì a
dire questa profezia: «Vi annuncio
che presto sarà data pace alla Chiesa
di Dio, e gli imperatori violenti decadranno». Era il 13 dicembre del
304.
Nello stesso luogo dove subì il martirio, ebbe sepoltura. E, qualche
anno dopo, fu dedicato un santuario
per accogliere il continuo afflusso di
pellegrini, giunti per venerare le sue
reliquie ottenendo numerose grazie
per sua intercessione.
Il nome di Lucia ha richiamato nei
secoli il significato della luce. È tuttora invocata per il dono della vista
degli occhi, ma anche per ottenere la
luce della fede.
Carissimi, stiamo vivendo il tempo liturgico dell’Avvento. Siamo
prossimi al Natale. Il tempo d’Avvento ha una doppia valenza. È tempo di
preparazione alla solennità del
Natale in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio e, insieme, l’Avvento è il tempo in cui, attraverso
tale ricordo, la Chiesa viene guidata
all’attesa della seconda venuta di
Cristo, alla fine dei tempi.
Ma, come ci ricorda San Bernardo,
tra le due venute ce n’è una terza, ed
è la venuta del Signore nel tempo
presente. La venuta del Signore,
infatti, si realizza al presente, si realizza qui e ora vivendo spiritualmente e misticamente la nascita di Gesù
nel nostro cuore. Possiamo dire che
la sua venuta, quella passata, determina la nostra fede; quella futura,
alla fine dei tempi, sostiene la nostra
speranza. Quella presente ci spinge
a vivere una vita improntata all’amore. Sì, Dio viene realmente anche
oggi e vuole rifare il suo Natale con
noi. Trasformiamo il nostro cuore, le
nostre famiglie, il nostro ambiente
di lavoro in un ambiente accogliente
per il Signore. Molto argutamente,
l’allora Cardinale Joseph Ratzinger
scrisse: «Il limite fra il prima di
Cristo e il dopo Cristo, che spesso
vediamo indicato nei libri di storia,
non è un confine tracciato nella storia o nelle vicende dei popoli, ma è
un segno interiore che attraversa il
nostro cuore. Finchè viviamo nell’indifferenza e nell’egoismo, noi siamo
ancora oggi tra coloro che vivono
prima di Cristo. Per rinnovare questa nascita, Dio ha bisogno di qualcuno che, come ha fatto, lo accetti
nella propria vita, gli dica di sì».
Miei cari, sull’esempio dei santi,
in particolare di Santa Lucia, torniamo dunque a Cristo con un cuore
disponibile. Le nostre menti, i nostri
cuori, non più distratti o assorbiti dal
consumismo, si immergano nel
grande mistero della nostra redenzione e troveranno quella pace, quella gioia che Cristo è venuto a portare. Scambiarci gli auguri di buon
Natale, per noi, significa dire: «Dio
si è fatto vicino, Dio ti è vicino, Dio ti
vuole bene». E sappiamo che questo
saluto, questo augurio può essere di
grande conforto soprattutto per gli
ammalati.
Ed è questo il mio augurio per questo tempo di Avvento e per il Santo
Natale ormai alle porte.
Amen
_
Il saluto del Reparto di Oculistica a monsignor Castoro
suor grazia diciolla
Eccellenza Reverendissima,
siamo qui riuniti in chiesa «Casa di Preghiera» intorno all’Altare del Signore per ascoltare la parola di Dio e celebrare l’Eucaristia in questa cammino d’Avvento.
Noi operatori sanitari del Reparto di Oculistica, oggi vogliamo con Lei, Eccellenza,
con i dirigenti di Casa Sollievo e con tutta l’assemblea, pregare e festeggiare la vergine Santa Lucia, patrona degli oculisti, per alleviare le sofferenze di coloro che soffrono patologie oculari.
Sono trentadue anni che il nostro Reparto è sotto la protezione di Santa Lucia, affinché ci aiuti a vincere le difficoltà di ogni giorno e che i nostri occhi, le nostre facoltà
siano sempre illuminati da una fede pura e ardente per il bene dei fratelli ammalati.
Inoltre vogliamo rimanere fedeli all’insegnamento del nostro Fondatore San Pio quando dice: «Voi avete la missione di curare i corpi, ma se al malato non portate l’amore a
nulla serviranno le medicine». Grazie Eccellenza per la sua disponibilità e presenza
vigile e costante di Pastore buono tra noi.
_
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Le lezioni si sono tenute al Cenacolo Santa Chiara
Il Master si è svolto sotto la Direzione Scientifica del Prof. Antonio G. Spagnolo − Straordinario
di Medicina legale e delle assicurazioni e attuale Direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma (UCSC) −,
sotto il Coordinamento scientifico del Prof. Giuseppe Noia − Associato di Medicina dell’Età Prenatale presso l’UCSC −, della Dott.ssa Vincenza Mele − Ricercatrice in Bioetica presso la medesima
università − e della Dott.ssa Vanna Maria Valori − Dirigente Medico UOS Oncologia Sperimentale presso l’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” − e, infine, con il coordinamento didattico della Dott.ssa Nunziata Comoretto e del Dott. Pietro
Refolo − entrambi Dottori di ricerca e Docenti di
Bioetica presso l’UCSC.
Concluso il Master di II livello in “Bioetica
e medicina centrata sul paziente” organizzato
da Casa Sollievo e dall’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Roma
a cura di Vanna Maria Valori
L
o scorso 13 novembre si è conclusa, a
San Giovanni Rotondo, la prima edizione del Master di II livello in “Bioetica e medicina centrata sul paziente”, istituito per gli
anni accademici 2008/2009 e 2009/2010
dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in
collaborazione con l’IRCCS “Casa Sollievo della
Sofferenza”, Opera di Padre Pio da Pietrelcina.
L’evento ha fatto seguito ad una precedente
fruttuosa collaborazione formativa tra l’Istituto
di Bioetica dell’UCSC, nato e sviluppatosi negli ultimi trenta anni sotto la illuminata guida del Cardinale
Elio Sgreccia, riconosciuto fondatore della bioetica personalista, e la “Casa Sollievo della Sofferenza”. Iniziata
alla fine degli anni novanta con varie attività formative
sul territorio, tale collaborazione si è rafforzata con l’organizzazione del Corso di Perfezionamento in Bioetica
e Pastorale Sanitaria, svoltosi nel 2007-2008. Proprio, infatti, in ragione del successo registrato nell’organizzazione di quest’ultimo, la “Casa Sollievo”, intercettando
le sempre maggiori esigenze di apprendimento e approfondimento della materia presenti nel territorio, si è fatta promotrice di un programma di formazione più consistente e impegnativo. Quest’ultima iniziativa si colloca
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nell’ambito delle finalità progettuali dell’Ospedale “Casa Sollievo”, per la quale il Fondatore, con una intuizione sicuramente profetica ed originale, ha sempre auspicato un’assistenza basata sul “personalismo ontologicamente fondato”, perché è l’uomo stesso al centro della
sua attenzione pastorale e doppiamente degno di attenzione e considerazione nell’esperienza di fragilità e di povertà della malattia.
L’approfondimento delle scienze umane al fianco delle scienze biomediche aiuta a costruire quella novità e
originalità dell’approccio relazionale auspicabile in un
ospedale che deve ambire a diventare “tempio di preghiera e di scienza”, e la bioetica segna l’inizio di una riflessione profonda, che rivoluziona la relazione con il malato a partire dalla presa in carico per il percorso di cura,
che deve avere oltre all’alta tecnologia anche un singolare tocco umano.
Il Master è iniziato nel 2009 grazie alla generosa disponibilità del Prof. Ignazio Carrasco, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita e già
Direttore dell’Istituto di Bioetica, e alla sensibilità e determinazione del nostro Direttore Generale
Dottor Domenico Crupi, che ha voluto sponsorizzare e dare fiducia all’iniziativa.
Gli iscritti al Master, nella gran parte di area medica e
per la metà provenienti dallo stesso ospedale e per la restante parte dalle zone limitrofe − con l’eccezione di due
partecipanti, uno del Comune di Ostia e l’altro del Comune di Reggio Calabria − sono stati in tutto ventuno, un numero abbastanza elevato se si pensa al vasto panorama
di formazione in Bioetica presente attualmente in Italia
e alla novità dell’iniziativa per il territorio. Le lezioni sono state svolte tutte presso il Cenacolo “Santa Chiara”,
struttura accogliente e stimolante per la riflessione, gestita dalla Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza” in
collaborazione con le Suore Convittrici del Bambin Gesù, che hanno curato l’accoglienza agli ospiti con cortesia, premura, competenza e generosa attenzione.
IL FOCUS DEL MASTER
Focus del Master è stato quello di preparare i partecipanti ad affrontare le principali questioni bioetiche, sia
sul piano teoretico che metodologico, soprattutto per
quel che concerne le problematiche che emergono relativamente alla persona umana nel contesto dell’organizzazione dei servizi sanitari e all’interno del ben noto processo di “umanizzazione della medicina”.
In questi ultimi anni, in Italia si discute in maniera
sempre più approfondita, infatti, sulla necessità di riformare gli obiettivi, le modalità e i contenuti della formazione per le professioni sanitarie, in modo particolare
quella per i medici. Non si tratta solamente di un problema burocratico, derivante dalla necessità di assicurare
standard formativi richiesti da una progressiva “globalizzazione” del sapere, che sta interessando la Comunità europea ed internazionale. Non si tratta neppure di
far fronte solamente ad una serie di pur gravi problemi
di natura tecnica, nel senso dell’offerta di maggiori approfondimenti delle possibili conoscenze e abilità da trasmettere ai professionisti della salute. Esiste anche una
necessità di natura “critica”, che consiste nell’integra-
re le dimensioni attualmente presenti nella formazione
con altre che pure risultano essenziali per la maturazione umana e professionale degli operatori sanitari, il tutto a partire da un’attenta riflessione di ordine filosofico
sulla medicina, sulla sua natura e i suoi scopi.
Da più parti, oggi si sostiene che l’insegnamento della
Bioetica debba essere esteso a tutto il periodo formativo
degli operatori sanitari così da permettere uno sviluppo armonico e integrato delle due dimensioni della formazione medica: quella tecnico-scientifica e quella c.d.
“umanistica”. Per la verità, sull’argomento sono comparsi numerosi articoli, studi, forum, convegni. Ma è solo da
pochi anni che il tentativo di creare “modelli formativi”
che prendano maggiormente in considerazione la dimensione “umana” dell’esercizio medico, ha assunto forza e
coordinazione anche a livello programmatico.
Che la bioetica giochi un ruolo prioritario nella formazione medica di matrice “umanistica” lo dimostra la sensibilità mostrata nel 1991 dal Comitato Nazionale per la
Bioetica (CNB), quando nel documento Bioetica e formazione nel sistema sanitario, suggeriva la necessità, per
una corretta impostazione della formazione stessa, di
una “integrazione delle scienze di base con le scienze cliniche e con le scienze dell’uomo”. Alla base di questa affermazione programmatica sta la considerazione di natura storico-filosofica a cui si accennava: il travolgente sviluppo della tecnologia, della sperimentazione farmacologica e chirurgica e la possibilità di intervenire sempre
di più sui fenomeni della vita – specie nelle fasi iniziali e
finali – hanno provocato negli ultimi decenni un profondo ripensamento della visione ippocratica della medicina fino ad arrivare alla nascita della “bioetica”, che oltre
a fornire risposte relativamente ai problemi ardui e complessi delle situazioni “di confine”, quelle della medicina “biologica” (ossia la medicina che considera l’organismo umano con la mentalità dello sperimentatore, come
nel caso dei trapianti, della fecondazione artificiale, della
manipolazione embrionale, della terapia genica, ecc.), si
inserisce a giusto titolo anche nelle ben più ricorrenti –
e perciò definite spesso come “quotidiane” – questioni
assistenziali, già contemplate dall’etica medica tradizionale ma bisognose adesso di un ripensamento alla luce
dei cambiamenti che il nostro tempo ha imposto. In tale prospettiva, il riferimento ai valori umani e, in definitiva, ad una visione antropologica ed etica, è dunque un
elemento imprescindibile da porre come premessa per
una ricerca scientifica corretta, che sappia ben tenere
in conto le responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
Senza riferimento all’etica, infatti, scienza e tecnologia
possono essere usate sia per uccidere che per salvare
vite umane, sia per manipolare che per promuovere, sia
per distruggere che per costruire. È quindi necessario
che, mediante una gestione responsabile, la ricerca si indirizzi verso il vero bene comune, un bene che trascenda
qualsiasi interesse meramente privato, superando i confini geografici e culturali delle nazioni, sempre tenendo
lo sguardo puntato al bene delle generazioni future. Per-
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ché la scienza sia realmente posta a servizio dell’uomo,
è necessario che essa sappia andare “oltre la materia”,
intravedendo nella dimensione corporea dell’individuo
l’espressione di un bene spirituale più grande. Gli scienziati devono comprendere il corpo umano come la dimensione tangibile di una realtà personale unitaria, corporea
e spirituale allo stesso tempo. L’anima spirituale dell’uomo, sebbene non tangibile in se stessa, sempre costituisce la radice della sua realtà esistenziale e tangibile, della sua relazione col resto del mondo e, di conseguenza,
del suo peculiare ed inalienabile valore.
Dunque l’apporto delle singole aree disciplinari, ognuna dei quali in grado di tracciare percorsi indipendenti
sia per i contenuti che per le metodologie di investigazione che utilizza, non deve essere mortificato, ma l’ottica
è piuttosto quella della piena integrazione di competenze e ambiti conoscitivi chiaramente diversi, per arrivare ad ottenere quella sorta di “armonia” che pare costituire l’unica strada percorribile affinché le scienze umane raggiungano gli obiettivi formativi dei futuri professionisti della salute.
OBBIETTIVI RAGGIUNTI
Scopo del Master universitario è stato, dunque, quello di “formare” persone in grado di sviluppare e, a loro
volta, di “trasmettere” un’attività sanitaria centrata sul
paziente che diventa protagonista della relazione clinica, pur nella molteplicità delle dimensioni dell’assistenza (medico-scientifica, etica, socio-culturale, spirituale,
ecc.). In particolare, relativamente alla costruzione delle competenze professionali, gli aspetti caratterizzanti
il Master sono stati:
• introdurre alla conoscenza dei principali dibattiti bioetici;
• fornire gli strumenti per l’esercizio di un’analisi critica delle questioni etiche ed antropologiche sollevate dallo sviluppo delle scienze e della tecnologia;
• fornire gli strumenti concettuali essenziali per discutere
casi bioetici generali, provvedendo anche all’analisi critica
di alcuni contributi che li avevano come oggetto;
• fornire gli strumenti concettuali necessari per affrontare
casi clinici concreti.
Il Master è stato organizzato attorno a differenti Insegnamenti (Antropologia filosofica, Storia delle professioni sanitarie, Filosofia morale, Bioetica, Genetica medica, Istologia ed Embriologia, Ginecologia e Ostetricia,
Anestesiologia, Radioterapia ed Endocrinologia), a loro
volta raggruppati in Moduli: della Bioetica Generale e
delle Metodologie, Antropologico, Filosofico, Biogiuridico, della Sessualità e della Vita Nascente, della Bioetica e Pastorale Sanitaria, della Fine della Vita, della Sperimentazione Clinica, della Genetica e delle Biotecnologie, della Consulenza Etica e della Bioetica Clinica, della
Bioetica applicata ai Sistemi Sanitari e, infine, della Bioetica e dell’Assistenza al Paziente Fragile. Nel corso delle circa 350 ore frontali di insegnamento, svolte nei due
anni di Master, oltre all’offerta di una panoramica su alcune questioni (il concetto di salute, il significato della
medicina e dell’atto medico, l’essenza della professione medica, la sessualità umana, il testamento biologico,
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l’obiezione di coscienza, l’allocazione delle risorse, ecc.)
e strumenti (la valutazione dei protocolli di ricerca, la
valutazione dei casi clinici concreti, ecc.), per così dire,
“consolidati” del dibattito bioetico sono state affrontate
anche alcune problematiche “emergenti”: dallo human
enhancement, all’impiego di un innovativo quanto “delicato” impiego di un particolare tipo di tecnologie, ossia
le nanotecnologie, sino alla discussione dei programmi
di health techology assessment (HTA). Il corpo docente,
tutto ampiamente qualificato − il Master ha visto la partecipazione, fra gli altri, di ben cinque ordinari e quattro associati − e in gran parte proveniente dall’Università Cattolica, è stato selezionato su competenza specifiche e ha dimostrato di aver un buon livello di interazione con i discenti. I venti masteristi hanno conseguito il
titolo discutendo delle tesi, preparate con cura in argomenti diversificati, in relazione ai loro particolari interessi professionali e bioetici.
Dott.ssa Nunziata Augello
Titolo Tesi: Stili di vita ed approccio alle dipendenze nella scuola
superiore professionale.
Dati di una ricerca a confronto
Relatore: Prof.ssa Vanna Maria Valori
Dott. Giuseppe Di Stolfo
Titolo Tesi:La relazione assistenziale tra libera
autodeterminazione e giustizia sociale
nell’era tecnologica
Relatore: Prof. Andrea Virdis
Dott. Antonio Facciorusso
Titolo Tesi:Aspetti etici della disattivazione del
defibrillatore-cardioverter automatico impiantabile
(AICD) nei pazienti end of life
Relatore: Prof. Antonio Gioacchino Spagnolo
Dott. Michele Giuliani
Titolo Tesi:Approccio etico alla cura delle ulcere cutanee:
costo o opportunità?
Relatore: Pietro Refolo
Dott. Paola Latina
Titolo Tesi:Assistenza al paziente in fase terminale
e cure palliative
Relatore: Prof.ssa Emma Traisci
Dott. Salvatore Melchionda
Titolo Tesi:La scienza e la Tecnica sono al Servizio dell’Uomo?
Considerazioni bioetiche sulla Procreazione
Relatore: Prof.ssa Nunziata Comoretto
Dott.ssa Letizia Caporaso
Titolo Tesi:Approccio terapeutico al paziente nelle cure palliative
Relatore: Prof.ssa Nunziata Comoretto
Dott.ssa Maria Morritti
Titolo Tesi:La consulenza etica e l’etica della cura in oncologia
Relatore: Prof.ssa Nunziata Comoretto
Dott. Giovanni Chifari
Titolo Tesi:La ricerca della salute: mediazioni in dialogo
Relatore: Prof. Pietro Refolo
Dott. Grazia Napolitano
Titolo Tesi:Le vittime dell’alcolismo mi sembrano come persone
“in viaggio” che vanno alla ricerca di qualcosa
in cui credere per vivere (Giovanni Paolo II)
Relatore: Prof.ssa Roberta Minacori
Dott.ssa Maria Soccorsa Siciliano
Titolo Tesi:Le scelte allocative in sanità: dilemmi quotidiani
tra salute, etica ed economia
Relatore: Prof. Dario Sacchini
Dott. Giovanni Marco Criconia
Titolo Tesi:Impiego delle cellule staminali adulte nella
riparazione del danno cardiaco: aspetti scientifici
ed etici
Relatore: Prof. Antonio Gioacchino Spagnolo
Dott.ssa Michelina Crisetti
Titolo Tesi:Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale
(PDTA): l’evoluzione del Consenso Informato
nella Relazione Operatore Sanitario-Paziente
Relatore: Prof. Arnaldo Pangrazzi
Prof.ssa Maristella Di Lorenzo
Titolo Tesi:Psico-oncologia ed etica personalista: l’integrazione
del servizio al paziente
Relatore: Prof.ssa Vanna Maria Valori
Dott. Filomena Di Rienzo
Titolo Tesi:La famiglia: persone ricche di risorse
in economia sanitaria
Relatore: Prof. Pietro Refolo
Dott. Carmela Maria Palumbo
Titolo Tesi:Aspetti etici della contenzione in psichiatria
Relatore: Prof. Vanna Maria Valori
Dott. Angelo Pizzolato
Titolo Tesi:Medicina legale e bioetica nella quotidianità clinica
Relatore: Prof. Antonio Gioacchino Spagnolo
Dott. Elvira Saccottelli
Titolo Tesi:Morte amica
Relatore: Prof.ssa Donatella Pagliacci
Dott. Antonio Santoro
Titolo Tesi:Morte, natura e tecnica
Relatore: Prof. Pietro Refolo
Dott. Gianfranco Tacconi
Titolo Tesi:Valutazione bioetica applicata a procedure
e metodiche assistenziali nell’ambito
della rianimazione – terapia intensiva
e medicina d’urgenza
Relatore: Prof. Vincenza Mele
IL COMMENTO FINALE
È senz’altro positivo il bilancio complessivo del Master: stando, infatti, ai dati emersi a seguito della somministrazione di un questionario di rilevazione della customer satisfaction e di alcune lettere di apprezzamento pervenute al comitato organizzativo, il Master sembra aver pienamente soddisfatto i fabbisogni formativi
dei partecipanti. Conferma ne è che quasi quasi i partecipanti, nonostante la consistenza dell’impegno richiesto, hanno esternato un senso di vuoto dall’avere ormai
liberi i week-end a scadenza quindicinale, per la mancanza di quella relazione di calore e di affettuosa amicizia, che è nata e si è via via sviluppata in questo percorso durato due anni. Per colmare la nostalgia di quei week-end occupati dal Master è nata la proposta, ancora
da sviluppare per il prossimo anno, di continuare il percorso formativo con appuntamenti mensili, in cui ognuno dei masteristi approfondirà con degli aggiornamenti
l’argomento della propria tesi.
Tutto ciò fa ben sperare per il proseguo della realizzazione di simile iniziative e per, così dire, “vincere” la sfida raccolta da “Casa Sollievo”: a fronte della dirompente e diffusa tendenza all’atrofia spirituale da parte degli
operatori sanitari, compito fondamentale di una istituzione sanitaria è proprio quella di costruire programmi formativi efficaci per quello che rappresenta il cuore stesso dell’impresa medica e la sua profonda originalità: mettere al centro della propria attività la relazione
con un essere umano sofferente.
_
BANCA DEL LATTE UMANO DONATO
Gentilissima
mamma,
colgo l’occasione delle festività natalizie per augurare a te
ed a tutta la tua famiglia un santo e sereno Natale ed un
anno nuovo colmo di gioie e soprattutto per ringraziarti
del grande dono che con tanta, lodevole generosità, hai
offerto e continui ad offrire ai piccolini meno fortunati, che
non possono assumere dalla propria mamma l’alimento
così prezioso per la loro crescita, quale il latte materno.
L’importanza del tuo nobile gesto è così profonda che sento
ancora una volta la necessità di dirti un grazie di cuore
anche da parte della Direzione Generale, della Direzione
Sanitaria e del mio staff.
Alberto Gatta
Responsabile dell’Unità Operativa
di Neonatologia
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Attualità in
oncoematologia
pediatrica
L’intervento del professor Franco Lotti,
Primario Emerito di Pediatria della Casa Sollievo della Sofferenza.
di eccellenza. Il mio compiacimento non potrebbe essere
maggiore e voglio esprimerlo, unendolo però ad una raccomandazione, indirizzata specialmente ai più giovani di
voi. Quando. con giusta soddisfazione, considerate i progressi raggiunti rispetto al passato siate sempre attenti a
non buttare insieme all’acqua sporca del bagnetto, anche
il bambino che c’era dentro..
Perché con il passare degli anni e l’estinguersi delle testimonianze dirette (l’anagrafe non perdona) la polvere
del tempo può tendere ad annebbiare e a far dimenticare
storia e radici della nostra Istituzione, storia e radici senza le quali la stessa desiderata vitalità presente e futura
non avrebbe speranza. Vi è una parola, breve, forse abusata, ma senza la quale nulla avrebbe senso nella grande avventura della Casa Sollievo e questa parola è la Fede. Fede del santo fondatore in quel progetto che la Provvidenza gli aveva rivelato, fede in lui da parte di coloro chiamati ieri e oggi a portarlo avanti. Vi è un ricordo preciso, tra i
tanti che conservo in me, un episodio che come una parabola può essere significativo più di molte parole. Eravamo
nel maggio del 1946, a guerra finita, ma della società Casa Sollievo fondata nel 9 gennaio del 1940 da Sanguinetti,
Sanvico e Kisvarday per edificare un ospedale secondo il
desiderio del Padre, ancora non si vedevano i frutti. Padre
Pio smaniava, si lamentava con il compaesano sacerdote
don Giuseppe Orlando, che in quel tempo fungeva da amministratore delegato della società, perché non si iniziavano i lavori. Diceva don Peppino: “Piuccio mio, che posso fare? Ancora non sappiamo dove dobbiamo costruire,
il posto da te indicato, genericamente sulla montagna, è
contestato dai tecnici che ritengono impossibile scavare
almeno 100 mila metri cubi di roccia. Non c’è un progetto, non abbiamo i permessi, nulla.” Ma Padre Pio non intendeva ragioni. Mi raccontava don Peppino:“ Quando gli
sono vicino,in coro o nel refettorio mi dà delle gomitate da
farmi male, tanto che io devo stargli discosto.”
Finchè una sera, stanco di tutto questo, don Peppino dice:
“Piuccio, va bene, domattina prendo un piccone e mi metto tracciare una strada… verso dove?”. E Padre Pio “Cè
quel pezzo di terreno che Maria Basilio mi ha donato: parti dal piazzaletto della chiesa e vai in quella direzione”. E
così, il mattino seguente, con quattro manovali, Don Peppino iniziò, piccone alla mano, a tracciare un solco verso
il monte, nella direzione indicata da Padre Pio che dalla
finestra del coro occhieggiava tutto contento.
Non sempre però e non tutte le persone che gravitavano
intorno al Padre avevano quel tipo di fede in lui e nei suoi
carismi e non fu quella la sola volta in cui Padre Pio dovette prendere l’iniziativa a difesa del suo progetto dell’ospedale sulla montagna.
Nel luglio del ‘47 fu messo particolarmente in difficoltà
dalla Commissione Siviero, architetto romano molto noto in quei tempi per avere guidato il gruppo di esperti italiani per il recupero delle opera d’arte trafugate e portate all’estero durante il conflitto. Era stato chiamato dagli amministratori del tempo stretti tra l’indicazione data dal Padre e i reiterati pareri dei tecnici che la consideravano irrealizzabile. Siviero fu inequivocabile: dopo due
giorni di sopraluoghi e di incontri con il Padre, in procinto di ripartire per Roma, voleva da lui il consenso definitivo per avviare i lavori in una piccola zona pianeggiante
verso il paese.
Il 26 novembre scorso, a San Giovanni Rotondo, si è tenuto il Secondo Incontro Scientifico
in Capitanata sul tema «Attualità in Oncoematologia Pediatrica».
C
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arissimi amici e colleghi della Oncologia pediatrica, così mi piace rivolgermi a voi, che in in gran parte avete maturato con me le prime esperienze cliniche in quel grande contenitore che era allora la Pediatria
generale. Parlo di grande contenitore sia per le dimensioni raggiunte, i 200 posti letto degli anni 80 rispetto ai 18
del 1956, sia per la molteplici iniziative da diversi di voi
portate avanti nel suo contesto.
Oltre alle tradizionali sezioni di pediatria generale, funzionava un presidio ospedaliero oncoematologico con Centro per talassiemici al quale affluivano 50 bambini e adolescenti da tutta la provincia per le periodiche trasfusioni e
controlli, il laboratorio di consulenza genetica, affollatissimo, anche per la novità che rappresentava, la neuropsi-
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chiatria infantile, la sezione di isolamento per malattie infettive. Un grande contenitore dicevo, frutto di una impostazione e di una organizzazione tali da poter assolvere in
maniera conveniente i tanti e diversi compiti derivanti da
una domanda crescente. Ma il il mutare degli eventi tra i
quali, fondamentale, il progresso della medicina, sempre
piu’ tecnologica, che richiede piccole unità superspecialistiche a organizzazione capillare, ha decretato una svolta
radicale nella struttura dei reparti generalistici. Oggi molti di voi che negli anni 80 iniziarono ad occuparsi di oncoematologia con grande entusiasmo ma con le conoscenze
ed i mezzi d’ indagine di allora, sono a capo di importanti settori di una realtà che sotto la direzione del dottor Saverio Ladogana ha raggiunto il livello e il riconoscimento
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Era un venerdì sera e accompagnando Padre Pio alla sua
cella, raccolsi parole di sconforto, di amarezza. “Domani
pomeriggio, alle due, dobbiamo incontrarci per la decisione definitiva. Ma io come faccio? Ti ricordi 4 anni fa, quando ti mostrai la montagna e che ti dissi? Che era il luogo
che il Signore mi aveva mostrato e che lì doveva sorgere
l’ospedale …”. Poi vi fu in lui un cambiamento repentino,
mutò il tono della voce, divenne di comando. “Tu questa
sera parti subito, vai a Pescara, cerca di un ingegnere, un
certo Candeloro. Lui ha un progetto di ospedale, fatto da
un suo disegnatore. Fattelo consegnare e me lo porti. Prima delle due di domani, vedi di fare tutto in tempo”.
A mezzogiorno del sabato, quando il Padre scese al refettorio, io ero là, tra la folla che attendeva il suo passag-
gio. Mi guardò, la domanda negli occhi: gli feci cenno di
sì con la testa e gli passai il rotolo del progetto. Se lo mise
dentro la manica e stette a tavola con il braccio rigido, come ingessato, senza rispondere alle domande e alle battute dei confratelli. La sera mi raccontò l’incontro con Siviero: “Come ci siamo visti, gli ho detto subito: la ringrazio di cuore dell’incomodo che si è preso,, ma l’ospedale
sarà questo e sarà sulla montagna.”
La fede, dal piccone di don Peppino alla rivoluzione genomica, alle cellule staminali: e poi chissa? Difficile spiegare
i passi di questa avventura basandoci sulle sole coordinate del caso della necessità di una certa scienza.
La fede di Padre Pio, certa, incrollabile, ma insieme la sua
umanità tenera, disarmante.
Quando portavamo alla sua conoscenza la situazione di
qualche bambino affetto da tumore per il quale dai familiari veniva richiesta una preghiera ed una parola di speranza, dovevamo procedere con attenzione, scegliendo parole e momento giusti, perchè sapevamo quanto egli venisse coinvolto emotivamente fino alle lacrime, all’ ascolto della diagnosi.
Proprio nei giorni scorsi, scartabellando tra le mie vecchie carte ho rinvenuto uno scritto che lo testimonia. Non
è datato ma si riferisce ad un periodo successivo di qualche anno alla apertura della Casa del 1956.
La signora Maria Antonietta Sanvico, moglie di Mario,
uno dei tre fondatori della società Casa Sollievo della Sofferenza del 9 gennaio 1940, in un incontro con il Padre voleva raccomandargli una carissima amica di Perugia affetta da un tumore.
Vi leggo testualmente lo scritto.
Maria Antonietta aveva appena iniziato a parlare. “Padre,
una mia amica di Perugia....” quando il Padre l’ha interrotta: “Non dirmi che è colpita da quel male. Dimmi solo
che è grave. Non posso sentire quel nome, mi fa troppo
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male”. Singolarità di comportamento,
questa, del Padre, apparentemente indicativa di una ipersensibilità, ma poi? La maggior parte degli uomini, quando avverte un disagio così acuto nei confronti di realtà alle quali è posto di fronte, tende a isolarsi, a rimuoverle,
negando l’esistenza del problema. Il Padre, viceversa, solidarizza con la sofferenza di chi è colpito dal male, se ne
fa interprete e cireneo, ma nel contempo, opera con ogni
energia perché siano create le premesse per la sconfitta
del male nella casa da lui tenacemente voluta e volta alla
ricerca più avanzata.
Amici della Oncologia Pediatrica, scusatemi se vi ho rubato qualche minuto in più Non ho certo messaggi da lasciarvi e voi non ne avete bisogno. Un suggerimento questo sì, posso darvelo. Quando lo sconforto e la stanchezza
vi travagliano di fronte a qualche manifestazione più insidiosa del male che combattete ogni giorno, cercate di fare in voi un momento di silenzio e….. chissà mai, potreste forse ascoltare i colpi di piccone di don Peppino che
sfidano ancor oggi la grande montagna.
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Direzione Sanitaria
Corso di formazione ECM:
«Il Codice Deontologico: Quale relazione
tra Infermiere - Cittadino - Istituzioni»
ed economico, sia sul piano politico, dove sentiamo tutti i
giorni che la questione morale legata alla perdita dei valori della nostra società sta assumendo un peso sempre più
rilevante. In tutto questo, quindi, le considerazioni di natura etica non costituiscono un aspetto accessorio per le
professioni sanitarie, bensì una dimensione intrinseca alle stesse e tanto più in un’istituzione religiosa come la nostra, fondata da un Santo.
Umanizzare la Sanità, oggi, significa, in primo luogo, riportare il rapporto malato-medico-infermiere-tecnico operatore ad un dialogo fra persone fatto di ascolto, di rispetto,
di interesse o come ci è stato ricordato dall’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II nella Carta degli Operatori Sanitari nel 1994, quello che deve tornare ad essere un incontro tra una fiducia, quella del malato segnato dalla sofferenza e dalla malattia e una coscienza, quella dell’operatore che se ne fa carico.
Dott. Domenico Crupi
Direttore Generale IRCSS
I
A cura di Maristella Ferrara
I
l 24 novembre 2010, presso la Sala Convegni IV
piano di Casa Sollievo della Sofferenza, si è tenuto
l’evento formativo «Il Codice Deontologico: Quale
relazione tra Infermiere-Cittadino-Istituzioni», organizzato dalla Direzione Sanitaria (Servizio Assistenza
Diretta e Ufficio Formazione ECM) in collaborazione
con il Collegio Provinciale IPASVI di Foggia. Il convegno, che ha visto la partecipazione degli infermieri
della Casa, ma anche di numerosi infermieri provenienti da altre strutture ospedaliere e territoriali, si è
articolato in due sessioni: mattutina e pomeridiana. Il
Direttore Generale della struttura, Domenico Crupi, e
il Direttore Sanitario, Domenico Di Bisceglie hanno
aperto i lavori. Si sono, poi, susseguiti gli interventi
dei vari relatori: Annalisa Silvestro, Presidente FNC
IPASVI, Emma Martellotti, Capo Ufficio Stampa e
Comunicazione IPASVI ed Emanuela Turillazzi, Docente di Medicina Legale dell’ Università di Foggia. Hanno moderato l’evento Maria Soccorsa Cicilano, Responsabile SAD IRCCS, e Michele del Gaudio, Presidente Collegio IPASVI Foggia. Riportiamo di seguito
le sintesi dei vari interventi.
28
Mi rivolgo in maniera particolare a tutto il personale infermieristico e sanitario, affinché rifletta sul senso della
svolta che stiamo cercando di imprimere a Casa Sollievo della Sofferenza per cogliere le sfide del futuro e del
progresso.
Noi possiamo tornare anche soddisfatti dal nostro viaggio a Bruxelles, dove abbiamo spiegato al Commissario
Europeo per la Salute chi siamo, cosa facciamo e che cosa
vogliamo fare, però senza di voi sarà molto difficile realizzare questi progetti che hanno avuto un riscontro molto
positivo. Oggi, voi lavorate in una struttura che si sta ponendo al centro dell’attenzione nazionale ed internazionale per i suoi progetti di ricerca. Dobbiamo essere de-
w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
gni di queste cose, viverle, sentirle nostre.
Nel contesto del problema deontologico voi ponete il problema di rivendicare un ruolo nelle politiche delle scelte sanitarie, però, scusatemi, io vi invito a rivendicare un
ruolo nella dimensione etica del rapporto con l’ammalato, perché questo dà ulteriore valore alla vostra professione. Noi lavoriamo in una struttura che ha una missione
particolare; la nostra è la missione disegnata da un Santo, ma deve essere anche la missione di ogni struttura laica: la centralità della persona va declinata concretamente giorno per giorno.
E, allora, l’approccio deontologico è anche un approccio
essenzialmente etico oltre che professionale, perché oggi,
ormai, penso che tutti noi abbiamo acquisito l’importanza
dei rapporti tra malattia, relazionalità ed esiti della cura.
Mi permetto di fare questo richiamo: rivendicare la scelta
nelle politiche sanitarie, ma non tralasciare la dimensione
etica, umana e la centralità della persona.
Dott. Domenico Di Bisceglie
Direttore Sanitario
Quando la nostra attività si inserisce in un mercato mondiale, che è altamente connotato da caratteristiche molto vicine al mercato e molto lontane dall’etica, è possibile
che questo cominci a creare problemi. Si tratta di un confronto fra valori differenti, che danno luogo a comportamenti differenti.
Chi ha qualche anno in più della media, ricorderà che nel
1978 con la legge 833, abbiamo fatto un salto verso l’universalità delle cure. Il salto ha prodotto luci e ombre ma
sostanzialmente, poi, la medicina sociale si è mostrata incapace di mantenere un equilibrio sostenibile fra costi e
ricavi. Nel ’92, con la legge 502, sono state introdotte re-
Maria Soccorsa Cicilano
Responsabile SAD IRCCS
La presidente FNC IPASVI, Annalisa Silvestro, insieme agli altri
componenti del Collegio Provinciale della Federazione Nazionale,
analizzerà i rapporti tra la professione infermieristica, i cittadini e
le istituzioni sanitarie, alla luce del
nuovo Codice Deontologico, che è
stato appena novellato dalla professione nel febbraio 2009. Un Codice Deontologico è la colonna portante dell’esercizio professionale:
enuncia i valori, i principi, le finalità che sono alla base dell’agire del
gruppo dei professionisti, che lo esprime. Oggi, tra l’altro, tutte le professioni che operano nel “Sistema Salute”
si trovano a svolgere il loro mandato in una società in rapida trasformazione sia sul piano culturale, istituzionale
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Direzione Sanitaria
do tale da avvicinarsi sempre di più a quelle risposte che
il cittadino, la persona, appunto, si aspetta dagli infermieri. Questi principi devono animare non solo il comportamento professionale ma anche il comportamento personale, nella vita di ogni giorno, al di fuori di quella che è
l’attività professionale.
Annalisa Silvestro
Presidente FNC IPASVI
«Ruolo della professione nelle scelte Politiche e Socio Sanitarie»
gole diverse e terminologie diverse; abbiamo dovuto familiarizzare con parole quali efficienza, qualità, budget,
costi, benchmarking, reporting, ecc. Indubbiamente, da
un certo punto di vista si è trattato di una positiva innovazione culturale e terminologica ma quello che sottende
alla terminologia, cioè i valori, come si concilia con l’etica, la missione sociale e la deontologia? È facile definire
questi termini in modo scolastico, intesi come il rapporto tra obiettivi e risultati, il rapporto tra costi e benefici,
perché sono formule aritmetiche ed economisti che indiscutibili. Ma, dietro queste formule, oggi, si avverte l’esigenza di valorizzare alcuni altri significati. Esiste un valore etico dell’efficienza. Se efficienza nel mercato può
significare legittimamente perseguimento del profitto,
per noi che viviamo in questo ambiente, efficienza significa capacità di assistere al meglio tutti coloro che hanno bisogno di cure.
Dobbiamo, quindi, sintetizzare le regole produttivistiche con i valori deontologici ed etici. È questa la sintesi
che muove il progresso di questa istituzione. Cito Amartya Kumar Sen, economista indiano, che ha rivoluzionato i principi dell’economia dominante, lanciando la simbiosi tra etica ed economia, come chiave di sviluppo. Aggiungo inoltre che, se una classe dirigente, se una leadership non sono assolutamente coerenti fra ciò che esprimono nelle enunciazioni verbali con ciò che dimostrano
con i comportamenti, dopo un tempo più o meno lungo
falliscono. Ed è per questo che io esigo, da me stesso in
primis e da tutti i collaboratori, coerenza fra valori enunciati, programmi e comportamenti.
30
w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
Michele Del Gaudio
Presidente Collegio IPASVI di Foggia
Il codice deontologico è nato dagli infermieri. Chi ha partecipato ai lavori, in evoluzione dal 1999 fino al 2009, sa
benissimo che questo codice è nato dalla volontà di tutti, dalla partecipazione di tutti gli infermieri. Noi sappiamo che la persona, l’uomo, è al centro di tutte le nostre
attenzioni, è sempre stato e lo sarà. É la nostra missione
fondamentale: dare risposte adeguate alle persone, agli
individui, alla persona che ha necessità. L’infermieristica
è nata con questo spirito da sempre e senza nessuna distinzione nei confronti di chicchessia per quanto riguarda il credo religioso, politico e quant’altro. Noi, che stiamo vivendo come professionisti questa evoluzione notevole, sappiamo bene che ci viene richiesto di essere sempre più attuali e adeguati alle situazioni che cambiano.
Perciò riteniamo che l’infermieristica non possa essere
vissuta in maniera statica, come in passato, quando la nostra partecipazione all’interno dell’organizzazione sanitaria era piuttosto limitata. Per cui la nostra responsabilità come infermieri è proprio quella di essere adeguati, di
partecipare attivamente alle scelte ed ad orientare anche
la collocazione delle risorse economiche che ci vengono messe a disposizione. I principi di equità e di giustizia
sono elementi che fanno parte del nostro codice deontologico da sempre e valgono per tutti i livelli della professione: tutti, indipendentemente da quelle che sono le loro funzioni e responsabilità, devono partecipare in maniera significativa alle scelte dell’organizzazione, in mo-
Perché un nuovo codice deontologico? Nel 1999 l’avevamo ridefinito, novellato in stretta connessione con questo grande evento professionale, storico, giuridico, politico, che è stata la legge 42. Con la promulgazione di questa legge, noi ci siamo, finalmente, posti in una posizione
professionale assolutamente diversa da quella che avevamo prima. Fino al 1999, noi infermieri, con la nostra professione, vivevamo un grande paradosso: sin dal 1934,
con Regio Decreto del T.U. delle Leggi Sanitarie, eravamo definiti professione sanitaria, sì, ma ausiliaria. Nel
1999, con la legge 42, questo paradosso è stato superato e, finalmente, con una legge dello Stato Italiano si dice che gli infermieri esercitano una professione sanitaria
senza nessun altro aggettivo; essendo professionisti sanitari non hanno più il mansionario, esercitano quindi una
professione intellettuale, sono inseriti nella formazione
universitaria, hanno un campo di attività delineato da tre
elementi: il codice deontologico, il profilo professionale, i percorsi formativi. In realtà, ci siamo resi conto
che se nel 1999 avevamo superato un paradosso giuridico, continuavamo a mantenere, però, un paradosso professionale: all’infermiere veniva riconosciuta solo l’autonomia operativa mentre la definizione degli obiettivi e del
percorso che doveva fare l’assistito rimaneva in capo ad
un’altra professionalità, che era quella del medico. Anni
e anni di esercizio professionale impostato in questo modo non si riescono a superare grazie ad una legge dello
Stato. Credo che ancora una parte degli infermieri professionisti continui a pensare che il suo punto di riferimento è il processo diagnostico-terapeutico. In realtà, gli infermieri sono inseriti dentro un più ampio processo, che
è il processo di assistenza nel quale sono coinvolti medici, infermieri e altri professionisti. Tale processo è prevalentemente in mano agli infermieri, i quali contribuiscono alla realizzazione di una parte, ma gestiscono autonomamente, secondo il proprio costrutto disciplinare, tutta
la parte di assistenza di loro competenza.
Emma Martellotti
Capo Ufficio Stampa e Comunicazione IPASVI
«L’aspetto culturale quale stimolo per il miglioramento
Professionale»
Molti dei relatori hanno sottolineato l’importanza di concretizzare e valutare i risultati. Il ruolo della comunicazione, in questo caso, è di renderli disponibili e visibili.
Una volta realizzati i risultati è ovvio che c’è la necessità di
farli circolare all’interno della famiglia professionale, ma
anche nei confronti dell’opinione pubblica. La Presidente FNC IPASVI ha sottolineato l’importanza che ogni infermiere riveste nel comunicare lo sviluppo professionale nell’ambito del proprio esercizio professionale. Noi disponiamo di una forza di 368.000 comunicatori, che sono
dei megafoni, dei diffusori dell’informazione, ma accanto a questi, in una società che investe molto sulla comunicazione, è nostro dovere approcciare a questo ambito in
maniera professionale e utilizzarne tutte le potenzialità.
Nella società di oggi se non si comunica, si rischia di non
avere visibilità. Quasi tutti gli infermieri, almeno su una
questione, sono concordi: non sono soddisfatti dell’immagine che all’esterno viene riferita dai media a proposito
della loro professione. Di solito accusano i giornalisti di
trasmettere un’immagine spesso denigratoria e anacronistica degli infermieri. É, quindi, necessario riflettere sul
ruolo dell’aspetto culturale inteso come stimolo per il
miglioramento professionale, ma anche per il miglioramento dell’immagine che la professione trasmette di
sé e propone all’opinione pubblica e ai media.
Emanuela Turillazzi
Docente Medicina Legale Università di Foggia
«Aspetti Infermieristico-Legali»
Per sua stessa definizione, la deontologia è una disciplina
dinamica, in divenire, il cui oggetto è lo studio delle norme di comportamento specifiche delle professioni sanitarie. Questa disciplina include tre ordini di norme: norme morali, deontologiche, giuridiche. Non devono
in ogni modo essere confusi il concetto di deontologia
con quello di codice deontologico perché la deontologia, intesa come espressione dell’etica professionale, non
può essere tutta rappresentata in codici, i quali chiariscono e riportano ciò che espresso dal dibattito deontologico
in un dato momento storico. Le leggi italiane hanno persistentemente ignorato l’esistenza di codici deontologici delle professioni sanitarie fino a giungere, in tempi recenti, a chiari richiami sulla codificazione deontologica.
Tradizionalmente, esiste una piena autonomia tra deontologia e diritto, sia sul piano sostanziale che procedurale: la regola deontologica è una regola autonoma che non
assume i caratteri della norma giuridica; non è pertanto
suscettibile di applicazione diretta nei giudizi penali e civili e vige il principio dell’indipendenza dell’azione penale e civile e di quella disciplinare. In realtà, la prevalente
giurisprudenza è incline ad affermare che vi sia una netta separazione tra deontologia e diritto, esprimendo
la prima «precetti extragiuridici» o «regole interne alla categoria» che non assumono i caratteri della norma giuridica. In questo contesto, il concetto di responsabilità diventa l’ elemento centrale del codice deontologico, parallelamente al quale si snodano i concetti di azione e competenza: la prima intesa come obbligo di agire; la seconda come criterio e limite dell’azione, anche nei confronti
di altre categorie professionali.
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Direzione Sanitaria
Spina Bifida,
San Giovanni Rotondo
nuovo punto di riferimento
S
i è tenuto, dall’1 al 3 ottobre
a San Giovanni Rotondo,
presso il Centro di Accoglienza “Approdo”, il Convegno Nazionale delle
famiglie dei malati di spina bifida.
“LA QUALITA’
DEI SERVIZI
ALLA PERSONA
CON SPINA BIFIDA
IN ITALIA - Stato dell’arte
e prospettive future”
organizzato dall’A.Pu.S.B.I. (Associazione Pugliese Spina Bifida e
Idrocefalo) con il supporto di ACISB (Associazione Campana Idrocefalo e Spina Bifida) e di ASBI (Associazione Spina Bifida Italia).
Per la prima volta, l’evento è stato
inserito all’interno della Settimana
Nazionale della Spina Bifida, che è il
principale momento di sensibilizzazione in Italia su questa patologia inguaribile che colpisce colonna vertebrale e midollo spinale, e che per
dal 10 al 12 novembre scorso
a cura di Maria Pia Bellucci
la sua alta incidenza e per i suoi effetti invalidanti è di forte impatto sia
sociale che sanitario. Quest’anno la
campagna pubblicitaria presentava
lo slogan:
DIAMO A CHI È AFFETTO
DA SPINA BIFIDA
UN MONDO ALL’ALTEZZA
DEI SUOI SOGNI.
È stato un concreto momento di
confronto e scambio di esperienze
tra professionisti di Centri Spina Bifida, presenti sul territorio nazionale, competenti in interventi multidisciplinari, per rispondere alle richieste sia dei genitori, dei ragazzi, ed in
particolare degli adolescenti, al fine
di migliorare la loro qualità di vita.
Un occasione molto importante anche per le famiglie per incontrare
vecchi e nuovi amici desiderosi confrontarsi, conoscersi e scambiarsi
esperienze e consigli.
Considerando gli effetti invalidan-
ti della spina bifida ed il forte impatto sia sociale che sanitario, non si
può trascurare un problema così grave. In una nota, è stata indicata come struttura idonea, che risponde
ai nostri bisogni, l’IRCCS-Casa Sollievo della Sofferenza, per i risultati
di eccellenza raggiunti, ormai noti
nel centro/sud. In Casa Sollievo, la
prossima nascita di un centro per la
Spina Bifida e Idrocefalo può essere
considerato per le famiglie pugliesi
e dell’Italia meridionale un avvenimento “epocale”. Il centro sarà per
l’ospedale di Padre Pio, fiore all’occhiello per il miglioramento di professionalità e l’attuazione di progetti
simili in tutte le malformazioni rare;
l’ospedale diverrà un punto di riferimento per la Puglia e per tutta l’Italia centro meridionale dove finora
non esistono centri per la cura della
spina bifida. L’associazione supporterà il Centro di Spina Bifida al fine di
erogare prestazioni di qualità nell’assistenza e sostegno ai pazienti ed alle loro famiglie che vivono i problemi
legati a questa grave patologia.
Con l’aiuto di Casa Sollievo, sorgerà l’obbligo di continuare a lottare per affermare la dignità delle famiglie dei malati di Spina Bifida, per
tutelare il diritto alle cure appropriate per i pazienti, l’assoluta necessità
di un percorso di integrazione familiare, sociale, scolastica e occupazionale per le persone affette da questa
patologia.
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w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
il
19°congresso dellaSINV
D
al 10 al 12 novembre
scorso, a San Giovanni
Rotondo, si è svolto il diciannovesimo
congresso della Società Interdisciplinare NeuroVascolare (SINV)
organizzato dal suo segretario nazionale il dott. Vincenzo Inchingolo
della U.O. di Neurologia di “Casa
Sollievo della Sofferenza”. La SINV è
una Società scientifica nata nel 1992
che ha come scopo promuovere
l’ampliamento delle conoscenze sulle
malattie cerebrovascolari, riunendo
tutti quelli che, nell’ambito medicochirurgico, a vario titolo, e partendo
da diverse competenze e interessi, si
occupano operativamente di questo
tipo di patologia.
Il tema conduttore dell’evento è stato il ruolo che le diverse figure professionali devono avere per gestire
al meglio la patologia cerebrovascolare in tutte le sue fasi. Per questo
motivo, alcuni temi importanti della patologia sono stati trattati in collaborazione con le Società che rappresentano le diverse figure professionali. Sono intervenuti, infatti, autorevoli esponenti di diverse Società
scientifiche italiane del settore: SNO,
SINSEC, SIMEU, FADOI, SISET,
SIDV, ANIN.
Le giornate congressuali sono
state precedute da due corsi teorico-pratici: un corso per infermieri
sulla gestione del paziente con ictus
acuto e un corso di diagnostica vascolare ultrasonologica in ambito cerebrovascolare.
Sono intervenuti al congresso anche relatori di rilievo internazionale
come il prof. Pierre Amarenco di Parigi che ha illustrato la nuova classificazione degli attacchi ischemici transitori (i cosiddetti TIA) ed il prof. Pierre
Jean Touboul di Parigi che ha tenuto
una sessione teorico-pratica sulla misurazione dello spessore intima-media
delle carotidi. Nell’ultima giornata, il
prof. Carlos Molina, direttore dello
Stroke Center di Barcellona è intervenuto in videoconferenza per parlare dell’organizzazione dei Servizi
per l’ictus nella regione della Catalogna e della sonotrombolisi, un promettente trattamento dell’ictus acuto.
Il congresso ha anche ospitato la riunione organizzata dall’Associazione
Italiana Sclerosi Multipla e dalla
sua Fondazione in collaborazione
con la SINV stessa e la SINSEC (Società Italiana di Neurosonologia ed
Emodinamica Cerebrale), per la presentazione del protocollo sonologico
dello studio osservazionale di prevalenza della insufficienza venosa cerebrospinale cronica (CCSVI) nella sclerosi multipla e in altre malattie neurodegenerative, promosso e finanziato
dall’AISM con la sua Fondazione.
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Nel solco della volo
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Fondatore Padre Pi
per il futuro della
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Alpina
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Nuova ospitalità,
Nuova ospitalità,
degenze con standard di alta qualità e possibilità
di permanenza per gli accompagnatori
L 5 novembre scorso, come ogni anno, l’Associazione di Volontariato
«Solidarietà Alpina» ONLUS ha provveduto al trasporto di un carico
di mele del Trentino donato alla Casa di Riposo «Padre Pio».
L’associazione «Solidarietà Alpina» opera in molteplici settori che
possono essere divisi in tre principali aree di intervento: una relativa ai
progetti di sviluppo (nazionale e internazionale ) che realizziamo, l'altra
relativa alle varie attività che vengono promosse e svolte dall'associazione per la raccolta dei fondi a finanziamento dei progetti, ed infine la
terza che comprende le attività culturali promosse.
Nuova accoglienza
Nuova accoglienza
per visitatori, malati e pellegrini e nuovi spazi per i Gruppi di Preghiera
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e dalla medicina rig
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Nuova
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C
arissima Suor Giovannina, gli
anni compiuti sono traguardi
raggiunti. Sono un tempo avuto
in dono. Che il Suo tempo possa
scorrere sempre piacevolmente e ogni
traguardo raggiunto possa essere sempre
meraviglioso. Le auguriamo di trovare
sempre le parole giuste per scrivere le
Sue memorie. Di saper usare i colori del
cuore, mescolare bene e dosarli con intelligenza per dipingere ancora tanti altri
giorni, di saper vivere ogni emozione con
l’entusiasmo e l’umiltà che L’hanno sempre distinta, con l’animo di un bambino e
la saggezza di un adulto. Con il passare
degli anni ha invertito la rotta anche in
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affinchè possa cogliere ogni sfumatura
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affetto sincero che La abbracciamo con
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San Giovanni Rotondo, 1 dicembre 2010
S
criviamo questa lettera perché ci è giunta voce
che il corso di preparazione alla nascita, che da
anni le ostetriche di Casa Sollievo della Sofferenza organizzano a vantaggio delle future mamme,
a breve potrebbe non tenersi più per mancanza di un locale adatto. Questa cosa ci dispiacerebbe moltissimo.
Anche noi siamo diventati genitori da qualche mese ed
abbiamo partecipato al corso di preparazione. Che dire?
Grazie al corso, abbiamo acquisito la capacità di affrontare il lieto evento con la serenità con cui si va incontro alle
cose che ci sono già familiari. Il corso ha risposto in anticipo a numerosi dubbi, domande e paure che non avremmo potuto prevedere, ma che sarebbero inesorabilmente insorte al momento del travaglio, del parto, dell’inizio
dell’allattamento. Anche il ritorno a casa con la nostra
piccola bambina è stato per noi più facile, perché sape-
vamo già cosa
ci aspettava e
come dovevamo affrontare
le prime cure
della nostra
piccina. Un tempo queste cose si imparavano nelle famiglie. Oggi, in una società con meno figli e meno tempo,
non è più così. Riteniamo che questo corso sia una delle cose più utili che abbiamo fatto durante il nostro percorso per diventare genitori, consigliamo a tutte le future mamme (e anche ai papà) di farlo, e ringraziamo Casa Sollievo della Sofferenza per averci dato questa possibilità. E, soprattutto, ringraziamo coloro che per prime accolgono la vita: le ostetriche.
Marianna e Sascha
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senza provvedere anche la cuore e all’anima mia.
presso l’ufficio accoglienza pellegrini
Potrai:
Tu solo sei il medico che può curare
dell’Ospedale Casa Sollievo
della Sofferenza
Come
adottare
ogni sorta di male, e per questo io ricorro a Te,
a San Giovanni Rotondo
Adotta
unacellule staminali cerebrali:
Permio
maggiori
informazioni
sitoio possa uscire
Adotta
ancheanche
tu una tu
o più
Signore
e mio Dio.visita
Fa’ ilche
• combattere le malattie neurodegenerative che,
o
più
cellule
staminali
regalerai una speranza a migliaiacerebrali:
da questoleOspedale
ristabilito
www.adottaunacellula.org
Grazie alla tua donazione,
sarà possibile: di persone, sostenendo
distruggendo
cellule delpienamente
cervello, determinano
regalerai
una speranza
a migliaia
di persone,
la ricerca
per combattere
le malattie
neurodegenerative.
e
che
possa
ritornare
con
animo
nuovo
gravi menomazioni motorie e cognitive, fino alla morte,
•
produrre
le
cellule
staminali
cerebrali
umane
sostenendo
la
ricerca
per
combattere
Te lo chiedo
per lealle
qualimie
nonconsuete
esistonooccupazioni.
oggi terapie risolutive.
Puoi farlo:
per il trapianto nei pazienti
le malattie neurodegenerative.
per l’intercessione della Tua Madre Santissima
• effettuando un versamento online sul sito
e per la
Passione chelaturicerca
hai sofferto per me.
• finanziare
e promuovere
• acquistare attrezzature scientifiche per la ricerca
Come adottare
nza di un futuro
ne di persone in Italia e milioni nel mondo
colpite da una malattia neurodegenerativa.
le borse
di studio dI
cASA
SOLLIEVO
ADOTTA
• creare in Casa Sollievo della Sofferenza nuovi ambienti
UNACELLULA
dedicati alla ricerca e al trasferimento sull’uomo
www.adottaunacellula.org con carta di credito
Puoi farlo:
sulle cellule staminali cerebrali ed arrivare
nel più breve tempo possibile allo sviluppo
di terapie cellulari efficaci, favorendo
resente l’Arcivescovo Monsignor
Michele Castoro,
i figli dei soci del Circolo ricreatila sperimentazione
clinica sull’uomo.
P
vo di Casa Sollievo che si sono distinti per profitto nell’anno scolastico 2009/2010
sono stati premiati con• una
di studiodimessa
a disposizione dall’Amministradareborsa
una speranza
un futuro
oltreLa
uncerimonia
milione di di
persone
in Italia
epremi
milionisipuoi
nel
mondo
zione dell’Opera di Sana Pio.
consegna
dei
è svolta
nella
Oggi
fare
mattinata di domenica 12 dicembre
nella
sala
consegni
dell’Ospedale.
che sono
state
colpite
da una
malattia
neurodegenerativa.
per la ricerca!
• offrire borse di
molto
• con un versamento sul conto corrente postale
n. 6076382, intestato a Fondazione Casa Sollievo
effettuando- un
bonifico
per un valore
Opera
di Sanbancario
Pio da Pietrelcina
della Sofferenza
superiore ai 10 euro
Adotta una cellula
Per maggiori informazioni
il sito
sul C/C IT visita
89 W03067785
90000000000718
• effettuando una donazione in contanti
staminale cerebrale.
www.adottaunacellula.org
presso l’ufficio accoglienza pellegrini
Potrai:
dell’Ospedale
Casa Sollievo
con un versamento
sul della
contoSofferenza
corrente postale
n. 6076382,
Intestato a
a San Giovanni
Rotondo
Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza
• combattere le malattie neurodegenerative che,
- Opera
di San Pio dasarà
Pietrelcina
Grazie alla
tua donazione,
possibile:
distruggendo le cellule del cervello, determinano
gravi menomazioni motorie e cognitive, fino alla morte,
per le quali non esistono oggi terapie risolutive.
• finanziare e promuovere la ricerca
sulle cellule staminali cerebrali ed arrivare
nel più breve tempo possibile allo sviluppo
di terapie cellulari efficaci, favorendo
la sperimentazione clinica sull’uomo.
• dare una speranza di un futuro
a oltre un milione di persone in Italia e milioni nel mondo
che sono state colpite da una malattia neurodegenerativa.
86
effettuando un versamento online sul sito
• effettuando
un bonifico bancario
www.adottaunacellula.org
studio
per
giovani
ricercatori
per uncon
valore
cartasuperiore
di credito ai 10 euro sul
C/C IT89 W03067785 90000000000718
• produrre le cellule staminali cerebrali umane
per il trapianto
neiuna
pazienti
effettuando
donazione in contanti presso
l’ufficio
Accoglienzascientifiche
pellegrini dell’Ospedale
• acquistare
attrezzature
per la ricercaCasa
Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo.
• creare in Casa Sollievo della Sofferenza nuovi ambienti
dedicati alla ricerca e al trasferimento sull’uomo
• offrire borse di studio per giovani ricercatori
Per maggiori informazioni visita il sito
www.adottaunacellula.org
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800 Per
011
011 Tel. 366 6511656
w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
www.adottaunacellula.org
da malattie
neurodegenerative
Le patologie neurodegenerative
affliggono una larga parte
della popolazione e causano
un progressivo deterioramento
delle funzioni motorie
(tremori e movimenti incontrollati)
e cognitive (demenza).
Malattie come il Morbo di
Parkinson, Alzheimer
e Corea di Huntington sono
fra le più note e diffuse
ma anche patologie come
la Sclerosi Laterale Amiotrofica,
la Sclerosi Multipla, le Ischemie
Cerebrali e le Lesioni Spinali
causano grandi sofferenze
ai pazienti e ai loro famigliari
per la gravità dei sintomi e
il loro decorso progressivo
è gravemente invalidante
se non letale.
Solo di Sclerosi Mult
si ammalano
5 persone al giorno,
per un totale di 1.400
malati nel mondo
di cui 57.000 in Italia.
La Sclerosi Laterale
Amiotrofica colpisce
7.000 persone in Italia
con 3 nuovi malati ogn
persone ogni anno.
Infine, quasi 906.000
sono i malati di Alzhe
solo in Italia, con 96.0
nuove diagnosi all’an
Per queste ed altre m
neurodegenerative,
non esistono ancora
risolutive.
Grazie alla tua donazione, sarà possibile:
produrre le cellule staminali
cerebrali umane
per il trapianto nei pazienti
acquistare attrezzature
scientifiche per la ricerca
creare in Casa Sollievo della Sofferenza
nuovi ambienti dedicati
alla ricerca e al trasferimento sull’uomo
offrire borse di studio
per giovani ricercatori
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Gli appuntamenti dei Gruppi di Preghiera
CENACOLO SANTA CHIARA
Pellegrinaggio Abruzzo-Molise
San Giovanni Rotondo
Il Cenacolo «Santa Chiara», donato dai coniugi Terzaghi
alla Casa Sollievo della Sofferenza, è a disposizione di chi
vuole partecipare ai corsi di esercizi spirituali e ai ritiri, e di
chi intende trascorrere momenti di spiritualità nei luoghi
di Padre Pio. La Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza
gestisce il Cenacolo direttamente con le Suore del Bambin
Gesù. Direttore spirituale è padre Marciano Morra.
37 camere con 70 letti, sala mensa con 100 posti,
cappellina, cappella grande, sala convegno.
Via San Salvatore, 13- San Giovanni Rotondo
Tel. 0882.456645/456305 - Fax 0882.456645
domenica - 27 marzo 2011
«In ascolto della voce del Signore»
PROGRAMMA
10.00 Accoglienza - Adorazione Eucaristica
Saluto di
Padre Francesco Colacelli Ofm cap.,
Ministro Provinciale Cappuccini Provincia Sant’Angelo e Padre Pio
CENTRO DI ACCOGLIENZA SANTA MARIA DELLE GRAZIE
A pochi passi dal viale Cappuccini, e a poche decine di metri
dal santuario. Comodo per parcheggio pullman e auto. 217
posti in camere da uno o due letti, tutte con bagno. Salone
per convegni. Cappella con Eucarestia. Ampia sala ristorante.TV. Spaziosa hall. Bar interno. Gestito dal­l’Opera di Padre
Pio, diretto dalle Suore Convittrici del Bambin Ge­sù (di San
Severino Marche). Aperto tutto l’anno a quanti vogliono
vivere spiritualmente il soggiorno nei luoghi di Padre Pio.
12.00 Concelebrazione presieduta da
S.E. Mons. Giancarlo Maria Bregantini
Arcivescovo di Campobasso-Boiano
Saluto di
S. Ecc. Mons. Michele Castoro
Arcivescovo di Manfredonia-Vieste -San Giovanni Rotondo e Direttore Generale Gruppi di Preghiera
La Via del Calvario
Tel. (0882) 454621622 456031- 456586
Fax 0882.413282
LE AZIENDE DI SUSSISTENZA PER L’OSPEDALE DI PADRE PIO
«Calderoso» ai piedi del Gargano e
«Posta la Via» in località Amendola
nel Tavoliere delle Puglie, assicurano
Incontro di Preghiera
dei Gruppi dell’Italia Centrale
Loreto - Santa Casa
Giovedì - 5 maggio 2011
«Il Signore è l’unico vero bene»
PROGRAMMA
Basilica:
Accoglienza; Confessioni
10.00 Adorazione Eucaristica
11.00 Concelebrazione Eucaristica
all’Ospedale il fabbisogno giornaliero
di prodotti genuini: olio, carne, latte,
latticini e formaggi.
La produzione in eccesso viene collocata sul mercato presso gli spacci
aziendali siti a San Giovanni Rotondo
in località Amendola presso l’Azienda Agricola «Posta la Via» e in viale
Cappuccini n. 168 e in viale Padre
Pio n. 6.
Il Poliambulatorio
Giovanni Paolo II
CON IL REPARTO DI
PEDIATRIA ONCOLOGICA
Centro unico
prenotazioni ambulatoriali
Tel. 0882.416888
Prelievi di sangue
e consegna dei campioni biologici
Si effettuano senza prenotazioni
presso sale prelievi Tel. 0882.416405
Casa
Zeni
Situata di fronte al Poliambulatorio “Giovanni Paolo II”, Casa Zeni
è una struttura di accoglienza destinata alle famiglie dei piccoli
degenti ricoverati in Pediatria Oncologica. È fornita di 12 stanze
climatizzate dotate di ogni comfort, più una sala giochi e uno spazio comune di intrattenimento. Il servizio è totalmente gratuito. Per
informazioni e prenotazioni rivolgersi direttamente presso il reparto di Pediatria Oncologica.
12.15 Sala Pomarancio:
Incontro con i direttori spirituali e i capigruppo
88
L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0
89
c o n tat t i c o n l’ O p e r a
PER AIUTARE
Ospedale (centralino)
Tel. 0882.4101
Centro unico
prenotazioni ricoveri
Tel. 0882.416606 fax 0882.416326
Direzione Generale
Tel. 0882.410536 fax 0882.459734
[email protected]
Direzione Sanitaria
Tel. 0882.410261 fax 0882.410813
[email protected]
Direzione Scientifica
Tel./fax 0882.410346
[email protected]
Direzione Amministrativa
Tel. 0882.410292 fax (webfax) 0881.350033
[email protected]
Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP)
Tel. 0882.410389
[email protected]
Ufficio Stampa
Tel. 0882.410531 fax (webfax) 0881.350030
[email protected]
Visite dei parenti
Orari
Sante Messe e Rosari
Cappella del 2° piano
Giorni feriali: 8,00 Messa
Giorni festivi: 8,00 Messa; 17,00 Rosario; 17,30 Messa
CAPPELLA DEL 3° PIANO
Giorni feriali: 6,10 Messa; 19,00 Rosario; 19,30 Messa
Giorni festivi: 9,30 Messa; 11,00 Messa; 19,00 Rosario;
19,30 Messa
Confessioni
I Cappellani ogni giorno (salvo imprevisti) sono disponibili per le confessioni nella Cappella del 3° piano o nella Sagrestia attigua dalle 16,30 alle 19,00.
Mattina dalle 8,30 durante la visita nei Reparti.
w w w. o p e r a p a d re p i o. i t
Come AIUTARE L’OPERA DI PADRE PIO
Contatti
Contatti
Come contattare l’Opera di Padre Pio
L’OPERA DI PADRE PIO
Le visite da parte dei parenti e amici avvengono nel rispetto degli orari stabiliti per l’ingresso libero, sia nei
giorni feriali che festivi
ingresso libero: dalle 13,00 alle 15,00
INGRESSO SERALE con PERMESSO:
dalle 19,00 alle 20,00 (nel periodo dal 1° ottobre al 30 aprile);
dalle 19,30 alle 20,30 (nel periodo dal 1° maggio al 30 settembre).
90
Strada Provinciale 26, km 8 - Borgo Celano (Fg) - APERTI: venerdì cena, sabato pranzo e cena, domenica pranzo
Per info e prenotazioni: 0882 450910 • 348 7638937 e mail: [email protected]
Si può contribuire
agli sviluppi dell’Opera di Padre Pio
inviando offerte per le seguenti finalità:
- Offerta libera
- Riorganizzazione dell’Ospedale
- Pediatria oncologica
- Apparecchiature sanitarie
- Ricerca scientifica
- Case di Accoglienza
- Stellina
- Letto
- Abbonamento alla Rivista
Accensione di una stellina € 20,00
Intestazione letto € 180,00
Per i versamenti dall’Italia
C.C.P. n. 2717, intestato a
Casa Sollievo della Sofferenza
71013 San Giovanni Rotondo (FG)
Accredito postale:
presso Bancoposta Codice IBAN: IT85 Q076 0115 7000 0000 0002 717
Accredito bancario: Conto n. 22
presso la Banca CARIME filiale di San Giovanni Rotondo
Codice IBAN: IT31 O 030 6778 5900 0000 0000 022
Per qualsiasi informazione e offerta con carta
di credito telefonare al n. 0882.410339
Sull’altopiano che degrada dolcemente verso il Tavoliere, in agro di San Marco in Lamis, è situata la bellissima Masseria
Calderoso. La sua elegante architettura rurale, propria delle masserie fortificate pugliesi, risalente al ‘700, è circondata
dalla quiete del suo immenso uliveto. Un prezioso olio extravergine di oliva, ottenuto in regime di agricoltura biologica,
ne è il suo naturale prodotto, che assieme ai formaggi, latticini e carni dell’azienda Posta La Via, assicurano in maniera
ininterrotta dal 1956 prodotti alimentari di alta qualità agli ammalati della Casa Sollievo della Sofferenza.
Da oggi, il fascino e la storia della Masseria Calderoso si aprono al pubblico. Con le ricette tradizionali, i prodotti delle
nostre Fattorie ed i menù dettati dalle stagioni, vi accoglieremo in uno dei luoghi più incantevoli del Gargano.
Per i versamenti dall’estero
Accredito postale:
presso Bancoposta Codice IBAN: IT03 K07601 15700 0000 71545529
Codice BIC: BPPIITRRXXX
Accredito bancario: Conto n. 22
presso la banca CARIME
filiale di San Giovanni Rotondo intestato alla Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza
Codice IBAN: IT31 O 030 6778 5900 0000 0000 022
Codice BIC: CARMIT31218
C.C. postale per la Svizzera:
Bellinzona n. 65-2411-2
Per qualsiasi informazione e offerta
con carta di credito telefonare al numero telefonico
0882.410339
Le offerte per le Messe
Dal 1° gennaio 2002 l’offerta minima per la celebrazione
di una santa Messa è stata fissata dalla CEP (Conferenza
Episcopale Pugliese) in Euro 10,00.
Per i benefattori dell’Opera
Dal 1980, ogni mese viene celebrata in Casa Sollievo una
santa Messa per tutti i benefattori dell’Opera di Padre
Pio. Di solito si celebra il primo venerdì del mese.
segreteria pellegrini
I gruppi di preghiera che desiderano visitare l’Opera
di Padre Pio possono preventivamente rivolgersi al
numero telefonico 0882 410202.
CASA RESIDENZA
PER ANZIANI
IL CENTRO GRUPPI
DI PREGHIERA
L a Casa «Padre Pio» Residenza per anziani, ubicata lungo il viale Cap­puccini, a circa duecento metri dal convento e dall’ospedale, è corredata di tutti i servizi necessari per i suoi ospiti.
Il Centro Gruppi di Preghiera è il perno centrale e unico di tutti i gruppi di preghiera di Padre Pio, in Italia e
all’Estero. Ubicato sul viale Cappuccini, dispone di libri
e videocassette su Padre Pio e di oggettini devozionali.
Si possono inoltre fare abbonamenti alla Rivista della
Casa Sollievo della Sofferenza e lasciare contributi per
lo sviluppo dell’ospedale di Padre Pio.
Tel. 0882/413080-419489
Fax 0882/419471
[email protected]
Tel. 0882.410252/410486 Fax 0882.452579
[email protected]
«
«Nulla è a Lei superiore nel creato,
ma tutto Le è sottoposto
per grazia di Colui che la creò Immacolata...»
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