LA CASA LA CASA - IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza
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LA CASA LA CASA - IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza
U FFI C IA L E DEI GR U PPI DI PREGHIERA e d e ll ’ o p e r a di san pio LA CASA Sollievo della Sofferenza La Casa Sollievo della Sofferenza • Organo Ufficiale dei Gruppi di Preghiera e dell’Opera di San Pio • Redazione e Amministrazione: 71013 San Giovanni Rotondo • Sped. in a.p. Art. 2 Comma 20/C. Legge 662/96. Foggia CPO • € 4,00 ORGANO ANNO LXI DICEMBRE 2010 Concluso il Master di II livello in “Bioetica e medicina centrata sul paziente” 50 anni dalla morte Ricordando il dottor Kisvarday w w w.o pe r a padre pio. it L’omaggio floreale all’immacolata di piazza di spagna Casa Sollievo della Sofferenza Organo Ufficiale dei Gruppi di Preghiera e dell’Opera di San Pio •Supervisore S. E. Monsignor Michele Castoro •Direttore Editoriale Domenico Crupi •Direttore Responsabile Giulio Michele Siena •Comitato di Redazione Domenico Di Bisceglie, Michele Giuliani, Giuseppe Gusso, Lucia Miglionico, padre Marciano Morra, Maria Antonietta Ricciardi, Pio Trombetta, Angelo Vescovi •In Redazione Maria Pia Bellucci, Maria Rosa Comparato, Bruno Corzani, Maristella Ferrara, Michele Martino, Pierina Roversi. •Hanno collaborato Giovanni Chifari, padre Leonardo Triggiani, padre Enzo La Porta, Don Michele Nasuti, Luciano Modugno, Paolo Comparato, Michele Miglionico, Concetta Spadaro, Nicola Fiorentino, Loreta Sanpaolo, Feliciana Fiore. •Coordinatore di Redazione: Bruno Corzani 34 50 60 •Responsabile fotografia e grafica: Michele Martino •Fotografie: Archivio Casa Sollievo della Sofferenza, Michele Martino. Registrazione Tribunale di Foggia N° 19 del 10-10-1949 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2 Comma 20/C, Legge 662/96. •Progettazione, impianti e stampa: Grafiche Grilli srl - 71121 Foggia Via Manfredonia Km 2,200 Tel. 0881.568040-568034 66 Questo numero è stato chiuso in Redazione per la stampa il 15 dicembre 2010 Tiratura 50.000 copie Abbonamenti alla Rivista Ordinario € 25,00 Sostenitore € 50,00 Benemerito € 100,00 In questo numero 20 La 03 06 08 20 Editoriale L’OPERA DI SAN PIO L’onorificenza del Governo albanese L’ottavo premio Bonifacio VIII SPIRITUALITÀ DIREZIONE SANITARIA Concluso il Master di II livello in “Bioetica e Medicina centrata sul paziente” 34 38 40 44 LA PEDIATRIA 50 60 Ricordando Carlo Kisvarday di Paolo Comparato 62 66 A COLLOQUIO CON PADRE MARCIANO 72 80 82 84 88 Il Convegno della Diocesi di Noto Il recital di Natale dei bambini La Casa Sollievo al Festival dell’Innovazione LA BORSA DEL TURISMO RELIGIOSO LETTERE DAL GARGANO Mistici: Angela e le altre di Gherardo Leone DON TONINO BELLO La spiritualità del servizio e della condivisione di Giovanni Chifari Natale: un presepio senza Gesù Bambino? GRUPPI DI PREGHIERA L’omaggio floreale all’Immacolata di Piazza di Spagna L’avvocato Berardino Tizzani di Don Michele Nasuti COSì CI SCRIVONO NOSTRE INFORMAZIONI GLI APPUNTAMENTI DEI GRUPPI DI PREGHIERA 15:07 Pagina 1 LULA molto e d i to r i a l e LA CASA Sollievo della Sofferenza RETRO COPERTINA COPERTINA 06 Recapiti della Rivista Come adottare Redazione Adotta anche tu una o più cellule 170 staminali cerebrali: Villa Kisvarday, viale Cappuccini regalerai una speranza a migliaia(Fg) di persone, sostenendo 71013 San Giovanni Rotondo la ricerca per combattere le malattie neurodegenerative. Tel. 0882.410940 Fax 0882.411273 Puoi farlo: E-mail: [email protected] NATALE luce nel cammino di ricerca della verità a servizio dell’uomo e della vita L L e recenti vicissitudini mediatiche evidenziano bene lo stato di disagio dell’uomo postmoderno, che nella sua affannosa ricerca della verità, mentre da un lato manifesta il desiderio di colmare quel vuoto di senso e bisogno di assoluto connaturale alla sua dimensione antropologica, dall’altro non sembra sfuggire alla suggestione di farla coincidere con ciò che è parziale, frammentario, a volte anche unilaterale. La lezione della storia globale ci mostra che far coincidere la verità con un idea ha sempre comportato amari fallimenti, e come la stessa negazione di Dio si sia tradotta nell’eclissi dell’uomo. Oggi la verità sembra abitare in tante idee, che divengono tante antropologie e tante rispettive etiche, dipingendo un quadro di scetticismo e relativismo etico e culturale. Una di queste tendenze, apparentemente condivise da una certa linea di pensiero, ama definire il senso della verità e della vita, in particolar modo, quella travagliata dal peso della sofferenza e della malattia, a partire dall’autonomia e dall’autodeterminazione del soggetto che, nell’esercizio supremo del valore della propria libertà, troverebbe la riconciliazione con la verità, anche se il frutto di tale scelta determina derive abortistiche ed eutanasiche. • effettuando un versamento online sul sito www.adottaunacellula.org con carta di credito • effettuando un bonifico bancario per un valore superiore ai 10 euro sul C/C IT89 W03067785 90000000000718 • con un versamento sul conto corrente postale n. 6076382, intestato a Fondazione Casa Sollievo 87 Oltre un milione di persone in Italia sono afflitte da malattie neurodegenerative L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 3 In questo orizzonte culturale, vogliamo accogliere le parole che Benedetto XVI ha voluto rivolgere a tutti gli organi di stampa cattolici, esortandoli a «servire con coraggio la verità, per aiutare l’opinione pubblica a guardare e a leggere la realtà da un punto di vista evangelico»,1 e a «promuovere una cultura della vita». 2 In quanto rivista dal profilo scientifico e dall’indole cattolica, che cerca di coniugare scienza e fede, tecnica e preghiera, ricerca e sapienza, servizio ed amore, ci sentiamo particolarmente interpellati dall’invito del Santo Padre. Accogliere la prospettiva del vangelo per quanto concerne tematiche così delicate, che riguardano l’uomo nella sua integralità, significa aprirsi ad un itinerario discepolare centrato sul discernimento, operazione nello Spirito e dello Spirito che presiede alla testimonianza del cristiano. Non abbiamo bisogno di alzare i toni o la voce, ma semplicemente sul piano della spiritualità cristiana scommettere sul valore e sulla testimonianza di quel silenzio orante, che scaturisce dalla forza della preghiera; mentre dal punto di vista culturale presentare quelle “ragioni della fede” che «hanno pieno diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico». Intendiamo adempiere a tale compito valorizzando quella mission che promana dal carisma di Padre Pio, memoria che abbiamo ricevuto affinché possa continuare a tradurre una profezia per l’oggi. In san Pio essa è cristologicamente fondata. La verità per l’umile Frate non è un’idea ma una Persona. Lui è il medico, ma anche l’ammalato (cf. Mt 25). Questa esperienza ci invita a leggere la realtà a partire da quella opzione preferenziale per gli ultimi, facendoci poveri e servi di tutti come il bimbo che nasce nella grotta di Betlem. Gesù non inizia poi il suo ministero volgendo lo sguardo ai poveri e agli ammalati, ai deboli e ai soli, agli emarginati e agli oppressi? Non siamo in presenza della stessa carità che ispira in san Pio l’intuizione profetica della Casa? Servire l’uomo, significherà accogliere il peso della sua sofferenza, cercando di sollevarlo con l’Amore e la cura, con la preghiera e con una scienza orientata alla sua vocazione di servizio all’uomo, la cui vita, nell’orizzonte della resurrezione è pur sempre bene penultimo. La Casa Sollievo della Sofferenza e il Centro Gruppi di Preghiera di Padre Pio porgono a tutti gli amici e benefattori gli auguri per un Santo Natale e un Anno Nuovo pieno di grazie e benedizioni. 1 Benedetto XVI, Discorso alla Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici, 26 novembre 2010. 2 Benedetto XVI, Omelia per i Primi Vespri della I Domenica di Avvento. All’interno della “Veglia di preghiera per la vita nascente”, 27 novembre 2010. “Perché l’esperienza della sofferenza sia occasione per comprendere le situazioni di disagio e di dolore in cui versano le persone sole, gli ammalati e gli anziani, e stimoli tutti ad andare loro incontro con generosità”. È questa l’intenzione generale di preghiera proposta per il mese di dicembre dal Santo Padre Benedetto XVI contenuta nella lettera pontificia affidata all’Apostolato della Preghiera, una iniziativa che conta circa 50 milioni di persone nei cinque continenti. 4 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t «Gesù Bambino apporti al tuo cuore quella pace da te tanto desiderata, la sua stella rifulga sempre di nuova luce al tuo intelletto, il suo amore incenerisca sempre più il tuo e lo faccia alla fine palpitare tutto per lui». DOMENICO CRUPI S. E. Mons. Michele Castoro Vice-Presidente della Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza Arcivescovo Presidente della Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza Direttore Generale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio L’onorificenza del Governo albanese per l’assistenza sanitaria prestata ai bambini albanesi Anagni, il 5 dicembre scorso L’ottavo Premio Bonifacio VIII al dottor Domenico Crupi Tra i premiati anche la Casa Sollievo della Sofferenza con il direttore Domenico Crupi NICOLA FIORENTINO I pa zienti Albanesi in Casa Sollievo della I l dottor Crupi, Direttore Generale della Casa Sollievo della Sofferenza, è stato insignito dell’Onorificenza della Repubblica Albanese durante una cerimonia ufficiale sabato 20 novembre, nell’aula “Salviati” dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma. A consegnare il premio – per l’impegno della Santa Sede e dell’Italia a favore della salute dei bambini albanesi – è stato il presidente della Repubblica Albanese Bamir Topi in visita ufficiale. La cerimonia – svoltasi in presenza di numerose personalità del mondo diplomatico italiano, vaticano e albanese – ha insignito con l’onorificenza del governo albanese, oltre al dottor Crupi, anche il prof. Giuseppe Profiti, presidente del Bambin Gesù, Giuseppe De Simone, Responsabile Coordinamento Missioni Internazionali del Bambin Gesù, Giovanna Leo, Presidente dell’associazione Peter Pan e il cardiochirurgo Vittorio Vanini. _ Sofferenza Sono 742 i pazienti residenti in Albania che negli ultimi 10 anni sono stati assistiti presso l’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza. Di questi la maggior parte, quasi il 80%, arrivano nel nostro ospedale per interventi di tipo chirurgico, i rimanenti vengono sottoposti a degenze e a cure di tipo medico. Per quanto riguarda la composizione anagrafica, più del 70% di questi assistiti sono maggiorenni. Proprio nei mesi scorsi - come ampiamente trattato dall’articolo di Antonio Lo Vecchio nel numero Luglio-Agosto – vi abbiamo raccontato la storia dei piccoli Ignasio e Valton, entrambi giunti a San Giovanni Rotondo in precarie condizione di salute e prontamente accolti dal reparto di Urologia Pediatrica. Nel caso del piccolo Valton - privo di permesso di soggiorno e quindi impossibilitato a ricevere la fornitura periodica dei cateteri - il reparto si è prontamente attivato anche per raccogliere fondi necessari a garantirgli almeno una fornitura trimestrale. C ardinali, arcivescovi, vescovi, ambasciatori, politici e magistrati, hanno chiuso l’ottava edizione del Premio Bonifacio VIII nazionale ed internazionale, anch’essa contraddistinta dall’alto livello culturale e sociale, che ormai dal 2003, evidenzia l’evento dell’anno dell’Accademia Bonifaciana. Ospiti ed insigniti d’eccezione, quindi, che si sono alternati a ritirare la nota scultura del maestro Egidio Ambrosetti, che raffigura solennemente il profilo del papa anagnino, ideatore del primo anno santo della storia della cristianità. Per il mondo scientifico e sociale il «Bonifacio» internazionale è andato al direttore generale e legale rappresentante della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, il professor Domenico Francesco Crupi per le sue qualità morali, professionali e dirigenziali. Il dottor Crupi ha ringraziato e dedicato il conferimento a tutti i collaboratori dell’Opera di San Pio da Pietrelcina e degenti di Casa Sollievo, donando al presidente De Angelis, alcune pubblicazioni inerenti l’opera stessa ed ha presentato brevemente l’iniziativa “Adotta una cellula”. “Sono convinto che la Bonifaciana possa essere un’eccellente interprete dell’esortazione che fece nel 2003 Papa Wojtyla a far si che questo Premio diventi il segno di una vera cultura della Pace” ha detto il Cardinale Marchisano (già Vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente emerito della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa). Erano presenti alla manifestazione anche Walter Brundmuller (già Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, fresco di porpora cardinalizia e la cerimonia della Bonifaciana è stata la prima uscita fuori Roma), gli Arcivescovi: l’Ordinario Militare per l’Italia Vincenzo Pelvi e il Gran Priore dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme Franco Croci, il Vescovo di Locri-Gerace Giuseppe Fiorini Morosini, accolti dal Vescovo diocesano monsignor Lorenzo Loppa, ed ancora gli Ambasciatori del Kosovo e dell’Austria in Italia Albert Prenkaj e Christian Berlakovits, il Deputato Questore della Camera dei Deputati Antonio Mazzocchi, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Ita- liano Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Valotto, il Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ilva Sapora ed il Ministro della Difesa della Repubblica di Albania Arben Imami, solo alcuni nomi per sottolineare il grande parterre di Autorità civili, religiose e militari, che hanno accolto l’invito del Presidente dell’Accademia Bonifaciana Sante De Angelis, degli Enti Patrocinatori e del Comitato Scientifico a presenziare a quest’evento, giunto all’ottava edizione. _ l’operadisanpio l’operadisanpiol’operadisanpio 6 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 7 s p i r i t ua l i t à I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi La relazione del dottor Domenico Crupi, Vice Presidente della Casa Sollievo della Sofferenza Il 27 novembre scorso a San Severo (Foggia), nel salone delle Opere Parrocchiali «Madonna della Divina Provvidenza», si è tenuto un seminario in preparazione al Terzo Convegno Ecclesiale Regionale previsto a San Giovanni Rotondo dal 28 aprile al 1° maggio 2011. Nel seminario si è approfondito il tema: «Il ruolo culturale, sociale e politico dei laici». I nizierei questa conversazione cercando di declinare, da subito ed in modo non equivoco, in che cosa debba consistere il ruolo culturale, sociale e politico dei laici, con l’obiettivo di cercare un comune denominatore a prescindere dalle contingenze storiche, dai diversi ambiti e dalle diverse modalità in cui può esprimersi un ruolo. A tale scopo farò ricorso alla lettera apostolica “Octogesima adveniens” di Sua Santità Paolo VI: “Oggi più che mai la parola di Dio non potrà essere annunciata ed ascoltata, se ad essa non si accompagna la testimonianza della potenza dello Spirito Santo, che opera nell’azione dei cristiani posta al servizio dei fratelli, proprio su quei punti dove sono in gioco la loro esistenza ed il loro avvenire”. L’esigenza di una nuova evangelizzazione porta la Chiesa a comprendere, come afferma Sua Santità Gio- vanni Paolo II, nella Lettera Enciclica Centesimus Annus, “che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna”. È spiegabile in tal senso l’insistenza e la pressante spinta da parte della Chiesa tesa a incoraggiare l’impegno dei cristiani a testimoniare con spirito di servizio il Vangelo in campo sociale, non disgiunto, anzi preceduto dall’aiuto a cercare e scoprire la verità e la retta via da seguire. Credo che questo rapporto consequenziale del compito pastorale sia compiutamente espresso da Monsignor Renna nella sua lettera pastorale “Al servizio di Dio e del popolo”: “La testimonianza del cristiano non consiste soltanto nell’annunciare il Vangelo di Cristo, ma incarnando uno stile di vita articolata sulla vita di Cristo. Si annuncia più con la fede vissuta che professata! Il cristiano deve, quindi, conoscere bene il Vangelo e sforzarsi di viverlo: allora il suo annuncio avrà valore e rilevanza di testimonianza”. Ed è umanamente illuminante la lettura dei paragrafi che seguono tale brano, ovvero quelli in cui si tracciano appunto i contenuti della testimonianza personale e comunitaria: “Nella propria famiglia, nel proprio ambiente sociale e di lavoro il cristiano deve poter testimoniare Cristo, cioè irradiare la forza del Vangelo della salvezza, con la credibilità di opere e azioni veramente ispirate alla fede”. Tra i vari possibili approcci al tema, ho voluto subito porre l’accento sull’impegno inteso come testimonianza operativa, non solo perché è una costante del magistero, ma perché credo che non sia più ulteriormente differibile la ricerca e possibilmente l’individuazione del- le cause di questa dissolvenza dei valori cristiani nella società in cui viviamo, di questa possibile ed accettata dicotomia tra etica pubblica ed etica privata, di questo incepparsi della cinghia di trasmissione tra valori dichiarati e comportamenti praticati. Senza indulgere in qualunquistiche semplificazioni e affidando alla sapienza pastorale la ricerca delle cause più profonde, da rinvenire forse in quella fase complessa della formazione cristiana, della spiritualità e del rinnovamento interiore, che costituiscono il presupposto dell’impegno del fedele laico, mi limito ad individuare tra le probabili/possibili cause l’assenza appunto di testimoni veri nei diversi ambiti della vita sociale, nei quali ognuno di noi è chiamato ad operare, in spirito di servizio, di carità e di giustizia. A mio avviso vi è una ulteriore causa ancora più grave, per piritualitàspiritualitàspiritualitàspiritualit 8 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 9 alcuni versi, della nostra incapacità di testimoniare il Vangelo: è la solitudine, nella quale spesso lasciamo coloro che, operando in ambiti complessi, “esprimono la verità della loro fede e nello stesso tempo la verità della dottrina sociale della Chiesa, che trova la sua piena realizzazione quando è vissuta in termini concreti per la soluzione dei problemi sociali”. Per non parlare del silenzio che questa società, più propensa a parlare del nulla e dell’effimero, riserva a quei testimoni del Vangelo che, per esempio, in queste notti di freddo girano per le nostre città ad assistere i diseredati e gli emarginati, che adottano solo bambini diversamente abili, che già preparano il pranzo di Natale nel caldo accogliente delle nostre Chiese, per le migliaia di persone, respinte dall’egoismo ed espulse dalla società del cosiddetto benessere. Non sono loro che reclamano visibilità per la loro testimonianza, ma sono questi i modelli da proporre alle nuove generazioni, evitando che anche noi cristiani li oscuriamo, relegandoli nelle seconde file, mentre spesso riserviamo le prime agli atei devoti o agli occasionali e distratti frequentatori di processioni e di celebrazioni liturgiche. È questa una forma di testimonianza, anche se un tale modo di esprimermi può non apparire ispirato alla prudenza, ossia alla riflessione, alla valutazione e al discernimento, che deve sempre assistere anche il dire del fedele laico. A maggior ragione la prudenza deve accompagnare l’agire nelle realtà temporali proprie del vivere umano e quindi: famiglia, impegno professionale in ambito lavorativo, scienza e ricerca, cultura, economia, politica. L’attuale momento si caratterizza per istituzioni, strutture - o qualsivoglia altra realtà secolare - che sono, che appaiono o vengono percepite sempre di più come strumenti asserviti agli interessi individuali o di gruppo e quindi in rotta di collisione con l’etica del bene comune proprio della dottrina sociale della Chiesa. In questo contesto, l’agire, il decidere costituiscono il momento rivelatore e qualificante, a volte interiormente drammatico, di un impegno e di una testimonianza. San Tommaso D’Aquino osservava che il bene morale, essendo una realtà pratica, lo conosce primariamente non chi lo teorizza, ma chi lo pratica: è lui che sa riconoscerlo e quindi sceglierlo con certezza tutte le volte in cui è in discussione (brano tratto da: “L’etica del bene comune” di S.E.R. Card. Tarcisio Bertone). Se è connaturale all’etica del bene comune il collocarsi nella prospettiva della persona che agisce, (Veritatis Splendor) e non nella prospettiva neutra e tantomeno distaccata dello spettatore imparziale, sono certo che non vi apparirà esagerato l’aver definito drammatico il travaglio interiore di chi deve necessariamente decidere, anche nella consapevolezza che così facendo può influire, per esempio, sulle condizioni di vita di altre persone. Nell’itinerario formativo all’esercizio della prudenza, ovvero: - quella “virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. Grazie ad essa si applicano correttamente i principi morali ai casi particolari. - quella virtù che rende capaci di prendere decisioni coerenti, con realismo e senso di responsabilità nei confronti delle conseguenze delle proprie azioni (“Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”) occorre acquisire le necessarie qualità: - memoria: capacità di ritenere le proprie esperienze passate in modo obiettivo senza falsificazioni; - docilitas: capacità di lasciarsi istruire e di trarre vantaggio dall’esperienza altrui sulla base dell’autentico amore per la verità; - solertia: abilità nell’affrontare gli imprevisti agendo in modo obiettivo, per volgere ogni situazione al servizio del bene, vincendo le tentazioni di intemperanza, ingiustizia e viltà (San Tommaso D’Aquino: “Summa Theologiae”). Tra gli ambiti dell’impegno sociale dei fedeli laici emerge anzitutto il servizio alla persona umana: la promozione della dignità di ogni persona; il bene più prezioso che l’uomo possiede è il compito “essenziale, anzi in un certo senso il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini (Giovanni Paolo II: Esortazione apostolica “Cristhi fideles laici”). 1° ESEMPIO/CASO I laici nella Chiesa e nella società pugliese, La presentazione dei risultati attraverso lo strumento del Bilancio di Missione ha rappresentato certamente una forma di coinvolgimento e di rendicontazione formale a quanti, direttamente o indirettamente, utilizzano, producono e finanziano i servizi che eroghiamo. Ponendoci nella prospettiva di fedeli laici che operano nell’ Ospedale fondato da San Pio di Pietrelcina e posto alle dipendenze della Santa Sede, tale strumento, se inteso come momento di testimonianza comunitaria, deve costituire soprattutto una occasione di riflessione e verifica sulla nostra coerenza ai Carismi fondazionali e sul nostro contributo alla costruzione del Bene Comune. Ciò nella convinzione che la responsabilità sociale d’impresa si possa apprezzare compiutamente solo nella sequenza: valori e quindi identità, impegno individuale e quindi coerenza, risultati e quindi missione. La congiuntura economica negativa che si riflette sull’entità della remunerazione delle prestazioni acquistate dal servizio sanitario, sino al punto che di fatto i ricavi diventano una variabile indipendente dalla gestione, ci ha indotto a concentrare gli sforzi per avviare operativamente nel 2009 un processo di controllo delle dinamiche economiche della produzione, che si caratterizza per l’attribuzione progressiva delle risorse al singolo episodio di ricovero, ciò nella convinzione della valenza etica dell’efficienza. Per una impresa sanitaria no profit, l’orientamento al bene comune riguarda certamente la quantità e l’efficacia dei servizi pensati per la collettività, ma non può non comprendere l’analisi degli indicatori che esprimono la capacità di creare valore sul piano economico, di generare posti di lavoro, di ridistribuire ricchezza, di sviluppare competenze, elementi questi che condizionano positivamente il contesto socio-ambientale. Tutto ciò non può prescindere da un’etica della gestione, tesa a consolidare nel tempo la sostenibilità economica dell’impresa e a tutelare durevolmente gli interessi della collettività, principalmente, nel nostro caso, quelli delle fasce più deboli e più fragili, ma anche quelli dei nostri dipendenti e dei nostri fornitori. 2° ESEMPIO /CASO La promozione della dignità umana implica anzitutto l’affermazione dell’inviolabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale, il primo tra tutti e condizione per tutti gli altri diritti della persona (“Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”). È purtroppo opinione comune che la pratica della ricerca scientifica implichi problemi di coscienza per chi è credente. Infatti sembra che la cultura scientifica generi per sua natura posizioni filosofiche e pratiche di vita contrarie ad una visione religiosa del mondo. I mezzi di comunicazione di massa contribuiscono non poco ad alimentare l’argomento secondo il quale scienza e religione siano inconciliabili. L’attività scientifica che Casa Sollievo della Sofferenza svolge da circa venti anni nel settore biomedico testimonia invece il contrario. E lo fa cercando di seguire le intenzioni del Fondatore, che immaginava per la sua Casa un centro di studi intercontinentale che potesse supportare gli operatori sanitari nel fornire agli ammalati le migliori cure possibili. Secondo la sua missione istituzionale e sulla base del patrimonio scientifico consolidato nel settore della Genetica e della Malattie eredo-familiari, Casa Sollievo della Sofferenza si dedicherà nel prossimo futuro al settore della medicina rigenerativa. Si tratta di un settore della ricerca biomedica cui sono legate le speranze di tanti malati che vedono nelle cellule staminali l’unica possibilità di cura per malattie fortemente invalidanti (SLA, sclerosi multipla, malattia di Alzheimer, morbo di Parkinson, etc.). È questo uno dei temi “eticamente” più sensibili degli ultimi anni poiché esso viene spesso legato alla proble- matica dell’utilizzo di embrioni come “fonti” di cellule staminali per la “rigenerazione” di tessuti “malati”. Tale pratica, la cui validità scientifica è tutt’altro che dimostrata, è in aperto contrasto con il principio universale della dignità della persona umana. Essa viene fortemente sponsorizzata dall’attuale presidenza degli Stati Uniti che, sotto la pressione di diverse aziende farmaceutiche, ha destinato ingenti fondi pubblici alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. È inoltre da sottolineare come la campagna del presidente Barack Obama sia stata pesantemente finanziata dallo stato della California che ospita un’enorme concentrazione di aziende biotech che si dedicano allo studio delle cellule staminali embrionali. Il giro d’affari generato dalle staminali è enorme. Alcune stime parlano di un “mercato delle staminali” di 8,5 miliardi di dollari nei soli Stati Uniti e di circa 32 miliardi di dollari a livello planetario. Non trascurabile è poi il fatto che uno degli attori più “agguerriti” della scena internazionale è Singapore, Paese in cui si concentrano le più grosse multinazionali farmaceutiche del mondo. In contrapposizione a tali logiche, Casa Sollievo della Sofferenza vuole mostrare che si può fare ricerca scientifica eticamente accettabile nel settore della medicina rigenerativa. Infatti i nostri laboratori avvieranno a breve linee di ricerca sulle cellule staminali adulte che, a differenza delle cellule derivate da embrioni, hanno dato risultati promettenti per la cura delle malattie neurodegenerative e il cui utilizzo è in piena sintonia con gli insegnamenti del Magistero della Chiesa Cattolica. _ piritualitàspiritualitàspiritualitàspiritualit 10 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 11 ASSEM B L EA GENERA L E DEI GRU PPI DI PREGHIERA Il Tempo di Avvento Ricerca ed attesa dell’incontro con Cristo Carissimi, l’Ascolto della Parola, che la Chiesa ci dona nelle Divine Scritture, ci raduna e ci «ritrova in Gesù come un solo ovile sotto un solo Pastore» (cfr. P. Pio, I disc.). Essa è vero cibo che ci sostiene, che alimenta il dialogo orante con Dio, e ci inserisce in quella comunione «della vita sovrabbondante che Gesù è venuto a dare» (cfr. II disc.). In questo tempo di Avvento in attesa vigilante e fedele disponiamo il nostro amore all’accoglienza di quel «tesoro di grazie» che scorgiamo nel “trono” della culla di Betlemme e riceviamo in piena effusione dal “trono” della croce. Questo sussidio possa accompagnare i Gruppi di Preghiera in questo tempo di avvento in preparazione al Natale, offrendovi una guida ed un sostegno per i vostri incontri. Impartisco a tutti la mia fraterna benedizione. † Mons. Michele Castoro 12 I l tempo di Avvento è un tempo di grazia che la Chiesa ci dona affinché, nell’attesa vigilante, possiamo fare esperienza del Dio che ci ama di amore eterno e sconfinato, provocandoci al cambiamento ed alla conversione. L’Avvento ci rimanda al futuro, alla ricerca ed attesa dell’incontro con Cristo, che non è demandato soltanto nel tempo escatologico ma avviene qui ed ora attraverso le mediazioni della Parola e dei Sacramenti, della comunione fraterna e del servizio che la Chiesa ci dona. La Chiesa, madre che ci ha generati alla fede, costantemente ci invita ad abbeverarci alla preziosa fonte della Parola, indicandola come evento centrale e forza propulsiva nel cammino della sequela di Cristo,1 invitando tutti a «nutrirsi della Parola, per essere ‘servi della Parola’, nell’impegno e nell’evangelizzazione», 2 che potrà essere esercitata attraverso la mediazione della diaconia cristiana e ministeriale. Coloro che si riconoscono nei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, secondo il carisma del Santo Fondatore, come ribadito nel proprio Statuto, troveranno nel rinnovato ascolto della Parola di Dio, una via nella quale concepire il primato della santità e della preghiera.3 Quest’ultima, purificata dalla Parola, potrà contemplare Colui che essi incessantemente, quali «intercessori che bussano al cuore di Dio», sono chiamati a invocare «per ottenere le grazie necessarie alla Chiesa e al mondo»,4 orientando la loro preghiera verso ciò che è vero, buono e giusto, tendendo a quel binomio inscindibile costituito dall’amore di Dio e dall’amore per il prossimo. I Gruppi di Preghiera, potranno adempiere questa loro chiamata e missione se si lasceranno plasmare e forgiare dalla Parola e dalla docile guida della Chiesa, ravvivando ogni giorno quell’esser «vivai di fede e focolai d’amore» come auspicava san Pio. L’importanza di questo cammino sembra rimarcata dallo stesso Padre Pio, che, commentando l’esortazione dell’Apostolo: «La Parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente» (Col 3, 16), invitava R. Cerase a «leggere assiduamente la Sacra Scrittura e quei libri che trattano delle cose di Dio» (Ep. II, 236). La centralità della Scrittura è, infatti, motivo di «grande pascolo dell’anima e avanzamento nella via della perfezione» (Ep. II, 129), poiché consente di “salire a Dio”, attraverso «la lezione, la meditazione e l’orazione e la contemplazione» (II, 142-143), ovvero i tempi della lectio divina, per tradurre la Parola nella vita.5 La ricchezza della Parola di Cristo, che sostiene i carismi dell’insegnamento e dell’esortazione, si esprime, infatti, in una vita e in un fare che operano nel nome del Signore e a sua gloria (cf. 1Cor 10, 31). Parola e vita, come luce sul cammino di conoscenza (Sal 118, 105), discernimento e conformazione alla volontà di Dio. Il presente contributo non è ancora lectio divina, anche se in futuro auspica di divenire tale, ma un sussidio e un commento, che intende introdurre alla ricchezza insondabile della Parola per poterne cogliere il suo riflesso nella vita. In questo cammino ci sostiene e ci incoraggia l’intera Opera di Padre Pio nelle persone di coloro che sono stati chiamati a presiedere tale apostolato, S. E. Mons. Michele Castoro, Presidente dell’Opera e Direttore Generale dei Gruppi di Preghiera, il Dott. Domenico Crupi, Direttore Generale, Padre Marciano Morra, Segretario Generale dei Gruppi, che hanno a cuore quel “motore” e “polmone” dell’Opera costituito dai Gruppi di Preghiera. Vorrei ricordare infine l’instancabile lavoro della redazione della Rivista, testimonianza visibile del legame fra memoria e profezia, sintetizzato nell’intuito e competenza nonché passione per il carisma di san Pio del suo Direttore, il Dott. Giulio Siena. Giovanni Chifari CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, Roma 29 giugno 2001, nn. 3-5. 2 Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, 6 gennaio 2001, nn. 39-41. 3 Così come richiamato anche dallo Statuto dei Gruppi di Preghiera, art. 2. Si veda la nota esplicativa della Commissione del 24 marzo del 2010, confluita nel Regolamento dei Gruppi di Preghiera, Tavola sinottica, pag. 7. Questa necessità in seno alla Chiesa è sottolineata anche da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica di cui sopra. 4 Benedet to XVI, Discorso ai Partecipanti al Pellegrinaggio delle Opere di San Pio da Pietrelcina, Piazza San Pietro, Roma 14 ottobre 2006. 5 L’importanza di una catechesi biblica, alla luce della Lectio Divina, quale via maestra ed insostituibile in grado di tratteggiare l’identità dei Gruppi di Preghiera, nella storia recente è stata più volte segnalata nella nostra rivista. Ulteriori spunti si potranno rinvenire in diversi articoli a partire dal maggio del 2004. 1 Padre Pio vegliando vede la Gloria di Dio e da orante invoca le sue celesti consolazioni D al Bambino Gesù discendono quelle «celesti consolazioni» (I, 208; 321) che «il dolcissimo Gesù centuplica in questi giorni» e che Padre Pio, da orante che contempla e sperimenta in se stesso l’esito di tali operazioni, invoca abbondantemente su coloro che si affidano alle sue preghiere e che egli presenta al Signore, «importunando il divino Infante perché possa con la sua grazia esaudirne i desideri» (cf. I, 325). Padre Pio di fronte alla nascita del Messia, rafforza le sue orazioni che si traducono in veglie ed intercessioni. Egli si preoccupa di intercedere affinché nessuno rischi di «perdere Gesù Bambino» (I, 208). Il suo cuore, nell’imminenza del Natale, si sente «rinascere a novella vita» ma nello stesso tempo «troppo piccolo per contenere i beni celesti» (II, 273) e i suoi carismi che egli invoca per tutti gli uomini (II, 274) primo fra tutti il dono della carità (II, 281). La preghiera del nostro orante incessantemente si eleva a Dio perché il nostro cuore possa divenire «la Sua culla fiorita, nella quale Egli possa adagiarsi senza incomodo alcuno e nulla risentire del suo essere uscito dal Padre per venire nel mondo (Gv 16, 28)» (cf. I, 1106-1007); offrendo suppliche affinché il «Divin Pargolo possa riempirci del suo Spirito divino, trasformarci e farci santi» (I, 1250), e possa in questa notte santa scendere nel cuore di ognuno, riempendolo del suo divino amore (I, 1254). Beata e felicissima notte (I, 981) che il 24 dicembre del 1917 Padre Pio confessa di aver vissuto «tutta in piedi», in un certo modo vegliando come i pastori, per vedere quella Gloria di Dio che intende rischiarare le tenebre del mondo. _ l’avvento l’avvento l’avvento l’avvento w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 13 g ru p p i d i p r e g h i e r a XII convegno dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio della Diocesi di Noto «La preghiera è la vera forza» L’ appuntamento che la famiglia dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio della Diocesi di Noto si dà annualmente per il Convegno Diocesano ha visto riuniti, il 7 novembre 2010, centinaia di fedeli attorno al Vescovo e Pastore della Chiesa netina, monsignor Antonio Staglianò. Come di consueto il convegno si è svolto presso la Chiesa Madre di Ispica, il cui Gruppo di Preghiera e il suo Assistente Spirituale, don Sebastiano Vizzini, hanno accolto l’intera assemblea con la calorosa ospitalità di sempre. Su 14 Gruppi di Preghiera presenti in diocesi, ben 11 hanno partecipato con grande fervore e devozione in ascolto della Parola di Dio, dell’omelia del vescovo, della meditazione che ha preceduto la Celebrazione Eucaristica. La relazione di padre Enzo La Porta La giornata si è aperta con la celebrazione delle Lodi Mattutine a cui è seguita la meditazione che verteva sulla «Spiritualità francescana di Padre Pio» dettata da Padre Enzo La Porta, Vice Coordinatore Diocesano e Consigliere Generale dei Gruppi di Preghiera. Eccone alcuni stralci. «Padre Pio ha incarnato per il nostro tempo quella spiritualità che lo Spirito Santo ha acceso nel cuore di Francesco di Assisi più di otto secoli or sono. Quali realtà il Signore ha fatto esplodere nel cuore di Francesco di Assisi! Innanzitutto attraverso il lebbroso che il Signore stesso ha presentato a Francesco. “Il Signore concesse a me, frate Francesco – lui stesso ci racconta nel Testamento - di incominciare così a fare penitenza; quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara avvicinare i lebbrosi e il Signore mi condusse tra di loro”. Allora, ecco, la prima realtà che il Signore presenta a Francesco. Proiettiamo questo, cari fratelli e sorelle, otto secoli dopo in Padre Pio: quale realtà brucia nel suo cuore, quale sofferenza! Sotto tutti gli aspetti: la sofferenza spirituale e la sofferenza fisica. E questo lo leggiamo nel suo Epistolario e nel Diario di padre Agostino, suo padre spirituale: Padre Pio avverte un forte desiderio di offrirsi vittima per i poveri peccatori. “È questa la mia offerta, padre mio - scrive in una lettera - ma adesso vorrei farla con il vostro permesso cioè un’offerta ufficiale”. Padre Pio si offre vittima per i peccatori cioè per coloro che soffrono e che sono ammalati nello spirito. Miei cari fratelli e sorelle, oggi una grande porzione di umanità è affetta dalle malattie spirituali; spesso i nostri occhi si fermano a guardare soltanto le malattie fisiche. Amici miei, il male del secolo è la lontananza da Dio, è il peccato. È il peccato che sta rovinando il cuore dell’esistenza degli uomini. Padre Pio, figlio di Francesco di Assisi, avverte questa urgenza. Il Signore presenta davanti ai suoi occhi questa realtà del mondo di oggi. Un’umanità che soffre a causa del peccato. E Padre Pio si offre vittima, cioè offre tutta la sua disponibilità, la sua vita, non un po’ di tempo ma offre tutto sé stesso. L’altro aspetto di questa risposta riguarda il venir incontro anche alla sofferenza fisica. Quando la folla cominciò ad assillare il povero Padre Pio, che da poco tempo era stato scelto dall’alto per una missione tutta straordinaria, attraverso l’impressione dei segni della passione di Cristo, lui si sentì schiacciato: tutti chiedono una grazia, tutti chiedono una guarigione. E Padre Pio pensa a un ospedale: ecco la sua risposta. Padre Pio, santo del sud, fonda proprio nel sud uno dei più grandi ospedali a livello europeo: la Casa Sollievo della Sofferenza. Anche San Fran- cesco aveva intuito questa chiamata e comincia ad andare incontro al lebbroso. Quale cambiamento avviene nell’intimo di Francesco! Un cambiamento radicale. E dopo il lebbroso, il Signore si presenta, Egli stesso, attraverso il Crocifisso di San Damiano; quel Crocifisso dice: “Francesco va’, ripara la mia casa che come vedi è tutta in rovina”. E la risposta di Francesco qual è? Si rimbocca le maniche e comincia fisicamente a ricostruire le chiese diroccate di Assisi. Comincia con San Damiano, Santa Maria degli Angeli, e così via. Ma arrivato a un certo momento si accorge che c’è qualche cosa che deve cambiare. Lui stesso scrive nel Testamento: “Il Signore mi donò dei fratelli … ed io non sapevo che cosa dovevo fare”. Non era un progetto umano, il suo. “…ma lo stesso Altissimo mi rivelò cosa fare”. Doveva vivere secondo la forma del Vangelo. convegnoispicaconvegnoispicaconvegnoispica 72 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 73 g ru p p i d i p r e g h i e r a Doveva ricostruire le chiese non con i mattoni ma con gli uomini. Dobbiamo ricostruire la Chiesa. Attenzione “Chiesa” non è il Papa, i vescovi, i sacerdoti. La Chiesa siamo tutti noi. E ognuno di noi è tutta la Chiesa. E allora quando mormoriamo sulla Chiesa, quando critichiamo la Chiesa, altro non facciamo che, per usare un’immagine dei nostri antichi, prendere il fango e strofinarcelo sulla faccia perché parliamo male di noi. Francesco non sta lì a mettersi fango sulla faccia. Francesco comincia a ricostruire. Cioè risponde al Signore, non gli importa di ciò che non va, inizia a lavorare. Padre Pio dopo l’impatto con la sofferenza a tutti i livelli, si ritrova in preghiera nel coro della piccola chiesetta di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, era il 20 settembre del 1918, e lì il Croci- fisso gli parla; otto secoli prima un Crocifisso aveva parlato a Francesco nella chiesetta di San Damiano. Otto secoli dopo lo stesso Crocifisso, ma con un altro linguaggio, si rivela ad un figlio di San Francesco. Il crocifisso di San Giovanni Rotondo non rivela a Padre Pio la rovina della Chiesa, ma il dolore del mondo, imprimendolo nella sua carne. E Padre Pio accoglie nella sua vita il dolore del mondo. Ecco la risposta di Padre Pio sulla scia di Francesco. E la fedeltà alla spiritualità di San Francesco da parte di Padre Pio non consiste nel portare lo stesso saio rattoppato, oppure nel fare la chierica, oppure nell’andare con i sandali. Non dobbiamo dimenticare che da San Francesco a Padre Pio sono passati più di otto secoli e il mondo in questi otto secoli non si è fermato ma ha guardato oltre. Se ci guardiamo oggi noi qui, non vestiamo alla maniera dei tempi di San Francesco, le nostre case oggi non sono quelle dei tempi di San Francesco perché siamo andati avanti. In che cosa Padre Pio ha ricalcato le orme di San Francesco? È uno il segreto: l’Amore. Perché la santità, cari fratelli e sorelle, in che cosa consiste? La santità è la perfezione dell’Amore. Gesù nel Vangelo ci esorta: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre”. Ma di quale perfezione sta parlando Gesù? Forse della forma degli occhi o della muscolatura? Non è una perfezione fisica, ma la perfezione dell’Amore. In altri termini la Bibbia ci dice: “Siate voi dunque santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo”. E allora noi siamo chiamati a questa perfezione dell’Amore. Quindi, lo specifico che unisce Francesco e Padre Pio sta proprio nella risposta d’Amore al Signore che chiama. Ed è un Amore unico e irripetibile. Un Amore che va oltre ogni ostacolo, ogni difficoltà. Padre Pio, in nome dell’Amore, accoglie l’invito a venire incontro alla sofferenza dell’umanità, accoglie nella sua vita il dolore dell’umanità. Un giorno un confratello era stato ricoverato in Casa Sollievo. Quando viene dimesso, va da Padre Pio e gli dice: “Padre, i medici mi hanno detto che ho una malattia fastidiosa e lunga. Non è mortale, ma è fastidiosa e lunga. Preghi il Signore perché me ne liberi”. E Padre Pio, con gli occhi di un bambino, lo guarda e gli risponde: “Figlio mio, nella mia persona non ho un centimetro libero per caricarmi della tua malattia. Ma se il Signore me lo permetterà, ti prometto che lo farò”. Immaginate la reazione di quel confratello. Non avrebbe mai immaginato una risposta del genere. Per stare bene lui se ne doveva caricare il Padre: ma allora ognuno si tiene le sue sofferenze. Cari amici miei, se noi comprendessimo! Quelle Croci di cui ci vogliamo liberare devono essere caricate da qualcun altro. Questo è il mistero del dolore che il compianto Giovanni Paolo II, nella lettera Salvifici Doloris, ci indica: ci deve essere sempre qualche Cireneo generoso che si faccia carico dei nostri dolori. E allora anche noi, aderenti ai Gruppi di Preghiera di Padre Pio, viviamo una spiritualità francescana. E, sulla scia di questa spiritualità di Francesco, fondati sulla spiritualità di Padre Pio, dobbiamo esserne i continuatori, oggi. La spiritualità francescana è uno specifico della Chiesa. Ognuno ha il suo carisma specifico, e tutti in- sieme formiamo la grande sinfonia della Chiesa. Lo Spirito Santo ha una fantasia straordinaria. È lui che suscita questi carismi. Noi non dobbiamo farli morire ma piuttosto alimentarli con la nostra vita, con la nostra risposta sempre più generosa. Perciò è sempre più importante non fermarci solo alla devozione su Padre Pio ma conoscere questa spiritualità francescana che lui ha incarnato. L’ha fatta sua perché anche noi possiamo muoverci e camminare nello stesso solco per dare la risposta che oggi il mondo si aspetta da noi. Ritorno al Convegno Diocesano d’inizio d’anno con il quale ho cominciato la mia relazione: “Lungo le strade del sud alla scuola di Gesù per coltivare la speranza”. Oggi c’è tanta gente senza speranza. Padre Pio, con la sua umiltà e col suo mistero è stato capace di riaccendere la speranza nel cuore di tanti uomini, di tante donne, di tanti giovani. Spendendosi senza limiti. Un episodio bello, a tal proposito. Padre Carmelo da Sessano, superiore di Padre Pio nell’ultimo scorcio degli anni ‘50, il superiore con il quale Padre Pio ha costruito il Santuario della Madonna delle Grazie, con il quale ha inaugurato Casa Sollievo della Sofferenza, un giorno va da Padre Pio e gli dice: “Sono venuti due giovani a chiedere l’elemosina”; e Padre Pio gli domanda: “E tu che cosa hai fatto?”. Padre Carmelo risponde: “Ho dato loro qualche cosa”. E Padre Pio: “Hai fatto male, perché domani avranno bisogno di nuovo. Il lavoro gli devi cercare!”. Padre Carmelo riprende: “Ed io che sono, l’ufficio di collocamento?”. Padre Pio riprende deciso: “Datti da fare!”. convegnoispicaconvegnoispicaconvegnoispica 74 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 75 g ru p p i d i p r e g h i e r a E Padre Carmelo si mette in moto. Comincia a girare, va a Roma, sorretto dalle sofferenze e dalle preghiere di Padre Pio. Cosi si realizzarono, nel sud, a Foggia, le prime scuole professionali in cui i giovani si preparavano per il futuro. I primi giovani che hanno occupato i posti nelle fabbriche come operai specializzati, sono usciti dalle scuole professionali di Padre Pio. Pensate che intuito! La promozione umana realizzata non soltanto a livello spirituale, ma anche nella vita di ogni giorno. Padre Pio ha fatto girare le rotelle del suo cervello per il bene contro il male. Il Signore ci ha dotato di tanta intelligenza, e allora se siamo più generosi, se lasciamo agire la fantasia verso progetti rivolti al bene anche noi, come Padre Pio, possiamo portare tanto bene in questa nostra società. E noi Gruppi di Preghiera abbiamo questa grande responsabilità, da una parte coltivare la preghiera, coltivarla non soltanto en passant, superficialmente, ma coltivarla a fondo, spenderci nella preghiera, diventare, come diceva Madre Candida dell’Eucaristia delle Carmelitane di Ragusa, “come lampada che si consuma davanti a Gesù”. Questa deve essere la nostra preghiera, ma nello stesso tempo attivarci perché, attraverso questa preghiera, il mondo possa avere un volto diverso, un volto nuovo. Padre Pio ha pregato ma ha anche agito. Ed ha potuto ben agire perché pregava. Guardiamo lui come modello da imitare». La Concelebrazione Eucaristica e l’omelia di monsignor Staglianò Edificati da queste riflessioni che hanno rinsaldato nei presenti l’identità francescana della spiritualità dei Gruppi di Preghiera, subito dopo l’arrivo del Vescovo, è stata celebrata l’Eucaristia presieduta da Mons. Staglianò e concelebrata da P. Enzo La Porta e da Don Sebastiano Vizzini. Toccanti ed incisive le parole di cui S.E. Mons. Staglianò ha fatto dono a tutta l’assemblea durante l’omelia. Ecco i brani più significativi. «Vorrei parlare a voi da cuore a cuore. Da cuore a cuore vuol dire creare un dialogo d’affetto nel quale poter parlare di Padre Pio non come un grande personaggio del passato ma, anche lui come Gesù, di un no- stro contemporaneo. Padre Pio parla e lo sentono tutti quelli che hanno orecchio per ascoltarlo. Benché non tutti lo sentano. Prima di morire Padre Pio poteva parlare a quelli che andavano a trovarlo. Adesso, da morto, la sua vita, la sua testimonianza cristiana, la sua opera di carità è parola universale. Detta a tutti: ascoltino o non ascoltino. Ecco cosa accade alla morte di un autentico cristiano. Ecco su cosa Gesù istruiva i sadducei increduli sulla resurrezione dei morti e cosa insegna la Chiesa cattolica: che i morti risorgeranno; e la resurrezione sarà nella carne. E non risorge semplicemente un’anima svolazzante, indistinta, ma risorge un corpo, una personalità vivente, risorge una realtà, una vita. Un corpo che semini corruttibile e risorge incorruttibile, nella sua totalità e nella sua bellezza. Questo noi confessiamo. Ecco, Padre Pio oggi parla a ciascuno di noi e dice: “Ti ringrazio perché tu sei mio devoto, ti ringrazio perché tu preghi nel Gruppo di Preghiera, perché la tua devozione e la tua preghiera aiutano il transito dalla corruttibilità allo splendore”. E quali sono i corpi che splenderanno di più? Sono quei corpi che hanno di più operato nella carità. Io cerco di impegnarmi quale Vesco- vo di Noto a far qualcosa e può darsi pure che diventerò un grande santo. Però immagino che un corpo di San Francesco d’Assisi... che splendore! Rispetto al suo splendore io sono un lumicino! Immagino il corpo di San Francesco di Assisi, di Padre Pio, dei santi francescani! Vorrei dirvelo da cuore a cuore, con concretezza: così funzionerà. Tutto il bene che si fa, con generosità, con apertura di intelligenza, con grandezza di cuore, qui, su questa terra è un investimento ed il Padreterno saprà valorizzarlo, nella sua misericordia, nascondendo le nostre debolezze, i nostri peccati, i nostri fallimenti, le nostre illusioni, per esaltare gioiosamente le opere di bene che abbiamo saputo fare. È importante credere nella resurrezione della carne, perché chi non crede e non spera in un ”oltre”, in questa vita non si impegna. Attraverso noi cristiani il mondo deve parlare, dunque, il linguaggio nuovo dell’Amore: “Amatevi come io ho amato voi” e per amarvi come io ho amato voi, spingetevi a morire per l’altro, a soccorrere l’altro, andando a cercare l’altro nel suo bisogno e nella sua necessità. L’altro ha bisogno di te, di una tua parola, di un tuo gesto, di un tuo sorriso, del tuo perdono, della tua carità. E non c’è nessuno qui che non abbia bisogno degli altri. Allora il cristianesimo, il Padreterno, la resurrezione dei corpi ha a che fare con questo impegno di vita nella carità operosa; ecco perché Padre Pio ci parla e ci dice: “Operate il bene; non vi voglio devoti a chiacchiere”. Evitiamo il ritmo parolaio della preghiera. “Signore, Signore”, va bene, ma il fratello lo perdoni? “Signore, Signore”, va bene, ma hai ancora quel rancore dentro la tua vita? “Signore, Signore, Signore”, va bene, ma continui a dire ad un povero: “ non ti do niente, vattene via”? Questo vale per voi, vale per me, vale per i preti. Ricordate Ezechiele quando si rivolge ai sacerdoti, alle guide dicendo: “Voi pastori, invece di orientare il mio gregge me lo sfruttate, mungete le mie pecore, le sfruttate e non le guidate. E non guidate la zoppa e non andate a trovare la malata e non vi prendete cura della ferita ma organizzate le cerimonie dentro le chiese. Fate delle belle predi- che agli appuntamenti diocesani dei gruppi di Padre Pio, ma non è lì che mostrate quanta fede avete nella resurrezione”. Ci sono, cari fratelli e sorelle, delle opere da compiere e soltanto in quelle opere si vede se credo nella resurrezione dei morti: sono le opere del perdono e della misericordia donata al fratello che ha bisogno. Solo con queste opere io mostro al mondo che sono un credente e che sono un devoto di Padre Pio. Nessuno dica di essere devoto di Padre Pio se non accoglie questa luce dell’Amore che illumina la sua coscienza ed il suo cuore. Perciò, cari fratelli e sorelle, il vostro Vescovo è contento che voi ci siate, siete come una lampada vivente accesa. La preghiera è la vera forza! Chi non prega non opera nella carità, chi non vuole operare nella carità non prega. La preghiera è la vera forza! E voi, Gruppi di Preghiera, pregate per voi e per la vostra diocesi, pregate anche per il Vescovo. La preghiera diventi per voi l’esperienza che vi consenta di salire fino a raggiungere il cuore di Dio e dal cuore di Dio guardare con occhi nuovi, con gli stessi occhi del Padreterno. Cosa accadrà nell’ora della nostra morte quando busseremo alle porte del Padreterno? Volete che ve lo dico cosa accadrà? Il Padreterno, dopo aver sentito il tocco del nostro bussare, ci aprirà, ci guarderà in faccia e dirà: “Ecco un figlio della resurrezione, un figlio di Dio”. E noi gli diremo: “Ecco Padre, ma da dove vedi che sono figlio tuo?” “Semplice, quando avevo fame mi hai dato da mangiare, quando avevo sete mi hai dato da bere, quando ero svestito mi hai coperto, quando ero nella solitudine del carcere sei venuto a trovarmi, sei diventa- to prossimo, in te è cresciuto un corpo e un’anima da figlio di Dio, adesso vieni e goditi il Paradiso preparato da tempo prima che il mondo fosse”. Un augurio grande: per intercessione di Padre Pio, avvenga così per il vostro vescovo, avvenga così per ciascuno di voi nell’ora della vostra morte e così sia». Il saluto alla fine della Celebrazione Eucaristica ha visto tutti i partecipanti gioiosi e commossi per un incontro così ricco di contenuti e denso di spiritualità. L’assemblea si è quindi congedata con vivo senso di gratitudine e di lode, con l’auspicio di un proficuo cammino spirituale sia all’interno dei singoli Gruppi di Preghiera che nell’ambito e a servizio della Chiesa, locale e universale. _ convegnoispicaconvegnoispicaconvegnoispica 76 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 77 g ru p p i d i p r e g h i e r a a cu r a d i l o r e ta s a n pao l o GRUPPI DI PREGHIERA In occasione di un ulteriore Pellegrinaggio da P. Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, avvenuto in data 10 ottobre 2010 del nostro gruppo di pellegrini di Casalotti – Roma coordinati dai capogruppo Stefanucci Alessio e Molinari Valeria, abbiamo pensato di donare come nostro devoto ricordo un Bambinello fatto pervenire appositamente da Betlemme accompagnato da una targa, consegnati al momento dell’Offertorio durante la Santa Messa delle ore 9.30 celebrata nella Cappella dell’Ospedale da P. Timoteo. È stato un momento veramente di intimo raccoglimento e di forti emozioni. Siamo certi che questo Bambinello sia una memoria sempre viva della vita che Gesù è venuto a portare, perché Lui è il Salvatore di tutti, ma ha misericordia soprattutto di coloro che hanno bisogno. _ «Nostra Signora di Lourdes», Cento (Ferrara) Il gruppo di Cento anche quest’anno ha organizzato gli esercizi spirituali per la diocesi di Bologna. L’evento, svoltosi al Centro di Spiritualità «Santa Clelia Barbieri alle Budrie» di San Giovanni in Persiceto dal 30 settembre al 3 ottobre, è ormai giunto alle XXIII edizione. L’incontro, per il terzo anno consecutivo, è stato impreziosito dalla presenza di monsignor Pasquale Maria Minolfi di Benevento nelle vesti di guida spirituale. Di rilievo anche la presenza di don Nello Castello. _ Il Gruppo di Preghiera di Padre Pio di S. Pancrazio Sal.no (BR) il 17.10.2010 U.S. in pellegrinaggio a S. Giovanni Rotondo. Ha vissuto una giornata indimenticabile, ricca di preghiera e di spiritualità, visitando la tomba del nostro Santo Fondatore, i luoghi dove è vissuto e partecipando alla S. Messa delle ore 11.00 nella grande e bella chiesa dedicata al Santo. Il Gruppo è stato accompagnato dalla capogruppo Elda Frassanito. _ TORONTO (CANADA) Si tratta del gruppo di preghiera “San Pio da Pietrelcina” di Toronto, Ontario (Canada). Il gruppo si riunisce nella chiesa Holy Angels’ di Toronto. La guida spirituale è P. Pietro Gioppato. La responsabile laica é la Sig.ra Maria Michela Giannini. Le foto si riferiscono ai festeggiamenti fatti in occasione del 50° anniversario della dedicazione della chiesa dove il gruppo di preghiera si riunisce periodicammente per gli incontri di preghiera. Per l’occasione il gruppo ha pensato di inviare 300,00 dollari per intestare un lettino nella Casa Sollievo della Sofferenza. È un gruppo nato nel maggio del 2008 dall’ispirazione della sig.ra Maria Michela Giannini, la capogruppo che si è prodigata tantissimo a far conoscere e divulgare la nostra rivista “La Casa” aderendo all’iniziativa. Oggi è riuscita a fare 56 abbonamenti singoli. È un gruppo che sente forte il senso di appartenenza alla grande famiglia dei gruppi di preghiera di San Pio sparsi nel mondo intero e alla Casa Sollievo della Sofferenza. La devozione al nostro caro Fondatore è grande e tutti gli aderenti al gruppo si sforzano di fare un cammino di fede alla scuola di Padre Pio. _ Trivento (Campobasso) Una giornata dal nostro caro Padre Pio Il gruppo di preghiera, formatosi undici anni fa per volontà di alcuni fedeli, si riunisce nella chiesa di «Santa Croce» ogni primo venerdì del mese per pregare, per recitare il Rosario e meditare sulla vita di San Pio. L’8 novembre scorso, accompagnati dai nostri assistenti spirituali, don Luigi Di Lella e don Vladimiro Porfirio, ci siamo recati in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. Nonostante una mattinata a tratti piovosa, abbiamo percorso la Via Crucis per rivivere, attraverso la preghiera e la lettura delle sacre scritture, la Passione di nostro Signore Gesù. Rigenerati nell’anima, ci siamo diretti verso la cripta dove riposa Padre Pio per partecipare alla Messa presieduta da monsignor Antonio Santucci, Vescovo Emerito della diocesi di Trivento. Il nostro pellegrinaggio si è concluso con la visita al Santuario della Madonna dell’Incoronata di Foggia. _ 78 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 79 Nota biografica L’avvocato P Berardino Tizzani rezioso come l’oro è un amico. La sapienza biblica lo chiama tesoro. Ma dire la “bugia” all’amico, a dir poco, non è bello! Far rispondere al telefono che squilla: “Don Michele non c’è; è in Terra Santa”, questo è proprio brutto. Ma Berardino, ora che è nella nuvola dei testimoni di Eb 12,1, saprà sorridere come ha saputo fare per una vita intera su uomini, fatti e misfatti di questo povero mondo, amato da Dio, ma un pochino cattivello se ha saputo uccidere perfino il suo Figlio unigenito sulla Croce. Finiva con ...09 il numero telefonico fisso dell’Avv. Tizzani e in questi ultimi anni ho avuto l’onore di essere considerato l’amico e il confidente, bontà della sua – ve lo assicuro – non comune intelligenza. Io sono stato solo l’ultimo degli amici preti; prima di me c’erano l’Arcivescovo Cesarano, l’Arcivescovo Vailati, l’Arcivescovo D’Ambrosio, don Mario Carmone ... e quando in guerra non ci sono più cavalli bisogna combattere con gli ... asini che restano! Questione di tattica bellica! Così, quasi ogni settimana gli facevo visita gradita, ma “sofferta”, perché il Presidente non era più quello di prima. Era l’uomo vero che soffre i limiti della malattia. Ed ero io che dovevo essere il forte e il bravo (me lo rinfacciava con allusione manzoniana!) e lui doveva essere il fragile. Ma “prepotente” come sapeva essere, non si accontenta- 80 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t DON MICHELE NASUTI va di una sola visita a settimana! Mi voleva spesso! Perché …. quando saremo anziani avremo dimenticato di aver fatto e di aver detto la stessa cosa più volte... E don Michele si difendeva quando squillava il telefonino e vedeva... 09 finale... Poi andavo da solo quando potevo e gli portavo la S. Comunione. Potrebbe sembrare che io abbia voglia di parlare di me... Invece voglio sottolineare un aspetto inedito dell’Avv. Tizzani, il Presidente! E’ stato anche lui un sofferente, negli ultimi anni. Proprio come Gesù che incarnandosi ha assaporato tutti gli aspetti della fragilità umana, eccetto il peccato (per Gesù!). Tutti conoscono il valore professionale e la personalità brillante dell’Avv. Tizzani. Certamente essere un po’ superiori alla media, suscita gelosie, ma l’intelligenza non si compra e non si vende. Chi è poco intelligente, purtroppo, non si accorge che l’altro vale di più, ma accusa l’altro come causa dei suoi mali. Succede in tutte le categorie di persone …. . Però devo dire che le mie visite erano confortate dalla dolcissima presenza della moglie Immacolatina, la quale si scusava con me: “Don Michele, abbi pazienza, non è più lui!” La moglie è stata un vero Angelo Custode, sempre, non solo alla fine. La storia di un uomo non si può raccontare mai tutta e bene. Dio Padre possiede il libro intero della nostra vita e Lui è il nostro specchio. Quando noi parliamo di un’altra persona andiamo sulle generiche, perché solo Gesù “sa che cosa c’è nell’uomo” (Gv 2,24). Poiché testimoni della vita privata e dell’attività civica dell’Avv. Tizzani siamo stati in molti, laici e preti, preferisco dare la parola a Mons. Domenico D’Ambrosio arcivescovo di Lecce che ha inviato un breve scritto in occasione della messa... “pasquale” del Presidente. “Con l’amico Berardino si chiude una lunga e significativa pagina della storia civile e religiosa della comunità di Manfredonia. Il suo impegno politico, a servizio della comunità lo ha visto lungamente presente, animato da una fede salda e forte, fin dagli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale, nella vita della comunità con competenza, passione e lungimiranza, pronto al dialogo anche con gli avversari politici dei quali rispettava e con i quali condivideva lo stesso impegno civico di servizio alla πολισ. La città di Manfredonia, la provincia di Foggia, l’ordine degli avvocati lo hanno visto animatore instancabile di quel prezioso e oggi talvolta dimenticato livello etico che sa mettere al primo posto non il proprio interesse ma il bene comune. Da sempre intensi rapporti di amicizia hanno arricchito il nostro dialogo e le nostre comuni preoccupazioni. Non posso dimenticare la sua feconda collaborazione con i pastori della Chiesa Sipontina: Mons. Cesarano che è stato il suo vero padre nella fede e lo ha guidato a scegliere il servizio alla cosa pubblica in nome di quella fede che è la caratteristica e il connotato dell’uomo Tizzani. Mons. Vailati che lo ha voluto impegnato anche nel processo diocesano per la causa di beatificazione di San Pio da Pietrelcina. Mons. D’Addario che ha goduto della sua amicizia e della sua professionalità. Nei sei anni del mio servizio episcopale alla Chiesa Sipontina, sono state tante le occasioni nelle quali ho goduto della memoria storica del caro Berardino e della sua lungimiranza nell’attenta partecipazione, anche se distaccata, alla vita pubblica della comunità e della stessa Chiesa”. Quanto alla partecipazione dell’Avv. Berardino al processo di canonizzazione di Padre Pio, è da ricordare il suo ruolo di Presidente della Commissione storica, svolto con competenza e professionalità puntigliosa. Tutto il lavoro svolto dalla Commissione storica da lui presieduta fa parte ormai di quei numerosi volumi che si conservano negli archivi competenti ad perpetuam rei memoriam. Grande edificazione ho ricevuto dalla testimonianza del Presidente degli Avvocati della provincia e del rappresentante degli Avvocati del Foro di Manfredonia. Non erano parole di circostanza. Traspariva l’affetto, la stima e la sofferenza per una grande perdita. Ricorderò Berardino nel vigore dei suoi anni, quando anch’io ero più giovane e sono contento di avergli date negli ultimi anni le carezze riconoscenti dei tanti presbiteri che lo hanno avvicinato e dei quali Berardino è stato l’Avvocato …. salvatore e consolatore! La storia di Berardino deve ancora essere scoperta e scritta per bene. Ci penseranno i nipoti i quali ricorderanno che nonno Berardino era sinonimo di Presidente! _ L’incontro con Padre Pio “ Tra le altre cose che ho fatto, e delle quali sono riconoscente a chi ha voluto e preteso che le facessi, feci parte della Commissione storica per la causa di Beatificazione di Padre Pio. Mi chiamarono a rendere una testimonianza al Tribunale ecclesiastico dove mi chiesero se e perché ritenessi Padre Pio degno di divenire Santo. Risposi con la parola di Cristo che affermava: «Devi voler bene a Dio e ai tuoi fratelli». Padre Pio ha tenuto in vita un buon rapporto con Dio, dal quale ha ricevuto le stimmate e, per i suoi fratelli, ha costruito un grande ospedale. Che cosa avrebbe dovuto fare di più? Un paio di aneddoti. Spesso ero io ad accompagnare i leader democristiani nazionali che andavano in visita da Padre Pio. Anche Aldo Moro, da presidente del Consiglio si recò da lui. Padre Pio era solito accogliere i prestigiosi politici chiamandoli «mariul». All’inizio non capivo per quale motivo dicesse questo. Poi lo compresi. Non gli andava giù che il governo italiano, per una legge vigente sui capitali esteri, avesse preso il 50% della enorme donazione di Fiorello La Guardia, sindaco di New York e figlio della Capitanata, per la costruzione dell’ospedale di San Giovanni Rotondo. Fui proprio io a spiegare al povero ed esterrefatto Moro il significato di quel «mariul». Padre Pio, per l’importanza dell somma donata, era arrivato a pensare di intitolare l’ospedale a Fiorello La Guardia. Un altro aneddoto. Accompagnai da Padre Pio i cinque presidenti delle provincie pugliesi. Prima di entrare mi chiesero se io credevo nella santità di Padre Pio. Feci vedere loro l’ospedale in costruzione e risposi: «Quest’uomo senza nemmeno una lira sta costruendo tutto questo. Se noi ci mettessimo tutti insieme in consorzio non riusciremmo a costruire la metà di quello che sta facendo lui». Si convinsero ed andammo da Padre Pio. „ _ Berardino Tizzani nasce a Manfredonia il 18 gennaio del 1923. È sposato con tre figli. Dopo la maturità conseguita presso il Liceo classico «V. Lanza» di Foggia si iscrive a Bari alla Facoltà di Giurisprudenza dove si laurea con una tesi dal titolo Essentialia delicti, discussa con il professore Aldo Moro. Dopo la laurea si avvia alla libera professioe di avvocato. Compie l’apprendistato politico nelle associazioni cattoliche presiedendo a Manfredonia l’Azione Cattolica, la Fuci e i Laureati cattolici. Si iscrive, dalla fondazione, alla Dc e ben presto diviene delegato giovanile provinciale dello «scudocrociato» di Capitanata. Nel 1949 è assessore ai Lavori pubblici al Comune di Manfredonia con l’Amministrazione Brigida. Nel 1952 è eletto per la prima volta consigliere alla Provincia di Foggia ed è riconfermato ininterrottamente nella carica fino al 1971. Dal 1966 al 1971 è presidente della Provincia di Foggia. Per molti anni componente del Consiglio di amministrazione e della Giunta esecutiva dell’Ept e presidente del Consiglio di amministrazione dell’Istituto tecnico nautico di Manfredonia. Dal 1957 al 1966 è presidente dell’istituto autonome case popolari. Nel 1968 gli viene conferita l’onorificenza di Grand’Ufficiale al merito della Repubblica e nel 1971 ottiene dal Ministero della Pubblica istruzione la Medaglia d’Oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. Dal 1974 al 1996 è presidente dell’Ordine forense presso il Tribunale di Foggia ed è per molti anni consigliere nazionale forense. Giornalista pubblicista, è da sempre impegnato nello studio e nella ricerca riguardante i problemi della Capitanata, della Puglia e del Mezzogiorno d’Italia. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 81 co s ì ci s cri vono così ci scrivono così ci scrivono EMATOLOGIA Ci siete stati sempre vicini in questi anni di sofferenza ono il marito della signora C. M.. Mia moglie, affetta da mieloma multiplo, era in cura presso il vostro Ospedale dal 2003 ed è deceduta l’11 ottobre scorso. Questa lettera è un breve ma sentito ringraziamento ai medici e al personale infermieristico del reparto di Ematologia, guidato dal primario dottor Nicola Cascavilla, per le amorevoli cure prestate alla mia consorte e per la qualità del servizio offerto dalla struttura ospedaliera. A tal proposito mi permetta di citare in modo particolare il dottor Rosario Potito Scalzulli che, in ogni fase della malattia, ha seguito costantemente, con grande sensibilità ed alta professionalità, mia moglie, curandola con le migliori terapie attualmente possibili e permettendole una buona qualità di vita nella speranza che un giorno la ricerca avrebbe potuto fornire una cura definitiva per il suo tipo di patologia. Persone come il dottor Scalzulli non si possono non menzionare anche per il grande conforto mostrato sia a me che ai miei sette figli, in questi lunghi anni di sofferenza. S Lettera firmata Un grazie al reparto di Rianimazione II Non ho mai sentito parlare di arrendersi a lottare arissimo primario, cari dottori, infermieri, suora e collaboratori tutti, sono il figlio della signora A.. La mia cara mamma gode di ottima salute e di questo io ve ne ringrazio di vero cuore. Nella struttura ospedaliera dov’era ricoverata mia madre, prima della degenza a San Giovanni Rotondo, non mi avevano dato speranze di miglioramento o di guarigione. Nel vostro Ospedale, invece, non ho mai sentito parlare di arrendersi a lottare e, adesso che vedo mia madre serena, ne sono veramente entusiasta. Riporto i ringraziamenti di mia madre e tutta la mia famiglia. Vi ringraziamo per la professionalità con cui svolgete il vostro lavoro e la comprensione e delicatezza che offrite ai degenti. Grazie di vero cuore C NEFROLOGIA R C ingrazio ancora e sempre per tutto quello che avete fatto per me. Per questo faccio 1000 chilometri, perché siete straordinari! Continuate ad offrire serenità e rispetto verso chi soffre iò che vi rende medici, infermieri, ausiliari è la vostra professione, ma ciò che vi rende persone speciali è la vostra capacità di accoglienza, di ascolto e di cura. La malasanità fa rumore come un albero che cade, la buona sanità è silenziosa come un albero che cresce. Nostro Pietro C. padre si è adagiato sotto questo albero silenzioso, vi ha trovato ristoro, frescura, sollievo e alla sua ombra si è addormentato. Voi siete la linfa vitale di questo albero. Anche nelle difficoltà, non lasciate morire questo albero. Continuate ad essere presenza serena, sensibile, competente, silenziosa e rispettosa della dignità umana. Allora il dolore di un corpo fragile e sfiancato verrà mitigato ed ogni sofferenza lascerà il posto ad un’infinita gratitudine. Grazie di cuore a tutti di tutto. Famiglia Lombardi Ci avete ridato la gioia di vivere S ento il sincero bisogno di manifestare tutta la mia più vera gratitudine e ammirazione al dottor Aurelio D’Ecclesia per la professionalità, la bravura, la peculiare competenza e, soprattutto, per la tempestiva premura dimostrate nella diagnosi e nella terapia del male che affliggeva la mia esistenza e la vita dei miei cari. Grazie di cuore dottor D’Ecclesia per averci ridato la gioia di vivere, sconfiggendo un nemico tanto agguerrito quanto subdolo, poco noto e vile. 82 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Professionalità e umanità nel reparto di Urologia on questa lettera vorrei spendere qualche parola di elogio nei confronti del carissimo dottor Giuseppe Cretì, del reparto di Urologia della Casa Sollievo della Sofferenza. Ho avuto modo di apprezzare questa grandissima Opera in quanto sono stata personalmente sottoposta ad un intervento di laparoscopia operativa nel settembre del 1997. Anche mio figlio, all’età di due anni, è stato sottoposto ad un intervento urologico ricostruttivo nel maggio del ’96, effettuato dal dottor Cretì. In quest’ultimo periodo siamo rimasti colpiti e sconcertati dalle vicende che riguardano la mala sanità. Però bisogno anche affermare che esiste un’altra Sanità, quella buona, di cui bisognerebbe parlare di più. Ancora una volta, a distanza di quattordici anni, mio figlio ha dovuto nuovamente subire un intervento urologico e per me è stato naturale rivolgermi allo stesso Ospedale e allo stesso medico. Allora colgo l’occasione per sottolineare la professionalità, la grande umanità e la disponibilità che si respirano nel reparto di Urologia dell’Opera di Padre Pio, qualità che contraddistinguono in particolare il dottor Cretì. Il 29 ottobre scorso, giorno dell’intervento di mio figlio, il dottor Cretì, anche dopo una estenuante giornata di lavoro in reparto, è rimasto sempre a nostra disposizione con generosità e bontà d’animo. È proprio nella figura di questo medico meraviglioso che si possono rispecchiare le belle parole di Padre Pio: «Voi medici avete la missione di curare il malato, ma se al letto del malato non portate l’amore non credo che i farmaci servano a molto». C Maria Pia P. L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - s e t t e m b r e 2 0 1 0 83 C ONVEGNO A 50 anni dalla morte C ONVEGNO Carlo Kisvarday Da Z ar a a San Giovan ni Rotondo gherardo ella Zara del primo Novecento, dov’era nato il 9 agosto 1877, Carlo Kisvarday era un notabile. Tra i ventimila abiN tanti della città. Per tre quarti italiani. Il resto croati, come in Ricordando il dottor Carlo Kisvarday paolo comparato D alla scomparsa del dottor Carlo Kisvarday, avvenuta il 14 agosto 1960, sono trascorsi cinquant’anni. Egli fu uno dei miei primi superiori che ebbi modo di conoscere e avvicinare spesso per ragioni di lavoro. Quando, nel mese di dicembre del 1951, la mia famiglia si trasferì da Udine a San Giovanni Rotondo, fu lui la prima persona che conoscemmo. Avevamo sentito parlare di lui dalla signorina Antonietta Taucer, 50 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t responsabile di un gruppo di preghiera di Udine. Ci recammo nella sua villetta, vicinissima alla nostra casa che avevamo appena acquistato. Ci accolse con molta cordialità e si meravigliò sapendo del nostro trasferimento. Ci disse che il nostro era il primo caso di un’intera famiglia che veniva ad abitare vicino a Padre Pio. Quando la signorina Taucer – venuta da Udine per la confessione da Padre Pio, come faceva periodica- mente – andò a salutare il dottore, egli le disse che era preoccupato per la nostra famiglia da poco trasferitasi, e la pregò di venire da noi per rendersi conto della nostra condizione. In effetti non ci eravamo ancora ambientati. Avvertivamo i primi disagi, come la mancanza di energia elettrica e dell’acqua potabile. Vi era soltanto una cisterna d’acqua piovana fuori dalla casa. Dall’interessamento e dalle premure del dottor Kisvarday capimmo che egli era una persona speciale. La sua villa fungeva anche da ufficio. Tutta la corrispondenza veniva portata lì. Anche le lettere che i pellegrini mettevano nelle mani di Padre Pio, con offerte per l’Ospedale, egli, ogni giorno, le faceva pervenire a Kisvarday. Il Dottore apriva tutta la corrispondenza, leggeva ogni lettera, e componeva dei piccoli gruppi che riponeva in un casellario in attesa di distribuirli perché fosse data risposta. tutta la Dalmazia. Sottoposta all’impero austro-ungarico. Era un irredentista, un patriota, filoitaliano. Venne la guerra mondiale. Alla fine l’Italia, vittoriosa, ebbe l’ambita Zara. Farmacista, proprietario di case e di terre, la carica onorifica di capitano dei pompieri, così scorreva la sua vita, fino a quando... Si stava recando in macchina, con la moglie Mary, a Konnersreuth, in Austria, dalla stimmatizzata Teresa Neumann, quando sentì parlare di un altro stimmatizzato: un cappuccino, in Italia, in Puglia. Non ci pensò due volte, invertì la marcia e si recò da lui. Quell’incontro, a metà degli anni Trenta, cambiò la sua vita. Divenuta, da quel momento, storia stessa di Padre Pio. Che lo conquistò subito. Si stabilì a San Giovanni Rotondo, costruendovi una villa, che, dal gennaio del 1940, quando si formò un comitato per consentire a Padre Pio di realizzare il «sollievo della sofferenza», divenne il capolinea dell’Opera. Con la raccolta delle offerte, scrupolosamente registrate da Kisvarday «cassiere», i consigli di amministrazione, la corrispondenza, i rapporti con i visitatori. Accolti con affabilità familiare, l’eloquio simpaticamente veneto. Retaggio della multisecolare appartenenza di Zara alla Repubblica di Venezia, prima del dominio francese e di quello asburgico. Amato da tutti per il suo tratto semplice, «Carletto» per gli amici, di una umiltà naturale senza mai esporsi. Nessuno svago. Solo le recite cui assisteva Padre Pio. Lui sempre in cima alle sue giornate. Vedovo dal 1941, lo accudiva Paola Novak, sua conterranea. In famiglia fin da ragazza. È morto il 14 agosto del 1960, amareggiatissimo per la bufera che s’era scatenata su Padre Pio. Riposa in una cappella del cimitero, con vicino la moglie Mary e la fedelissima Paola. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 51 Le lettere venivano poi destinate ai vari uffici che provvedevano a rispondere secondo le indicazioni e gli orientamenti dati da Padre Pio, al quale venivano sottoposti i casi particolari e più delicati. La risposta più comune era: «Padre Pio prega e benedice», come suggerito dal Padre stesso. Un giorno, giunse un telegramma con richiesta di preghiere urgenti per un malato. Trattandosi di persona molto conosciuta nell’Opera, un mio superiore mi mandò da Padre Pio perché leggesse il telegramma. La risposta fu la stessa: «Rispondete che io prego». E le persone ricevevano le grazie anche se il Padre non leggeva neppure le loro lettere. Egli pregava per tutti coloro che si rivolgevano a lui, in ogni forma, scritta o verbale. Fino al mese di settembre del 1954, la corrispondenza veniva firmata anche dal dottor Sanguinetti. Dopo la sua morte, avvenuta il 6 settembre 1954, tutte le lettere portavano la firma del dottor Kisvarday, e si può immaginare quanto gravoso fosse per lui questo compito, oltre quello di cassiere. Possedeva una grande e pesante cassaforte ove riponeva il denaro, vaglia, assegni, ed anche oggetti d’oro donati dai benefattori. Egli era instancabile nel suo lavoro. Si alzava prestissimo la mattina e terminava la sua giornata la notte. Non tollerava discorsi inutili: «Ciacole, ciacole» diceva nel suo dialetto zaratino. Apparentemente burbero, aveva un cuore d’oro. Si diceva che quando Padre Pio non riusciva a liberarsi di qualche penitente che gli faceva perdere troppo tempo, diceva: «Andate da Carletto Kisvarday che vi deve parlare». Il dottore – che era d’accordo col Padre – ricevendo queste persone, le abbracciava e diceva di voler loro tanto bene. Mi trovai presente quando, nell’ingresso della villa entrò una signora che disse: «Dottore, mi manda il Padre, cosa mi deve dire?», e il dottore abbracciandola le disse: «Che ghe voio tanto ben». E la signora, commossa e soddisfatta, se ne andò. 52 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t al termine d’un duro lavoro, da una parte e dall’altra del modesto tavolo quadrato al quale Carletto lavorava. Si parlavano quietamente, parcamente, senza gesticolare. Sanguinetti riversava su quel tavolo i fazzolettoni colorati e i sacchetti bianchi pieni di banconote che riportava dalla cella di Padre Pio. Kisvarday contava il danaro, lo raggruppava, lo sistemava in cassaforte, dopo averlo registrato nei suoi quaderni dalla copertina nera. Un lavoro importantissimo, compiuto da una parte e dall’altra in assoluta umiltà. Ha lavorato fino all’ultimo, fino a qualche ora prima che l’ultimo violento attacco del suo male gli togliesse la parola e immobilizzasse per sempre la sua mano. Quella sua mano grossa, paffuta, instancabile nel mettere firme (…)». lo ricorda così: Gherardo Leone lo ricorda così: Nell’articolo «Le sue mani», ho rivisto il dottore così com’era, la sua persona, il suo carattere, così ben tratteggiato da Gherardo Leone: «Lo si vedeva salire al convento nelle ore ufficiali: grassottello, panciuto». «Saliva di scatto i gradini del sagrato, con un’agilità insospettata, tenendosi le mani sul ventre. Parlava rapido, affabilmente con tutti(…)». «Parco e sorprendente era il suo tenore di vita, il cosiddetto ménage familiare(…)». «Viveva della verdura del suo orto, che coltivava di persona, aiutato dalla fedele Paola, la “ragazza” zaratina che viveva fin da piccola in casa Kisvarday. La sua Paola vendeva ai vicini di casa le uova fresche del pollaio dietro casa. Non aveva bisogno di molto, Carletto Kisvarday; dava tutte le sue energie all’Opera di Padre Pio, senza nulla accettare in cambio(…)». «Spinoso e brontolone appariva qualche volta l’uomo ai superficiali. Il fatto è che non tollerava di dover perdere tempo. Era capace di ascoltare per intere ore una storia di mise- Nel periodico della Casa, n°1314 del luglio 1957, Gherardo Leone – nell’imminenza dell’ottantesimo compleanno di Kisvarday – gli rende omaggio con l’articolo «Gli ottant’anni di Carlo Kisvarday», e scri- ve, con il titoletto «Il cartello»: «A ottant’anni suonati, Carlo Kisvarday conserva un’invidiabile capacità fisica di lavoro, e un’elasticità di corpo e di spirito da far impallidire, al confronto, non pochi uomini che abbiano, a dir molto, la metà dei suoi anni. Non ha limitazioni d’orario: è “sempre” al servizio della Casa. Continua a lavorare le sue dieci, dodici, e forse più, ore giornaliere». E prosegue più in là: «Non so di chi fu l’idea di erigere nel suo orto un grande cartello volto alla strada, che diceva all’incirca: “Erigenda Casa Sollievo della Sofferenza dr. Carlo Kisvarday”. Quel cartello sconvolse la vita di Kisvarday. Come la casa del protagonista di Pian della Tortilla, la sua villa divenne di tutti. La prima ad essere occupata fu la stanza da pranzo. Il tavolo e il buffet si coprirono di corrispondenza, poi apparve una portatile, qualcuno cominciò a picchiettare sui tasti. Quindi fu la volta della stanza d’ingresso: vi fu messo un tavolo, poi un altro, poi una macchina per scrivere. Gradualmente fu conquistata tutta la ca- sa: il corridoio posteriore, i ripostigli, i pianerottoli, il soffitto, l’interrato e, infine, la cucina e la camera da letto. Per coricarsi, il dottor Kisvarday doveva scavalcare i pacchi in attesa di sistemazione, e sgombrare, a volte, il letto da paramenti sacri o da quadri arrivati di fresco. Per una diecina d’anni visse a questa maniera. Respirò di sollievo il giorno in cui uffici e magazzini furono trasferiti altrove. Ma non smise la sua vita da stakhanovista». L’articolo prosegue con il titoletto «La sua cassaforte», dove viene tratteggiata la figura del dottore intento al suo lavoro, in piedi, vicino alla cassaforte: «(…)Le sue mani grosse e calme si fanno quasi tenere, ieratiche, quando si poggiano sulla rotonda maniglia dello sportello e v’infilano la chiave. Bisogna vedere con quale attenta cura manipola il denaro per capire come ogni banconota, di grande o di piccolo taglio, e ogni moneta metallica abbia per lui un valore tutto particolare. Forse ogni volta, dietro quelle banconote, e dietro quelle monete metalliche, rivede le rie e di malattie, pronto a commuoversi, ad asciugarsi gli occhi grandi e azzurri con un lembo del suo fazzoletto bianco. Ma altrettanto pronto a troncare brusco, con una battuta del suo bel dialetto zaratino, qualche seccatore che andava per le lunghe. “Lavoré, lavoré” usava dire con un suo tono di giovanile baldanza, e quando l’antico fervore l’animava, girellando per la sua stanza di lavoro canterellava con voce di mezzo baritono canzoni della sua terra. Trotterellava qua e là, con la sua curiosa camminatura di patriarca ancora agile e sveglio (…)». «Mi commuoveva la sua venerazione per Guglielmo Sanguinetti, il consigliere delegato, che pure era minore di lui di una quindicina d’anni. I due uomini sedevano a volte di fronte: grandi e chiari, pieni d’una tranquilla bontà, gli occhi di Carlo Kisvarday nel volto un po’ di patriarca; chiari e grandi, pieni di una luce di energia, e lucidi a volte di commozione, gli occhi del dottor Sanguinetti nel volto d’imperatore romano. Sedevano di fronte, specie verso sera, L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 53 mani di chi gliel’ha date». «(…) Forse nei suoi sogni, Carlo Kisvarday rivede qualche volta i volti delle diecine di migliaia di persone che si sono succedute nel suo ufficio, risente le loro voci gravi o argentine, entusiaste o dolenti, riascolta i loro racconti di sofferenza e di miseria». «(…) Ha ricevuto le confidenze, le più intime, le più delicate, di centinaia di migliaia di sconosciuti, a voce e per iscritto. 54 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Sul suo tavolo si sono spiegati i casi più complicati della coscienza umana, i drammi più impensabili della sofferenza». In occasione dell’ottantesimo compleanno del dottor Kisvarday, che ricorreva il 9 agosto 1957, in una saletta attigua al convento dei Cappuccini, fu preparata una festicciola in suo onore. Nella breve cronaca che descrive quanto avvenne, (n° 17 del 1957, del giornale dell’Opera), si legge, tra l’altro: «Il Padre Provinciale, (Padre Agostino da San Marco in Lamis), lo prese per un braccio, e lo mostrò al pubblico che affollava l’angusta sala». Poi pronunziò un brevissimo discorso che concluse in modo originale: “Qui ci fa caldo. Che ci stiamo a fare?”. E così si allontanarono infilando una porticina che dava sull’orto del convento. La breve cronaca prosegue: «In questo modo inaspettato s’iniziava e si chiudeva, nel giro di pochi minuti, l’accademiola in onore del dottor Kisvarday». Il dottore ha sempre avu- to buoni rapporti con i confratelli di Padre Pio, e da questi era molto stimato e rispettato. Spesso veniva invitato a pranzo dai frati, specialmente in particolari anniversari, festività o ricorrenze. seguenza del Suo immacolato concepimento». E più oltre prosegue: «Voleva andare da Teresa Neumann, aveva stabilito di recarsi in Germania per conoscere la donna nella quale si erano rinnovati i segni della Passione di Gesù, quando un ritaglio di giornale gli fece conoscere “per caso” Padre Pio. Ciò che noi chiamiamo caso non è che il misterioso richiamo di Dio che, attraverso le cause seconde, bussa alla nostra anima, ci chiama. Kisvarday pensava di recarsi a San Giovanni Rotondo per una visita e invece vi restò per tutto il resto della sua vita(…)». «E a San Giovanni Rotondo Carlo Kisvarday trovò la sua pace, visse i suoi giorni in serenità, raggiunse una santa vecchiaia. Quando giunse la sua sera, da amministratore saggio, tirò le somme. Aveva lavorato bene. Era pronto per il grande viaggio che per lui, però, non presentava più incognite. Aveva raggiunto la Fede viva, la Fede fiammeggiante, la Fede concreta». Poi, verso la fine dell’articolo, Giovanni Gigliozzi, descrive il pianto di Padre Pio per la perdita dell’amato “Carletto”: «Padre Pio piangeva per l’amico che se ne andava, l’amico dei vecchi tempi, dei tempi bellissimi ed eroici della sua opera, quando credere alla sua realizzazione richiedeva un autentico atto di fede. Era un altro frammento del suo mondo di ieri che si avviava verso il cimitero dove riposa Mamma Giuseppa e papà Orazio, dove il Dottor Sanguinetti ha preceduto il suo più anziano collaboratore. La testa fra le mani Padre Pio piangeva. Un pianto sconsolato di bimbo che resta solo. Sempre più solo(…)». All’uscita del feretro dalla chiesa Santa Maria delle Grazie, dopo il rito funebre, il dottor Gigliozzi – appostato sotto il vecchio olmo del piazzale del convento – ha rivolto l’estremo saluto all’amico Kisvarday. Concludo con un mio ricordo di un incontro del dottor Kisvarday con Padre Pio, avvenuto circa sei mesi prima della sua scomparsa. Il dottore era stato accompagnato in convento non appena dimesso dall’Ospedale dove era stato ricoverato. L’incontro avvenne vicino al refettorio dei frati dove il Padre era sceso per il pranzo. Infor- mato di quello che stava per avvenire, corsi al convento, munito di macchina fotografica. Trovai, nella portineria, padre Vincenzo, frate molto severo e intransigente, restio a far varcare la soglia della clausura. Gli esposi il mio proposito di fotografare il dottor Kisvarday, convalescente, con Padre Pio, ed egli, con mia sorpresa, mi aprì l’uscio senza battere ciglio. Infilato il corridoio che porta al refettorio, arrivai giusto in tempo per scattare una serie di fotografie in rapida successione, per documentare quell’incontro così affabile tra il Padre e il dottore. Subito dopo, essendomi trovato vicinissimo a Padre Pio, con mia sorpresa, egli mi chiese se ero riuscito nel mio intento, al che io risposi affermativamente. Fu questa l’unica volta in cui il padre si era preoccupato della riuscita di un servizio fotografico. E certamente lo fece soltanto per l’amore che nutriva per il suo fedelissimo collaboratore. _ Giovanni Gigliozzi lo ricorda così: Anche Giovanni Gigliozzi ha voluto ricordare la figura del dottor Kisvarday, con l’articolo «Significato di una vita», che inizia così: «La Vigilia della festa dell’Assunzione, Carlo Kisvarday ha chiuso per sempre gli occhi al sole di San Giovanni Rotondo(…)» «La “Janua Coeli”, Maria, la porta della nostra Redenzione era venuta a prendere il suo vecchio servo fedele al termine di una lunga laboriosa giornata affinché partecipasse al tripudio del Paradiso nel giorno in cui la Chiesa Militante celebra la sua Assunzione nel corpo purissimo, con- L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 55 testimonianza Suor Pura Pagani La suora del sorriso e dell’accoglienza “Quando ritorna a San Giovanni Rotondo prega per me sulla tomba del Padre” L’ esperienza ci dice che quando un personaggio famoso muore (politico, scienziato, artista ecc.) se ne parla per un po’ e dopo tutto si dimentica oppure lo si rispolvera dopo un po’ di anni per qualche anniversario. Ricordo che qualche anno fa, in occasione della ricorrenza dei defunti, mentre gironzolavo per i viali del cimitero monumentale del Verano di Roma, sul retro del porticato centrale vidi una tomba in stato di abbandono (disadorna, come direbbe il principe Antonio de Curtis). Sulla lapide tre nomi: quelli del nonno, del figlio e del nipote, tutti e tre medici. Il nome del nonno era quello del grande Valdoni, chirurgo di fama internazionale, che io vidi quando ero ragazzo a San Giovanni Rotondo. Il prof. Pietro Valdoni, già medico di Giovanni XXIII, fu colui che salvò la vita a Palmiro Togliatti e che collaborò con Casa Sollievo della Sofferenza solo perchè ammirava l’uomo che la ideò e la fondò: Padre Pio. Lo vedevo quando veniva sul Monte Castellana, dopo i suoi interventi chirurgici in ospedale e passava da Padre Pio a salutarlo, con il codazzo dei medici della “Casa” e di tutti i devoti del nostro santo. I pellegrini chiedevano chi fosse quella personalità. Il prof. Valdoni, dimenticato come tanti “grandi”! Nei giorni che seguirono la morte di Padre Pio, sul sagrato del Santuario di Santa Maria delle Grazie c’erano tanti giornalisti in cerca di notizie e di curiosità. Ne riconobbi uno in particolare, noto scrittore e grande del giornalismo italiano, che disse e scrisse che ormai la fama di questo frate finiva con la sua morte e che con questa cessava il fanatismo dei tanti devoti. Io che ho avuto la grazia di conoscerlo da sempre, il nostro “monaco santo” (così lo chiamavano i sangiovannesi quando arrivò in paese nel 1916), l’ho visto innalzato agli onori degli altari e, a parere di tutti i cristiani e non, è uno dei più MICHELE MIGLIONICO grandi santi della Chiesa universale. Lui mosse e sta ancora muovendo il mondo della solidarietà e della scienza attraverso milioni di devoti e migliaia di “Gruppi di preghiera Padre Pio” sparsi in tutto il globo. Dopo oltre quarant’anni dalla morte, le sue profezie si avverano puntualmente: “Farò più rumore da morto che da vivo”. La storia si ripete, come si usa dire. Nel 1999 conobbi un sacerdote vicentino, grazie a una mia pubblicazione sullo Stimmatizzato. Mi telefonò dicendomi che era curioso di conoscere la mia pittura e che tra l’altro c’era un ritratto di Padre Pio che gli interessava. Iniziò una bella amicizia che continua tuttora. Fui fortunato a conoscerlo perchè lui a sua volta mi parlò di una mistica: suor Pura Pagani. Chi era costei? Ogni uomo durante la sua vita ha problemi di varia natura e ha bisogno di una spalla amica cui appoggiarsi. Ne parlai con questo mio nuovo amico, don Paolo Baio, che mi dava fiducia. Sacerdote semplice e prudente, mi propose subito di incontrare questa suorina e mi disse che mi sarebbe stata di grande conforto. Era “la suora del sorriso e dell’accoglienza”. Nell’estate del 2000, una domenica, mi recai a San Zeno di Mozzecane (Verona) dove lei si occupava della scuola materna. Mi accompagnarono degli amici di don Paolo, che lo sono anche, carissimi, della mia famiglia. Riuscii a incontrarla dopo una decina di ore di attesa, tante erano le persone che si rivolgevano a lei che “aveva il carisma dell’ascolto e dell’accoglienza e questo le permetteva di vedere le oscurità degli uomini prima che le manifestasse- ro”. Mi accolse come se mi conoscesse da sempre, nel suo studiolo c’erano i ritratti dei suoi “Padri spirituali”. Le dissi che ero di San Giovanni Rotondo e lei mi confidò che era figlia spirituale di Padre Pio. Dopo il colloquio, nel salutarla, mi disse di pregare per lei sulla tomba del padre: aveva bisogno delle mie preghiere, io che le avevo appena detto che non riuscivo più a pregare. Non ricordo quanti minuti durò la nostra conversazione. Nel parlarle, la mia sensazione era quella di rivivere gli incontri che qualche volta avevo avuto con Padre Pio. Il nostro riferimento era lui, nello sconforto lui sapeva come sollevarci. Dopo lo sfogo e il pianto, ci consigliava di pregare la Madonna delle Grazie, la sua “Mammina bella” e a me diceva “Tu hai San Michele che ti protegge... pregalo”. Dall’incontro con questa suora, dal sorriso amorevole che faceva trasparire tutte le energie caritatevoli da versare sugli uomini attraverso Cristo Signore, ne uscii alleggerito nell’animo e nella mente. Tornato in famiglia, lo raccontai. Grazia Pia, mia moglie, pure lei manifestò il desiderio di conoscerla. Purtroppo non feci a tempo. Alla notizia della sua morte mia moglie esclamò: “E adesso chi mi deve ascoltare?”, frase simile a quella pubblicata in un opuscolo da Beppe Amico qualche anno dopo la dipartita. “E adesso chi ci ascolta...”. Padre Pio non c’è più ormai da trentatre anni, suor Pura l’ha raggiunto in Cielo. Noi uomini abituati alla materia e al rapporto diretto, molte volte ci dimentichiamo dell’Altissimo e delle promesse che i nostri intercessori ci hanno fatto. Suor Pura aveva detto: “Vi aiuterò più di là che di qua” e Padre Pio aveva riferito che aspetta i suoi figli spirituali all’ingresso del Paradiso per accompagnarli da Nostro Signore. Il cammino di suor Pura fu difficile e doloroso. Pronunciò i voti definitivi il 12 gennaio del 1941 e fu subito inviata alla scuola materna di Monte Romano (Viterbo). Maestra d’asilo estremamente espansiva, esuberante, solare, vi restò fino al 1954. In quell’anno venne improvvisamente richiamata alla casa madre di Castelletto di Brenzone (Verona) dove la calunnia e la diffamazione l’avevano preceduta, al punto che le fu chiesto di rinunciare ai voti e ritirarsi dalla vita religiosa. A lei, che da bimba rispondeva a coloro che le chiedevano cosa avrebbe fatto da grande, rispondeva con fermezza e la semplicità dei bimbi: “Voglio diventare santa!”. Nel 1955 suor Pura si recò in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. Fu la prima volta che incontrò Padre Pio. Ella si confidò col Santo e ne divenne figlia spirituale. Quando glielo chiese, il frate le rispose: “Un uomo molto più santo di me ti aspetta a Roma”. “Chi è?”, chiese dubbiosa la religiosa. “Padre Cappello, lo troverai e capirai”, fu la risposta (dal libro di Beppe Amico). Padre Felice Cappello S.J. insigne canonista, considerato il più grande giurista della Chiesa, divenne il suo padre spirituale a Roma. Ma suor Pura con Padre Pio stabilì un legame molto forte dovuto alla carica spirituale che i due non potevano nascondersi. Negli anni sessanta ad opera del frate del Gargano la donna ebbe una guarigione miracolosa. Pensate un po’ alla coincidenza d’incontro di questi tre personaggi carichi di grande cuore per il nostro Dio. Questa suora che intercedeva e intercede presso l’Altissimo e che fece diventare San Zeno di Mozzecane (Verona) come una piccola San Giovanni Rotondo ai tempi di Padre Pio in vita. E io ne sono testimone. Questa suora così ricca di segni di fede e santità che consigliava alle tante persone che si recavano da lei a chiedere consigli e consolazione, diceva loro di recarsi a San Giovanni Rotondo a chiedere a Padre Pio con insistenza le grazie desiderate, perchè lui ha la sua “Mammina bella” che intercede verso Suo Figlio e un figlio non può dire di no a una mamma. Ho vissuto una storia particolare e la sto vivendo ancora, grazie al “Padre amato” (come padre Carmelo da Sessano chiamava Padre Pio). Tramite lui io ebbi modo di conoscere questa suora e ancora oggi dopo nove anni dalla sua morte vedo che il suo ricordo è rimasto in me come in tante altre persone che da varie regioni italiane si recano a Campofontana, frazione di Selva di Progno (Verona) a pregare sulla sua tomba. Il 4 luglio di quest’anno, in occasione del nono anniversario della sua dipartita, ci recammo da Lupia di Sandrigo (Vicenza) a Campofontana per rendere omaggio a questa particolare figlia spirituale del nostro San Pio. Arrivammo verso le 9 del mattino e il piazzale antistante il cimitero era già gremito di gente e la tomba coperta di fiori. Ci consigliarono di prendere subito posto nella bella chiesa ottocentesca che si trova a 1260 metri sul livello del mare, la più alta parrocchia del Veronese. Alle ore 11 ci fu la concelebrazione eucaristica presieduta da don Roberto Fiorucci, un giovane sacerdote vissuto all’ombra di suor Pura, la cui vocazione è maturata sull’esempio della nostra madre delle Piccole suore della Sacra Famiglia. Don Roberto è originario di Monte Romano, la cittadina che ospitò suor Pura per 13 anni. Nella Santa Messa, presenti centinaia di persone e tante religiose, fu evidente la gioia e la commozione di questo giovane sacerdote nell’omaggio alla “Madre Maestra”. Nell’omelia don Roberto (legato al frate stimmatizzato attraverso i gruppi di preghiera di Civitavecchia) evidenziò il rapporto di suor Pura con San Pio da Pietrelcina. Al termine ci recammo di nuovo al cimitero per salutare la suora. Migliaia di persone stavano sul piazzale antistante il cimitero, con una grande tenda-ristorante allestita per ospitare i pellegrini. Al bar incontrai un distinto signore che mi parlò di Padre Pio, riferendomi che da lui aveva ricevuto tanto. Io gli dissi che ero del Sud, al che il mio interlocutore si meravigliò che anche tanta gente del Meridione conoscesse la “Suora dell’ascolto”. Poi gli confessai che ero di San Giovanni Rotondo e vidi in lui una grande commozione. Chiamò la moglie cui evidenziò il grande legame tra i due mistici, facendo riferimento alle mie origini sangiovannesi. Altre persone che hanno conosciuto suor Pura mi parlarono dell’amicizia tra lei, il notaio Gianni Frumento e la moglie Mariarosa. I coniugi si trasferirono a San Giovanni Rotondo per stare vicino al santo. Una volta li andai a trovare e mi presentai loro come amico di suor Pura. Mi ricevette la signora Mariarosa che inizialmente mi parve incredula, ma man mano che iniziammo a parlare di lei, diventò un fiume in piena. Era rimasta vedova da qualche mese, la vidi addolorata ma la sua fede la consolava in quanto era certa che il marito era in Paradiso. Madre Pura (così la chiamava) quando si recava a San Giovanni Rotondo era ospite in casa sua. Mi riferì tanti episodi e particolari curiosi che in altre circostanze sicuramente testimonierò. Ma ciò che più mi colpì fu il racconto dell’ultima volta che suor Pura si recò sulla tomba di Padre Pio. Prima che lei ripartisse per San Zeno, la signora Mariarosa la invitò a tornare, dicendole che le avrebbe preparato una camera più accogliente. Ma lei le rispose che non avrebbe potuto perchè si sarebbe recata in una villa tutta bianca piena di fiori. Il 2 luglio del 2001 la suora dell’ascolto, con il solito sorriso sulle labbra, restituì l’anima a Dio. Otto giorni prima che morisse, disse a una figlia spirituale: “Non piangete. E se accadesse che tu non mi vedessi più, sappi che se m’invochi, Gesù farà sì che nel tuo spirito sentirai le mie risposte”. Così suor Pura andò incontro al suo “Padre Spirituale” che l’attendeva alle porte del Paradiso per accompagnarla presso Nostro Signore. E noi che l’abbiamo conosciuta ringraziamo Dio per avercela data. L’anno prossimo sarà il decimo anniversario della sua scomparsa e noi saremo a Campofontana a ricordarla, confidando nella misericordia di Dio perchè si apra il processo di canonizzazione. _ TESTIMONIANZA TESTIMONIANZA TESTIMONIANZA 56 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 57 Padre Pio fu un vero «privilegio celeste» per la nostra famiglia I michele papa Giuseppe Barbera I «Il Tenente di Padre Pio» LUCIANO MODUGNO l Tenente Giuseppe Barbera giunse a San Giovanni Rotondo nel 1965 e venne trasferito ad Ascoli Piceno in seguito a promozione a Capitano dei Carabinieri nel 1970. Fu il primo Comandante della Tenenza di San Giovanni Rotondo. Si notarono subito le sue eccellenti doti organizzative e professionali, brillando particolarmente nel settore della Polizia Giudiziaria, assicurando alla giustizia numerosi colpevoli di gravi reati. Sembrava burbero talvolta, ma in realtà aveva un cuore d’oro che lo portava ad aiutare i propri dipendenti e la popolazione, senza mai infrangere la legge. Il carisma di Padre Pio lo colpì particolarmente, tanto che ne diven- 58 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t tò figlio spirituale devotissimo, così che il poeta di San Giovanni Rotondo, Giovanni Scarale, lo definì: «Il tenente di Padre Pio», avendo con lui – proprio per il suo particolare servizio di tutela dell’ordine pubblico – contatti giornalieri. All’epoca io ero brigadiere e fungevo da suo segretario, per cui in qualsiasi circostanza, religiosa o di normale servizio d’istituto, ero sempre al suo fianco, imparando da lui tantissimo. Diceva sempre che si era forgiato alla Scuola Sottufficiali, provenendo quindi dalla cosiddetta «gavetta». Quando si trasferì ad Ascoli Piceno, per motivi di servizio, nel cuore di tutti noi dipendenti e dei cittadini di San Giovanni Rotondo, che lo ave- vano ben conosciuto (in special modo quando il 26 settembre 1968 diresse l’organizzazione dei servizi in occasione dei funerali di Padre Pio, ai quali partecipò una immensa folla di fedeli), lasciò un forte rammarico. Di prima mattina, tutti i giorni, eravamo pronti per il servizio al Santuario ove Padre Pio celebrava la santa Messa, con il concorso sempre di numerosi fedeli, fra i quali si confondevano pregiudicati provenienti da varie parti, con l’intento di compiere misfatti. Durante la sua permanenza a San Giovanni Rotondo, si sposò con la signora Annamaria Palmiero. LA sua prima figlia, Laura Francesca Romana, morì poco dopo la na- scita ed è sepolta nel cimitero di San Giovanni Rotondo. In seguito ebbe altri due figli: Alessandro, attualmente Colonnello della Guardia di Finanza in servizio a Napoli e Maria Laura, Vice Questore Aggiunto in servizio presso il Viminale a Roma. Nello sconforto della tristissima notizia pervenutami poco prima del Santo Natale 2009, ho ripetuto fra me: «Addio caro mitico Tenente Barbera; spero tanto che Padre Pio nella sua bontà ti presenti al Signore mostrando tutti i tuoi meriti umani e cristiani». Il Generale Barbera è deceduto improvvisamente a Napoli il 20 aprile 2009. Ricorderò sempre quando, dopo la tumulazione di Padre Pio, con i suoi uomini rientrando in caserma, disse: «È la prima volta che lasciamo il Convento senza la sua benedizione». Il 22 febbraio 2010 è stata celebrata una santa Messa per il Generale Giuseppe Barbera nel Santuario di Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Rotondo, con la partecipazione della sua famiglia, del Luogotenente Vincenzo Pugliese, Comandante della Stazione Carabinieri di San Giovanni Rotondo, del giornalista professor Antonio Cascavilla e del sottoscritto. _ miei genitori, Maria e Antonio Papa, furono figli spirituali di San Pio fin dal 1960. Per la nostra numerosa famiglia (cinque figli, quattro maschi e una donna) fu un vero privilegio celeste conoscere Padre Pio. La Divina Provvidenza e la sua intercessione non mancarono mai per ciascuno di noi, sia nelle difficoltà materiali che in quelle spirituali. Io fui accolto a Milano dai miei zii e potei frequentare l’Università Cattolica del «Sacro Cuore». Non a caso, proprio al Sacro Cuore i miei genitori consacrarono la nostra famiglia con fede ardente e perseverante negli anni. Mia madre Maria, l’8 settembre 1979, all’età di 69 anni, morì proprio il giorno della Natività della Madonna senza soffrire. Mio padre si trasferì a casa di mia sorella Rita, a Pescarenico di Lecco. Visse fino al 14 maggio 1989. Una esistenza di preghiera, di amore e di teneri ricordi della sua sposa, della sua città natia (Foggia) che fu costretta a lasciare dopo averci vissuto per 70 anni. Il lago di Lecco e i luoghi manzioniani facevano da cornice alla sua inconsolabile solitudine. Immagino che Padre Pio, dal Cielo, indirizzasse i suoi passi e nutrisse il suo cuore. Il 20 novembre scorso, mio padre avrebbe compiuto cent’anni. La vita dei miei cari genitori fu densa di privazioni, di sacrifici ma anche ricca di gioie. Io mi laureai in Legge, mio fratello Giulio in Medicina, mia sorella divenne maestra elementare a Lecco. Gli altri due fratelli (Giuseppe e Francesco) si inserirono, superando il concorso, nelle ferrovie statali a Milano. La gioia più grande per i miei genitori fu quella di avere ben 14 nipoti, a cui erano affezionati moltissimo. _ testimonianzatestimonianza L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 59 La spiritualità del servizio e della condivisione in don Tonino Bello I giovanni chifari Nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo del 1935. Ordinato sacerdote l’8 dicembre del 1957, fu educatore e parroco. Nel 1982 diviene Vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Nel 1985 è presidente nazionale del movimento “Pax Christi”. Muore in seguito ad una lunga malattia, il 20 aprile del 1993 a Molfetta. È in corso la causa di beatificazione. 60 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t l tempo di grazia che s’irradia sulla vita del mondo e degli uomini a partire dall’evento decisivo e fondamentale dell’incarnazione di Gesù, da intendere dal punto di vista teologico come un tuttuno con la sua morte e resurrezione nell’opera della salvezza integrale dell’uomo, ha trovato accoglienza e stabile dimora in quanti non hanno opposto resistenza a questo docile percorso dell’agire divino, che ama nascondersi fra le pieghe della storia. Fra questi innumerevoli testimoni di Cristo, intendiamo segnalare don Tonino Bello, Pastore mite e umile, che esercita la sua diaconia ministeriale incarnando la spiritualità del servizio e della condivisione. Egli fa la stessa esperienza dell’uomo descritto nella parabola sul Regno di Dio. Trova un tesoro nascosto in un campo (cf. Mt 13,44), che gli causa una gioia che non riesce a trattenere, per esso si spende, spogliandosi di tutto ciò che è vano al fine di guadagnarlo ed essere trovato in Lui (cf. Fil 3,8). La parabola ci dice che nessuno vede quel tesoro, tuttavia chi lo trova lo manifesta attraverso delle azioni visibili, che suscitano meraviglia e stupore, contraddizione e turbamento, poiché scaturiscono non da un’autoaffermazione personale, ma dall’accoglienza di una conversione centrata sul primato della Parola e dell’Eucarestia, da cui deriva quella diaconia ministeriale che annuncia l’inscindibile legame tra contemplazione orante ed azione, che vogliamo sintetizzare con la geniale intuizione del nostro autore, che la ama definire “contemplattività” (con due t). 4 1 2 3 Il campo, nel quale «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3), è proprio il Cristo, mentre il tesoro nascosto è quel Regno di Dio, che è il Cristo stesso che si comunica mediante la Sua Parola.1 L’instancabile impegno profuso a favore degli ultimi, degli emarginati, degli ammalati, dei poveri e degli immigrati, le porte “aperte” della sua casa, non sono opere di carità, ma svelano la carità delle opere di quanti traggono forza e dinamismo da quella diaconia che sgorga dalla sorgente del “tavolo dell’eucarestia”, e dalla fede di chi si abbandona in Cristo e non si aggrappa a Lui per paura. 2 L’esperienza dolorosa della sofferenza non lo vedrà mai abbandonare il gregge a lui affidato, e infondere anche in questo tempo la testimonianza della sequela di Cristo, attraverso una fede luminosa ed una speranza certa nel valore salvifico di una sofferenza vissuta in Cristo. Come lui diceva, infatti, Egli è unito a noi nella sofferenza, nella condivisione di una croce nella quale «siamo confitti (non sconfitti)», 3 nella speranza che questa croce possa cambiare il mondo. La ricorrenza del Natale è presentata negli scritti epistolari del vescovo costruttore di pace, come opportunità nella quale lasciarsi docilmente guidare dallo Spirito, chiamato a rinnovare la Chiesa e il cammino dell’uomo. La festa del Natale è insieme “notte santa” e “notte empia”, con quest’ultima che si rinnova in tutte quelle forme di rifiuto e ingiustizia sociale, sintetizzate nelle lapidarie parole dell’evangelista: «lo de- posero nella mangiatoia perché per loro non c’era posto» (Lc 2,7).4 Sente infine quale suo dovere di vescovo, in occasione delle feste natalizie, quello di offrire una parola in grado di disturbare ed infastidire quanti non si lasciano rinnovare dalla novità assoluta che è l’amore di Dio per l’uomo. Li definisce “Auguri scomodi”, perché dalla vicenda di Betlemme richiamano la necessità del vivere l’esistenza come donazione, del praticare il valore dell’ospitalità, il rigettare ogni forma d’ingiustizia sociale, il lasciarsi mettere in crisi dalla sofferenza altrui, dalla mancanza del lavoro e della pace, dallo sfruttamento delle risorse ambientali, individuando nell’apertura agli ultimi l’unica possibilità per scorgere realmente quella luce venuta a illuminare ogni uomo. In questo tempo natalizio è più che mai fecondo tale contributo, offrendoci un richiamo efficace su come debbano essere intese questo tempo di gioia, festa, amore e pace. _ Si veda il commento di Sant’Agostino, Quest. in Evangelium ad Mt 13. Si rimanda agli scritti di don Tonino Bello, Commento a Gv 13. Don Tonino Bello, Come linfa vitale, Discorso agli ammalati, 27 febbraio 1993. Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo, Ed. San Paolo, Milano 1988, pag. 106, pp.108-109 per gli “Auguri scomodi”. L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 61 A COLLOQUIO CON PADRE MARCIANO Natale: un presepio senza Gesù Bambino? ...Le vetrine e le strade con gli addobbi festosi preannunciano la grande festa del Natale. Quelle luminarie mi fanno ritornare al tempo dell’infanzia e mi danno la possibilità di creare nei miei piccoli la gioia dell’attesa della nascita di Gesù Bambino. Ho una preoccupazione: non è che anche quest’anno si griderà che il presepio non si deve allestire nelle scuole e poi ci si scaglierà contro gli extracomunitari? Mi dica, Padre, faccio male se nel mio presepio di casa metto alcuni pastori raffiguranti il mondo musulmano? Daria – Brescia I l presepio è la rappresentazione della beatitudine «Beati gli operatori di pace». In effetti, in una grotta di una cittadina della Palestina, nasce il re della pace. All’evento partecipano più persone, anche se sono in contrasto fra loro per nazionalità, cultura, religione. Ricordo il presepio che realizzava mio padre mettendo tanta passione nel sistemare le montagne, il fiume, le casette, la grotta. Vi erano gli angeli che chiamavano i pastori e i vari personaggi indaffarati nei loro lavori quotidiani. Vi erano i soldati con il fucile pronto per sparare, Totò che faceva scena, il frate francescano che predicava. Io guardavo quel capolavoro di mio padre e non mi chiedevo neppure se il frate francescano esistesse prima della nascita di Gesù Bambino. In effetti, la concezione del presepio napoletano e popolare si basa su di una grande idea di fondo: rappresenta la famiglia umana, gli uomini buoni e cattivi. Tutti, però, orientati verso un unico punto: la grotta del Bambinello. Abbiamo accennato al presepio di ispirazione popolare, con i classici pastori in legno scolpito, quelli vestiti alla foggia delle varie epoche, e quelli, poverini, di creta, di gesso, di plastica. Ma è opportuno fare un riferimento al presepio voluto da Francesco d’Assisi, dove i «pastorelli» erano tutti esseri viventi. Il bue e l’asinello, i frati, il proprietario terriero, i contadini, o meglio, i servi della gleba. Tutti, nella notte fonda, con le fiaccole in mano sì da illuminare la valle di Greccio, in cammino verso una stalla dove Francesco parla di amore universale. Può darsi che tra quella gente, attratto dalla luce delle fiaccole, vi fosse qualche brigante che Francesco non cacciò via, ma accolse e abbracciò. E il lupo divenne agnello. No! Non vi può essere un autentico presepio se non c’è Gesù Bambino. Egli, nascendo a Betlemme, è entrato a far parte della storia umana. Inoltre, con molta chiarezza, afferma che qualsiasi cosa facciamo al bisognoso e al forestiero la facciamo a Lui stesso. Noi ci offendiamo se, a causa delle nostre discriminazioni, ci sentiamo chiamare razzisti, ma dobbiamo ammettere che certe frasi e alcuni comportamenti hanno tutto il sapore del razzismo. Gli immigrati si comportano male? Ma, oltre alle tante promesse, cosa si fa perché la loro permanenza non sia da noi considerata solo come un’occasione da sfruttare? Ci vogliono le leggi? Giusto! Si facciano! Ma quelle che rispettano la dignità dell’uomo! Che non si ripeta quello che ebbero a soffrire gli immigrati italiani negli Stati Uniti dove furono disprezzati, umiliati, condannati ingiustamente, tanto da indurli alla violenza come forma di autodifesa. Chi portò luce in quell’ambiente di mafia nascente, conseguenza di leggi ingiuste? acolLoquioacolloquioacolLoquioacolloquio 62 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 63 Furono le opere di santa Francesca Cabrini, la “madre degli italiani”. Si prodigò istituendo corsi di lingua inglese, assistenza sanitaria e scolastica, impegno religioso e sociale. E adesso una confidenza. Mi ero attardato in queste riflessioni, quando pian piano mi sono appisolato. Non so se ho dormito, ma certamente ho sognato. Mi è sembrato di trovarmi a Betlemme proprio quando Giuseppe e Maria entravano nella cittadina e il canto degli angeli, Tu scendi dalle stelle, faceva da colonna sonora al mio sogno. Giuseppe bussa alla porta delle case, al caravanserraglio, alla sinagoga, ma la risposta è sempre identica. Non vi è posto. “Siamo capitati male – dice Maria – a motivo dei tanti pellegrini venuti per il censimento”. Giuseppe, uomo pratico, ribatte: “Al vederci, hanno capito subito che abbiamo il portafoglio vuoto e, poi, tu stai in quello stato e nessuno vuole fastidi! Senti, Maria, andiamo in un’altra nazione e certamente troveremo un posto per far nascere Gesù”. Sorvolano le varie nazioni del Medio Oriente e Maria, attenta osservatrice della vita degli uomini, chiede a Giuseppe: “Ma chi sono tutti quei sol- dati con tanti carri armati?”. “Sono soldati dell’occidente venuti qui a portare la pace”. “E con la distruzione e la morte vogliono portare la pace?”. “Maria, andiamo subito via”. “Ecco siamo in India” dice Giuseppe. Entrano in una casetta e vedono in un angolo la cappellina della preghiera. Si dicono: “Siamo nella casa giusta!”. Ma la padrona di casa, con la signorilità e la dignità delle donne indiane, riferisce che, in una regione confinante, è in atto una persecuzione contro i cristiani. È bene fuggire! Una volta sulla strada, Giuseppe, deciso, dice di volere andare in America latina. Interviene subito Maria: “Andiamo in Italia, è la culla del cristianesimo”. Giungono in città, chiedono informazioni ad un passante e questi gentilmente risponde: “Ecco, state proprio davanti alla USL, è l’ufficio che fa per voi”. L’impiegato, dopo aver scrutato Giuseppe e Maria, con il volto trasecolato, esclama: “Voi siete venuti dalla Palestina fin qui per partorire, ma non sapete che noi siamo una nazione civile ed abbiamo la legge dell’aborto?”. Giusep- pe sta lì lì per reagire quando Maria, con il volto rigato dalle lacrime, si avvia verso l’uscita. Afflitti, frastornati, escono e si siedono su di una panchina che è proprio lì vicino. In quel momento aprii gli occhi e non vidi Giuseppe né Maria e neppure l’asinello. Allora capii che avevo sognato… ma il sogno era veritiero. Cara lettrice, invita Maria e Giuseppe a venire a casa tua. Essa diventerà un presepio vero, anzi, se partecipando alla Messa ricevi la Comunione, il tuo cuore diventerà come la mangiatoia che accolse Gesù. Se, poi, lungo la strada incontri qualche extracomunitario, invitalo a casa tua a mangiare una fetta di panettone e a bere un bicchiere di spumante. Allora la tua casa non sarà più solo un presepio ma una chiesa vera. _ ROMA, 20 Novembre 2010 ASSEMBLEA CNAL I l 20 novembre 2010 si è tenuta a Roma nella sede di Via Aurelia l’assemblea della Consulta delle Aggregazioni Laicali (CNAL). Una celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Ugo Ughi ha preceduto l’inizio dei lavori, moderati dalla segretaria Paola Dal Toso, che in un breve intervento introduttivo ha ripercorso il lavoro svolto dal consiglio direttivo ed ha presentato la programmazione dell’attività per il prossimo anno. È stata poi la volta di Rosario Carello, conduttore del noto programma televisivo “A sua immagine”. Presentando due libri, il primo di F. Miano, dal titolo “Chi ama educa”, l’altro di A. Matteo, dal titolo “La prima generazione incredula”, egli ha affrontato il delicato problema della formazione dei giovani e del difficile compito di chi deve assumersi la responsabilità di educare ed insegnare. La parte centrale dell’incontro ha dato spazio allo splendido intervento di LEANDRO CASCAVILLA S.E. Mons. Gianni Ambrosio vescovo di Piacenza-Bobbio e presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. Nel richiamare il documento della Conferenza Episcopale Italiana “Educare alla vita buona del Vangelo”, che raccoglie gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Mons. Ambrosio ha affrontato il tema dell’emergenza educativa. «Educare non è soltanto doveroso, ma è possibile», ha affermato, rinnovando alle aggregazioni laicali, «che hanno voce in capitolo perché impegnate sul territorio», l’invito «a proseguire con rinnovato slancio il compito di sempre» che è quello di accompagnare l’uomo. «È quanto mai importante l’alleanza educativa e la presenza delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti». La bella immagine che ha usato per sottolinearne il ruolo è quella del- le sponde di un fiume: «L’ acqua ha bisogno di sponde per arrivare al mare, altrimenti ristagna: le associazioni e i movimenti, nelle loro varie forme e carismi, possono essere queste sponde che incanalano la corrente e la aiutano ad andare avanti». È stato bello constatare come i Gruppi di Preghiera di P. Pio siano perfettamente in linea con gli orientamenti proposti dalla CEI. Le commissioni di studio, di recente istituzione, si preoccupano proprio di pianificare e dare spessore ad un impegno di formazione, di educazione, di evangelizzazione, di testimonianza, di operosa carità, di coinvolgimento sociale e politico, che deve rinnovare e ringiovanire i gruppi e concretizzarsi nelle realtà locali contribuendo al bene delle singole comunità cittadine. _ acoLloquioacolloquioaSSEMBLEAASSEMBLEAAS 64 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 65 Roma, 8 dicembre L’omelia di don Pietro Bongiovanni, coordinatore dei Gruppi di Roma e del Lazio F L’omaggio floreale ratelli e sorelle carissimi, come ogni anno, ci troviamo in questo Santuario della Madonna posto nell’antica Basilica di Sant’Andrea delle Fratte per celebrare un rito che ormai è una tradizione nella storia della nostra città di Roma: l’omaggio floreale alla Madonna di Piazza di Spagna. Un omaggio floreale voluto da Padre Pio da Pietrelcina. Compito che affidò ad una sua figlia spirituale, dicendole: «Figlia mia, mi raccomando, porta una rosa ai fedeli e alla Madonna in Piazza di Spagna. In ogni petalo di questo fiore ci sarà un ammalato di Casa Sollievo». Raccomandiamoci alla Mamma del Cielo affinché scenda su questa Casa e sul mondo intero una pioggia abbondante di grazia e di benevolenza. È bello vedere che, finalmente, quest’anno accanto ai tradizionali presenti di questa celebrazione, vi 66 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t sia una delegazione di Casa Sollievo della Sofferenza, che a nome di tutti voglio salutare ed incoraggiare a prendere a cuore quest’iniziativa. Noi siamo, oggi, qui riuniti per celebrare la festa più bella, la festa della Madonna dell’Immacolata. Mi è venuta in mente una cosa: quando il Beato Pio IX proclamò il giorno dell’Immacolata, l’umanità intera viveva un momento drammatico. Drammatico dal punto di vista della fede e della perdita dei valori cristiani. Pio IX si vedeva accerchiato non da un nemico umano. I nemici umani durano la stagione di una vita, poi passano, mentre i drammi dell’umanità si perpetuano nel tempo. Il problema è che Pio IX vedeva in questi elementi di attacco, lo scatenarsi dell’inferno, di Satana, del Demonio, che ha un’unica e sola intenzione: distruggere la Chiesa. Pio IX vive questa tentazione, ma è impossibile da realizzare perché il Signore ci ha detto: «Io sarò con voi fino alla fine dei tempi». Nonostante gli attacchi diabolici, lui ha guardato su in cielo, non si è fermato a piangere sui mali della terra. In cielo ha visto che l’unica arma che il Signore ha posto nelle nostre mani per di- fenderci dagli attacchi del nemico era il volto di una Madre Immacolata, tutta santa, preservata dal peccato originale, che l’apostolo Giovanni descrive come Colei che è capace di scacciare il Demonio nel tormento e nel travaglio del Padre e far rinascere nella storia quel Figlio dell’attesa e della speranza. Pio IX proclama il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria e dice all’intera umanità: «Guardate Lei e troverete rifugio nel momento della grande prova». Fra poco, porteremo questo monumentale cesto di fiori alla Madonna, lo porteremo con le mani e con il cuore di Padre Pio, lo porteremo con le mani e con il cuore di ognuno di noi. Saremo obbligati a far che cosa? Ad alzare anche noi il nostro sguardo verso il cielo e contemplare la bellezza di una Donna luminosa perché Madre di Dio, tutta santa perché Tabernacolo della Nuova Alleanza, immacolata perché ci indica con la sua santità la via che ognuno di noi deve poter seguire per scalare questa colonna delle virtù e poter salire alle altezze a cui Dio chiama ognuno di noi. Dobbiamo guardare a Maria per rendere santi noi e per santificare questo mondo. dei Gruppi di Preghiera all’Immacolata di Piazza di Spagna Lo diceva anche Padre Pio: «Quante volte sento il Signore che mi dice: santificati per santificare». Guardate, fratelli e sorelle, che non basta esprimere una fede fatta di gesti, non basta esprimere una fede fatta di parole, non serve nulla di tutto questo. Noi dobbiamo diventare una fede che si manifesta nella coerenza del cammino della nostra vita. Com’è possibile tutto questo? Quando ci sentiamo deboli, peccatori, fragili, poveri, il Padre lo dice a Maria: «Non temere. Nulla è impossibile a Dio». Qual è, allora, la via che ci porta ad iniziare a concretizzare questo cammino di santità che Maria, oggi, nel fulgore della sua gloria, ci indica come via da fare per l’ eterna beatitudine della salvezza anche storica dell’umanità? Bisogna aver fiducia, fidarsi di Dio, credere che Lui può affidarci alla premura di una Madre, che non viene mai meno, che è sempre accanto a noi e che noi possiamo sperimentare come presenza benevola, come presenza incoraggiante, come presenza che ci accompagna sulla via della santità ogni istante della nostra vita, sia nella gioia che nel dolore. Cari fratelli, oggi più che mai, dob- biamo sentirci chiamati con entusiasmo, con vigore, con forza, a testimoniare la presenza di un Vangelo che costruisce la società qui in terra e che ci apre con la chiave dell’amore di Dio la porta del Paradiso. Vogliamo essere fino in fondo uomini e donne di fede. Vogliamo essere cristiani. Vogliamo testimoniare la fede e la speranza che è nei nostri cuori così come ha fatto San Pio da Pietrelcina, il quale ha affrontato anche il rischio dell’isolamento e della persecuzione. Certi che alla fine il cuore immacolato di Maria trionferà perché in Lei è la presenza dell’altissimo Dio, in Lei sta il Figlio Gesù. E, con il trionfo del suo cuore di Madre, trionfa così la Santissima e Divinissima Trinità. Con Lei trionfiamo anche noi, quali figli amati, perdonati e redenti. Allora, fratelli cari, che vogliamo fare della nostra vita? Diciamolo alla Madonna: «Madonna benedetta, prendici per mano, aiutaci a scalare questo monte delle tante virtù. Dacci il coraggio di trasformare il chiacchierio e la critica, di trasformare le pigrizie e le paure, in ardore di fede. O, Maria Concepita senza peccato, prega per il tuo popolo, che rischia di perdersi stravolto dalle tentazioni di Satana. O, Maria concepita senza peccato, proteggi e benedici la tua Chiesa. Manda vocazioni, tante, numerose. Proteggi e salva le famiglie. Manda su tutti noi la benedizione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, perché questo gesto sia l’immagine simbolica di una fioritura dei cuori, di una riaccensione della speranza e di un incendio della fede, che coinvolga tutti e ci riporti a Dio». Amen. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 67 Atto di Venerazione all’Immacolata a piazza di Spagna Discorso del Santo Padre Benedetto XVI Lo sguardo di Maria è lo sguardo di Dio su ciascuno di noi Cari fratelli e sorelle! Cari fratelli e sorelle! Anche quest’anno ci siamo dati appuntamento qui, in Piazza di Spagna, per rendere omaggio alla Vergine Immacolata, in occasione della sua festa solenne. A tutti voi, che siete venuti numerosi, come pure a quanti partecipano mediante la radio e la televisione, rivolgo il mio saluto cordiale. Siamo raccolti intorno a questo storico monumento, che oggi è tutto circondato da fiori, segno dell’amore e della devozione del popolo romano per la Madre di Gesù. E il dono più bello, e a Lei più gradito, che noi offriamo è la nostra preghiera, quella che portiamo nel cuore e che affidiamo alla sua intercessione. Sono invocazioni di ringraziamento e di supplica: ringraziamento per il dono della fede e per tutto il bene che quotidianamente riceviamo da Dio; e supplica per le diverse necessità, per la famiglia, la salute, il lavoro, per ogni difficoltà che la vita ci fa incontrare. Ma quando noi veniamo qui, specialmente in questa ricorrenza dell’8 dicembre, è molto più importante quello che riceviamo da Maria, rispetto a ciò che le offriamo. Lei, infatti, ci dona un messaggio destinato a ciascuno di noi, alla città di Roma e al mondo intero. Anch’io, che sono il Vescovo di questa Città, vengo per mettermi in ascolto, non solo per me, ma per tutti. E che cosa ci dice Maria? Lei ci parla con la Parola di Dio, che si è fatta carne nel suo grembo. Il suo “messaggio” non è altro che Gesù, Lui che è tutta la sua vita. È grazie a Lui e per Lui che lei è 68 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t l’Immacolata. E come il Figlio di Dio si è fatto uomo per noi, così anche lei, la Madre, è stata preservata dal peccato per noi, per tutti, quale anticipo della salvezza di Dio per ogni uomo. Così Maria ci dice che siamo tutti chiamati ad aprirci all’azione dello Spirito Santo per poter giungere, nel nostro destino finale, ad essere immacolati, pienamente e definitivamente liberi dal male. Ce lo dice con la sua stessa santità, con uno sguardo pieno di speranza e di compassione, che evoca parole come queste: “Non temere, figlio, Dio ti vuole bene; ti ama personalmente; ti ha pensato prima che tu venissi al mondo e ti ha chiamato all’esistenza per ricolmarti di amore e di vita; e per questo ti è venuto incontro, si è fatto come te, è diventato Gesù, DioUomo, in tutto simile a te, ma senza il peccato; ha dato se stesso per te, fino a morire sulla croce, e così ti ha donato una vita nuova, libera, santa e immacolata” (cfr Ef 1,3-5). Questo messaggio ci dona Maria, e quando vengo qui, in questa Festa, mi colpisce, perché lo sento rivolto a tutta la Città, a tutti gli uomini e le donne che vivono a Roma: anche a chi non ci pensa, a chi oggi non ricorda neppure che è la Festa dell’Immacolata; a chi si sente solo e abbandonato. Lo sguardo di Maria è lo sguardo di Dio su ciascuno. Lei ci guarda con l’amore stesso del Padre e ci benedice. Si comporta come nostra “avvocata” – e così la invochiamo nella Salve, Regina: “Advocata nostra”. Anche se tutti parlassero male di noi, lei, la Madre, direbbe bene, perché il suo cuore immacolato è sintonizzato con la misericordia di Dio. Così lei vede la Città: non come un agglomerato anonimo, ma come una costellazione dove Dio conosce tutti personalmente per nome, ad uno ad uno, e ci chiama a risplendere della sua luce. E quelli che agli occhi del mondo sono i primi, per Dio sono gli ultimi; quelli che sono piccoli, per Dio sono grandi. La Madre guarda noi come Dio ha guardato lei, umile fanciulla di Nazareth, insignificante agli occhi del mondo, ma scelta e preziosa per Dio. Riconosce in ciascuno la somiglianza con il suo Figlio Gesù, anche se noi siamo così differenti! Ma chi più di lei conosce la potenza della Grazia divina? Chi meglio di lei sa che nulla è impossibile a Dio, capace addirittura di trarre il bene dal male? Ecco, cari fratelli e sorelle, il messaggio che riceviamo qui, ai piedi di Maria Immacolata. È un messaggio di fiducia per ogni persona di questa Città e del mondo intero. Un messaggio di speranza non fatto di parole, ma della sua stessa storia: lei, una donna della nostra stirpe, che ha dato alla luce il Figlio di Dio e ha condiviso tutta la propria esistenza con Lui! E oggi ci dice: questo è anche il tuo destino, il vostro, il destino di tutti: essere santi come il nostro Padre, essere immacolati come il nostro Fratello Gesù Cristo, essere figli amati, tutti adottati per formare una grande famiglia, senza confini di nazionalità, di colore, di lingua, perché uno solo è Dio, Padre di ogni uomo. Grazie, o Madre Immacolata, di essere sempre con noi! Veglia sempre sulla nostra Città: conforta i malati, incoraggia i giovani, sostieni le famiglie. Infondi la forza per rigettare il male, in ogni sua forma, e di scegliere il bene, anche quando costa e comporta l’andare contro-corrente. Donaci la gioia di sentirci amati da Dio, benedetti da Lui, predestinati ad essere suoi figli. Vergine Immacolata, dolcissima Madre nostra, prega per noi! _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 69 IMMA L’ COLA tano nel tempo, questo stesso amore ci faccia trovare riuniti nel paradiso di Dio. Nell’attesa vogliamo ripetere per l’ennesima volta alia Madonna, almeno con il cuore, le parole di un canto a Lei dedicate, risuonato in chiesa più volte queste sere della Novena: TA di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo” (Gen 3,15). Nel Nuovo Testamento, l’Arcangelo Gabriele saluta Maria, dicendoLe: “Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è teco” (Lc 1,28). Come a dirLe: “Ave, o Immacolata!”. La Chiesa continuerà a cantare nei secoli: “Tota pulchra es, Maria” (Tutta bella sei, o Maria). Sì, in questo mondo corrotto e corruttore solo Lei, Maria di Nazareth, brilla quale astro fulgente in mezzo alle tenebre del peccato. Ebbene, l’Immacolata interceda per noi presso Dio e ci ottenga la gioia e la grazia della purezza. La purezza brilli sempre nel nostro sguardo e si sprigioni quale profumo soavissimo da tutta la no- padre leonardo triggiani O ggi la Chiesa festeggia la solennità dell’Immacolata. L’Immacolata! La tutta Bella, la tutta Santa, la Piena di grazia, la Benedetta tra le donne, la Beata fra le genti, la “Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Ma che significa “immacolata”?. Che la Madonna è stata sempre vergine o santificata nel grembo materno o vissuta intemerata (senza peccato)? Anche, ma troppo poco. Immacolata significa “preservata”, anche da quella colpa con la quale ognuno di noi nasce macchiato: la colpa originale. Privilegio più unico che raro: solo a Lei, a nessun altro! – Veramente, un giorno anche noi fummo se non proprio immacolati, almeno innocenti: il giorno del nostro battesimo. E restammo innocenti per qualche anno. Poi, un brutto giorno, forse non ricordiamo più neppure come fu, innocenti non fummo più, perché penetrammo furtivamente nel giardino del peccato e cogliemmo la rosa proibita. Subito dopo, di quella rosa rimase nelle nostre mani solo il 70 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t “ gambo spinoso e i petali appassiti. Ma perché questo singolare privilegio concesso a Maria di Nazareth? Solo perché doveva diventare la Madre di Dio. A proposito dell’Immacolata Concezione, il francescano Duns Scoto diceva: “Deus potuit. Decuit. Ergo fecit”. Dio poteva farlo, era conveniente che lo facesse. Lo ha fatto. L’ha creata Immacolata. E noi come tale oggi La veneriamo e festeggiamo. – Ma noi come siamo arrivati a capire questo privile- stra persona. E gli altri, vedendo la purezza brillare nel nostro sguardo, sentendo il profumo della purezza sprigionarsi da tutta la nostra persona, siano indotti a non lasciarsi travolgere dall’onda fangosa del male, che dilaga sempre più. L’Immacolata ci aiuti a recuperare, se non proprio l’innocenza – l’innocenza e come la gioventù: passa e non torna più! – almeno un po’ di quella purezza, alia quale Gesu ha legato una beatitudine, quando disse: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”(Mt 5,8). L’amore che questa sera ci trova qui riuniti in un cuor solo e in un’anima sola, nel nome della Madonna Immacolata, un giorno più o meno lon- Immacolata, Vergine e bella, di nostra vita tu sei la Stella. Fra le tempeste tu guidi il cuore Di chi ti invoca Stella d’amore. Siam peccatori, ma figli tuoi. Immacolata, prega per noi. „ 4 maggio 1960. Padre Pio incorona la statua della Madonna Immacolata, donata alla sua Opera dal Gruppo di Preghiera di San Casciano Val di Pesa. gio di Maria, cioè è nata Immacolata? Ci è stato rivelato. Nell’Antico Testamento, Dio dice al serpente: “E io porrò inimicizia tra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 71 Al termine della recita, il presidente, il direttore generale e il direttore sanitario della Casa Sollievo della Sofferenza hanno rivolto parole di ringraziamento e di auguri ai piccoli «attori» della Pediatria. Nove doni per Natale Il recital dei bambini della onco-ematologia pediatrica M artedì 14 dicembre i piccoli pazienti della Scuola Ospedaliera Paritaria della Oncoematologia Pediatrica di Casa Sollievo della Sofferenza, diretta dalla professoressa Cinzia Patrizio, hanno presentato il Recital “Nove doni per Natale”. Alla richiesta di un bambino che vuole diventare grande in modo giusto, Gesù Bambino gli invia l’Angelo Custode perché gli porti i suoi nove doni, sotto forma di consigli e segreti. Per cominciare, la preghiera di don Tonino Bello, che esorta ad accogliere, come Maria, la parola di Dio nel nostro cuore perché solo cosi anche il corpo potrà brillare della sua luce. Il bue e l’asinello sono gli animali scelti da Dio nella grotta di Betlemme, perché la sanno lunga sulla umiltà e la pazienza! Ed ecco la sincerità: chi è più sincero di un bambino? Madre Teresa di Calcutta ci invita ad essere “l’espressione della bontà nel volto, negli occhi, nel sorriso, nel saluto”. Il più complicato, difficile, costoso è il perdono! E poi donare, come ci suggerisce Mahatma Gandhi: “prendi un raggio di sole, fallo volare là dove regna la notte”. E ancora l’amore che non si compra e non si vende, ma che tutti posseggono e può far accendere il sorriso. Ma, la forza che tiene uniti i cuori e muove e rinnova le coscienze e il mondo è la preghiera. “Che potenza enorme ha la preghiera dei bambini!”, dice Giovanni Paolo II nella sua lettera ai bambini del 13 dicembre 1994. 34 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Ad omaggiare i piccoli-grandi campioni insieme ai genitori e amici vi erano l’Arcivescovo Michele Castoro, il Direttore Generale Domenico Crupi, Il Direttore Sanitario Domenico Di Bisceglie, il Direttore Amministrativo Michele Giuliani e il personale del Reparto unitamente al primario Saverio Ladogana. Incredibile la scioltezza e la bravura di questi ragazzi! Il vescovo li ha elogiati, incoraggiati e abbracciati tutti con il suo grande cuore. Tanta l’emozione e la commozione sui volti di tutti! Per qualche ora, come per magia, la malattia e la sofferenza, hanno ceduto il posto alla gioia e alla spensieratezza di cui ogni bimbo dovrebbe godere. Monsignor Castoro. Siamo venuti qui per fare gli auguri a questi bambini, ma questi bambini gli auguri li hanno fatti a noi. Siamo venuti per portare una parola di speranza, ma sono loro che hanno riempito il nostro cuore di gioia. Allora, siamo qui a dire grazie. Grazie al primario, all’insegnante Cinzia, a tutti gli operatori del reparto di Pediatria Oncologica, per tutto quello che fanno per questi bambini. Un po’ ci rappresentano tutti perché tutti vorremmo fare qualcosa di più per loro. E, allora, noi ci affidiamo a questi operatori, che sono in prima fila, per mettere in pratica il comandamento del Signore: quello di amare soprattutto i bambini. Un giorno Gesù disse che qualunque cosa noi facciamo per i bambini è come se la facessimo direttamente a Lui. «Se avete dato anche solo un bicchiere d’acqua – dice Gesù – ad uno dei miei fratelli più piccoli, voi l’avete dato a me». In questo caso, non si tratta solo di un bicchiere d’acqua. Qui, si tratta di ridonare la salute. E, allora, oggi, siamo tutti in festa, per dire a questi bambini: «Vi vogliamo bene!». Sono stati bravissimi a fare questa recita. Mi è piaciuta molto quella strofetta che dice: «Prendi un po’ d’amore e dallo a chi non sa donare». Ecco, io credo che il senso del Natale sia racchiuso proprio in questo. Il Natale è il mistero dell’amore, il mistero dell’amore di Dio che abbandona i Cieli Altissimi, il suo trono di gloria, per venire ad abitare in mezzo a noi, per diventare uno di noi. Lui è diventato proprio bambino. Poteva nascere già gran- de, chi glielo impediva? D’altronde Lui era il Re dei re, il Creatore dell’universo, ma ha voluto nascere bambino. Sapete perché? Perché non c’è povertà, non c’è miseria, non c’è persona umile che non possa avvicinarsi ad un bambino. In questo modo, lui è alla portata di tutti, può essere avvicinato da tutti, può essere amato da tutti. Allora, il Natale, che è il mistero della nascita di un Bambino, ci porta ad amare in maniera più bella e più intensa proprio questi bambini, i quali hanno più bisogno di amore. L’augurio che faccio a questi bambini, qual è? Che possano presto tornare a casa completamente guariti. Crupi. Cari bambini, sappiate che per tutti noi siete come dei «fratellini». Vi vogliamo molto bene qui, nel nostro ospedale, ma io vi auguro di poter guarire il prima possibile e tornare a casa. Prima di andare, avrei una proposta da farvi. Voi siete qui con delle persone un po’ speciali, facciamo un grande applauso a tutto il personale della Pediatria Oncologica. Buon Natale a tutti e grazie. Di Bisceglie. Cari bambini, voi avete avete avuto sfortuna nella vita, ma al contempo avete avuto la grande fortuna, rispetto agli altri che hanno le vostre stesse malattie, di essere curati in questo Reparto. Questo non vuol dire che dovete essere contenti di essere ammalati, però, credo che in nessun altro posto come questo, avete la possibilità non soltanto di guarire, ma di essere trattati con tutto l’amore che questo ospedale sa dare, a partire dal Direttore Generale e dal Presidente fino a tutti i camici bianchi, che lavorano qui dentro. Vi ringrazio per quello che ci avete dato oggi e vi faccio i migliori auguri di Buon Natale. Grazie. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 35 La sofferenza diventa “oro” se assunta nel nome di Gesù L’oro di San Giovanni Rotondo L’AMCI di Volterra Pio In visita all’Opera di San I l 26 novembre 2010, la sezione diocesana dell’AMCI di Volterra ha iniziato il periodico pellegrinaggio in quell’angolo straordinario del Gargano dove per tanti anni la figura gigantesca di San Pio (Padre Pio per gli inguaribili nostalgici) ha rinnovato al mondo intero la grazia di una testimonianza autenticamente tangibile di Gesù Cristo. Se un pellegrinaggio deve rappresentare non solo una visita a luoghi sacri fisicamente percepibili, ma anche (e soprattutto) la metafora di un viaggio interiore alla riscoperta dei valori più profondi di una coscienza sopita dal tempo, questo scopo è stato perfettamente raggiunto grazie ad un incontro che ha davvero il sapore di qualcosa voluto e benedetto dal cielo. Infatti, guidati dal presidente, dott. Mino Fierabracci e dal vicepresidente Mascolo (nonché orga- 36 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t nizzatore, perché di origini garganiche), noi medici cattolici di Volterra abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di essere ricevuti dalla Dott.ssa Lucia Miglionico nel “suo” Centro di Oncoematologia Pediatrica. Ispirata da autentica fede, alta professionalità, umanità senza pari, Lucia ha illuminato il nostro gruppo di una luce troppo spesso affievolita dalle assurde contraddizioni della routine professionale, per riproporre la sfacciata evidenza della vera missione del medico; guidati passo passo nel Centro, che si colloca senza alcun dubbio ai vertici dell’eccellenza clinica, abbiamo potuto toccare con mano la realizzazione in pratica di quel nome ricco di significato voluto da Padre Pio: Casa Sollievo della Sofferenza . Chi vi entra viene accolto dal calore di una “casa”, preso in “cura” (non “ti curo”, ma “mi prendo cura di te”) ad altissimo livello tecnico e tecnologico, ma con lo scopo primario di “alleviare” il più possibile la “sofferenza”. A conclusione della visita, la S. Messa celebrata dal nostro assistente Mons. Volpi nella Cappella del Centro e… la scoperta finale che ha il sapore di un piccolo-grande miracolo: la sensazione unanimemente condivisa di una “gioia” profonda che stride con la tristezza abituale che permea certi ambienti sanitari. È allora possibile non solo alleviare la sofferenza ma trasformarla addirittura in gioia ?!!! Il miracolo di Padre Pio continua a realizzarsi anche grazie a chi sa esserne degno testimone ed interprete! Grazie da tutti noi _ I MONSIGNOR ARMANDO VOLPI l 26, 27 e 28 novembre, ho avuto l’opportunità e il piacere di partecipare al pellegrinaggio che il gruppo dei Medici Cattolici di Volterra, ha fatto a San Giovanni Rotondo, per venerare le spoglie del Santo Padre Pio da Pietrelcina. Chi va ora a San Giovanni Rotondo, non può non rimanere confusamente ammirato dalla grandezza e dalla forma ardita che l’architetto Piano ha voluto dare alla Basilica. Visitata la Basilica superiore, con ancora negli occhi tale arditezza, il visitatore lentamente prende il camminamento che, in lieve pendio, lo porta alla cripta dove è conservato il corpo del Santo. È quello che ho fatto anch’io, insieme a tutto il gruppo. Sapevo che il percorso alla cripta e tutta la cripta stessa erano stati ricoperti dai mosaici realizzati da padre Marko Ivan Rupnik, che già conoscevo per altre sue opere, e quindi mi sono introdotto sapendo già che avrei visto cose molto belle. Lungo il camminamento che porta alla cripta l’artista ha rappresentato alcune scene della vita di San Pio e di San Francesco, racchiuse in vani che distanziano le une dalle altre. Un lavoro molto bello e, anche se grande, direi “leggero”, tale da appa- rire “un cammino angelico” verso le spoglie di San Pio. Ma quanto grande non è stata la sorpresa quando, entrato nella cripta, anch’essa molto ampia, ho visto una chiesa tutta ricoperta di oro, pitture e mosaici. Il soffitto è praticamente una cupola in oro ed emana un “bagliore” che quasi acceca. Di fronte a tanto splendore, allo stupore si è subito aggiunto un senso di smarrimento... Successivamente, ripensandoci, mi sono “riconciliato” con l’opera. È vero che tanto sfarzo può contrastare con lo stile di vita del “povero frate”, pur tuttavia la ricchezza di oro e di figure che ricoprono la superficie interna della chiesa a me pare che un senso ce l’abbia. L’artista ci dice che tutte le opere compiute da Padre Pio, dalle più grandi alle più piccole ed umili, sono “trasparenza di Dio”, significato dall’oro che del divino è il segno. Dio ha parlato agli uomini di oggi anche attraverso Padre Pio: chi ha parlato con il padre, ha “intravisto” Dio, la sua Grandezza, la sua Misericordia, dunque vede l’oro. Ma, a questo punto, mi sono posto una domanda: è proprio la Basilica con tutto il suo oro, il vero “gioiello” e la “ricchezza” di San Giovanni Rotondo? Nel programma del pellegrinaggio era inclusa la visita e la celebrazione della Messa, nella Cappella del Poliambulatorio, la struttura annessa all’Ospedale, nella quale c’è il Reparto dove vengono curati i bambini colpiti da tumore. Nella visita siamo stati accompagnati dalla dottoressa Lucia Miglionico. Il suo volto sorridente, le sue parole sommesse, accanto alla serenità che si respirava in tutti gli ambienti, la leggerezza del muoversi di tutto il personale, mi ha detto che “di fatto” mi trovavo in una chiesa e non in un ospedale. Ed ho sentito sprigionarsi da quella “chiesa” una tale grandezza, forza, tenerezza d’amore, che mi ha fatto pensare: “Se l’amore che si esprime attorno ai malati è così grande, allora, la sofferenza è necessaria!”. Ma noi sappiamo che Dio vuole i suoi figli felici, partecipi della Sua beatitudine eterna, dunque, come si può affermare che la sofferenza è necessaria? Senza affrontare questioni più profonde, mi limito a dire che, in questo mondo, per l’uomo, la sofferenza è ineliminabile : la sofferenza c’è, ed è tanta. In alcuni casi però, essa è capace di trarre fuori dall’uomo tutto il bene e l’amore di cui è ricco. Per cui la sofferenza può diventare la massima incarnazione dell’amore. Il Figlio di Dio, diventando uomo, non ha scansato la sofferenza, ma l’ha presa su di sé, vivendola “da Dio”, trasformandola così nel più grande atto d’amore per tutti gli uomini. Nel cuore di Gesù la sofferenza è diventata “oro” e “oro può diventare ogni sofferenza umana se assunta da Lui e nel nome di Lui. L’ “oro”, e la ricchezza della Basilica di San Pio, non sono perciò, fine a se stessi, ma danno una lucentezza agli infiniti gesti di carità che fioriscono nel complesso Casa Sollievo della Sofferenza che Padre Pio ha voluto e che “miracolosamente” continua a crescere. L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 37 La Casa Sollievo al I l Festival dell’Innovazione 2010, l’appuntamento biennale con l’innovazione svoltosi a Bari mercoledì 1, giovedì 2 e venerdì 3 dicembre presso la Fiera del Levante ha rappresentato per Casa Sollievo della Sofferenza una vetrina di rilievo per presentare i propri progetti di innovazione tecnologica e ricerca e che rappresenta un’occasione im- 38 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t portante per incontrarsi con i protagonisti dell’innovazione pugliese e internazionale: aziende, operatori, scienziati impegnati nelle sfide dell’innovazione e della ricerca. La seconda edizione della manifestazione promossa dalla Regione Puglia, dall’ARTI, dalle cinque università pugliesi, dal CNR, dall’ENEA e dalla Fiera del Levante ha concentrato l’attenzione su quattro macroaree tematiche: •biotecnologie e scienze della vita, agroalimentare, tecnologie per l’energia e l’ambiente; •aerospazio, meccanica e meccatronica, logistica e tecnologie per i sistemi produttivi, nuovi materiali e nanotecnologie, ICT; • innovazioni per beni culturali, turismo, formazione, comunicazione, multimediale, Pubblica Amministrazione; •innovazioni per la qualità della vita (in prosecuzione del progetto InnovAbilia – Festival delle innovazioni per le diverse abilità, svoltosi a Foggia nel dicembre 2009). Lo stand di Casa Sollievo ha espo- sto il plastico dell’ospedale con le nuove aree e reparti, nuovi percorsi e poli dei servizi e della logistica, nuovi settori di ricerca e una moderna piattaforma tecnologica per consentire un innovativo modello di gestione “malatocentrico”, con un utilizzo razionale delle risorse e delle tecnologie e con la sfida ambientale dell’ “ospedale verde” . Per quanto riguarda la ricerca, l’Istituto ha presentato le attività di laboratorio e promosso la nuova campagna “Adotta una cellula” per la realizzazione di sperimentazione cliniche sull’uomo affinché vengano sviluppate, nel più breve tempo possibile, terapie cellulari efficaci per le malattie neurodegenerative. Nell’arco delle tre giornate è stato inoltre distribuito materiale informativo riguardante la «Banca del Latte Umano Donato» e il progetto HOPE: la Banca del Latte offre la possibilità non solo di donare ma anche di ricevere latte materno per i bambini meno fortunati; HOPE (HOme for Elderly People), progetto internazionale di ricerca che aiuta, attraverso il supporto di sensori, persone anziane con esigenze speciali, causate da disagi mentali, in particolare dovuti a malattia di Alzheimer, a vivere in maniera indipendente. Una nota di merito va alla ispirata lectio magistralis tenuta da Albert Làszlò Barabàsi, scienziato ungherese esperto di reti, che nel 1999 introdusse il concetto di reti ad invarianza di scala e che ha ispirato gli studi di Francesco Giuliani, dirigente fisico di Casa Sollievo. Un’altra presenza di rilievo è stata quella di Alastair John Campbell, giornalista inglese e portavoce di Tony Blair dal ’94 al ’97, che ha parlato di “Strategia della comunicazione e crisis mediation” . Nelle tre giornate del festival hanno presidiato lo stand i nostri ricercatori Giuseppe Merla (laboratorio di genetica medica) e Antonella Marucci (laboratorio di diabetologia ed endocrinologia), Giovanni Favuzzi (laboratorio di Emostasi e Trombosi ), Ada Piepoli e Leonardo Mottola (laboratorio di gastroenterologia), Giulia Paroni (laboratorio di geriatria) e Raffaella Barbano (laboratorio di oncologia), che hanno risposto alle domande sulla ricerca e sul mestiere di ricercatore, poste soprattutto dalle scolaresche. Casa Sollievo ha chiuso la sua partecipazione a questo evento con il workshop tenuto da Lidia De Filippis (biologa ricercatrice dell’Università Bicocca di Milano e collaboratrice di Angelo Vescovi, direttore scientifico del nostro IRCCS) sulla banca della cellule staminali neurali e sulle nuove frontiere della medicina rigenerativa. Una presentazione tra il tecnico e il divulgativo che ha letteralmente riempito lo spazio convegni e suscitato numerose domande, soprattutto sulla possibilità di riuscire ad ottenere risultati significativi e decisivi nello studio della SLA e della Sclerosi multipla. Il direttore sanitario Di Bisceglie, durante l’accesa discussione che ne è seguita, ha sottolineato in un suo breve intervento l’importanza del coinvolgimento dell’ospedale in questa sfida. Il discorso di chiusura del Presidente della Regione Nichi Vendola ha concluso la manifestazione. Il Presidente ha elogiato la continua attività innovativa della regione Puglia, soprattutto quella finalizzata al benessere delle persone malate. Immediatamente dopo il suo intervento dal palco, durante il suo giro fra gli espositori, il Presidente ha visitato il nostro stand, interessandosi in particolare al nuovo progetto “Adotta una cellula” e conversando brevemente con noi sullo stato della ricerca nelle patologie neurodegenerative. _ L’asilo nido aziendale In occasione dell’inaugurazione del Festival dell’Innovazione, tenutasi a Bari il 1 dicembre scorso presso la Fiera del Levante, in cui la Casa Sollievo della Sofferenza ha allestito uno stand per pubblicizzare la campagna «Adotta una Cellula», il dottor Domenico Crupi ha incontrato la dottoressa Elena Gentile, assessore regionale alla Solidarietà, per formalizzare gli atti finali di un finanziamento pubblico con il quale l’Opera di San Pio realizzerà un asilo nido aziendale. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 39 Alla Bitrel hanno preso parte numerosi operatori turistici e giornalisti di settore, interessati a conoscere nuovi territori e nuove opportunità di pellegrinaggio. Per gli operatori solo stati predisposti due workshop per il cosiddetto matching, l’interazione tra domanda e offerta di servizi turistici, per i giornalisti invece tre educational tematici: Via Francigena del Sud, Lungo i luoghi di Padre Pio e Gli Eremi e la Foresta Sacra. Tra gli eventi collaterali alla BITRel, sabato 27 novembre nell’aula Maria Pyle della Chiesa di San Pio è stata presentata l’anteprima del documentario televisivo prodotto dalla Rainieri Made dal titolo “Padre Pio il frate del Gargano” di Maite Carpio, regista vincitrice nel 2009 del Roma Fiction Fest nella sezione documentari. Nell’ambito dei convegni ha destato particolare interesse la tavola ro- Turismo Religioso Conclusa la prima edizione 40 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t D al 26 al 29 novembre scorso si è svolta la prima edizione della Bitrel (Borsa Internazionale del Turismo Religioso dei Cammini e dei Pellegrinaggi) un evento che ha unito simbolicamente la provincia di Foggia, Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo. Finanziato da enti pubblici e privati, Bitrel è ripartita da dove si era interrotta l’esperienza di Aurea, la Borsa del Turismo Religioso e delle Aree Protette che fino al 2007 si era svolta annualmente a San Giovanni Rotondo e poi trasferita a Foggia per carenza di strutture espositive adeguate. Sono stati quattro giorni pieni di appuntamenti: workshop, convegni, incontri, mostre, degustazioni ed educational con l’obiettivo di promuovere il Gargano mistico, la terra dell’antica devozione verso San Michele Arcangelo, la stessa terra che, nei secoli successivi, ha rivelato al mondo le opere di San Pio da Pietrelcina. “Il progetto di Bitrel è valido perché vuole unire diversi attori sul territorio e va nella direzione di creare una visione di insieme per elaborare una proposta globale”, ha dichiarato padre Caesar Alimsinya Acuire, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi. “Ora auspichiamo che tutto il territorio risponda secondo le intenzioni seminate da questa edizione della Borsa del turismo religioso, che è anche riscoperta dei pellegrinaggi e dei cammini”. ra di San Pio sottolineando l’impegno della Casa per assicurare ai suoi ospiti prodotti e materie prime di qualità, quale contributo al suo disegno più ampio di sollievo della sofferenza. _ La relazione del dottor Carlo Gatta, direttore dell’Immobiliare Casa Sollievo della Sofferenza La Borsa Internazionale del Nicola Fiorentino tonda di sabato 27 dal titolo Bio Divino, Conventi e Monasteri che producono Prodotti Biologici. Tra i relatori il dottor Carlo Gatta, direttore della Società Immobiliare “Casa Sollievo della Sofferenza”, che ha presentato l’attività delle Fattorie dell’Ope- « DIVINO» Il rapporto tra la fede e il mondo dell’agricoltura U n ringraziamento allo staff del Comune di San Giovanni Rotondo e quindi agli organizzatori della BITREL per la caparbietà dimostrata nel riportare qui la borsa del turismo religioso, un evento che rappresenta una fondamentale vetrina di promozione del nostro territorio. Un sincero ringraziamento anche per avermi invitato qui oggi a presentare l’Azienda per cui lavoro. Veniamo all’argomento in questione: “Bio divino”, ovvero le produzioni biologiche, o permettetemi agrozootecniche, che in qualche modo hanno a che fare con enti o istituti religiosi. Certo il tema del convegno potrebbe stimolare discussioni molto interessanti, tipo i rapporti fra la fede e il mondo agricolo o tra la fede e l’alimentazione. Le domande che ci potremmo porre questa sera sono tante: “Esiste una qualche rela- L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 41 XIX Convegno dei Gruppi dell’Italia Meridionale 42 zione tra la spiritualità e la produzione biologica? Tra la spiritualità e la filiera corta? Tra la spiritualità e il sostegno ai piccoli produttori o alle produzioni locali?”. Facendo una breve riflessione potrei rispondere sì, credo di sì, soprattutto se consideriamo che la dottrina sociale della Chiesa più volte ha richiamato l’attenzione verso un’equa distribuzione dei prodotti alimentari, al rispetto della natura da tutelare e preservare in quanto creata da Dio e bene comune, al rispetto del lavoratore in quanto essere umano, ma a queste domande credo possano rispondere persone molto più autorevoli di me. Io qui oggi rappresento l’Immobiliare Casa Sollievo della Sofferenza, proprietaria delle aziende agricole che da molti anni ormai producono alimenti per l’Ospedale e per le altre strutture dell’Opera di San Pio, ed è di questo che vi voglio parlare. In pratica, e lo dico soprattutto per chi non conosce la realtà di Casa Sollievo della Sofferenza, prima ancora che l’Ospedale entrasse in funzione si era andata delineando una base logistica per il suo futuro sostentamento alimentare, valorizzando e incrementando le produzioni agricole delle fattorie e dei terreni donati a Padre Pio dai suoi devoti e generosi benefattori. w w w. o p e r a p a d re p i o. i t La prima attività agricola della Casa Sollievo della Sofferenza è sorta agli inizi degli anni cinquanta, più precisamente nel 1955 un anno prima dell’apertura dell’Ospedale, presso la fattoria Sant’Antonio a poche centinaia di metri dal Convento Santa Maria delle Grazie, dove un gruppo di Padovani guidati dalla Costantina Nalesso e dal Dottor Sanguinetti avevano iniziato ad allevare poche mucche per la produzione del latte, i maiali per la produzione della carne, le galline per la produzione delle uova, e a coltivare la terra per la produzione degli ortaggi. Ad essa si è presto aggiunta la masseria Calderoso, per la produzione dell’olio e, a partire dal 1984, l’azienda agricolozootecnica Posta la Via, situata sulla piana del Tavoliere di fronte all’aeroporto militare di Amendola. La Masseria Calderoso è situata in agro di San Marco in Lamis, all’ottavo chilometro della Strada Provinciale Borgo Celano - Foggia, sull’altopiano che degrada dolcemente verso il Tavoliere. L’azienda agricola è pervenuta all’Opera di Padre Pio nel maggio del 1955 tramite donazione testamentaria della baronessa Gisella Colletta di Napoli, con l’obbligo di celebrare una santa messa al giorno a suffragio della sua anima. I fabbricati rurali della Masseria Calderoso, risalenti al ‘700 e propri delle masserie fortificate pugliesi, sono stati edificati nel rispetto dei canoni dell’architettura rurale. L’antica casa baronale è circondata dalla quiete di un immenso uliveto che si estende per 71 ettari con circa 12.000 piante di olivo secolari della varietà Peranzana, Ogliarola Garganica e Rotondella: cultivar tipici della Terra di Capitanata. Le olive appena raccolte vengono molite a freddo presso il frantoio aziendale e l’olio ottenuto conserva così tutta la sua fragranza e restituisce sulla ta- vola il profumo ed il sapore fruttato con retrogusto di mandorlato tipico del Gargano, con un grado di acidità libera inferiore allo 0,5%. L’olio extravergine di oliva, ottenuto con processo produttivo rigorosamente biologico, viene per lo più utilizzato dall’Ospedale e dalle altre strutture della Casa Sollievo, come la Casa per Anziani “Padre Pio” ed il Centro d’Accoglienza Santa Maria delle Grazie. La restante parte viene commercializzata all’esterno presso i Punti Vendita aziendali. Dal marzo 2010 il fascino e la storia della Masseria Calderoso si sono aperte al pubblico grazie all’esercizio dell’attività “Agrituristica”. L’Azienda “Posta la Via” è un lascito testamentario di un medico napoletano, il dottor Mario Di Giacomo, pervenuto alla Casa Sollievo nel 1952. Essa si sviluppa su oltre 200 ettari di terreno con un allevamento di circa seicento capi bovini sia da latte che da carne, un Caseificio per la lavorazione del latte e un Macello per la lavorazione della carne. L’azienda Posta la Via può essere divisa in tre settori: agricolo, zootecnico e caseario. Il primo provvede alla coltivazione – in regime biologico – dei foraggi utilizzati per l’alimentazione del bestiame. Il settore zootecnico provvede all’allevamento di circa 400 bovini da latte e di 180 vitelli da ingrasso. Tutte le bovine da latte sono nate in Azienda e sono alimentate esclusivamente con materie prime e foraggi di propria produzione, vengono munte due volte al giorno e sono costantemente controllate dagli operai. Il latte appena munto viene trasferito direttamente all’interno del Caseificio ed entro dodici ore viene già imbottigliato o utilizzato per la produzione dei vari tipi di latticini e di formaggi (mozzarelle, ricotta, caciocavalli, caciottine, burro, crescenza, yogurt, budini e gelato). I processi produttivi dei formaggi rispettano la tradizione locale e conservano la tipicità delle fasi di lavorazione in modo da garantire prodotti di elevata qualità. In conclusione, permettetemi alcune riflessioni personali. Potrebbe sembrare ironico ma, già negli anni ’50, Padre Pio aveva pensato alla filiera corta per il suo Ospedale in questa terra garganica. All’epoca non esistevano né iper né supermercati, né imprese di importexport e, di conseguenza, non si correva nemmeno il rischio di mangiare “parmesan” invece dell’originale parmigiano. Ma lo scopo del Santo Fondatore era, e rimane, quello di produrre materie prime di qualità per l’alimentazione degli ammalati quale contributo al suo disegno più ampio di sollievo della sofferenza. Dobbiamo arrivare ai giorni nostri per sentir parlare di prodotti a chilometro zero e di qualità degli alimenti nelle mense ospedaliere. Infatti, fino a poco tempo fa, si prestava maggiore attenzione al risparmio, in termini di costo, che alla qualità ed alla provenienza dei prodotti stessi. E, solo di recente, ci si è resi conto che il miglioramento del benessere psico-fisico del malato, della qualità dell’assistenza e della stessa percezione del cittadino nei confronti dei servizi sanitari, si consolidano anche attraverso una buona e corretta alimentazione del paziente. Difatti, è ormai riconosciuto da molti che una buona alimentazione del malato è un ausilio alla cura del malato stesso. Ancora una volta Padre Pio aveva anticipato i tempi! Inoltre, non è da sottovalutare la potenzialità che l’utilizzo di prodotti locali e genuini all’interno di un Ospedale possa essere anche un modo di promozione del territorio, basti pensare al fatto che presso l’Ospe- dale Casa Sollievo della Sofferenza, nel corso del 2009, ci sono stati circa 57.000 ricoveri di cui solo 6.000 cittadini di San Giovanni Rotondo. Concludo dicendo che, così come l’Ospedale anche le fattorie dell’Opera di San Pio, come avete avuto modo di constatare, sono frutto della Provvidenza, del lavoro e della passione degli uomini che vi hanno lavorato in passato e che lavorano tuttora. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 43 l e t t e r e da l g a r g a n o l e t t e r e da l g a r g a n o l e t t e r e da l g a r g a n o l e lte tttee rre eda g alngoa r g a n o le g ar na lda tatlr geg eo rda Mistici ANGELA E LE ALTRE la Santissima Trinità Gherardo Leone D io le parlava familiarmente, con un affetto come innato. Gesù discorreva con lei da pari a pari. Lo Spirito Santo l’accompagnava pertinacemente, anche quando lei insisteva per non volerlo. Padre Pio Angela era avvolta tutta nella Santissima Trinità. «A me sembra di stare a giacere in mezzo a quella Trinità che vedo con tanta tenebra». Così questa mistica del secolo tredicesimo si è espressa nel suo Memoriale. La Trinità-Dio, Dna della fede, sancita da Cristo, Gesù di Nazaret, con il dire agli apostoli: «Andate e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo» (Mt 28, 18-20), era stata oggetto, nei primi tempi del Cristianesimo, di veementi dispute tra i Padri della Chiesa. Fino ad arrivare, nel terzo secolo, a veri scontri. Ario la negava con l’escludere che il Figlio avesse la stessa sostanza del Padre. Atanasio la difendeva, sostenendola con tutte le sue forze. Il Concilio di Nicea, indetto nel 1325 da Costantino, l’imperatore che aveva sdoganato il Cristianesimo e agiva anche quasi co- 44 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t w w w. o p e r a p a d re p i o. i t me capo della Chiesa, sembrò aver chiarito, assestato tutto, promulgando il Credo, simbolo della fede. Che viene rienunciato in ogni messa, a riaffermare l’identità del cristiano. Ario venne scomunicato. Ma, stranamente, neanche Atanasio la passò liscia. La sua fermezza nel difendere l’ortodossia, rifiutando ogni compromesso, gli pose contro Eusebio da Cesarea, che con gli ariani cercava di mediare, pur condividendo sulla Trinità il pensiero di Atanasio. Che, proprio dopo il Concilio, ebbe a subire vicissitudini rocambolesche. Condannato e riabilitato più volte, secondo l’alternarsi dei protettori, politici ed ecclesiastici. Esiliato e graziato. Fuggiasco per ben otto anni nel deserto, protetto dai monaci anacoreti, che lo apprezzavano molto. Eppure, continuò intrepido, anche nella clandestinità, a scrivere le sue opere apologetiche. Che ne fanno il «dottore» per antonomasia della Santissima Trinità. Se Angela fosse vissuta in quel tempo, con il suo misticismo da frontiera, in simbiosi com’era con la Santissima Trinità, che cosa sarebbe stato di lei? Avrebbe subìto la sorte di Atanasio? perseguitata, imprigionata, esiliata, condannata dai vescovi contrari, e dagli imperatori ambipotenti? O le sue visioni sarebbero state credute? accogliendo quel suo ménage diviso tra Padre, Figlio e Spirito Santo, come un segno divino di crisma. Arrestando definitivamente le feroci dispute? Ma nei primi secoli della Chiesa, i mistici non avevano voce né volto. E i profeti, che parlavano in nome di Dio, erano lontani nel tempo. Si erano esauriti, è da pensare, con Giovanni il Battista. Che aveva suggellato le profezie della venuta del Messia, riconoscendolo mentre gli veniva incontro nelle acque del Giordano per farsi battezzare, e l’aveva indicato al popolo come Colui che si attendeva. Con Cristo, c’era la concretezza dei miracoli, che facevano da appoggio visibile alla sua parola, la «buona novella», che completava la Legge data da Dio a Israele. Carismi da lui estesi ai suoi discepoli, per rendere credibile il vangelo che andavano annunziando per il mondo: guarendo gli infermi, scacciando i demoni. I mistici, i puri contemplatori di Dio, i suoi ricercatori, indagatori, sarebbero venuti un po’ più tardi. Con gli eremiti, gli stiliti, i penitenti anomali, bizzarri, anche assurdi nelle loro performance masochistiche. Poco dopo, nel quarto secolo, Agostino, redento, per le preghiere insistenti della madre Monica, dalle passioni del mondo, aprì la strada della contemplazione. Che aveva saggiato con le sue introspezioni, rivolto al Dio misconosciuto, non considerato per tanta parte della giovinezza. «Tardi ti ho amato, Signore!». La Trinità era il suo assillo. Un mistero, che voleva spiegare a se stesso. Un giorno, era il tempo in cui stava scrivendo il trattato sulla Trinità, mentre immerso nei suoi pensieri camminava lungo la riva del mare, vide un bambino che con una conchiglia attingeva l’acqua e la riversava in una piccola buca scavata nella sabbia. Alla domanda di Agostino che cosa intendesse fare, rispose che voleva mettere nella buca tutto il mare. All’osservazione di Agostino che era impossibile, il bambino gli disse che allo stesso modo era per lui impossibile comprendere il mistero della Trinità. Una visione di un angelo? Un episodio, comunque, che mostra quanto intensamente Agostino contemplasse Dio. La Chiesa, nel suo tempo, dopo i fasti dell’epoca costantiniana, quando la fede in Cristo veniva ostentata in battaglia come un’arra di vittoria, stava attraversando una fase di lassismo. Per vivificarla e rinvigorirla, Agostino incoraggiò religiosi e monache all’ascetismo. L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 45 l e t t e r e da l g a r g a n o l e t t e r e da l g a r g a n o l e t t e r e da l g a r g a n o l e lte tttee rre eda g alngoa r g a n o le g ar na lda tatlr geg eo rda Ma ci volevano le donne, ben otto secoli dopo, per portare al top la contemplazione di Dio. Le mistiche del medioevo, audaci, disinibite. Amanti passionali, senza timore di sbeffeggiamenti nel denunziare l’intimità con Gesù Cristo. Donne intrepide, che guardano a Dio, al Mistero, con una confidenza sconcertante. La schiettezza di chi padroneggia la vita. La promuove, l’asseconda, la custodisce gelosamente fino a quando non si svela. Sicura di se stessa, tanto da arrogarsi il diritto, nell’aberrazione, di poterla distruggere, come di cosa del tutto propria. Abiurando alla sua dignità di sostanziale collaboratrice di Dio. Che le ha dato il privilegio, con Maria di Nazaret, di mettere al mondo Gesù, suo Figlio. tanto Angela da Foligno? E non quello della sua casata, certo conosciutissima. Per umiltà, volendo tagliare completamente i ponti con tutto quello che c’era stato prima? Padre perduto in epoca imprecisata. Madre di ceto nobiliare, che non curò gran che la sua educazione. Entrò subito nel circuito della gioventù cosiddetta bene, diciamo pure vip, conducendo vita mondana. A venti anni si sposò, ebbe dei figli. Non ci è stato tramandato nulla di quegli anni. Sappiamo solo che non era una baciapile frequentatrice di chiese. Guardava, anzi, con disprezzo i cosiddetti «penitenti», numerosi in quell’epoca, che vivevano in una povertà volontaria, pregando, digiunando, praticando la carità evangelica. Angela. Una mistica super. Forse la più grande, se non di tutta la galassia del misticismo femminile, per lo meno del medioevo. Conviveva con il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Da mane a sera. Cercava, a volte, di distogliersene, per il dubbio che fossero tutte sue allucinazioni. Lo chiedeva e richiedeva ai suoi interlocutori divini, perché non voleva illudersi. Ed essi le davano ampie rassicurazioni, chiamando anche in causa persone a lei familiari a conferma di quanto le dicevano. Un’amante totale. Da far impallidire quelle del mondo che asservono le passioni a calcoli di interesse e d’ambizione. Ma nel 1285, qualcosa comincia a cambiare dentro di sé. A poco a poco prende coscienza della futilità della sua vita. È allora che ha una prima esperienza mistica. Prega san Francesco di illuminarla, e san Francesco le appare in visione. Si sottopone a una confessione generale con un frate. Tre anni dopo, in pochi mesi, muoiono la madre, il marito, i figli. Una catastrofe, crollate tutte le sue basi affettive. Si disfà allora di tutti i suoi beni e diventa terziaria francescana. È il 1291. Ora sale ai vertici della contemplazione. Una ascesa vertiginosa. Violenta. Nella chiesa superiore di Assisi, durante un pellegrinaggio, prorompe in grida d’amore. «urlavo senza vergogna, dicendo: “Amore non conosciuto, e perché e perché e perché?”». Fa pensare a san Francesco che per Assisi andava gridando piangendo: «L’Amore non è amato! L’Amore non è amato!». Si affida a un frate, nominato solo A. (identificabile, forse, in Arnaldo, suo parente), che la segue in dialoghi-confessione, annotandoli scrupolosamente. Seguito poi da altri frati, tutti anonimi. Spronata da loro, si apre, svelando le meraviglie e dolcezze delle sue visioni. Così per ventiquattro anni. Quanti ne ha ancora vissuti dopo la conversione. Avvenuta alla non più tenera età di trentasette anni. Non tutta d’un colpo, come Saul sulla via di Damasco. Ma per gradi ravvicinati. In un iter di ragionevolezza, niente colpi di testa, abbandoni in tronco del mondo, lasciando problemi in sospeso, impicci per gli altri. Da donna pratica qual era. Nata in una famiglia benestante. A Foligno, nel 1248. Ma perché contrassegnata solo dal nome della sua città? perché sol- 46 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Agli inizi della conversione, mentre si andava liberando dei suoi beni, si lamentò con Dio perché non lo sentiva. E Dio le disse: «... appena avrai finito, tutta la Trinità verrà con te». Le disse anche: «Tu hai l’anello del mio amore e sei stata presa da me in pegno e non ti allontanerai mai più da me». E ancora: «Figlia della divina sapienza, tempio dell’Amato, piacere dell’Amato Figlia della pace, in te riposa tutta la Trinità, tutta la verità, di modo che tu mi possiedi e io ti posseggo». È completamente presa da Cristo. « nella veglia, mentre stavo pregando, Cristo mi si manifestò sulla croce con maggiore chiarezza, cioè mi dette più profonda conoscenza di sé. Mi chiamò e mi disse di avvicinare la bocca alla ferita del costato e mi sembrò di vedere e bere il suo sangue, che usciva proprio in quel momento, e capii che in esso mi purificavo». Una volta, mentre ascoltava la messa conventuale, si sentì dire da Dio: «Sono molti coloro che mi spezzano e mi fanno pure uscire sangue dal dorso» (E a me viene da pensare a Padre Pio che vedeva sacerdoti indegni prepararsi a dir messa massacrando il corpo di Cristo). Era da anni che inseguivo Angela da Foligno. Non so che mi colpisse di lei. Ma la cercavo, leggevo le sue scarne notizie personali, e ciò che potevo reperire dei suoi memoriali. Avrei voluto scrivere su di lei. Ma non mi era chiaro come. Frastornato dal latino di certi suoi testi, e dalla esiguità delle traduzioni. Per di più premuto com’ero dalle priorità quotidiane. Finché il Papa... Quest’estate scorsa, si è dedicato, settimanalmente, alle donne. Le grandi donne che hanno dato tutto se stesse alla Chiesa. Quelle del medioevo. Nella catechesi del 13 ottobre, Angela da Foligno. Una mistica tutta nel solco francescano. Il tratteggio, limpido e conciso, che ne ha fatto il Papa, lo mostra con chiarezza. E qui ho capito che cosa mi attraeva di lei. Il motivo, subcosciente, che me la faceva cercare. La somiglianza con Padre Pio nel suo rapporto con Cristo. Il Crocifisso. Prima di tutto e soprattutto. «Angela (dice il Papa) contempla di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vede realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio». Cristo crocifisso è il fondamentospiegazione di tutta la parabola Padre Pio. La spiritualità francescana s’impernia sul crocifisso. La vocazione di san Francesco nasce dalla chiamata del Crocifisso di san Damiano. Nella formazione del cappuccino, è dominante, statuita dalle Costituzioni, la meditazione sul crocifisso. Il Papa: «Nell’itinerario spirituale di Angela, il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avviene attraverso il Crocifisso». Il misticismo di Padre Pio ha come perno centrale il Crocifisso: Cristo-uomo. Filiazione del Padre-Dio. La contemplazione-amore per Cristo crocifisso lo porta a ricevere da lui in dono le sue ferite. Angela desidera «di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio-uomo crocifisso per essere trasformata totalmente in Lui». Padre Pio li soffre per tutta la vita, a cominciare dal 10 settembre del 1910. Riceve le stimmate mentre è in preghiera-meditazione nella campagna di famiglia a Pietrelcina. Supplica Dio perché scompaiano. Restano invisibili. Ma «Dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì, è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani ed i piedi sembrami che siano trapassati da una spada; tanto è il dolore che ne sento» (Epist.I). Riappaiono, clamorosamente, otto anni dopo, quando, esauriti tutti gli obblighi legati allo Stato, è definitivamente approdato nella solitudine dell’eremo di San Giovanni Rotondo, ideale per la contemplazione. È un percorso tracciato dalla Provvidenza. Si immagini, se gli fossero state donate prima, quale trattamento avrebbe avuto per il suo dover sottostare alle visite negli ospedali militari. Con conseguenze inimmaginabili. O troppo immaginabili. Ora, a San Giovanni Rotondo, libero da ogni altro dovere, è un religioso incastonato in una milizia (per usare una parola abituale in Padre Pio) che non è del mondo, ma di Dio, di Cristo, della Chiesa. Soffre e vuole soffrire. Lo svela in alcune delle risposte date a Cleonice Morcaldi, la sua discepola fin da ragazzina, dedicatasi completamente, senza alcuna riserva, è il caso di ribadirlo, come nessun altro a lui, nel comportamento, nelle azioni, nei pensieri. Una vocazione d’amore totale, durante tutta la vita terrena di Padre Pio, e dopo. È per questa dedizione completa che Padre Pio le concedeva risposte alle domande che gli faceva. «Padre, è vero che avete la corona di spine?». «E ne dubiti?». «Solo durante la S. Messa?». «Il diadema non si lascia mai». «Quante saranno le spine?». «Una trentina». «Io so e dico: sono 300». «E bè? Che ho tolto? Uno zero per non spaventarti». «Dove soffrite di più?». «Nella testa e nel cuore». «Mi hanno detto che siete tutto una piaga». «Se non ci sarà più spazio nel mio corpo, faremo piaga su piaga». L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 47 l e t t e r e da l g a r g a n o l e t t e r e da l g a r g a n o l e t t e r e da l g a r g a n o l e lte tttee rre eda g alngoa r g a n o le g ar na lda tatlr geg eo rda abbastanza lontana da Dio. Ma poi l’incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l’incontro col Cristo Crocifisso risveglia l’anima per la presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia». Il Papa: «Dalla conversione all’unione mistica con il Cristo crocifisso, all’inesprimibile. Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante». E cita testualmente un insegnamento di Angela. «Quanto più pregherai tanto maggiormente sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il Sommo Bene, l’Essere sommamente buono; quanto più profondamente e intensamente lo vedrai, tanto più lo amerai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quanto più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprenderai e diventerai capace di capirlo. Successivamente arriverai alla pienezza della luce, perché capirai di non poter comprendere». La preghiera costante, perseverante, continua, incessante, è il “segreto” (la parola usata dal Papa per Angela) di Padre Pio. La base di tutto. L’humus della sua spiritualità. Il tracciato permanente per giungere a Dio. Alimentandosi dei suoi doni, per alimentare gli altri. «La vita della beata Angela - così il Papa conclude la sua catechesi -comincia con un’esistenza mondana, 48 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Impregnata e appagata delle dolcezze delle sue visioni, Angela non riteneva egoisticamente per sé gli insegnamenti che riceveva, ma, nei suoi incontri e nelle lettere, li riversava fraternamente sugli altri. Quando reciti il «“Padre nostro” non correre, considera cos’è che dici e non correre ». «L’umiltà di cuore è la matrice da cui nascono e derivano tutte le altre virtù e le loro operazioni, come il tronco e i rami derivano dalla radice». «Gesù, Dio e Uomo, quando... sulla croce... gridò “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”... gridò anche per darci speranza e incoraggiarci a non venir meno nella disperazione, allorché siamo afflitti, tribolati e in qualche dolore anche abbandonati, perché insieme alla tentazione egli dà pure la via d’uscita». Una mistica del tredicesimo secolo, che parla un linguaggio di estrema attualità. Anche per questo, posso credere, eccelle tra le altre del suo tempo. Di quel Medioevo che le ha viste fiorire in più nazioni. Nel tredicesimo secolo, c’era a Helfta, in Sassonia, un monastero famoso in tutta la Germania, e nel resto d’Europa, come Centro di spiritualità mistica, ma anche di cultura. Scienza, filosofia, teologia, vi venivano coltivate, dalla comunità di regola benedettina, non meno della Sacra Scrittura, la Liturgia, la Patristica, e della musica e il canto sacro. Era sorto nel 1258, e ne era badessa Geltrude, della nobile, ricca, e potente famiglia degli Hackeborn, della Turingia, imparentata con l’imperatore Federico II. Aveva solo diciannove anni, e aveva voluto lei quel monastero, in un castello ottenuto dalla sua famiglia. Trasferendo da Rodersdorf quello cistercense in cui fino allora aveva vissuto. E dove, a sette anni, era entrata la sorella minore Matilde, per esservi educata, come delle famiglie usavano allora. Passate tutte e due nella nuova sede, anche lei s’era fatta monaca. Le fu affidata, nel 1261, la cura di una bambina di cinque anni, Geltrude, nativa proprio di Helfta. Dieci anni dopo, entrò nel monastero anche un’altra Matilde, di Magdeburgo, più anziana di tutte le altre tre. Tutte e quattro, formavano uno stretto sodalizio di amicizia e di spiritualità. Le tre sottoposte alla badessa avevano una marcia in più: l’ascetismo, con esperienze mistiche di grande rilievo. Prima e più fra tutte Geltrude di Helfta. Il Papa ha parlato di lei nella catechesi del 4 ottobre: «... una delle mistiche più famose, l’unica donna della Germania ad avere l’appellativo di “Grande”, per la statura culturale ed evangelica: con la sua vita e il suo pensiero ha inciso in modo singolare sulla spiritualità cristiana». E nella precedente catechesi del 20 settembre, di Matilde di Hackeborn ha detto: «Era il rifugio e la consolatrice di tutti, ed aveva, per dono singolare di Dio, la grazia di rivelare liberamente i segreti del cuore di ciascuno... In una delle sue visioni è Gesù stesso a raccomandarle il Vangelo; aprendole la piaga del suo dolcissimo Cuore, le dice: “Considera quanto immenso sia il mio amore: se vorrai conoscerlo bene, in nessun luogo lo troverai espresso tanto chiaramente che nel Vangelo...”». Nella stessa catechesi, il Papa nomina Matilde di Magdeburgo. Una storia, questa delle mistiche di Helfta, che emersa dai dati sobri del Papa, mi ha affascinato. E posso credere che nelle parole che ha loro dedicato, vi fosse una nota particolare di affetto. Perché tutte della sua terra. Formatesi, per di più, nella regola austera di san Benedetto, a lui immensamente caro. Anche per queste grandi mistiche tedesche c’è un punto di contatto con Padre Pio. Geltrude la Grande può dirsi l’iniziatrice della devozione al Sacro Cuore di Gesù, tanto da essere definita «la teologa del Sacro Cuore»; e con lei la consorella Matilde di Hackeborn. Precorrendo di ben tre secoli la francese Margherita Lacocque, con la quale la devozione al Cuore di Gesù è diventata universale. Padre Pio l’aveva in cima alle sue devozioni abituali. Recitava ogni giorno la “coroncina al Cuore di Gesù”, diffusissima tra i suoi fedeli. I mistici, per certi aspetti, si somigliano molto. Non ci sono tra loro barriere di epoca e di nazionalità. Incanalati come sono tutti nella sola unica strada che porta a Dio: la sua contemplazione. Il Medioevo ne ha avute tante, di mistiche, religiose o laiche, conosciute e sconosciute. Quel secolo XIII ne abbonda, come per un contagio. Seguito dal XIV, con Ildegarda di Bingen, Brigida di Svezia, Caterina da Siena. A quest’ultima, il Papa ha dedicato la catechesi del 25 novembre. E in quelle precedenti ha parlato di Giuliana di Cornillon, del dodicesimo secolo, e di Giuliana di Norwich, del quattordicesimo. La Chiesa appare avere un debole per le mistiche. Quante di esse sono state perseguitate, scomunicate, condannate? Credo di poter dire che Margherita Porete, bruciata viva come eretica nel 1310, a Parigi, sia un caso isolato. Il suo libro, «Lo specchio delle anime semplici annientate», aveva scombussolato e diviso i teologi per le sue tesi ardite. Il tribunale dell’Inquisizione le accordò un anno e mezzo di tempo per abiurarle. Infine, dopo aver sentito il giudizio negativo di un consesso di teologi e canonisti dell’università di Parigi, la condannò a morte. Ma la sua opera non morì con lei. Era stato ordinato di bruciarla tutta, ma qualche copia si salvò, circolando tra intellettuali, religiosi e laici, d’ogni tempo. Anche nel nostro è stata studiata e discussa, da cattolici e non, tra cui Romana Guarnieri, strettissima collaboratrice di don Giuseppe De Luca alle sue Edizioni di Storia e Letteratura. indugi più, lo accompagna e scorta, nel 1376, per tutto il lungo viaggio di ritorno a Roma. Dopo il Medioevo, si salta al secolo XVI, con Teresa D’Avila, Margherita Alacoque. Un salto ancora, e nel secolo XIX troviamo Teresa di Lisieux. Ma qui ci fermiamo, chiudendo con la parola del Papa nella catechesi del 15 settembre su santa Chiara d’Assisi: «La sua testimonianza ci mostra quanto la Chiesa tutta sia debitrice a donne coraggiose e ricche di fede come lei, capaci di dare un decisivo impulso per il rinnovamento della Chiesa». Una sentenza risolutiva, che fa giustizia anche delle tante reiterate accuse alla Chiesa di antifemminismo. Gherardo Leone 6 dicembre 2010 Nella messa al rogo di Giovanna D’Arco, anche lei francese, nel 1431, a soli diciannove anni, entrano invece molto le ragioni politiche. A capo delle truppe francesi, da lei rianimate e riorganizzate, nel corso della “guerra dei cento anni”, aveva inferto brucianti sconfitte agli inglesi. Che, avutala tra le mani, venduta loro dai Borgognoni che l’avevano catturata, la sottoposero a un processo per eresia. Che papa Callisto III, venticinque anni dopo, dichiarò nullo. Nel 1909, Pio X la beatificò. E Benedetto XV, nel 1920, canonizzò. E tutte le altre mistiche? Tollerate, per lo meno, anche quando le loro rivelazioni, e le loro idee e comportamenti sono audaci. Caterina da Siena, che osa parlare apertamente al Papa Gregorio XI. Lo rimprovera per la sua mitezza nell’affrontare situazioni difficili, fino a dirgli: «Siatemi virile, Santità!». E il Papa mostra di non adontarsene. Lo sprona a porre fine al suo esilio volontario ad Avignone, e per essere sicura che non L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 49 s p i r i t ua l i t à SAN tra dimensione spirituale e materiale, così come quello tra spirito e corpo. Essa è utilizzata dalla Scrittura per segnalare come attendere il Signore e prepararsi a questo decisivo incontro. Il linguaggio profetico in previsione di questa venuta ci ha invitato a “riparare” la nostra casa, poiché essa, pur essendo stata edificata nel Signore, mostra le crepe e le fratture del peccato, che intaccano le fondamenta e la stabilità dell’edificio spirituale. Si dovrà provvedere ad un’opera di restauro, ad “alzare i frontali delle nostre porte” (cf. Sal 23,7), perché siano pronte ad accogliere il Re della Gloria. PADRE LEONARDO TRIGGIANI Un Natale nel segno della “Casa” giovanni chifari «S e il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 126,1). L’immagine della “casa” bene descrive il cammino che ci ha condotto al Natale, poiché sul piano antropologico suggerisce l’inscindibile legame 14 Con accenti più radicali, il linguaggio apocalittico ha inteso suggerire di sradicare la nostra “casa” e costruirne una nuova nel Signore, non perché quella di prima non fosse riparabile ma poiché la Scrittura intende tradurre lo stato di saturazione determinato dal peccato che esige un totale rinnovamento, che faccia esperienza del primato assoluto del Signore, che è insieme sia Colui che costruisce che Colui che la abita. La Scrittura ci indica tuttavia che non siamo soli nel compiere tali operazioni, troviamo un aiuto magistrale nel dono della grazia divina, che si esprime attraverso la Provvidenza che non rende vana la fatica di una quotidianità vissuta nel Signore (1 Ts 1,3), edificata su quella pietra angolare che è Cristo (cf. Ef 2,20ss). Nell’evento del Natale, i cie- li si squarciano, il Signore viene, e pianta la sua tenda in mezzo a noi (cf. Gv 1,14), ed inaugura un tempo nuovo nel quale l’uomo dovrà fare esperienza della decisività ed imprescindibilità della Sua presenza. Il Dio Creatore e Signore del cielo e della terra, che stipula un’alleanza con il suo popolo, con fine e sapiente pedagogia, nella «pienezza dei tempi» (cf. Eb 1,1ss), manda il Figlio Suo quale sigillo e fondamento sul quale edificare la nuova ed eterna alleanza con l’umanità. Il Natale celebra questa irruzione divina discreta ed umile, che chiederà di essere riconosciuta attraverso la luce dei segni, nei quali siamo invitati a contemplare l’agire di Dio nella storia. La grotta e la stalla, la mangiatoia, le fasce e i pastori, tutto parla di povertà ed umiliazione nelle quali si manifesta la forza dell’amore e della regalità messianica. La nostra “casa” dovrà poter accogliere natalenatalenatalenatalenatalenatale w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 15 il Figlio di Dio, e divenirne tempio, in grado di esprimere durante l’esperienza terrena sapienza e intelligenza, servizio e preghiera, amore e condivisione. La veglia e l’intercessione di Padre Pio. In questo cammino abbiamo un alleato ed un potente intercessore in San Pio da Pietrelcina. Nei suoi scritti epistolari il tempo di avvicinamento al Natale è presentato come tempo di grazia assoluta, nel quale si effondono quelle «celesti consolazioni» (I, 208; 321) che discendono dal Bambino Gesù e che Egli «centuplica in questi giorni». L’incarnazione di Gesù porta con se questo bagaglio di divine consolazioni, che rispondono al cammino di faticosa ricerca della verità e del senso dell’esistenza comune ad ogni uomo, e che adesso sono largamente ed universalmente offerte a tutta l’umanità. Tuttavia la Scrittura ci indica che esse saranno realmente accolte e recepite soltanto da coloro che sanno attenderle nella vigilanza fedele. Del resto l’evangelista Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, ci narra l’esito di una certa parte dell’umanità che non accoglie questa Luce che giunge nel mondo (cf. Gv 1,1ss). Padre Pio, a partire dalla sua sofferenza, ha certamente fatto esperienza del Dio buono e misericordioso che, come ricorda l’Apostolo, consola in ogni tribolazione perché possiamo consolare anche noi coloro che si trovano in ogni genere di afflizioni (cf. 2 Cor 1,4). Egli ha gustato quella consolazione divina che provenendo dall’ascolto fedele delle Scritture tiene fissa la speranza (cf. Rm 15,4), sostiene e solleva la sofferenza, inserendola nella gioia e nella pace. Da vegliardo che scruta i misteri divini, ad orante che li impetra e li invoca per tutti i suoi figli, egli continua ad intercedere per noi e per la sua Opera. Comprendiamo quindi perché proprio in questo tempo natalizio, Padre Pio invocava incessantemente Dio perché preservasse tutti coloro che erano e continuano ad essere affidati alle sue preghiere, da 16 quella che considera «la disgrazia di perdere Gesù Bambino» (I, 208), raddoppiando e centuplicando le sue veglie, orazioni ed intercessioni, «importunando il divino Infante perche possa con la sua grazia esaudirne i desideri» (cf. I, 325), perché tutti possano lasciarsi trasformare e riempire il cuore dal divino amore di Gesù (I, 1254). Un cuore colmo di amore è, infatti, disposto alla conversione e ad un reale servizio ai fratelli. Esso in questa notte santa dovrà divenire «la Sua culla fiorita, nella quale Egli possa adagiarsi senza incomodo alcuno e nulla risentire del suo essere uscito dal Padre per venire nel mondo (cf. Gv 16,28)» (cf. I, 11061007); e colmo del Suo Spirito divino, «trasformarci e facci santi» (I, 1250). Lui ha già sperimentato in se stesso il felice esito di tali operazioni divine, il suo cuore, infatti, in questo tempo si sente «rinascere a novella vita» anche se umilmente «troppo piccolo per contenere i beni celesti» (II, 273). Amiamo immaginarlo in questa beata e felicissima notte (I, 981 cf. il 24 dicembre del 1917) «in piedi», di fronte a ciascuno di noi e alla sua Opera, in un certo modo vegliando come i pastori, per vedere quella Gloria di Dio che intende rischiarare le tenebre del mondo, invocando ancora una volta, insieme alle consolazioni, tutti i carismi e le virtù della vita cristiana, fra questi quello della fede, della speranza e della carità (II, 274; 281) e quella perseveranza nella preghiera che sostiene ad alimenta la nostra “casa”, e la sua “Casa”. Per una spiritualità del servizio e della condivisione Il realismo dell’incarnazione del Verbo, il suo abbassamento kenotico che si dipanerà fino alla croce e alla morte, per essere esaltato nella resurrezione gloriosa, ci mostra il percorso di un discepolato che si esprime nella spiritualità del servizio e della condivisione che ammiriamo nei santi e traiamo da quelle mediazioni che la Chiesa ci offre, prime fra tutte quelle della Parola e dei Sacramenti. Attingendo a queste fonti possiamo celebrare la nascita del Signore, l’esperienza del riconoscerlo incarnato nel povero, nel sofferente, nell’ammalato, nel carcerato, negli ultimi e negli emarginati, perché qualunque cosa abbiamo fatto a loro, l’abbiamo fatta anche a Lui (cf. Mt 25,40). _ natalenatalenatalenatalenatalenatale w w w. o p e r a p a d re p i o. i t L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 17 Festa Liturgica di Santa Lucia Come Santa Lucia torniamo a Cristo con un cuore disponibile L’Omelia dell’Arcivescovo Michele Castoro C arissimi fratelli e sorelle, nonostante la festa di Santa Lucia sia stata celebrata ieri in tutta la Chiesa, secondo il calendario liturgico, noi di Casa Sollievo abbiamo voluto posticiparla a oggi per farla coincidere con un martedì di Avvento che ci vede in preghiera in attesa del Signore che viene. Perciò oggi si uniscono alla nostra celebrazione il primario, i medici, gli infermieri, gli operatori del Reparto di Oculistica, assieme ai malati del loro reparto, anch’essi spiritualmente presenti, per ricordare e implorare la loro celeste patrona. Tutti saluto con particolare affetto e con l’augurio che, per intercessione di Santa Lucia, la luce brilli nei nostri cuori e nel mondo intero. Un saluto particolare al direttore generale, al direttore sanitario, agli altri dirigenti, primari e medici, infermieri, operatori qui presenti. Le notizie sulla vita di Santa Lucia non sono molte, essendo ella vissuta in tempi lontani dai nostri. È certo che nacque a Siracusa sul finire del III secolo, da una nobile famiglia cristiana. Fanciulla intelligente e virtuosa, meditava assiduamente le Sacre Scritture, e assiduamente si recava alle sacre celebrazioni. Spinta da un grande amore per Gesù, è stata esempio di tante donne del suo tempo decise a consacrarsi a Dio. Il suo modello di santità era Sant’Agata di Catania. Lucia, allora, decise di distribuire i suoi beni ai poveri per farsi povera per Cristo. 18 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Sotto la feroce persecuzione dell’imperatore Diocleziano, Lucia fu arrestata e condotta al supplizio. Ma, prima di morire, Lucia riuscì a dire questa profezia: «Vi annuncio che presto sarà data pace alla Chiesa di Dio, e gli imperatori violenti decadranno». Era il 13 dicembre del 304. Nello stesso luogo dove subì il martirio, ebbe sepoltura. E, qualche anno dopo, fu dedicato un santuario per accogliere il continuo afflusso di pellegrini, giunti per venerare le sue reliquie ottenendo numerose grazie per sua intercessione. Il nome di Lucia ha richiamato nei secoli il significato della luce. È tuttora invocata per il dono della vista degli occhi, ma anche per ottenere la luce della fede. Carissimi, stiamo vivendo il tempo liturgico dell’Avvento. Siamo prossimi al Natale. Il tempo d’Avvento ha una doppia valenza. È tempo di preparazione alla solennità del Natale in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio e, insieme, l’Avvento è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, la Chiesa viene guidata all’attesa della seconda venuta di Cristo, alla fine dei tempi. Ma, come ci ricorda San Bernardo, tra le due venute ce n’è una terza, ed è la venuta del Signore nel tempo presente. La venuta del Signore, infatti, si realizza al presente, si realizza qui e ora vivendo spiritualmente e misticamente la nascita di Gesù nel nostro cuore. Possiamo dire che la sua venuta, quella passata, determina la nostra fede; quella futura, alla fine dei tempi, sostiene la nostra speranza. Quella presente ci spinge a vivere una vita improntata all’amore. Sì, Dio viene realmente anche oggi e vuole rifare il suo Natale con noi. Trasformiamo il nostro cuore, le nostre famiglie, il nostro ambiente di lavoro in un ambiente accogliente per il Signore. Molto argutamente, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger scrisse: «Il limite fra il prima di Cristo e il dopo Cristo, che spesso vediamo indicato nei libri di storia, non è un confine tracciato nella storia o nelle vicende dei popoli, ma è un segno interiore che attraversa il nostro cuore. Finchè viviamo nell’indifferenza e nell’egoismo, noi siamo ancora oggi tra coloro che vivono prima di Cristo. Per rinnovare questa nascita, Dio ha bisogno di qualcuno che, come ha fatto, lo accetti nella propria vita, gli dica di sì». Miei cari, sull’esempio dei santi, in particolare di Santa Lucia, torniamo dunque a Cristo con un cuore disponibile. Le nostre menti, i nostri cuori, non più distratti o assorbiti dal consumismo, si immergano nel grande mistero della nostra redenzione e troveranno quella pace, quella gioia che Cristo è venuto a portare. Scambiarci gli auguri di buon Natale, per noi, significa dire: «Dio si è fatto vicino, Dio ti è vicino, Dio ti vuole bene». E sappiamo che questo saluto, questo augurio può essere di grande conforto soprattutto per gli ammalati. Ed è questo il mio augurio per questo tempo di Avvento e per il Santo Natale ormai alle porte. Amen _ Il saluto del Reparto di Oculistica a monsignor Castoro suor grazia diciolla Eccellenza Reverendissima, siamo qui riuniti in chiesa «Casa di Preghiera» intorno all’Altare del Signore per ascoltare la parola di Dio e celebrare l’Eucaristia in questa cammino d’Avvento. Noi operatori sanitari del Reparto di Oculistica, oggi vogliamo con Lei, Eccellenza, con i dirigenti di Casa Sollievo e con tutta l’assemblea, pregare e festeggiare la vergine Santa Lucia, patrona degli oculisti, per alleviare le sofferenze di coloro che soffrono patologie oculari. Sono trentadue anni che il nostro Reparto è sotto la protezione di Santa Lucia, affinché ci aiuti a vincere le difficoltà di ogni giorno e che i nostri occhi, le nostre facoltà siano sempre illuminati da una fede pura e ardente per il bene dei fratelli ammalati. Inoltre vogliamo rimanere fedeli all’insegnamento del nostro Fondatore San Pio quando dice: «Voi avete la missione di curare i corpi, ma se al malato non portate l’amore a nulla serviranno le medicine». Grazie Eccellenza per la sua disponibilità e presenza vigile e costante di Pastore buono tra noi. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 19 Le lezioni si sono tenute al Cenacolo Santa Chiara Il Master si è svolto sotto la Direzione Scientifica del Prof. Antonio G. Spagnolo − Straordinario di Medicina legale e delle assicurazioni e attuale Direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma (UCSC) −, sotto il Coordinamento scientifico del Prof. Giuseppe Noia − Associato di Medicina dell’Età Prenatale presso l’UCSC −, della Dott.ssa Vincenza Mele − Ricercatrice in Bioetica presso la medesima università − e della Dott.ssa Vanna Maria Valori − Dirigente Medico UOS Oncologia Sperimentale presso l’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” − e, infine, con il coordinamento didattico della Dott.ssa Nunziata Comoretto e del Dott. Pietro Refolo − entrambi Dottori di ricerca e Docenti di Bioetica presso l’UCSC. Concluso il Master di II livello in “Bioetica e medicina centrata sul paziente” organizzato da Casa Sollievo e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma a cura di Vanna Maria Valori L o scorso 13 novembre si è conclusa, a San Giovanni Rotondo, la prima edizione del Master di II livello in “Bioetica e medicina centrata sul paziente”, istituito per gli anni accademici 2008/2009 e 2009/2010 dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con l’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, Opera di Padre Pio da Pietrelcina. L’evento ha fatto seguito ad una precedente fruttuosa collaborazione formativa tra l’Istituto di Bioetica dell’UCSC, nato e sviluppatosi negli ultimi trenta anni sotto la illuminata guida del Cardinale Elio Sgreccia, riconosciuto fondatore della bioetica personalista, e la “Casa Sollievo della Sofferenza”. Iniziata alla fine degli anni novanta con varie attività formative sul territorio, tale collaborazione si è rafforzata con l’organizzazione del Corso di Perfezionamento in Bioetica e Pastorale Sanitaria, svoltosi nel 2007-2008. Proprio, infatti, in ragione del successo registrato nell’organizzazione di quest’ultimo, la “Casa Sollievo”, intercettando le sempre maggiori esigenze di apprendimento e approfondimento della materia presenti nel territorio, si è fatta promotrice di un programma di formazione più consistente e impegnativo. Quest’ultima iniziativa si colloca 20 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t nell’ambito delle finalità progettuali dell’Ospedale “Casa Sollievo”, per la quale il Fondatore, con una intuizione sicuramente profetica ed originale, ha sempre auspicato un’assistenza basata sul “personalismo ontologicamente fondato”, perché è l’uomo stesso al centro della sua attenzione pastorale e doppiamente degno di attenzione e considerazione nell’esperienza di fragilità e di povertà della malattia. L’approfondimento delle scienze umane al fianco delle scienze biomediche aiuta a costruire quella novità e originalità dell’approccio relazionale auspicabile in un ospedale che deve ambire a diventare “tempio di preghiera e di scienza”, e la bioetica segna l’inizio di una riflessione profonda, che rivoluziona la relazione con il malato a partire dalla presa in carico per il percorso di cura, che deve avere oltre all’alta tecnologia anche un singolare tocco umano. Il Master è iniziato nel 2009 grazie alla generosa disponibilità del Prof. Ignazio Carrasco, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita e già Direttore dell’Istituto di Bioetica, e alla sensibilità e determinazione del nostro Direttore Generale Dottor Domenico Crupi, che ha voluto sponsorizzare e dare fiducia all’iniziativa. Gli iscritti al Master, nella gran parte di area medica e per la metà provenienti dallo stesso ospedale e per la restante parte dalle zone limitrofe − con l’eccezione di due partecipanti, uno del Comune di Ostia e l’altro del Comune di Reggio Calabria − sono stati in tutto ventuno, un numero abbastanza elevato se si pensa al vasto panorama di formazione in Bioetica presente attualmente in Italia e alla novità dell’iniziativa per il territorio. Le lezioni sono state svolte tutte presso il Cenacolo “Santa Chiara”, struttura accogliente e stimolante per la riflessione, gestita dalla Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza” in collaborazione con le Suore Convittrici del Bambin Gesù, che hanno curato l’accoglienza agli ospiti con cortesia, premura, competenza e generosa attenzione. IL FOCUS DEL MASTER Focus del Master è stato quello di preparare i partecipanti ad affrontare le principali questioni bioetiche, sia sul piano teoretico che metodologico, soprattutto per quel che concerne le problematiche che emergono relativamente alla persona umana nel contesto dell’organizzazione dei servizi sanitari e all’interno del ben noto processo di “umanizzazione della medicina”. In questi ultimi anni, in Italia si discute in maniera sempre più approfondita, infatti, sulla necessità di riformare gli obiettivi, le modalità e i contenuti della formazione per le professioni sanitarie, in modo particolare quella per i medici. Non si tratta solamente di un problema burocratico, derivante dalla necessità di assicurare standard formativi richiesti da una progressiva “globalizzazione” del sapere, che sta interessando la Comunità europea ed internazionale. Non si tratta neppure di far fronte solamente ad una serie di pur gravi problemi di natura tecnica, nel senso dell’offerta di maggiori approfondimenti delle possibili conoscenze e abilità da trasmettere ai professionisti della salute. Esiste anche una necessità di natura “critica”, che consiste nell’integra- re le dimensioni attualmente presenti nella formazione con altre che pure risultano essenziali per la maturazione umana e professionale degli operatori sanitari, il tutto a partire da un’attenta riflessione di ordine filosofico sulla medicina, sulla sua natura e i suoi scopi. Da più parti, oggi si sostiene che l’insegnamento della Bioetica debba essere esteso a tutto il periodo formativo degli operatori sanitari così da permettere uno sviluppo armonico e integrato delle due dimensioni della formazione medica: quella tecnico-scientifica e quella c.d. “umanistica”. Per la verità, sull’argomento sono comparsi numerosi articoli, studi, forum, convegni. Ma è solo da pochi anni che il tentativo di creare “modelli formativi” che prendano maggiormente in considerazione la dimensione “umana” dell’esercizio medico, ha assunto forza e coordinazione anche a livello programmatico. Che la bioetica giochi un ruolo prioritario nella formazione medica di matrice “umanistica” lo dimostra la sensibilità mostrata nel 1991 dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), quando nel documento Bioetica e formazione nel sistema sanitario, suggeriva la necessità, per una corretta impostazione della formazione stessa, di una “integrazione delle scienze di base con le scienze cliniche e con le scienze dell’uomo”. Alla base di questa affermazione programmatica sta la considerazione di natura storico-filosofica a cui si accennava: il travolgente sviluppo della tecnologia, della sperimentazione farmacologica e chirurgica e la possibilità di intervenire sempre di più sui fenomeni della vita – specie nelle fasi iniziali e finali – hanno provocato negli ultimi decenni un profondo ripensamento della visione ippocratica della medicina fino ad arrivare alla nascita della “bioetica”, che oltre a fornire risposte relativamente ai problemi ardui e complessi delle situazioni “di confine”, quelle della medicina “biologica” (ossia la medicina che considera l’organismo umano con la mentalità dello sperimentatore, come nel caso dei trapianti, della fecondazione artificiale, della manipolazione embrionale, della terapia genica, ecc.), si inserisce a giusto titolo anche nelle ben più ricorrenti – e perciò definite spesso come “quotidiane” – questioni assistenziali, già contemplate dall’etica medica tradizionale ma bisognose adesso di un ripensamento alla luce dei cambiamenti che il nostro tempo ha imposto. In tale prospettiva, il riferimento ai valori umani e, in definitiva, ad una visione antropologica ed etica, è dunque un elemento imprescindibile da porre come premessa per una ricerca scientifica corretta, che sappia ben tenere in conto le responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Senza riferimento all’etica, infatti, scienza e tecnologia possono essere usate sia per uccidere che per salvare vite umane, sia per manipolare che per promuovere, sia per distruggere che per costruire. È quindi necessario che, mediante una gestione responsabile, la ricerca si indirizzi verso il vero bene comune, un bene che trascenda qualsiasi interesse meramente privato, superando i confini geografici e culturali delle nazioni, sempre tenendo lo sguardo puntato al bene delle generazioni future. Per- L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 21 ché la scienza sia realmente posta a servizio dell’uomo, è necessario che essa sappia andare “oltre la materia”, intravedendo nella dimensione corporea dell’individuo l’espressione di un bene spirituale più grande. Gli scienziati devono comprendere il corpo umano come la dimensione tangibile di una realtà personale unitaria, corporea e spirituale allo stesso tempo. L’anima spirituale dell’uomo, sebbene non tangibile in se stessa, sempre costituisce la radice della sua realtà esistenziale e tangibile, della sua relazione col resto del mondo e, di conseguenza, del suo peculiare ed inalienabile valore. Dunque l’apporto delle singole aree disciplinari, ognuna dei quali in grado di tracciare percorsi indipendenti sia per i contenuti che per le metodologie di investigazione che utilizza, non deve essere mortificato, ma l’ottica è piuttosto quella della piena integrazione di competenze e ambiti conoscitivi chiaramente diversi, per arrivare ad ottenere quella sorta di “armonia” che pare costituire l’unica strada percorribile affinché le scienze umane raggiungano gli obiettivi formativi dei futuri professionisti della salute. OBBIETTIVI RAGGIUNTI Scopo del Master universitario è stato, dunque, quello di “formare” persone in grado di sviluppare e, a loro volta, di “trasmettere” un’attività sanitaria centrata sul paziente che diventa protagonista della relazione clinica, pur nella molteplicità delle dimensioni dell’assistenza (medico-scientifica, etica, socio-culturale, spirituale, ecc.). In particolare, relativamente alla costruzione delle competenze professionali, gli aspetti caratterizzanti il Master sono stati: • introdurre alla conoscenza dei principali dibattiti bioetici; • fornire gli strumenti per l’esercizio di un’analisi critica delle questioni etiche ed antropologiche sollevate dallo sviluppo delle scienze e della tecnologia; • fornire gli strumenti concettuali essenziali per discutere casi bioetici generali, provvedendo anche all’analisi critica di alcuni contributi che li avevano come oggetto; • fornire gli strumenti concettuali necessari per affrontare casi clinici concreti. Il Master è stato organizzato attorno a differenti Insegnamenti (Antropologia filosofica, Storia delle professioni sanitarie, Filosofia morale, Bioetica, Genetica medica, Istologia ed Embriologia, Ginecologia e Ostetricia, Anestesiologia, Radioterapia ed Endocrinologia), a loro volta raggruppati in Moduli: della Bioetica Generale e delle Metodologie, Antropologico, Filosofico, Biogiuridico, della Sessualità e della Vita Nascente, della Bioetica e Pastorale Sanitaria, della Fine della Vita, della Sperimentazione Clinica, della Genetica e delle Biotecnologie, della Consulenza Etica e della Bioetica Clinica, della Bioetica applicata ai Sistemi Sanitari e, infine, della Bioetica e dell’Assistenza al Paziente Fragile. Nel corso delle circa 350 ore frontali di insegnamento, svolte nei due anni di Master, oltre all’offerta di una panoramica su alcune questioni (il concetto di salute, il significato della medicina e dell’atto medico, l’essenza della professione medica, la sessualità umana, il testamento biologico, 22 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t l’obiezione di coscienza, l’allocazione delle risorse, ecc.) e strumenti (la valutazione dei protocolli di ricerca, la valutazione dei casi clinici concreti, ecc.), per così dire, “consolidati” del dibattito bioetico sono state affrontate anche alcune problematiche “emergenti”: dallo human enhancement, all’impiego di un innovativo quanto “delicato” impiego di un particolare tipo di tecnologie, ossia le nanotecnologie, sino alla discussione dei programmi di health techology assessment (HTA). Il corpo docente, tutto ampiamente qualificato − il Master ha visto la partecipazione, fra gli altri, di ben cinque ordinari e quattro associati − e in gran parte proveniente dall’Università Cattolica, è stato selezionato su competenza specifiche e ha dimostrato di aver un buon livello di interazione con i discenti. I venti masteristi hanno conseguito il titolo discutendo delle tesi, preparate con cura in argomenti diversificati, in relazione ai loro particolari interessi professionali e bioetici. Dott.ssa Nunziata Augello Titolo Tesi: Stili di vita ed approccio alle dipendenze nella scuola superiore professionale. Dati di una ricerca a confronto Relatore: Prof.ssa Vanna Maria Valori Dott. Giuseppe Di Stolfo Titolo Tesi:La relazione assistenziale tra libera autodeterminazione e giustizia sociale nell’era tecnologica Relatore: Prof. Andrea Virdis Dott. Antonio Facciorusso Titolo Tesi:Aspetti etici della disattivazione del defibrillatore-cardioverter automatico impiantabile (AICD) nei pazienti end of life Relatore: Prof. Antonio Gioacchino Spagnolo Dott. Michele Giuliani Titolo Tesi:Approccio etico alla cura delle ulcere cutanee: costo o opportunità? Relatore: Pietro Refolo Dott. Paola Latina Titolo Tesi:Assistenza al paziente in fase terminale e cure palliative Relatore: Prof.ssa Emma Traisci Dott. Salvatore Melchionda Titolo Tesi:La scienza e la Tecnica sono al Servizio dell’Uomo? Considerazioni bioetiche sulla Procreazione Relatore: Prof.ssa Nunziata Comoretto Dott.ssa Letizia Caporaso Titolo Tesi:Approccio terapeutico al paziente nelle cure palliative Relatore: Prof.ssa Nunziata Comoretto Dott.ssa Maria Morritti Titolo Tesi:La consulenza etica e l’etica della cura in oncologia Relatore: Prof.ssa Nunziata Comoretto Dott. Giovanni Chifari Titolo Tesi:La ricerca della salute: mediazioni in dialogo Relatore: Prof. Pietro Refolo Dott. Grazia Napolitano Titolo Tesi:Le vittime dell’alcolismo mi sembrano come persone “in viaggio” che vanno alla ricerca di qualcosa in cui credere per vivere (Giovanni Paolo II) Relatore: Prof.ssa Roberta Minacori Dott.ssa Maria Soccorsa Siciliano Titolo Tesi:Le scelte allocative in sanità: dilemmi quotidiani tra salute, etica ed economia Relatore: Prof. Dario Sacchini Dott. Giovanni Marco Criconia Titolo Tesi:Impiego delle cellule staminali adulte nella riparazione del danno cardiaco: aspetti scientifici ed etici Relatore: Prof. Antonio Gioacchino Spagnolo Dott.ssa Michelina Crisetti Titolo Tesi:Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA): l’evoluzione del Consenso Informato nella Relazione Operatore Sanitario-Paziente Relatore: Prof. Arnaldo Pangrazzi Prof.ssa Maristella Di Lorenzo Titolo Tesi:Psico-oncologia ed etica personalista: l’integrazione del servizio al paziente Relatore: Prof.ssa Vanna Maria Valori Dott. Filomena Di Rienzo Titolo Tesi:La famiglia: persone ricche di risorse in economia sanitaria Relatore: Prof. Pietro Refolo Dott. Carmela Maria Palumbo Titolo Tesi:Aspetti etici della contenzione in psichiatria Relatore: Prof. Vanna Maria Valori Dott. Angelo Pizzolato Titolo Tesi:Medicina legale e bioetica nella quotidianità clinica Relatore: Prof. Antonio Gioacchino Spagnolo Dott. Elvira Saccottelli Titolo Tesi:Morte amica Relatore: Prof.ssa Donatella Pagliacci Dott. Antonio Santoro Titolo Tesi:Morte, natura e tecnica Relatore: Prof. Pietro Refolo Dott. Gianfranco Tacconi Titolo Tesi:Valutazione bioetica applicata a procedure e metodiche assistenziali nell’ambito della rianimazione – terapia intensiva e medicina d’urgenza Relatore: Prof. Vincenza Mele IL COMMENTO FINALE È senz’altro positivo il bilancio complessivo del Master: stando, infatti, ai dati emersi a seguito della somministrazione di un questionario di rilevazione della customer satisfaction e di alcune lettere di apprezzamento pervenute al comitato organizzativo, il Master sembra aver pienamente soddisfatto i fabbisogni formativi dei partecipanti. Conferma ne è che quasi quasi i partecipanti, nonostante la consistenza dell’impegno richiesto, hanno esternato un senso di vuoto dall’avere ormai liberi i week-end a scadenza quindicinale, per la mancanza di quella relazione di calore e di affettuosa amicizia, che è nata e si è via via sviluppata in questo percorso durato due anni. Per colmare la nostalgia di quei week-end occupati dal Master è nata la proposta, ancora da sviluppare per il prossimo anno, di continuare il percorso formativo con appuntamenti mensili, in cui ognuno dei masteristi approfondirà con degli aggiornamenti l’argomento della propria tesi. Tutto ciò fa ben sperare per il proseguo della realizzazione di simile iniziative e per, così dire, “vincere” la sfida raccolta da “Casa Sollievo”: a fronte della dirompente e diffusa tendenza all’atrofia spirituale da parte degli operatori sanitari, compito fondamentale di una istituzione sanitaria è proprio quella di costruire programmi formativi efficaci per quello che rappresenta il cuore stesso dell’impresa medica e la sua profonda originalità: mettere al centro della propria attività la relazione con un essere umano sofferente. _ BANCA DEL LATTE UMANO DONATO Gentilissima mamma, colgo l’occasione delle festività natalizie per augurare a te ed a tutta la tua famiglia un santo e sereno Natale ed un anno nuovo colmo di gioie e soprattutto per ringraziarti del grande dono che con tanta, lodevole generosità, hai offerto e continui ad offrire ai piccolini meno fortunati, che non possono assumere dalla propria mamma l’alimento così prezioso per la loro crescita, quale il latte materno. L’importanza del tuo nobile gesto è così profonda che sento ancora una volta la necessità di dirti un grazie di cuore anche da parte della Direzione Generale, della Direzione Sanitaria e del mio staff. Alberto Gatta Responsabile dell’Unità Operativa di Neonatologia L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 23 Attualità in oncoematologia pediatrica L’intervento del professor Franco Lotti, Primario Emerito di Pediatria della Casa Sollievo della Sofferenza. di eccellenza. Il mio compiacimento non potrebbe essere maggiore e voglio esprimerlo, unendolo però ad una raccomandazione, indirizzata specialmente ai più giovani di voi. Quando. con giusta soddisfazione, considerate i progressi raggiunti rispetto al passato siate sempre attenti a non buttare insieme all’acqua sporca del bagnetto, anche il bambino che c’era dentro.. Perché con il passare degli anni e l’estinguersi delle testimonianze dirette (l’anagrafe non perdona) la polvere del tempo può tendere ad annebbiare e a far dimenticare storia e radici della nostra Istituzione, storia e radici senza le quali la stessa desiderata vitalità presente e futura non avrebbe speranza. Vi è una parola, breve, forse abusata, ma senza la quale nulla avrebbe senso nella grande avventura della Casa Sollievo e questa parola è la Fede. Fede del santo fondatore in quel progetto che la Provvidenza gli aveva rivelato, fede in lui da parte di coloro chiamati ieri e oggi a portarlo avanti. Vi è un ricordo preciso, tra i tanti che conservo in me, un episodio che come una parabola può essere significativo più di molte parole. Eravamo nel maggio del 1946, a guerra finita, ma della società Casa Sollievo fondata nel 9 gennaio del 1940 da Sanguinetti, Sanvico e Kisvarday per edificare un ospedale secondo il desiderio del Padre, ancora non si vedevano i frutti. Padre Pio smaniava, si lamentava con il compaesano sacerdote don Giuseppe Orlando, che in quel tempo fungeva da amministratore delegato della società, perché non si iniziavano i lavori. Diceva don Peppino: “Piuccio mio, che posso fare? Ancora non sappiamo dove dobbiamo costruire, il posto da te indicato, genericamente sulla montagna, è contestato dai tecnici che ritengono impossibile scavare almeno 100 mila metri cubi di roccia. Non c’è un progetto, non abbiamo i permessi, nulla.” Ma Padre Pio non intendeva ragioni. Mi raccontava don Peppino:“ Quando gli sono vicino,in coro o nel refettorio mi dà delle gomitate da farmi male, tanto che io devo stargli discosto.” Finchè una sera, stanco di tutto questo, don Peppino dice: “Piuccio, va bene, domattina prendo un piccone e mi metto tracciare una strada… verso dove?”. E Padre Pio “Cè quel pezzo di terreno che Maria Basilio mi ha donato: parti dal piazzaletto della chiesa e vai in quella direzione”. E così, il mattino seguente, con quattro manovali, Don Peppino iniziò, piccone alla mano, a tracciare un solco verso il monte, nella direzione indicata da Padre Pio che dalla finestra del coro occhieggiava tutto contento. Non sempre però e non tutte le persone che gravitavano intorno al Padre avevano quel tipo di fede in lui e nei suoi carismi e non fu quella la sola volta in cui Padre Pio dovette prendere l’iniziativa a difesa del suo progetto dell’ospedale sulla montagna. Nel luglio del ‘47 fu messo particolarmente in difficoltà dalla Commissione Siviero, architetto romano molto noto in quei tempi per avere guidato il gruppo di esperti italiani per il recupero delle opera d’arte trafugate e portate all’estero durante il conflitto. Era stato chiamato dagli amministratori del tempo stretti tra l’indicazione data dal Padre e i reiterati pareri dei tecnici che la consideravano irrealizzabile. Siviero fu inequivocabile: dopo due giorni di sopraluoghi e di incontri con il Padre, in procinto di ripartire per Roma, voleva da lui il consenso definitivo per avviare i lavori in una piccola zona pianeggiante verso il paese. Il 26 novembre scorso, a San Giovanni Rotondo, si è tenuto il Secondo Incontro Scientifico in Capitanata sul tema «Attualità in Oncoematologia Pediatrica». C C arissimi amici e colleghi della Oncologia pediatrica, così mi piace rivolgermi a voi, che in in gran parte avete maturato con me le prime esperienze cliniche in quel grande contenitore che era allora la Pediatria generale. Parlo di grande contenitore sia per le dimensioni raggiunte, i 200 posti letto degli anni 80 rispetto ai 18 del 1956, sia per la molteplici iniziative da diversi di voi portate avanti nel suo contesto. Oltre alle tradizionali sezioni di pediatria generale, funzionava un presidio ospedaliero oncoematologico con Centro per talassiemici al quale affluivano 50 bambini e adolescenti da tutta la provincia per le periodiche trasfusioni e controlli, il laboratorio di consulenza genetica, affollatissimo, anche per la novità che rappresentava, la neuropsi- 24 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t chiatria infantile, la sezione di isolamento per malattie infettive. Un grande contenitore dicevo, frutto di una impostazione e di una organizzazione tali da poter assolvere in maniera conveniente i tanti e diversi compiti derivanti da una domanda crescente. Ma il il mutare degli eventi tra i quali, fondamentale, il progresso della medicina, sempre piu’ tecnologica, che richiede piccole unità superspecialistiche a organizzazione capillare, ha decretato una svolta radicale nella struttura dei reparti generalistici. Oggi molti di voi che negli anni 80 iniziarono ad occuparsi di oncoematologia con grande entusiasmo ma con le conoscenze ed i mezzi d’ indagine di allora, sono a capo di importanti settori di una realtà che sotto la direzione del dottor Saverio Ladogana ha raggiunto il livello e il riconoscimento L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 25 Era un venerdì sera e accompagnando Padre Pio alla sua cella, raccolsi parole di sconforto, di amarezza. “Domani pomeriggio, alle due, dobbiamo incontrarci per la decisione definitiva. Ma io come faccio? Ti ricordi 4 anni fa, quando ti mostrai la montagna e che ti dissi? Che era il luogo che il Signore mi aveva mostrato e che lì doveva sorgere l’ospedale …”. Poi vi fu in lui un cambiamento repentino, mutò il tono della voce, divenne di comando. “Tu questa sera parti subito, vai a Pescara, cerca di un ingegnere, un certo Candeloro. Lui ha un progetto di ospedale, fatto da un suo disegnatore. Fattelo consegnare e me lo porti. Prima delle due di domani, vedi di fare tutto in tempo”. A mezzogiorno del sabato, quando il Padre scese al refettorio, io ero là, tra la folla che attendeva il suo passag- gio. Mi guardò, la domanda negli occhi: gli feci cenno di sì con la testa e gli passai il rotolo del progetto. Se lo mise dentro la manica e stette a tavola con il braccio rigido, come ingessato, senza rispondere alle domande e alle battute dei confratelli. La sera mi raccontò l’incontro con Siviero: “Come ci siamo visti, gli ho detto subito: la ringrazio di cuore dell’incomodo che si è preso,, ma l’ospedale sarà questo e sarà sulla montagna.” La fede, dal piccone di don Peppino alla rivoluzione genomica, alle cellule staminali: e poi chissa? Difficile spiegare i passi di questa avventura basandoci sulle sole coordinate del caso della necessità di una certa scienza. La fede di Padre Pio, certa, incrollabile, ma insieme la sua umanità tenera, disarmante. Quando portavamo alla sua conoscenza la situazione di qualche bambino affetto da tumore per il quale dai familiari veniva richiesta una preghiera ed una parola di speranza, dovevamo procedere con attenzione, scegliendo parole e momento giusti, perchè sapevamo quanto egli venisse coinvolto emotivamente fino alle lacrime, all’ ascolto della diagnosi. Proprio nei giorni scorsi, scartabellando tra le mie vecchie carte ho rinvenuto uno scritto che lo testimonia. Non è datato ma si riferisce ad un periodo successivo di qualche anno alla apertura della Casa del 1956. La signora Maria Antonietta Sanvico, moglie di Mario, uno dei tre fondatori della società Casa Sollievo della Sofferenza del 9 gennaio 1940, in un incontro con il Padre voleva raccomandargli una carissima amica di Perugia affetta da un tumore. Vi leggo testualmente lo scritto. Maria Antonietta aveva appena iniziato a parlare. “Padre, una mia amica di Perugia....” quando il Padre l’ha interrotta: “Non dirmi che è colpita da quel male. Dimmi solo che è grave. Non posso sentire quel nome, mi fa troppo 26 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t male”. Singolarità di comportamento, questa, del Padre, apparentemente indicativa di una ipersensibilità, ma poi? La maggior parte degli uomini, quando avverte un disagio così acuto nei confronti di realtà alle quali è posto di fronte, tende a isolarsi, a rimuoverle, negando l’esistenza del problema. Il Padre, viceversa, solidarizza con la sofferenza di chi è colpito dal male, se ne fa interprete e cireneo, ma nel contempo, opera con ogni energia perché siano create le premesse per la sconfitta del male nella casa da lui tenacemente voluta e volta alla ricerca più avanzata. Amici della Oncologia Pediatrica, scusatemi se vi ho rubato qualche minuto in più Non ho certo messaggi da lasciarvi e voi non ne avete bisogno. Un suggerimento questo sì, posso darvelo. Quando lo sconforto e la stanchezza vi travagliano di fronte a qualche manifestazione più insidiosa del male che combattete ogni giorno, cercate di fare in voi un momento di silenzio e….. chissà mai, potreste forse ascoltare i colpi di piccone di don Peppino che sfidano ancor oggi la grande montagna. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 27 Direzione Sanitaria Corso di formazione ECM: «Il Codice Deontologico: Quale relazione tra Infermiere - Cittadino - Istituzioni» ed economico, sia sul piano politico, dove sentiamo tutti i giorni che la questione morale legata alla perdita dei valori della nostra società sta assumendo un peso sempre più rilevante. In tutto questo, quindi, le considerazioni di natura etica non costituiscono un aspetto accessorio per le professioni sanitarie, bensì una dimensione intrinseca alle stesse e tanto più in un’istituzione religiosa come la nostra, fondata da un Santo. Umanizzare la Sanità, oggi, significa, in primo luogo, riportare il rapporto malato-medico-infermiere-tecnico operatore ad un dialogo fra persone fatto di ascolto, di rispetto, di interesse o come ci è stato ricordato dall’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II nella Carta degli Operatori Sanitari nel 1994, quello che deve tornare ad essere un incontro tra una fiducia, quella del malato segnato dalla sofferenza e dalla malattia e una coscienza, quella dell’operatore che se ne fa carico. Dott. Domenico Crupi Direttore Generale IRCSS I A cura di Maristella Ferrara I l 24 novembre 2010, presso la Sala Convegni IV piano di Casa Sollievo della Sofferenza, si è tenuto l’evento formativo «Il Codice Deontologico: Quale relazione tra Infermiere-Cittadino-Istituzioni», organizzato dalla Direzione Sanitaria (Servizio Assistenza Diretta e Ufficio Formazione ECM) in collaborazione con il Collegio Provinciale IPASVI di Foggia. Il convegno, che ha visto la partecipazione degli infermieri della Casa, ma anche di numerosi infermieri provenienti da altre strutture ospedaliere e territoriali, si è articolato in due sessioni: mattutina e pomeridiana. Il Direttore Generale della struttura, Domenico Crupi, e il Direttore Sanitario, Domenico Di Bisceglie hanno aperto i lavori. Si sono, poi, susseguiti gli interventi dei vari relatori: Annalisa Silvestro, Presidente FNC IPASVI, Emma Martellotti, Capo Ufficio Stampa e Comunicazione IPASVI ed Emanuela Turillazzi, Docente di Medicina Legale dell’ Università di Foggia. Hanno moderato l’evento Maria Soccorsa Cicilano, Responsabile SAD IRCCS, e Michele del Gaudio, Presidente Collegio IPASVI Foggia. Riportiamo di seguito le sintesi dei vari interventi. 28 Mi rivolgo in maniera particolare a tutto il personale infermieristico e sanitario, affinché rifletta sul senso della svolta che stiamo cercando di imprimere a Casa Sollievo della Sofferenza per cogliere le sfide del futuro e del progresso. Noi possiamo tornare anche soddisfatti dal nostro viaggio a Bruxelles, dove abbiamo spiegato al Commissario Europeo per la Salute chi siamo, cosa facciamo e che cosa vogliamo fare, però senza di voi sarà molto difficile realizzare questi progetti che hanno avuto un riscontro molto positivo. Oggi, voi lavorate in una struttura che si sta ponendo al centro dell’attenzione nazionale ed internazionale per i suoi progetti di ricerca. Dobbiamo essere de- w w w. o p e r a p a d re p i o. i t gni di queste cose, viverle, sentirle nostre. Nel contesto del problema deontologico voi ponete il problema di rivendicare un ruolo nelle politiche delle scelte sanitarie, però, scusatemi, io vi invito a rivendicare un ruolo nella dimensione etica del rapporto con l’ammalato, perché questo dà ulteriore valore alla vostra professione. Noi lavoriamo in una struttura che ha una missione particolare; la nostra è la missione disegnata da un Santo, ma deve essere anche la missione di ogni struttura laica: la centralità della persona va declinata concretamente giorno per giorno. E, allora, l’approccio deontologico è anche un approccio essenzialmente etico oltre che professionale, perché oggi, ormai, penso che tutti noi abbiamo acquisito l’importanza dei rapporti tra malattia, relazionalità ed esiti della cura. Mi permetto di fare questo richiamo: rivendicare la scelta nelle politiche sanitarie, ma non tralasciare la dimensione etica, umana e la centralità della persona. Dott. Domenico Di Bisceglie Direttore Sanitario Quando la nostra attività si inserisce in un mercato mondiale, che è altamente connotato da caratteristiche molto vicine al mercato e molto lontane dall’etica, è possibile che questo cominci a creare problemi. Si tratta di un confronto fra valori differenti, che danno luogo a comportamenti differenti. Chi ha qualche anno in più della media, ricorderà che nel 1978 con la legge 833, abbiamo fatto un salto verso l’universalità delle cure. Il salto ha prodotto luci e ombre ma sostanzialmente, poi, la medicina sociale si è mostrata incapace di mantenere un equilibrio sostenibile fra costi e ricavi. Nel ’92, con la legge 502, sono state introdotte re- Maria Soccorsa Cicilano Responsabile SAD IRCCS La presidente FNC IPASVI, Annalisa Silvestro, insieme agli altri componenti del Collegio Provinciale della Federazione Nazionale, analizzerà i rapporti tra la professione infermieristica, i cittadini e le istituzioni sanitarie, alla luce del nuovo Codice Deontologico, che è stato appena novellato dalla professione nel febbraio 2009. Un Codice Deontologico è la colonna portante dell’esercizio professionale: enuncia i valori, i principi, le finalità che sono alla base dell’agire del gruppo dei professionisti, che lo esprime. Oggi, tra l’altro, tutte le professioni che operano nel “Sistema Salute” si trovano a svolgere il loro mandato in una società in rapida trasformazione sia sul piano culturale, istituzionale L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 29 Direzione Sanitaria do tale da avvicinarsi sempre di più a quelle risposte che il cittadino, la persona, appunto, si aspetta dagli infermieri. Questi principi devono animare non solo il comportamento professionale ma anche il comportamento personale, nella vita di ogni giorno, al di fuori di quella che è l’attività professionale. Annalisa Silvestro Presidente FNC IPASVI «Ruolo della professione nelle scelte Politiche e Socio Sanitarie» gole diverse e terminologie diverse; abbiamo dovuto familiarizzare con parole quali efficienza, qualità, budget, costi, benchmarking, reporting, ecc. Indubbiamente, da un certo punto di vista si è trattato di una positiva innovazione culturale e terminologica ma quello che sottende alla terminologia, cioè i valori, come si concilia con l’etica, la missione sociale e la deontologia? È facile definire questi termini in modo scolastico, intesi come il rapporto tra obiettivi e risultati, il rapporto tra costi e benefici, perché sono formule aritmetiche ed economisti che indiscutibili. Ma, dietro queste formule, oggi, si avverte l’esigenza di valorizzare alcuni altri significati. Esiste un valore etico dell’efficienza. Se efficienza nel mercato può significare legittimamente perseguimento del profitto, per noi che viviamo in questo ambiente, efficienza significa capacità di assistere al meglio tutti coloro che hanno bisogno di cure. Dobbiamo, quindi, sintetizzare le regole produttivistiche con i valori deontologici ed etici. È questa la sintesi che muove il progresso di questa istituzione. Cito Amartya Kumar Sen, economista indiano, che ha rivoluzionato i principi dell’economia dominante, lanciando la simbiosi tra etica ed economia, come chiave di sviluppo. Aggiungo inoltre che, se una classe dirigente, se una leadership non sono assolutamente coerenti fra ciò che esprimono nelle enunciazioni verbali con ciò che dimostrano con i comportamenti, dopo un tempo più o meno lungo falliscono. Ed è per questo che io esigo, da me stesso in primis e da tutti i collaboratori, coerenza fra valori enunciati, programmi e comportamenti. 30 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Michele Del Gaudio Presidente Collegio IPASVI di Foggia Il codice deontologico è nato dagli infermieri. Chi ha partecipato ai lavori, in evoluzione dal 1999 fino al 2009, sa benissimo che questo codice è nato dalla volontà di tutti, dalla partecipazione di tutti gli infermieri. Noi sappiamo che la persona, l’uomo, è al centro di tutte le nostre attenzioni, è sempre stato e lo sarà. É la nostra missione fondamentale: dare risposte adeguate alle persone, agli individui, alla persona che ha necessità. L’infermieristica è nata con questo spirito da sempre e senza nessuna distinzione nei confronti di chicchessia per quanto riguarda il credo religioso, politico e quant’altro. Noi, che stiamo vivendo come professionisti questa evoluzione notevole, sappiamo bene che ci viene richiesto di essere sempre più attuali e adeguati alle situazioni che cambiano. Perciò riteniamo che l’infermieristica non possa essere vissuta in maniera statica, come in passato, quando la nostra partecipazione all’interno dell’organizzazione sanitaria era piuttosto limitata. Per cui la nostra responsabilità come infermieri è proprio quella di essere adeguati, di partecipare attivamente alle scelte ed ad orientare anche la collocazione delle risorse economiche che ci vengono messe a disposizione. I principi di equità e di giustizia sono elementi che fanno parte del nostro codice deontologico da sempre e valgono per tutti i livelli della professione: tutti, indipendentemente da quelle che sono le loro funzioni e responsabilità, devono partecipare in maniera significativa alle scelte dell’organizzazione, in mo- Perché un nuovo codice deontologico? Nel 1999 l’avevamo ridefinito, novellato in stretta connessione con questo grande evento professionale, storico, giuridico, politico, che è stata la legge 42. Con la promulgazione di questa legge, noi ci siamo, finalmente, posti in una posizione professionale assolutamente diversa da quella che avevamo prima. Fino al 1999, noi infermieri, con la nostra professione, vivevamo un grande paradosso: sin dal 1934, con Regio Decreto del T.U. delle Leggi Sanitarie, eravamo definiti professione sanitaria, sì, ma ausiliaria. Nel 1999, con la legge 42, questo paradosso è stato superato e, finalmente, con una legge dello Stato Italiano si dice che gli infermieri esercitano una professione sanitaria senza nessun altro aggettivo; essendo professionisti sanitari non hanno più il mansionario, esercitano quindi una professione intellettuale, sono inseriti nella formazione universitaria, hanno un campo di attività delineato da tre elementi: il codice deontologico, il profilo professionale, i percorsi formativi. In realtà, ci siamo resi conto che se nel 1999 avevamo superato un paradosso giuridico, continuavamo a mantenere, però, un paradosso professionale: all’infermiere veniva riconosciuta solo l’autonomia operativa mentre la definizione degli obiettivi e del percorso che doveva fare l’assistito rimaneva in capo ad un’altra professionalità, che era quella del medico. Anni e anni di esercizio professionale impostato in questo modo non si riescono a superare grazie ad una legge dello Stato. Credo che ancora una parte degli infermieri professionisti continui a pensare che il suo punto di riferimento è il processo diagnostico-terapeutico. In realtà, gli infermieri sono inseriti dentro un più ampio processo, che è il processo di assistenza nel quale sono coinvolti medici, infermieri e altri professionisti. Tale processo è prevalentemente in mano agli infermieri, i quali contribuiscono alla realizzazione di una parte, ma gestiscono autonomamente, secondo il proprio costrutto disciplinare, tutta la parte di assistenza di loro competenza. Emma Martellotti Capo Ufficio Stampa e Comunicazione IPASVI «L’aspetto culturale quale stimolo per il miglioramento Professionale» Molti dei relatori hanno sottolineato l’importanza di concretizzare e valutare i risultati. Il ruolo della comunicazione, in questo caso, è di renderli disponibili e visibili. Una volta realizzati i risultati è ovvio che c’è la necessità di farli circolare all’interno della famiglia professionale, ma anche nei confronti dell’opinione pubblica. La Presidente FNC IPASVI ha sottolineato l’importanza che ogni infermiere riveste nel comunicare lo sviluppo professionale nell’ambito del proprio esercizio professionale. Noi disponiamo di una forza di 368.000 comunicatori, che sono dei megafoni, dei diffusori dell’informazione, ma accanto a questi, in una società che investe molto sulla comunicazione, è nostro dovere approcciare a questo ambito in maniera professionale e utilizzarne tutte le potenzialità. Nella società di oggi se non si comunica, si rischia di non avere visibilità. Quasi tutti gli infermieri, almeno su una questione, sono concordi: non sono soddisfatti dell’immagine che all’esterno viene riferita dai media a proposito della loro professione. Di solito accusano i giornalisti di trasmettere un’immagine spesso denigratoria e anacronistica degli infermieri. É, quindi, necessario riflettere sul ruolo dell’aspetto culturale inteso come stimolo per il miglioramento professionale, ma anche per il miglioramento dell’immagine che la professione trasmette di sé e propone all’opinione pubblica e ai media. Emanuela Turillazzi Docente Medicina Legale Università di Foggia «Aspetti Infermieristico-Legali» Per sua stessa definizione, la deontologia è una disciplina dinamica, in divenire, il cui oggetto è lo studio delle norme di comportamento specifiche delle professioni sanitarie. Questa disciplina include tre ordini di norme: norme morali, deontologiche, giuridiche. Non devono in ogni modo essere confusi il concetto di deontologia con quello di codice deontologico perché la deontologia, intesa come espressione dell’etica professionale, non può essere tutta rappresentata in codici, i quali chiariscono e riportano ciò che espresso dal dibattito deontologico in un dato momento storico. Le leggi italiane hanno persistentemente ignorato l’esistenza di codici deontologici delle professioni sanitarie fino a giungere, in tempi recenti, a chiari richiami sulla codificazione deontologica. Tradizionalmente, esiste una piena autonomia tra deontologia e diritto, sia sul piano sostanziale che procedurale: la regola deontologica è una regola autonoma che non assume i caratteri della norma giuridica; non è pertanto suscettibile di applicazione diretta nei giudizi penali e civili e vige il principio dell’indipendenza dell’azione penale e civile e di quella disciplinare. In realtà, la prevalente giurisprudenza è incline ad affermare che vi sia una netta separazione tra deontologia e diritto, esprimendo la prima «precetti extragiuridici» o «regole interne alla categoria» che non assumono i caratteri della norma giuridica. In questo contesto, il concetto di responsabilità diventa l’ elemento centrale del codice deontologico, parallelamente al quale si snodano i concetti di azione e competenza: la prima intesa come obbligo di agire; la seconda come criterio e limite dell’azione, anche nei confronti di altre categorie professionali. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 31 Direzione Sanitaria Spina Bifida, San Giovanni Rotondo nuovo punto di riferimento S i è tenuto, dall’1 al 3 ottobre a San Giovanni Rotondo, presso il Centro di Accoglienza “Approdo”, il Convegno Nazionale delle famiglie dei malati di spina bifida. “LA QUALITA’ DEI SERVIZI ALLA PERSONA CON SPINA BIFIDA IN ITALIA - Stato dell’arte e prospettive future” organizzato dall’A.Pu.S.B.I. (Associazione Pugliese Spina Bifida e Idrocefalo) con il supporto di ACISB (Associazione Campana Idrocefalo e Spina Bifida) e di ASBI (Associazione Spina Bifida Italia). Per la prima volta, l’evento è stato inserito all’interno della Settimana Nazionale della Spina Bifida, che è il principale momento di sensibilizzazione in Italia su questa patologia inguaribile che colpisce colonna vertebrale e midollo spinale, e che per dal 10 al 12 novembre scorso a cura di Maria Pia Bellucci la sua alta incidenza e per i suoi effetti invalidanti è di forte impatto sia sociale che sanitario. Quest’anno la campagna pubblicitaria presentava lo slogan: DIAMO A CHI È AFFETTO DA SPINA BIFIDA UN MONDO ALL’ALTEZZA DEI SUOI SOGNI. È stato un concreto momento di confronto e scambio di esperienze tra professionisti di Centri Spina Bifida, presenti sul territorio nazionale, competenti in interventi multidisciplinari, per rispondere alle richieste sia dei genitori, dei ragazzi, ed in particolare degli adolescenti, al fine di migliorare la loro qualità di vita. Un occasione molto importante anche per le famiglie per incontrare vecchi e nuovi amici desiderosi confrontarsi, conoscersi e scambiarsi esperienze e consigli. Considerando gli effetti invalidan- ti della spina bifida ed il forte impatto sia sociale che sanitario, non si può trascurare un problema così grave. In una nota, è stata indicata come struttura idonea, che risponde ai nostri bisogni, l’IRCCS-Casa Sollievo della Sofferenza, per i risultati di eccellenza raggiunti, ormai noti nel centro/sud. In Casa Sollievo, la prossima nascita di un centro per la Spina Bifida e Idrocefalo può essere considerato per le famiglie pugliesi e dell’Italia meridionale un avvenimento “epocale”. Il centro sarà per l’ospedale di Padre Pio, fiore all’occhiello per il miglioramento di professionalità e l’attuazione di progetti simili in tutte le malformazioni rare; l’ospedale diverrà un punto di riferimento per la Puglia e per tutta l’Italia centro meridionale dove finora non esistono centri per la cura della spina bifida. L’associazione supporterà il Centro di Spina Bifida al fine di erogare prestazioni di qualità nell’assistenza e sostegno ai pazienti ed alle loro famiglie che vivono i problemi legati a questa grave patologia. Con l’aiuto di Casa Sollievo, sorgerà l’obbligo di continuare a lottare per affermare la dignità delle famiglie dei malati di Spina Bifida, per tutelare il diritto alle cure appropriate per i pazienti, l’assoluta necessità di un percorso di integrazione familiare, sociale, scolastica e occupazionale per le persone affette da questa patologia. _ 32 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t il 19°congresso dellaSINV D al 10 al 12 novembre scorso, a San Giovanni Rotondo, si è svolto il diciannovesimo congresso della Società Interdisciplinare NeuroVascolare (SINV) organizzato dal suo segretario nazionale il dott. Vincenzo Inchingolo della U.O. di Neurologia di “Casa Sollievo della Sofferenza”. La SINV è una Società scientifica nata nel 1992 che ha come scopo promuovere l’ampliamento delle conoscenze sulle malattie cerebrovascolari, riunendo tutti quelli che, nell’ambito medicochirurgico, a vario titolo, e partendo da diverse competenze e interessi, si occupano operativamente di questo tipo di patologia. Il tema conduttore dell’evento è stato il ruolo che le diverse figure professionali devono avere per gestire al meglio la patologia cerebrovascolare in tutte le sue fasi. Per questo motivo, alcuni temi importanti della patologia sono stati trattati in collaborazione con le Società che rappresentano le diverse figure professionali. Sono intervenuti, infatti, autorevoli esponenti di diverse Società scientifiche italiane del settore: SNO, SINSEC, SIMEU, FADOI, SISET, SIDV, ANIN. Le giornate congressuali sono state precedute da due corsi teorico-pratici: un corso per infermieri sulla gestione del paziente con ictus acuto e un corso di diagnostica vascolare ultrasonologica in ambito cerebrovascolare. Sono intervenuti al congresso anche relatori di rilievo internazionale come il prof. Pierre Amarenco di Parigi che ha illustrato la nuova classificazione degli attacchi ischemici transitori (i cosiddetti TIA) ed il prof. Pierre Jean Touboul di Parigi che ha tenuto una sessione teorico-pratica sulla misurazione dello spessore intima-media delle carotidi. Nell’ultima giornata, il prof. Carlos Molina, direttore dello Stroke Center di Barcellona è intervenuto in videoconferenza per parlare dell’organizzazione dei Servizi per l’ictus nella regione della Catalogna e della sonotrombolisi, un promettente trattamento dell’ictus acuto. Il congresso ha anche ospitato la riunione organizzata dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla e dalla sua Fondazione in collaborazione con la SINV stessa e la SINSEC (Società Italiana di Neurosonologia ed Emodinamica Cerebrale), per la presentazione del protocollo sonologico dello studio osservazionale di prevalenza della insufficienza venosa cerebrospinale cronica (CCSVI) nella sclerosi multipla e in altre malattie neurodegenerative, promosso e finanziato dall’AISM con la sua Fondazione. _ L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 33 ntà del santo Nel solco della volo o, il proget to Fondatore Padre Pi per il futuro della lla Sofferenza Casa Sollievo de o di migliorare persegue l’obiet tiv o e l’accoglienza il comfort del malat uare le prestazioni ai pellegrini, di adeg ppi della medicina, ai rapidissimi svilu ifica, della ricerca scient della tecnologia e zza re cu ù elevati livelli di si di raggiungere i pi anitaria. tistica e igienico -s an pi im , le ra ttu ru st az la riorganizz ione dell’ospe dale C ONVEGNO la solidarietà Alpina I Nuova ospitalità, Nuova ospitalità, degenze con standard di alta qualità e possibilità di permanenza per gli accompagnatori L 5 novembre scorso, come ogni anno, l’Associazione di Volontariato «Solidarietà Alpina» ONLUS ha provveduto al trasporto di un carico di mele del Trentino donato alla Casa di Riposo «Padre Pio». L’associazione «Solidarietà Alpina» opera in molteplici settori che possono essere divisi in tre principali aree di intervento: una relativa ai progetti di sviluppo (nazionale e internazionale ) che realizziamo, l'altra relativa alle varie attività che vengono promosse e svolte dall'associazione per la raccolta dei fondi a finanziamento dei progetti, ed infine la terza che comprende le attività culturali promosse. Nuova accoglienza Nuova accoglienza per visitatori, malati e pellegrini e nuovi spazi per i Gruppi di Preghiera ia non perisca d’ined Af finché la «Casa» i an m do al oggi si pensi è necessario che no ei cr turo e si e si programmi il fu ntare le sfide fro le condizioni per af azione poste dalla decritt tica, bo ro o, dalla del genoma uman gie lo no lle bionanotec dalla genomica, da iva enerat . e dalla medicina rig Nuova piastra tecnologica Nuova piastra tecnologica per l’innovazione nelle tecnologie e nei processi di cura, con con strutture e apparecchiature di alto livello e grande complessità C arissima Suor Giovannina, gli anni compiuti sono traguardi raggiunti. Sono un tempo avuto in dono. Che il Suo tempo possa scorrere sempre piacevolmente e ogni traguardo raggiunto possa essere sempre meraviglioso. Le auguriamo di trovare sempre le parole giuste per scrivere le Sue memorie. Di saper usare i colori del cuore, mescolare bene e dosarli con intelligenza per dipingere ancora tanti altri giorni, di saper vivere ogni emozione con l’entusiasmo e l’umiltà che L’hanno sempre distinta, con l’animo di un bambino e la saggezza di un adulto. Con il passare degli anni ha invertito la rotta anche in Nuovi settori di ricerca: Terapia cellulare e cura delle malattie degenerative ed incurabili; Oncologia sperimentale dei tumori incurabili; Cellule staminali adulte e riprogrammate (ricerca eticamente accettabile). Nuovo polo dei servizi e della logistica, per la semplificazione e facilitazione dei percorsi e degli accessi di malati, pellegrini, professionalità e materiali in assoluta sicurezza. Casa Sollievo della Sofferenza, strumento di amore cristiano e di giustizia sociale, offre pari opportunità di cura a tutti, in particolare ai fratelli più poveri e meno fortunati che qui si rivolgono da ogni parte del mondo. Se fosse possibile, la Casa la farei d’oro, perché il malato è Gesù e tutto è poco quello che si fa per il Signore Un a « C a s a » c h e c r e sc e e s i r i nn o v a PUOI SOSTENERE L’OPERA DI PADRE PIO anche con Bonifico Bancario presso Banca CARIME filiale di San Giovanni Rotondo BIC CARMIT31218 IBAN IT31 O 030 6778 5900 0000 0000 022 intestato a: Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza, 71013 San Giovanni Rotondo (Foggia) É possibile effettuare donazioni online 84 Per info (+39) 0882.410339 [email protected] w w w. o p e r a p a d re p i o. i t 800 011 011 www.operapadrepio.it mezzo alle avversità e continua a navigare con vigore ed entusiasmo assieme a tutti, vecchi amici e nuove leve. Ricordi che non sono gli anni che passano a rendere belle le persone, ma sono le persone speciali come Lei a rendere giovane la vita. Per questo compleanno, rispettando la Sua volontà, niente regali eclatanti ma un augurio fatto dalla profondità dell’anima affinchè possa cogliere ogni sfumatura della vita gioendo con essa. Essendoci riuniti per poter festeggiare insieme è con affetto sincero che La abbracciamo con l’augurio che questo giorno possa essere foriero di serenità, salute e... ancora lunga vita. Immacolata Potenza San Giovanni Rotondo, 1 dicembre 2010 S criviamo questa lettera perché ci è giunta voce che il corso di preparazione alla nascita, che da anni le ostetriche di Casa Sollievo della Sofferenza organizzano a vantaggio delle future mamme, a breve potrebbe non tenersi più per mancanza di un locale adatto. Questa cosa ci dispiacerebbe moltissimo. Anche noi siamo diventati genitori da qualche mese ed abbiamo partecipato al corso di preparazione. Che dire? Grazie al corso, abbiamo acquisito la capacità di affrontare il lieto evento con la serenità con cui si va incontro alle cose che ci sono già familiari. Il corso ha risposto in anticipo a numerosi dubbi, domande e paure che non avremmo potuto prevedere, ma che sarebbero inesorabilmente insorte al momento del travaglio, del parto, dell’inizio dell’allattamento. Anche il ritorno a casa con la nostra piccola bambina è stato per noi più facile, perché sape- vamo già cosa ci aspettava e come dovevamo affrontare le prime cure della nostra piccina. Un tempo queste cose si imparavano nelle famiglie. Oggi, in una società con meno figli e meno tempo, non è più così. Riteniamo che questo corso sia una delle cose più utili che abbiamo fatto durante il nostro percorso per diventare genitori, consigliamo a tutte le future mamme (e anche ai papà) di farlo, e ringraziamo Casa Sollievo della Sofferenza per averci dato questa possibilità. E, soprattutto, ringraziamo coloro che per prime accolgono la vita: le ostetriche. Marianna e Sascha L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 85 NOSTRE INFORMAZIONI nostre informazioni uoi fare molto ricerca! • con un versamento sul conto corrente postale n. 6076382, intestato a Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza - Opera di San Pio da Pietrelcina una cellula ale cerebrale. Come adottare Adotta anche tu una o più cellule staminali cerebrali: regalerai una speranza a migliaia di persone, sostenendo la ricerca per combattere le malattie neurodegenerative. • effettuando una donazione in contanti presso l’ufficio accoglienza pellegrini dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo Puoi farlo: ADOTTA Grazie alla tua donazione, sarà possibile: • produrreUNACELLULA le cellule staminali cerebrali umane per il trapianto nei pazienti malattie neurodegenerative che, e cellule del cervello, determinano ioni motorie e cognitive, fino alla morte, esistono oggi terapie risolutive. • effettuando un versamento online sul sito www.adottaunacellula.org con carta di credito Preghiera di un malato omuovere la ricerca minali cerebrali ed arrivare mpo possibile allo sviluppo ari efficaci, favorendo one clinica sull’uomo. • effettuando un bonifico bancario per un valore superiore ai 10 euro sul C/C IT89 W03067785 90000000000718 • acquistare attrezzature scientifiche per la ricerca • creare in CasaSignore Sollievo dellati Sofferenza nuovi ambienti Gesù, chiedo di illuminare i medici Oggi puoi fare molto dedicati alla ricerca e al trasferimento sull’uomo • con un versamento sul conto corrente postale a comprendere il mio male e saperne prescrivere perla la ricerca! n. 6076382, intestato a Fondazione Casa Sollievo cura efficace per debellarlo. • offrire borse di per giovani Mastudio il mio animo è malato,ricercatori il mio cuore, della Sofferenza - Opera di San Pio da Pietrelcina Adotta una cellula il mio spirito. Eccomi quiAUC_pieghevole_ ai tuoi piedi. 4ante:Layout 1 28/10/2010 15:07 Pagina 1 Non vorrei venisse curato il mio corpo, • effettuando una donazione in contanti staminale cerebrale. senza provvedere anche la cuore e all’anima mia. presso l’ufficio accoglienza pellegrini Potrai: Tu solo sei il medico che può curare dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza Come adottare ogni sorta di male, e per questo io ricorro a Te, a San Giovanni Rotondo Adotta unacellule staminali cerebrali: Permio maggiori informazioni sitoio possa uscire Adotta ancheanche tu una tu o più Signore e mio Dio.visita Fa’ ilche • combattere le malattie neurodegenerative che, o più cellule staminali regalerai una speranza a migliaiacerebrali: da questoleOspedale ristabilito www.adottaunacellula.org Grazie alla tua donazione, sarà possibile: di persone, sostenendo distruggendo cellule delpienamente cervello, determinano regalerai una speranza a migliaia di persone, la ricerca per combattere le malattie neurodegenerative. e che possa ritornare con animo nuovo gravi menomazioni motorie e cognitive, fino alla morte, • produrre le cellule staminali cerebrali umane sostenendo la ricerca per combattere Te lo chiedo per lealle qualimie nonconsuete esistonooccupazioni. oggi terapie risolutive. Puoi farlo: per il trapianto nei pazienti le malattie neurodegenerative. per l’intercessione della Tua Madre Santissima • effettuando un versamento online sul sito e per la Passione chelaturicerca hai sofferto per me. • finanziare e promuovere • acquistare attrezzature scientifiche per la ricerca Come adottare nza di un futuro ne di persone in Italia e milioni nel mondo colpite da una malattia neurodegenerativa. le borse di studio dI cASA SOLLIEVO ADOTTA • creare in Casa Sollievo della Sofferenza nuovi ambienti UNACELLULA dedicati alla ricerca e al trasferimento sull’uomo www.adottaunacellula.org con carta di credito Puoi farlo: sulle cellule staminali cerebrali ed arrivare nel più breve tempo possibile allo sviluppo di terapie cellulari efficaci, favorendo resente l’Arcivescovo Monsignor Michele Castoro, i figli dei soci del Circolo ricreatila sperimentazione clinica sull’uomo. P vo di Casa Sollievo che si sono distinti per profitto nell’anno scolastico 2009/2010 sono stati premiati con• una di studiodimessa a disposizione dall’Amministradareborsa una speranza un futuro oltreLa uncerimonia milione di di persone in Italia epremi milionisipuoi nel mondo zione dell’Opera di Sana Pio. consegna dei è svolta nella Oggi fare mattinata di domenica 12 dicembre nella sala consegni dell’Ospedale. che sono state colpite da una malattia neurodegenerativa. per la ricerca! • offrire borse di molto • con un versamento sul conto corrente postale n. 6076382, intestato a Fondazione Casa Sollievo effettuando- un bonifico per un valore Opera di Sanbancario Pio da Pietrelcina della Sofferenza superiore ai 10 euro Adotta una cellula Per maggiori informazioni il sito sul C/C IT visita 89 W03067785 90000000000718 • effettuando una donazione in contanti staminale cerebrale. www.adottaunacellula.org presso l’ufficio accoglienza pellegrini Potrai: dell’Ospedale Casa Sollievo con un versamento sul della contoSofferenza corrente postale n. 6076382, Intestato a a San Giovanni Rotondo Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza • combattere le malattie neurodegenerative che, - Opera di San Pio dasarà Pietrelcina Grazie alla tua donazione, possibile: distruggendo le cellule del cervello, determinano gravi menomazioni motorie e cognitive, fino alla morte, per le quali non esistono oggi terapie risolutive. • finanziare e promuovere la ricerca sulle cellule staminali cerebrali ed arrivare nel più breve tempo possibile allo sviluppo di terapie cellulari efficaci, favorendo la sperimentazione clinica sull’uomo. • dare una speranza di un futuro a oltre un milione di persone in Italia e milioni nel mondo che sono state colpite da una malattia neurodegenerativa. 86 effettuando un versamento online sul sito • effettuando un bonifico bancario www.adottaunacellula.org studio per giovani ricercatori per uncon valore cartasuperiore di credito ai 10 euro sul C/C IT89 W03067785 90000000000718 • produrre le cellule staminali cerebrali umane per il trapianto neiuna pazienti effettuando donazione in contanti presso l’ufficio Accoglienzascientifiche pellegrini dell’Ospedale • acquistare attrezzature per la ricercaCasa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo. • creare in Casa Sollievo della Sofferenza nuovi ambienti dedicati alla ricerca e al trasferimento sull’uomo • offrire borse di studio per giovani ricercatori Per maggiori informazioni visita il sito www.adottaunacellula.org maggiori informazioni visita il sito 800 Per 011 011 Tel. 366 6511656 w w w. o p e r a p a d re p i o. i t www.adottaunacellula.org da malattie neurodegenerative Le patologie neurodegenerative affliggono una larga parte della popolazione e causano un progressivo deterioramento delle funzioni motorie (tremori e movimenti incontrollati) e cognitive (demenza). Malattie come il Morbo di Parkinson, Alzheimer e Corea di Huntington sono fra le più note e diffuse ma anche patologie come la Sclerosi Laterale Amiotrofica, la Sclerosi Multipla, le Ischemie Cerebrali e le Lesioni Spinali causano grandi sofferenze ai pazienti e ai loro famigliari per la gravità dei sintomi e il loro decorso progressivo è gravemente invalidante se non letale. Solo di Sclerosi Mult si ammalano 5 persone al giorno, per un totale di 1.400 malati nel mondo di cui 57.000 in Italia. La Sclerosi Laterale Amiotrofica colpisce 7.000 persone in Italia con 3 nuovi malati ogn persone ogni anno. Infine, quasi 906.000 sono i malati di Alzhe solo in Italia, con 96.0 nuove diagnosi all’an Per queste ed altre m neurodegenerative, non esistono ancora risolutive. Grazie alla tua donazione, sarà possibile: produrre le cellule staminali cerebrali umane per il trapianto nei pazienti acquistare attrezzature scientifiche per la ricerca creare in Casa Sollievo della Sofferenza nuovi ambienti dedicati alla ricerca e al trasferimento sull’uomo offrire borse di studio per giovani ricercatori O d i d n L a d u d ( e M P e f m l l C c a p i è s Gli appuntamenti dei Gruppi di Preghiera CENACOLO SANTA CHIARA Pellegrinaggio Abruzzo-Molise San Giovanni Rotondo Il Cenacolo «Santa Chiara», donato dai coniugi Terzaghi alla Casa Sollievo della Sofferenza, è a disposizione di chi vuole partecipare ai corsi di esercizi spirituali e ai ritiri, e di chi intende trascorrere momenti di spiritualità nei luoghi di Padre Pio. La Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza gestisce il Cenacolo direttamente con le Suore del Bambin Gesù. Direttore spirituale è padre Marciano Morra. 37 camere con 70 letti, sala mensa con 100 posti, cappellina, cappella grande, sala convegno. Via San Salvatore, 13- San Giovanni Rotondo Tel. 0882.456645/456305 - Fax 0882.456645 domenica - 27 marzo 2011 «In ascolto della voce del Signore» PROGRAMMA 10.00 Accoglienza - Adorazione Eucaristica Saluto di Padre Francesco Colacelli Ofm cap., Ministro Provinciale Cappuccini Provincia Sant’Angelo e Padre Pio CENTRO DI ACCOGLIENZA SANTA MARIA DELLE GRAZIE A pochi passi dal viale Cappuccini, e a poche decine di metri dal santuario. Comodo per parcheggio pullman e auto. 217 posti in camere da uno o due letti, tutte con bagno. Salone per convegni. Cappella con Eucarestia. Ampia sala ristorante.TV. Spaziosa hall. Bar interno. Gestito dall’Opera di Padre Pio, diretto dalle Suore Convittrici del Bambin Gesù (di San Severino Marche). Aperto tutto l’anno a quanti vogliono vivere spiritualmente il soggiorno nei luoghi di Padre Pio. 12.00 Concelebrazione presieduta da S.E. Mons. Giancarlo Maria Bregantini Arcivescovo di Campobasso-Boiano Saluto di S. Ecc. Mons. Michele Castoro Arcivescovo di Manfredonia-Vieste -San Giovanni Rotondo e Direttore Generale Gruppi di Preghiera La Via del Calvario Tel. (0882) 454621622 456031- 456586 Fax 0882.413282 LE AZIENDE DI SUSSISTENZA PER L’OSPEDALE DI PADRE PIO «Calderoso» ai piedi del Gargano e «Posta la Via» in località Amendola nel Tavoliere delle Puglie, assicurano Incontro di Preghiera dei Gruppi dell’Italia Centrale Loreto - Santa Casa Giovedì - 5 maggio 2011 «Il Signore è l’unico vero bene» PROGRAMMA Basilica: Accoglienza; Confessioni 10.00 Adorazione Eucaristica 11.00 Concelebrazione Eucaristica all’Ospedale il fabbisogno giornaliero di prodotti genuini: olio, carne, latte, latticini e formaggi. La produzione in eccesso viene collocata sul mercato presso gli spacci aziendali siti a San Giovanni Rotondo in località Amendola presso l’Azienda Agricola «Posta la Via» e in viale Cappuccini n. 168 e in viale Padre Pio n. 6. Il Poliambulatorio Giovanni Paolo II CON IL REPARTO DI PEDIATRIA ONCOLOGICA Centro unico prenotazioni ambulatoriali Tel. 0882.416888 Prelievi di sangue e consegna dei campioni biologici Si effettuano senza prenotazioni presso sale prelievi Tel. 0882.416405 Casa Zeni Situata di fronte al Poliambulatorio “Giovanni Paolo II”, Casa Zeni è una struttura di accoglienza destinata alle famiglie dei piccoli degenti ricoverati in Pediatria Oncologica. È fornita di 12 stanze climatizzate dotate di ogni comfort, più una sala giochi e uno spazio comune di intrattenimento. Il servizio è totalmente gratuito. Per informazioni e prenotazioni rivolgersi direttamente presso il reparto di Pediatria Oncologica. 12.15 Sala Pomarancio: Incontro con i direttori spirituali e i capigruppo 88 L A C A S A S O L L I E V O D E L L A S O FF E R E N Z A - D I C E M B R E 2 0 1 0 89 c o n tat t i c o n l’ O p e r a PER AIUTARE Ospedale (centralino) Tel. 0882.4101 Centro unico prenotazioni ricoveri Tel. 0882.416606 fax 0882.416326 Direzione Generale Tel. 0882.410536 fax 0882.459734 [email protected] Direzione Sanitaria Tel. 0882.410261 fax 0882.410813 [email protected] Direzione Scientifica Tel./fax 0882.410346 [email protected] Direzione Amministrativa Tel. 0882.410292 fax (webfax) 0881.350033 [email protected] Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) Tel. 0882.410389 [email protected] Ufficio Stampa Tel. 0882.410531 fax (webfax) 0881.350030 [email protected] Visite dei parenti Orari Sante Messe e Rosari Cappella del 2° piano Giorni feriali: 8,00 Messa Giorni festivi: 8,00 Messa; 17,00 Rosario; 17,30 Messa CAPPELLA DEL 3° PIANO Giorni feriali: 6,10 Messa; 19,00 Rosario; 19,30 Messa Giorni festivi: 9,30 Messa; 11,00 Messa; 19,00 Rosario; 19,30 Messa Confessioni I Cappellani ogni giorno (salvo imprevisti) sono disponibili per le confessioni nella Cappella del 3° piano o nella Sagrestia attigua dalle 16,30 alle 19,00. Mattina dalle 8,30 durante la visita nei Reparti. w w w. o p e r a p a d re p i o. i t Come AIUTARE L’OPERA DI PADRE PIO Contatti Contatti Come contattare l’Opera di Padre Pio L’OPERA DI PADRE PIO Le visite da parte dei parenti e amici avvengono nel rispetto degli orari stabiliti per l’ingresso libero, sia nei giorni feriali che festivi ingresso libero: dalle 13,00 alle 15,00 INGRESSO SERALE con PERMESSO: dalle 19,00 alle 20,00 (nel periodo dal 1° ottobre al 30 aprile); dalle 19,30 alle 20,30 (nel periodo dal 1° maggio al 30 settembre). 90 Strada Provinciale 26, km 8 - Borgo Celano (Fg) - APERTI: venerdì cena, sabato pranzo e cena, domenica pranzo Per info e prenotazioni: 0882 450910 • 348 7638937 e mail: [email protected] Si può contribuire agli sviluppi dell’Opera di Padre Pio inviando offerte per le seguenti finalità: - Offerta libera - Riorganizzazione dell’Ospedale - Pediatria oncologica - Apparecchiature sanitarie - Ricerca scientifica - Case di Accoglienza - Stellina - Letto - Abbonamento alla Rivista Accensione di una stellina € 20,00 Intestazione letto € 180,00 Per i versamenti dall’Italia C.C.P. n. 2717, intestato a Casa Sollievo della Sofferenza 71013 San Giovanni Rotondo (FG) Accredito postale: presso Bancoposta Codice IBAN: IT85 Q076 0115 7000 0000 0002 717 Accredito bancario: Conto n. 22 presso la Banca CARIME filiale di San Giovanni Rotondo Codice IBAN: IT31 O 030 6778 5900 0000 0000 022 Per qualsiasi informazione e offerta con carta di credito telefonare al n. 0882.410339 Sull’altopiano che degrada dolcemente verso il Tavoliere, in agro di San Marco in Lamis, è situata la bellissima Masseria Calderoso. La sua elegante architettura rurale, propria delle masserie fortificate pugliesi, risalente al ‘700, è circondata dalla quiete del suo immenso uliveto. Un prezioso olio extravergine di oliva, ottenuto in regime di agricoltura biologica, ne è il suo naturale prodotto, che assieme ai formaggi, latticini e carni dell’azienda Posta La Via, assicurano in maniera ininterrotta dal 1956 prodotti alimentari di alta qualità agli ammalati della Casa Sollievo della Sofferenza. Da oggi, il fascino e la storia della Masseria Calderoso si aprono al pubblico. Con le ricette tradizionali, i prodotti delle nostre Fattorie ed i menù dettati dalle stagioni, vi accoglieremo in uno dei luoghi più incantevoli del Gargano. Per i versamenti dall’estero Accredito postale: presso Bancoposta Codice IBAN: IT03 K07601 15700 0000 71545529 Codice BIC: BPPIITRRXXX Accredito bancario: Conto n. 22 presso la banca CARIME filiale di San Giovanni Rotondo intestato alla Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza Codice IBAN: IT31 O 030 6778 5900 0000 0000 022 Codice BIC: CARMIT31218 C.C. postale per la Svizzera: Bellinzona n. 65-2411-2 Per qualsiasi informazione e offerta con carta di credito telefonare al numero telefonico 0882.410339 Le offerte per le Messe Dal 1° gennaio 2002 l’offerta minima per la celebrazione di una santa Messa è stata fissata dalla CEP (Conferenza Episcopale Pugliese) in Euro 10,00. Per i benefattori dell’Opera Dal 1980, ogni mese viene celebrata in Casa Sollievo una santa Messa per tutti i benefattori dell’Opera di Padre Pio. Di solito si celebra il primo venerdì del mese. segreteria pellegrini I gruppi di preghiera che desiderano visitare l’Opera di Padre Pio possono preventivamente rivolgersi al numero telefonico 0882 410202. CASA RESIDENZA PER ANZIANI IL CENTRO GRUPPI DI PREGHIERA L a Casa «Padre Pio» Residenza per anziani, ubicata lungo il viale Cappuccini, a circa duecento metri dal convento e dall’ospedale, è corredata di tutti i servizi necessari per i suoi ospiti. Il Centro Gruppi di Preghiera è il perno centrale e unico di tutti i gruppi di preghiera di Padre Pio, in Italia e all’Estero. Ubicato sul viale Cappuccini, dispone di libri e videocassette su Padre Pio e di oggettini devozionali. Si possono inoltre fare abbonamenti alla Rivista della Casa Sollievo della Sofferenza e lasciare contributi per lo sviluppo dell’ospedale di Padre Pio. Tel. 0882/413080-419489 Fax 0882/419471 [email protected] Tel. 0882.410252/410486 Fax 0882.452579 [email protected] « «Nulla è a Lei superiore nel creato, ma tutto Le è sottoposto per grazia di Colui che la creò Immacolata...» »