analisi di fourier - Dipartimento di Matematica Tor Vergata

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analisi di fourier - Dipartimento di Matematica Tor Vergata
ANALISI DI FOURIER
A. Figà Talamanca
1 giugno 2011
2
0.1
PRIMA LEZIONE
Definizione 1 Una funzione f definita sull’insieme R dei numeri reali e a
valori nei numeri complessi si dice periodica di periodo T 6= 0, se per ogni
numero reale x ∈ R risulta
f (x + T ) = f (x).
Il numero T si dice periodo della funzione f .
Come è noto le funzioni cos x e sin x, e con esse, la funzione a valori
complessi, eix = cos x + i sin x, sono periodiche di periodo 2π. Sono anche
periodiche le funzioni composte f (cos x) ed f (sin x) dove f è una qualsiasi
funzione definita sull’intervallo [−1, 1]. Non sono però necessariamente periodiche le funzioni composte cos(f (x)) e sin(f (x)), se f è una funzione definita
su R. Ad esempio le funzioni sin x2 e cos x2 non sono periodiche.
Esercizio 1 Se f è una funzione continua e periodica, allora f è uniformemente continua.
Osserviamo che se T è un periodo per f lo è anche kT per ogni k ∈ Z,
ed inoltre f (T ) = f (kT ). Infatti l’insieme dei periodi di una funzione periodica costituisce, assieme allo zero, un sottogruppo del gruppo addittivo dei
numeri reali.(Un sottoinsieme di R è un ”sottogruppo del gruppo addittivo
dei numeri reali” se contiene lo zero e comunque presi due elementi a e b del
sottoinsieme l’elemento a − b appartiene pure al sottoinsieme).
Esercizio 2 Sia f una funzione definita su R e a valori complessi e sia
P = {T : f (x + T ) = f (x), ∀x ∈ R}. Dimostrare che P è un sottogruppo
di R (cioè dimostrare che P contiene lo zero, e che dati due elementi S e T
appartenenti a P , l’elemento S − T appartiene a P ).
Se f è una funzione periodica allora il sottogruppo P come definito nell’Esercizio 2, non è banale, contiene cioè almeno un elemento T diverso da zero,
passando eventualmente a −T possiamo supporre che T > 0. A questo punto
possiamo chiederci se esiste sempre un periodo positivo minimo. La risposta,
in generale è no. Ad esempio se f è la funzione caratteristica dell’insieme
dei numeri razionali, cioè la funzione che vale uno sui numeri razionali e zero
sui numeri irrazionali, allora ogni numero razionale positivo è un periodo di
f . Naturalmente la funzione caratteristica dei razionali non è continua. Ed
infatti possiamo dimostrare il seguente esercizio.
0.1. PRIMA LEZIONE
3
Esercizio 3 Se f è una funzione continua, non costante e periodica, allora
f ammette un periodo positivo minimo.
Per dimostrare l’enunciato dell’Esercizio 3 supponiamo per assurdo che f
non abbia un periodo positivo minimo. In questo caso l’estremo inferiore dei
periodi positivi non può che essere zero, (perché un tale estremo inferiore, se
diverso da zero, sarebbe un periodo, perché il limite diverso da zero di una
successione convergente di periodi di una funzione continua è un periodo).
Osserviamo allora che, in questo caso, per ogni δ > 0 si può trovare un periodo
positivo Tδ < δ. Questo significa che f (kTδ ) = f (hTδ ), per tutti gli interi
k, h ∈ Z. Se f non è costante esistono punti a e b tali che f (a)−f (b) = ε > 0.
Usando l’uniforme continuità di f (Esercizio 1) si può trovare δ > 0 tale che
|f (x) − f (y)| < ε/2, se |x − y| < δ. Ma per qualche intero h e per qualche
intero k, |a − hTδ | ≤ Tδ < δ, e |b − kTδ | ≤ Tδ < δ, pertanto
ε = f (a) − f (b) ≤ |f (a) − f (hTδ | + |f (kTδ ) − f (b)| < ε,
che è una contraddizione (abbiamo usato il fatto che f (hTδ ) = f (kTδ ) se h e
k sono due interi).
Una proprietà importante delle funzioni periodiche che sono integrabili
su qualsiasi intervallo chiuso e limitato, è che (se T > 0 è il periodo),
Z
Z
a+T
T
f (x)dx.
f (x)dx =
0
a
In altre parole
Esercizio 4 Se f è periodica ed integrabile, l’integrale risulta lo stesso su
qualsiasi intervallo di lunghezza uguale al periodo (positivo).
Per svolgere il precedente esercizio si può partire dall’osservazione che
Z a+T
Z a
Z a+T
f (x)dx =
f (x)dx +
f (x)dx.
0
0
a
Ma la periodicità di f ci permette di affermare che:
Z a
Z a+T
f (x)dx =
f (x)dx,
0
ne segue che
Z a+T
Z
Z
a+T
f (x)dx =
a
T
f (x)dx −
0
Z
a+T
T
f (x)dx =
T
f (x)dx.
0
4
Una conseguenza naturale di questa osservazione è che se f è una funzione
periodica di periodo T ed y è un numero reale
Z T
Z T
f (x + y) dx =
f (x) dx.
(1)
0
0
Infatti un semplice cambiamento di variabile ci dice che
Z T
Z T +y
Z T
f (x + y) dx =
f (t) dt =
f (t) dt
0
y
0
La proprietà descritta dalla (1) è nota come la ”invarianza per traslazione
dell’integrale di una funzione periodica”.
Supponiamo ora che f sia una funzione periodica di periodo T > 0, e sia
S > 0 un altro numero. Con un semplice cambiamento di variabile possiamo
trasformare f in una funzione periodica di periodo S. Infatti, come è subito
visto,
T
f ( x),
S
è una funzione periodica di periodo S. Conviene quindi anziché considerare
funzioni periodiche di periodo generico T , funzioni periodiche di un conveniente periodo prefissato. E’ naturale, a questo punto, considerare funzioni
periodiche di periodo 2π, come appunto le funzioni trigonometriche.
Osserviamo che se f è una funzione definita sull’intervallo [0, 2π] che assume valori uguali agli estremi dell’intervallo e cioè f (0) = f (2π) allora f può
essere prolungata su tutto R come funzione periodica. Infatti ogni numero
reale x apparterrà ad un intervallo [2kπ, 2(k + 1)π] con k ∈ Z. Ne segue che
x − 2kπ ∈ [0, 2π]. Pertanto si potrà definire f˜(x) = f (x − 2kπ) ed ottenere
cosı̀ una funzione periodica di periodo 2π, definita per tutti i reali. Viceversa ogni funzione periodica di periodo 2π corrisponde univocamente ad una
funzione definita sull’intervallo [0, 2π] che assume valori uguali agli estremi.
Questo significa che data una qualsiasi funzione definita sull’intervallo [0, 2π],
basta cambiarne il valore in uno degli estremi, imponendo che f (0) = f (2π)
per trasformarla nella restrizione di una funzione periodica. Naturalmente
cambiare il valore di una funzione anche in un punto solo ne cambia la natura. Una funzione continua come ad esempio la funzione f (x) = x diviene
discontinua se si impone che f (2π) = 0. E infatti la funzione periodica associata alla funzione f (x) = x nell’intervallo [0, 2π] è una funzione ”a sega”
che si guarda bene dall’essere continua.
Ricordiamo tuttavia che molto spesso noi non parliamo veramente di
funzioni, ma piuttosto di classi di equivalenza di funzioni, dove due funzioni
sono equivalenti quando differiscono in un insieme di misura nulla. Questo
0.1. PRIMA LEZIONE
5
è il caso quando consideriamo elementi degli spazi Lp , 1 ≤ p ≤ ∞, che con
un piccolo abuso di linguaggio sono spesso indicati come ”funzioni in Lp ”.
Cambiare il valore di una funzione in un punto non ne cambia la classe di
equivalenza, dal momento che i punti hanno misura nulla.
Possiamo quindi liberamente identificare le funzioni periodiche con funzioni definite nell’intervallo [0, 2π] quando trattiamo di ”funzioni” (o meglio,
classi di equivalenza di funzioni) in Lp , mentre le funzioni continue e periodiche si identificano solo con le funzioni continue definite sull’intervallo
[0, 2π] che hanno valori uguali agli estremi dell’intervallo.
Osserviamo infine che l’intervallo [0, 2π] è stato scelto per convenienza,
perché la restrizione a qualsiasi intervallo di lunghezza 2π determina univocamente una funzione periodica di periodo 2π. Un’altra scelta frequente nei
libri di testo è l’intervallo [−π, π].
L’osservazione che segue non fa parte del programma del corso e può
(e forse deve) essere omessa. Serve a dar conto di un possibile approccio
alternativo all’analisi di Fourier, che può ben trovarsi in alcuni testi classici,
ad esempio la monografia di Y. Katznelson ”An introduction to harmonic
analysis”.
Osservazione 1 Ci si potrebbe chiedere: perché mai insistiamo tanto sulle
funzioni periodiche, quando poi, in effetti, siamo prevalentmente interessati
a funzioni appartenenti agli spazi di Lebesgue Lp ([0, 2π]), (0 ≤ p ≤ ∞ e
definite a meno di insiemi di misura di Lebesgue nulla. Tutti gli elementi di
Lp , infatti, possono essere ridefiniti in uno degli estremi dell’intervallo [0, 2π]
in modo da risultare restrizioni a questo intervallo di funzioni periodiche di
periodo 2π. Abbiamo osservato che questa ridefinizione potrebbe trasformare
funzioni continue in funzioni con una discontinuità di prima specie. Ma,
senza parlare di funzioni periodiche, basterebbe limitare la nostra trattazione
alle funzioni in Lp , e alle funzioni continue che assumono lo stesso valore
agli estremi dell’intervallo [0, 2π]. In realtà il ricorso alla ”periodicizzazione”
delle funzioni definite su [0, 2π] si rende utile, se non necessario per definire
su questo intervallo una somma per la quale valga la (1). Infatti se la funzione
integrata nella (1) è periodica ha senso considerare f (x + y), anche se x +
y ∈
/ [0, 2π]. Un modo alternativo per arrivare alla (1) consiste nel partire
dall’intervallo semiaperto [0, 2π), definire su questo intervallo una somma
”modulo 2π”, che potremmo indicare con x+̇y, in modo che x+̇y coincida
con x + y se quest’ultimo punto cade nell’intervallo [0, 2π], mentre x+̇y =
x +y − 2π se x + y cade fuori dello stesso intervallo. Anche la distanza di due
punti x, y ∈ [0, 2π) può essere a questo punto ridefinita in modo che risulti,
ad esempio, d(x, y) = |eix − eiy |. Rispetto a questa distanza una successione
di punti xn converge ad un x 6=, 0, 2π se e solo se converge rispetto alla
6
ordinaria distanza in [0, 2π), mentre converge a 0 se e solo se eixn converge
ad uno. L’intervallo [0, 2π), dotato di questa somma e di questa distanza si
chiama toro unidimensionale e si indica spesso con T.
Ricordiamo ora che lo spazio L2 = L2 ([0, 2π]) è uno spazio di Hilbert
rispetto al prodotto interno
Z 2π
1
(f, g) =
f (g) g(x) dx.
2π 0
Dimostriamo ora che le funzioni {einx : n ∈ Z} formano un sistema ortonormale. E’ sufficiente osservare che
Z 2π
Z 2π
Z 2π
1
1
1
ikx
e dx =
cos kx dx + i
sin kx dx = 0,
2π 0
2π 0
2π 0
se k 6= 0, mentre, ovviamente, l’integrale vale uno se k = 0.
In altre parole
Z 2π
1
einx e−imx dx = 0,
2π 0
se n 6= m, mentre questo stesso integrale vale uno se n = m.
Dimostreremo in queste lezioni che questo sistema è completo.
Per una funzione f ∈ L2 (o anche appartenente ad L1 ) conviene introdurre
la notazione
Z 2π
1
ˆ
f (n) =
f (x) e−inx dx.
(2)
2π 0
I numeri fˆ(n) si chiamano coefficienti di Fourier della funzione f .
Dimostrare che il sistema ortonormale {einx } è completo significa allora
dimostrare che, nella norma di L2 , risulta
lim
n→∞
n
X
fˆ(k)eikx = f.
k=−n
La teoria degli spazi di Hilbert ci permette di affermare che perché questa
affermazione sia vera è sufficiente che dimostrare che un elemento f ∈ L2 ,
tale che
fˆ(n) = (f, einx ) = 0,
è necessariamente zero quasi ovunque.
Prima di affrontare questa dimostrazione possiamo considerare in generale
le somme del tipo,
n
X
ck eikx .
(3)
k=−n
0.1. PRIMA LEZIONE
7
P
Osserviamo che se f = nk=−n ck eikx , allora fˆ(k) = ck .
Osserviamo anche che se
Z 2π
1
ck =
f (x)e−ikx dx,
2π 0
ed f assume valori reali, allora ck = c̄−k , per cui sono a valori reali le stesse
somme (2). Infatti risulta, per k ≥ 0,
ck eikx + c−k e−ikx = ak cos kx + bk sin kx,
dove
1
ck = (ak − ibk ),
2
Z
1 2π
ak =
f (x) cos kx dx,
π 0
e
e
Pertanto
1
bk =
π
n
X
k=−n
Z
2π
f (x) sin kx dx.
0
n
ikx
ck e
a0 X
ak cos kx + bk sin kx.
=
+
2
k=1
(4)
Quando si trattano funzioni a valori reali si utilizzano spesso le somme a secondo membro della (4), anziché quelle a primo membro. In questo contesto,
anche i numeri ak e bk si chiamano coefficienti di Fourier della funzione (reale)
f . Sempre nel contesto di funzioni a valori reali può essere conveniente utlizzare anche il sistema ortogonale costituito dalla funzione identicamente uno
e le funzioni sin kx e cos kx, con k intero positivo. Dobbiamo però ricordare
che cos2 kx e sin2 kx hanno integrale π su ogni intervallo di lunghezza 2π. Se,
come abbiamo indicato prima, il nostro prodotto interno è
Z 2π
1
(f, g) =
f (x)g(x)dx,
2π 0
√
le norme di cos kx e sin kx nello spazio di Hilbert L2 risulteranno 1/ 2.
Ritorniamo ora al sistema ortonormale {einx : n ∈ Z} e allo spazio L2 a
valori complessi. Supponiamo quindi che f ∈ L2 = L2 (0, 2π).
La serie
+∞
X
fˆ(n)einx ,
(5)
n=−∞
8
o, per funzioni a valori reali e con i coefficienti ak e bk definiti come sopra, la
serie
∞
a0 X
+
ak cos kx + bk sin kx,
(6)
2
k=1
si chiamano serie di Fourier della funzione f .
E’ naturale chiedersi sotto quali condizioni queste serie convergono e se
convergono alla funzione f . Stiamo parlando, naturalmente, della convergenza, sperabilmente ad f delle somme parziali
Sn (f ) =
n
X
fˆ(k)eikx ,
k=−n
La risposta più soddisfacente in merito alla convergenza di queste somme
la si ottiene nel contesto dello spazio L2 . In questo contesto, cioè rispetto
alla norma di L2 la successione Sn converge sempre ad f . Come abbiamo
già osservato questo risultato si ottiene ”gratis” dalla teoria degli spazi di
Hilbert, non appena si dimostra che il sistema ortonormale eikx è completo. E’
però interessante osservare che ipotesi non troppo restrittive su f implicano
la convergenza punto per punto o addirittura uniforme della successione di
funzioni Sn (f ), come verrà accennato nella prossima sezione. Vale anche la
pena di ricordare che per poter definire la serie di Fourier di una funzione
f è sufficiente che la funzione sia integrabile (anche se in generale le somme
parziali non convergono nella norma L1 .) Non si richiedono quindi condizioni
stringenti di regolarità, come avviene invece quando si definisce la serie di
Tayor di una funzione.
Infine osserveremo che nel caso delle serie di Fourier (ed altre serie basate
su un sistema ortonormale completo) non si richiede la convergenza uniforme
per integrare la serie ”termine a termine”.
0.2
SECONDA LEZIONE
Supponiamo che f e g siano due funzioni integrabili sull’intervallo [0, 2π].
Come al solito le consideriamo prolungate a funzioni periodiche di periodo
2π definite su tutta la retta reale. In tal modo possiamo, per ogni y ∈ R
considerare f (x − y) o g(x − y). Può aver senso quindi considerare l’integrale
Z 2π
1
f (x − y)g(y)dy.
(7)
f ∗ g(x) =
2π 0
Ho detto ”può aver senso” perchè non è detto che per ogni x la funzione
f (x − y)g(y) risulti integrabile rispetto ad y. In effetti non è vero che il
0.2. SECONDA LEZIONE
9
prodotto punto per punto di due funzioni di L1 sia ancora in L1 . Un controesempio è fornito, sull’intervallo [0, 1] dalla funzione f (x) = x−1/2 il cui
quadrato non ha integrale finito.
In effetti è possibile (ma non facilissimo) dimostrare che se f e g sono
elementi di L1 , la funzione f (x − y)g(y) è integrabile (rispetto ad y) per
”quasi ogni x” cioè per tutti gli x che non appartengono ad un insieme di
misura di Lebesgue nulla e che la funzione f ∗ g(x) (definita quasi ovunque)
che ne risulta è integrabile, cioè appartiene ancora ad L1 .
La funzione f ∗ g definita dalla (7) si chiama allora convoluzione di f e g.
Affrontiamo nel seguente esercizio (che non è obbligatorio svolgere ora, ma
che sarà svolto quando ci servirà utilizzarlo) il problema della convoluzione
di due funzioni in L1 . Poi passeremo al caso, molto più semplice, della
convoluzione di due funzioni in L2 .
Esercizio 5 Dimostrare che se f, g ∈ L1 , allora per quasi ogni x esiste
l’integrale
Z 2π
1
f ∗ g(x) =
f (x − y)g(y)dy,
2π 0
e la funzione f ∗ g cosı̀ definita quasi ovunque appartiene ad L1 .
L’esercizio può essere facilmente svolto applicando il teorema di Fubini nella
forma di Tonelli alla funzione di due variabili |f (x − y)g(y)|, e invertendo
l’ordine dell’integrazione. L’unica difficoltà (ignorata dalla maggior parte dei
libri di testo) è quella di dimostare che la funzione di due variabili f (x −
y) è misurabile nell’ipotesi che sia misurabile la funzione f (x) di una sola
variabile. In altre parole bisogna dimostrare che se E è un sottoinsieme
misurabile di R l’insieme E2 = {(x, y) : x − y ∈ E} è misurabile in R2 .
L’insieme E2 è l’immagine inversa di un insieme misurabile E rispetto alla
trasformazione continua (x, y) 7→ x − y ma non è vero in generale che la
immagine inversa di un misurabile rispetto ad una trasformazione continua
sia misurabile. In questo caso è proprio cosı̀. Basta infatti dimostrare che se
E ⊂ R è di misura nulla (cioè contenuto in aperti di misura arbitrariamente
piccola) anche E2 ha misura nulla. Ritorneremo sullo svolgimento di questo
esercizio quando ci servirà.
Non è difficile dimostrare che l’operazione ∗ è commutativa ed associativa e che gode della proprietà distributiva rispetto alla somma di due
funzioni.
Una volta dimostrato che la convoluzione di due funzioni in L1 è ancora
una funzione in L1 avremo che questo spazio diviene un’algebra di Banach
commutativa, cioè uno spazio di Banach nel quale è definito un prodotto che
risulta associativo, commutativo e distributivo rispetto alla somma.
10
Sospendiamo per il momento l’analisi del caso L1 e torniamo al caso molto
più semplice che veramente ci interessa in questo momento, cioè il caso in
cui f, g ∈ L2 . In questo caso la convoluzione f ∗ g è addirittura una funzione
continua, come asserito nel teorema che segue.
Teorema 1 Se f e g sono due funzioni di quadrato sommabile allora, per
ogni x ∈ R la funzione f (x − y)g(y) risulta integrabile rispetto ad y e la
funzione f ∗ g(x) definita dalla (7) risulta continua.
Per dimostrare il teorema utilizzeremo (dopo averlo dimostrato) un lemma
importante che ci sarà utile anche nel seguito.
Lemma 1 . Se f ∈ L2 , la trasformazione s 7→ fs è continua da R a L2 .
dimostrazione del lemma. Osserviamo che se f è continua e quindi
uniformemente continua, la trasformazione s 7→ fs è uniformemente continua da R allo spazio C delle funzioni continue e periodiche, con la norma
dell’estremo superiore. Ricordiamo infatti che in virtù dell’uniforme continuità, per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che se |s − t| < δ risulta per ogni
x, |fs (x) − ft (x)| < ε. Osserviamo ora che le funzioni continue e periodiche
sono dense in L2 , pertanto, se f ∈ L2 e ε > 0 possiamo trovare una funzione
g ∈ C, tale che kf − gk2 < ε/3. Scegliamo poi δ > 0 tale che |s − t| < δ
implichi maxx |gt (x) − gs (x)| < ε/3. Ne segue allora che
kft − fs k2 ≤ kft − gt k2 + kgt − gs k2 + kgs − fs k2 < ε.
Abbiamo usato l’invarianza per traslazione dell’integrale che ci assicura
che kft − gt k2 = kfs − gs k2 = kf − gk2 , ed il fatto che per una funzione
continua la norma dell’estremo superiore è maggiore o uguale alla norma
dello spazio L2 .
dimostrazione del teorema. Osserviamo che
1
|f (x − y)g(y)| ≤ (|f (x − y)|2 + |g(y)|2 ).
2
Quindi, per ogni x, il prodotto f (x − y)g(y) è integrabile, ed è ben definita,
per ogni x, la funzione f ∗ g(x). Per dimostrare che si tratta di una funzione
continua, introduciamo la notazione f˜(x) = f (−x) e osserviamo che f˜ ∈ L2
se e solo se f ∈ L2 , con la stessa norma. Allora,
Z 2π
1
|f˜x (y) − f˜z (y)||g(y)|dy ≤ kf˜x − f˜z k2 kgk2 .
|f ∗ g(x) − f ∗ g(z)| ≤
2π 0
Se ε > 0, in virtù del Lemma precedente, possiamo trovare δ > 0 tale che
kfz − fx k < ε. Questo conclude la dimostrazione del teorema.
0.2. SECONDA LEZIONE
11
Osservazione 2 Osserviamo che la continuità della trasformazione s 7→ fs
si riscontra anche quando f appartiene ad uno spazio Lp con 1 ≤ p < ∞.
Si applica la stessa dimostrazione del Lemma 1, tenuto conto del fatto che
lo spazio delle funzioni continue e periodiche è denso in Lp . Se f ∈ L∞
invece non è vero in generale che la trasformazione s 7→ fs sia continua. Si
può dimostrare che questa trasformazione è continua se e solo se f è quasi
ovunque uguale ad una funzione continua cioè la classe di equivalenza f nello
spazio L∞ contiene una (e necessariamente una sola) funzione continua.
Esercizio 6 Dimostrare che la classe di equivalenza di una funzione f ∈
L∞ non può contenere più di una funzione continua, e che se contiene una
funzione continua, il massimo del modulo di questa funzione continua è la
norma kf k∞
Le funzioni einx godono di una importante proprietà con riferimento alla
convoluzione. Risulta infatti che:
Z 2π
1
ein(x−y )f (y) dy = fˆ(n)einx .
(8)
2π 0
In altre parole la convoluzione di einx con qualsiasi funzione f integrabile dà
luogo ad un multiplo di einx e la costante che moltiplica einx è proprio fˆ(n).
Ne segue che se
n
X
ck eikx ,
h(x) =
k=−n
e f èuna funzione integrabile, allora,
h ∗ f (x) =
n
X
ck fˆ(k)eikx ,
k=−n
Risulta allora che anche una somma parziale della serie di Fourier di una funzione integrabile può essere espressa come una convoluzione. Introduciamo
a questo scopo una funzione speciale denominata ”nucleo di Dirichlet”.
Definizione 2 La funzione
Dn (x) =
n
X
k=−n
si chiama nucleo di Dirichlet di ordine n.
eikx ,
12
Risulta allora
n
X
fˆ(k)eikx = Dn ∗ f (x).
k=−n
Osserviamo a questo punto che, se x 6= 0
Dn (x) =
X
eikx = e−inx
eikx = e−inx
k=0
|k|≤n
e−ix/2 e−inx
2n
X
e(2n+1)ix − 1
=
eix − 1
e(n+1/2)ix − e−(n+1/2)ix
sin(n + 1/2)x
e(2n+1)ix − 1
=
=
ix/2
−ix/2
ix/2
−ix/2
e
−e
e
−e
sin(x/2)
(9)
Per x = 0 ricordiamo che Dn (0) = 2n + 1. E giustamente risulta che
limx→0 sin(n+1/2)x
= 2n + 1.
sin(x/2)
Anche se alla fine dimostreremo che limn Dn ∗ f = f se f ∈ L2 ed il
limite è inteso nella norma di L2 , lo stesso non si può dire quando f ∈ L1
ed il limite è inteso nella norma di L1 , né vale la stessa convergenza per le
funzioni continue (e periodiche) nella norma dell’estremo superiore. Esiste
però un modo alternativo di ”sommare” la serie di Fourier che dà buoni
risultati anche per L1 e per lo spazio delle funzioni continue (ma non, come
vedremo per L∞ .)
Definizione 3 La funzione
n−1
Kn (x) =
1
1 X sin(k + 1/2)x
(D0 + D1 + · · · + Dn−1 ) =
,
n
n k=0 sin(x/2)
Si chiama nucleo di Fejér.
Lemma 2
Kn (x) =
1 sin2 (nx/2)
.
n sin2 (x/2)
dimostrazione. Osserviamo che
sin(k + 1/2)x = =(ei(k+1/2)x .)
Pertanto
Pn−1 ikx
e )
1 =(eix/2 k=0
.
Kn (x) =
n
sin(x/2)
Sommando la serie geometrica si ottiene:
eix/2
n−1
X
k=0
eikx =
einx − 1
.
eix/2 − e−ix/2
0.2. SECONDA LEZIONE
13
Ne segue, utilizzando la ”formula di bisezione” (1 − cos nx)/2 = sin2 (nx/2),
che
einx − 1
sin2 (nx/2)
=( ix/2
)=
,
e
− e−ix/2
sin(x/2)
che fornisce direttamente il risultato.
Osserviamo ora che dalla definizione segue che i coefficienti di Fourier
D̂n (k) del nucleo di Dirichlet assumono il valore 1 se |k| ≤ n ed il valore
0, altrimenti. Nella sostanza la funzione D̂n (k) come funzione definita sugli
interi è la funzione caratteristica dell’intervallo [−n, n].
Come saranno invece i coefficienti di Fourier del nucleo di Fejér Kn ?
Saranno certamente zero per |k| ≥ n, perché tutti gli addendi nella somma
che definisce K̂n hanno coefficienti di Fourier nulli per |k| ≥ n. Ma all’interno
dell’intervallo [−k, k] la funzione K̂n (k) avrà un grafico ”triangolare”, cioè
K̂n (k) = (1 − |k|/n), in altre parole
Kn (x) =
n
X
(1 −
k=−n
|k| ikx
)e .
n
Osserviamo ora che
n
X
Kn ∗ f (x) =
k=−n
(1 −
|k| ˆ
)f (n).
n
Pertanto,
kKn ∗
f k22
n
X
n
X
|k| 2 ˆ 2
(1 −
|fˆ(k)|2 ≤ kf k2 .
=
) |f (k)| ≤
n
k=−n
k=−n
(10)
Un risultato analogo vale per lo spazio L1 :
Z 2π
Z 2π
Z 2π
1
1
1
|Kn ∗ f (x)|dx ≤
|Kn (x − y)f (y)|dydx.
kKn ∗ f k1 =
2π 0
2π 0 2π 0
e perciò
1
kKn ∗ f k1 ≤
2π
Z
2π
0
1
2π
Z
2π
Kn (x − y)|f (y)|dxdy = kf k1 .
(11)
0
Il nucleo di Fejér ha due proprietà importanti. La prima è che è una
funzione non negativa, cioè non assume mai valori negativi. Questo implica
tra l’altro che il suo integrale è anche la sua norma in L1 . L’altra proprietà
importante è la seguente:
14
Per ogni δ > 0
lim
max
n→∞ δ≤x≤2π−δ
Kn (x) = 0.
Queste due proprietà si deducono dall’espressione del nucleo di Fejér
indicata nel Lemma, dal momento che per 0 < δ ≤ x ≤ 2π − δ, risulta
Kn .(x) ≤
1
1
.
2
n sin δ/2
Vediamo ora come sono proprio queste due proprietà che forniscono la
dimostrazione del prossimo lemma.
Lemma 3 . Se f è una funzione continua a periodica, allora
lim Kn ∗ f (x) = f (x),
n
uniformemente.
dimostrazione. Sia ε > 0 dobbiamo mostrare che esiste un indice N, tale
che per n > N risulta per tutti gli x,
Z 2π
1
|f (x) −
Kn (y)f (x − y) dx| < ε,
(12)
2π 0
Utilizzando il fatto che l’integrale di Kn vale uno possiamo scrivere
Z 2π
1
f (x) =
f (x)Kn (y)dy.
2π 0
Ne segue che il primo membro della (12) si può scrivere come,
1
|
2π
Z
2π
Kn (y)(f (x) − f (x − y))dy|.
(13)
0
Sia ora ε > 0. Poiché f è uniformemente continua esiste δ > 0 tale che se
|y| < δ, allora |f (x) − f (x − y)| < ε/2. Il termine che compare nella (13) è
maggiorato allora da
1
2π
Z
2π−δ
δ
1
Kn (x)|f (x) − f (x − y)|dy +
2π
Z
Kn (x)|f (x) − f (x − y)|dy, (14)
Iδ
Dove Iδ = [0, δ] ∪ [2π − δ, 2π]. Il secondo itegrale che compare nella (14) è
maggiorato da ε/2, perché l’integrale di Kn è uno su tutto l’intervallo, e non
0.2. SECONDA LEZIONE
15
può essere maggiore di uno su Iδ . La seconda proprietà del nucleo di Fejér ci
permette di trovare un indice N tale che per n > N , risulti
max Kn (x) <
x∈I
/ δ
ε
.
4 maxt |f (t)|
Per n > N risulta quindi che il primo integrale che compare nella (14) è
maggiorato da ε/2. Concludiamo che per n > N si ha, per ogni x,
|Kn ∗ f (x) − f (x)| < ε/2.
Corollario 2 Se f ∈ L2 , allora, nella norma di L2 ,
lim Kn ∗ f = f.
n
dimostrazione. Abbiamo osservato che kKn ∗uk2 ≤ kuk2 , per ogni u ∈ L2 .
Usiamo il fatto che le funzioni continue costituiscono un sottospazio denso
di L2 e che la norma dell’estremo superiore maggiora la norma di L2 . Sia
f ∈ L2 e ε > 0, scegliamo g continua tale che kf − gk2 < ε/3. Sia N tale
che n > N implica che supx |g(x) − Kn ∗ g(x)| < ε/3. Dal fatto che la norma
dell’estermo superiore maggiora la norma di L2 , segue allora che
kKn ∗ f − f k2 ≤ kKn ∗ (f − g)k2 + kKn ∗ g − gk2 + kg − f k2 ≤ 3kf − gk2 < ε.
Corollario 3 Se f ∈ L1 , allora nella norma di L1 ,
lim Kn ∗ f = f.
n
dimostrazione. Il Corollario si dimostra come il precedente utilizzando la
densità delle funzioni continue in L1 , ed il fatto che kKn ∗ uk1 ≤ kuk1 , per
ogni u ∈ L1 k1 .
Corollario 4 Il sistema {einx } è completo in L2 .
dimostrazione. Basta dimostrare che un elemento di L2 che è ortogonale
a tutti gli elementi einx è necessariamente zero. In altre parole se f ∈ L2 , e
fˆ(n) = 0, allora f è l’elemento nullo. Ma se fˆ(n) = 0 per tutti gli n, risulta
anche Kn ∗ f = 0, per ogni n. Poiché Kn ∗ f converge ad f , in norma, deve
essere f = 0.
Osservazione 3 Bisogna osservare che anche per f ∈ Lp e 1 ≤ p < ∞ la
successione Kn ∗ f converge ad f nella norma di Lp . Per la dimostrazione,
nel caso p = 1 e p = 2 abbiamo usato la densità delle funzioni continue in L1
16
e in L2 , ed inoltre le disuguaglianze kKn ∗ f k1 ≤ kf k1 e kKn ∗ f k2 ≤ kf k2 .
In effetti questi ingredienti sono disponibili anche nel caso di 1 ≤ p < ∞. In
effetti, se 1 ≤ p < ∞, f ∈ Lp , e k ∈ L1 vale la disuguglianza
kk ∗ f kp ≤ kkk1 kf kp .
Un modo per dimostrare questa disuguaglianza è quello di considerare
1
k ∗ f (x) =
2π
Z
2π
fy (x) k(y)dy.
0
come un integrale (di Riemann-Stjelties) della funzione uniformemente
continua y 7→ fy rispetto alla misura k(y)dy. Infatti la dimostrazione classica
dell’esistenza dell’integrale delle funzioni uniformemente continue a valori
reali, può essere adattata al caso di funzioni uniformemente continue a valori
in uno spazio di Banach, come Lp .
Esercizio 7 . Dimostrare che se f ∈ L∞ , ha la proprietà che la funzione
y 7→ fy è continua, allora la classe di equivalenza di f contiene una funzione
continua. (Suggerimento: dimostrare che l’ipotesi implica che limn→∞ Kn ∗
f = f , nella norma di L∞ , e utilizzare l’esercizio precedente per osservare
che Kn ∗ f è una successione di Cauchy nello spazio delle funzioni continue
con la norma dell’estremo superiore.)
0.3
TERZA LEZIONE
Una conseguenza importante della convergenza in norma della successione
Kn ∗ f (x) per f ∈ L1 , è il cosiddetto teorema di unicità:
Teorema 5 Se f ∈ L1 e, per tutti gli n ∈ Z, fˆ(n) = 0, allora f = 0.
dimostrazione. L’ipotesi implica che
Kn ∗ f (x) =
n
X
(1 −
k=−n
|k| ˆ
)f (k) = 0.
n
Ne segue che f = limn Kn ∗ f = 0.
Ricordiamo che per le funzioni continue (e periodiche) f la convergenza
uniforme
lim Kn ∗ f = f,
n→∞
si dimostra utilizzando le seguenti importanti proprietà di Kn :
0.3. TERZA LEZIONE
17
1. Kn (x) ≥ 0, e l’integrale (normalizzato) di Kn su un intervallo di lunghezza 2π è uguale ad uno
2. per ogni δ > 0,
limn supδ≤x≤2π−δ Kn (x) = 0.
Dalla convergenza uniforme segue anche la convergenza in norma negli
spazi Lp , con 1 ≤ p < ∞, in virtù del fatto che in questi spazi le funzioni
continue sono dense. In effetti, non è dfficile svolgere il seguente esercizio.
Esercizio 8 . Sia un una successione di funzioni continue e periodiche con
le seguenti proprietà:
1. un (x) ≥ 0 e l’integrale (normalizzato) di un su un intervallo di lunghezza 2π è uguale ad uno.
2. per ogni δ > 0, limn supδ≤x≤2π−δ un (x) = 0.
Allora limn un ∗ f = f uniformemente se f è continua e limn un ∗ f = f nella
norma di Lp se f ∈ Lp , con ≤ p < ∞.
Applicheremo il precedente esercizio ad un caso un po’ diverso, cioè al
caso in cui anziché avere una successione Pn abbiamo una famglia di funzioni
associate ad un indice continuo Pr con 0 ≤ r < 1 e si considera limr→1 Pr ∗ f .
Prima di introdurre Pr dimostriamo il seguente lemma.
Lemma 4 Siano f e g due elementi di L1 allora
f[
∗ g(n) = fˆ(n)ĝ(n).
dimostrazione.
(15)
Z 2π Z 2π
1
1
f[
∗ g(n) =
f (x − y)g(y)e−inx dydx =
2π 2π 0
0
Z 2π Z 2π
1 1
f (x − y)e−in(x−y g(y)e−iny dxdy = fˆ(n)ĝ(n).
2π 2π 0
0
Oltre ad invertire l’ordine di integrazione, abbiamo utilizzato l’invarianza
per traslazione dell’integrale, ponendo nell’integrare rispetto alla variabile x,
t = x − y con dt = dx, pur mantenendo lo stesso intervallo di integrazione.
Definizione 4 Per 0 ≤ r < 1, la funzione
Pr (x) =
∞
X
n=−∞
si chiama nucleo di Poisson.
r|n| einx ,
18
Lemma 5 .
1 − r2
1 − r2
Pr (x) =
=
.
1 + r2 − 2r cos x
(1 − r cos x)2 + r2 sin2 x
(16)
Pertanto il nucleo di Poisson è non negativo, di integrale (normalizzato) uno,
e se 0 < δ ≤ x ≤ 2π − δ,
Pr (x) ≤
1 − r2
.
(1 − r cos δ)2 + r2 sin2 δ
dimostrazione. Basta sommare le due serie geometriche per ottenere,
Pr (x) =
re−ix
1 − r2
1
+
=
=,
1 − reix 1 − re−ix
(1 − r cos x)2 + r2 sin2 x
(17)
1 − r2
.
1 + r2 − 2r cos x
Segue allora direttamente l’enunciato del Lemma.
Abbiamo quindi che Pr soddisfa le ipotesi dell’esercizio e
Z 2π
1 − r2
1
f (y)dy =
lim Pr ∗ f (x) = lim
r→1
r→1 2π 0
1 + r2 − 2r cos(x − y)
lim
r→1
∞
X
fˆ(n)r|n| einx = f (x),
(18)
n=−∞
uniformemente se f è continua e nella norma di Lp se f ∈ Lp .
Si osservi che la funzione Pr ∗ f (x), può essere interpretata come una
funzione della variabile z = reix appartenente al disco di centro l’origine e di
modulo uno. Il limite espresso dalla (18) può essere interpretato come limite
per z che si avvicina radialmente alla frontiera del disco.
Un caso particolare importante è quello delle funzioni f che hanno coefficienti di Fourier zero per valori negativi dell’intero n. In questo caso la
funzione di z = reix definita da Pr ∗ f , risulta analitica nel disco e la funzione
f rappresenta i suoi valori al bordo.
Torniamo ora al problema dela convergenza di
Dn ∗ f (x) =
n
X
fˆ(neinx .
k=−n
La completezza in L2 del sistema ortonormale {einx } ci garantisce che se
f ∈ L2 , Dn ∗f converge in norma ad f . Quello che rende il caso L2 veramente
0.3. TERZA LEZIONE
19
speciale è che la stessa norma in L2 di una funzione può essere espressa in
termini dei coefficienti di Fourier. Vale cioè, in virtù sempre della completezza
del sistema, l’uguaglianza di Plancherel:
Z 2π
∞
X
1
2
|fˆ(n)| =
|f (x)|2 dx.
(19)
2π
0
n=−∞
E’ anche vero (ma non sarà dimostrato in queste lezioni) che Dn ∗ f
converge in norma ad f , se f ∈ Lp con 1 < p < ∞. Ma nel caso di p 6= 2
non esiste un modo semplice e chiaro di esprimere la norma in Lp attraverso
i coefficienti di Fourier. Lo spazio L2 sembra proprio lo spazio giusto per
studiare e specialmente per applicare a problemi concreti le serie di Fourier.
Questo non significa che lo studio della convergenza della serie di Fourier
in altri spazi non abbia interesse.
Cominciamo a dire che per p = 1 e p = ∞, esistono funzioni funzioni
rispettivamente in L1 ed in L∞ , la cui serie di Fourier non converge nella
norma dello spazio cui appartiene la funzione. Anche questo importante
risultato non sarà dimostrato in questi appunti.
Infine esistono anche funzioni continue e periodiche la cui serie di Fourier
non converge in tutti i punti, e meno che mai converge uniformemente.
Non tratteremo di questi risultati negativi. Cercheremo invece di fornire
alcuni risultati positivi. Per trattare la convergenza uniforme ci serve un
altro risultato.
Lemma 6 Sia f una funzione periodica di periodo 2π. Supponiamo che la
derivata Df di f esista in ogni punto ed appartenga a L1 , allora
c (n) = infˆ(n)
Df
(20)
dimostrazione. Integrando per parti e sfruttando la periodicità della
funzione f (x)einx si ottiene:
Z π
Z
1
−in π
f (x)e−inx ¯¯π
−inx
Df (x)e
dx =
f (x)e−inx dx = infˆ(n).
¯ −
2π −π
2π
2π −π
−π
Osservazione 4 Abbiamo tacitamente supposto che la integrazione per parti
sia possibile anche quando la derivata di una delle due funzioni non è continua o quantomeno integrabile secondo Riemann (esistono funzioni derivabili
in ogni punto, ma la cui derivata non è integrabile secondo Riemann.) In
altre parole abbiamo supposto che il teorema fondamentale del calcolo continui a valere per funzioni la cui derivata è in L1 ma non è necessariamente
continua, o integrabile secondo Riemann. Questo è vero ma potrebbe non
essere stato approfondito nella prima parte del corso di Analisi di Fourier.
20
Introduciamo ora un importante sottospazio delle funzioni continue e
periodiche.
Definizione 5 Si indica con A lo spazio delle funzioni in f ∈ L1 i cui
coefficienti di Fourier soddisfano alla condizione:
∞
X
|fˆ(n)| < ∞.
(21)
n=−∞
Osserviamo subito che l’appartenenza ad A implica che la serie di Fourier
∞
X
fˆ(n)einx ,
n=−∞
converge uniformemente. Converge quindi ad una funzione continua g. Possiamo considerare allora la funzione f −g che appartiene a L1 ed ha coefficienti
di Fourier tutti zero. Questa funzione non pò essere che zero. In altre parole
f − g = 0 quasi ovunque. Con un lieve abuso di linguaggio possiamo dire
che f è continua. In altre parole lo spazio A consiste di funzioni continue la
cui serie di Fourier converge uniformemente. Una condizione sufficiente per
l’appartenenza a A, è quella indicata nel seguente lemma.
Lemma 7 Se f è una funzione continua la cui derivata esiste ovunque e
appartiene ad L2 , allora f ∈ A.
P
ˆ
dimostrazione. Basta dimostrare che ∞
n=−∞ |f (n)| < ∞. Osserviamo
peraltro che
X
Z
06=n∈
|fˆ(n)| =
X |infˆ(n)|
X
X
c (n)|2 )1/2 < ∞.
|Df
(1/n)2 )1/2 (
≤(
|n|
n∈Z
06=n∈Z
06=n∈Z
Abbiamo utilizzato la disuguglianza di Bessel applicata alla funzione Df ∈
L2 , ed il fatto che la somma sugli interi diversi da zero di 1/n2 è finita.
0.4
QUARTA LEZIONE
C’è un’altra conseguenza della convergenza in norma della successione Kn ∗f ,
per f ∈ L1 che conviene sottolineare. E’ il cosiddetto teorema (o lemma) di
Riemann-Lebesgue.
Teorema 6 Se f ∈ L1 , allora lim|n|→∞ fˆ(n) = 0.
0.4. QUARTA LEZIONE
21
dimostrazione. Se ε > 0, esiste N tale che per n > N risulta kKn ∗ f −
f k1 < ε. Ne segue che per n > N risulta
|fˆ(n)| = |fˆ(n) − fˆ(n)K̂n (n)| + |fˆ(n)K̂n (n)| < ε,
dal momento che K̂n (n) = 0 e |fˆ(n) − fˆ(n)K̂n (n)| ≤ kf − Kn ∗ f k1 .
Il teorema di Riemann-Lebesgue è l’ingrediente principale per la dimostrazione
del seguente risultato sulla convergenza delle serie di Fourier.
Teorema 7 Sia f ∈ L1 e supponiamo che, per x fissato, la funzione (di y),
f (x + y) − f (x)
,
y
appartenga a L1 , allora
∞
X
fˆ(k)eikx = lim
n→∞
k=−∞
n
X
fˆ(k)eikx = f (x).
(22)
k=−n
dimostrazione. Per x fissato consideriamo la funzione
g(x, y) =
f (x + y) − f (x)
.
eiy − 1
Osserviamo che, sempre per x fissato, e rispetto alla variabile y, questa
funzione appartiene a L1 , per ipotesi, dal momento che
g(x, y) =
f (x + y) − f (x) y
,
y
eiy − 1
e la funzione
y
,
−1
è limitata nell’intervallo [−π, π]. D’altra parte
eiy
f (x + y) = f (x) + eiy g(x, y) − g(x, y).
(23)
Sempre per x fissato, calcoliamo ora i coefficienti di Fourier di ambo i lati della
ikx
ˆ
eguaglianza (23) ricordando che f (x + y) = f−x (y) e che fd
.
−x (k) = f (k)e
Otteniamo allora:
Z π
1
ikx
ˆ
e−iky dy + ĝ(x, k − 1) − ĝ(x, k),
(24)
f (k)e = f (x)
2π −π
dove ĝ(x, k) è, per x fissato, il coefficiente di Fourier di ordine k della funzione
di y, g(x, y).
22
Sommando ambo i lati della (24) da −n ad n, e ricordando che l’integrale
di eikx è zero se k 6= 0, si ottiene
n
X
fˆ(k)eikx = f (x)+
k=−n
n
X
ĝ(x, k−1)−g(x, k) = f (x)+ĝ(x, −n−1)−ĝ(x, n).
k=−n
(25)
Poiché g(x, y) ∈ L come funzione della sola y i coeffcienti ĝ(x, −n − 1) e
ĝ(x, n) tendono a zero per il Teorema di Riemann-Lebesgue. La dimostrazione
è cosı̀ conclusa.
1
Corollario 8 . Se f è una funzione continua e derivabile in un punto x,
allora la sere di Fourier di f converge in x.
dimostrazione. E’ una conseguenza immediata del teorema.
Il Corollario che segue afferma la convergenza della serie di Fourier anche
per funzioni che non sono necessariamente derivabili. Ad esempio le funzioni
lineari a tratti soddisfano l’ipotesi del corollario, con α = 1.
Corollario 9 Supponiamo che per α > 0 e M > 0 la funzione periodica f
soddisfi, per tutti ix1 ed x2 , la condizione:
|f (x1 ) − f (x2 )| ≤ M |x1 − x2 |α ,
(26)
allora la serie di Fourier di f converge ad f .
dimostrazione. La condizione implica che, per ogni x,
|
f (x + y) − f (x)
| ≤ M |y|α−1 ,
y
che a sua volta implica l’ipotesi del teorema poiché la funzione |y|α−1 è
integrabile nell’intervallo [−π, π].
La condizione indicata nel corollario si chiama ”condizione di Hölder di
ordine α. Quando α = 1 si parla di ”Condizione di Lipschtiz”. Per α > 1
la condizione implica che la derivata di f si annulla in ogni punto ed f è
dunque costante.
Un’altra conseguenza importante del teorema di Riemann-Lebesgue è la
seguente.
Teorema 10 . Se f ∈ L1 si annulla in un intorno di un punto x0 , allora
la sua serie di Fourier converge uniformemente a zero in un intorno dello
stesso punto.
0.4. QUARTA LEZIONE
23
dimostrazione. Supponiamo prima di tutto che x0 = 0, e che f (y) = 0, per
|y| < δ. Le somme parziali della serie di Fourier di f si esprimono attraverso
il nucleo di Dirichlet:
Z π
1
sin(n + 1/2)y
Sn (x) = Dn ∗ f (x) =
f (x + y)
dy.
2π −π
sin(y/2)
Siccome f (x + y) = 0 se |x| < δ e |y| < δ, le funzioni:
f1 (y) =
e
f (x + y)eiy/2
2i sin(y/2)
f (x + y)e−iy/2
f2 (y) =
,
2i sin(y/2)
appartengono ad L1 . Pertanto
Z π
f (x + y) eiπ/2 einy − e−iπ/2 e−iny
Sn (x) = 1/2π
= fˆ1 (−n) − fˆ2 (n).
sin(y/2)
2i
−π
Il Teorema 7 ci dice che i coefficienti di Fourier di f1 ed f2 tendono a zero, pertanto Sn (x) converge a zero per n → ∞, se |x| < δ/2. Resta da
dimostrare che la convergenza è uniforme. Osserviamo ora che le funzioni
Sn (x), sono non solo continue, ma, nell’intervallo |x| < δ/2, ”uniformemente
equicontinue” al variare di n. In altre parole dato ε > 0 esiste η > 0, tale
che se x1 , x2 ∈ (−δ/2, δ/2) e |x1 − x2 | < η allora |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε, per
tutti gli n. Infatti
Z
1
sin(n + 1/2)y
|Sn (x1 ) − Sn (x2 )| ≤
|f (x1 + y) − f (x2 + y)||
|dy
2π π≥|y|≥δ/2
sin y/2
≤ kf−x1 − f−x2 k1 (sin(δ)−1 .
La funzione x 7→ fx è uniformente continua. Basta quindi scegliere η tale che
|x1 − x2 | < η implichi
kf−x1 − fx2 k1 < ε sin δ,
per ottenere |Sn (x1 )−Sn (x2 )| < ε, per tutti gli n. E’ facile adesso dimostrare
che la convergenza di Sn a zero nell’intervallo (−δ/2, δ/2) è uniforme. Dato
ε > 0, si ricopre l’intervallo con un numero finito di intervalli di lunghezza
< η tale che se due punti |x1 − x2 | < η risulta |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε/2,
per tutti gli n. Si sceglie poi N in modo che su ciascuno dei centri degli
intervalli predetti risulti |Sn (x)| < ε/2, quando n > N . Risulta allora che
ogni x ∈ (−δ, δ) ha distanza da un centro degli intervalli predetti minore di
24
η. Da questo segue che |Sn (x)| < ε, per n > N ed ogni x(−δ/2, δ/2). Il caso
in cui x0 6= 0 si tratta applicando il regionamento che precede alla funzione
f−x0 = f (x + x0 ).
Nell’ultima parte della dimostrazione abbiamo utilizzato un argomento
che conviene esplicitare nella seguente osservazione.
Osservazione 5 Sia Sn (x) una successione di funzioni continue definite su
un intervallo [a, b], che converge punto per punto a zero, supponiamo che per
ogni ε > 0 esista η > 0 tale che, per ogni n, la condizione |x1 − x2 | < η
implica che per ogni n, |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε, allora la convergenza di Sn a
zero è uniforme.
dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε > 0, esiste un intero
positivo N tale che, se n > N , risulta |Sn (x)| < ε. Possiamo scegliere η > 0
tale che, per ogni n, |x1 − x2 | < ε implichi |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε/2. Scegliamo
poi una partizione a = a0 < a1 < . . . ak = b dell’intervallo [a, b] in modo che
tutti gli intervalli [ai , ai+1 ] della partizione abbiano lunghezza minore di η.
Poiché per ogni x, Sn (x) tende a zero, possiamo scegliere N in modo che
n > N implichi |Sn (aj )| < ε/2, per tutti i j da 0 a k. Ne segue che se
a ≤ x ≤ b, il punto x appartiene ad uno degli intervalli [aj , aj+1 ] ed ha
quindi distanza minore di η da uno dei punti aj . Pertanto, se n > N , allora
|Sn (x)| ≤ |Sn (x) − Sn (aj )| + |Sn (aj )| < ε/2 + ε/2 = ε.
0.5
QUINTA LEZIONE
In questa lezione ci proponiamo di studiare il comportamento della serie di
Fourier di una funzione in un punto di discontinuità. Dimostreremo cioè il
seguente teorema:
Teorema 11 Sia f una funzione periodica derivabile in tutti i punti dell’intervallo [−π, π) eccetto che nel punto y, dove la funzione ha una discontinuità
di prima specie. Supponiamo che esistano i limiti:
lim f (x) = f + (y),
x→y+
lim f (x) = f − (y),
x→y−
f (x) − f + (y)
x→y+
x−y
lim
f (x) − f − (y)
.
x→y−
x−y
lim
0.5. QUINTA LEZIONE
Allora
25
∞
X
f + (y) + f − (y)
fˆ(n)einy =
.
2
n=−∞
Premettiamo alla dimostrazione del teorema un lemma elementare, che
ne è un caso particolare.
Lemma 8 Siano a e b due numeri reali e sia f(a,b) la funzione che vale a
nell’intervallo (−π, 0) e vale b nell’intervallo (0, π) (il valore in zero può
essere fissato arbitrariamente). Allora
∞
X
a+b
fd
.
(a,b) (n) =
2
n=−∞
dimostrazione del lemma. Consideriamo la funzione h(x) = f(a,b) − a+b
.
2
a+b
Osserviamo che h(−x) = f(b,a) − 2 , dove f(b,a) è la funzione che si ottiene
invertendo il ruolo di a e b. Ma
a−
a+b
a+b
= −(b −
).
2
2
Ne segue che h(−x) = −h(x) ed h è una funzione dispari. Questo significa
che nella serie di Fourier reale di f compaiono solo seni e che le somme
parziali della serie di Fourier di h si annullano in zero. In altre parole,
0=
n
X
ĥ(k) =
k=−n
n
X
a+b
fd
.
(a,b) (n) −
2
k=−n
Basta fare il limite per n → ∞ per provare la tesi.
dimostrazione del teorema. Supponiamo prima che y = 0. Poniamo
a = f − (0) e b = f + (0). Consideriamo la funzione f(a,b) definita nell’enunciato
del lemma che precede. Osserviamo che la funzione
g(x) = f (x) − f(a,b) (x),
per x 6= 0,
e g(0) = 0,
è continua, perché limx→0+ g(x) = limx→0− = 0. Inoltre la funzione
g(x) − g(0)
g(x)
=
,
x
x
è integrabile.
Ne segue che per il Teorema 7 la serie di Fourier di g converge nel punto
0, e risulta
∞
X
ĝ(n) = 0.
n=−∞
26
D’altra parte
f = g + f(a,b) .
Pertanto,
lim
n→∞
n
X
k=−n
fˆ(n) = lim
n→∞
n
X
f + (0) + f − (0)
fd
(n)
=
.
(a,b)
n→∞
2
k=−n
ĝ(n) + lim
k=−n
n
X
Questo completa la dimostrazione del teorema nel caso y = 0. Per il caso
y 6= 0 basta considerare la funzione f−y (x) = f (x + y).
Abbiamo visto dunque che se la funzione f soddisfa alle ipotesi del Teorema precedente, le somme parziali Sn (x) della serie di Fourier di f convergono
per ogni x. Convergono cioè ad f (x) se x non è un punto di discontinuità
della funzione, e convergono alla media dei limiti a destra e sinistra, se y è il
punto di discontinuità di prima specie. Ovviamente la convergenza non può
essere uniforme, perché se lo fosse Sn convergerebbe ad una funzione continua. La mancata uniformità della convergenza può essere in qualche modo
misurata dando luogo ad un fenomeno che prende il nome di ”fenomeno di
Gibbs”. Questo ”fenomeno” può essere descritto come segue:
Supponiamo che f + (y) > f − (y) e sia 0 < a = f + (y) − f − (y), allora esiste
una successione di punti xn < y che tende ad y, tale che Sn (xn ) tende a βa,
dove β è un numero che vale poco meno di 0, 09 .
Prima di lasciare le serie di Fourier vogliamo dare un’applicazione della
formula di Plancherel.
Sia f la funzione periodica di periodo 2π che coincide con x sull’intervallo [0, 2π) (e pertanto f (2π) = 0). La uguaglianza di Bessel o formula di
Plancherel ci dice che
Z 2π
∞
X
(2π)2
1
=
x2 dx =
|fˆ(n)|2 .
(27)
3
2π 0
n=−∞
D’altra parte se n 6= 0,
fˆ(n) = i/n,
mentre fˆ(0) = π. Ne segue che
∞
X
1
(2π)2
2
=π +2
,
3
n2
n=1
che fornisce
∞
π2 X 1
=
.
6
n2
n=1
(28)
Da questa formula è possibile, tra l’altro, ricavare valori approssimati di
2
π .
0.6. SESTA LEZIONE
0.6
27
SESTA LEZIONE
D’ora in avanti, per 1 ≤ p < ∞, lo spazio Lp sarà lo spazio Lp (R) delle
funzioni misurabili definite, a meno di insiemi di misura nulla, su R e a
valori complessi la cui potenza p-esima è integrabile. In altre parole,
Z
|f |p dx < ∞.
R
∞
Lo spazio L sarà lo spazio delle funzioni definite a meno di misura nulla su
R il cui estremo superiore essenziale è finito.
Ci interesserà per il momento sopratutto lo spazio L1 . Ricordiamo che,
per funzioni appartenenti a L1 si usano indifferentemente le notazione
Z +∞
f (x)dx,
−∞
e
Z
R
f (x)dx.
La prima notazione ci ricorda che l’integrale di una funzione in L1 si può
calcolare come
Z bn
f (x)dx,
lim
n→∞
an
se an e bn sono successioni di numeri reali tali che limn an = −∞ e limn bn =
+∞. Questo fatto elementare si dimostra applicando il teorema di convergenza dominata di Lebesgue alle funzioni fn (x) = χ[an ,bn ] (x)f (x), che convergono
puntualmente ad f e sono dominate da |f |.
Una osservazione elementare è che l’integrale è invariante per traslazione:
Z
Z
f (x + y)dx =
f (x)dx.
(29)
R
Infatti
Z
Z
f (x + y)dx = lim
R
n→+∞
R
Z
n
f (x + y)dx = lim
n→+∞
−n
Z
n+y
f (t)dt =
−n+y
R
L’integrale è anche invariante rispetto alla trasformazione x 7→ −x,
Z
Z
f (x)dx =
f (−x)dx.
R
R
Anche in questo caso basta osservare che per
Z n
Z −n
Z
f (−x)dx = −
f (x)dx =
−n
n
n
f (x)dx,
−n
f (t)dt.
(30)
28
e passare al limite, per n → +∞.
Prima di iniziare con la trattazione della trasformata di Fourier vogliamo
rivedere (o, per alcuni, vedere per la prima volta) una proprietà importante
dello spazio L1 , e cioè che il sottospazio di L1 che consiste di tutte le funzioni
continue che si annullano fuori di un intervallo (che dipende dalla funzione
considerata) e che sono differenziabili infinite volte, è un sottospazio denso
di L1 .
Bisognerà tra l’altro dimostrare che questo spazio che possiamo indicate
∞
∞
con il simbolo C00
= C00
(R), non si riduce alla funzione identicamente nulla, bisognerà cioè dimostrare che esistono funzioni non identicamente nulle,
infinitamente differenziabili che sono zero fuori di un intervallo [a, b].
Occupiamoci però prima di tutto delle funzioni continue a supporto compatto che non sono necessariamente differenziabili. La notazione per questo
spazio sarà C00 (R) = C00 . Di queste funzioni ce ne sono a bizzeffe. Un esempio importante sono le funzioni ”triangolari” che sono zero fuori di un
intervallo (a, b) assumono un valore reale f (c) 6= 0 in un punto interno del
medesimo intervallo e sono lineari nei tratti [a, c] e [c, b].
In generale se f è una funzione continua che assume valori uguali a zero
negli estremi di un intervallo [a, b], possiamo definire una funzione g continua
a supporto compatto, stipulando che la funzione g sia nulla fuori di (a, b) e
coincida con f all’interno del medesimo intervallo.
Dimostriamo ora che lo spazio C00 è denso in L1 .
Lemma 9 . Lo spazio C00 delle funzioni continue a supporto compatto è
denso in L1 .
dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che ogni elemento di L1 può essere approssimato in norma con funzioni continue a supporto compatto.
Procediamo attraverso diversi passi.
Primo passo. Ogni elemento di L1 può essere approssimato in norma da
elementi di L1 che sono nulli fuori di un intervallo. Basta osservare che se
f ∈ L1 , la successione di funzioni fn che coincidono con f nell’intervallo
[−n, n] e sono zero fuori di questo intervallo, converge ad f , per il teorema di
convergenza dominata di Lebesgue, in quanto la successione |f − fn |, tende
a zero quasi ovunque ed è dominata dalla funzione integrabile 2|f |.
Secondo passo. Ogni elemento di L1 che si annulla fuori di un intervallo
[a, b] può essere approssimato in norma da elementi di L1 che sono nulli fuori
di un intervallo e tali che |f (x)| ≤ M per qualche M > 0. Infatti se f è
un elemento di L1 nullo fuori di [a, b] possiamo considerare per ogni n la
funzione fn , tale che fn (x) = f (x) se |f (x)| ≤ n e f (x) = n se |f (x)| > n. La
successione fn tende in norma a f , per il teorema di convergenza dominata
0.6. SESTA LEZIONE
29
di Lebesgue, in quanto la successione |f − fn | tende a zero quasi ovunque ed
è dominata da dalla funzione integrabile 2|f |. (Per dimostrare che |f − fn |
tende a zero quasi ovunque, osservare che se cosı̀ non fosse esisterebbe un
insieme di misura positiva E sul quale |f | ≥ n per ogni n.)
Terzo passo. Osservare che un elemento di L1 che è limitato e zero fuori
di un intervallo, può essere approssimato in norma da combinazioni lineari di
funzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati. Per la dimostrazione
possiamo supporre che f assma valori reali ed applicare il ragionamento alla
parte reale e la parte immaginaria di f . Supponiamo quindi che f sia reale
e −M ≤ f (x) ≤ M . Dato ε > 0 possiamo dividere l’intervallo [−M, M ]
in sottointervalli semiaperti di lunghezza minore di ε/2M e considerare per
ognuno di questi intervalli [ak , bk ) l’insieme misurabile Ek = f −1 ([ak , bk ]). La
funzione h(x) che vale f (ak ) sull’insieme Ek è una combinazione lineare di
funzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati. Poiché |f (x)−h(x)| ≤
ε/2M , risulta kf − hk1 ≤ ε.
Quarto passo. Ogni funzione caratteristica di un insieme misurabile e
limitato può essere approssimata nella norma L1 dalla funzione caratteristica
di un insieme chiuso e limitato. Per questo passo basta osservare che se
E è misurabile e limitato, e ε > 0 esiste un compatto K ⊂ E, tale che
m(E) − m(K) < ε.
Quinto passo. Se K è un insieme chiuso e limitato e f (x) = χK (x) la
sua funzione caratteristica, esiste una successione di funzioni continue fn
che approssima f nella norma di L1 . Si osservi che la funzione d(x, K) =
inf{|x − y| : y ∈ K} è una funzione continua che vale zero esattamente su
K. Pertanto la funzione u(x) = max{0, 1 − d(x, K)} è continua minore o
uguale ad uno e vale uno esattamente su K. Finalmente definiamo fn (x) =
(u(x))n . Osserviamo che la successione |fn (x) − f (x)| tende a zero ovunque
ed è dominato dalla funzione integrabile 2|f (x)|. Ne segue che kfn − f k1
tende a zero.
Esercizio 9 Dimostrare che se K ⊂ R è chiuso, la funzione d(x, K) =
inf{|x − y| : y ∈ K} è continua.
Passiamo ora a trattare il caso delle funzioni continue a supporto compatto che risultano anche infinitamente differenziabili. Dobbiamo innanziutto dimostrare che queste funzioni esistono. O meglio che ne esistono di non
identicamente nulle
Ecco come provare a costruirne una.
2
Primo passo: si considera la funzione f (x) = e−1/x , per x > 0 e f (x) = 0
per x ≤ 0. Si osserva che f è differenziabile in zero, con derivata zero.
Pertanto è ben definita la derivata Df (x) per ogni x reale.
30
Secondo passo: si dimostra per induzione che la funzione f è derivabile
infinite volte e che tutte le derivate sono zero per x ≤ 0.
Terzo passo. Si considera la funzione h(x) = f (x + 1) e si osserva che h
è infinitamente derivabile ed è zero assieme a tutte le sue derivate nei punti
minori o uguali a −1.
Quarto passo. Si considera la funzione g(x) = h(−x) e si osserva che g
è infinitamente differenziabile ed è zero assieme a tutte le sue derivate nei
punti maggiori o uguali a 1.
Quinto passo. Si considera la funzione u(x) = f (x + 1/2)g(x + 1/2) e
si osserva che u è infinitamente differenziabile ed è zero fuori dell’intervallo
(−1/2, 1/2), mentre in questo intervallo è positiva.
Osserviamo che la funzione un (x) = u(nx) è non nulla (e positiva) solo se
1
|nx| < 1/2, cioè se |x| < 2n
.
A questo punto disponiamo di una successione un di funzioni infinitamente
differenziabili che sono positive solo in un intorno di 0 di lunghezza 1/n.
Consideriamo ora la successione vn (x) = cn un (x), dove
Z
−1
cn =
un (x) dx.
R
La successione vn gode allora delle seguenti proprietà
1. vn è infinitamente differenziabile,
2. vn è non negativa e si annulla per |x| ≥ 1/2n,
3. l’integrale di vn vale uno.
Per ottenere, a partire da questa successione vn , funzioni infinitamente differenziabili che approssimano arbitrarie funzioni continue a supporto compatto, abbiamo bisogno di introdurre la convoluzione di due funzioni e stabilirne
alcune proprietà.
Definizione 6 . Siano f, g ∈ L1 , allora la funzione
Z
f ∗ g(x) =
f (x − y)g(y)dy,
R
si chiama convoluzione di f e g.
.
Come nel caso delle funzioni periodiche non è affatto detto che f ∗ g(x)
esista per tutti gli x. Infatti, per x fissato, le funzioni f (x − y) e g(y)
appartengono ad L1 , ma non è vero affatto che il prodotto punto per punto
0.6. SESTA LEZIONE
31
di due funzioni in L1 sia ancora in L1 . Abbiamo già visto ad esempio che la
funzione che vale zero fuori dell’intervallo (0, 1) e vale √1x in questo intervallo
è in L1 ma il suo quadrato non lo è. Per definire quindi la convoluzione si
deve ricorrere al teorema di Fubini applicato alla funzione di due variabili
f (x − y)g(y).
La parte più delicata dell’applicazione del teorema di Fubini consiste nella dimostrazione che f (x − y) è misurabile come funzione di due variabili.
Con questa premessa si osserva che scegliendo l’ordine di integrazione più
conveniente
Z
Z Z
|f ∗ g(x)|dx
|f (x − y)||g(y)|dxdy = kf k1 kgk1 .
R
R R
Questa disuguaglianza dimostra tra l’altro che f ∗ g ∈ L1 .
Dimostriamo ora due proprietà importanti della convoluzione.
Lemma 10 . Supponiamo che f e g siano elementi di L1 . Supponiamo f
e g si annullino, rispettivamente fuori dei compatti K1 e K2 , allora f ∗ g si
annulla fuori del compatto K1 + K2 .
dimostrazione. Osserviamo che
Z
f ∗ g(x) =
f (x − y)g(y)dy 6= 0,
R
solo se x − y ∈ K1 e y ∈ K2 , cioè solo se x ∈ K1 + y e y ∈ K2 , cioè solo se
x ∈ K1 + K2 .
Lemma 11 Supponiamo che u sia una funzione continua e derivabile. Supponiamo che u e la sua derivata Du siano assolutamente integrabili (cioè
u, Du ∈ L1 ) e che Du sia anche limitata, e sia f ∈ L1 . Allora u ∗ f (x) è
derivabile e
D(u ∗ f )(x) = Du ∗ f (x),
(31)
dimostrazione. Le ipotesi ci consentono di applicare il teorema di convergenza dominata di Lebesgue per derivare sotto il segno di integrale, rispetto
alla variabile x la funzione
Z
u ∗ f (x) =
u(x − y)f (y) dy.
R
A partire dalla successione vn definita sopra, e utilizzando le proprietà
della convoluzione siamo in grado di esibire una grandissima quantità di
funzioni infinitamente differenziabili che si annullano fuori di un compatto.
32
Osserviamo che se f è un elemento di L1 che si annulla fuori di un intervallo chiuso e limitato [a, b], la funzione vn ∗ f sarà in virtù della (31) infinitamente differenziabile e, in virtù del Lemma 10 sarà zero fuori dell’insieme
[a − 1/2n, b + 1/2n]. Vale anche la proposizione seguente.
Proposizione 1 Se f è una funzione continua a supporto compatto allora
f può essere approssimata uniformemente da funzioni continue a supporto
compatto infinitamente differenziabili. In particolare
lim vn ∗ f (x) = f (x),
n
uniformemente in x.
dimostrazione. Osserviamo che f è uniformemente continua e pertanto
assegnato ε > 0 esiste n tale che, se |y| < 1/2n risulta, per ogni x,
|f (x − y) − f (x)| < ε.
Approfittando del fatto che l’integrale di vn è uno, scriviamo
|vn ∗ f (x) − f (x)| =
Z
|
Z
R
1/2n
[f (x − y) − f (x)]vn (y) dy| ≤
|f (x − y) − f (x)|vn (y)dy < ε.
−1/2n
Corollario 12 Lo spazio delle funzioni continue ed infinitamente differenziabili a supporto compatto, è denso nello spazio L1 .
Siamo pronti ora a definire la trasformata di Fourier di una funzione
f ∈ L1 .
Definizione 7 Per f ∈ L1 , la trasformata di Fourier di f è la funzione,
Z
Ff (λ) = fˆ(λ) =
f (x) e−2πiλy dx.
R
Passiamo ora alle proprietà elementari della trasformata di Fourier.
Lemma 12 Se f, g ∈ L1 (R), e α e β sono numeri complessi allora:
1.
F(αf + βf ) = αF(f ) + βF(g).
2. Ff (λ) è una funzione continua di λ
0.6. SESTA LEZIONE
3. fˆ è limitata ed infatti
33
|fˆ(λ)| ≤ kf k1 .
4. Se f ∈ L1 , ed fy (x) = f (x − y), allora
fˆy (λ) = fˆ(λ)e−2πiλy .
5. se f e la sua derivata Df appartengono a L1 allora
c (λ) = 2πiλfˆ(λ).
Df
dimostrazione. La prima proprietà segue dalla linearità dell’integrale.
Per dimostrare la seconda supponiamo che λn sia una successione reale che
converge a λ. Dobbiamo far vedere che fˆ(λn ) converge a f (λ). Ma
Z
fˆ(λn ) =
f (x)e−2πiλn x dx.
R
La successione di funzioni fn (x) = f (x)e−2πiλn x converge puntualmente a
f (x)e−2πiλx , e inoltre la successione è dominata dalla funzione integrabile
|f (x)|. Il teorema di convergenza dominata di Lebesgue implica allora che
limn fˆ(λn ) = fˆ(λ). La terza proprietà segue immediatamente dal fatto che
|f (x)e−2πiλx | = |f (x)|. Per dimostrare la quarta proprietà calcoliamo la
trasformata di Fourier di f utilizzando l’invarianza per traslazione dell’integrale.
Z
Z
−2πiλx
ˆ
fy (λ) =
f (x − y)e
dx =
f (t)e−2πiλ(t+y) dt = fˆ(λ)e−2πiλy .
R
R
Infine per dimostrare la quinta proprietà scegliamo due successioni di numeri reali an e bn tali che limn an = −∞, limn bn = +∞ e limn f (an ) =
limn f (bn ) = 0. L’esistenza di tali successioni sarà discussa in seguito. Allora
l’integrazione per parti fornisce:
Z bn
Z
−2πiλx
c (λ) =
Df (x)e−2πiλx dx =
Df
Df (x)e
dx = lim
R
n
Z
lim((f (bn )e
n
−2πiλbn
− f (an )e
−2πiλan
bn
)+
an
f (x) 2πiλe−2πiλx dx.) = 2πiλfˆ(λ).
an
Resta da osservare che se f è una funzione continua appartenente a L1
esistono successioni an e bn che tendono rispettivamente a −∞ e ad ∞, tali
che limn f (an ) = limn f (bn ) = 0. E’ opportuno prima di tutto osservare che
34
non è detto che una funzione continua che appartiene a L1 sia necessariamente
nulla all’infinito. Ad esempio se un è una funzione lineare a tratti che vale zero
fuori dell’intervallo (n −1/2n , n +1/2n ) vale uno
in n ed è lineare tra n− 1/2n
P
ed n e tra n e n+1/2n , allora la funzione v = n un è continua, non negativa
ha integrale uno e non tende a zero all’infinito. Tuttavia, se supponiamo che
f sia continua e appartenga a L1 , l’integrale di |f | è finito, non può quindi
succedere che esistano numeri positivi δ ed M tali che |f (x)| ≥ δ per x ≥ M ,
ovvero per x ≤ −M . Questo significa che è possibile trovare, numeri bn > n
e an < −n tali che |f (an )| ≤ 1/n e |f (bn )| ≤ 1/n.
Un’altra proprietà importante della trasformata di Fourier è quella di
trasformare la convoluzione in un prodotto punto per punto.
Lemma 13 . Se f, g ∈ L1 , allora
F(f ∗ g)(λ) = Ff (λ)Fg(λ).
dimostrazione. Osserviamo che:
Z
Z Z
−2πiλx
f ∗ g(x) e
dx =
f (x − y)g(y) e−2πiλx dydx
R
R R
Z Z
R R
f (x − y)g(y) e−2πiλ(x−y) e−2πiλy dydx = Ff (λ)Fg(λ).
Anche in questo caso abbiamo utilizzato l’invarianza per traslazione dell’integrale dopo che il teorema di Fubini ci ha consentito di scegliere l’ordine di
integrazione più conveniente.
0.7
SETTIMA LEZIONE
Ci proponiamo, in queste lezioni di dimostrare che la trasformata di Fourier
di una funzione in L1 determina univocamente la funzione stessa. In altre
parole se fˆ(λ) = 0 per tutti i numeri reali λ allora deve essere f identicamente
nulla. In effetti per le funzioni che oltre ad essere in L1 godono della proprietà
che Ff ∈ L1 , si può fornire un modo di ricostruire f a partire da Ff . Vale
cioè la cosiddetta formula di inversione:
Z
f (x) =
Ff (λ) e2πiλx dx.
(32)
R
Si osservi che a destra dell’uguale nella (32), non c’è propriamente la trasformata di Fourier di Ff , ma una simile trasformata che si chiama ”trasformata
di Fourier inversa” e spesso si indica con F∗ f . Infatti, al posto delle funzioni
0.7. SETTIMA LEZIONE
35
e−2πiλx sotto l’integrale ci sono le funzioni ad esse coniugate e2πiλx . La (32)
può quindi essere scritta come
f = F∗ (Ff ).
Dimostreremo prima di tutto la (32) per funzioni che appartengono ad
una classe speciale detta spesso classe di Schwarz o classe delle funzioni
rapidamente decrescenti, secondo la definizione che segue.
Definizione 8 . Una funzione f di variabile reale e a valori complessi si
dice rapidamente decrescente se è derivabile infinite volte e per ogni polinomio
p(x) è limitato li prodotto
p(x)f (x).
L’insieme delle funzioni rapidamente decrescenti si chiama anche classe di
Schwarz e verrà indicato con il simbolo S = S(R).
Osserviamo prima di tutto che le funzioni infinitamente differnziabili a
supporto compatto sono certamente rapidamente decrescenti. Infatti se p(x)
è un polinomio ed f ha supporto compatto, la funzione p(x)f (x) ha supporto
compatto ed è quindi limitata. Segue da questa osservazione che lo spazio
delle funzioni rapidamente decrescenti è denso in L1 .
Tuttavia non tutte le funzioni rapidamente decrescenti sono a supporto
compatto. Un esempio importante è fornito dalla funzione
2
e−x ,
che è infinitamente differenziabile e che è rapidamente decrescente perché per
qualsiasi potenza n risulta
xn
lim x2 = 0.
x→∞ e
Osserviamo che le funzioni rapidamente decrescenti appartengono tutte a L1 .
Infatti se f ∈ S è limitato il prodotto
f (x)(1 + x2 ).
Ne segue che
Z
Z
1
dx = M π.
R
R 1 + x2
Si deve anche osservare che la derivata di una funzione di S appartiene
ancora ad S e che il prodotto di una potenza di x (o un polinomio) per una
funzione di S appartiene ancora ad S. Cioè
S è invariante per la derivazione e per la moltiplicazione per un polinomio
|f (x)| dx ≤ M
36
Lemma 14 Se f è una funzione rapidamente decrescente allora
1.
c (λ) = 2πiλfˆ(λ)
Df
2.
Z
Dfˆ(λ) =
R
(−2πix)f (x)e−2πiλx dx.
dimostrazione. La prima formula è già stata dimostrata in condizioni più
generali. Per dimostrare la seconda affermazione si considera il rapporto
incrementale
Z
−1
h (Ff (λ + h) − Ff (λ) =
f (x) h−1 (e−2πi(λ+h)x − e−2πiλx ) dx.
R
Il teorema del valor medio per le derivate ci fornisce
|(e−2πi(λ+h)x − e−2πiλx )| ≤ 2π|h||x|.
Ne segue che il modulo dell’espressione sotto il segno di integrale è maggiorato da |2πxf (x)|. Poiché f ∈ S anche 2πxf (x) appartiene ad S ed è quindi
integrabile. Perciò possiamo applicare all’integrando il teorema di convergenza dominata di Lebesgue e passare al limite per h → 0 sotto il segno di
integrale.
Corollario 13 La trasformata di Fourier F manda elementi di S in elementi
di S. In altre parole se f ∈ S allora Ff ∈ S.
dimostrazione Se f ∈ S allora (2πix)n f (x) è un elemento di S ed è
quindi integrabile. Ne segue che Ff è derivabile n volte. Ma anche la derivata
n-esima di f appartiene ad S pertanto (−2πiλ)n Ff (λ) è limitato per ogni n.
Ne segue che f ∈ S.
Osservazione 6 La derivazione può essere considerata come una trasformazione D che manda un elemento f di S in un elemento Df pure appartenente a S. In altre parole D può essere considerata come una trasformazione di S in sé. Accanto alla trasformazione D possiamo considerare anche la trasformazione M che manda l’elelento f ∈ S nell’elemento
Mf (x) = 2πixf (x). Il Lemma che abbiamo appena dimostrato stabilisce le
regole di composizione tra queste trasformazioni e la trasformata di Fourier,
che possiamo riassumere come segue, per un generico elemento f ∈ S:
F(Df ) = M(Ff ),
e
DF(f ) = −F(M(f )).
0.7. SETTIMA LEZIONE
37
Conviene ora definire formalmente la trasformata di Fourier inversa cui
abbiamo accennato all’inizio di questa lezione.
Definizione 9 Sia ϕ ∈ L1 , la trasformata di Fourier inversa F∗ ϕ è definita
come
Z
∗
F ϕ(x) =
ϕ(λ)e2πiλx dλ.
R
Ci proponiamo di dimostrare che se f ∈ S allora
Z
f (x) =
Ff (λ)e2πiλx dλ.
R
In altre parole ci proponiamo di dimostrare che
F∗ (Ff ) = f.
Cominciamo da un lemma.
Lemma 15 . Siano f e g due funzioni rapidamente decrescenti, allora
Z
Z
Ff (λ) g(λ) dλ =
f (x) F∗ g(x) dx.
R
R
dimostrazione. Una applicazione del teorema di Fubini fornisce:
Z
Z Z
Ff (λ) g(λ) dλ =
f (x)e−2πiλx g(λ)dxdλ =
R
R R
Z
Z
R
f (x)
Z
R
g(λ)e2πiλx
dλ dx =
R
f (x)F∗ g(x) dx.
Fine della dimostrazione.
Introduciamo ora una famiglia di funzioni di S indicizzata dai reali positivi. Si tratta per t > 0 delle funzioni
2 /2t
ut (x) = (2πt)−1/2 e−x
.
Di queste funzioni si può calcolare prima di tutto la trasformata di Fourier.
Lemma 16
Fut (λ) = e−2π
2 λ2 t
.
38
. dimostrazione. Fissato t > 0 sia
1/2
φ(λ) = (2πt)
Z
Fut (λ) =
La derivata è
R
e−x
2 /2t
e−2πiλx dx.
Z
2 /2t
Dφ(λ) = −2πi
R
xe−x
e−2πiλ x dx.
−x2 /2t
2 /2t
Ma la derivata rispetto ad x di e
è proprio (−x/t)e−x
possiamo riscrivere la derivata di φ come
Z
2
Dφ(λ) = 2πit D[e−x /2t ] e−2πiλx dx.
.
Perciò
R
Integrando per parti, tenuto conto che l’integrando si annulla all’infinito si
ottiene:
Z
Z
2
−x2 /2t
−2πiλx
2
Dφ(λ) = 2πit e
(−2πiλ)e
dx = −4π λt e−x /2t e−2πiλx dx =
R
R
−4π 2 λtφ(λ).
In altre parole φ(λ) soddisfa la equazione differenziale:
Dφ(λ) + 4π 2 λtφ(λ).
La formula risolutiva delle equazioni lineari del primo ordine (vedi APPENDICE) ci fornisce allora:
φ(λ) = φ(0)e−π
Resta da calcolare
φ(0) =
Z
R
e
x2 /2t
2 λ2 t
.
√
√ Z −x2 /2
dx = t e
dx = 2πt.
R
Questo conclude la dimostrazione del Lemma.
APPENDICE
Questa appendice è dedicata a dimostrare che se una funzione di variabile
reale φ(λ), è derivabile e soddisfa alla condizione che
Dφ(λ) + a(λ)φ(λ) = 0,
dove a(λ) è una funzione continua, allora
φ(λ) = φ(0) e−A(λ) ,
0.8. OTTAVA LEZIONE
39
dove A(λ) è una primitiva di a(λ) che si annulla in zero. Infatti supponiamo che A(λ) sia una primitiva di a(λ) che si annulla in zero, cioè supRλ
poniamo che A(λ) = 0 a(ξ)dξ, e moltiplichiamo ambo i lati della equazione
per la funzione eA(λ) , che non si annulla mai. Otteniamo cosı̀ l’equazione
equivalente:
eA(λ) Dφ(λ) + a(λ)eA(λ) φ(λ) = D(eA(λ) φ)(λ) = 0.
Questo significa che è costante la funzione eA(λ) φ(λ) = k da cui si ricava
φ(λ) = ke−A(λ) .
Per calcolare k basta sostituire 0 a λ nell’ultima equazione. Si ottiene k =
φ(0) tenuto conto che A(0) = 0.
0.8
OTTAVA LEZIONE
Nella lezione precedente abbiamo introdotto le funzioni
2 /2t
ut (x) = (2πt)−1/2 e−x
.
e le loro trasformate di Fourier
Fut (λ) = e−2π
2 λ2 t
.
Osserviamo che queste funzioni godono di due importanti proprietà che le
rendono una ”identità approssimata” quando operano per convoluzione nello
spazio delle funzioni uniformemente continue e limitate o nello spazio L1 .
R
1. ut (x) ≥ 0, e R ut (x)dx = 1.
R
2. per ogni δ > 0, limt→0 |x|≥δ ut (x) dx = 0.
Ecco le conseguenze di queste proprietà:
Lemma 17 Se f è una funzione limitata e uniformemente continua, allora
lim f ∗ ut (x) = f (x),
t→0
uniformemente in x.
40
dimostrazione. Utilizzando il fatto che l’integrale di ut vale uno possiamo
scrivere
Z
Z
|f (x)−f ∗ut (x)| = | (f (x−y)−f (x)) ut (y) dy| ≤
|f (x−y)−f (x)| ut (y) dy =
R
R
Z
Z
|f (x − y) − f (x)| ut (y) dx +
|x|<δ
|f (x − y) − f (x)|ut (y) dy.
|x|≥δ
Assegnato ε > 0 possiamo scegliere δ > 0 tale che, se |y| < δ si abbia
|f (x) − f (x − y)| < ε/2 per tutti gli x. Sia M = sup |f (x)| e scegliamo t0 > 0
in modo che la condizione t > t0 implichi
Z
ε
ut (x)dx ≤
.
4M
|x|≥δ
Ne segue che per t > t0 , e tutti gli x risulta
|f (x) − f ∗ ut (x)| < ε.
Per l’analogo risultato sulla convoluzione di ut con una funzione di L1 abbiamo bisogno di una osservazione preliminare.
Osservazione 7 Se f ∈ L1 e fy (x) = f (x − y), la tasformazione y 7→ fy è
una funzione uniformemente continua definita su R e a valori in L1 .
dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che dato ε > 0 esiste δ > 0 tale
che se |y1 − y2 | < δ allora kfy1 − fy2 k1 < ε. Poichè l’integrale e quindi la
norma di L1 è invariante per traslazione e quindi kfy1 −fy2 k1 = kfy1 −y2 −f k1 ,
basta dimostrare che la trasformazione y 7→ fy è continua in zero. Dato ε > 0
dobbiamo quindi trovare un δ > 0 tale che se |y| < δ < 1 allora kfy −f k1 < ε.
Scegliamo g continua a supporto compatto tale che kf − gk < ε/3. Sia [a, b]
un intervallo fuori del quale si annulla per ogni |y| < 1 la funzione g(x − y).
Sia M = sup |g(x)|. E infine sia 1 < δ < 0 tale che se |y| < δ allora, per ogni
x, |g(x − y) − g(x)k < ε/3M . Allora per |y| < δ risulta kg − gy k1 ≤ ε/3 and,
kfy − f k ≤ kf − gk1 + kg − gy k1 + kgy − fy k1 < ε.
Possiamo enunciare adesso il secondo lemma che è una conseguenza delle
proprietà di ut .
Lemma 18 Se f ∈ L1 allora limt→0 ut ∗ f = f nella norma of L1 .
0.8. OTTAVA LEZIONE
41
dimostrazione. Poiché l’integrale di ut vale uno possiamo scrivere come
nella dimostrazione del Lemma 17
Z
|ut ∗ f (x) − f (x)| = | (f (x) − f (x − y))ut (y) dy|.
B
Perciò:
Z Z
kut ∗ f − f k1 ≤
R R
|f (x − y) − f (x)|ut (y)dydx.
(33)
Sia ε > 0 e sia δ > 0 tale che per |y| < δ risulti kfy − f k1 < ε/2. Allora la
(33) implica
Z
kut ∗ f − f k1 ≤
kf − fy kut (y) dy =
Z
R
δ
Z
kfy − f k1 ut (y)dy +
kfy − f k1 ut (y) dy.
−δ
|y|≥δ
Il primo integrale a desta dell’uguale è certamente minore di ε/2, mentre il
secondo integrale tende a zero per t → 0, in quanto è maggiorato da
Z
2kf k1
ut (y) dy,
|y|≥δ
che tende a zero per il solito teorema di convergenza dominata di Lebesgue.
Questo completa la dimostrazione Ora, per dimostrare il teorema di inversione per le funzioni rapidamente decrescenti, cominciamo dalla verifica che
il teorema vale per la famiglia di funzioni
ut (x) = √
1 −x2 /2t
e
,
2πt
delle quali abbiamo calcolato la trasformata di Fourier che è
F(ut )(λ) = e−2π
2 λ2 t
.
Lemma 19
F∗ (Fut )(x) = ut (x).
dimostrazione In virtù del Lemma 15, e ponendo t = 1/τ ,
Z
2 2
∗
F Fut (x) =
e−4π λ /2τ e2πiλx dλ.
R
Se si pone γ = 2πλ, l’integrale diviene.
Z
√
2πτ
uτ (γ) eiγx (2π)−1 dγ =
R
(34)
42
√
τ
x
1 − x2
√ F(uτ )( ) = √
e 2t = ut (x).
2π
2π
2πt
Possiamo ora dimostrare il teorema di inversione per tutte le funzioni
rapidamente decrescenti.
Teorema 14 Se f ∈ S è una funzione rapidamente decrescente, allora
F∗ Ff = f
dimostrazione. Applichiamo il Lemma 15 ricordando che ut e la sua
trasformata di Fourier sono funzioni reali e pari.
Z
Z
Z
∗
Ff (λ)F(ut )(λ)dλ =
f (x)F Fut (x)dx =
f (x)ut (x)dx.
R
R
R
Pertanto, in applicazione del teorema della convergenza dominata di Lebesgue,
Z
Z
2 2
Ff (λ) dλ = lim Ff (λ)e−2π λ t dλ =
R
t→0
Z
lim
R
t→0
R
f (x)ut (x)dx = lim f ∗ ut (0) = f (0).
t→0
Per ottenere l’enunciato del teorema basta ora considerare la funzione f−y (x) =
f (x + y), e ricordare che Ff−y (λ) = Ff (λ)e2πiλy . Si ottiene allora
Z
Ff (λ) e2πiλy = f (y).
R
Corollario 15 . Se f ∈ S è una funzione rapidamente decrescente, allora
Z
Z
2
|f (x)| dx =
|Ff (λ)|2 dλ.
(35)
R
R
dimostrazione. Consideriamo la funzione
Z
g(x) =
f (x + y) f (y) dy.
R
Derivando sotto il segno di integrale si dimostra che g è infinitamente derivabile. Un’applicazione del Teorema di Fubini mostra anche che g è integrabile. Infine, applicando sempre il teorema di Fubini possiamo dimostrare che
Fg(λ) = |Ff (λ)|2 . Poiché f ∈ S anche Ff ∈ S, e quindi dal momento che il
prodotto di due funzioni di S è in S appartiene ad S anche la funzione |Ff |2 .
Ne segue che g ∈ S e vale per g il teorema di inversione. Pertanto
Z
Z
2
|f (y)| dy = g(0) =
|Ff (λ)|2 dλ.
R
R
Infine ecco il teorema di inversione nella sua forma generale.
0.9. NONA LEZIONE
43
Teorema 16 Sia f ∈ L1 e supponiamo che Ff ∈ L1 . Allora
Z
f (x) =
Ff (λ) e2πiλx dx.
R
dimostrazione Osserviamo che la funzione
Z
Ff (λ) e2πiλx dλ,
R
è continua. Pertanto basta dimostrare che questa funzione è uguale quasi
ovunque ad f (x). D’altra parte la convergenza di ut ∗f ad f nella norma di L1 ,
implica che esiste una successione tn → 0 tale che limn utn ∗f (x) = f (x) quasi
ovunque. Scriviamo per semplicità utn = un e, ricordando che un = F∗ Fun ,
osserviamo che, per quasi tutti gli x,
Z
f (x) = lim f ∗ un (x) = lim f (x − y)un (y)dy =
n
R
n
Z Z
2 2
lim
f (x − y)e−2π λ tn e2πiλy dλdy =
n
Z Z R R
2 2
lim
f (x − y) e−2πiλ(x−y) e−2π λ tn e2πiλx dydλ =
n
R R
Z
2 2
lim F(f )(λ)e2πiλx e−2π λ tn dλ.
n
−2π 2 λ2 t
R
n
Poiché e
→ 1 dal momento che tn → 0, un’applicazione del teorema
della convergenza dominata di Lebesgue, fornisce, per quasi ogni x,
Z
f (x) =
Ff (λ)e2πλx dλ.
R
Come abbiamo visto la funzione a destra dell’uguale è continua, pertanto f è
quasi ovunque uguale ad una funzione continua, che coincide con la funzione
a destra dell’uguale.
0.9
NONA LEZIONE
Possiamo riassumere le proprietà della trasformata di Fourier per le funzioni
di L1 nel seguente teorema.
Teorema 17 Per f ∈ L1 , sia
fˆ(λ) = Ff (λ) =
Allora
Z
R
f (λ)e−2πiλx .
44
1. F(αf + βg) = αFf + βFg
2. |Ff (λ)| ≤ kf k1
3. Ff è una funzione continua che si annulla all’infinito.
4. F(f ∗ g) = Ff (λ)Fg(λ).
5. fby (λ) = e2πiλy fˆ(λ).
6. se Ff ∈ L1 , allora
Z
f (x) =
R
Ff (λ) e2πiλx dλ.
Tutte queste proprietà sono state dimostrate eccetto il fatto che Ff tende
a zero all’infinito, ma questo discende dal fatto che ogni elemento di f ∈
L1 può essere approssimato da una successione fn di elementi di S. La
trasformata di Fourier di un elemento di S appartiene ad S e pertanto tende
a zero all’infinito. La disuguglianza
sup |fˆn (λ) − fˆ(λ)| ≤ kfn − f k1 → 0,
ci assicura che anche fˆ(λ) tende a zero all’infinito.
Vale anche la pena di osservare che c’è una operazione su L1 che corrisponde alla coniugazione della trasformata di Fourier. Infatti se definiamo
f ∗ (x) = f (−x),
risulta
Z
Z
Ff (λ) =
R
f (−x)e
−2πix
dx =
R
f (x)e−2πix dx = Ff (λ),
dal momento che l’integrale è invariante per la trasformazione x 7→ −x.
Utilizzando, appunto, la funzione f ∗ f ∗ abbiamo anche dimostrato, per
le funzioni di S l’importante uguaglianza
Z
Z
2
|f (x)| dx =
|Ff (λ)|2 dλ.
(36)
R
R
Questa uguaglianza ci permette di estendere la trasformata di Fourier allo
spazio L2 dove non è direttamente definita. Infatti se f ∈ L2 consideriamo
una successione fn di funzioni di S che converge, in norma L2 , ad f . Naturalmente la successione fn è di Cauchy in L2 , e in virtù della (36) sarà di
0.9. NONA LEZIONE
45
Cauchy in L2 anche la successione fˆn . Poiché L2 è completo come spazio
metrico esisterà un elemento che possiamo chiamare fˆ che è il limite delle fˆn .
E’ facile osservare che questo elemento è unicamente determinato da f (se
gn fosse un’altra successione che converge ad f , risulterebbe kfˆn − ĝn k → 0).
Inoltre fˆ coincide con l’ordinaria trasformata di Fourier se f ∈ L1 ∩ L2 .
Possiamo riassumere questo importante risultato in un teorema
Teorema 18 La trasformata di Fourier definita sullo spazio S delle funzioni
rapidamente decrescenti si estende per continuità ad una isometria di L2 (R su
L2 (R. L’estensione coincide sullo spazio L1 ∩ L2 con l’ordinaria trasformata
di Fourier definita su L1 .
Ci proponiamo ora di studiare un po’ più da vicino lo spazio delle funzioni
infinitamente differenziabili e rapidamente decrescenti che abbiamo indicato con S e che ci è stato cosı̀ utile per introdurre e studiare le proprietà
della trasformata di Fourier. Ricordiamo che S è un sottospazio di L1 che
è denso nella norma di L1 . Su questo spazio sono definiti due importanti
trasformazioni: la derivata che manda f in Df e la trasformazione M di
moltiplicazione di una funzione per il polinomio di primo grado 2πix.
La trasformata di Fourier crea un collegamento naturale tra questi operatori. Abbiamo infatti dimostrato che
F(Df ) = M(Ff ),
(37)
DF(f ) = −F(M(f )).
(38)
e
Da queste formule si deduce che la trasformata di Fourier manda elementi di
S in elementi di S.
Vorremmo poter dire qualcosa di più: la trasformata di Fourier è una
trasformazione iniettiva e surgettiva di S in sé, che è anche continua rispetto
ad una naturale nozione di convergenza. In altre parole vorremmo almeno
poter dire che se fn è na successione di elementi di S che converge ad un
elemento f di S, allora fˆn converge ad fˆ.
Ma quale è la naturale nozione di convergenza? Certamente S non è uno
spazio di Banach, e nemmeno uno spazio normato. Sembra però naturale asserire che fn converge ad f quando le derivate di qualsiasi ordine Dj fn convergono uniformemente alla corrispondente derivata Dj f , ed inoltre convergono
uniformemente per ogni k le funzioni Mk Dj fn alla funzione Mk Dj f .
Per ottenere una formulazione più chiara di questa nozione di convergenza
conviene introdurre una famiglia di seminorme, cosı̀ definite:
pjk (f ) = sup |(1 + x2k )Dj f (x)|.
R
x∈
46
Si dirà allora che la successione fn ∈ S converge ad f ∈ S se per ogni
coppia (j, k) di interi non negativi pjk (fn − f ) tende a zero.
E’ anche possibile definire la nozione di successione di Cauchy per una
successione di fn ∈ S, prescrivendo che la successione sia di Cauchy rispetto a
tutte le seminorme. Non è difficile dimostrare che ogni successione di Cauchy
converge, e che lo spazio è quindi completo.
Questa nozione di completezza dello spazio coincide con quella nota relativa a spazi metrici non appena ci si convince che S pur non possedendo
un’unica norma che dia conto della nozione di convergenza che abbiamo introdotto, risulta però uno spazio metrico rispetto ad una distanza che dà
luogo alla stessa nozione di convergenza. Una tale possibile distanza può
essere definita ad esempio come:
∞
X
pjk (f − g)
d(f, g) =
2−j−k
.
1 + pjk (f − g)
j,k=0
La dimostrazione che d è una distanza si basa sull’osservazione che la
t
funzione u(t) = 1+t
, è una funzione crescente e concava per t > 0 e soddisfa
quindi alla condizione u(t1 + t2 ) ≤ u(t1 ) + u(t2 ).
Questa distanza soddisfa tra l’altro alla proprietà di invarianza per traslazione,
e cioè d(f − h, g − h) = d(f, g).
0.10
DECIMA LEZIONE
Abbiamo introdotto la nozione di convergenza di una successione nello spazio
S senza definire una distanza (anche se poi abbiamo dato un esempio di distanza che dà luogo alla stessa nozione di convergenza di una successione).
Anche senza far intervenire una distanza, a partire dalla nozione di convergenza di una successione è possibile definire una ”topologia” cioè una famiglia
di insiemi, che sono detti insiemi aperti, che soddisfa alla condizione che l’unione arbitraria di insiemi aperti è aperta e l’intersezione di un numero finito
di aperti è aperta, essendo aperti anche l’intero spazio e l’insieme vuoto.
Basta stabilire che un un sottoinsieme è aperto se ogni successione che converge ad un punto dell’insieme appartiene definitivamente all’insieme. Non
è difficile verificare che in questo modo si definisce una topologia.
Questo ci fornisce un altro modo di definire che cosa si intende per continuità di una trasformazione di S in S (o in un altro spazio topologico).
Una trasformazione è continua se l’immagine inversa di un insieme aperto è
aperta.
Sono naturalmente continue le trasformazioni
(f, g) 7→ f + g,
0.10. DECIMA LEZIONE
47
da S × S a S e
(α, f ) 7→ αf,
da C × S a S.
Questo significa che lo spazio vettoriale S è uno spazio vettoriale topologico, ovvero S è uno spazio vettoriale dove è definita una topologia che
rende continue le operazioni di somma e moltiplicazione per uno scalare.
In effetti S ha l’ulteriore proprietà di essere uno spazio localmente convesso (ogni intorno di un punto contiene un intorno convesso), ed inoltre la
sua topologia può essere descritta da una metrica invariante per traslazione
che dà luogo ad uno spazio metrico completo. Nella terminologia corrente
queste sono le proprietà caratteristiche di uno spazio di Fréchet, dal nome
del matematico francese Maurice Fréchet. Naturalmente tutti gli spazi di
Banach (spazi normati completi) sono spazi di Fréchet, ma non è vero il
viceversa come dimostra appunto l’esempio di S.
Passiamo ora a considerare lo spazio S 0 dei funzionali lineari e continui
definiti su S. Un elemento di S 0 è appunto una trasformazione F di S in C
che soddisfa alla condizione di linearità
F (αf + βg) = αF (f ) + βF (g),
e tale che se limn fn = f nella topologia di S, allora limn F (fn ) = F (f ). In
altre parole se, per tutte le seminorme pjk , risulta limn pjk (f − fn ) = 0 deve
risultare anche limn F (fn ) = F (f ).
Veiamo ora qualche esempio di funzionale continuo. Prendiamo ad esempio un elemento φ ∈ L1 e definiamo,
Z
F (f ) =
f (x)φ(x) dx.
R
Risulta evidente che F è lineare e continuo, perché la convergenza di fn ad
f implica che fn converge ad f uniformemente. Un altro diverso funzionale
può essere definito come
Z
0
F (f ) = − Df (x)φ(x) dx.
R
C’è da chiedersi perché mai abbia premesso un segno − all’integrale di
quest’ultima formula. La ragione è che se φ ∈ L1 è anche derivabile con
continuità allora l’integrazione per parti (ed il fatto che gli elementi di S si
annullano all’nfinito) ci porta a conludere che il funzionale F 0 definito sopra
può scriversi anche come
Z
f (x)Dφ(x) dx.
R
48
Possiamo introdurre quindi la derivazione di qualsiasi ordine j di un
funzionale F ∈ S 0 stipulando che,
Dj F (f ) = (−1)j F (Dj f )(x).
Definizione 10 Lo spazio S 0 dei funzionali lineari e continui definiti sullo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti si chiama spazio delle distribuzioni temperate. In questi appunti sarà indicato come spazio delle distribuzioni.
Ogni elemento di S 0 risulta quindi infinitamente differenziabile, come distribuzione. In particolare poiché ogni funzione integrabile definisce una distribuzione c’è da chiedersi se per una funzione derivabile la derivata in senso
classico coincide con quella nel senso delle distribuzioni. La risposta è sı̀,
come dimostrato dall’integrazione per parti, se se la funzione è derivabile e
con derivata continua. Possono però sorgere problemi per funzioni che sono
derivabili quasi ovunque. Un esempio illuminante è il seguente. Sia h(x) la
funzione che vale zero per x negativo e vale uno per x ≥ 0. Questa funzione
definisce una distribuzione H che possiamo scrivere come,
Z ∞
H(f ) =
f (x)dx.
0
La sua derivata, nel senso delle distribuzioni è la distribuzione
Z ∞
Z n
DH(f ) = −
Df (x)dx = − lim
f 0 (x) dx = − lim[f (n) − f (0)] = f (0).
n
0
0
n
Ovviamente la derivata in senso classico della funzione h è zero quasi ovunque.
Ricordiamo che la funzione h si chiama funzione di Heavyside, e la sua
derivata nel senso delle distribuzioni si chiama misura di Dirac. Heavyside e Dirac erano rispettivamente un ingegnere ed un fisico che utilizzavano
ampiamente il formalismo del calcolo differenziale prima che fosse sviluppata
la teoria delle distribuzioni.
Siamo cosı̀ arrivati indirettamente a definire la distribuzione, detta misura
di Dirac, che fa corrispondere ad ogni funzione in S il valore della funzione
stessa in 0. In simboli si scrive spesso
δ0 (f ) = f (0),
o anche altrettanto spesso,
Z
R
f (x) dδ0 (x) = f (0).
0.10. DECIMA LEZIONE
49
In questa seconda notazione si tratta δ0 come la misura (infinitamente additiva, definita per tutti i sottoinsiemi di R) che attribuisce il valore 1 ad ogni
insieme che contiene 0 ed il valore zero ad ogni insieme che non contiene lo
zero. La distribuzione associata ad una misura (definita almeno sui boreliani)
è naturalmente l’integrale rispetto alla misura stessa.
Accanto alla misura di Dirac relativa al numero reale 0 possiamo definire
una misura di Dirac δx relativamente al numero deale x. Basta ovviamente
stipulare che
δx (f ) = f (x).
L’esempio fornito dalla funzione di Heavyside non è isolato. Supponiamo
di avere una funzione u(x) non decrescente e limitata definita su tutto R
(come era appunto la funzione di heavyside). Non si fa qui alcuna ipotesi
sulla continuità di u anche se sappiamo dalla teoria della misura che u è
integrabile secondo Riemann e pertanto u è continua quasi ovunque. La
funzione u può essere utilizzata per definire in modo diverso dal solito la
nozione di lunghezza di un intervallo. Basta stipulare che la lunghezza di
un intervallo [a, b) altro non è che u(b) − u(a). A partire da questa nuova
nozione di lunghezza si possono seguire tutti i passi utilizzati per definire la
misura e l’integrale di Lebesgue. Arriveremo cosı̀ ad una nuova misura e ad
un nuovo integrale che è naturale indicare con
Z
f (x)du.
(39)
R
Se u è una funzione con derivata continua u0 (x) allora questo integrale si
riduce a:
Z
f (x) u0 (x), dx.
(40)
R
Ma la costruzione a partire dalla nuova nozione di lunghezza dà luogo ad una
misura e ad un integrale anche nel caso in cui u è in più punti discontinua. In
questi casi la ordinaria derivata di u potrebbe essere addirittura zero mentre
non è sero la derivata nel senso delle distribuzioni perché fornisce appunto
la formula (39). Resta da chiederci quali sono le condizioni che consentano
di riscrivere la (39) come la (40). Non basta certo che u sia derivabile quasi
ovunque, perché in effetti una funzione non decrescente è sempre derivabile
quasi ovunque. La condizione è più stringente: la funzione u deve essere
assolutamente continua. E’ una nozione questa sulla quale non interverremo
ulteriolmente.
Nello spazio delle distribuzioni possiamo definire una nozione di convergenza. E’ la convergenza debole del duale qui appresso definita:
50
Definizione 11 Una successione Fn di distribuzioni converge ad una distribuzione F , se per ogni elemento f ∈ S risulta limn Fn (f ) = F (f ).
Osservazione 8 . Bisognerebbe aggiungere che se Fn è una successione di
distribuzioni tale che limn Fn (f ) esiste per ogni f ∈ S, allora posto F (f ) =
limn Fn (f ) risulta che F è un funzionale lineare e continuo. Questo dipende
da un importante risultato sugli spazi di Frechét che viene spesso chiamato il
principio della uniforme limitatezza, e che è una conseguenza di un teorema
attribuito a René Baire sugli spazi metrici completi.
Abbiamo ora l’opportunità di studiare un esempiodi limite di successione
di distribuzioni. Consideriamo infatti:
lim
n
n
X
∞
X
δk =
k=−n
δk .
k=−∞
Esiste questo limite? Secondo le nostre definizioni dobbiamo verificare che
per ogni f ∈ S converga la serie
∞
X
F (f ) =
f (k).
(41)
k=−∞
Ma questo è sicuramente vero perché
|f (x)| ≤
M
.
1 + x2
Sulla base della Osservazione 8 possiamo affermare che, il funzionale definito
dalla (55) è continuo ed è quindi una distribuzione. la distribuzione è nota
con il nome di ”treno di impulsi”.
In realtà è possibile dimostrare la continuità di questo funzionale senza
ricorrere alla proprietà degli spazi di Fréchet ed in particolare al ”principio
della uniforme limitatezza”. Basta far vedere che per un numero finito di
seminorme pjk ed ogni f ∈ S, risulta |F (f )| ≤ Mjk pjk (f ).
Proposizione 2 Il funzionale
F (f ) =
∞
X
f (n),
n=−∞
è continuo per f ∈ S e definisce pertanto una distribuzione.
0.11. UNDICESIMA LEZIONE
51
dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che l’integrale di |f (x)| tra n e
n + 1 è un numero compreso tra il massimo ed il minimo di |f (x)| nell’intervallo [n, n + 1], e che questo numero corrisponde ad un valore |f (ξn )| per
qualche ξn ∈ [n, n + 1]. Pertanto
Z
∞ Z n+1
∞
X
X
|f (x)| dx =
|f (x)| dx =
|f (ξn )|.
R
n=−∞
n
D’altra parte,
n=−∞
Z
ξn
f (n) = f (ξn ) −
Df (x) dx,
n
e quindi
Z
Z
ξn
|f (n)| ≤ |f (ξn )| +
n+1
Df (x) dx ≤ |f (ξn )| +
n
Df (x) dx.
n
Ne segue che
|F (f )| ≤
∞
X
|f (n)| ≤
n=−∞
∞
X
n=−∞
Z
|f (ξn )| +
R
|Df (x)| dx ≤ kf k1 + kDf k1 .
A questo unto basta osservare che
Z
|f (x)|
kf k1 =
(1 + x2 ) dx ≤ πp01 (f ),
2
1
+
x
R
e che, analogamente,
kDf k1 ≤ πp11 (f ).
0.11
UNDICESIMA LEZIONE
Ricordiamo che sullo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti S è ben
definita la trasformata di Fourier che risulta iniettiva e surgettiva. A partire
dalla trasformata di Fourier su S non dovrebbe essere difficile definire anche
la trasformata di Fourier di un elemento di S 0 cioè di un funzionale lineare e
continuo definito su S. Se F ∈ S 0 possiamo definire
(FF )(f ) = F (Ff ).
In questo modo si definisce certamente un funzionale lineare su S, ma non
è affatto chiaro che si tratti di un funzionale continuo. Per completare la
definizione è necessario mostrare che la trasformata di Fourier F è una trasformazione continua da S in S. Cominciamo con una definizione ed un risultato
preliminare.
52
Definizione 12 Una funzione h si dice a crescita polinomiale se è infinitamente differenziabile e per ogni intero non negativo j esiste un intero non
negativo k(j) tale che
Dj h(x)
,
1 + x2k(j)
sia limitata.
In pratica una funzione infinitamente differenziabile è a crescita polinomiale se tutte le sue derivate crescono all’infinito più lentamente di una potenza
di x. Naturalmente la potenza può essere diversa per derivate di ordine diverso, come è indicato nella definizione formale dalla dipendenza dall’ordine
della derivata, del grado 2k(j) del polinomio (1 + x2k(j) ) In particolare sono a
crescita polinomiale le funzioni infinitamente differenziabili limitate assieme
alle loro derivate di qualsiasi ordine e le funzioni polinomiali. Non è, ad es2
empio, a crescita polinomiale la funzione ex e nemmeno la funzione ex che
pure sono infinitamente differenziabili.
Prima di enunciare il prossimo lemma ricordiamo che il prodotto di due
funzioni infinitamente differenziabili è infinitamente differenziabile, come si
deduce facilmente dalla formula:
n
D (f h)(x) =
n
X
k=0
n!
Dk f (x)Dn−k h(x).
k!(n − k)!
(42)
Questa formula può essere dimostrata per induzione su n.
Lemma 20 Sia h una funzione infinitamente differenziabile a crescita polinomiale. Allora per ogni f ∈ S la funzione h(x)f (x) appartiene ad S e la
trasformazione f 7→ hf è una trasformazione lineare e continua.
dimostrazione. Dalla definizione di funzione a crescita polinomiale si
ricava che
|Dj h(x)| ≤ Cj (1 + x2k(j) )
(43)
Osserviamo che dalla formula (42) e dalla (43) si ricava che
l
|D (f h)(x)| ≤ B
l
X
|Dj h(x)||Dl−j f (x)| ≤
j=0
l
l
X
X
|Dj h(x)|
2k(j)
l−j
B
(1 + x
)|D f (x)| ≤ B
Cj (1 + x2k(j) )|Dl−j f (x)|.
2k(j)
1
+
x
j=0
j=0
0.11. UNDICESIMA LEZIONE
53
Osserviamo ora che
(1 + x2n )(1 + x2m ) ≤ M (1 + x2(n+m) ).
Da cui si ricava che per k fissato
(1 + x2k )(1 + x2k(j) ) ≤ Mj (1 + x2(k+k(j)) )
Pertanto posto C = maxj Cj ed M = maxj Mj ,
(1 + x2k )|Dl (f h)(x)| ≤ BC
l
X
(1 + x2k )(1 + x2k(j) |Dl−j (f )(x)| ≤
j=0
M BC
l
X
(1 + x2(k+k(j)) )|Dl−j (f )(x)|,
j=0
da cui segue
pkl (hf ) ≤ M BC
l
X
j=0
sup(1 + x2(k+k(j)) )|Dl−j (f )(x)|.
x
I termini dell’ultima somma altro non sono che le seminorme relative agli
indici k + k(j) e l − j. Ne segue che la trasformazione f 7→ hf è continua.
Ricordiamo una osservazione fatta nelle precedenti lezioni:
Osservazione 9 La derivazione può essere considerata come una trasformazione D che manda un elemento f di S in un elemento Df pure appartenente a S. In altre parole D può essere considerata come una trasformazione di S in sé. Accanto alla trasformazione D possiamo considerare anche la trasformazione M che manda l’elemento f ∈ S nell’elemento
Mf (x) = 2πixf (x). Abbiamo dimostrato regole di composizione tra queste
trasformazioni e la trasformata di Fourier, che possiamo riassumere come
segue, per un generico elemento f ∈ S:
F(Df ) = M(Ff ),
e
DF(f ) = −F(M(f )).
E’ facile dimostrare che le trasformazioni D e M sono continue. Infatti,
pjk (Df ) ≤ p(j+1)k (f )
e
pjk (M(f )) ≤ 2πpj(k+1) (f ).
54
Procediamo con due lemmi che discendono immediatamente da questa
osservazione. Introduciamo prima di tutto la notazione Al = (−M)l .
Lemma 21 Se f ∈ S e per ogni intero non negativo l ≥ 0 si pone
Al f (x) = (−2πix)l f = (−M)l f,
allora l’operatore Al è continuo su S e
Z
l ˆ
D (f )(λ) =
Al f (x)e−2πiλx dx.
R
La dimostrazione di questo lemma segue dalla osservazione precedente.
Lemma 22 Se f ∈ S e k, l sono interi non negativi
Z
k lˆ
(2πiλ) D f (λ) =
Dk (Al f )(x)e−2πixλ dx.
R
Anche questo lemma si deduce dal lemma precedente e dall’osservazione che
precede.
Il prossimo Lemma concerne la trasformata di Fourier.
Lemma 23 . Se f ∈ S, e k, lsono interi non negativi,
pkl (fˆ) ≤ π(p2k (Al f ) + p20 (Al f ).
dimostrazione. Osserviamo che dal Lemma 22 e dalla integrabilità della
funzione (1 + x2 )−1 , si deduce, per k ed l fissati, la disuguaglianza
Z
Z
1
|Dk (Al f )(x)|
k
lˆ
k
|λ ||D f (λ)| ≤
|D
(A
f
)(x)|
dx
≤
(1 + x2 ) dx ≤
l
(2π)k R
1 + x2
R
Z
1
1
π
2
k
sup |(1 + x )D (Al f )(x)|
dx =
p1k (Al f ) ≤ πp1k (Al f ).
k
2
(2π) R 1 + x
(2π)k
x∈R
Il caso k = 0 fornisce in particolare
|Dl fˆ(λ)| ≤ πp10 (Al f ).
Perciò,
pkl (fˆ) = sup(1 + λ2k )|Dl fˆ(λ)| ≤ π(p10 (Al f ) + p2k (A1 f )).
R
λ∈
Non è difficile ora concludere dimostrando la continuità della trasformata
di Fourier.
0.12. DODICESIMA LEZIONE
55
Corollario 19 La trasformata di Fourier è continua da S in S.
dimostrazione. Supponiamo che fn sia una successione che converge ad f
nella metrica di S. Senza mancare di generalità possiamo supporre che fn
tenda a zero (possiamo infatti passare alla successione f − fn .) Allora per
ogni intero non negativo l tenderà a zero Al fn . Per il Lemma 23 tende allora
a zero pkl (fˆn ) per ogni k ed ogni l.
Come si è detto all’inizio di questa lezione la continuità della trasformata di Fourier ci permette di definire la trasformata di Fourier di una
distribuzione temperata F . Basterà definire F̂ (f ) = F (fˆ).
Il prossimo argomento ci condurrà ad utilizzare proprio la trasformata di
Fourier delle distribuzioni.
0.12
DODICESIMA LEZIONE
Definizione 13 . Sia f ∈ L1 . La periodicizzazione di f di passo uno è
definito come
∞
X
Pf (x) =
f (x + n).
n=−∞
In maniera analoga si definisce la periodicizzazione di passo T > 0 come
∞
X
PT f (x) =
f (x + nT ).
n=−∞
Osserviamo che la prima serie della Definizione 13 converge assolutamente
quasi ovunque. Infatti
Z
Z
1
n+1
|f (x + n)| dx =
0
e pertanto
Z
1
∞
X
|f (x)| dx,
n
Z
|f (x + n)| dx =
0 n=−∞
R
|f (x)| dx < ∞.
Questa stessa formula dimostra che P(f ) è una funzione che appartiene
ad L1 dell’intervallo [0, 1] ed è prolungata periodicamente su tutto R. Si può
parlare dunque dei coefficienti di Fourier di Pf , definiti come
Z
1
[)(n) =
P(f
0
P(f )(x) e−2πinx dx.
(44)
56
Nel seguito ci sarà necessario ricorrere più volte alle traslate fy (x) =
f (x − y) di una funzione. Per questo converrà introdurre gli operatori di
traslazione τy f (x) = f (x − y), ricordando che questi operatori sono, in virtù
dell’invarianza per traslazioni dell’integrale, isometrie in tutti gli spaziLp e
che vale la formula
Fτy (f )(λ) = e−2πiλy F(f )(λ).
(45)
Ecco un risultato inaspettato sulle funzioni periodicizzate:
Proposizione 3 . Se f ∈ L1 (R) e φ = P(f ) è la sua periodicizzata, allora
per ogni intero n,
[)(n).
fˆ(n) = φ̂(n) = P(f
dimostrazione. Osserviamo che per ogni intero n converge assolutamente
quasi ovunque la serie
∞
X
f (x + k)e−2πinx .
k=−∞
In effetti la serie converge assolutamente, e quindi semplicemente, nella norma di L1 ([0, 1)) in quanto, posto en (x) = e−2πinx
Z
∞ Z 1
∞
X
X
|f (x + k)| dx =
|f (x)| dx,
kf−k en k1 =
k=−∞
k=−∞
R
0
Poiché l’integrale è un funzionale continuo su L1 ([0, 1)) possiamo scambiare
la somma con l’integrale e scrivere (tenuto conto del fatto che e2πink = 1 per
ogni k ed n):
Z 1 X
∞ Z 1
∞
X
−2πinx
f (x + k)e−2πinx dx =
φ̂(n) =
f (x + k)e
=
0 k=−∞
∞ Z
X
k=−∞
1
k=−∞
0
Z
−2πin(x+k)
f (x + k)e
dx =
0
R
f (x)e−2πinx dx = fˆ(n).
Questa importante uguaglianza tra i coefficienti di Fourier del periodicizzato di una funzione integrabile ed i valori sugli interi della trasformata di
Fourier della stessa funzione, ci conduce alla cosiddetta formula di somma di
Poisson:
Proposizione 4 Sia f ∈ S, allora
∞
X
n=−∞
f (n) =
∞
X
−∞
fˆ(n).
0.12. DODICESIMA LEZIONE
57
dimostrazione. Sia
φ(x) =
∞
X
f (x + k),
k=−∞
il periodicizzato di f . La Proposizione 3 ci fornisce lo sviluppo in serie di
Fourier (assolutamente convergente per l’ipotesi su f )
φ(x) =
∞
X
fˆ(n)e2πinx .
n=−∞
Ponendo x = 0 si ottiene allora il risultato enunciato.
Corollario 20 . Se f ∈ S allora
∞
X
fˆ(k) e−2πikx =
k=−∞
∞
X
f (x + k).
k=−∞
dimostrazione.Basta applicare la proposizione precedente alla funzione
f−x (y) = f (y + x).
Bisogna osservare che l’ipotesi che f ∈ S è eccessiva. In realtà, per la
Proposizione ed il suo Corollario, basta supporre che φ(0) risulti ben definita
e che la serie di Fourier di φ converga in zero.
Definizione 14 . Se c > 0 indichiamo con Bc lo spazio
{f ∈ L1 (R) : fˆ(λ) = 0, per|λ| > c}.
Lo spazio Bc si chiama anche classe di Paley-Wiener con frequenza di taglio
c.
.
Un esempio di funzione appartenente a B1 è la funzione
(
sin(πx) 2
),
πx
dove il valore della funzione in zero è ovviamente uno. Si tratta, come è
subito visto di una funzione in L1 , la cui trasformata di Fourier è la funzione
triangolare con base l’intervallo [−1, 1] e altezza uno. Osserviamo che, in
generale, Bc consiste di funzioni di L1 la cui trasformata di Fourier è una
funzione continua che si annulla fuori di un compatto. Pertanto anche la
trasformata di Fourier di un elemento di Bc è in L1 ed è applicabile il teorema
di inversione. Inoltre gli elementi di Bc sono infinitamente differenziabili
perché Df = F∗ (Mf ) ed Mf ∈ L1 .
58
P
Lemma 24 Se f ∈ Bc allora il periodicizzato Pf (x) = k f (x + k) è un
polinomio
trigonometrico. Cioè per qualche intero non negativo n, Pf (x) =
Pn
2πikx
c
e
.
k=−n k
c (k) = fˆ(k). Poiché
dimostrazione. Sappiamo dalla Proposizione 3 che Pf
c (k) = 0 per |k| > c.
f ∈ Bc , risulta fˆ(λ) = 0 per |λ| > c. Ne segue che Pf
Corollario 21 Se f ∈ Bc allora
∞
X
k=−∞
e
∞
X
∞
X
fˆ(k) =
f (k),
k=−∞
∞
X
fˆ(k) e−2πikx =
k=−∞
f (x + k).
k=−∞
dimostrazione. La funzione f è continua quindi per ogni x è ben definito
il valore f (x). Inoltre
Pf (x) =
∞
X
f (x + k),
k=−∞
è un polinomio trigonometrico e cioè per qualche intero non negativo n,
Pf (x) =
n
X
fˆ(k)e2πikx .
k=−n
Questo significa che la serie di Fourier di Pf ha un numero finito di addendi
e quindi converge in tutti i possibili sensi. Vale quindi la formula di Poisson
∞
X
f (k) = Pf (0) =
k=−∞
X
fˆ(k),
k
analogamente vale la formula di Poisson per la funzione traslata fx (y) =
f (x + y) che ci fornisce la seconda identità.
Introduciamo ora una funzione importante:
Definizione 15 . La funzione che vale uno in zero e vale
sin πs
,
πx
se x 6= 0 si chiama ”seno cardinale di x” e si indica con sinc x.
0.12. DODICESIMA LEZIONE
59
In realtà abbiamo già visto il quadrato di questa funzione, che è una
funzione integrabile, mentre sinc x non lo è.
Lemma 25 . La funzione sinc λ è la trasformata di Fourier della funzione
caratteristica χ[− 1 , 1 ] (x) dell’intervallo [−1/2, 1/2].
2 2
.dimostrazione E’ sufficiente calcolare direttamente:
Z 1/2
sin πx
e−2πiλx dx =
.
πλ
−1/2
Per convenienza tipografica indicheremo nel seguito la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2] con χ 1 .
2
Teorema 22 . Se f ∈ B1/2 e sinc t =
f (x) =
∞
X
sin πt
,
πt
allora
f (k) sinc(x − k).
(46)
k=−∞
dimostrazione. Prima di trattare la dimostrazione formale di questo teorema, e per capirne la portata ed il significato, proviamo ad applicare la
trasformata di Fourier ai due lati della (46) scambiando anche la trasformata
con la somma. Il risultato è:
fˆ(λ) =
∞
X
∞
X
f (k)F(τk sinc)(λ) =
f (k)e−2πikλ χ 1 .
2
(47)
k=−∞
k=−∞
Osserviamo che fˆ(λ) può essere sviluppata in serie di Fourier come funzione definita sull’intervallo [−1/2, 1/2] che assume valori uguali agli estremi
(possiamo pensare ad un suo prolungamento periodico su R come funzione
continua.)
Questo sviluppo ha come coefficienti F(fˆ))(k) = f (−k). La serie di Fourier di fˆ periodicizzata, che certamente converge in L2 ([0, 1]) ( e quindi in L2
di qualsiasi compatto), sarebbe quindi:
∞
X
k=−∞
f (−k)e
2πikλ
=
∞
X
f (k)e−2πikλ .
k=−∞
Questo sivluppo, naturalmente concerne la periodicizzazione di fˆ ed è
valido solo se |λ| ≤ 1/2. Per renderlo valido su tutto R bisogna moltiplicare
ambo i lati per la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si ottiene
cosı̀ esattamente la (47).
60
Questo significa che se si applica la trasformata di Fourier ai due lati della
(46) per ottenere la (47), si ottiene una identità valida almeno nel senso di
L2 (poiché a destra e sinistra dell’uguale ci sono funzioni che sono zero per
|λ| > 0, l’identità in L2 dell’intervallo implica la stessa identità in L2 (R.)
Per concludere la dimostrazione basta dimostrare che è lecito passare alla
trasformata di Fourier e che la (46) si verifica punto per punto.
0.13
TREDICESIMA LEZIONE
Ricordiamo che dobbiamo dimostrare, per ogni funzione f ∈ B1/2 lo sviluppo
in serie di Whittaker
∞
X
f (x) =
f (k) sinc(x − k).
(48)
k=−∞
Ci servirà il seguente Lemma
Lemma 26 . Esiste un numero M > 0 tale che per ogni x ∈ R
ψ(x) =
∞
X
(sinc(x − k))2 ≤ M.
k=−∞
dimostrazione. Osserviamo che la serie converge per ogni x. Infatti se x ∈
/
Z la serie converge perché il termine k-esimo è asintoticamente confrontabile
con 1/k 2 . Se invece x = n ∈ Z per qualche n allora,
ψ(n) =
∞
X
(sinc(n − k))2 = 1 +
X
(sinc(n − k))2 = 1,
k6=n
k=−∞
dal momento che sinc(x) si annulla su tutti gli interi diversi da zero. Osserviamo che (sinc x)2 appartiene a L1 e la sua trasformata di Fourier χ 1 ∗ χ 1 è
2
2
una funzione triangolare che ha supporto in [−1, 1] (per non appesantire la
notazione abbiamo indicato con χ 1 la funzione caratteristica dell’intervallo
2
[−1/2, 1/2]). Pertanto (sinc x)2 ∈ B1 e ψ che è la periodicizzata di (sinc(x))2
è un polinomio trigonometrico. Ne segue che ψ è limitata in quanto funzione
continua e periodica.
Esercizio 10 . Dimostrare che
ψ(x) =
∞
X
(sinc(x − k))2 ,
k=−∞
è la funzione indenticamente uno.
0.13. TREDICESIMA LEZIONE
61
dimostrazione della formula (48)
Consideriamo prima di tutto la funzione fˆ(λ) che è una funzione continua
che si annulla fuori dell’intervallo [−1/2, 1/2]. La funzione che si ottiene
periodicizzando fˆ(λ) è:
∞
X
φ(λ) =
fˆ(λ + k),
k=−∞
che, naturalmente è periodica di periodo uno e coincide con fˆ(λ) nell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si noti che poiché fˆ si annulla fuori di questo intervallo,
per ogni λ solo un termine della somma è diverso da zero: quello per il quale
λ ∈ [k − 1/2, k + 1/2]. In altre parole la ”periodicizzazione” della funzione
fˆ(λ) è semplicemente la estensione periodica della funzione stessa.
Possiamo esprimere φ attraverso la sua serie di Fourier (che convergerà
in L2 dal momento che φ è continua). Possiamo quindi scrivere
∞
X
φ(λ) =
φ̂(k)e2πikλ ,
k=−∞
dove
Z
1/2
φ̂(k) =
fˆ(ω)e−2πkω dω.
−1/2
ˆ
Osserviamo che φ̂(k) = fˆ(k) = f (−k). Pertanto la successione f (k) risulta
di quadrato sommabile, e, rispetto alla convergenza in L2 ([−1/2, 1/2)), e per
|λ| ≤ 1/2 si ha
∞
X
fˆ(λ) =
2πikλ
f (−k)e
k=−∞
=
∞
X
f (k)e−2πikλ .
k=−∞
Questa identità vale solo per |λ| ≤ 1/2. Tuttavia la possiamo trasformare
in una identità che vale per ogni λ moltiplicando ambo i lati per la funzione
caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si ottiene allora,
fˆ(λ) =
∞
X
f (k)e−2πikλ χ 1 (λ).
2
(49)
k=−∞
Ricordiamo che χ 1 = F−1 (sinc), e che, essendo la funzione χ 1 pari, Fχ 1 =
2
2
2
F−1 χ 1 . Introduciamo anche gli operatori di traslazione τy f (x) = f (x − y).
2
Ricordiamo a questo punto che Fτk u(λ) = e−2πikλ Fu. Pertanto
e−2πikλ χ 1 (λ) = F−1 (τk sinc)(−λ) = F(τk sinc(λ).
2
62
Pertanto la (49) diviene
fˆ(λ) =
∞
X
f (k)F−1 (τk sinc(−λ)
k=−∞
La serie converge in L2 perché l’identità (49) vale in L2 . La trasformata di
Fourier è una isometria in L2 (R) e pertanto, passando alla trasformata di
Fourier si ottiene:
f (−x) =
∞
X
f (k)τk sinc(−x) =
k=−∞
∞
X
f (k) sinc(−x − k).
k=−∞
Da cui, come identità in L2 si ottiene,
∞
X
f (x) =
f (k) sinc(x − k).
k=−∞
Resta da dimostrare che questa identità vale punto per punto. Basta a questo
proposito dimostrare che la serie
∞
X
f (k) sinc(x − k),
k=−∞
converge uniformemente in x. Osserviamo che la successione f (k) è di
quadrato sommabile, pertanto facendo uso del Lemma 26,
X
X
X
(sinc(x − k))2 ))1/2 ≤
(f (k))2 )1/2 (
|f (k)|| sinc(x − k)| ≤ (
|k|≥n
|k|≥n
M 1/2 (
X
|k|≥n
(f (k))2 )1/2 ,
|k|≥n
che tende a zero dal momento che la successione f (k) è di quadrato sommabile.
Per dimostrare il prossimo risultato ci servirà il lemma seguente.
Lemma 27 . Se f ∈ L1 (R) e α > 0 e g(x) = f (αx), allora
ĝ(λ) =
1ˆλ
f ( ).
α α
. dimostrazione La dimostrazione è immediata valutando l’integrale dopo
il cambiamento di variabile t = αx.
0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE
63
Corollario 23 . Per ogni ω0 > 0, f ∈ Bωo e x ∈ R, vale la seguente formula
di ricostruzione dei dati, a partire dai valori campionati {f ( 2ωk 0 ) : k ∈ Z}:
f (x) =
∞
X
f(
k=−∞
k
) sinc(2ω0 x − k)
2ω0
(50)
dimostrazione. Posto g(x) = f ( 2ωx0 ), risulta che g ∈ B1/2 . Si applica
pertanto a g la formula (48), pertanto:
g(x) =
∞
X
g(k) sinc(x − k),
k=−∞
che, in virtù del Lemma 27, equivale alla formula
∞
X
k
x
f(
f(
)=
) sinc(x − k).
2ω0
2ω
0
k=−∞
Posto y =
x
,
2ω0
e quindi x = 2ω0 y, si ottiene quindi
f (y) =
∞
X
k=−∞
f(
k
) sinc(2ω0 y − k),
2ω0
che è esattamente la (50), con y al posto di x.
0.14
QUATTORDICESIMA LEZIONE
In questa lezione vogliamo tornare su esempi importanti di distribuzioni
temperate, cioè di elementi di S 0 .
Ricordiamo che gli elementi di S 0 sono chiamati distribuzioni temperate
o, per noi, semplicemente distribuzioni, dal momento che in questo corso
verranno trattate solo distribuzioni temperate.
Osserviamo innanzitutto che lo spazio S è immerso con continuità negli
spazi Lp con 1 ≤ p ≤ ∞. Questo significa non solo che S ⊂ Lp , ma che
l’immersione è continua: se fn converge ad f in S allora fn converge ad f in
Lp . Ne segue l’importante conseguenza che ogni funzionale lineare definito e
continuo su Lp (nella norma di Lp ) dà luogo ad un elemento di S 0 . Per il caso
p = ∞ possiamo dire qualcosa di più. Infatti S è immerso con continuità
nello spazio C0 delle funzioni continue che si annullano all’infinito, che si
identifica con un sottospazio chiuso di L∞ . Il duale di C0 è lo spazio delle
misure complesse limitate, e pertanto anche queste misure danno luogo ad
64
elementi di S 0 . Tra queste misure ci sono anche le misure definite da un
elemento di L1 . E’ per questo che tutti gli elementi di Lp possono essere
associati ad elementi di S 0 .
I funzionali ereditati dagli spazi Lp e dallo spazio C0 non esauriscono S 0 ,
come prova l’importante esempio che abbiamo trattato nella decima lezione
e cioè il cosiddetto treno di impulsi, cioè il funzionale che associa ad un
elemento f ∈ S il numero complesso
∞
X
F (f ) =
f (n),
n=−∞
Abbiamo dimostrato che si tratta di un funzionale continuo e cioè che se
fn ∈ S converge ad f nella metrica di S, allora F (fn ) converge ad F (f ). In
altre parole abbiamo dimostrato che F ∈ S 0 lo spazio di tutti i funzionali
lineari e continui definiti su S.
Il treno di impulsi può essere visto come una misura, che tuttavia si
guarda bene dall’essere limitata. E’ la misura che associa ad un sottoinsieme
della retta reale il numero degli interi in esso contenuto (ed infinito, se tale
numero è infinito).
Nello spazio S 0 delle distribuzioni temperate è possibile e naturale definire
una nozione di convergenza (e quindi una topologia), secondo la seguente
definizione.
Definizione 16 Si dice che una successione di distribuzioni Fn ∈ S 0 converge, nel senso delle distribuzioni, ad una distribuzione F ∈ S 0 se per ogni
f ∈ S risulta limn F (fn ) = F (f ).
Ad esempio, come abbiamo visto nella decima lezione, la successione
FN (f ) =
N
X
f (n),
n=−N
converge, nel senso delle distribuzioni al treno di impulsi richiamato sopra.
A questo proposito è però opportuno richiamare un risultato sugli spazi
di Fréchet che si applica ad S che è uno spazio di Fréchet.
Proposizione 5 Sia Fn una successione di distribuzioni, appartenenti ad
S 0 , e supponiamo che per ogni f ∈ S esista il limite limn Fn (f ) = F (f ),
allora F è un funzionale lineare e continuo, cioè un elemento di S 0 .
Non daremo la dimostrazione di questa proposizione nota come ”principio
di uniforme limitatezza”. Osserviamo che la proposizione è valida per tutti
0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE
65
gli spazi di Fréchet cioè gli spazi vettoriali topologici localmente convessi la
cui topologia può essere descritta attraverso una metrica invariante completa.
E’ opportuno fornire altri importanti esempi di distribuzioni temperate.
Osserviamo che possono essere identificate con distribuzioni temperate
tutte le funzioni localmente integrabili (cioè integrabili su ogni compatto)
che abbiano una crescita polinomiale.
In altre parole:
Osservazione 10 Se h è una funzione integrabile su ogni sottoinsieme compatto e se esiste un intero positivo k ed un numero B tali che |h(x)| ≤
B(1 + |x|k , allora
Z
Th (f ) =
R
h(x)f (x)dx,
definisce una distribuzione temperata.
Per convincersi che l’osservazione precedente è vera, basta rendersi conto
che l’integrale che definisce Th (f ) converge assolutamente in quanto
|h(x)f (x)| ≤ B(1 + |x|k )C(1 + |x|)−k−2 ≤ B 0 (1 + |x|)−2 ,
dove abbiamo usato il fatto che f va a zero più velocemente di (1 + |x|)−k−2 .
Per mostrare la continità di Th si utilizza il teorema di convergenza
dominata di Lebesgue.
Un altro esempio di elemento di S 0 è fornito, come abbiamo già visto,
dall’integrale
Z
Th (f ) =
h(x)f (x)dx,
R
1
dove h è un elemento di L . Questo non è un caso particolare del precedente
esempio perché non tutte le funzioni di L1 sono a crescita polinomiale, esiste
ad esempio una funzione integrabile su tutta la retta, continua e non negativa
che vale 2|n| sugli interi.
Un altro esempio importante è fornito dal valore principale di un integrale
singolare. L’esempio canonico parte dalla funzione 1/x che, come è noto non è
integrabile su tutta la retta né in senso improprio, né rispetto all’integrazione
secondo Lebesgue. Se f ∈ S ha senso però considerare il limite
Z ∞
Z ∞
Z −ε
f (x) − f (−x)
f (x)
f (x)
dx+
dx = lim
dx. (51)
P V (f ) = lim
ε→0 ε
ε→0+ −∞
x
x
x
ε
L’ultimo limite esiste perché, per qualche ξ ∈ (−x, x)
|
f (x) − f (−x)
| = |f 0 (ξ)| ≤ B,
2x
(52)
66
dove B è un maggiorante (su tutto R) della derivata prima di f .
E’ facile vedere che la (51) defnisce un funzionale lineare su S. Per dimostrare che si tratta di un funzionale continuo e quindi di un elemento di
S 0 ci si può appellare alla Proposizione 5 ponendo, ad esempio ε = 1/n. E’
possibile anche dimostrare direttamente la continuità del funzionale definito
dalla (51), considerando separatamente i funzionali:
Z
1
P V1 (f ) = lim
ε→0
e
Z
ε
∞
P V2 (f ) =
1
f (x) − f (−x)
dx,
x
f (x) − f (−x)
dx,
x
la cui somma ci fornisce il funzionale definito da (51).
Osserviamo che, per f ∈ S, |P V1 (f )|, in virtù della (52), è maggiorato da
una costante che moltiplica il massimo del modulo della derivata di f , cioè
|P V1 (f )| ≤ B1 maxξ |f 0 (ξ)|. Questo basta per dimostrare la continuità di
P V1 , in quanto il massimo del modulo della derivata è una delle seminorme
che definiscono la convergenza in S. Per dimostrare la continuità di P V2 ,
riscriviamolo come
Z ∞
x(f (x) − f (−x))
P V2 (f ) =
dx.
x2
1
Risulta a questo punto evidente che |P V2 (f )| è maggiorato da una costante
che moltiplca il massimo di |xf (x)|, cioè |P V2 (f )| ≤ B2 maxx |xf (x)|. Ma
anche maxx |xf (x)| è una delle seminorme che definiscono la convergenza in
S. Ne segue che anche P V2 è continuo e che P V che è la somma di P V1 e
P V2 è pure continuo.
Nella decima lezione abbiamo già definito attraverso la (55) il funzionale
che abbiamo chiamato treno di impulsi dimostrandone direttamente la continuità. Ricordiamo che questo funzionale è definito, per f ∈ S dalla formula:
∞
X
f (n).
n=−∞
La serie converge perché |f (n)| ≤ B(1 + n2 )−1 . Come abbiamo già visto alla
decima lezione, questo elemento di S 0 può essere visto come la serie
∞
X
n=−∞
δn ,
0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE
67
dove δn (f ) = f (n). E’ possibile considerare serie analoghe dove al posto di δn
si hanno altre misure? Un esempio importante a questo proposito è il treno
d’onde quadre, che ci accingiamo a trattare.
Introduciamo prima di tutto, per 1 < α, l’operatore di dilatazione Λα f (x) =
f (αx) Si tratta ovviamoente di un operatore invertibile che agisce sullo spazio
L1 . Risulta anche
Z
Z
1
f (αx)dx =
f (x)dx.
α R
R
Pertanto l’operatore f 7→ αf (αx) risulta isometrico in L1 .
Per semplicità tipografica indiciamo con χ la funzione caratteristica χ[0,1]
dell’intervallo chiuso [0, 1]. Per α > 1 consideriamo la funzione χα (x) = Λα χ.
Si tratta di una funzione non negativa di integrale 1/α, che ha supporto
nell’intervallo [0, 1/α]. Il treno d’onde quadre di durata α, è la serie dei
traslati
∞
X
τn χα ,
n=−∞
che agisce su un elemento f ∈ S come
∞ Z
X
n=−∞
R
f (x)χα (x + n)dx.
(53)
Perché questa formula abbia senso dobbiamo osservare che le funzioni hanno
supporto disgiunto. Pertanto la serie
∞
X
χα (x + n),
n=−∞
converge puntualmene(ma non uniformemente!). Infatti le somme parziali di
questa serie soddisfano alla condizione
N
X
n=−N
χα (x + n) ≤
N
+1
X
χα (x + n).
−N −1
La decrescenza rapida di f ci consente di commutare la somma con l’integrale.
Ne risulta l’integrale di f moltiplicato per una funzione misurabile e limitata.
Resta da dimostrare che il funzionale cosı̀ definito è continuo. Per questo
osserviamo che se fn converge nella metrica di S ad f , allora converge anche
nella norma L1 . Il funzionale, essendo degerminato da una funzione limitata
è continuo in L1 e pertanto il suo valore su fn converge al suo valore su f .
68
Un altro esempio si ottiene considerando il treno di onde quadre normalizzate, che sarebbe il funzionale determinato dalla funzione
∞
X
Ξα = α
τn χα .
n=−∞
Anche questa si riduce ad una funzione in L∞ e pertanto definisce un
elemento di S 0 .
Un altro elemento da considerare è quello associato alle traslate della
2
gaussiana ϕ(x) = e−πx , o meglio alle traslate della dilatata ϕα (x) della
gaussiana, dove α > 1 e ϕα (x) = ϕ(αx).
Consideriamo quindi la serie di funzioni
∞
X
∞
X
τn ϕα (x) =
n=−∞
ϕα (x + n) =
n=−∞
∞
X
e−πα
2 (x−n)2
,
(54)
n=−∞
e dimostriamo che le somme parziali convergono come elementi di S 0 .
L’azione di questa serie sul generico elemento f ∈ S è data da
F (f ) =
∞ Z
X
n=−∞
R
f (x)ϕα (x + n)dx.
che possiamo riscrivere come
F (f ) =
∞ Z
X
n=−∞
R
f (x + n)ϕα (x)dx.
Per dimostrare che il funzionale F è ben definito e continuo basterà far vedere
che la serie (54) converge uniformemente sui compatti e definisce quindi una
funzione continua e limitata (e periodica di periodo uno).
Fissiamo un intero positivo N e consideriamo, nell’intervallo chiuso [−N.N ]
il termine generale della serie,
e−πα
2 (x−n)2
.
Osserviamo che se |n| > N il massimo (su tutta la retta reale) di questo
termine, è raggiunto fuori dell’intervallo [−N, N ], e quindi il massimo sull’intervallo è raggiunto in uno degli estremi, e precisamente in N se n > N e in
−N se n < N . Pertanto se |n| > N il valore massimo del termine generale è
2 (N −n)2
e−πα
.
0.15. QUINDICESIMA LEZIONE
La serie numerica
X
69
e−πα
2 (N −n)2
,
|n|>N
converge e pertanto converge uniformemente su [−N, N ], la serie
X
e−πα
2 (x−n)2
.
|n|>N
Ne segue che converge uniformemente su [−N.N ] anche la serie (54).
Vale forse la pena di osservare che la convergenza della serie (54) non è
uniforme su tutta la retta reale: se lo fosse convergerebbe ad una funzione
che si annulla all’infinito, mentre è evidente che converge ad una funzione
periodica di periodo uno.
0.15
QUINDICESIMA LEZIONE
Abbiamo visto che ogni funzione h localmente integrabile (cioè integrabile
su ogni insieme compatto) e a crescita polinomiale (cioè |h(x)| ≤ B(1 + x2k )
per qualche intero posirivo k) definisce attraverso la formula
Z
Th (f ) =
f (x)h(x)dx,
R
un elemento di S 0 . Lo spazio S 0 ”contiene” quindi tutte le funzioni a crescita
polinomiale, ma, ovviamente contiene anche molto di più.
Con ”abuso di linguaggio”, identificheremo spesso la distribuzione Th con
la funzione h.
Abbiamo anche visto che nello spazio S 0 delle distribuzioni sono definiti
gli operatori lineari e continui di
1. derivazione:
DF (f ) = −F (Df ),
2. moltiplicazione per una funzione h infinitalmente differenziabile a crescita polinomiale
(Mh F )(f ) = F (hf ),
3. trasformata di Fourier
FF (f ) = F (F(f ).
70
E’ importante osservare che la trasformata di Fourier su S 0 risulta un
isomorfismo (iniettivo e surgettivo) continuo. La continuità discende naturalmente dalla continuità della trasformata di Fourier su S. Ma anche la
surgettività si può provare allo stesso modo. Si osserva infatti che se F ∈ S 0 ,
allora F (F−1 f ) definisce un elemento di S 0 , il cui trasformato di Fourier è
esattamente F . Similmente si prova l’iniettività, a partire dalla surgettività
della trasformata di Fourier su S: se FF = 0, allora per tutti gli f ∈ S,
risulterebbe F (Ff ) = 0, che per la surgettività di F in S significa F = 0.
Come esempio calcoliamo ora la trasformata di Fourier della misura di
Dirac δ0 , osservando che
Z
b
ˆ
ˆ
δ0 (f ) = δ0 (f ) = f (0) =
f (x)dx,
R
In altre parole l’azione di δb0 su S 0 si riduce alla moltiplicazione per la funzione
identicamente uno seguita dall’integrazione. Possiamo pertanto identificare
δb0 con la distribuzione
Z
T1 =
R
f (x)dx.
Analogamente l’azione di δbx si riduce alla moltiplicazione per la funzione (di
λ, per x fissato) e−2πiλx seguita dalla integrazione:
Z
b
ˆ
ˆ
δx (f ) = δx (f ) = f (x) =
f (λ)e−2πiλx dλ
R
Risulta quindi naturale che la distribuzione
∞
X
δn ,
n=−∞
abbia trasformata di Fourier
∞
X
e−2πinλ
n=−∞
Ricordiamo che nella Nona Lezione abbiamo osservato che se M è l’operatore (definito e a valori in S) di moltiplicazione per il polinomio di primo
grado 2πix e D è l’operatore di derivazione, sussistono le seguenti importanti
formule (37) e (38) di commutazione con la trasformata di Fourier F:
F(Df ) = M(Ff ),
0.15. QUINDICESIMA LEZIONE
71
e
DF(f ) = −F(M(f )).
Queste formule si trasferiscono automaticamente su S 0 , dove sono ben
definiti gli operatori M, F e D. Basta osservare, ad esempio, che se F ∈ S 0 ,
ed f è un generico elemento di S 0 ,
F (F(Df )) = F (M(Ff )),
che, essendo questa formula valida per ogni f , equivale a dire che
F(DF ) = M(FF ).
Analogamente possiamo stabilire che, se F ∈ S 0 ,
DF(F ) = −F(M(F )
Forti di queste formule calcoliamo ora la trasformata di Fourier della derivata
di δ0 . Vediamo che
FD(δ0 ) = M1,
dove 1 è la funzione identicamente uno. In altre parole
Z
FD(δ0 )f =
2πixf (x)dx.
R
Allo stesso modo si dimostra che
FD(δy ) = Me−2πixy ,
e cioè
Z
FD(δy )f =
R
2πixe−2πixy f (x)dx.
Introduciamo ora la nozione di supporto di una distribuzione.
Definizione 17 . Il supporto di un elemento F ∈ S 0 è il complemento del
più grande insieme aperto U tale che se l’insieme {x : f (x) 6= 0} ⊂ U , ne
segue che F (f ) = 0.
Per capire la definizione, dato F ∈ S 0 , bisogna considerare la famiglia
dei sottoinsiemi aperti U di R che soddisfano alla condizione: ”Se f ∈ S è
nulla fuori di U allora F (f ) = 0”. Questa famiglia non è vuota perché vi
appartiene almeno l’insieme vuoto. L’unione di tutti gli insiemi appartenenti
a questa famiglia è un insieme aperto. Il suo complemento è il supporto di
F.
72
E’ evidente che il supporto di una distribuzione è un insieme chiuso.
E’l’insieme vuoto se solo se F è la distribuzione nulla.
Non bisogna dimenticare che il supporto di una distribuzione è chiuso,
anche se la distribuzione è in realtà una misura ”portata” da un insieme più
piccolo.
Ecco un esempio illuminante. Sia {rn } una numerazione dei razionali.
Definiamo la distribuzione:
F (f ) =
∞
X
f (rn )
n=1
2n
.
Allora il supporto di F è tutta la retta reale. Per dimostrare che questa
formula definisce in effetti una distribuzione temperata (cioè un funzionale
lineare e continuo definito su S si può ricorrere al principio di uniforme
limitatezza o oppure fornire una dimostrazione diretta.
Ci sono molti casi in cui il supporto di una distribuzione si riduce ad un
solo punto. Introduciamo a questo proposito il sottospazio lineare generato
dalle derivate di δ0 , cioè lo spazio di tutte le combinazioni lineari
n
X
ck Dk δ0 .
k=1
E’ chiaro che queste disrribuzioni hanno supporto nel punto 0. Infatti se
un elemento di S Infatti se U è un aperto non contente lo zero ed f si annulla
fuori di U risulteranno zero tutte le derivate di f nel punto zero. L’unione
di tutti gli aperti non contenenti lo zero è il complemento del singoletto {0}
e pertanto il supporto di queste distribuzioni è lo stesso singoletto.
Osserviamo che a trasformata di Fourier applicata agli elementi di questo
spazio fornisce lo spazio di tutti i polinomi su R. L’omomorfismo è dato dalla
corrispondenza
n
n
X
X
k
ck D δ0 7→
(2πi)k ck xk .
k=1
k=1
Sussiste un risultato più generale sulle distribuzioni che hanno supporto in
un punto:
Proposizione 6 Le distribuzioni con supporto sull’unico punto x0 ∈ R sono
tutte e solo le serie
∞
X
ck Dk δx0 ,
k=1
convergenti nel senso delle distribuzioni.
0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE
73
Introduciamo ora la nozione di convoluzione di distribuzioni temperate.
Definizione 18 La covoluzione di un elemento f ∈ S ed un elemento G ∈ S 0
è definita come la trasformata inversa del prodotto MfˆĜ. Scriviamo quindi:
f ∗ G = F−1 (fˆĜ)
Osserviamo che f ∗ δx = τx f . Infatti δbx = e−2πxy , mentre τd
x f (y) =
e
fˆ(y).
Vale la pena di osservare che la convoluzione di un elemento di f ∈ S ed
un elemento G ∈ S 0 può essere definita in altro modo e cioè come
−2πixy
G ∗ f (x) = G(τx f˜),
dove f˜(x) = f (−x), per definizione. Ci riserviamo di dimostrare successivamene che le due definizioni sono equivalenti. Per ora facciamo riferimento
a libro di W. Rudin, ”Functional Analysis” (prima edizione 1973) Definition
7.18, pag. 178. Certamente le due definizioni coincidono quando G = δx .
0.16
SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA
LEZIONE
Prima di trattare ancora il treno di impulsi e la sua trasformata di Fourier,
vogliamo ritornare sul trasferimento ad S 0 di alcuni operatori che abbiamo
definito su S.
L’operatore Λα , con α > 0, è definito su S 0 come
Λα f (x) = f (αx).
Pertanto
Z
Z
Z
1
f (x)Λα g(x)dx =
f (x)g(αx)dx =
f (x/α)g(x)dx.
α R
R
R
In coerenza con questa definizione per un elemento F ∈ S 0 definiamo
Λα F (f ) =
1
F (Λ1/α f ).
α
Ricordiamo anche che
1
Λ1/α Ff,
α
come si ricava subito dalla definizione di trasformata di Fourier, con un
semplice cambiamento di variabile.
Vogliamo ora estendere quest’ultimo risultato ad S 0 .
Vogliamo cioè dimostrare il seguente risultato
F(Λα f ) =
74
Teorema 24 . Se α > 0 e F ∈ S 0 ,
1
Λ1/α FF.
α
F(Λα F ) =
dimostrazione.
(FΛα F )(f ) = (Λα F )(Ff ) =
1
F (Λ1/α Ff ) = F (F(Λα f ) =
α
1
Λ1/α (FF )(f ).
α
Ricordiamo anche che Fτx F = e−2πyx FF .
A questo proposito ricordiamo che la moltiplicazione di una distribuzione
F per una funzione infinitamente differenziabile a crescita polinomiale ( come
è ad esempio la funzione della variabile y definita da e−2πixy ) è definita come
h(x)F (f ) = F (hf ). In particolare se F = δt per qualche reale t si ottiene
che hδt (f ) = h(t)f (t).
Ci proponiamo ora di studiare la trasformata di Fourier di una importante
distribuzione che abbiamo già visto nelle lezioni precedenti, e cioè il ”treno
di impulsi”. Partiamo quindi dalla distribuzione:
F(F )(Λα f ) =
K=
∞
X
δn
(55)
n=−∞
che agisce sugli elementi di S come
K(f ) =
∞
X
f (n).
n=−∞
Secondo le nostre definizioni la trasformata di Fourier di K è la distribuzione K̂, definita dalla relazione
K̂(f ) = K(fˆ).
In altre parole si ottiene:
K̂(f ) =
∞
X
fˆ(n).
n=−∞
Ma per gli elementi di S vale la formula di Poisson dimostrata nella Proposizione 4, si ha quindi per ogni f ∈ S l’eguaglianza
∞
X
n=−∞
f (n) =
∞
X
n=−∞
fˆ(n).
0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE
75
Questo significa che K̂ = K.
Vale la pena di esaminare più da vicino questo risultato. Siamo abituati
ad identificate una funzione h con la distribuzione cui dà luogo, cioè con la
distribuzione
Z
Th (f ) =
R
f (x)h(x)dx.
Da questo punto di vista è lecito identificare δˆn con la funzione e−2πinx . Siamo
quindi condotti a identificare la trasformata di Fourier del treno di impulsi
con la serie:
∞
X
e−2πinx .
n=−∞
Questa serie, ovviamente si guarda bene dal convergere puntualmente, ma
converge nel senso delle distribuzioni, converge cioè per ogni f ∈ S la serie
K̂(f ) =
∞ Z
X
n=−∞
R
f (x)e
−2πinx
=
∞
X
fˆ(n).
n=−∞
La formula di somma di Poisson ha cosı̀ una interpretazione nel senso
delle distribuzioni, che si può riassumete nel seguente risultato.
Teorema 25 Nel senso dele distribuzioni vale l’uguaglianza
∞
X
∞
X
δbn =
n=−∞
δn .
n=−∞
.
Possiamo dedurre dal precedente teorema un altro risultato:
Lemma 28 Sia f una funzione integrabile con supporto in [−1/2, 1/2] e sia
h(x) =
∞
X
f (x + n),
n=−∞
la funzione periodica di periodo uno ottenuta periodicizzando la f . Allora la
distribuzione associata a ĥ è discreta e precisamente:
Tĥ =
∞
X
n=−∞
fˆ(n)δn .
76
dimostrazione. Osserviamo che f (x − n) = τn f (x) = δn ∗ f (x). Perciò
∞
X
h(x) =
f (x + n) =
n=−∞
∞
X
δn ∗ f (x).
n=−∞
Pertanto, con la convergenza nel senso delle distribuzioni,
ch =
T
∞
X
δbn fˆ =
n=−∞
∞
X
n=−∞
∞
X
δn fˆ =
fˆ(n)δn .
n=−∞
Corollario 26 . Se f è una funzione integrabile con supporto nell’intervallo
[−τ /2, τ /2] ed
∞
X
h(x) =
f (x + nτ ),
−∞
è la funzione periodica di periodo τ ottenuta periodicizzando la f , allora
Tĥ =
∞
X
fˆ(n/τ )δn/τ .
−∞
dimostrazione. Osserviamo che se l’operatore di dilatazione su S definito
da Λα f (x) = f (αx), viene esteso a S 0 dalla formula
Λα F (f ) =
risulta allora
1
F (Λ1/α f ),
|α|
1
Λd
Λ1/α F̂ .
αF =
|α|
In particolare per ogni τ > 0, si verifica che
F(Λ1/τ K) = τ Λτ FK.
Queste formule ci consentono automaticamente di estendere il risultato
del Lemma al caso in cui il periodo sia τ 6= 1.
Per α > 1 abbiamo anche considerato il treno di onde quadre normalizzate
Ξα =
∞
X
ατn χα ,
(56)
n=−∞
dove χα (x) = χ(x) e χ = χ[−1/2,1/2] è la funzione caratteristica dell’intervallo
[−1/2, 1/2].
0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE
77
Osserviamo che le funzioni αχα per α → +∞ formano una identità approssimata, cioè convergono, nel senso delle distribuzioni, alla distribuzione
δ0 . Ne segue che le funzioni ατn χα convergono nel senso delle distribuzioni
a δ−n . E’ plausibile quindi che per α → ∞ il treno di onde quadre (56)
converga al treno di impulsi.
In effetti, se f ∈ S, allora
Ξα (f ) =
Z
∞
X
Z
f (x)dx,
n−1/2α
n=−∞
La media
n+1/2α
α
n+1/2α
α
f (x)dx,
n−1/2α
è un valore compreso tra il massimo ed il minimo della funzione continua f
nell’intervallo [n − 1/2α, n + 1/2α]. Pertanto esiste un punto ξα,n in questo
intervallo, tale che
Z n+1/2α
f (x)dx.
f (ξα,n ) = α
n−1/2α
Possiamo quindi scrivere
Ξα (f ) =
∞
X
f (ξα,n ).
n=−∞
Osserviamo che al tendere di α all’infinito, ξα,n → n. Possiamo quindi
applicare il teorema della convergenza dominata di Lebesgue per le serie,
a condizione di trovare una successsione sommabile che ”domina” tutte le
successioni f (ξα,n ). Tale è la successione dei massimi
an = max{|f (x)| : |x − n| ≤ 1/2}.
Osserviamo che an è sommabile a causa della decrescenza rapida di f , infatti,
an = |f (cn )|, per qualche n − 1/2 ≤ cn ≤ n + 1/2, per cui, per qualche B, in
virtù della decrescenza rapida di f
an = |f (cn )| ≤
B
B
≤
.
2
1 + cn
1 + (n − 1/2)2
In conclusione
lim Ξα (f ) =
α→∞
∞
X
n=−∞
f (n) = K(f ).
78
0.17
DICIOTTESIMA LEZIONE
In questa lezione vogliamo rivisitare il teorema del campionamento di Shannon il quale assrisce che se f ∈ L1 , e la sua trasformata di Fourier fˆ è zero
fuori dell’intervallo [−T /2, T /2], allora (formula di Shannon ( 50))
f (x) =
∞
X
f (kT ) sinc(x/T − k).
(57)
k=−∞
In particolare per T = 1 si ha la formula di Whittaker (46.
∞
X
f (x) =
f (k) sinc(x − k),
(58)
k=−∞
Naturalmente queste due formule restano vere quando il supporto di fˆ è più
piccolo di quello indicato nelle ipotesi. Tutto cambia invece se il supporto di
fˆ deborda dall’intervallo di riferimento che è [−T /2, T /2] per la formula di
Shannon con il caso particolare T = 1 per la formula di Whittaker.
Per capire, almeno qualitativamente, che cosa succede se il passo di ricostruzione del dato f (kT ) non è sufficientemente fitto cioè se T non è
abbastanza grande perché [−T /2, T /2] contenga il supporto di fˆ, conviene
rivedere la dimostrazione, ad esempio, della formula di Whittaker, utilizzando, anziché la trasformata di Fourier in L2 , la trasformata di Fourier delle
distribuzioni.
Rivediamo prima di tutto a grandi linee la dimostrazione della formula di
Whittaker che utilizza la trasformata di Fourier in L2 (che è una isometria
ed è quindi invertibile).
1. Si osserva che fˆ è una funzione continua a supporto in un intervallo di
lunghezza uno di centro l’origine. Pertanto può essere prolungata ad
una funzione periodica di periodo uno, attraverso la somma (dove per
ogni λ c’è un solo addendo):
X
Pf (λ) =
fˆ(λ + n)
n∈
.
Z
2. Si osserva che Pf è una funzione continua e periodica e che pertanto
ammette una serie di Fourier che converge nella norma di L2 ([−1/2, 1/2]).
c (n) sono esattamente i valori
3. Si osserva che i coefficienti di Fourier Pf
f (−n) e che pertanto per |λ| ≤ T /2 vale l’uguaglianza (in L2 ([−1/2, 1/2])):
X
X
fˆ(λ) =
f (−n)e2πinλ =
f (n)e−2πinλ
Z
n∈
n∈
Z
0.17. DICIOTTESIMA LEZIONE
79
4. Si osserva che questa uguglianza vale per tutti i λ reali se si moltiplicano ambo i lati dell’uguaglianza per la funzione charatteristica χ
dell’intervallo [−1/2, 1/2], e che la moltiplicazione di P fˆ per questa
funzione, ci restituisce esattamente fˆ e quindi dalla precedente formula
si ottiene (nel senso della uguaglianza come elementi di L2 (R),
X
fˆ(λ) =
f (n)e2πinλ χ[ −1 , 1 ]
2
Z
n∈
2
5. Si osserva che e2πnλ χ[ −1 , 1 ] è la trasformata di Fourier inversa in L2 (R
2 2
di sinc(x − n) e applicando la trasformata di Fourier inversa all’ultima
eguaglianza si ottiene:
X
f (x) =
f (n) sinc(x − n).
n∈
Z
6. Infine si dimostra che questa uguaglianza vale punto per punto perché
la serie converge uniformemente. (SiP
applica la disguaglianza di Cauchy
Schwarz, la convergenza dellaP
serie n∈Z |f (n)|2 , ed il fatto che risulta
identicamente uno la somma n∈Z (sinc(x − n))2 .
Per capire le distorsioni che intervengono nella formula di Whittaker o in
quella di Shannon quando il supporto di fˆ deborda dall’intervallo di periodicità, conviene analizzare questa dimostrazione da un altro punto di vista,
cercando cioè di arrivare allo stesso risultato attraverso la trasformata di
Fourier delle distribuzioni anziché attraverso la trasformata di Fourier nello
spazio L2 .
Partiamo ansiché dalla funzione f dal dato ottenuto calcolando f in una
griglia di passo T . Possiamo per semplicità prendere T = 1 e considerare la
distribuzione
X
fK =
f (n)δn ,
n∈
Z
dove K è il treno di impulsi. Ricordando che il treno di impulsi è la sua
stessa trasformata di Fourier, possiamo considerare la trasformata di Fourier
di f K che sarà
X
fˆ ∗ δn = fˆ ∗ K.
fd
K = fˆ ∗ K̂ =
Z
n∈
Osserviamo che fˆ∗K è esattamente la periodicizzazione di fˆ, cioè la funzione
periodica i cui coefficienti di Fourier sono f (−n). Questa funzione periodica
coincide esattamente con fˆ non appena la si moltiplica per la funzione caratteristica di [−1/2, 1/2]. L’applicazione della trasformata di Fourier inversa a
questo prodotto, ci restituirà quindi i valori di f .
80
Che succede, invece, se invece il supporto di fˆ non è contenuto nell’intervallo di periodicità? Succede che fˆ ∗ K non è più la periodicizzazione di
fˆ, perché i traslati secondo τn di fˆ, cioè le funzioni fˆ ∗ δn si sovrappongono
almeno parzialmente.
Dobbiamo ricordare che nelle applicazioni spesso l’unico dato disponibile
è proprio il camionamento {fˆ(n)} e non sappiamo, a priori, se questo dato
corrisponde ad una funzione di Bc con c sufficientemente piccolo.
faremo qui una osservazione che valorizza il significato della teoria delle
distribuzioni, cosı̀ apparentemente astratta.
Tradizionalmente la teoria delle serie di Fourier e la teoria dell’integrale
di Fourier hanno sviluppi separati. La prima tratta le funzioni definite su
un intervallo limitato [−T /2, T /2], che per convenienza vengono estese come
funzioni periodiche di periodo T a tutta la retta reale. Un modo alternativo di definire le funzioni considerate ai fini della espansione in serie di
Fourier è quello di dotare l’intervallo [−T /2, T /2) (o qualsiasi altro intervallo semiaperto e di uguale lunghezza) di una operazione di somma che lo
renda un gruppo compatto commutativo isomorfo (ed omeomorfo) attraverso la trasformazione t 7→ e2πix/T al gruppo dei numeri complessi di modulo
uno. Queto aproccio ci porta naturalmente ad estendere la teoria delle serie
di Fourier ai gruppi compatti commutativi ed anche non commutativi. In
questo contesto, invece la teoria degli integrali di Fourier riguarda funzioni
definite su un gruppo localmente compatto e commutativo, ma decisamente
non compatto, quale è il gruppo addittivo di R. La naturale estensione di
questa teoria ci porta a considerare funzioni definite su gruppi localmente
compatti, abeliani e non abeliani.
All’interno della teoria delle distribuzioni siamo invece condotti su una
strada diversa. Una funzione definita su tutto R e periodica di periodo T
non è certo integrabile su tutto R (a meno che non sia identicamente nulla), non avrebbe senso quindi considerarne la trasformata classica di Fourier
come si applica alle funzioni integrabili. Tuttavia una funzione periodica sufficientemente regolare (ad esempio localmente integrabile) definisce una distribuzione temperata per la quale ha senso parlare di trasformata di Fourier,
nel senso delle distribuzioni. Naturalmente in questo senso la trasformata
di Fourier di una funzione periodica è una distribuzione, ed è in effetti una
distribuzione del tipo: fˆK1/T , dove K1/T è un treno di impulsi
K1/T =
X
n∈
Z
δn/T .
In altre parole la trasformata di Fourier di una funzione periodica local-
0.18. DICIANNOVESIMA LEZIONE
81
mente integrabile, altro non è che
X
fˆ(n/T ) δn/T .
Z
n∈
0.18
DICIANNOVESIMA LEZIONE
Abbiamo visto che le funzioni periodiche possono essere trattate all’interno
della teoria delle distribuzioni. E’ possibile cioè definirne la trasformata di
Fourie, che risulterà una distribuzione discreta equispaziata. In particolare
se il periodo è uno la trasformata di Fourier di una funzione periodica è una
distribuzione del tipo:
∞
X
ˆ
fK =
fˆ(n)δn .
n=−∞
Viceversa ad una distribuzione discreta equispaziata del tipo
∞
X
cn δn ,
n=−∞
corrisponde, nell’ipotesi che la successione cn sia di quadrato sommabile, una
funzione periodica di periodo uno in L2 di un intervallo di periodicità.
C’è un altro argomento che potrebbe essere similmente trattato all’interno della teoria delle distribuzioni e cioè quello delle successioni periodiche,
cioè delle successioni {cn }n∈Z per le quali esiste un intero positivo N tale
che cn+N = cn . Tuttavia queste successioni, intese cone funzioni periodiche
su Z possono essere trattate direttamente in un contesto che valorizza la
somiglianza con le serie di Fourier classiche, e lascia anche intravedere altre
generalizzazioni.
Per affrontare lo studio di queste successioni premettiamo qualche elemento di teoria dei gruppi commutativi, limitandoci a considerare quasi soltanto
gruppi con i quali siamo famigliari e cioè i gruppi (rispetto alla somma) R e
Z ed i loro sottogruppi e gruppi quozienti.
Definizione 19 Un gruppo commutativo è un insieme sul quale è definita
una operazione generalmente (ma non sempre) indicata con + che è associativa (x + (y + z) = (y + x) + z), commutativa (x + y = y + x), per la quale
esiste un elemento neutro 0 con la proprietà che x + 0 = x, e tale che per
ogni elemento x esista l’opposto −x con la proprietà che x + (−x) = 0.
E’ naturale porre x + (−y) = x − y, dopo di che si vede subito che le
proprietà che richiediamo sono godute dalla operazione di somma nel nostro
82
esempio canonico che è il gruppo Z. Ma anche R è un gruppo commutativo rispetto alla somma, ed in effetti tutti gli spazi vettoriali sono gruppi
commutativi rispetto alla somma.
Non è difficile definire che cosa è un sottogruppo H di un gruppo G. E’
un sottoinsieme che risulta un gruppo rispetto alla stessa operazione di G in
altre parole è un sottoinsieme che contiene lo 0 e tale che e x, y ∈ H allora
x − y ∈ H.
Tra i sottogruppi di un gruppo commutativo G si devono anche annoverare il sottogruppo banale H = {0} ed il sottogruppo totale H =
G.
Si vede subito che Z è un sottogruppo di R e che tutti i sottogruppi di Z
sono semplicemente i multipli di un intero. Cioè se H è un sottogruppo di Z
allora esiste un intero n ∈ Z, tale che H = {kn : k ∈ Z}.
Un po’ più difficile è svolgere il seguente esercizio
Esercizio 11 . Se H è un sottogruppo chiuso di R ed è H 6= R allora esiste
un numero reale non negativo κ tale che H = {nκ : n ∈ Z}.
A partire da un sottogruppo H di un gruppo commutativo G è possibile
definire un altro gruppo che si chiama gruppo quoziente e si indica in generale
con G/H.
Si osserva prima di tutto che il sottogruppo H dà luogo ad una relazione
di equivalenza tra gli elementi di G e cioè la relazione
x − y ∈ H,
che è, come è subito visto, riflessiva (x−x = 0 ∈ H) simmetrica (se x−y ∈ H
allora y − x ∈ H) e transitiva ( se x − y ∈ H e y − z ∈ H allora x − z =
(x − y) + (y − z) ∈ H.
Gli elementi del gruppo G/H sono le classi di equivalenza di questa relazione. Ogni classe di equivalenza può scriversi come x+H = {x+y : y ∈ H}
e la somma di due classi di equivalenza x + H e y + H è semplicemente la
classe x + y + H.
Lasciamo al lettore la verifica che in questo modo si definisce una struttura
di gruppo in G/H. Guardiamo invece piuttosto ad un caso concreto.
Consideriamo il gruppo Z ed un suo sottogruppo H = {nk : k ∈ Z} = nZ,
dove n è un intero positivo. La relazione di equivalenza definita da questo
sottogruppo è semplicemente:
h=k
mod n,
che dà luogo ad n classi di equivalenza: quella dei multipli interi di n, quella
dei multipli interi di n più uno, quella dei multipli interi di n più due, e cosı̀
0.18. DICIANNOVESIMA LEZIONE
83
via fino a quella dei multipli interi di n più n − 1. Il gruppo cosı̀ ottenuto che
si indica spesso con Zn , è un gruppo di n elementi, che si può identificare con
gli elementi dell’insieme {0, 1, . . . n − 1} dotato della operazione di somma
”modulo n”. Gli elementi da 0 a n−1 possono essere intesi come ”rappresentanti” delle classi di equivalenza, ma al loro posto possono essere scelti come
rappresentanti delle classi di equivalenza anche altri n interi consecutivi.
E’ da notare che ogni funzione definita su Zn , che corrisponde ovviamente
ad una successione finita, può essere estesa periodicamente a tutto Z. Basta
dichiararla costante su ognuna delle classi di equivalenza. Si otterrà a questo
punto una funzione periodica, di periodo n, definita su Z cioè una successione
periodica di periodo n.
I gruppi Zn si chiamano anche gruppi ciclici di ordine n.
Un esempio profondamente analogo a quello appena esposto è fornito dal
gruppo R in relazione ad un suo sottogruppo chiuso. Abbiamo detto, anche
se la dimostrazione è stata lasciata ad un esercizio, che un sottogruppo chiuso
di R che non sia tutto R e non si riduca allo zero è costituito da tutti i multipli
interi di un numero reale κ. Per semplicità possiamo supporre che κ = 1 nel
qual caso il sottogruppo chiuso è proprio Z (un’altra scelta molto comune è
κ = 2π). Il gruppo R/Z consiste delle classi di equivalenza x+Z. E’ evidente
che possiamo scegliere il rappresentante x della classe di equivalenza x + Z
nell’intervallo (−1/2, 1/2] ovvero nell’intervallo (0, 1] o in qualsiasi intervallo
semiaperto di lunghezza uno. Ogni funzione definita sul gruppo quoziente
R/Z può essere estesa a tutto R dichiarandola costante su ognuna delle classi
di equivalenza x + Z. Si otterrà allora una funzione periodica di periodo uno
definita su tutto R. Viceversa una funzione costante sulle classi di equivalenza
è ovviamente periodica di periodo uno.
In altre parole la teoria delle serie di Fourier per funzioni periodiche di
periodo κ altro non è che lo studio delle funzioni definite sul gruppo R/κZ.
Dobbiamo introdurre un altro concetto importante, quello di omomorfismo ed isomorfismo tra gruppi commutativi.
Definizione 20 . Se G1 e G2 sono due gruppi commutativi si chiama omomorfismo di G1 in G2 una trasformazione φ di G1 in G2 che soddisfa alla
condizione:
φ(x − y) = φ(x) − φ(y).
Si chiama nucleo dell’omomorfismo il sottogruppo {x ∈ G1 : φ(x) = 0}.
Un omomorfismo si dice isomorfismo se è iniettivo e surgettivo, o, equivalentemente se è surgettivo ed il suo nucleo si riduce allo zero.
Osserviamo che secondo la definizione che abbiamo dato un omomorfismo potrebbe non essere surgettivo, mentre un isomorfismo è per definizione
84
iniettivo e surgettivo. Tuttavia se l’omomorfismo tra G1 e G2 è iniettivo ma
non surgettivo, l’immagine di G1 sarà un sottogruppo H di G2 e ne risulterà
un isomorfismo tra G1 e H.
Lasciamo al lettore di verificare che se H è un sottogruppo di G la rasformazione x 7→ x + H è un omomorfismo di G su G/H il cui nucleo è
H.
Pure di facile verifica è che la composizione di due omomorfismi è un
omomorfismo e che l’inverso di un isomorfismo è un isomorfismo.
Vediamo alcuni importanti esempi di isomorfismi. L’insieme dei numeri
reali positivi R+ è un gruppo rispetto alla moltiplicazione. La funzione log x è
un isomorfismo continuo di questo gruppo sul gruppo (rispetto alla somma)
R. Viceversa la funzione exp x è un isomorfismo continuo del gruppo R
(rispetto alla somma) sul gruppo R+ (rispetto alla moltiplicazione).
A questo punto vale la pena di considerare il gruppo T = {z ∈ C : |z| = 1}
dei numeri complessi di modulo uno. Si tratta di un gruppo commutativo,
rispetto alla moltiplicazione dei numeri complessi.
La trasformazione x 7→ e2πix è un omomorfismo continuo di R su T, il cui
nucleo è esattamente Z.
Analogamente la trasformazione x 7→ e2πix/T è un omomorfismo di R su
T il cui nucleo è esattamente T Z, cioè il gruppo dei multipli interi di T .
Osserviamo infine che tutti i sottogruppi chiusi non banali e non totali
di R sono isomorfi al gruppo degli interi Z e che sono pure isomorfi tutti i
gruppi quozienti R/T Z. Per convincersi di quest’ultima osservazione basta
osservare che se T > 0 la trasformazione e2πix 7→ e2πix/T è un isomorfismo di
T su T. Equivalentemente si può verificate che la trasformazione x 7→ x/T
è un isomorfismo di R su R che induce l’isomorfismo x + Z 7→ x/T + T Z di
R/Z su R/T Z.
La situazione è solo parzialmente analoga se si parte dal gruppo Z perché
è ben vero che i sottogruppi non banali di Z sono tutti isomorfi, ma è anche
vero che i gruppi quozienti Zn = Z/nZ non sono affatto isomorfi perché sono
gruppi finiti di cardinalità diversa.
Introduciamo ora le ”radici dell’unità”, come sottogruppi di T.
Supponiamo che n sia un intero positivo. Ci proponiamo di trovare tutti
i numeri complessi z tali che z n = 1. Osserviamo che se si scrive z in forma
,
polare z = ρeiθ l’equazione z n = 1 diventa ρn = 1, ed nθ = 2kπ, cioè θ = 2kπ
n
n
con k ∈ Z. L’unico numero positivo rho che soddisfi a ρ = 1 è proprio ρ = 1.
Gli infiniti k possibili, forniscono solo n valori distinti, per eiθ . Questi valori
sono assunti per k = 0, 1, . . . n − 1, o qualsiasi altra successione di n interi
positivi. Ne segue che le n radici dell’unità sono:
2π
4π
1, ei n , ei n . . . ei
2(n−1)π
n
.
0.19. VENTESIMA LEZIONE
85
Sul piano complesso questi n numeri corrispondono ai vertici di un poligono
regolare di n lati iscritto nella circonferenza di centro l’origine e raggio uno,
quando uno dei vertici corrisponde al numero uno (cioè al punto (1, 0)).
Osserviamo che le radici n-esime dell’unità formano un sottogruppo di T.
Non è difficile osservare che questo sottogruppo è isomorfo a Zn .
Abbiamo a questo punto concluso i nostri richiami alla teoria dei gruppi.
Ricodiamo tuttavia che noi ci siamo limitati a considerare gruppi commutativi. Molte delle cose che abbiamo detto si applicano anche ai gruppi non
commutativi. Tuttavia mentre anche nel caso non commutativo ha senso
considerare lo spazio quoziente G/H di un gruppo G rispetto ad un sottogruppo H, non sempre è possibile dare a questo quoziente una struttura di
gruppo. Ricordiamo anche che per gruppi non commutativi è usuale indicare
l’operazione di gruppo come un prodotto anziché come una somma.
0.19
VENTESIMA LEZIONE
Torniamo ora ai gruppi che ben conosciamo R, Z, T e ai loro sottogruppi,
per utilizzare, con riferimento a questi gruppi, la seguente definizione.
Definizione 21 Un omomorfismo di un gruppo commutativo G a valori nel
gruppo T dei numeri complessi di modulo uno si è detto carattere del gruppo
G. Nel caso in cui G sia un gruppo topologico si richiede che un carattere
sia continuo.
Enunciamo qui dei fatti che non saranno tutti dimostrati. Ci limiteremo
a dimostrarli solo nei casi discreti.
1. i caratteri di R sono gli omomorfismi x 7→ eλ (x) = e2πiλx , al variare di
λ∈R
2. i caratteri di Z sono gli omomorfismi n 7→ ex (n) = e2πinx al variare di
x ∈ [0, 1).
3. i caratteri di T sono gli omomorfismi z 7→ z n al variare di n ∈ Z.
4. i caratteri di R/Z sono gli omomorfismi x 7→ en (x) = e2πinx al variare
di n ∈ Z.
5. i caratteri di Zn sono gli omomorfismi h 7→ e2πikh/n al variare di k =
0, 1, . . . n − 1. O, equivalentemente, al variare di k in un insieme di n
interi consecutivi.
86
Poiché i gruppi T e R/Z sono isomorfi attraverso l’isomorfismo x 7→ e2πix
i corrispondenti caratteri risultano gli stessi, a meno di questo isomorfismo.
Questo significa, nella sostanza che l’enunciato 3 e l’enunciato 4 sono la stessa
cosa.
Si osservi pure che i caratteri di Zn possono anche essere espressi come
h 7→ (e2πih/n )k . In altre parole una volta identificato l’elemento h ∈ Zn con
la sua immagine come radice n-esima dell’unità, l’applicazione del carattere
consiste semplicemente nell’elevare alla potenza k questa immagine.
Infine osserviamo che l’insieme dei caratteri di un gruppo commutativo
ha sempre una naturale struttura di gruppo commutativo con l’operazione
(γ + γ 0 )(g) = γ(g)γ 0 (g). Questo gruppo si chiama gruppo dei caratteri.
Dimostreremo tra poco che il gruppo dei caratteri di Zn è isomorfo al gruppo
delle radici n-esime dell’unità e cioè allo stesso Zn . Osserviamo anche che il
gruppo dei caratteri di R è isomorfo ad R. Infatti l’isomorfismo (continuo) è
determinato da λ 7→ e2πiλx .
Dimostriamo ora che i caratteri di Z sono quelli cosı̀ specificati. Osserviamo che se ϕ è un carattere, allora ϕ(1) ∈ T. Cioè ϕ(1) = e2πix
per qualche x ∈ [0, 1). La proprietà dell’omomorfismo ci fornisce allora
ϕ(n) = (ϕ(1))n = e2πinx che è quello che si voleva dimostrare.
Una dimostrazione analoga vale per il gruppo Zn che è pure generato
dall’elemento 1. Se ϕ è un carattere allora ϕ(1) = e2πix e ϕ(n) = 1. Pertanto
2πnx = 2πk per qualche k. ne segue che x = k/n. Cioè ϕ(1) = e2πik/n . Al
variare di k si hanno solo n valori distinti di ϕ(1) che sono forniti prendendo
i valori di k da 0 a n − 1. Infine ϕ(h) = ϕ(1)h = e2πihk/n , che è quanto si
voleva dimostrare.
Osserviamo che la corrispondenza γ 7→ γ(1) stabilisce un isomorfismo tra
cn dei caratteri di Zn ed il gruppo delle radici n-esime dell’unità
il gruppo Z
cioè Zn stesso. Infatti γ1 (1)γ2 (1) = (γ1 − γ2 )(1).
Rinviamo per ora la dimostrazione dei casi non discreti e cioè quelli
elencati ai numeri 1, 3 e 4.
Vogliamo invece discutere il parallelismo tra l’analisi armonica sul gruppo
Zn , sul quale si trattano le successioni periodiche di periodo n ed il gruppo
R/Z sul quale si trattano le funzioni periodiche di periodo uno.
Ricordiamo che le funzioni definite sul gruppo finito Zn possono essere
considerate come elementi (vettori) di uno spazio vettoriale complesso di
dimensione n cioè Cn . Definiamo in questo spazio il prodotto interno (normalizzato)
n−1
(f, g) =
1X
f (k)g(k).
n k=0
0.19. VENTESIMA LEZIONE
87
Per le funzioni definite sul gruppo infinito (ma compatto) R/Z il prodotto
interno è definito invece come
Z 1/2
(f, g) =
f (x)g(x) dx,
−1/2
Nel caso appunto delle serie di Fourier il primo passo consisteva nel dimostrare che i caratteri, cioè le funzioni e2πinx cotituivano un sistema ortonormale. Faremo lo stesso per il caso del gruppo Zn . Dobbiamo dimostrare che
se γ1 e γ2 sono caratteri distinti del gruppo, allora (γ1 , γ2 ) = 0 mentre invece
se coincidono il prodotto interno è uguale ad uno. Osserviamo che per ogni
k ∈ {0, 1, . . . k − 1} considerato come elemento di Zn , esiste un ”opposto”
k 0 tale che k + k 0 = 0 mod n. Un rappresentante di questo ”opposto” è
naturalmente fornito da k 0 = n − k. Se applichiamo a k un carattere per
avere γ(k) ne risulterà 1 = γ(k)γ(k 0 ) e pertanto γ(k 0 ) = γ(k). Consideriamo
ora due caratteri γ1 e γ2 . Allora, tenuto conto che la somma è invariante per
la traslazione in Zn ,
n−1
γ1 (k)(γ1 , γ2 ) =
n−1
1X
1X
γ1 (k + j)γ2 (j) =
γ1 (j)γ2 (k 0 + j) =
n j=0
n j=0
n−1
n−1
X
1X
1
0
γ1 (j)γ2 (k )γ2 (j) = γ2 (k)
γ1 (j)γ2 (j) = γ2 (k)(γ1 , γ2 ).
n j=0
n
j=0
Questo vale per ogni elemento k ∈ Zn . ne segue che se γ1 non è identico a γ2
deve essere (γ1 , γ2 ) = 0. Il fatto che un carattere abbia norma uno discende
dal fatto che il modulo di un carattere è uno e che il prodotto interno è stato
normalizzato in modo che la norma di un vettore costante uguale ad uno sia
uno.
La dimostrazione che abbiamo dato si applica anche a gruppi abeliani
finiti diversi dai gruppi Zn . Nel caso dei gruppi Zn c’è un altro modo di
dimostrare che i caratteri di Zn sono ortogonali tra loro, che è forse più vicino
al modo in cui abbiamo dimostrato che i caratteri di R/Z sono ortogonali.
Ricordiamo, appunto, che per dimostrare che le funzioni e2πikx e e2πihx
sono ortogonali tra loro nello spazio L2 ([−1/2, 1/2)) abbiamo semplicemente
osservato che se 0 6= h−k la funzione e2πi(h−k)x ha integrale zero. Nello stesso
spirito per dimostrare che i caratteri di Zn sono ortogonali basta mostrare
che se γ è un carattere di Zn che non è identicamente uguale ad uno, allora
n−1
1X
γ(k) = 0.
n k=0
88
In altre parole basta mostrare che la somma delle n radici n-esime dell’unità
è sempre
P zero. Questo è vero per ”ragioni di simmetria”. Infatti, posto
z = n−1
k=0 γ(k) risulta
γ(1)z = e
2πi
n
n
X
z=
γ(k) = z.
k=1
Poiché γ(1) 6= 1, questo significa che z = 0.
Abbiamo ora che gli n caratteri del gruppo Zn sono un sistema ortonormale. Poiché la dimensione dello spazio vettoriale delle funzioni definite su
Zn è proprio n, i caratteri formano una base ortonormale. Se f è una funzione
definita su Zn possiamo definire il coefficiente di Fourier relativo al carattere
γ come
1 X
fˆ(γ) =
f (k)γ(k),
n k∈Z
n
e dedurne il teorema di inversione
f (k) =
X
fˆ(γ)γ(k),
Z
γ∈ c
n
cn l’insieme dei caratteri.
dove abbiamo indicato con Z
Vale anche la formula di Plancherel
kf k2 =
X
1 X
|fˆ(γ)|2 .
|f (k)|2 =
n k∈Z
Z
γ∈ c
n
n
Questa formula si deduce immediatamente dal fatto che i vettori fˆ(γ)γ sono
ortogonali e che, in uno spazio di Hilbert, la norma al quadrato della somma
di vettori ortogonali è la somma delle norme al quadrato dei vettori. Infatti,
come si può immediatamente verificare se u⊥v, allora ku+vk2 = kuk2 +kvk2 .
0.20
VENTUNESIMA LEZIONE
Nel contesto dei gruppi finiti ed in particolare Zn è possibile anche definire la
convoluzione tra due funzioni. Se f e g sono funzioni definite su Zn definiamo
la convoluzione come:
n−1
1X
f (k − j)g(j).
f ∗ g(k) =
n j=0
0.20. VENTUNESIMA LEZIONE
89
Risulta allora che
f[
∗ g(γ) = fˆ(γ)ĝ(γ).
Infatti
n−1
n−1
1X1X
f (k − j)g(j)γ(k) =
f[
∗ g(γ) =
n k=0 n j=0
n−1
n−1
1X1X
f (k − j)g(j)γ(k − j)γ(j) =
n k=0 n j=0
n−1
n−1
1X1X
f (k − j)γ(k − j)g(j)γ(j).
n j=0 n k=0
Ma
n−1
1X
f (k − j)γ(k − j)g(j) = fˆ(γ),
n k=0
per l’invarianza della somma rispetto alla traslazione. Concludiamo quindi
che
f[
∗ g(γ) = fˆ(γ)ĝ(γ).
Abbiamo visto che le funzioni a valori complessi definite su Zn altro non
sono che gli elementi di Cn cioè dello spazio lineare complesso di dimensione
n. Sugli elementi f di questo spazio possiamo definire gli operatori Lu di
convoluzione come Lu f = u ∗ f dove u è un altro elemento di Zn e la convoluzione è quella definita su Zn . Il risultato che abbiamo appena stabilito ci
dice che tutti gli operatori Lu sono simultaneamente diagonizzabili rispetto
alla base che è costituita dai caratteri di Zn .
Può essere interessante osservare anche che gli operatori di convoluzione
sono tutti e solo gli operatori che commutano con le traslazioni. Che una
convoluzione commuti con le traslazioni si può direttamente verificare, vale
inoltre la seguente proposizione.
Proposizione 7 Sia L una trasformazione lineare di Cn in sé che soddisfa
alla condizione
Lτk = τk L,
per ogni k ∈ Zn , dove τk f (h) = f (h − k). Allora esiste u ∈ Cn tale che, per
ogni f ,
Lf = u ∗ f.
90
dimostrazione. Osserviamo che se γ è un carattere, allora τk γ = γ(k)γ.
Perciò se L commuta con gli operatori τk deve risultare Lγ(k+h) = γ(k)Lγ(h).
Per h = 0 si ha dunque Lγ(k) = γ(k)Lγ(0). Sia cγ = Lγ(0), risulta allora
Lγ = cγ γ. Poniamo
X
u=
cγ γ.
γ
In altre parole sia u la trasformata di Fourier inversa della funzione γ 7→ cγ .
Allora, se f ∈ Cn ,
X
u∗f =
cγ fˆ(γ)γ = Lf.
γ
Abbiamo ora due basi diverse per lo spazio Cn . La prima è la cosiddetta
base canonica che possiamo indicare con {δk : k = 0, . . . n − 1}. La seconda
è costituita dai caratteri γ1 , . . . γn , dove γk (h) = γk (1)h e γk (1) = e2πik/n . Un
elemento di una base può esprimersi come combinazione lineare di elementi
dell’altra base. Si applica cioè la trasformata di Fourier a δk e la trasformata
di Fourier inversa a γk . Cosı̀ δb0 è il vettore le cui componenti sono tutte uno
e, in generale:
δbk (γh ) = γh (1)k = e2πihk/n .
Questo significa che posto w = e2πi/n , la matrice della trasformata di Fourier
è la matrice, simmetrica, la cui prima colonna ha componenti tutte uguali
ad uno e la cui colonna k-esima è costituita dalle potenze da 0 a n − 1 di wk .
Ricordiamo ora la formula di Plancherel, dandole una forma più concreta.
n−1
X
X
1 X
2
2
ˆ
|fˆ(γk )|2 .
kf k =
|f (k)| =
|f (γ)| =
n k∈Z
k=0
2
n
Z
γ∈ c
n
Come abbiamo già visto questa formula è semplicemente una conseguenza
della ortogonalità della base {γk = k = 0, . . . n − 1}.
Ricordiamo a questo proposito che abbiamo definito il prodotto interno
(f, g) in Cn , come
n−1
1X
(f, g) =
f (k)g(k).
n k=0
La divisione per n prima della somma ci serve per ottenere che i caratteri
γk risultino ortonormali, cioè di norma uno anziché di norma n. Anche la
convoluzione di due funzioni definite su Zn è definita con una somma normalizzata. Può succedere però che sia conveniente definire una convoluzione non
0.20. VENTUNESIMA LEZIONE
91
normalizzata, cioè una operazione ∗˙ tra due funzioni definita semplicemente
come:
n−1
X
˙
f ∗g(k)
=
f (k − j)g(j) = n(f ∗ g)(k).
j=0
In effetti vale, ad esempio la formula
˙
fcg(γ) = fˆ∗ĝ(γ).
L’aver identificato lo spazio Cn con lo spazio delle funzioni definite sul
gruppo Zn , ci consente di definire in questo spazio la nozione di ”parità”.
Facciamo naturalmente riferimento alla operazione di somma (e quindi di
opposto e di differenza) nel gruppo Zn . Diciamo allora che una funzione f
definita in questo gruppo è ”pari” se f (k) = f (−k). (Possiamo naturalmente
identificare −k con n − k.) Diremo inece che f è dispari se f (−k) = −f (k).
La nozione di parità si applica alle funzioni definite su qualsiasi gruppo
commutativo, in particolare, si applica al gruppo dei caratteri di Zn (che è
isomorfo a Zn ). Possiamo quindi chiederci quando si verifica che la trasformata di Fourier fˆ di una funzione è pari. Poiché l’operazione di gruppo tra
i caratteri corrisponde alla moltiplicazione dei numeri complessi di modulo
uno dove il coniugato corrisponde all’inverso, questa domanda si riduce a
chiederci quando è che
n−1
n−1
1X
1X
f (k)γ(k) =
f (k)γ(k) = fˆ(γ).
fˆ(γ) =
n k=1
n k=0
Poiché γ(k) = γ(−k), è evidente che questo avviene, per tutti i γ se e solo se
f è pari. Vale quindi la seguente osservazione.
Osservazione 11 . Se f è pari allora fˆ è pari e viceversa. Se f è dispari,
allora fˆ è dispari e viceversa.