analisi di fourier - Dipartimento di Matematica Tor Vergata
Transcript
analisi di fourier - Dipartimento di Matematica Tor Vergata
ANALISI DI FOURIER A. Figà Talamanca 1 giugno 2011 2 0.1 PRIMA LEZIONE Definizione 1 Una funzione f definita sull’insieme R dei numeri reali e a valori nei numeri complessi si dice periodica di periodo T 6= 0, se per ogni numero reale x ∈ R risulta f (x + T ) = f (x). Il numero T si dice periodo della funzione f . Come è noto le funzioni cos x e sin x, e con esse, la funzione a valori complessi, eix = cos x + i sin x, sono periodiche di periodo 2π. Sono anche periodiche le funzioni composte f (cos x) ed f (sin x) dove f è una qualsiasi funzione definita sull’intervallo [−1, 1]. Non sono però necessariamente periodiche le funzioni composte cos(f (x)) e sin(f (x)), se f è una funzione definita su R. Ad esempio le funzioni sin x2 e cos x2 non sono periodiche. Esercizio 1 Se f è una funzione continua e periodica, allora f è uniformemente continua. Osserviamo che se T è un periodo per f lo è anche kT per ogni k ∈ Z, ed inoltre f (T ) = f (kT ). Infatti l’insieme dei periodi di una funzione periodica costituisce, assieme allo zero, un sottogruppo del gruppo addittivo dei numeri reali.(Un sottoinsieme di R è un ”sottogruppo del gruppo addittivo dei numeri reali” se contiene lo zero e comunque presi due elementi a e b del sottoinsieme l’elemento a − b appartiene pure al sottoinsieme). Esercizio 2 Sia f una funzione definita su R e a valori complessi e sia P = {T : f (x + T ) = f (x), ∀x ∈ R}. Dimostrare che P è un sottogruppo di R (cioè dimostrare che P contiene lo zero, e che dati due elementi S e T appartenenti a P , l’elemento S − T appartiene a P ). Se f è una funzione periodica allora il sottogruppo P come definito nell’Esercizio 2, non è banale, contiene cioè almeno un elemento T diverso da zero, passando eventualmente a −T possiamo supporre che T > 0. A questo punto possiamo chiederci se esiste sempre un periodo positivo minimo. La risposta, in generale è no. Ad esempio se f è la funzione caratteristica dell’insieme dei numeri razionali, cioè la funzione che vale uno sui numeri razionali e zero sui numeri irrazionali, allora ogni numero razionale positivo è un periodo di f . Naturalmente la funzione caratteristica dei razionali non è continua. Ed infatti possiamo dimostrare il seguente esercizio. 0.1. PRIMA LEZIONE 3 Esercizio 3 Se f è una funzione continua, non costante e periodica, allora f ammette un periodo positivo minimo. Per dimostrare l’enunciato dell’Esercizio 3 supponiamo per assurdo che f non abbia un periodo positivo minimo. In questo caso l’estremo inferiore dei periodi positivi non può che essere zero, (perché un tale estremo inferiore, se diverso da zero, sarebbe un periodo, perché il limite diverso da zero di una successione convergente di periodi di una funzione continua è un periodo). Osserviamo allora che, in questo caso, per ogni δ > 0 si può trovare un periodo positivo Tδ < δ. Questo significa che f (kTδ ) = f (hTδ ), per tutti gli interi k, h ∈ Z. Se f non è costante esistono punti a e b tali che f (a)−f (b) = ε > 0. Usando l’uniforme continuità di f (Esercizio 1) si può trovare δ > 0 tale che |f (x) − f (y)| < ε/2, se |x − y| < δ. Ma per qualche intero h e per qualche intero k, |a − hTδ | ≤ Tδ < δ, e |b − kTδ | ≤ Tδ < δ, pertanto ε = f (a) − f (b) ≤ |f (a) − f (hTδ | + |f (kTδ ) − f (b)| < ε, che è una contraddizione (abbiamo usato il fatto che f (hTδ ) = f (kTδ ) se h e k sono due interi). Una proprietà importante delle funzioni periodiche che sono integrabili su qualsiasi intervallo chiuso e limitato, è che (se T > 0 è il periodo), Z Z a+T T f (x)dx. f (x)dx = 0 a In altre parole Esercizio 4 Se f è periodica ed integrabile, l’integrale risulta lo stesso su qualsiasi intervallo di lunghezza uguale al periodo (positivo). Per svolgere il precedente esercizio si può partire dall’osservazione che Z a+T Z a Z a+T f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx. 0 0 a Ma la periodicità di f ci permette di affermare che: Z a Z a+T f (x)dx = f (x)dx, 0 ne segue che Z a+T Z Z a+T f (x)dx = a T f (x)dx − 0 Z a+T T f (x)dx = T f (x)dx. 0 4 Una conseguenza naturale di questa osservazione è che se f è una funzione periodica di periodo T ed y è un numero reale Z T Z T f (x + y) dx = f (x) dx. (1) 0 0 Infatti un semplice cambiamento di variabile ci dice che Z T Z T +y Z T f (x + y) dx = f (t) dt = f (t) dt 0 y 0 La proprietà descritta dalla (1) è nota come la ”invarianza per traslazione dell’integrale di una funzione periodica”. Supponiamo ora che f sia una funzione periodica di periodo T > 0, e sia S > 0 un altro numero. Con un semplice cambiamento di variabile possiamo trasformare f in una funzione periodica di periodo S. Infatti, come è subito visto, T f ( x), S è una funzione periodica di periodo S. Conviene quindi anziché considerare funzioni periodiche di periodo generico T , funzioni periodiche di un conveniente periodo prefissato. E’ naturale, a questo punto, considerare funzioni periodiche di periodo 2π, come appunto le funzioni trigonometriche. Osserviamo che se f è una funzione definita sull’intervallo [0, 2π] che assume valori uguali agli estremi dell’intervallo e cioè f (0) = f (2π) allora f può essere prolungata su tutto R come funzione periodica. Infatti ogni numero reale x apparterrà ad un intervallo [2kπ, 2(k + 1)π] con k ∈ Z. Ne segue che x − 2kπ ∈ [0, 2π]. Pertanto si potrà definire f˜(x) = f (x − 2kπ) ed ottenere cosı̀ una funzione periodica di periodo 2π, definita per tutti i reali. Viceversa ogni funzione periodica di periodo 2π corrisponde univocamente ad una funzione definita sull’intervallo [0, 2π] che assume valori uguali agli estremi. Questo significa che data una qualsiasi funzione definita sull’intervallo [0, 2π], basta cambiarne il valore in uno degli estremi, imponendo che f (0) = f (2π) per trasformarla nella restrizione di una funzione periodica. Naturalmente cambiare il valore di una funzione anche in un punto solo ne cambia la natura. Una funzione continua come ad esempio la funzione f (x) = x diviene discontinua se si impone che f (2π) = 0. E infatti la funzione periodica associata alla funzione f (x) = x nell’intervallo [0, 2π] è una funzione ”a sega” che si guarda bene dall’essere continua. Ricordiamo tuttavia che molto spesso noi non parliamo veramente di funzioni, ma piuttosto di classi di equivalenza di funzioni, dove due funzioni sono equivalenti quando differiscono in un insieme di misura nulla. Questo 0.1. PRIMA LEZIONE 5 è il caso quando consideriamo elementi degli spazi Lp , 1 ≤ p ≤ ∞, che con un piccolo abuso di linguaggio sono spesso indicati come ”funzioni in Lp ”. Cambiare il valore di una funzione in un punto non ne cambia la classe di equivalenza, dal momento che i punti hanno misura nulla. Possiamo quindi liberamente identificare le funzioni periodiche con funzioni definite nell’intervallo [0, 2π] quando trattiamo di ”funzioni” (o meglio, classi di equivalenza di funzioni) in Lp , mentre le funzioni continue e periodiche si identificano solo con le funzioni continue definite sull’intervallo [0, 2π] che hanno valori uguali agli estremi dell’intervallo. Osserviamo infine che l’intervallo [0, 2π] è stato scelto per convenienza, perché la restrizione a qualsiasi intervallo di lunghezza 2π determina univocamente una funzione periodica di periodo 2π. Un’altra scelta frequente nei libri di testo è l’intervallo [−π, π]. L’osservazione che segue non fa parte del programma del corso e può (e forse deve) essere omessa. Serve a dar conto di un possibile approccio alternativo all’analisi di Fourier, che può ben trovarsi in alcuni testi classici, ad esempio la monografia di Y. Katznelson ”An introduction to harmonic analysis”. Osservazione 1 Ci si potrebbe chiedere: perché mai insistiamo tanto sulle funzioni periodiche, quando poi, in effetti, siamo prevalentmente interessati a funzioni appartenenti agli spazi di Lebesgue Lp ([0, 2π]), (0 ≤ p ≤ ∞ e definite a meno di insiemi di misura di Lebesgue nulla. Tutti gli elementi di Lp , infatti, possono essere ridefiniti in uno degli estremi dell’intervallo [0, 2π] in modo da risultare restrizioni a questo intervallo di funzioni periodiche di periodo 2π. Abbiamo osservato che questa ridefinizione potrebbe trasformare funzioni continue in funzioni con una discontinuità di prima specie. Ma, senza parlare di funzioni periodiche, basterebbe limitare la nostra trattazione alle funzioni in Lp , e alle funzioni continue che assumono lo stesso valore agli estremi dell’intervallo [0, 2π]. In realtà il ricorso alla ”periodicizzazione” delle funzioni definite su [0, 2π] si rende utile, se non necessario per definire su questo intervallo una somma per la quale valga la (1). Infatti se la funzione integrata nella (1) è periodica ha senso considerare f (x + y), anche se x + y ∈ / [0, 2π]. Un modo alternativo per arrivare alla (1) consiste nel partire dall’intervallo semiaperto [0, 2π), definire su questo intervallo una somma ”modulo 2π”, che potremmo indicare con x+̇y, in modo che x+̇y coincida con x + y se quest’ultimo punto cade nell’intervallo [0, 2π], mentre x+̇y = x +y − 2π se x + y cade fuori dello stesso intervallo. Anche la distanza di due punti x, y ∈ [0, 2π) può essere a questo punto ridefinita in modo che risulti, ad esempio, d(x, y) = |eix − eiy |. Rispetto a questa distanza una successione di punti xn converge ad un x 6=, 0, 2π se e solo se converge rispetto alla 6 ordinaria distanza in [0, 2π), mentre converge a 0 se e solo se eixn converge ad uno. L’intervallo [0, 2π), dotato di questa somma e di questa distanza si chiama toro unidimensionale e si indica spesso con T. Ricordiamo ora che lo spazio L2 = L2 ([0, 2π]) è uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto interno Z 2π 1 (f, g) = f (g) g(x) dx. 2π 0 Dimostriamo ora che le funzioni {einx : n ∈ Z} formano un sistema ortonormale. E’ sufficiente osservare che Z 2π Z 2π Z 2π 1 1 1 ikx e dx = cos kx dx + i sin kx dx = 0, 2π 0 2π 0 2π 0 se k 6= 0, mentre, ovviamente, l’integrale vale uno se k = 0. In altre parole Z 2π 1 einx e−imx dx = 0, 2π 0 se n 6= m, mentre questo stesso integrale vale uno se n = m. Dimostreremo in queste lezioni che questo sistema è completo. Per una funzione f ∈ L2 (o anche appartenente ad L1 ) conviene introdurre la notazione Z 2π 1 ˆ f (n) = f (x) e−inx dx. (2) 2π 0 I numeri fˆ(n) si chiamano coefficienti di Fourier della funzione f . Dimostrare che il sistema ortonormale {einx } è completo significa allora dimostrare che, nella norma di L2 , risulta lim n→∞ n X fˆ(k)eikx = f. k=−n La teoria degli spazi di Hilbert ci permette di affermare che perché questa affermazione sia vera è sufficiente che dimostrare che un elemento f ∈ L2 , tale che fˆ(n) = (f, einx ) = 0, è necessariamente zero quasi ovunque. Prima di affrontare questa dimostrazione possiamo considerare in generale le somme del tipo, n X ck eikx . (3) k=−n 0.1. PRIMA LEZIONE 7 P Osserviamo che se f = nk=−n ck eikx , allora fˆ(k) = ck . Osserviamo anche che se Z 2π 1 ck = f (x)e−ikx dx, 2π 0 ed f assume valori reali, allora ck = c̄−k , per cui sono a valori reali le stesse somme (2). Infatti risulta, per k ≥ 0, ck eikx + c−k e−ikx = ak cos kx + bk sin kx, dove 1 ck = (ak − ibk ), 2 Z 1 2π ak = f (x) cos kx dx, π 0 e e Pertanto 1 bk = π n X k=−n Z 2π f (x) sin kx dx. 0 n ikx ck e a0 X ak cos kx + bk sin kx. = + 2 k=1 (4) Quando si trattano funzioni a valori reali si utilizzano spesso le somme a secondo membro della (4), anziché quelle a primo membro. In questo contesto, anche i numeri ak e bk si chiamano coefficienti di Fourier della funzione (reale) f . Sempre nel contesto di funzioni a valori reali può essere conveniente utlizzare anche il sistema ortogonale costituito dalla funzione identicamente uno e le funzioni sin kx e cos kx, con k intero positivo. Dobbiamo però ricordare che cos2 kx e sin2 kx hanno integrale π su ogni intervallo di lunghezza 2π. Se, come abbiamo indicato prima, il nostro prodotto interno è Z 2π 1 (f, g) = f (x)g(x)dx, 2π 0 √ le norme di cos kx e sin kx nello spazio di Hilbert L2 risulteranno 1/ 2. Ritorniamo ora al sistema ortonormale {einx : n ∈ Z} e allo spazio L2 a valori complessi. Supponiamo quindi che f ∈ L2 = L2 (0, 2π). La serie +∞ X fˆ(n)einx , (5) n=−∞ 8 o, per funzioni a valori reali e con i coefficienti ak e bk definiti come sopra, la serie ∞ a0 X + ak cos kx + bk sin kx, (6) 2 k=1 si chiamano serie di Fourier della funzione f . E’ naturale chiedersi sotto quali condizioni queste serie convergono e se convergono alla funzione f . Stiamo parlando, naturalmente, della convergenza, sperabilmente ad f delle somme parziali Sn (f ) = n X fˆ(k)eikx , k=−n La risposta più soddisfacente in merito alla convergenza di queste somme la si ottiene nel contesto dello spazio L2 . In questo contesto, cioè rispetto alla norma di L2 la successione Sn converge sempre ad f . Come abbiamo già osservato questo risultato si ottiene ”gratis” dalla teoria degli spazi di Hilbert, non appena si dimostra che il sistema ortonormale eikx è completo. E’ però interessante osservare che ipotesi non troppo restrittive su f implicano la convergenza punto per punto o addirittura uniforme della successione di funzioni Sn (f ), come verrà accennato nella prossima sezione. Vale anche la pena di ricordare che per poter definire la serie di Fourier di una funzione f è sufficiente che la funzione sia integrabile (anche se in generale le somme parziali non convergono nella norma L1 .) Non si richiedono quindi condizioni stringenti di regolarità, come avviene invece quando si definisce la serie di Tayor di una funzione. Infine osserveremo che nel caso delle serie di Fourier (ed altre serie basate su un sistema ortonormale completo) non si richiede la convergenza uniforme per integrare la serie ”termine a termine”. 0.2 SECONDA LEZIONE Supponiamo che f e g siano due funzioni integrabili sull’intervallo [0, 2π]. Come al solito le consideriamo prolungate a funzioni periodiche di periodo 2π definite su tutta la retta reale. In tal modo possiamo, per ogni y ∈ R considerare f (x − y) o g(x − y). Può aver senso quindi considerare l’integrale Z 2π 1 f (x − y)g(y)dy. (7) f ∗ g(x) = 2π 0 Ho detto ”può aver senso” perchè non è detto che per ogni x la funzione f (x − y)g(y) risulti integrabile rispetto ad y. In effetti non è vero che il 0.2. SECONDA LEZIONE 9 prodotto punto per punto di due funzioni di L1 sia ancora in L1 . Un controesempio è fornito, sull’intervallo [0, 1] dalla funzione f (x) = x−1/2 il cui quadrato non ha integrale finito. In effetti è possibile (ma non facilissimo) dimostrare che se f e g sono elementi di L1 , la funzione f (x − y)g(y) è integrabile (rispetto ad y) per ”quasi ogni x” cioè per tutti gli x che non appartengono ad un insieme di misura di Lebesgue nulla e che la funzione f ∗ g(x) (definita quasi ovunque) che ne risulta è integrabile, cioè appartiene ancora ad L1 . La funzione f ∗ g definita dalla (7) si chiama allora convoluzione di f e g. Affrontiamo nel seguente esercizio (che non è obbligatorio svolgere ora, ma che sarà svolto quando ci servirà utilizzarlo) il problema della convoluzione di due funzioni in L1 . Poi passeremo al caso, molto più semplice, della convoluzione di due funzioni in L2 . Esercizio 5 Dimostrare che se f, g ∈ L1 , allora per quasi ogni x esiste l’integrale Z 2π 1 f ∗ g(x) = f (x − y)g(y)dy, 2π 0 e la funzione f ∗ g cosı̀ definita quasi ovunque appartiene ad L1 . L’esercizio può essere facilmente svolto applicando il teorema di Fubini nella forma di Tonelli alla funzione di due variabili |f (x − y)g(y)|, e invertendo l’ordine dell’integrazione. L’unica difficoltà (ignorata dalla maggior parte dei libri di testo) è quella di dimostare che la funzione di due variabili f (x − y) è misurabile nell’ipotesi che sia misurabile la funzione f (x) di una sola variabile. In altre parole bisogna dimostrare che se E è un sottoinsieme misurabile di R l’insieme E2 = {(x, y) : x − y ∈ E} è misurabile in R2 . L’insieme E2 è l’immagine inversa di un insieme misurabile E rispetto alla trasformazione continua (x, y) 7→ x − y ma non è vero in generale che la immagine inversa di un misurabile rispetto ad una trasformazione continua sia misurabile. In questo caso è proprio cosı̀. Basta infatti dimostrare che se E ⊂ R è di misura nulla (cioè contenuto in aperti di misura arbitrariamente piccola) anche E2 ha misura nulla. Ritorneremo sullo svolgimento di questo esercizio quando ci servirà. Non è difficile dimostrare che l’operazione ∗ è commutativa ed associativa e che gode della proprietà distributiva rispetto alla somma di due funzioni. Una volta dimostrato che la convoluzione di due funzioni in L1 è ancora una funzione in L1 avremo che questo spazio diviene un’algebra di Banach commutativa, cioè uno spazio di Banach nel quale è definito un prodotto che risulta associativo, commutativo e distributivo rispetto alla somma. 10 Sospendiamo per il momento l’analisi del caso L1 e torniamo al caso molto più semplice che veramente ci interessa in questo momento, cioè il caso in cui f, g ∈ L2 . In questo caso la convoluzione f ∗ g è addirittura una funzione continua, come asserito nel teorema che segue. Teorema 1 Se f e g sono due funzioni di quadrato sommabile allora, per ogni x ∈ R la funzione f (x − y)g(y) risulta integrabile rispetto ad y e la funzione f ∗ g(x) definita dalla (7) risulta continua. Per dimostrare il teorema utilizzeremo (dopo averlo dimostrato) un lemma importante che ci sarà utile anche nel seguito. Lemma 1 . Se f ∈ L2 , la trasformazione s 7→ fs è continua da R a L2 . dimostrazione del lemma. Osserviamo che se f è continua e quindi uniformemente continua, la trasformazione s 7→ fs è uniformemente continua da R allo spazio C delle funzioni continue e periodiche, con la norma dell’estremo superiore. Ricordiamo infatti che in virtù dell’uniforme continuità, per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che se |s − t| < δ risulta per ogni x, |fs (x) − ft (x)| < ε. Osserviamo ora che le funzioni continue e periodiche sono dense in L2 , pertanto, se f ∈ L2 e ε > 0 possiamo trovare una funzione g ∈ C, tale che kf − gk2 < ε/3. Scegliamo poi δ > 0 tale che |s − t| < δ implichi maxx |gt (x) − gs (x)| < ε/3. Ne segue allora che kft − fs k2 ≤ kft − gt k2 + kgt − gs k2 + kgs − fs k2 < ε. Abbiamo usato l’invarianza per traslazione dell’integrale che ci assicura che kft − gt k2 = kfs − gs k2 = kf − gk2 , ed il fatto che per una funzione continua la norma dell’estremo superiore è maggiore o uguale alla norma dello spazio L2 . dimostrazione del teorema. Osserviamo che 1 |f (x − y)g(y)| ≤ (|f (x − y)|2 + |g(y)|2 ). 2 Quindi, per ogni x, il prodotto f (x − y)g(y) è integrabile, ed è ben definita, per ogni x, la funzione f ∗ g(x). Per dimostrare che si tratta di una funzione continua, introduciamo la notazione f˜(x) = f (−x) e osserviamo che f˜ ∈ L2 se e solo se f ∈ L2 , con la stessa norma. Allora, Z 2π 1 |f˜x (y) − f˜z (y)||g(y)|dy ≤ kf˜x − f˜z k2 kgk2 . |f ∗ g(x) − f ∗ g(z)| ≤ 2π 0 Se ε > 0, in virtù del Lemma precedente, possiamo trovare δ > 0 tale che kfz − fx k < ε. Questo conclude la dimostrazione del teorema. 0.2. SECONDA LEZIONE 11 Osservazione 2 Osserviamo che la continuità della trasformazione s 7→ fs si riscontra anche quando f appartiene ad uno spazio Lp con 1 ≤ p < ∞. Si applica la stessa dimostrazione del Lemma 1, tenuto conto del fatto che lo spazio delle funzioni continue e periodiche è denso in Lp . Se f ∈ L∞ invece non è vero in generale che la trasformazione s 7→ fs sia continua. Si può dimostrare che questa trasformazione è continua se e solo se f è quasi ovunque uguale ad una funzione continua cioè la classe di equivalenza f nello spazio L∞ contiene una (e necessariamente una sola) funzione continua. Esercizio 6 Dimostrare che la classe di equivalenza di una funzione f ∈ L∞ non può contenere più di una funzione continua, e che se contiene una funzione continua, il massimo del modulo di questa funzione continua è la norma kf k∞ Le funzioni einx godono di una importante proprietà con riferimento alla convoluzione. Risulta infatti che: Z 2π 1 ein(x−y )f (y) dy = fˆ(n)einx . (8) 2π 0 In altre parole la convoluzione di einx con qualsiasi funzione f integrabile dà luogo ad un multiplo di einx e la costante che moltiplica einx è proprio fˆ(n). Ne segue che se n X ck eikx , h(x) = k=−n e f èuna funzione integrabile, allora, h ∗ f (x) = n X ck fˆ(k)eikx , k=−n Risulta allora che anche una somma parziale della serie di Fourier di una funzione integrabile può essere espressa come una convoluzione. Introduciamo a questo scopo una funzione speciale denominata ”nucleo di Dirichlet”. Definizione 2 La funzione Dn (x) = n X k=−n si chiama nucleo di Dirichlet di ordine n. eikx , 12 Risulta allora n X fˆ(k)eikx = Dn ∗ f (x). k=−n Osserviamo a questo punto che, se x 6= 0 Dn (x) = X eikx = e−inx eikx = e−inx k=0 |k|≤n e−ix/2 e−inx 2n X e(2n+1)ix − 1 = eix − 1 e(n+1/2)ix − e−(n+1/2)ix sin(n + 1/2)x e(2n+1)ix − 1 = = ix/2 −ix/2 ix/2 −ix/2 e −e e −e sin(x/2) (9) Per x = 0 ricordiamo che Dn (0) = 2n + 1. E giustamente risulta che limx→0 sin(n+1/2)x = 2n + 1. sin(x/2) Anche se alla fine dimostreremo che limn Dn ∗ f = f se f ∈ L2 ed il limite è inteso nella norma di L2 , lo stesso non si può dire quando f ∈ L1 ed il limite è inteso nella norma di L1 , né vale la stessa convergenza per le funzioni continue (e periodiche) nella norma dell’estremo superiore. Esiste però un modo alternativo di ”sommare” la serie di Fourier che dà buoni risultati anche per L1 e per lo spazio delle funzioni continue (ma non, come vedremo per L∞ .) Definizione 3 La funzione n−1 Kn (x) = 1 1 X sin(k + 1/2)x (D0 + D1 + · · · + Dn−1 ) = , n n k=0 sin(x/2) Si chiama nucleo di Fejér. Lemma 2 Kn (x) = 1 sin2 (nx/2) . n sin2 (x/2) dimostrazione. Osserviamo che sin(k + 1/2)x = =(ei(k+1/2)x .) Pertanto Pn−1 ikx e ) 1 =(eix/2 k=0 . Kn (x) = n sin(x/2) Sommando la serie geometrica si ottiene: eix/2 n−1 X k=0 eikx = einx − 1 . eix/2 − e−ix/2 0.2. SECONDA LEZIONE 13 Ne segue, utilizzando la ”formula di bisezione” (1 − cos nx)/2 = sin2 (nx/2), che einx − 1 sin2 (nx/2) =( ix/2 )= , e − e−ix/2 sin(x/2) che fornisce direttamente il risultato. Osserviamo ora che dalla definizione segue che i coefficienti di Fourier D̂n (k) del nucleo di Dirichlet assumono il valore 1 se |k| ≤ n ed il valore 0, altrimenti. Nella sostanza la funzione D̂n (k) come funzione definita sugli interi è la funzione caratteristica dell’intervallo [−n, n]. Come saranno invece i coefficienti di Fourier del nucleo di Fejér Kn ? Saranno certamente zero per |k| ≥ n, perché tutti gli addendi nella somma che definisce K̂n hanno coefficienti di Fourier nulli per |k| ≥ n. Ma all’interno dell’intervallo [−k, k] la funzione K̂n (k) avrà un grafico ”triangolare”, cioè K̂n (k) = (1 − |k|/n), in altre parole Kn (x) = n X (1 − k=−n |k| ikx )e . n Osserviamo ora che n X Kn ∗ f (x) = k=−n (1 − |k| ˆ )f (n). n Pertanto, kKn ∗ f k22 n X n X |k| 2 ˆ 2 (1 − |fˆ(k)|2 ≤ kf k2 . = ) |f (k)| ≤ n k=−n k=−n (10) Un risultato analogo vale per lo spazio L1 : Z 2π Z 2π Z 2π 1 1 1 |Kn ∗ f (x)|dx ≤ |Kn (x − y)f (y)|dydx. kKn ∗ f k1 = 2π 0 2π 0 2π 0 e perciò 1 kKn ∗ f k1 ≤ 2π Z 2π 0 1 2π Z 2π Kn (x − y)|f (y)|dxdy = kf k1 . (11) 0 Il nucleo di Fejér ha due proprietà importanti. La prima è che è una funzione non negativa, cioè non assume mai valori negativi. Questo implica tra l’altro che il suo integrale è anche la sua norma in L1 . L’altra proprietà importante è la seguente: 14 Per ogni δ > 0 lim max n→∞ δ≤x≤2π−δ Kn (x) = 0. Queste due proprietà si deducono dall’espressione del nucleo di Fejér indicata nel Lemma, dal momento che per 0 < δ ≤ x ≤ 2π − δ, risulta Kn .(x) ≤ 1 1 . 2 n sin δ/2 Vediamo ora come sono proprio queste due proprietà che forniscono la dimostrazione del prossimo lemma. Lemma 3 . Se f è una funzione continua a periodica, allora lim Kn ∗ f (x) = f (x), n uniformemente. dimostrazione. Sia ε > 0 dobbiamo mostrare che esiste un indice N, tale che per n > N risulta per tutti gli x, Z 2π 1 |f (x) − Kn (y)f (x − y) dx| < ε, (12) 2π 0 Utilizzando il fatto che l’integrale di Kn vale uno possiamo scrivere Z 2π 1 f (x) = f (x)Kn (y)dy. 2π 0 Ne segue che il primo membro della (12) si può scrivere come, 1 | 2π Z 2π Kn (y)(f (x) − f (x − y))dy|. (13) 0 Sia ora ε > 0. Poiché f è uniformemente continua esiste δ > 0 tale che se |y| < δ, allora |f (x) − f (x − y)| < ε/2. Il termine che compare nella (13) è maggiorato allora da 1 2π Z 2π−δ δ 1 Kn (x)|f (x) − f (x − y)|dy + 2π Z Kn (x)|f (x) − f (x − y)|dy, (14) Iδ Dove Iδ = [0, δ] ∪ [2π − δ, 2π]. Il secondo itegrale che compare nella (14) è maggiorato da ε/2, perché l’integrale di Kn è uno su tutto l’intervallo, e non 0.2. SECONDA LEZIONE 15 può essere maggiore di uno su Iδ . La seconda proprietà del nucleo di Fejér ci permette di trovare un indice N tale che per n > N , risulti max Kn (x) < x∈I / δ ε . 4 maxt |f (t)| Per n > N risulta quindi che il primo integrale che compare nella (14) è maggiorato da ε/2. Concludiamo che per n > N si ha, per ogni x, |Kn ∗ f (x) − f (x)| < ε/2. Corollario 2 Se f ∈ L2 , allora, nella norma di L2 , lim Kn ∗ f = f. n dimostrazione. Abbiamo osservato che kKn ∗uk2 ≤ kuk2 , per ogni u ∈ L2 . Usiamo il fatto che le funzioni continue costituiscono un sottospazio denso di L2 e che la norma dell’estremo superiore maggiora la norma di L2 . Sia f ∈ L2 e ε > 0, scegliamo g continua tale che kf − gk2 < ε/3. Sia N tale che n > N implica che supx |g(x) − Kn ∗ g(x)| < ε/3. Dal fatto che la norma dell’estermo superiore maggiora la norma di L2 , segue allora che kKn ∗ f − f k2 ≤ kKn ∗ (f − g)k2 + kKn ∗ g − gk2 + kg − f k2 ≤ 3kf − gk2 < ε. Corollario 3 Se f ∈ L1 , allora nella norma di L1 , lim Kn ∗ f = f. n dimostrazione. Il Corollario si dimostra come il precedente utilizzando la densità delle funzioni continue in L1 , ed il fatto che kKn ∗ uk1 ≤ kuk1 , per ogni u ∈ L1 k1 . Corollario 4 Il sistema {einx } è completo in L2 . dimostrazione. Basta dimostrare che un elemento di L2 che è ortogonale a tutti gli elementi einx è necessariamente zero. In altre parole se f ∈ L2 , e fˆ(n) = 0, allora f è l’elemento nullo. Ma se fˆ(n) = 0 per tutti gli n, risulta anche Kn ∗ f = 0, per ogni n. Poiché Kn ∗ f converge ad f , in norma, deve essere f = 0. Osservazione 3 Bisogna osservare che anche per f ∈ Lp e 1 ≤ p < ∞ la successione Kn ∗ f converge ad f nella norma di Lp . Per la dimostrazione, nel caso p = 1 e p = 2 abbiamo usato la densità delle funzioni continue in L1 16 e in L2 , ed inoltre le disuguaglianze kKn ∗ f k1 ≤ kf k1 e kKn ∗ f k2 ≤ kf k2 . In effetti questi ingredienti sono disponibili anche nel caso di 1 ≤ p < ∞. In effetti, se 1 ≤ p < ∞, f ∈ Lp , e k ∈ L1 vale la disuguglianza kk ∗ f kp ≤ kkk1 kf kp . Un modo per dimostrare questa disuguaglianza è quello di considerare 1 k ∗ f (x) = 2π Z 2π fy (x) k(y)dy. 0 come un integrale (di Riemann-Stjelties) della funzione uniformemente continua y 7→ fy rispetto alla misura k(y)dy. Infatti la dimostrazione classica dell’esistenza dell’integrale delle funzioni uniformemente continue a valori reali, può essere adattata al caso di funzioni uniformemente continue a valori in uno spazio di Banach, come Lp . Esercizio 7 . Dimostrare che se f ∈ L∞ , ha la proprietà che la funzione y 7→ fy è continua, allora la classe di equivalenza di f contiene una funzione continua. (Suggerimento: dimostrare che l’ipotesi implica che limn→∞ Kn ∗ f = f , nella norma di L∞ , e utilizzare l’esercizio precedente per osservare che Kn ∗ f è una successione di Cauchy nello spazio delle funzioni continue con la norma dell’estremo superiore.) 0.3 TERZA LEZIONE Una conseguenza importante della convergenza in norma della successione Kn ∗ f (x) per f ∈ L1 , è il cosiddetto teorema di unicità: Teorema 5 Se f ∈ L1 e, per tutti gli n ∈ Z, fˆ(n) = 0, allora f = 0. dimostrazione. L’ipotesi implica che Kn ∗ f (x) = n X (1 − k=−n |k| ˆ )f (k) = 0. n Ne segue che f = limn Kn ∗ f = 0. Ricordiamo che per le funzioni continue (e periodiche) f la convergenza uniforme lim Kn ∗ f = f, n→∞ si dimostra utilizzando le seguenti importanti proprietà di Kn : 0.3. TERZA LEZIONE 17 1. Kn (x) ≥ 0, e l’integrale (normalizzato) di Kn su un intervallo di lunghezza 2π è uguale ad uno 2. per ogni δ > 0, limn supδ≤x≤2π−δ Kn (x) = 0. Dalla convergenza uniforme segue anche la convergenza in norma negli spazi Lp , con 1 ≤ p < ∞, in virtù del fatto che in questi spazi le funzioni continue sono dense. In effetti, non è dfficile svolgere il seguente esercizio. Esercizio 8 . Sia un una successione di funzioni continue e periodiche con le seguenti proprietà: 1. un (x) ≥ 0 e l’integrale (normalizzato) di un su un intervallo di lunghezza 2π è uguale ad uno. 2. per ogni δ > 0, limn supδ≤x≤2π−δ un (x) = 0. Allora limn un ∗ f = f uniformemente se f è continua e limn un ∗ f = f nella norma di Lp se f ∈ Lp , con ≤ p < ∞. Applicheremo il precedente esercizio ad un caso un po’ diverso, cioè al caso in cui anziché avere una successione Pn abbiamo una famglia di funzioni associate ad un indice continuo Pr con 0 ≤ r < 1 e si considera limr→1 Pr ∗ f . Prima di introdurre Pr dimostriamo il seguente lemma. Lemma 4 Siano f e g due elementi di L1 allora f[ ∗ g(n) = fˆ(n)ĝ(n). dimostrazione. (15) Z 2π Z 2π 1 1 f[ ∗ g(n) = f (x − y)g(y)e−inx dydx = 2π 2π 0 0 Z 2π Z 2π 1 1 f (x − y)e−in(x−y g(y)e−iny dxdy = fˆ(n)ĝ(n). 2π 2π 0 0 Oltre ad invertire l’ordine di integrazione, abbiamo utilizzato l’invarianza per traslazione dell’integrale, ponendo nell’integrare rispetto alla variabile x, t = x − y con dt = dx, pur mantenendo lo stesso intervallo di integrazione. Definizione 4 Per 0 ≤ r < 1, la funzione Pr (x) = ∞ X n=−∞ si chiama nucleo di Poisson. r|n| einx , 18 Lemma 5 . 1 − r2 1 − r2 Pr (x) = = . 1 + r2 − 2r cos x (1 − r cos x)2 + r2 sin2 x (16) Pertanto il nucleo di Poisson è non negativo, di integrale (normalizzato) uno, e se 0 < δ ≤ x ≤ 2π − δ, Pr (x) ≤ 1 − r2 . (1 − r cos δ)2 + r2 sin2 δ dimostrazione. Basta sommare le due serie geometriche per ottenere, Pr (x) = re−ix 1 − r2 1 + = =, 1 − reix 1 − re−ix (1 − r cos x)2 + r2 sin2 x (17) 1 − r2 . 1 + r2 − 2r cos x Segue allora direttamente l’enunciato del Lemma. Abbiamo quindi che Pr soddisfa le ipotesi dell’esercizio e Z 2π 1 − r2 1 f (y)dy = lim Pr ∗ f (x) = lim r→1 r→1 2π 0 1 + r2 − 2r cos(x − y) lim r→1 ∞ X fˆ(n)r|n| einx = f (x), (18) n=−∞ uniformemente se f è continua e nella norma di Lp se f ∈ Lp . Si osservi che la funzione Pr ∗ f (x), può essere interpretata come una funzione della variabile z = reix appartenente al disco di centro l’origine e di modulo uno. Il limite espresso dalla (18) può essere interpretato come limite per z che si avvicina radialmente alla frontiera del disco. Un caso particolare importante è quello delle funzioni f che hanno coefficienti di Fourier zero per valori negativi dell’intero n. In questo caso la funzione di z = reix definita da Pr ∗ f , risulta analitica nel disco e la funzione f rappresenta i suoi valori al bordo. Torniamo ora al problema dela convergenza di Dn ∗ f (x) = n X fˆ(neinx . k=−n La completezza in L2 del sistema ortonormale {einx } ci garantisce che se f ∈ L2 , Dn ∗f converge in norma ad f . Quello che rende il caso L2 veramente 0.3. TERZA LEZIONE 19 speciale è che la stessa norma in L2 di una funzione può essere espressa in termini dei coefficienti di Fourier. Vale cioè, in virtù sempre della completezza del sistema, l’uguaglianza di Plancherel: Z 2π ∞ X 1 2 |fˆ(n)| = |f (x)|2 dx. (19) 2π 0 n=−∞ E’ anche vero (ma non sarà dimostrato in queste lezioni) che Dn ∗ f converge in norma ad f , se f ∈ Lp con 1 < p < ∞. Ma nel caso di p 6= 2 non esiste un modo semplice e chiaro di esprimere la norma in Lp attraverso i coefficienti di Fourier. Lo spazio L2 sembra proprio lo spazio giusto per studiare e specialmente per applicare a problemi concreti le serie di Fourier. Questo non significa che lo studio della convergenza della serie di Fourier in altri spazi non abbia interesse. Cominciamo a dire che per p = 1 e p = ∞, esistono funzioni funzioni rispettivamente in L1 ed in L∞ , la cui serie di Fourier non converge nella norma dello spazio cui appartiene la funzione. Anche questo importante risultato non sarà dimostrato in questi appunti. Infine esistono anche funzioni continue e periodiche la cui serie di Fourier non converge in tutti i punti, e meno che mai converge uniformemente. Non tratteremo di questi risultati negativi. Cercheremo invece di fornire alcuni risultati positivi. Per trattare la convergenza uniforme ci serve un altro risultato. Lemma 6 Sia f una funzione periodica di periodo 2π. Supponiamo che la derivata Df di f esista in ogni punto ed appartenga a L1 , allora c (n) = infˆ(n) Df (20) dimostrazione. Integrando per parti e sfruttando la periodicità della funzione f (x)einx si ottiene: Z π Z 1 −in π f (x)e−inx ¯¯π −inx Df (x)e dx = f (x)e−inx dx = infˆ(n). ¯ − 2π −π 2π 2π −π −π Osservazione 4 Abbiamo tacitamente supposto che la integrazione per parti sia possibile anche quando la derivata di una delle due funzioni non è continua o quantomeno integrabile secondo Riemann (esistono funzioni derivabili in ogni punto, ma la cui derivata non è integrabile secondo Riemann.) In altre parole abbiamo supposto che il teorema fondamentale del calcolo continui a valere per funzioni la cui derivata è in L1 ma non è necessariamente continua, o integrabile secondo Riemann. Questo è vero ma potrebbe non essere stato approfondito nella prima parte del corso di Analisi di Fourier. 20 Introduciamo ora un importante sottospazio delle funzioni continue e periodiche. Definizione 5 Si indica con A lo spazio delle funzioni in f ∈ L1 i cui coefficienti di Fourier soddisfano alla condizione: ∞ X |fˆ(n)| < ∞. (21) n=−∞ Osserviamo subito che l’appartenenza ad A implica che la serie di Fourier ∞ X fˆ(n)einx , n=−∞ converge uniformemente. Converge quindi ad una funzione continua g. Possiamo considerare allora la funzione f −g che appartiene a L1 ed ha coefficienti di Fourier tutti zero. Questa funzione non pò essere che zero. In altre parole f − g = 0 quasi ovunque. Con un lieve abuso di linguaggio possiamo dire che f è continua. In altre parole lo spazio A consiste di funzioni continue la cui serie di Fourier converge uniformemente. Una condizione sufficiente per l’appartenenza a A, è quella indicata nel seguente lemma. Lemma 7 Se f è una funzione continua la cui derivata esiste ovunque e appartiene ad L2 , allora f ∈ A. P ˆ dimostrazione. Basta dimostrare che ∞ n=−∞ |f (n)| < ∞. Osserviamo peraltro che X Z 06=n∈ |fˆ(n)| = X |infˆ(n)| X X c (n)|2 )1/2 < ∞. |Df (1/n)2 )1/2 ( ≤( |n| n∈Z 06=n∈Z 06=n∈Z Abbiamo utilizzato la disuguglianza di Bessel applicata alla funzione Df ∈ L2 , ed il fatto che la somma sugli interi diversi da zero di 1/n2 è finita. 0.4 QUARTA LEZIONE C’è un’altra conseguenza della convergenza in norma della successione Kn ∗f , per f ∈ L1 che conviene sottolineare. E’ il cosiddetto teorema (o lemma) di Riemann-Lebesgue. Teorema 6 Se f ∈ L1 , allora lim|n|→∞ fˆ(n) = 0. 0.4. QUARTA LEZIONE 21 dimostrazione. Se ε > 0, esiste N tale che per n > N risulta kKn ∗ f − f k1 < ε. Ne segue che per n > N risulta |fˆ(n)| = |fˆ(n) − fˆ(n)K̂n (n)| + |fˆ(n)K̂n (n)| < ε, dal momento che K̂n (n) = 0 e |fˆ(n) − fˆ(n)K̂n (n)| ≤ kf − Kn ∗ f k1 . Il teorema di Riemann-Lebesgue è l’ingrediente principale per la dimostrazione del seguente risultato sulla convergenza delle serie di Fourier. Teorema 7 Sia f ∈ L1 e supponiamo che, per x fissato, la funzione (di y), f (x + y) − f (x) , y appartenga a L1 , allora ∞ X fˆ(k)eikx = lim n→∞ k=−∞ n X fˆ(k)eikx = f (x). (22) k=−n dimostrazione. Per x fissato consideriamo la funzione g(x, y) = f (x + y) − f (x) . eiy − 1 Osserviamo che, sempre per x fissato, e rispetto alla variabile y, questa funzione appartiene a L1 , per ipotesi, dal momento che g(x, y) = f (x + y) − f (x) y , y eiy − 1 e la funzione y , −1 è limitata nell’intervallo [−π, π]. D’altra parte eiy f (x + y) = f (x) + eiy g(x, y) − g(x, y). (23) Sempre per x fissato, calcoliamo ora i coefficienti di Fourier di ambo i lati della ikx ˆ eguaglianza (23) ricordando che f (x + y) = f−x (y) e che fd . −x (k) = f (k)e Otteniamo allora: Z π 1 ikx ˆ e−iky dy + ĝ(x, k − 1) − ĝ(x, k), (24) f (k)e = f (x) 2π −π dove ĝ(x, k) è, per x fissato, il coefficiente di Fourier di ordine k della funzione di y, g(x, y). 22 Sommando ambo i lati della (24) da −n ad n, e ricordando che l’integrale di eikx è zero se k 6= 0, si ottiene n X fˆ(k)eikx = f (x)+ k=−n n X ĝ(x, k−1)−g(x, k) = f (x)+ĝ(x, −n−1)−ĝ(x, n). k=−n (25) Poiché g(x, y) ∈ L come funzione della sola y i coeffcienti ĝ(x, −n − 1) e ĝ(x, n) tendono a zero per il Teorema di Riemann-Lebesgue. La dimostrazione è cosı̀ conclusa. 1 Corollario 8 . Se f è una funzione continua e derivabile in un punto x, allora la sere di Fourier di f converge in x. dimostrazione. E’ una conseguenza immediata del teorema. Il Corollario che segue afferma la convergenza della serie di Fourier anche per funzioni che non sono necessariamente derivabili. Ad esempio le funzioni lineari a tratti soddisfano l’ipotesi del corollario, con α = 1. Corollario 9 Supponiamo che per α > 0 e M > 0 la funzione periodica f soddisfi, per tutti ix1 ed x2 , la condizione: |f (x1 ) − f (x2 )| ≤ M |x1 − x2 |α , (26) allora la serie di Fourier di f converge ad f . dimostrazione. La condizione implica che, per ogni x, | f (x + y) − f (x) | ≤ M |y|α−1 , y che a sua volta implica l’ipotesi del teorema poiché la funzione |y|α−1 è integrabile nell’intervallo [−π, π]. La condizione indicata nel corollario si chiama ”condizione di Hölder di ordine α. Quando α = 1 si parla di ”Condizione di Lipschtiz”. Per α > 1 la condizione implica che la derivata di f si annulla in ogni punto ed f è dunque costante. Un’altra conseguenza importante del teorema di Riemann-Lebesgue è la seguente. Teorema 10 . Se f ∈ L1 si annulla in un intorno di un punto x0 , allora la sua serie di Fourier converge uniformemente a zero in un intorno dello stesso punto. 0.4. QUARTA LEZIONE 23 dimostrazione. Supponiamo prima di tutto che x0 = 0, e che f (y) = 0, per |y| < δ. Le somme parziali della serie di Fourier di f si esprimono attraverso il nucleo di Dirichlet: Z π 1 sin(n + 1/2)y Sn (x) = Dn ∗ f (x) = f (x + y) dy. 2π −π sin(y/2) Siccome f (x + y) = 0 se |x| < δ e |y| < δ, le funzioni: f1 (y) = e f (x + y)eiy/2 2i sin(y/2) f (x + y)e−iy/2 f2 (y) = , 2i sin(y/2) appartengono ad L1 . Pertanto Z π f (x + y) eiπ/2 einy − e−iπ/2 e−iny Sn (x) = 1/2π = fˆ1 (−n) − fˆ2 (n). sin(y/2) 2i −π Il Teorema 7 ci dice che i coefficienti di Fourier di f1 ed f2 tendono a zero, pertanto Sn (x) converge a zero per n → ∞, se |x| < δ/2. Resta da dimostrare che la convergenza è uniforme. Osserviamo ora che le funzioni Sn (x), sono non solo continue, ma, nell’intervallo |x| < δ/2, ”uniformemente equicontinue” al variare di n. In altre parole dato ε > 0 esiste η > 0, tale che se x1 , x2 ∈ (−δ/2, δ/2) e |x1 − x2 | < η allora |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε, per tutti gli n. Infatti Z 1 sin(n + 1/2)y |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| ≤ |f (x1 + y) − f (x2 + y)|| |dy 2π π≥|y|≥δ/2 sin y/2 ≤ kf−x1 − f−x2 k1 (sin(δ)−1 . La funzione x 7→ fx è uniformente continua. Basta quindi scegliere η tale che |x1 − x2 | < η implichi kf−x1 − fx2 k1 < ε sin δ, per ottenere |Sn (x1 )−Sn (x2 )| < ε, per tutti gli n. E’ facile adesso dimostrare che la convergenza di Sn a zero nell’intervallo (−δ/2, δ/2) è uniforme. Dato ε > 0, si ricopre l’intervallo con un numero finito di intervalli di lunghezza < η tale che se due punti |x1 − x2 | < η risulta |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε/2, per tutti gli n. Si sceglie poi N in modo che su ciascuno dei centri degli intervalli predetti risulti |Sn (x)| < ε/2, quando n > N . Risulta allora che ogni x ∈ (−δ, δ) ha distanza da un centro degli intervalli predetti minore di 24 η. Da questo segue che |Sn (x)| < ε, per n > N ed ogni x(−δ/2, δ/2). Il caso in cui x0 6= 0 si tratta applicando il regionamento che precede alla funzione f−x0 = f (x + x0 ). Nell’ultima parte della dimostrazione abbiamo utilizzato un argomento che conviene esplicitare nella seguente osservazione. Osservazione 5 Sia Sn (x) una successione di funzioni continue definite su un intervallo [a, b], che converge punto per punto a zero, supponiamo che per ogni ε > 0 esista η > 0 tale che, per ogni n, la condizione |x1 − x2 | < η implica che per ogni n, |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε, allora la convergenza di Sn a zero è uniforme. dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε > 0, esiste un intero positivo N tale che, se n > N , risulta |Sn (x)| < ε. Possiamo scegliere η > 0 tale che, per ogni n, |x1 − x2 | < ε implichi |Sn (x1 ) − Sn (x2 )| < ε/2. Scegliamo poi una partizione a = a0 < a1 < . . . ak = b dell’intervallo [a, b] in modo che tutti gli intervalli [ai , ai+1 ] della partizione abbiano lunghezza minore di η. Poiché per ogni x, Sn (x) tende a zero, possiamo scegliere N in modo che n > N implichi |Sn (aj )| < ε/2, per tutti i j da 0 a k. Ne segue che se a ≤ x ≤ b, il punto x appartiene ad uno degli intervalli [aj , aj+1 ] ed ha quindi distanza minore di η da uno dei punti aj . Pertanto, se n > N , allora |Sn (x)| ≤ |Sn (x) − Sn (aj )| + |Sn (aj )| < ε/2 + ε/2 = ε. 0.5 QUINTA LEZIONE In questa lezione ci proponiamo di studiare il comportamento della serie di Fourier di una funzione in un punto di discontinuità. Dimostreremo cioè il seguente teorema: Teorema 11 Sia f una funzione periodica derivabile in tutti i punti dell’intervallo [−π, π) eccetto che nel punto y, dove la funzione ha una discontinuità di prima specie. Supponiamo che esistano i limiti: lim f (x) = f + (y), x→y+ lim f (x) = f − (y), x→y− f (x) − f + (y) x→y+ x−y lim f (x) − f − (y) . x→y− x−y lim 0.5. QUINTA LEZIONE Allora 25 ∞ X f + (y) + f − (y) fˆ(n)einy = . 2 n=−∞ Premettiamo alla dimostrazione del teorema un lemma elementare, che ne è un caso particolare. Lemma 8 Siano a e b due numeri reali e sia f(a,b) la funzione che vale a nell’intervallo (−π, 0) e vale b nell’intervallo (0, π) (il valore in zero può essere fissato arbitrariamente). Allora ∞ X a+b fd . (a,b) (n) = 2 n=−∞ dimostrazione del lemma. Consideriamo la funzione h(x) = f(a,b) − a+b . 2 a+b Osserviamo che h(−x) = f(b,a) − 2 , dove f(b,a) è la funzione che si ottiene invertendo il ruolo di a e b. Ma a− a+b a+b = −(b − ). 2 2 Ne segue che h(−x) = −h(x) ed h è una funzione dispari. Questo significa che nella serie di Fourier reale di f compaiono solo seni e che le somme parziali della serie di Fourier di h si annullano in zero. In altre parole, 0= n X ĥ(k) = k=−n n X a+b fd . (a,b) (n) − 2 k=−n Basta fare il limite per n → ∞ per provare la tesi. dimostrazione del teorema. Supponiamo prima che y = 0. Poniamo a = f − (0) e b = f + (0). Consideriamo la funzione f(a,b) definita nell’enunciato del lemma che precede. Osserviamo che la funzione g(x) = f (x) − f(a,b) (x), per x 6= 0, e g(0) = 0, è continua, perché limx→0+ g(x) = limx→0− = 0. Inoltre la funzione g(x) − g(0) g(x) = , x x è integrabile. Ne segue che per il Teorema 7 la serie di Fourier di g converge nel punto 0, e risulta ∞ X ĝ(n) = 0. n=−∞ 26 D’altra parte f = g + f(a,b) . Pertanto, lim n→∞ n X k=−n fˆ(n) = lim n→∞ n X f + (0) + f − (0) fd (n) = . (a,b) n→∞ 2 k=−n ĝ(n) + lim k=−n n X Questo completa la dimostrazione del teorema nel caso y = 0. Per il caso y 6= 0 basta considerare la funzione f−y (x) = f (x + y). Abbiamo visto dunque che se la funzione f soddisfa alle ipotesi del Teorema precedente, le somme parziali Sn (x) della serie di Fourier di f convergono per ogni x. Convergono cioè ad f (x) se x non è un punto di discontinuità della funzione, e convergono alla media dei limiti a destra e sinistra, se y è il punto di discontinuità di prima specie. Ovviamente la convergenza non può essere uniforme, perché se lo fosse Sn convergerebbe ad una funzione continua. La mancata uniformità della convergenza può essere in qualche modo misurata dando luogo ad un fenomeno che prende il nome di ”fenomeno di Gibbs”. Questo ”fenomeno” può essere descritto come segue: Supponiamo che f + (y) > f − (y) e sia 0 < a = f + (y) − f − (y), allora esiste una successione di punti xn < y che tende ad y, tale che Sn (xn ) tende a βa, dove β è un numero che vale poco meno di 0, 09 . Prima di lasciare le serie di Fourier vogliamo dare un’applicazione della formula di Plancherel. Sia f la funzione periodica di periodo 2π che coincide con x sull’intervallo [0, 2π) (e pertanto f (2π) = 0). La uguaglianza di Bessel o formula di Plancherel ci dice che Z 2π ∞ X (2π)2 1 = x2 dx = |fˆ(n)|2 . (27) 3 2π 0 n=−∞ D’altra parte se n 6= 0, fˆ(n) = i/n, mentre fˆ(0) = π. Ne segue che ∞ X 1 (2π)2 2 =π +2 , 3 n2 n=1 che fornisce ∞ π2 X 1 = . 6 n2 n=1 (28) Da questa formula è possibile, tra l’altro, ricavare valori approssimati di 2 π . 0.6. SESTA LEZIONE 0.6 27 SESTA LEZIONE D’ora in avanti, per 1 ≤ p < ∞, lo spazio Lp sarà lo spazio Lp (R) delle funzioni misurabili definite, a meno di insiemi di misura nulla, su R e a valori complessi la cui potenza p-esima è integrabile. In altre parole, Z |f |p dx < ∞. R ∞ Lo spazio L sarà lo spazio delle funzioni definite a meno di misura nulla su R il cui estremo superiore essenziale è finito. Ci interesserà per il momento sopratutto lo spazio L1 . Ricordiamo che, per funzioni appartenenti a L1 si usano indifferentemente le notazione Z +∞ f (x)dx, −∞ e Z R f (x)dx. La prima notazione ci ricorda che l’integrale di una funzione in L1 si può calcolare come Z bn f (x)dx, lim n→∞ an se an e bn sono successioni di numeri reali tali che limn an = −∞ e limn bn = +∞. Questo fatto elementare si dimostra applicando il teorema di convergenza dominata di Lebesgue alle funzioni fn (x) = χ[an ,bn ] (x)f (x), che convergono puntualmente ad f e sono dominate da |f |. Una osservazione elementare è che l’integrale è invariante per traslazione: Z Z f (x + y)dx = f (x)dx. (29) R Infatti Z Z f (x + y)dx = lim R n→+∞ R Z n f (x + y)dx = lim n→+∞ −n Z n+y f (t)dt = −n+y R L’integrale è anche invariante rispetto alla trasformazione x 7→ −x, Z Z f (x)dx = f (−x)dx. R R Anche in questo caso basta osservare che per Z n Z −n Z f (−x)dx = − f (x)dx = −n n n f (x)dx, −n f (t)dt. (30) 28 e passare al limite, per n → +∞. Prima di iniziare con la trattazione della trasformata di Fourier vogliamo rivedere (o, per alcuni, vedere per la prima volta) una proprietà importante dello spazio L1 , e cioè che il sottospazio di L1 che consiste di tutte le funzioni continue che si annullano fuori di un intervallo (che dipende dalla funzione considerata) e che sono differenziabili infinite volte, è un sottospazio denso di L1 . Bisognerà tra l’altro dimostrare che questo spazio che possiamo indicate ∞ ∞ con il simbolo C00 = C00 (R), non si riduce alla funzione identicamente nulla, bisognerà cioè dimostrare che esistono funzioni non identicamente nulle, infinitamente differenziabili che sono zero fuori di un intervallo [a, b]. Occupiamoci però prima di tutto delle funzioni continue a supporto compatto che non sono necessariamente differenziabili. La notazione per questo spazio sarà C00 (R) = C00 . Di queste funzioni ce ne sono a bizzeffe. Un esempio importante sono le funzioni ”triangolari” che sono zero fuori di un intervallo (a, b) assumono un valore reale f (c) 6= 0 in un punto interno del medesimo intervallo e sono lineari nei tratti [a, c] e [c, b]. In generale se f è una funzione continua che assume valori uguali a zero negli estremi di un intervallo [a, b], possiamo definire una funzione g continua a supporto compatto, stipulando che la funzione g sia nulla fuori di (a, b) e coincida con f all’interno del medesimo intervallo. Dimostriamo ora che lo spazio C00 è denso in L1 . Lemma 9 . Lo spazio C00 delle funzioni continue a supporto compatto è denso in L1 . dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che ogni elemento di L1 può essere approssimato in norma con funzioni continue a supporto compatto. Procediamo attraverso diversi passi. Primo passo. Ogni elemento di L1 può essere approssimato in norma da elementi di L1 che sono nulli fuori di un intervallo. Basta osservare che se f ∈ L1 , la successione di funzioni fn che coincidono con f nell’intervallo [−n, n] e sono zero fuori di questo intervallo, converge ad f , per il teorema di convergenza dominata di Lebesgue, in quanto la successione |f − fn |, tende a zero quasi ovunque ed è dominata dalla funzione integrabile 2|f |. Secondo passo. Ogni elemento di L1 che si annulla fuori di un intervallo [a, b] può essere approssimato in norma da elementi di L1 che sono nulli fuori di un intervallo e tali che |f (x)| ≤ M per qualche M > 0. Infatti se f è un elemento di L1 nullo fuori di [a, b] possiamo considerare per ogni n la funzione fn , tale che fn (x) = f (x) se |f (x)| ≤ n e f (x) = n se |f (x)| > n. La successione fn tende in norma a f , per il teorema di convergenza dominata 0.6. SESTA LEZIONE 29 di Lebesgue, in quanto la successione |f − fn | tende a zero quasi ovunque ed è dominata da dalla funzione integrabile 2|f |. (Per dimostrare che |f − fn | tende a zero quasi ovunque, osservare che se cosı̀ non fosse esisterebbe un insieme di misura positiva E sul quale |f | ≥ n per ogni n.) Terzo passo. Osservare che un elemento di L1 che è limitato e zero fuori di un intervallo, può essere approssimato in norma da combinazioni lineari di funzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati. Per la dimostrazione possiamo supporre che f assma valori reali ed applicare il ragionamento alla parte reale e la parte immaginaria di f . Supponiamo quindi che f sia reale e −M ≤ f (x) ≤ M . Dato ε > 0 possiamo dividere l’intervallo [−M, M ] in sottointervalli semiaperti di lunghezza minore di ε/2M e considerare per ognuno di questi intervalli [ak , bk ) l’insieme misurabile Ek = f −1 ([ak , bk ]). La funzione h(x) che vale f (ak ) sull’insieme Ek è una combinazione lineare di funzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati. Poiché |f (x)−h(x)| ≤ ε/2M , risulta kf − hk1 ≤ ε. Quarto passo. Ogni funzione caratteristica di un insieme misurabile e limitato può essere approssimata nella norma L1 dalla funzione caratteristica di un insieme chiuso e limitato. Per questo passo basta osservare che se E è misurabile e limitato, e ε > 0 esiste un compatto K ⊂ E, tale che m(E) − m(K) < ε. Quinto passo. Se K è un insieme chiuso e limitato e f (x) = χK (x) la sua funzione caratteristica, esiste una successione di funzioni continue fn che approssima f nella norma di L1 . Si osservi che la funzione d(x, K) = inf{|x − y| : y ∈ K} è una funzione continua che vale zero esattamente su K. Pertanto la funzione u(x) = max{0, 1 − d(x, K)} è continua minore o uguale ad uno e vale uno esattamente su K. Finalmente definiamo fn (x) = (u(x))n . Osserviamo che la successione |fn (x) − f (x)| tende a zero ovunque ed è dominato dalla funzione integrabile 2|f (x)|. Ne segue che kfn − f k1 tende a zero. Esercizio 9 Dimostrare che se K ⊂ R è chiuso, la funzione d(x, K) = inf{|x − y| : y ∈ K} è continua. Passiamo ora a trattare il caso delle funzioni continue a supporto compatto che risultano anche infinitamente differenziabili. Dobbiamo innanziutto dimostrare che queste funzioni esistono. O meglio che ne esistono di non identicamente nulle Ecco come provare a costruirne una. 2 Primo passo: si considera la funzione f (x) = e−1/x , per x > 0 e f (x) = 0 per x ≤ 0. Si osserva che f è differenziabile in zero, con derivata zero. Pertanto è ben definita la derivata Df (x) per ogni x reale. 30 Secondo passo: si dimostra per induzione che la funzione f è derivabile infinite volte e che tutte le derivate sono zero per x ≤ 0. Terzo passo. Si considera la funzione h(x) = f (x + 1) e si osserva che h è infinitamente derivabile ed è zero assieme a tutte le sue derivate nei punti minori o uguali a −1. Quarto passo. Si considera la funzione g(x) = h(−x) e si osserva che g è infinitamente differenziabile ed è zero assieme a tutte le sue derivate nei punti maggiori o uguali a 1. Quinto passo. Si considera la funzione u(x) = f (x + 1/2)g(x + 1/2) e si osserva che u è infinitamente differenziabile ed è zero fuori dell’intervallo (−1/2, 1/2), mentre in questo intervallo è positiva. Osserviamo che la funzione un (x) = u(nx) è non nulla (e positiva) solo se 1 |nx| < 1/2, cioè se |x| < 2n . A questo punto disponiamo di una successione un di funzioni infinitamente differenziabili che sono positive solo in un intorno di 0 di lunghezza 1/n. Consideriamo ora la successione vn (x) = cn un (x), dove Z −1 cn = un (x) dx. R La successione vn gode allora delle seguenti proprietà 1. vn è infinitamente differenziabile, 2. vn è non negativa e si annulla per |x| ≥ 1/2n, 3. l’integrale di vn vale uno. Per ottenere, a partire da questa successione vn , funzioni infinitamente differenziabili che approssimano arbitrarie funzioni continue a supporto compatto, abbiamo bisogno di introdurre la convoluzione di due funzioni e stabilirne alcune proprietà. Definizione 6 . Siano f, g ∈ L1 , allora la funzione Z f ∗ g(x) = f (x − y)g(y)dy, R si chiama convoluzione di f e g. . Come nel caso delle funzioni periodiche non è affatto detto che f ∗ g(x) esista per tutti gli x. Infatti, per x fissato, le funzioni f (x − y) e g(y) appartengono ad L1 , ma non è vero affatto che il prodotto punto per punto 0.6. SESTA LEZIONE 31 di due funzioni in L1 sia ancora in L1 . Abbiamo già visto ad esempio che la funzione che vale zero fuori dell’intervallo (0, 1) e vale √1x in questo intervallo è in L1 ma il suo quadrato non lo è. Per definire quindi la convoluzione si deve ricorrere al teorema di Fubini applicato alla funzione di due variabili f (x − y)g(y). La parte più delicata dell’applicazione del teorema di Fubini consiste nella dimostrazione che f (x − y) è misurabile come funzione di due variabili. Con questa premessa si osserva che scegliendo l’ordine di integrazione più conveniente Z Z Z |f ∗ g(x)|dx |f (x − y)||g(y)|dxdy = kf k1 kgk1 . R R R Questa disuguaglianza dimostra tra l’altro che f ∗ g ∈ L1 . Dimostriamo ora due proprietà importanti della convoluzione. Lemma 10 . Supponiamo che f e g siano elementi di L1 . Supponiamo f e g si annullino, rispettivamente fuori dei compatti K1 e K2 , allora f ∗ g si annulla fuori del compatto K1 + K2 . dimostrazione. Osserviamo che Z f ∗ g(x) = f (x − y)g(y)dy 6= 0, R solo se x − y ∈ K1 e y ∈ K2 , cioè solo se x ∈ K1 + y e y ∈ K2 , cioè solo se x ∈ K1 + K2 . Lemma 11 Supponiamo che u sia una funzione continua e derivabile. Supponiamo che u e la sua derivata Du siano assolutamente integrabili (cioè u, Du ∈ L1 ) e che Du sia anche limitata, e sia f ∈ L1 . Allora u ∗ f (x) è derivabile e D(u ∗ f )(x) = Du ∗ f (x), (31) dimostrazione. Le ipotesi ci consentono di applicare il teorema di convergenza dominata di Lebesgue per derivare sotto il segno di integrale, rispetto alla variabile x la funzione Z u ∗ f (x) = u(x − y)f (y) dy. R A partire dalla successione vn definita sopra, e utilizzando le proprietà della convoluzione siamo in grado di esibire una grandissima quantità di funzioni infinitamente differenziabili che si annullano fuori di un compatto. 32 Osserviamo che se f è un elemento di L1 che si annulla fuori di un intervallo chiuso e limitato [a, b], la funzione vn ∗ f sarà in virtù della (31) infinitamente differenziabile e, in virtù del Lemma 10 sarà zero fuori dell’insieme [a − 1/2n, b + 1/2n]. Vale anche la proposizione seguente. Proposizione 1 Se f è una funzione continua a supporto compatto allora f può essere approssimata uniformemente da funzioni continue a supporto compatto infinitamente differenziabili. In particolare lim vn ∗ f (x) = f (x), n uniformemente in x. dimostrazione. Osserviamo che f è uniformemente continua e pertanto assegnato ε > 0 esiste n tale che, se |y| < 1/2n risulta, per ogni x, |f (x − y) − f (x)| < ε. Approfittando del fatto che l’integrale di vn è uno, scriviamo |vn ∗ f (x) − f (x)| = Z | Z R 1/2n [f (x − y) − f (x)]vn (y) dy| ≤ |f (x − y) − f (x)|vn (y)dy < ε. −1/2n Corollario 12 Lo spazio delle funzioni continue ed infinitamente differenziabili a supporto compatto, è denso nello spazio L1 . Siamo pronti ora a definire la trasformata di Fourier di una funzione f ∈ L1 . Definizione 7 Per f ∈ L1 , la trasformata di Fourier di f è la funzione, Z Ff (λ) = fˆ(λ) = f (x) e−2πiλy dx. R Passiamo ora alle proprietà elementari della trasformata di Fourier. Lemma 12 Se f, g ∈ L1 (R), e α e β sono numeri complessi allora: 1. F(αf + βf ) = αF(f ) + βF(g). 2. Ff (λ) è una funzione continua di λ 0.6. SESTA LEZIONE 3. fˆ è limitata ed infatti 33 |fˆ(λ)| ≤ kf k1 . 4. Se f ∈ L1 , ed fy (x) = f (x − y), allora fˆy (λ) = fˆ(λ)e−2πiλy . 5. se f e la sua derivata Df appartengono a L1 allora c (λ) = 2πiλfˆ(λ). Df dimostrazione. La prima proprietà segue dalla linearità dell’integrale. Per dimostrare la seconda supponiamo che λn sia una successione reale che converge a λ. Dobbiamo far vedere che fˆ(λn ) converge a f (λ). Ma Z fˆ(λn ) = f (x)e−2πiλn x dx. R La successione di funzioni fn (x) = f (x)e−2πiλn x converge puntualmente a f (x)e−2πiλx , e inoltre la successione è dominata dalla funzione integrabile |f (x)|. Il teorema di convergenza dominata di Lebesgue implica allora che limn fˆ(λn ) = fˆ(λ). La terza proprietà segue immediatamente dal fatto che |f (x)e−2πiλx | = |f (x)|. Per dimostrare la quarta proprietà calcoliamo la trasformata di Fourier di f utilizzando l’invarianza per traslazione dell’integrale. Z Z −2πiλx ˆ fy (λ) = f (x − y)e dx = f (t)e−2πiλ(t+y) dt = fˆ(λ)e−2πiλy . R R Infine per dimostrare la quinta proprietà scegliamo due successioni di numeri reali an e bn tali che limn an = −∞, limn bn = +∞ e limn f (an ) = limn f (bn ) = 0. L’esistenza di tali successioni sarà discussa in seguito. Allora l’integrazione per parti fornisce: Z bn Z −2πiλx c (λ) = Df (x)e−2πiλx dx = Df Df (x)e dx = lim R n Z lim((f (bn )e n −2πiλbn − f (an )e −2πiλan bn )+ an f (x) 2πiλe−2πiλx dx.) = 2πiλfˆ(λ). an Resta da osservare che se f è una funzione continua appartenente a L1 esistono successioni an e bn che tendono rispettivamente a −∞ e ad ∞, tali che limn f (an ) = limn f (bn ) = 0. E’ opportuno prima di tutto osservare che 34 non è detto che una funzione continua che appartiene a L1 sia necessariamente nulla all’infinito. Ad esempio se un è una funzione lineare a tratti che vale zero fuori dell’intervallo (n −1/2n , n +1/2n ) vale uno in n ed è lineare tra n− 1/2n P ed n e tra n e n+1/2n , allora la funzione v = n un è continua, non negativa ha integrale uno e non tende a zero all’infinito. Tuttavia, se supponiamo che f sia continua e appartenga a L1 , l’integrale di |f | è finito, non può quindi succedere che esistano numeri positivi δ ed M tali che |f (x)| ≥ δ per x ≥ M , ovvero per x ≤ −M . Questo significa che è possibile trovare, numeri bn > n e an < −n tali che |f (an )| ≤ 1/n e |f (bn )| ≤ 1/n. Un’altra proprietà importante della trasformata di Fourier è quella di trasformare la convoluzione in un prodotto punto per punto. Lemma 13 . Se f, g ∈ L1 , allora F(f ∗ g)(λ) = Ff (λ)Fg(λ). dimostrazione. Osserviamo che: Z Z Z −2πiλx f ∗ g(x) e dx = f (x − y)g(y) e−2πiλx dydx R R R Z Z R R f (x − y)g(y) e−2πiλ(x−y) e−2πiλy dydx = Ff (λ)Fg(λ). Anche in questo caso abbiamo utilizzato l’invarianza per traslazione dell’integrale dopo che il teorema di Fubini ci ha consentito di scegliere l’ordine di integrazione più conveniente. 0.7 SETTIMA LEZIONE Ci proponiamo, in queste lezioni di dimostrare che la trasformata di Fourier di una funzione in L1 determina univocamente la funzione stessa. In altre parole se fˆ(λ) = 0 per tutti i numeri reali λ allora deve essere f identicamente nulla. In effetti per le funzioni che oltre ad essere in L1 godono della proprietà che Ff ∈ L1 , si può fornire un modo di ricostruire f a partire da Ff . Vale cioè la cosiddetta formula di inversione: Z f (x) = Ff (λ) e2πiλx dx. (32) R Si osservi che a destra dell’uguale nella (32), non c’è propriamente la trasformata di Fourier di Ff , ma una simile trasformata che si chiama ”trasformata di Fourier inversa” e spesso si indica con F∗ f . Infatti, al posto delle funzioni 0.7. SETTIMA LEZIONE 35 e−2πiλx sotto l’integrale ci sono le funzioni ad esse coniugate e2πiλx . La (32) può quindi essere scritta come f = F∗ (Ff ). Dimostreremo prima di tutto la (32) per funzioni che appartengono ad una classe speciale detta spesso classe di Schwarz o classe delle funzioni rapidamente decrescenti, secondo la definizione che segue. Definizione 8 . Una funzione f di variabile reale e a valori complessi si dice rapidamente decrescente se è derivabile infinite volte e per ogni polinomio p(x) è limitato li prodotto p(x)f (x). L’insieme delle funzioni rapidamente decrescenti si chiama anche classe di Schwarz e verrà indicato con il simbolo S = S(R). Osserviamo prima di tutto che le funzioni infinitamente differnziabili a supporto compatto sono certamente rapidamente decrescenti. Infatti se p(x) è un polinomio ed f ha supporto compatto, la funzione p(x)f (x) ha supporto compatto ed è quindi limitata. Segue da questa osservazione che lo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti è denso in L1 . Tuttavia non tutte le funzioni rapidamente decrescenti sono a supporto compatto. Un esempio importante è fornito dalla funzione 2 e−x , che è infinitamente differenziabile e che è rapidamente decrescente perché per qualsiasi potenza n risulta xn lim x2 = 0. x→∞ e Osserviamo che le funzioni rapidamente decrescenti appartengono tutte a L1 . Infatti se f ∈ S è limitato il prodotto f (x)(1 + x2 ). Ne segue che Z Z 1 dx = M π. R R 1 + x2 Si deve anche osservare che la derivata di una funzione di S appartiene ancora ad S e che il prodotto di una potenza di x (o un polinomio) per una funzione di S appartiene ancora ad S. Cioè S è invariante per la derivazione e per la moltiplicazione per un polinomio |f (x)| dx ≤ M 36 Lemma 14 Se f è una funzione rapidamente decrescente allora 1. c (λ) = 2πiλfˆ(λ) Df 2. Z Dfˆ(λ) = R (−2πix)f (x)e−2πiλx dx. dimostrazione. La prima formula è già stata dimostrata in condizioni più generali. Per dimostrare la seconda affermazione si considera il rapporto incrementale Z −1 h (Ff (λ + h) − Ff (λ) = f (x) h−1 (e−2πi(λ+h)x − e−2πiλx ) dx. R Il teorema del valor medio per le derivate ci fornisce |(e−2πi(λ+h)x − e−2πiλx )| ≤ 2π|h||x|. Ne segue che il modulo dell’espressione sotto il segno di integrale è maggiorato da |2πxf (x)|. Poiché f ∈ S anche 2πxf (x) appartiene ad S ed è quindi integrabile. Perciò possiamo applicare all’integrando il teorema di convergenza dominata di Lebesgue e passare al limite per h → 0 sotto il segno di integrale. Corollario 13 La trasformata di Fourier F manda elementi di S in elementi di S. In altre parole se f ∈ S allora Ff ∈ S. dimostrazione Se f ∈ S allora (2πix)n f (x) è un elemento di S ed è quindi integrabile. Ne segue che Ff è derivabile n volte. Ma anche la derivata n-esima di f appartiene ad S pertanto (−2πiλ)n Ff (λ) è limitato per ogni n. Ne segue che f ∈ S. Osservazione 6 La derivazione può essere considerata come una trasformazione D che manda un elemento f di S in un elemento Df pure appartenente a S. In altre parole D può essere considerata come una trasformazione di S in sé. Accanto alla trasformazione D possiamo considerare anche la trasformazione M che manda l’elelento f ∈ S nell’elemento Mf (x) = 2πixf (x). Il Lemma che abbiamo appena dimostrato stabilisce le regole di composizione tra queste trasformazioni e la trasformata di Fourier, che possiamo riassumere come segue, per un generico elemento f ∈ S: F(Df ) = M(Ff ), e DF(f ) = −F(M(f )). 0.7. SETTIMA LEZIONE 37 Conviene ora definire formalmente la trasformata di Fourier inversa cui abbiamo accennato all’inizio di questa lezione. Definizione 9 Sia ϕ ∈ L1 , la trasformata di Fourier inversa F∗ ϕ è definita come Z ∗ F ϕ(x) = ϕ(λ)e2πiλx dλ. R Ci proponiamo di dimostrare che se f ∈ S allora Z f (x) = Ff (λ)e2πiλx dλ. R In altre parole ci proponiamo di dimostrare che F∗ (Ff ) = f. Cominciamo da un lemma. Lemma 15 . Siano f e g due funzioni rapidamente decrescenti, allora Z Z Ff (λ) g(λ) dλ = f (x) F∗ g(x) dx. R R dimostrazione. Una applicazione del teorema di Fubini fornisce: Z Z Z Ff (λ) g(λ) dλ = f (x)e−2πiλx g(λ)dxdλ = R R R Z Z R f (x) Z R g(λ)e2πiλx dλ dx = R f (x)F∗ g(x) dx. Fine della dimostrazione. Introduciamo ora una famiglia di funzioni di S indicizzata dai reali positivi. Si tratta per t > 0 delle funzioni 2 /2t ut (x) = (2πt)−1/2 e−x . Di queste funzioni si può calcolare prima di tutto la trasformata di Fourier. Lemma 16 Fut (λ) = e−2π 2 λ2 t . 38 . dimostrazione. Fissato t > 0 sia 1/2 φ(λ) = (2πt) Z Fut (λ) = La derivata è R e−x 2 /2t e−2πiλx dx. Z 2 /2t Dφ(λ) = −2πi R xe−x e−2πiλ x dx. −x2 /2t 2 /2t Ma la derivata rispetto ad x di e è proprio (−x/t)e−x possiamo riscrivere la derivata di φ come Z 2 Dφ(λ) = 2πit D[e−x /2t ] e−2πiλx dx. . Perciò R Integrando per parti, tenuto conto che l’integrando si annulla all’infinito si ottiene: Z Z 2 −x2 /2t −2πiλx 2 Dφ(λ) = 2πit e (−2πiλ)e dx = −4π λt e−x /2t e−2πiλx dx = R R −4π 2 λtφ(λ). In altre parole φ(λ) soddisfa la equazione differenziale: Dφ(λ) + 4π 2 λtφ(λ). La formula risolutiva delle equazioni lineari del primo ordine (vedi APPENDICE) ci fornisce allora: φ(λ) = φ(0)e−π Resta da calcolare φ(0) = Z R e x2 /2t 2 λ2 t . √ √ Z −x2 /2 dx = t e dx = 2πt. R Questo conclude la dimostrazione del Lemma. APPENDICE Questa appendice è dedicata a dimostrare che se una funzione di variabile reale φ(λ), è derivabile e soddisfa alla condizione che Dφ(λ) + a(λ)φ(λ) = 0, dove a(λ) è una funzione continua, allora φ(λ) = φ(0) e−A(λ) , 0.8. OTTAVA LEZIONE 39 dove A(λ) è una primitiva di a(λ) che si annulla in zero. Infatti supponiamo che A(λ) sia una primitiva di a(λ) che si annulla in zero, cioè supRλ poniamo che A(λ) = 0 a(ξ)dξ, e moltiplichiamo ambo i lati della equazione per la funzione eA(λ) , che non si annulla mai. Otteniamo cosı̀ l’equazione equivalente: eA(λ) Dφ(λ) + a(λ)eA(λ) φ(λ) = D(eA(λ) φ)(λ) = 0. Questo significa che è costante la funzione eA(λ) φ(λ) = k da cui si ricava φ(λ) = ke−A(λ) . Per calcolare k basta sostituire 0 a λ nell’ultima equazione. Si ottiene k = φ(0) tenuto conto che A(0) = 0. 0.8 OTTAVA LEZIONE Nella lezione precedente abbiamo introdotto le funzioni 2 /2t ut (x) = (2πt)−1/2 e−x . e le loro trasformate di Fourier Fut (λ) = e−2π 2 λ2 t . Osserviamo che queste funzioni godono di due importanti proprietà che le rendono una ”identità approssimata” quando operano per convoluzione nello spazio delle funzioni uniformemente continue e limitate o nello spazio L1 . R 1. ut (x) ≥ 0, e R ut (x)dx = 1. R 2. per ogni δ > 0, limt→0 |x|≥δ ut (x) dx = 0. Ecco le conseguenze di queste proprietà: Lemma 17 Se f è una funzione limitata e uniformemente continua, allora lim f ∗ ut (x) = f (x), t→0 uniformemente in x. 40 dimostrazione. Utilizzando il fatto che l’integrale di ut vale uno possiamo scrivere Z Z |f (x)−f ∗ut (x)| = | (f (x−y)−f (x)) ut (y) dy| ≤ |f (x−y)−f (x)| ut (y) dy = R R Z Z |f (x − y) − f (x)| ut (y) dx + |x|<δ |f (x − y) − f (x)|ut (y) dy. |x|≥δ Assegnato ε > 0 possiamo scegliere δ > 0 tale che, se |y| < δ si abbia |f (x) − f (x − y)| < ε/2 per tutti gli x. Sia M = sup |f (x)| e scegliamo t0 > 0 in modo che la condizione t > t0 implichi Z ε ut (x)dx ≤ . 4M |x|≥δ Ne segue che per t > t0 , e tutti gli x risulta |f (x) − f ∗ ut (x)| < ε. Per l’analogo risultato sulla convoluzione di ut con una funzione di L1 abbiamo bisogno di una osservazione preliminare. Osservazione 7 Se f ∈ L1 e fy (x) = f (x − y), la tasformazione y 7→ fy è una funzione uniformemente continua definita su R e a valori in L1 . dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che dato ε > 0 esiste δ > 0 tale che se |y1 − y2 | < δ allora kfy1 − fy2 k1 < ε. Poichè l’integrale e quindi la norma di L1 è invariante per traslazione e quindi kfy1 −fy2 k1 = kfy1 −y2 −f k1 , basta dimostrare che la trasformazione y 7→ fy è continua in zero. Dato ε > 0 dobbiamo quindi trovare un δ > 0 tale che se |y| < δ < 1 allora kfy −f k1 < ε. Scegliamo g continua a supporto compatto tale che kf − gk < ε/3. Sia [a, b] un intervallo fuori del quale si annulla per ogni |y| < 1 la funzione g(x − y). Sia M = sup |g(x)|. E infine sia 1 < δ < 0 tale che se |y| < δ allora, per ogni x, |g(x − y) − g(x)k < ε/3M . Allora per |y| < δ risulta kg − gy k1 ≤ ε/3 and, kfy − f k ≤ kf − gk1 + kg − gy k1 + kgy − fy k1 < ε. Possiamo enunciare adesso il secondo lemma che è una conseguenza delle proprietà di ut . Lemma 18 Se f ∈ L1 allora limt→0 ut ∗ f = f nella norma of L1 . 0.8. OTTAVA LEZIONE 41 dimostrazione. Poiché l’integrale di ut vale uno possiamo scrivere come nella dimostrazione del Lemma 17 Z |ut ∗ f (x) − f (x)| = | (f (x) − f (x − y))ut (y) dy|. B Perciò: Z Z kut ∗ f − f k1 ≤ R R |f (x − y) − f (x)|ut (y)dydx. (33) Sia ε > 0 e sia δ > 0 tale che per |y| < δ risulti kfy − f k1 < ε/2. Allora la (33) implica Z kut ∗ f − f k1 ≤ kf − fy kut (y) dy = Z R δ Z kfy − f k1 ut (y)dy + kfy − f k1 ut (y) dy. −δ |y|≥δ Il primo integrale a desta dell’uguale è certamente minore di ε/2, mentre il secondo integrale tende a zero per t → 0, in quanto è maggiorato da Z 2kf k1 ut (y) dy, |y|≥δ che tende a zero per il solito teorema di convergenza dominata di Lebesgue. Questo completa la dimostrazione Ora, per dimostrare il teorema di inversione per le funzioni rapidamente decrescenti, cominciamo dalla verifica che il teorema vale per la famiglia di funzioni ut (x) = √ 1 −x2 /2t e , 2πt delle quali abbiamo calcolato la trasformata di Fourier che è F(ut )(λ) = e−2π 2 λ2 t . Lemma 19 F∗ (Fut )(x) = ut (x). dimostrazione In virtù del Lemma 15, e ponendo t = 1/τ , Z 2 2 ∗ F Fut (x) = e−4π λ /2τ e2πiλx dλ. R Se si pone γ = 2πλ, l’integrale diviene. Z √ 2πτ uτ (γ) eiγx (2π)−1 dγ = R (34) 42 √ τ x 1 − x2 √ F(uτ )( ) = √ e 2t = ut (x). 2π 2π 2πt Possiamo ora dimostrare il teorema di inversione per tutte le funzioni rapidamente decrescenti. Teorema 14 Se f ∈ S è una funzione rapidamente decrescente, allora F∗ Ff = f dimostrazione. Applichiamo il Lemma 15 ricordando che ut e la sua trasformata di Fourier sono funzioni reali e pari. Z Z Z ∗ Ff (λ)F(ut )(λ)dλ = f (x)F Fut (x)dx = f (x)ut (x)dx. R R R Pertanto, in applicazione del teorema della convergenza dominata di Lebesgue, Z Z 2 2 Ff (λ) dλ = lim Ff (λ)e−2π λ t dλ = R t→0 Z lim R t→0 R f (x)ut (x)dx = lim f ∗ ut (0) = f (0). t→0 Per ottenere l’enunciato del teorema basta ora considerare la funzione f−y (x) = f (x + y), e ricordare che Ff−y (λ) = Ff (λ)e2πiλy . Si ottiene allora Z Ff (λ) e2πiλy = f (y). R Corollario 15 . Se f ∈ S è una funzione rapidamente decrescente, allora Z Z 2 |f (x)| dx = |Ff (λ)|2 dλ. (35) R R dimostrazione. Consideriamo la funzione Z g(x) = f (x + y) f (y) dy. R Derivando sotto il segno di integrale si dimostra che g è infinitamente derivabile. Un’applicazione del Teorema di Fubini mostra anche che g è integrabile. Infine, applicando sempre il teorema di Fubini possiamo dimostrare che Fg(λ) = |Ff (λ)|2 . Poiché f ∈ S anche Ff ∈ S, e quindi dal momento che il prodotto di due funzioni di S è in S appartiene ad S anche la funzione |Ff |2 . Ne segue che g ∈ S e vale per g il teorema di inversione. Pertanto Z Z 2 |f (y)| dy = g(0) = |Ff (λ)|2 dλ. R R Infine ecco il teorema di inversione nella sua forma generale. 0.9. NONA LEZIONE 43 Teorema 16 Sia f ∈ L1 e supponiamo che Ff ∈ L1 . Allora Z f (x) = Ff (λ) e2πiλx dx. R dimostrazione Osserviamo che la funzione Z Ff (λ) e2πiλx dλ, R è continua. Pertanto basta dimostrare che questa funzione è uguale quasi ovunque ad f (x). D’altra parte la convergenza di ut ∗f ad f nella norma di L1 , implica che esiste una successione tn → 0 tale che limn utn ∗f (x) = f (x) quasi ovunque. Scriviamo per semplicità utn = un e, ricordando che un = F∗ Fun , osserviamo che, per quasi tutti gli x, Z f (x) = lim f ∗ un (x) = lim f (x − y)un (y)dy = n R n Z Z 2 2 lim f (x − y)e−2π λ tn e2πiλy dλdy = n Z Z R R 2 2 lim f (x − y) e−2πiλ(x−y) e−2π λ tn e2πiλx dydλ = n R R Z 2 2 lim F(f )(λ)e2πiλx e−2π λ tn dλ. n −2π 2 λ2 t R n Poiché e → 1 dal momento che tn → 0, un’applicazione del teorema della convergenza dominata di Lebesgue, fornisce, per quasi ogni x, Z f (x) = Ff (λ)e2πλx dλ. R Come abbiamo visto la funzione a destra dell’uguale è continua, pertanto f è quasi ovunque uguale ad una funzione continua, che coincide con la funzione a destra dell’uguale. 0.9 NONA LEZIONE Possiamo riassumere le proprietà della trasformata di Fourier per le funzioni di L1 nel seguente teorema. Teorema 17 Per f ∈ L1 , sia fˆ(λ) = Ff (λ) = Allora Z R f (λ)e−2πiλx . 44 1. F(αf + βg) = αFf + βFg 2. |Ff (λ)| ≤ kf k1 3. Ff è una funzione continua che si annulla all’infinito. 4. F(f ∗ g) = Ff (λ)Fg(λ). 5. fby (λ) = e2πiλy fˆ(λ). 6. se Ff ∈ L1 , allora Z f (x) = R Ff (λ) e2πiλx dλ. Tutte queste proprietà sono state dimostrate eccetto il fatto che Ff tende a zero all’infinito, ma questo discende dal fatto che ogni elemento di f ∈ L1 può essere approssimato da una successione fn di elementi di S. La trasformata di Fourier di un elemento di S appartiene ad S e pertanto tende a zero all’infinito. La disuguglianza sup |fˆn (λ) − fˆ(λ)| ≤ kfn − f k1 → 0, ci assicura che anche fˆ(λ) tende a zero all’infinito. Vale anche la pena di osservare che c’è una operazione su L1 che corrisponde alla coniugazione della trasformata di Fourier. Infatti se definiamo f ∗ (x) = f (−x), risulta Z Z Ff (λ) = R f (−x)e −2πix dx = R f (x)e−2πix dx = Ff (λ), dal momento che l’integrale è invariante per la trasformazione x 7→ −x. Utilizzando, appunto, la funzione f ∗ f ∗ abbiamo anche dimostrato, per le funzioni di S l’importante uguaglianza Z Z 2 |f (x)| dx = |Ff (λ)|2 dλ. (36) R R Questa uguaglianza ci permette di estendere la trasformata di Fourier allo spazio L2 dove non è direttamente definita. Infatti se f ∈ L2 consideriamo una successione fn di funzioni di S che converge, in norma L2 , ad f . Naturalmente la successione fn è di Cauchy in L2 , e in virtù della (36) sarà di 0.9. NONA LEZIONE 45 Cauchy in L2 anche la successione fˆn . Poiché L2 è completo come spazio metrico esisterà un elemento che possiamo chiamare fˆ che è il limite delle fˆn . E’ facile osservare che questo elemento è unicamente determinato da f (se gn fosse un’altra successione che converge ad f , risulterebbe kfˆn − ĝn k → 0). Inoltre fˆ coincide con l’ordinaria trasformata di Fourier se f ∈ L1 ∩ L2 . Possiamo riassumere questo importante risultato in un teorema Teorema 18 La trasformata di Fourier definita sullo spazio S delle funzioni rapidamente decrescenti si estende per continuità ad una isometria di L2 (R su L2 (R. L’estensione coincide sullo spazio L1 ∩ L2 con l’ordinaria trasformata di Fourier definita su L1 . Ci proponiamo ora di studiare un po’ più da vicino lo spazio delle funzioni infinitamente differenziabili e rapidamente decrescenti che abbiamo indicato con S e che ci è stato cosı̀ utile per introdurre e studiare le proprietà della trasformata di Fourier. Ricordiamo che S è un sottospazio di L1 che è denso nella norma di L1 . Su questo spazio sono definiti due importanti trasformazioni: la derivata che manda f in Df e la trasformazione M di moltiplicazione di una funzione per il polinomio di primo grado 2πix. La trasformata di Fourier crea un collegamento naturale tra questi operatori. Abbiamo infatti dimostrato che F(Df ) = M(Ff ), (37) DF(f ) = −F(M(f )). (38) e Da queste formule si deduce che la trasformata di Fourier manda elementi di S in elementi di S. Vorremmo poter dire qualcosa di più: la trasformata di Fourier è una trasformazione iniettiva e surgettiva di S in sé, che è anche continua rispetto ad una naturale nozione di convergenza. In altre parole vorremmo almeno poter dire che se fn è na successione di elementi di S che converge ad un elemento f di S, allora fˆn converge ad fˆ. Ma quale è la naturale nozione di convergenza? Certamente S non è uno spazio di Banach, e nemmeno uno spazio normato. Sembra però naturale asserire che fn converge ad f quando le derivate di qualsiasi ordine Dj fn convergono uniformemente alla corrispondente derivata Dj f , ed inoltre convergono uniformemente per ogni k le funzioni Mk Dj fn alla funzione Mk Dj f . Per ottenere una formulazione più chiara di questa nozione di convergenza conviene introdurre una famiglia di seminorme, cosı̀ definite: pjk (f ) = sup |(1 + x2k )Dj f (x)|. R x∈ 46 Si dirà allora che la successione fn ∈ S converge ad f ∈ S se per ogni coppia (j, k) di interi non negativi pjk (fn − f ) tende a zero. E’ anche possibile definire la nozione di successione di Cauchy per una successione di fn ∈ S, prescrivendo che la successione sia di Cauchy rispetto a tutte le seminorme. Non è difficile dimostrare che ogni successione di Cauchy converge, e che lo spazio è quindi completo. Questa nozione di completezza dello spazio coincide con quella nota relativa a spazi metrici non appena ci si convince che S pur non possedendo un’unica norma che dia conto della nozione di convergenza che abbiamo introdotto, risulta però uno spazio metrico rispetto ad una distanza che dà luogo alla stessa nozione di convergenza. Una tale possibile distanza può essere definita ad esempio come: ∞ X pjk (f − g) d(f, g) = 2−j−k . 1 + pjk (f − g) j,k=0 La dimostrazione che d è una distanza si basa sull’osservazione che la t funzione u(t) = 1+t , è una funzione crescente e concava per t > 0 e soddisfa quindi alla condizione u(t1 + t2 ) ≤ u(t1 ) + u(t2 ). Questa distanza soddisfa tra l’altro alla proprietà di invarianza per traslazione, e cioè d(f − h, g − h) = d(f, g). 0.10 DECIMA LEZIONE Abbiamo introdotto la nozione di convergenza di una successione nello spazio S senza definire una distanza (anche se poi abbiamo dato un esempio di distanza che dà luogo alla stessa nozione di convergenza di una successione). Anche senza far intervenire una distanza, a partire dalla nozione di convergenza di una successione è possibile definire una ”topologia” cioè una famiglia di insiemi, che sono detti insiemi aperti, che soddisfa alla condizione che l’unione arbitraria di insiemi aperti è aperta e l’intersezione di un numero finito di aperti è aperta, essendo aperti anche l’intero spazio e l’insieme vuoto. Basta stabilire che un un sottoinsieme è aperto se ogni successione che converge ad un punto dell’insieme appartiene definitivamente all’insieme. Non è difficile verificare che in questo modo si definisce una topologia. Questo ci fornisce un altro modo di definire che cosa si intende per continuità di una trasformazione di S in S (o in un altro spazio topologico). Una trasformazione è continua se l’immagine inversa di un insieme aperto è aperta. Sono naturalmente continue le trasformazioni (f, g) 7→ f + g, 0.10. DECIMA LEZIONE 47 da S × S a S e (α, f ) 7→ αf, da C × S a S. Questo significa che lo spazio vettoriale S è uno spazio vettoriale topologico, ovvero S è uno spazio vettoriale dove è definita una topologia che rende continue le operazioni di somma e moltiplicazione per uno scalare. In effetti S ha l’ulteriore proprietà di essere uno spazio localmente convesso (ogni intorno di un punto contiene un intorno convesso), ed inoltre la sua topologia può essere descritta da una metrica invariante per traslazione che dà luogo ad uno spazio metrico completo. Nella terminologia corrente queste sono le proprietà caratteristiche di uno spazio di Fréchet, dal nome del matematico francese Maurice Fréchet. Naturalmente tutti gli spazi di Banach (spazi normati completi) sono spazi di Fréchet, ma non è vero il viceversa come dimostra appunto l’esempio di S. Passiamo ora a considerare lo spazio S 0 dei funzionali lineari e continui definiti su S. Un elemento di S 0 è appunto una trasformazione F di S in C che soddisfa alla condizione di linearità F (αf + βg) = αF (f ) + βF (g), e tale che se limn fn = f nella topologia di S, allora limn F (fn ) = F (f ). In altre parole se, per tutte le seminorme pjk , risulta limn pjk (f − fn ) = 0 deve risultare anche limn F (fn ) = F (f ). Veiamo ora qualche esempio di funzionale continuo. Prendiamo ad esempio un elemento φ ∈ L1 e definiamo, Z F (f ) = f (x)φ(x) dx. R Risulta evidente che F è lineare e continuo, perché la convergenza di fn ad f implica che fn converge ad f uniformemente. Un altro diverso funzionale può essere definito come Z 0 F (f ) = − Df (x)φ(x) dx. R C’è da chiedersi perché mai abbia premesso un segno − all’integrale di quest’ultima formula. La ragione è che se φ ∈ L1 è anche derivabile con continuità allora l’integrazione per parti (ed il fatto che gli elementi di S si annullano all’nfinito) ci porta a conludere che il funzionale F 0 definito sopra può scriversi anche come Z f (x)Dφ(x) dx. R 48 Possiamo introdurre quindi la derivazione di qualsiasi ordine j di un funzionale F ∈ S 0 stipulando che, Dj F (f ) = (−1)j F (Dj f )(x). Definizione 10 Lo spazio S 0 dei funzionali lineari e continui definiti sullo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti si chiama spazio delle distribuzioni temperate. In questi appunti sarà indicato come spazio delle distribuzioni. Ogni elemento di S 0 risulta quindi infinitamente differenziabile, come distribuzione. In particolare poiché ogni funzione integrabile definisce una distribuzione c’è da chiedersi se per una funzione derivabile la derivata in senso classico coincide con quella nel senso delle distribuzioni. La risposta è sı̀, come dimostrato dall’integrazione per parti, se se la funzione è derivabile e con derivata continua. Possono però sorgere problemi per funzioni che sono derivabili quasi ovunque. Un esempio illuminante è il seguente. Sia h(x) la funzione che vale zero per x negativo e vale uno per x ≥ 0. Questa funzione definisce una distribuzione H che possiamo scrivere come, Z ∞ H(f ) = f (x)dx. 0 La sua derivata, nel senso delle distribuzioni è la distribuzione Z ∞ Z n DH(f ) = − Df (x)dx = − lim f 0 (x) dx = − lim[f (n) − f (0)] = f (0). n 0 0 n Ovviamente la derivata in senso classico della funzione h è zero quasi ovunque. Ricordiamo che la funzione h si chiama funzione di Heavyside, e la sua derivata nel senso delle distribuzioni si chiama misura di Dirac. Heavyside e Dirac erano rispettivamente un ingegnere ed un fisico che utilizzavano ampiamente il formalismo del calcolo differenziale prima che fosse sviluppata la teoria delle distribuzioni. Siamo cosı̀ arrivati indirettamente a definire la distribuzione, detta misura di Dirac, che fa corrispondere ad ogni funzione in S il valore della funzione stessa in 0. In simboli si scrive spesso δ0 (f ) = f (0), o anche altrettanto spesso, Z R f (x) dδ0 (x) = f (0). 0.10. DECIMA LEZIONE 49 In questa seconda notazione si tratta δ0 come la misura (infinitamente additiva, definita per tutti i sottoinsiemi di R) che attribuisce il valore 1 ad ogni insieme che contiene 0 ed il valore zero ad ogni insieme che non contiene lo zero. La distribuzione associata ad una misura (definita almeno sui boreliani) è naturalmente l’integrale rispetto alla misura stessa. Accanto alla misura di Dirac relativa al numero reale 0 possiamo definire una misura di Dirac δx relativamente al numero deale x. Basta ovviamente stipulare che δx (f ) = f (x). L’esempio fornito dalla funzione di Heavyside non è isolato. Supponiamo di avere una funzione u(x) non decrescente e limitata definita su tutto R (come era appunto la funzione di heavyside). Non si fa qui alcuna ipotesi sulla continuità di u anche se sappiamo dalla teoria della misura che u è integrabile secondo Riemann e pertanto u è continua quasi ovunque. La funzione u può essere utilizzata per definire in modo diverso dal solito la nozione di lunghezza di un intervallo. Basta stipulare che la lunghezza di un intervallo [a, b) altro non è che u(b) − u(a). A partire da questa nuova nozione di lunghezza si possono seguire tutti i passi utilizzati per definire la misura e l’integrale di Lebesgue. Arriveremo cosı̀ ad una nuova misura e ad un nuovo integrale che è naturale indicare con Z f (x)du. (39) R Se u è una funzione con derivata continua u0 (x) allora questo integrale si riduce a: Z f (x) u0 (x), dx. (40) R Ma la costruzione a partire dalla nuova nozione di lunghezza dà luogo ad una misura e ad un integrale anche nel caso in cui u è in più punti discontinua. In questi casi la ordinaria derivata di u potrebbe essere addirittura zero mentre non è sero la derivata nel senso delle distribuzioni perché fornisce appunto la formula (39). Resta da chiederci quali sono le condizioni che consentano di riscrivere la (39) come la (40). Non basta certo che u sia derivabile quasi ovunque, perché in effetti una funzione non decrescente è sempre derivabile quasi ovunque. La condizione è più stringente: la funzione u deve essere assolutamente continua. E’ una nozione questa sulla quale non interverremo ulteriolmente. Nello spazio delle distribuzioni possiamo definire una nozione di convergenza. E’ la convergenza debole del duale qui appresso definita: 50 Definizione 11 Una successione Fn di distribuzioni converge ad una distribuzione F , se per ogni elemento f ∈ S risulta limn Fn (f ) = F (f ). Osservazione 8 . Bisognerebbe aggiungere che se Fn è una successione di distribuzioni tale che limn Fn (f ) esiste per ogni f ∈ S, allora posto F (f ) = limn Fn (f ) risulta che F è un funzionale lineare e continuo. Questo dipende da un importante risultato sugli spazi di Frechét che viene spesso chiamato il principio della uniforme limitatezza, e che è una conseguenza di un teorema attribuito a René Baire sugli spazi metrici completi. Abbiamo ora l’opportunità di studiare un esempiodi limite di successione di distribuzioni. Consideriamo infatti: lim n n X ∞ X δk = k=−n δk . k=−∞ Esiste questo limite? Secondo le nostre definizioni dobbiamo verificare che per ogni f ∈ S converga la serie ∞ X F (f ) = f (k). (41) k=−∞ Ma questo è sicuramente vero perché |f (x)| ≤ M . 1 + x2 Sulla base della Osservazione 8 possiamo affermare che, il funzionale definito dalla (55) è continuo ed è quindi una distribuzione. la distribuzione è nota con il nome di ”treno di impulsi”. In realtà è possibile dimostrare la continuità di questo funzionale senza ricorrere alla proprietà degli spazi di Fréchet ed in particolare al ”principio della uniforme limitatezza”. Basta far vedere che per un numero finito di seminorme pjk ed ogni f ∈ S, risulta |F (f )| ≤ Mjk pjk (f ). Proposizione 2 Il funzionale F (f ) = ∞ X f (n), n=−∞ è continuo per f ∈ S e definisce pertanto una distribuzione. 0.11. UNDICESIMA LEZIONE 51 dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che l’integrale di |f (x)| tra n e n + 1 è un numero compreso tra il massimo ed il minimo di |f (x)| nell’intervallo [n, n + 1], e che questo numero corrisponde ad un valore |f (ξn )| per qualche ξn ∈ [n, n + 1]. Pertanto Z ∞ Z n+1 ∞ X X |f (x)| dx = |f (x)| dx = |f (ξn )|. R n=−∞ n D’altra parte, n=−∞ Z ξn f (n) = f (ξn ) − Df (x) dx, n e quindi Z Z ξn |f (n)| ≤ |f (ξn )| + n+1 Df (x) dx ≤ |f (ξn )| + n Df (x) dx. n Ne segue che |F (f )| ≤ ∞ X |f (n)| ≤ n=−∞ ∞ X n=−∞ Z |f (ξn )| + R |Df (x)| dx ≤ kf k1 + kDf k1 . A questo unto basta osservare che Z |f (x)| kf k1 = (1 + x2 ) dx ≤ πp01 (f ), 2 1 + x R e che, analogamente, kDf k1 ≤ πp11 (f ). 0.11 UNDICESIMA LEZIONE Ricordiamo che sullo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti S è ben definita la trasformata di Fourier che risulta iniettiva e surgettiva. A partire dalla trasformata di Fourier su S non dovrebbe essere difficile definire anche la trasformata di Fourier di un elemento di S 0 cioè di un funzionale lineare e continuo definito su S. Se F ∈ S 0 possiamo definire (FF )(f ) = F (Ff ). In questo modo si definisce certamente un funzionale lineare su S, ma non è affatto chiaro che si tratti di un funzionale continuo. Per completare la definizione è necessario mostrare che la trasformata di Fourier F è una trasformazione continua da S in S. Cominciamo con una definizione ed un risultato preliminare. 52 Definizione 12 Una funzione h si dice a crescita polinomiale se è infinitamente differenziabile e per ogni intero non negativo j esiste un intero non negativo k(j) tale che Dj h(x) , 1 + x2k(j) sia limitata. In pratica una funzione infinitamente differenziabile è a crescita polinomiale se tutte le sue derivate crescono all’infinito più lentamente di una potenza di x. Naturalmente la potenza può essere diversa per derivate di ordine diverso, come è indicato nella definizione formale dalla dipendenza dall’ordine della derivata, del grado 2k(j) del polinomio (1 + x2k(j) ) In particolare sono a crescita polinomiale le funzioni infinitamente differenziabili limitate assieme alle loro derivate di qualsiasi ordine e le funzioni polinomiali. Non è, ad es2 empio, a crescita polinomiale la funzione ex e nemmeno la funzione ex che pure sono infinitamente differenziabili. Prima di enunciare il prossimo lemma ricordiamo che il prodotto di due funzioni infinitamente differenziabili è infinitamente differenziabile, come si deduce facilmente dalla formula: n D (f h)(x) = n X k=0 n! Dk f (x)Dn−k h(x). k!(n − k)! (42) Questa formula può essere dimostrata per induzione su n. Lemma 20 Sia h una funzione infinitamente differenziabile a crescita polinomiale. Allora per ogni f ∈ S la funzione h(x)f (x) appartiene ad S e la trasformazione f 7→ hf è una trasformazione lineare e continua. dimostrazione. Dalla definizione di funzione a crescita polinomiale si ricava che |Dj h(x)| ≤ Cj (1 + x2k(j) ) (43) Osserviamo che dalla formula (42) e dalla (43) si ricava che l |D (f h)(x)| ≤ B l X |Dj h(x)||Dl−j f (x)| ≤ j=0 l l X X |Dj h(x)| 2k(j) l−j B (1 + x )|D f (x)| ≤ B Cj (1 + x2k(j) )|Dl−j f (x)|. 2k(j) 1 + x j=0 j=0 0.11. UNDICESIMA LEZIONE 53 Osserviamo ora che (1 + x2n )(1 + x2m ) ≤ M (1 + x2(n+m) ). Da cui si ricava che per k fissato (1 + x2k )(1 + x2k(j) ) ≤ Mj (1 + x2(k+k(j)) ) Pertanto posto C = maxj Cj ed M = maxj Mj , (1 + x2k )|Dl (f h)(x)| ≤ BC l X (1 + x2k )(1 + x2k(j) |Dl−j (f )(x)| ≤ j=0 M BC l X (1 + x2(k+k(j)) )|Dl−j (f )(x)|, j=0 da cui segue pkl (hf ) ≤ M BC l X j=0 sup(1 + x2(k+k(j)) )|Dl−j (f )(x)|. x I termini dell’ultima somma altro non sono che le seminorme relative agli indici k + k(j) e l − j. Ne segue che la trasformazione f 7→ hf è continua. Ricordiamo una osservazione fatta nelle precedenti lezioni: Osservazione 9 La derivazione può essere considerata come una trasformazione D che manda un elemento f di S in un elemento Df pure appartenente a S. In altre parole D può essere considerata come una trasformazione di S in sé. Accanto alla trasformazione D possiamo considerare anche la trasformazione M che manda l’elemento f ∈ S nell’elemento Mf (x) = 2πixf (x). Abbiamo dimostrato regole di composizione tra queste trasformazioni e la trasformata di Fourier, che possiamo riassumere come segue, per un generico elemento f ∈ S: F(Df ) = M(Ff ), e DF(f ) = −F(M(f )). E’ facile dimostrare che le trasformazioni D e M sono continue. Infatti, pjk (Df ) ≤ p(j+1)k (f ) e pjk (M(f )) ≤ 2πpj(k+1) (f ). 54 Procediamo con due lemmi che discendono immediatamente da questa osservazione. Introduciamo prima di tutto la notazione Al = (−M)l . Lemma 21 Se f ∈ S e per ogni intero non negativo l ≥ 0 si pone Al f (x) = (−2πix)l f = (−M)l f, allora l’operatore Al è continuo su S e Z l ˆ D (f )(λ) = Al f (x)e−2πiλx dx. R La dimostrazione di questo lemma segue dalla osservazione precedente. Lemma 22 Se f ∈ S e k, l sono interi non negativi Z k lˆ (2πiλ) D f (λ) = Dk (Al f )(x)e−2πixλ dx. R Anche questo lemma si deduce dal lemma precedente e dall’osservazione che precede. Il prossimo Lemma concerne la trasformata di Fourier. Lemma 23 . Se f ∈ S, e k, lsono interi non negativi, pkl (fˆ) ≤ π(p2k (Al f ) + p20 (Al f ). dimostrazione. Osserviamo che dal Lemma 22 e dalla integrabilità della funzione (1 + x2 )−1 , si deduce, per k ed l fissati, la disuguaglianza Z Z 1 |Dk (Al f )(x)| k lˆ k |λ ||D f (λ)| ≤ |D (A f )(x)| dx ≤ (1 + x2 ) dx ≤ l (2π)k R 1 + x2 R Z 1 1 π 2 k sup |(1 + x )D (Al f )(x)| dx = p1k (Al f ) ≤ πp1k (Al f ). k 2 (2π) R 1 + x (2π)k x∈R Il caso k = 0 fornisce in particolare |Dl fˆ(λ)| ≤ πp10 (Al f ). Perciò, pkl (fˆ) = sup(1 + λ2k )|Dl fˆ(λ)| ≤ π(p10 (Al f ) + p2k (A1 f )). R λ∈ Non è difficile ora concludere dimostrando la continuità della trasformata di Fourier. 0.12. DODICESIMA LEZIONE 55 Corollario 19 La trasformata di Fourier è continua da S in S. dimostrazione. Supponiamo che fn sia una successione che converge ad f nella metrica di S. Senza mancare di generalità possiamo supporre che fn tenda a zero (possiamo infatti passare alla successione f − fn .) Allora per ogni intero non negativo l tenderà a zero Al fn . Per il Lemma 23 tende allora a zero pkl (fˆn ) per ogni k ed ogni l. Come si è detto all’inizio di questa lezione la continuità della trasformata di Fourier ci permette di definire la trasformata di Fourier di una distribuzione temperata F . Basterà definire F̂ (f ) = F (fˆ). Il prossimo argomento ci condurrà ad utilizzare proprio la trasformata di Fourier delle distribuzioni. 0.12 DODICESIMA LEZIONE Definizione 13 . Sia f ∈ L1 . La periodicizzazione di f di passo uno è definito come ∞ X Pf (x) = f (x + n). n=−∞ In maniera analoga si definisce la periodicizzazione di passo T > 0 come ∞ X PT f (x) = f (x + nT ). n=−∞ Osserviamo che la prima serie della Definizione 13 converge assolutamente quasi ovunque. Infatti Z Z 1 n+1 |f (x + n)| dx = 0 e pertanto Z 1 ∞ X |f (x)| dx, n Z |f (x + n)| dx = 0 n=−∞ R |f (x)| dx < ∞. Questa stessa formula dimostra che P(f ) è una funzione che appartiene ad L1 dell’intervallo [0, 1] ed è prolungata periodicamente su tutto R. Si può parlare dunque dei coefficienti di Fourier di Pf , definiti come Z 1 [)(n) = P(f 0 P(f )(x) e−2πinx dx. (44) 56 Nel seguito ci sarà necessario ricorrere più volte alle traslate fy (x) = f (x − y) di una funzione. Per questo converrà introdurre gli operatori di traslazione τy f (x) = f (x − y), ricordando che questi operatori sono, in virtù dell’invarianza per traslazioni dell’integrale, isometrie in tutti gli spaziLp e che vale la formula Fτy (f )(λ) = e−2πiλy F(f )(λ). (45) Ecco un risultato inaspettato sulle funzioni periodicizzate: Proposizione 3 . Se f ∈ L1 (R) e φ = P(f ) è la sua periodicizzata, allora per ogni intero n, [)(n). fˆ(n) = φ̂(n) = P(f dimostrazione. Osserviamo che per ogni intero n converge assolutamente quasi ovunque la serie ∞ X f (x + k)e−2πinx . k=−∞ In effetti la serie converge assolutamente, e quindi semplicemente, nella norma di L1 ([0, 1)) in quanto, posto en (x) = e−2πinx Z ∞ Z 1 ∞ X X |f (x + k)| dx = |f (x)| dx, kf−k en k1 = k=−∞ k=−∞ R 0 Poiché l’integrale è un funzionale continuo su L1 ([0, 1)) possiamo scambiare la somma con l’integrale e scrivere (tenuto conto del fatto che e2πink = 1 per ogni k ed n): Z 1 X ∞ Z 1 ∞ X −2πinx f (x + k)e−2πinx dx = φ̂(n) = f (x + k)e = 0 k=−∞ ∞ Z X k=−∞ 1 k=−∞ 0 Z −2πin(x+k) f (x + k)e dx = 0 R f (x)e−2πinx dx = fˆ(n). Questa importante uguaglianza tra i coefficienti di Fourier del periodicizzato di una funzione integrabile ed i valori sugli interi della trasformata di Fourier della stessa funzione, ci conduce alla cosiddetta formula di somma di Poisson: Proposizione 4 Sia f ∈ S, allora ∞ X n=−∞ f (n) = ∞ X −∞ fˆ(n). 0.12. DODICESIMA LEZIONE 57 dimostrazione. Sia φ(x) = ∞ X f (x + k), k=−∞ il periodicizzato di f . La Proposizione 3 ci fornisce lo sviluppo in serie di Fourier (assolutamente convergente per l’ipotesi su f ) φ(x) = ∞ X fˆ(n)e2πinx . n=−∞ Ponendo x = 0 si ottiene allora il risultato enunciato. Corollario 20 . Se f ∈ S allora ∞ X fˆ(k) e−2πikx = k=−∞ ∞ X f (x + k). k=−∞ dimostrazione.Basta applicare la proposizione precedente alla funzione f−x (y) = f (y + x). Bisogna osservare che l’ipotesi che f ∈ S è eccessiva. In realtà, per la Proposizione ed il suo Corollario, basta supporre che φ(0) risulti ben definita e che la serie di Fourier di φ converga in zero. Definizione 14 . Se c > 0 indichiamo con Bc lo spazio {f ∈ L1 (R) : fˆ(λ) = 0, per|λ| > c}. Lo spazio Bc si chiama anche classe di Paley-Wiener con frequenza di taglio c. . Un esempio di funzione appartenente a B1 è la funzione ( sin(πx) 2 ), πx dove il valore della funzione in zero è ovviamente uno. Si tratta, come è subito visto di una funzione in L1 , la cui trasformata di Fourier è la funzione triangolare con base l’intervallo [−1, 1] e altezza uno. Osserviamo che, in generale, Bc consiste di funzioni di L1 la cui trasformata di Fourier è una funzione continua che si annulla fuori di un compatto. Pertanto anche la trasformata di Fourier di un elemento di Bc è in L1 ed è applicabile il teorema di inversione. Inoltre gli elementi di Bc sono infinitamente differenziabili perché Df = F∗ (Mf ) ed Mf ∈ L1 . 58 P Lemma 24 Se f ∈ Bc allora il periodicizzato Pf (x) = k f (x + k) è un polinomio trigonometrico. Cioè per qualche intero non negativo n, Pf (x) = Pn 2πikx c e . k=−n k c (k) = fˆ(k). Poiché dimostrazione. Sappiamo dalla Proposizione 3 che Pf c (k) = 0 per |k| > c. f ∈ Bc , risulta fˆ(λ) = 0 per |λ| > c. Ne segue che Pf Corollario 21 Se f ∈ Bc allora ∞ X k=−∞ e ∞ X ∞ X fˆ(k) = f (k), k=−∞ ∞ X fˆ(k) e−2πikx = k=−∞ f (x + k). k=−∞ dimostrazione. La funzione f è continua quindi per ogni x è ben definito il valore f (x). Inoltre Pf (x) = ∞ X f (x + k), k=−∞ è un polinomio trigonometrico e cioè per qualche intero non negativo n, Pf (x) = n X fˆ(k)e2πikx . k=−n Questo significa che la serie di Fourier di Pf ha un numero finito di addendi e quindi converge in tutti i possibili sensi. Vale quindi la formula di Poisson ∞ X f (k) = Pf (0) = k=−∞ X fˆ(k), k analogamente vale la formula di Poisson per la funzione traslata fx (y) = f (x + y) che ci fornisce la seconda identità. Introduciamo ora una funzione importante: Definizione 15 . La funzione che vale uno in zero e vale sin πs , πx se x 6= 0 si chiama ”seno cardinale di x” e si indica con sinc x. 0.12. DODICESIMA LEZIONE 59 In realtà abbiamo già visto il quadrato di questa funzione, che è una funzione integrabile, mentre sinc x non lo è. Lemma 25 . La funzione sinc λ è la trasformata di Fourier della funzione caratteristica χ[− 1 , 1 ] (x) dell’intervallo [−1/2, 1/2]. 2 2 .dimostrazione E’ sufficiente calcolare direttamente: Z 1/2 sin πx e−2πiλx dx = . πλ −1/2 Per convenienza tipografica indicheremo nel seguito la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2] con χ 1 . 2 Teorema 22 . Se f ∈ B1/2 e sinc t = f (x) = ∞ X sin πt , πt allora f (k) sinc(x − k). (46) k=−∞ dimostrazione. Prima di trattare la dimostrazione formale di questo teorema, e per capirne la portata ed il significato, proviamo ad applicare la trasformata di Fourier ai due lati della (46) scambiando anche la trasformata con la somma. Il risultato è: fˆ(λ) = ∞ X ∞ X f (k)F(τk sinc)(λ) = f (k)e−2πikλ χ 1 . 2 (47) k=−∞ k=−∞ Osserviamo che fˆ(λ) può essere sviluppata in serie di Fourier come funzione definita sull’intervallo [−1/2, 1/2] che assume valori uguali agli estremi (possiamo pensare ad un suo prolungamento periodico su R come funzione continua.) Questo sviluppo ha come coefficienti F(fˆ))(k) = f (−k). La serie di Fourier di fˆ periodicizzata, che certamente converge in L2 ([0, 1]) ( e quindi in L2 di qualsiasi compatto), sarebbe quindi: ∞ X k=−∞ f (−k)e 2πikλ = ∞ X f (k)e−2πikλ . k=−∞ Questo sivluppo, naturalmente concerne la periodicizzazione di fˆ ed è valido solo se |λ| ≤ 1/2. Per renderlo valido su tutto R bisogna moltiplicare ambo i lati per la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si ottiene cosı̀ esattamente la (47). 60 Questo significa che se si applica la trasformata di Fourier ai due lati della (46) per ottenere la (47), si ottiene una identità valida almeno nel senso di L2 (poiché a destra e sinistra dell’uguale ci sono funzioni che sono zero per |λ| > 0, l’identità in L2 dell’intervallo implica la stessa identità in L2 (R.) Per concludere la dimostrazione basta dimostrare che è lecito passare alla trasformata di Fourier e che la (46) si verifica punto per punto. 0.13 TREDICESIMA LEZIONE Ricordiamo che dobbiamo dimostrare, per ogni funzione f ∈ B1/2 lo sviluppo in serie di Whittaker ∞ X f (x) = f (k) sinc(x − k). (48) k=−∞ Ci servirà il seguente Lemma Lemma 26 . Esiste un numero M > 0 tale che per ogni x ∈ R ψ(x) = ∞ X (sinc(x − k))2 ≤ M. k=−∞ dimostrazione. Osserviamo che la serie converge per ogni x. Infatti se x ∈ / Z la serie converge perché il termine k-esimo è asintoticamente confrontabile con 1/k 2 . Se invece x = n ∈ Z per qualche n allora, ψ(n) = ∞ X (sinc(n − k))2 = 1 + X (sinc(n − k))2 = 1, k6=n k=−∞ dal momento che sinc(x) si annulla su tutti gli interi diversi da zero. Osserviamo che (sinc x)2 appartiene a L1 e la sua trasformata di Fourier χ 1 ∗ χ 1 è 2 2 una funzione triangolare che ha supporto in [−1, 1] (per non appesantire la notazione abbiamo indicato con χ 1 la funzione caratteristica dell’intervallo 2 [−1/2, 1/2]). Pertanto (sinc x)2 ∈ B1 e ψ che è la periodicizzata di (sinc(x))2 è un polinomio trigonometrico. Ne segue che ψ è limitata in quanto funzione continua e periodica. Esercizio 10 . Dimostrare che ψ(x) = ∞ X (sinc(x − k))2 , k=−∞ è la funzione indenticamente uno. 0.13. TREDICESIMA LEZIONE 61 dimostrazione della formula (48) Consideriamo prima di tutto la funzione fˆ(λ) che è una funzione continua che si annulla fuori dell’intervallo [−1/2, 1/2]. La funzione che si ottiene periodicizzando fˆ(λ) è: ∞ X φ(λ) = fˆ(λ + k), k=−∞ che, naturalmente è periodica di periodo uno e coincide con fˆ(λ) nell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si noti che poiché fˆ si annulla fuori di questo intervallo, per ogni λ solo un termine della somma è diverso da zero: quello per il quale λ ∈ [k − 1/2, k + 1/2]. In altre parole la ”periodicizzazione” della funzione fˆ(λ) è semplicemente la estensione periodica della funzione stessa. Possiamo esprimere φ attraverso la sua serie di Fourier (che convergerà in L2 dal momento che φ è continua). Possiamo quindi scrivere ∞ X φ(λ) = φ̂(k)e2πikλ , k=−∞ dove Z 1/2 φ̂(k) = fˆ(ω)e−2πkω dω. −1/2 ˆ Osserviamo che φ̂(k) = fˆ(k) = f (−k). Pertanto la successione f (k) risulta di quadrato sommabile, e, rispetto alla convergenza in L2 ([−1/2, 1/2)), e per |λ| ≤ 1/2 si ha ∞ X fˆ(λ) = 2πikλ f (−k)e k=−∞ = ∞ X f (k)e−2πikλ . k=−∞ Questa identità vale solo per |λ| ≤ 1/2. Tuttavia la possiamo trasformare in una identità che vale per ogni λ moltiplicando ambo i lati per la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si ottiene allora, fˆ(λ) = ∞ X f (k)e−2πikλ χ 1 (λ). 2 (49) k=−∞ Ricordiamo che χ 1 = F−1 (sinc), e che, essendo la funzione χ 1 pari, Fχ 1 = 2 2 2 F−1 χ 1 . Introduciamo anche gli operatori di traslazione τy f (x) = f (x − y). 2 Ricordiamo a questo punto che Fτk u(λ) = e−2πikλ Fu. Pertanto e−2πikλ χ 1 (λ) = F−1 (τk sinc)(−λ) = F(τk sinc(λ). 2 62 Pertanto la (49) diviene fˆ(λ) = ∞ X f (k)F−1 (τk sinc(−λ) k=−∞ La serie converge in L2 perché l’identità (49) vale in L2 . La trasformata di Fourier è una isometria in L2 (R) e pertanto, passando alla trasformata di Fourier si ottiene: f (−x) = ∞ X f (k)τk sinc(−x) = k=−∞ ∞ X f (k) sinc(−x − k). k=−∞ Da cui, come identità in L2 si ottiene, ∞ X f (x) = f (k) sinc(x − k). k=−∞ Resta da dimostrare che questa identità vale punto per punto. Basta a questo proposito dimostrare che la serie ∞ X f (k) sinc(x − k), k=−∞ converge uniformemente in x. Osserviamo che la successione f (k) è di quadrato sommabile, pertanto facendo uso del Lemma 26, X X X (sinc(x − k))2 ))1/2 ≤ (f (k))2 )1/2 ( |f (k)|| sinc(x − k)| ≤ ( |k|≥n |k|≥n M 1/2 ( X |k|≥n (f (k))2 )1/2 , |k|≥n che tende a zero dal momento che la successione f (k) è di quadrato sommabile. Per dimostrare il prossimo risultato ci servirà il lemma seguente. Lemma 27 . Se f ∈ L1 (R) e α > 0 e g(x) = f (αx), allora ĝ(λ) = 1ˆλ f ( ). α α . dimostrazione La dimostrazione è immediata valutando l’integrale dopo il cambiamento di variabile t = αx. 0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE 63 Corollario 23 . Per ogni ω0 > 0, f ∈ Bωo e x ∈ R, vale la seguente formula di ricostruzione dei dati, a partire dai valori campionati {f ( 2ωk 0 ) : k ∈ Z}: f (x) = ∞ X f( k=−∞ k ) sinc(2ω0 x − k) 2ω0 (50) dimostrazione. Posto g(x) = f ( 2ωx0 ), risulta che g ∈ B1/2 . Si applica pertanto a g la formula (48), pertanto: g(x) = ∞ X g(k) sinc(x − k), k=−∞ che, in virtù del Lemma 27, equivale alla formula ∞ X k x f( f( )= ) sinc(x − k). 2ω0 2ω 0 k=−∞ Posto y = x , 2ω0 e quindi x = 2ω0 y, si ottiene quindi f (y) = ∞ X k=−∞ f( k ) sinc(2ω0 y − k), 2ω0 che è esattamente la (50), con y al posto di x. 0.14 QUATTORDICESIMA LEZIONE In questa lezione vogliamo tornare su esempi importanti di distribuzioni temperate, cioè di elementi di S 0 . Ricordiamo che gli elementi di S 0 sono chiamati distribuzioni temperate o, per noi, semplicemente distribuzioni, dal momento che in questo corso verranno trattate solo distribuzioni temperate. Osserviamo innanzitutto che lo spazio S è immerso con continuità negli spazi Lp con 1 ≤ p ≤ ∞. Questo significa non solo che S ⊂ Lp , ma che l’immersione è continua: se fn converge ad f in S allora fn converge ad f in Lp . Ne segue l’importante conseguenza che ogni funzionale lineare definito e continuo su Lp (nella norma di Lp ) dà luogo ad un elemento di S 0 . Per il caso p = ∞ possiamo dire qualcosa di più. Infatti S è immerso con continuità nello spazio C0 delle funzioni continue che si annullano all’infinito, che si identifica con un sottospazio chiuso di L∞ . Il duale di C0 è lo spazio delle misure complesse limitate, e pertanto anche queste misure danno luogo ad 64 elementi di S 0 . Tra queste misure ci sono anche le misure definite da un elemento di L1 . E’ per questo che tutti gli elementi di Lp possono essere associati ad elementi di S 0 . I funzionali ereditati dagli spazi Lp e dallo spazio C0 non esauriscono S 0 , come prova l’importante esempio che abbiamo trattato nella decima lezione e cioè il cosiddetto treno di impulsi, cioè il funzionale che associa ad un elemento f ∈ S il numero complesso ∞ X F (f ) = f (n), n=−∞ Abbiamo dimostrato che si tratta di un funzionale continuo e cioè che se fn ∈ S converge ad f nella metrica di S, allora F (fn ) converge ad F (f ). In altre parole abbiamo dimostrato che F ∈ S 0 lo spazio di tutti i funzionali lineari e continui definiti su S. Il treno di impulsi può essere visto come una misura, che tuttavia si guarda bene dall’essere limitata. E’ la misura che associa ad un sottoinsieme della retta reale il numero degli interi in esso contenuto (ed infinito, se tale numero è infinito). Nello spazio S 0 delle distribuzioni temperate è possibile e naturale definire una nozione di convergenza (e quindi una topologia), secondo la seguente definizione. Definizione 16 Si dice che una successione di distribuzioni Fn ∈ S 0 converge, nel senso delle distribuzioni, ad una distribuzione F ∈ S 0 se per ogni f ∈ S risulta limn F (fn ) = F (f ). Ad esempio, come abbiamo visto nella decima lezione, la successione FN (f ) = N X f (n), n=−N converge, nel senso delle distribuzioni al treno di impulsi richiamato sopra. A questo proposito è però opportuno richiamare un risultato sugli spazi di Fréchet che si applica ad S che è uno spazio di Fréchet. Proposizione 5 Sia Fn una successione di distribuzioni, appartenenti ad S 0 , e supponiamo che per ogni f ∈ S esista il limite limn Fn (f ) = F (f ), allora F è un funzionale lineare e continuo, cioè un elemento di S 0 . Non daremo la dimostrazione di questa proposizione nota come ”principio di uniforme limitatezza”. Osserviamo che la proposizione è valida per tutti 0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE 65 gli spazi di Fréchet cioè gli spazi vettoriali topologici localmente convessi la cui topologia può essere descritta attraverso una metrica invariante completa. E’ opportuno fornire altri importanti esempi di distribuzioni temperate. Osserviamo che possono essere identificate con distribuzioni temperate tutte le funzioni localmente integrabili (cioè integrabili su ogni compatto) che abbiano una crescita polinomiale. In altre parole: Osservazione 10 Se h è una funzione integrabile su ogni sottoinsieme compatto e se esiste un intero positivo k ed un numero B tali che |h(x)| ≤ B(1 + |x|k , allora Z Th (f ) = R h(x)f (x)dx, definisce una distribuzione temperata. Per convincersi che l’osservazione precedente è vera, basta rendersi conto che l’integrale che definisce Th (f ) converge assolutamente in quanto |h(x)f (x)| ≤ B(1 + |x|k )C(1 + |x|)−k−2 ≤ B 0 (1 + |x|)−2 , dove abbiamo usato il fatto che f va a zero più velocemente di (1 + |x|)−k−2 . Per mostrare la continità di Th si utilizza il teorema di convergenza dominata di Lebesgue. Un altro esempio di elemento di S 0 è fornito, come abbiamo già visto, dall’integrale Z Th (f ) = h(x)f (x)dx, R 1 dove h è un elemento di L . Questo non è un caso particolare del precedente esempio perché non tutte le funzioni di L1 sono a crescita polinomiale, esiste ad esempio una funzione integrabile su tutta la retta, continua e non negativa che vale 2|n| sugli interi. Un altro esempio importante è fornito dal valore principale di un integrale singolare. L’esempio canonico parte dalla funzione 1/x che, come è noto non è integrabile su tutta la retta né in senso improprio, né rispetto all’integrazione secondo Lebesgue. Se f ∈ S ha senso però considerare il limite Z ∞ Z ∞ Z −ε f (x) − f (−x) f (x) f (x) dx+ dx = lim dx. (51) P V (f ) = lim ε→0 ε ε→0+ −∞ x x x ε L’ultimo limite esiste perché, per qualche ξ ∈ (−x, x) | f (x) − f (−x) | = |f 0 (ξ)| ≤ B, 2x (52) 66 dove B è un maggiorante (su tutto R) della derivata prima di f . E’ facile vedere che la (51) defnisce un funzionale lineare su S. Per dimostrare che si tratta di un funzionale continuo e quindi di un elemento di S 0 ci si può appellare alla Proposizione 5 ponendo, ad esempio ε = 1/n. E’ possibile anche dimostrare direttamente la continuità del funzionale definito dalla (51), considerando separatamente i funzionali: Z 1 P V1 (f ) = lim ε→0 e Z ε ∞ P V2 (f ) = 1 f (x) − f (−x) dx, x f (x) − f (−x) dx, x la cui somma ci fornisce il funzionale definito da (51). Osserviamo che, per f ∈ S, |P V1 (f )|, in virtù della (52), è maggiorato da una costante che moltiplica il massimo del modulo della derivata di f , cioè |P V1 (f )| ≤ B1 maxξ |f 0 (ξ)|. Questo basta per dimostrare la continuità di P V1 , in quanto il massimo del modulo della derivata è una delle seminorme che definiscono la convergenza in S. Per dimostrare la continuità di P V2 , riscriviamolo come Z ∞ x(f (x) − f (−x)) P V2 (f ) = dx. x2 1 Risulta a questo punto evidente che |P V2 (f )| è maggiorato da una costante che moltiplca il massimo di |xf (x)|, cioè |P V2 (f )| ≤ B2 maxx |xf (x)|. Ma anche maxx |xf (x)| è una delle seminorme che definiscono la convergenza in S. Ne segue che anche P V2 è continuo e che P V che è la somma di P V1 e P V2 è pure continuo. Nella decima lezione abbiamo già definito attraverso la (55) il funzionale che abbiamo chiamato treno di impulsi dimostrandone direttamente la continuità. Ricordiamo che questo funzionale è definito, per f ∈ S dalla formula: ∞ X f (n). n=−∞ La serie converge perché |f (n)| ≤ B(1 + n2 )−1 . Come abbiamo già visto alla decima lezione, questo elemento di S 0 può essere visto come la serie ∞ X n=−∞ δn , 0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE 67 dove δn (f ) = f (n). E’ possibile considerare serie analoghe dove al posto di δn si hanno altre misure? Un esempio importante a questo proposito è il treno d’onde quadre, che ci accingiamo a trattare. Introduciamo prima di tutto, per 1 < α, l’operatore di dilatazione Λα f (x) = f (αx) Si tratta ovviamoente di un operatore invertibile che agisce sullo spazio L1 . Risulta anche Z Z 1 f (αx)dx = f (x)dx. α R R Pertanto l’operatore f 7→ αf (αx) risulta isometrico in L1 . Per semplicità tipografica indiciamo con χ la funzione caratteristica χ[0,1] dell’intervallo chiuso [0, 1]. Per α > 1 consideriamo la funzione χα (x) = Λα χ. Si tratta di una funzione non negativa di integrale 1/α, che ha supporto nell’intervallo [0, 1/α]. Il treno d’onde quadre di durata α, è la serie dei traslati ∞ X τn χα , n=−∞ che agisce su un elemento f ∈ S come ∞ Z X n=−∞ R f (x)χα (x + n)dx. (53) Perché questa formula abbia senso dobbiamo osservare che le funzioni hanno supporto disgiunto. Pertanto la serie ∞ X χα (x + n), n=−∞ converge puntualmene(ma non uniformemente!). Infatti le somme parziali di questa serie soddisfano alla condizione N X n=−N χα (x + n) ≤ N +1 X χα (x + n). −N −1 La decrescenza rapida di f ci consente di commutare la somma con l’integrale. Ne risulta l’integrale di f moltiplicato per una funzione misurabile e limitata. Resta da dimostrare che il funzionale cosı̀ definito è continuo. Per questo osserviamo che se fn converge nella metrica di S ad f , allora converge anche nella norma L1 . Il funzionale, essendo degerminato da una funzione limitata è continuo in L1 e pertanto il suo valore su fn converge al suo valore su f . 68 Un altro esempio si ottiene considerando il treno di onde quadre normalizzate, che sarebbe il funzionale determinato dalla funzione ∞ X Ξα = α τn χα . n=−∞ Anche questa si riduce ad una funzione in L∞ e pertanto definisce un elemento di S 0 . Un altro elemento da considerare è quello associato alle traslate della 2 gaussiana ϕ(x) = e−πx , o meglio alle traslate della dilatata ϕα (x) della gaussiana, dove α > 1 e ϕα (x) = ϕ(αx). Consideriamo quindi la serie di funzioni ∞ X ∞ X τn ϕα (x) = n=−∞ ϕα (x + n) = n=−∞ ∞ X e−πα 2 (x−n)2 , (54) n=−∞ e dimostriamo che le somme parziali convergono come elementi di S 0 . L’azione di questa serie sul generico elemento f ∈ S è data da F (f ) = ∞ Z X n=−∞ R f (x)ϕα (x + n)dx. che possiamo riscrivere come F (f ) = ∞ Z X n=−∞ R f (x + n)ϕα (x)dx. Per dimostrare che il funzionale F è ben definito e continuo basterà far vedere che la serie (54) converge uniformemente sui compatti e definisce quindi una funzione continua e limitata (e periodica di periodo uno). Fissiamo un intero positivo N e consideriamo, nell’intervallo chiuso [−N.N ] il termine generale della serie, e−πα 2 (x−n)2 . Osserviamo che se |n| > N il massimo (su tutta la retta reale) di questo termine, è raggiunto fuori dell’intervallo [−N, N ], e quindi il massimo sull’intervallo è raggiunto in uno degli estremi, e precisamente in N se n > N e in −N se n < N . Pertanto se |n| > N il valore massimo del termine generale è 2 (N −n)2 e−πα . 0.15. QUINDICESIMA LEZIONE La serie numerica X 69 e−πα 2 (N −n)2 , |n|>N converge e pertanto converge uniformemente su [−N, N ], la serie X e−πα 2 (x−n)2 . |n|>N Ne segue che converge uniformemente su [−N.N ] anche la serie (54). Vale forse la pena di osservare che la convergenza della serie (54) non è uniforme su tutta la retta reale: se lo fosse convergerebbe ad una funzione che si annulla all’infinito, mentre è evidente che converge ad una funzione periodica di periodo uno. 0.15 QUINDICESIMA LEZIONE Abbiamo visto che ogni funzione h localmente integrabile (cioè integrabile su ogni insieme compatto) e a crescita polinomiale (cioè |h(x)| ≤ B(1 + x2k ) per qualche intero posirivo k) definisce attraverso la formula Z Th (f ) = f (x)h(x)dx, R un elemento di S 0 . Lo spazio S 0 ”contiene” quindi tutte le funzioni a crescita polinomiale, ma, ovviamente contiene anche molto di più. Con ”abuso di linguaggio”, identificheremo spesso la distribuzione Th con la funzione h. Abbiamo anche visto che nello spazio S 0 delle distribuzioni sono definiti gli operatori lineari e continui di 1. derivazione: DF (f ) = −F (Df ), 2. moltiplicazione per una funzione h infinitalmente differenziabile a crescita polinomiale (Mh F )(f ) = F (hf ), 3. trasformata di Fourier FF (f ) = F (F(f ). 70 E’ importante osservare che la trasformata di Fourier su S 0 risulta un isomorfismo (iniettivo e surgettivo) continuo. La continuità discende naturalmente dalla continuità della trasformata di Fourier su S. Ma anche la surgettività si può provare allo stesso modo. Si osserva infatti che se F ∈ S 0 , allora F (F−1 f ) definisce un elemento di S 0 , il cui trasformato di Fourier è esattamente F . Similmente si prova l’iniettività, a partire dalla surgettività della trasformata di Fourier su S: se FF = 0, allora per tutti gli f ∈ S, risulterebbe F (Ff ) = 0, che per la surgettività di F in S significa F = 0. Come esempio calcoliamo ora la trasformata di Fourier della misura di Dirac δ0 , osservando che Z b ˆ ˆ δ0 (f ) = δ0 (f ) = f (0) = f (x)dx, R In altre parole l’azione di δb0 su S 0 si riduce alla moltiplicazione per la funzione identicamente uno seguita dall’integrazione. Possiamo pertanto identificare δb0 con la distribuzione Z T1 = R f (x)dx. Analogamente l’azione di δbx si riduce alla moltiplicazione per la funzione (di λ, per x fissato) e−2πiλx seguita dalla integrazione: Z b ˆ ˆ δx (f ) = δx (f ) = f (x) = f (λ)e−2πiλx dλ R Risulta quindi naturale che la distribuzione ∞ X δn , n=−∞ abbia trasformata di Fourier ∞ X e−2πinλ n=−∞ Ricordiamo che nella Nona Lezione abbiamo osservato che se M è l’operatore (definito e a valori in S) di moltiplicazione per il polinomio di primo grado 2πix e D è l’operatore di derivazione, sussistono le seguenti importanti formule (37) e (38) di commutazione con la trasformata di Fourier F: F(Df ) = M(Ff ), 0.15. QUINDICESIMA LEZIONE 71 e DF(f ) = −F(M(f )). Queste formule si trasferiscono automaticamente su S 0 , dove sono ben definiti gli operatori M, F e D. Basta osservare, ad esempio, che se F ∈ S 0 , ed f è un generico elemento di S 0 , F (F(Df )) = F (M(Ff )), che, essendo questa formula valida per ogni f , equivale a dire che F(DF ) = M(FF ). Analogamente possiamo stabilire che, se F ∈ S 0 , DF(F ) = −F(M(F ) Forti di queste formule calcoliamo ora la trasformata di Fourier della derivata di δ0 . Vediamo che FD(δ0 ) = M1, dove 1 è la funzione identicamente uno. In altre parole Z FD(δ0 )f = 2πixf (x)dx. R Allo stesso modo si dimostra che FD(δy ) = Me−2πixy , e cioè Z FD(δy )f = R 2πixe−2πixy f (x)dx. Introduciamo ora la nozione di supporto di una distribuzione. Definizione 17 . Il supporto di un elemento F ∈ S 0 è il complemento del più grande insieme aperto U tale che se l’insieme {x : f (x) 6= 0} ⊂ U , ne segue che F (f ) = 0. Per capire la definizione, dato F ∈ S 0 , bisogna considerare la famiglia dei sottoinsiemi aperti U di R che soddisfano alla condizione: ”Se f ∈ S è nulla fuori di U allora F (f ) = 0”. Questa famiglia non è vuota perché vi appartiene almeno l’insieme vuoto. L’unione di tutti gli insiemi appartenenti a questa famiglia è un insieme aperto. Il suo complemento è il supporto di F. 72 E’ evidente che il supporto di una distribuzione è un insieme chiuso. E’l’insieme vuoto se solo se F è la distribuzione nulla. Non bisogna dimenticare che il supporto di una distribuzione è chiuso, anche se la distribuzione è in realtà una misura ”portata” da un insieme più piccolo. Ecco un esempio illuminante. Sia {rn } una numerazione dei razionali. Definiamo la distribuzione: F (f ) = ∞ X f (rn ) n=1 2n . Allora il supporto di F è tutta la retta reale. Per dimostrare che questa formula definisce in effetti una distribuzione temperata (cioè un funzionale lineare e continuo definito su S si può ricorrere al principio di uniforme limitatezza o oppure fornire una dimostrazione diretta. Ci sono molti casi in cui il supporto di una distribuzione si riduce ad un solo punto. Introduciamo a questo proposito il sottospazio lineare generato dalle derivate di δ0 , cioè lo spazio di tutte le combinazioni lineari n X ck Dk δ0 . k=1 E’ chiaro che queste disrribuzioni hanno supporto nel punto 0. Infatti se un elemento di S Infatti se U è un aperto non contente lo zero ed f si annulla fuori di U risulteranno zero tutte le derivate di f nel punto zero. L’unione di tutti gli aperti non contenenti lo zero è il complemento del singoletto {0} e pertanto il supporto di queste distribuzioni è lo stesso singoletto. Osserviamo che a trasformata di Fourier applicata agli elementi di questo spazio fornisce lo spazio di tutti i polinomi su R. L’omomorfismo è dato dalla corrispondenza n n X X k ck D δ0 7→ (2πi)k ck xk . k=1 k=1 Sussiste un risultato più generale sulle distribuzioni che hanno supporto in un punto: Proposizione 6 Le distribuzioni con supporto sull’unico punto x0 ∈ R sono tutte e solo le serie ∞ X ck Dk δx0 , k=1 convergenti nel senso delle distribuzioni. 0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE 73 Introduciamo ora la nozione di convoluzione di distribuzioni temperate. Definizione 18 La covoluzione di un elemento f ∈ S ed un elemento G ∈ S 0 è definita come la trasformata inversa del prodotto MfˆĜ. Scriviamo quindi: f ∗ G = F−1 (fˆĜ) Osserviamo che f ∗ δx = τx f . Infatti δbx = e−2πxy , mentre τd x f (y) = e fˆ(y). Vale la pena di osservare che la convoluzione di un elemento di f ∈ S ed un elemento G ∈ S 0 può essere definita in altro modo e cioè come −2πixy G ∗ f (x) = G(τx f˜), dove f˜(x) = f (−x), per definizione. Ci riserviamo di dimostrare successivamene che le due definizioni sono equivalenti. Per ora facciamo riferimento a libro di W. Rudin, ”Functional Analysis” (prima edizione 1973) Definition 7.18, pag. 178. Certamente le due definizioni coincidono quando G = δx . 0.16 SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE Prima di trattare ancora il treno di impulsi e la sua trasformata di Fourier, vogliamo ritornare sul trasferimento ad S 0 di alcuni operatori che abbiamo definito su S. L’operatore Λα , con α > 0, è definito su S 0 come Λα f (x) = f (αx). Pertanto Z Z Z 1 f (x)Λα g(x)dx = f (x)g(αx)dx = f (x/α)g(x)dx. α R R R In coerenza con questa definizione per un elemento F ∈ S 0 definiamo Λα F (f ) = 1 F (Λ1/α f ). α Ricordiamo anche che 1 Λ1/α Ff, α come si ricava subito dalla definizione di trasformata di Fourier, con un semplice cambiamento di variabile. Vogliamo ora estendere quest’ultimo risultato ad S 0 . Vogliamo cioè dimostrare il seguente risultato F(Λα f ) = 74 Teorema 24 . Se α > 0 e F ∈ S 0 , 1 Λ1/α FF. α F(Λα F ) = dimostrazione. (FΛα F )(f ) = (Λα F )(Ff ) = 1 F (Λ1/α Ff ) = F (F(Λα f ) = α 1 Λ1/α (FF )(f ). α Ricordiamo anche che Fτx F = e−2πyx FF . A questo proposito ricordiamo che la moltiplicazione di una distribuzione F per una funzione infinitamente differenziabile a crescita polinomiale ( come è ad esempio la funzione della variabile y definita da e−2πixy ) è definita come h(x)F (f ) = F (hf ). In particolare se F = δt per qualche reale t si ottiene che hδt (f ) = h(t)f (t). Ci proponiamo ora di studiare la trasformata di Fourier di una importante distribuzione che abbiamo già visto nelle lezioni precedenti, e cioè il ”treno di impulsi”. Partiamo quindi dalla distribuzione: F(F )(Λα f ) = K= ∞ X δn (55) n=−∞ che agisce sugli elementi di S come K(f ) = ∞ X f (n). n=−∞ Secondo le nostre definizioni la trasformata di Fourier di K è la distribuzione K̂, definita dalla relazione K̂(f ) = K(fˆ). In altre parole si ottiene: K̂(f ) = ∞ X fˆ(n). n=−∞ Ma per gli elementi di S vale la formula di Poisson dimostrata nella Proposizione 4, si ha quindi per ogni f ∈ S l’eguaglianza ∞ X n=−∞ f (n) = ∞ X n=−∞ fˆ(n). 0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE 75 Questo significa che K̂ = K. Vale la pena di esaminare più da vicino questo risultato. Siamo abituati ad identificate una funzione h con la distribuzione cui dà luogo, cioè con la distribuzione Z Th (f ) = R f (x)h(x)dx. Da questo punto di vista è lecito identificare δˆn con la funzione e−2πinx . Siamo quindi condotti a identificare la trasformata di Fourier del treno di impulsi con la serie: ∞ X e−2πinx . n=−∞ Questa serie, ovviamente si guarda bene dal convergere puntualmente, ma converge nel senso delle distribuzioni, converge cioè per ogni f ∈ S la serie K̂(f ) = ∞ Z X n=−∞ R f (x)e −2πinx = ∞ X fˆ(n). n=−∞ La formula di somma di Poisson ha cosı̀ una interpretazione nel senso delle distribuzioni, che si può riassumete nel seguente risultato. Teorema 25 Nel senso dele distribuzioni vale l’uguaglianza ∞ X ∞ X δbn = n=−∞ δn . n=−∞ . Possiamo dedurre dal precedente teorema un altro risultato: Lemma 28 Sia f una funzione integrabile con supporto in [−1/2, 1/2] e sia h(x) = ∞ X f (x + n), n=−∞ la funzione periodica di periodo uno ottenuta periodicizzando la f . Allora la distribuzione associata a ĥ è discreta e precisamente: Tĥ = ∞ X n=−∞ fˆ(n)δn . 76 dimostrazione. Osserviamo che f (x − n) = τn f (x) = δn ∗ f (x). Perciò ∞ X h(x) = f (x + n) = n=−∞ ∞ X δn ∗ f (x). n=−∞ Pertanto, con la convergenza nel senso delle distribuzioni, ch = T ∞ X δbn fˆ = n=−∞ ∞ X n=−∞ ∞ X δn fˆ = fˆ(n)δn . n=−∞ Corollario 26 . Se f è una funzione integrabile con supporto nell’intervallo [−τ /2, τ /2] ed ∞ X h(x) = f (x + nτ ), −∞ è la funzione periodica di periodo τ ottenuta periodicizzando la f , allora Tĥ = ∞ X fˆ(n/τ )δn/τ . −∞ dimostrazione. Osserviamo che se l’operatore di dilatazione su S definito da Λα f (x) = f (αx), viene esteso a S 0 dalla formula Λα F (f ) = risulta allora 1 F (Λ1/α f ), |α| 1 Λd Λ1/α F̂ . αF = |α| In particolare per ogni τ > 0, si verifica che F(Λ1/τ K) = τ Λτ FK. Queste formule ci consentono automaticamente di estendere il risultato del Lemma al caso in cui il periodo sia τ 6= 1. Per α > 1 abbiamo anche considerato il treno di onde quadre normalizzate Ξα = ∞ X ατn χα , (56) n=−∞ dove χα (x) = χ(x) e χ = χ[−1/2,1/2] è la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. 0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE 77 Osserviamo che le funzioni αχα per α → +∞ formano una identità approssimata, cioè convergono, nel senso delle distribuzioni, alla distribuzione δ0 . Ne segue che le funzioni ατn χα convergono nel senso delle distribuzioni a δ−n . E’ plausibile quindi che per α → ∞ il treno di onde quadre (56) converga al treno di impulsi. In effetti, se f ∈ S, allora Ξα (f ) = Z ∞ X Z f (x)dx, n−1/2α n=−∞ La media n+1/2α α n+1/2α α f (x)dx, n−1/2α è un valore compreso tra il massimo ed il minimo della funzione continua f nell’intervallo [n − 1/2α, n + 1/2α]. Pertanto esiste un punto ξα,n in questo intervallo, tale che Z n+1/2α f (x)dx. f (ξα,n ) = α n−1/2α Possiamo quindi scrivere Ξα (f ) = ∞ X f (ξα,n ). n=−∞ Osserviamo che al tendere di α all’infinito, ξα,n → n. Possiamo quindi applicare il teorema della convergenza dominata di Lebesgue per le serie, a condizione di trovare una successsione sommabile che ”domina” tutte le successioni f (ξα,n ). Tale è la successione dei massimi an = max{|f (x)| : |x − n| ≤ 1/2}. Osserviamo che an è sommabile a causa della decrescenza rapida di f , infatti, an = |f (cn )|, per qualche n − 1/2 ≤ cn ≤ n + 1/2, per cui, per qualche B, in virtù della decrescenza rapida di f an = |f (cn )| ≤ B B ≤ . 2 1 + cn 1 + (n − 1/2)2 In conclusione lim Ξα (f ) = α→∞ ∞ X n=−∞ f (n) = K(f ). 78 0.17 DICIOTTESIMA LEZIONE In questa lezione vogliamo rivisitare il teorema del campionamento di Shannon il quale assrisce che se f ∈ L1 , e la sua trasformata di Fourier fˆ è zero fuori dell’intervallo [−T /2, T /2], allora (formula di Shannon ( 50)) f (x) = ∞ X f (kT ) sinc(x/T − k). (57) k=−∞ In particolare per T = 1 si ha la formula di Whittaker (46. ∞ X f (x) = f (k) sinc(x − k), (58) k=−∞ Naturalmente queste due formule restano vere quando il supporto di fˆ è più piccolo di quello indicato nelle ipotesi. Tutto cambia invece se il supporto di fˆ deborda dall’intervallo di riferimento che è [−T /2, T /2] per la formula di Shannon con il caso particolare T = 1 per la formula di Whittaker. Per capire, almeno qualitativamente, che cosa succede se il passo di ricostruzione del dato f (kT ) non è sufficientemente fitto cioè se T non è abbastanza grande perché [−T /2, T /2] contenga il supporto di fˆ, conviene rivedere la dimostrazione, ad esempio, della formula di Whittaker, utilizzando, anziché la trasformata di Fourier in L2 , la trasformata di Fourier delle distribuzioni. Rivediamo prima di tutto a grandi linee la dimostrazione della formula di Whittaker che utilizza la trasformata di Fourier in L2 (che è una isometria ed è quindi invertibile). 1. Si osserva che fˆ è una funzione continua a supporto in un intervallo di lunghezza uno di centro l’origine. Pertanto può essere prolungata ad una funzione periodica di periodo uno, attraverso la somma (dove per ogni λ c’è un solo addendo): X Pf (λ) = fˆ(λ + n) n∈ . Z 2. Si osserva che Pf è una funzione continua e periodica e che pertanto ammette una serie di Fourier che converge nella norma di L2 ([−1/2, 1/2]). c (n) sono esattamente i valori 3. Si osserva che i coefficienti di Fourier Pf f (−n) e che pertanto per |λ| ≤ T /2 vale l’uguaglianza (in L2 ([−1/2, 1/2])): X X fˆ(λ) = f (−n)e2πinλ = f (n)e−2πinλ Z n∈ n∈ Z 0.17. DICIOTTESIMA LEZIONE 79 4. Si osserva che questa uguglianza vale per tutti i λ reali se si moltiplicano ambo i lati dell’uguaglianza per la funzione charatteristica χ dell’intervallo [−1/2, 1/2], e che la moltiplicazione di P fˆ per questa funzione, ci restituisce esattamente fˆ e quindi dalla precedente formula si ottiene (nel senso della uguaglianza come elementi di L2 (R), X fˆ(λ) = f (n)e2πinλ χ[ −1 , 1 ] 2 Z n∈ 2 5. Si osserva che e2πnλ χ[ −1 , 1 ] è la trasformata di Fourier inversa in L2 (R 2 2 di sinc(x − n) e applicando la trasformata di Fourier inversa all’ultima eguaglianza si ottiene: X f (x) = f (n) sinc(x − n). n∈ Z 6. Infine si dimostra che questa uguaglianza vale punto per punto perché la serie converge uniformemente. (SiP applica la disguaglianza di Cauchy Schwarz, la convergenza dellaP serie n∈Z |f (n)|2 , ed il fatto che risulta identicamente uno la somma n∈Z (sinc(x − n))2 . Per capire le distorsioni che intervengono nella formula di Whittaker o in quella di Shannon quando il supporto di fˆ deborda dall’intervallo di periodicità, conviene analizzare questa dimostrazione da un altro punto di vista, cercando cioè di arrivare allo stesso risultato attraverso la trasformata di Fourier delle distribuzioni anziché attraverso la trasformata di Fourier nello spazio L2 . Partiamo ansiché dalla funzione f dal dato ottenuto calcolando f in una griglia di passo T . Possiamo per semplicità prendere T = 1 e considerare la distribuzione X fK = f (n)δn , n∈ Z dove K è il treno di impulsi. Ricordando che il treno di impulsi è la sua stessa trasformata di Fourier, possiamo considerare la trasformata di Fourier di f K che sarà X fˆ ∗ δn = fˆ ∗ K. fd K = fˆ ∗ K̂ = Z n∈ Osserviamo che fˆ∗K è esattamente la periodicizzazione di fˆ, cioè la funzione periodica i cui coefficienti di Fourier sono f (−n). Questa funzione periodica coincide esattamente con fˆ non appena la si moltiplica per la funzione caratteristica di [−1/2, 1/2]. L’applicazione della trasformata di Fourier inversa a questo prodotto, ci restituirà quindi i valori di f . 80 Che succede, invece, se invece il supporto di fˆ non è contenuto nell’intervallo di periodicità? Succede che fˆ ∗ K non è più la periodicizzazione di fˆ, perché i traslati secondo τn di fˆ, cioè le funzioni fˆ ∗ δn si sovrappongono almeno parzialmente. Dobbiamo ricordare che nelle applicazioni spesso l’unico dato disponibile è proprio il camionamento {fˆ(n)} e non sappiamo, a priori, se questo dato corrisponde ad una funzione di Bc con c sufficientemente piccolo. faremo qui una osservazione che valorizza il significato della teoria delle distribuzioni, cosı̀ apparentemente astratta. Tradizionalmente la teoria delle serie di Fourier e la teoria dell’integrale di Fourier hanno sviluppi separati. La prima tratta le funzioni definite su un intervallo limitato [−T /2, T /2], che per convenienza vengono estese come funzioni periodiche di periodo T a tutta la retta reale. Un modo alternativo di definire le funzioni considerate ai fini della espansione in serie di Fourier è quello di dotare l’intervallo [−T /2, T /2) (o qualsiasi altro intervallo semiaperto e di uguale lunghezza) di una operazione di somma che lo renda un gruppo compatto commutativo isomorfo (ed omeomorfo) attraverso la trasformazione t 7→ e2πix/T al gruppo dei numeri complessi di modulo uno. Queto aproccio ci porta naturalmente ad estendere la teoria delle serie di Fourier ai gruppi compatti commutativi ed anche non commutativi. In questo contesto, invece la teoria degli integrali di Fourier riguarda funzioni definite su un gruppo localmente compatto e commutativo, ma decisamente non compatto, quale è il gruppo addittivo di R. La naturale estensione di questa teoria ci porta a considerare funzioni definite su gruppi localmente compatti, abeliani e non abeliani. All’interno della teoria delle distribuzioni siamo invece condotti su una strada diversa. Una funzione definita su tutto R e periodica di periodo T non è certo integrabile su tutto R (a meno che non sia identicamente nulla), non avrebbe senso quindi considerarne la trasformata classica di Fourier come si applica alle funzioni integrabili. Tuttavia una funzione periodica sufficientemente regolare (ad esempio localmente integrabile) definisce una distribuzione temperata per la quale ha senso parlare di trasformata di Fourier, nel senso delle distribuzioni. Naturalmente in questo senso la trasformata di Fourier di una funzione periodica è una distribuzione, ed è in effetti una distribuzione del tipo: fˆK1/T , dove K1/T è un treno di impulsi K1/T = X n∈ Z δn/T . In altre parole la trasformata di Fourier di una funzione periodica local- 0.18. DICIANNOVESIMA LEZIONE 81 mente integrabile, altro non è che X fˆ(n/T ) δn/T . Z n∈ 0.18 DICIANNOVESIMA LEZIONE Abbiamo visto che le funzioni periodiche possono essere trattate all’interno della teoria delle distribuzioni. E’ possibile cioè definirne la trasformata di Fourie, che risulterà una distribuzione discreta equispaziata. In particolare se il periodo è uno la trasformata di Fourier di una funzione periodica è una distribuzione del tipo: ∞ X ˆ fK = fˆ(n)δn . n=−∞ Viceversa ad una distribuzione discreta equispaziata del tipo ∞ X cn δn , n=−∞ corrisponde, nell’ipotesi che la successione cn sia di quadrato sommabile, una funzione periodica di periodo uno in L2 di un intervallo di periodicità. C’è un altro argomento che potrebbe essere similmente trattato all’interno della teoria delle distribuzioni e cioè quello delle successioni periodiche, cioè delle successioni {cn }n∈Z per le quali esiste un intero positivo N tale che cn+N = cn . Tuttavia queste successioni, intese cone funzioni periodiche su Z possono essere trattate direttamente in un contesto che valorizza la somiglianza con le serie di Fourier classiche, e lascia anche intravedere altre generalizzazioni. Per affrontare lo studio di queste successioni premettiamo qualche elemento di teoria dei gruppi commutativi, limitandoci a considerare quasi soltanto gruppi con i quali siamo famigliari e cioè i gruppi (rispetto alla somma) R e Z ed i loro sottogruppi e gruppi quozienti. Definizione 19 Un gruppo commutativo è un insieme sul quale è definita una operazione generalmente (ma non sempre) indicata con + che è associativa (x + (y + z) = (y + x) + z), commutativa (x + y = y + x), per la quale esiste un elemento neutro 0 con la proprietà che x + 0 = x, e tale che per ogni elemento x esista l’opposto −x con la proprietà che x + (−x) = 0. E’ naturale porre x + (−y) = x − y, dopo di che si vede subito che le proprietà che richiediamo sono godute dalla operazione di somma nel nostro 82 esempio canonico che è il gruppo Z. Ma anche R è un gruppo commutativo rispetto alla somma, ed in effetti tutti gli spazi vettoriali sono gruppi commutativi rispetto alla somma. Non è difficile definire che cosa è un sottogruppo H di un gruppo G. E’ un sottoinsieme che risulta un gruppo rispetto alla stessa operazione di G in altre parole è un sottoinsieme che contiene lo 0 e tale che e x, y ∈ H allora x − y ∈ H. Tra i sottogruppi di un gruppo commutativo G si devono anche annoverare il sottogruppo banale H = {0} ed il sottogruppo totale H = G. Si vede subito che Z è un sottogruppo di R e che tutti i sottogruppi di Z sono semplicemente i multipli di un intero. Cioè se H è un sottogruppo di Z allora esiste un intero n ∈ Z, tale che H = {kn : k ∈ Z}. Un po’ più difficile è svolgere il seguente esercizio Esercizio 11 . Se H è un sottogruppo chiuso di R ed è H 6= R allora esiste un numero reale non negativo κ tale che H = {nκ : n ∈ Z}. A partire da un sottogruppo H di un gruppo commutativo G è possibile definire un altro gruppo che si chiama gruppo quoziente e si indica in generale con G/H. Si osserva prima di tutto che il sottogruppo H dà luogo ad una relazione di equivalenza tra gli elementi di G e cioè la relazione x − y ∈ H, che è, come è subito visto, riflessiva (x−x = 0 ∈ H) simmetrica (se x−y ∈ H allora y − x ∈ H) e transitiva ( se x − y ∈ H e y − z ∈ H allora x − z = (x − y) + (y − z) ∈ H. Gli elementi del gruppo G/H sono le classi di equivalenza di questa relazione. Ogni classe di equivalenza può scriversi come x+H = {x+y : y ∈ H} e la somma di due classi di equivalenza x + H e y + H è semplicemente la classe x + y + H. Lasciamo al lettore la verifica che in questo modo si definisce una struttura di gruppo in G/H. Guardiamo invece piuttosto ad un caso concreto. Consideriamo il gruppo Z ed un suo sottogruppo H = {nk : k ∈ Z} = nZ, dove n è un intero positivo. La relazione di equivalenza definita da questo sottogruppo è semplicemente: h=k mod n, che dà luogo ad n classi di equivalenza: quella dei multipli interi di n, quella dei multipli interi di n più uno, quella dei multipli interi di n più due, e cosı̀ 0.18. DICIANNOVESIMA LEZIONE 83 via fino a quella dei multipli interi di n più n − 1. Il gruppo cosı̀ ottenuto che si indica spesso con Zn , è un gruppo di n elementi, che si può identificare con gli elementi dell’insieme {0, 1, . . . n − 1} dotato della operazione di somma ”modulo n”. Gli elementi da 0 a n−1 possono essere intesi come ”rappresentanti” delle classi di equivalenza, ma al loro posto possono essere scelti come rappresentanti delle classi di equivalenza anche altri n interi consecutivi. E’ da notare che ogni funzione definita su Zn , che corrisponde ovviamente ad una successione finita, può essere estesa periodicamente a tutto Z. Basta dichiararla costante su ognuna delle classi di equivalenza. Si otterrà a questo punto una funzione periodica, di periodo n, definita su Z cioè una successione periodica di periodo n. I gruppi Zn si chiamano anche gruppi ciclici di ordine n. Un esempio profondamente analogo a quello appena esposto è fornito dal gruppo R in relazione ad un suo sottogruppo chiuso. Abbiamo detto, anche se la dimostrazione è stata lasciata ad un esercizio, che un sottogruppo chiuso di R che non sia tutto R e non si riduca allo zero è costituito da tutti i multipli interi di un numero reale κ. Per semplicità possiamo supporre che κ = 1 nel qual caso il sottogruppo chiuso è proprio Z (un’altra scelta molto comune è κ = 2π). Il gruppo R/Z consiste delle classi di equivalenza x+Z. E’ evidente che possiamo scegliere il rappresentante x della classe di equivalenza x + Z nell’intervallo (−1/2, 1/2] ovvero nell’intervallo (0, 1] o in qualsiasi intervallo semiaperto di lunghezza uno. Ogni funzione definita sul gruppo quoziente R/Z può essere estesa a tutto R dichiarandola costante su ognuna delle classi di equivalenza x + Z. Si otterrà allora una funzione periodica di periodo uno definita su tutto R. Viceversa una funzione costante sulle classi di equivalenza è ovviamente periodica di periodo uno. In altre parole la teoria delle serie di Fourier per funzioni periodiche di periodo κ altro non è che lo studio delle funzioni definite sul gruppo R/κZ. Dobbiamo introdurre un altro concetto importante, quello di omomorfismo ed isomorfismo tra gruppi commutativi. Definizione 20 . Se G1 e G2 sono due gruppi commutativi si chiama omomorfismo di G1 in G2 una trasformazione φ di G1 in G2 che soddisfa alla condizione: φ(x − y) = φ(x) − φ(y). Si chiama nucleo dell’omomorfismo il sottogruppo {x ∈ G1 : φ(x) = 0}. Un omomorfismo si dice isomorfismo se è iniettivo e surgettivo, o, equivalentemente se è surgettivo ed il suo nucleo si riduce allo zero. Osserviamo che secondo la definizione che abbiamo dato un omomorfismo potrebbe non essere surgettivo, mentre un isomorfismo è per definizione 84 iniettivo e surgettivo. Tuttavia se l’omomorfismo tra G1 e G2 è iniettivo ma non surgettivo, l’immagine di G1 sarà un sottogruppo H di G2 e ne risulterà un isomorfismo tra G1 e H. Lasciamo al lettore di verificare che se H è un sottogruppo di G la rasformazione x 7→ x + H è un omomorfismo di G su G/H il cui nucleo è H. Pure di facile verifica è che la composizione di due omomorfismi è un omomorfismo e che l’inverso di un isomorfismo è un isomorfismo. Vediamo alcuni importanti esempi di isomorfismi. L’insieme dei numeri reali positivi R+ è un gruppo rispetto alla moltiplicazione. La funzione log x è un isomorfismo continuo di questo gruppo sul gruppo (rispetto alla somma) R. Viceversa la funzione exp x è un isomorfismo continuo del gruppo R (rispetto alla somma) sul gruppo R+ (rispetto alla moltiplicazione). A questo punto vale la pena di considerare il gruppo T = {z ∈ C : |z| = 1} dei numeri complessi di modulo uno. Si tratta di un gruppo commutativo, rispetto alla moltiplicazione dei numeri complessi. La trasformazione x 7→ e2πix è un omomorfismo continuo di R su T, il cui nucleo è esattamente Z. Analogamente la trasformazione x 7→ e2πix/T è un omomorfismo di R su T il cui nucleo è esattamente T Z, cioè il gruppo dei multipli interi di T . Osserviamo infine che tutti i sottogruppi chiusi non banali e non totali di R sono isomorfi al gruppo degli interi Z e che sono pure isomorfi tutti i gruppi quozienti R/T Z. Per convincersi di quest’ultima osservazione basta osservare che se T > 0 la trasformazione e2πix 7→ e2πix/T è un isomorfismo di T su T. Equivalentemente si può verificate che la trasformazione x 7→ x/T è un isomorfismo di R su R che induce l’isomorfismo x + Z 7→ x/T + T Z di R/Z su R/T Z. La situazione è solo parzialmente analoga se si parte dal gruppo Z perché è ben vero che i sottogruppi non banali di Z sono tutti isomorfi, ma è anche vero che i gruppi quozienti Zn = Z/nZ non sono affatto isomorfi perché sono gruppi finiti di cardinalità diversa. Introduciamo ora le ”radici dell’unità”, come sottogruppi di T. Supponiamo che n sia un intero positivo. Ci proponiamo di trovare tutti i numeri complessi z tali che z n = 1. Osserviamo che se si scrive z in forma , polare z = ρeiθ l’equazione z n = 1 diventa ρn = 1, ed nθ = 2kπ, cioè θ = 2kπ n n con k ∈ Z. L’unico numero positivo rho che soddisfi a ρ = 1 è proprio ρ = 1. Gli infiniti k possibili, forniscono solo n valori distinti, per eiθ . Questi valori sono assunti per k = 0, 1, . . . n − 1, o qualsiasi altra successione di n interi positivi. Ne segue che le n radici dell’unità sono: 2π 4π 1, ei n , ei n . . . ei 2(n−1)π n . 0.19. VENTESIMA LEZIONE 85 Sul piano complesso questi n numeri corrispondono ai vertici di un poligono regolare di n lati iscritto nella circonferenza di centro l’origine e raggio uno, quando uno dei vertici corrisponde al numero uno (cioè al punto (1, 0)). Osserviamo che le radici n-esime dell’unità formano un sottogruppo di T. Non è difficile osservare che questo sottogruppo è isomorfo a Zn . Abbiamo a questo punto concluso i nostri richiami alla teoria dei gruppi. Ricodiamo tuttavia che noi ci siamo limitati a considerare gruppi commutativi. Molte delle cose che abbiamo detto si applicano anche ai gruppi non commutativi. Tuttavia mentre anche nel caso non commutativo ha senso considerare lo spazio quoziente G/H di un gruppo G rispetto ad un sottogruppo H, non sempre è possibile dare a questo quoziente una struttura di gruppo. Ricordiamo anche che per gruppi non commutativi è usuale indicare l’operazione di gruppo come un prodotto anziché come una somma. 0.19 VENTESIMA LEZIONE Torniamo ora ai gruppi che ben conosciamo R, Z, T e ai loro sottogruppi, per utilizzare, con riferimento a questi gruppi, la seguente definizione. Definizione 21 Un omomorfismo di un gruppo commutativo G a valori nel gruppo T dei numeri complessi di modulo uno si è detto carattere del gruppo G. Nel caso in cui G sia un gruppo topologico si richiede che un carattere sia continuo. Enunciamo qui dei fatti che non saranno tutti dimostrati. Ci limiteremo a dimostrarli solo nei casi discreti. 1. i caratteri di R sono gli omomorfismi x 7→ eλ (x) = e2πiλx , al variare di λ∈R 2. i caratteri di Z sono gli omomorfismi n 7→ ex (n) = e2πinx al variare di x ∈ [0, 1). 3. i caratteri di T sono gli omomorfismi z 7→ z n al variare di n ∈ Z. 4. i caratteri di R/Z sono gli omomorfismi x 7→ en (x) = e2πinx al variare di n ∈ Z. 5. i caratteri di Zn sono gli omomorfismi h 7→ e2πikh/n al variare di k = 0, 1, . . . n − 1. O, equivalentemente, al variare di k in un insieme di n interi consecutivi. 86 Poiché i gruppi T e R/Z sono isomorfi attraverso l’isomorfismo x 7→ e2πix i corrispondenti caratteri risultano gli stessi, a meno di questo isomorfismo. Questo significa, nella sostanza che l’enunciato 3 e l’enunciato 4 sono la stessa cosa. Si osservi pure che i caratteri di Zn possono anche essere espressi come h 7→ (e2πih/n )k . In altre parole una volta identificato l’elemento h ∈ Zn con la sua immagine come radice n-esima dell’unità, l’applicazione del carattere consiste semplicemente nell’elevare alla potenza k questa immagine. Infine osserviamo che l’insieme dei caratteri di un gruppo commutativo ha sempre una naturale struttura di gruppo commutativo con l’operazione (γ + γ 0 )(g) = γ(g)γ 0 (g). Questo gruppo si chiama gruppo dei caratteri. Dimostreremo tra poco che il gruppo dei caratteri di Zn è isomorfo al gruppo delle radici n-esime dell’unità e cioè allo stesso Zn . Osserviamo anche che il gruppo dei caratteri di R è isomorfo ad R. Infatti l’isomorfismo (continuo) è determinato da λ 7→ e2πiλx . Dimostriamo ora che i caratteri di Z sono quelli cosı̀ specificati. Osserviamo che se ϕ è un carattere, allora ϕ(1) ∈ T. Cioè ϕ(1) = e2πix per qualche x ∈ [0, 1). La proprietà dell’omomorfismo ci fornisce allora ϕ(n) = (ϕ(1))n = e2πinx che è quello che si voleva dimostrare. Una dimostrazione analoga vale per il gruppo Zn che è pure generato dall’elemento 1. Se ϕ è un carattere allora ϕ(1) = e2πix e ϕ(n) = 1. Pertanto 2πnx = 2πk per qualche k. ne segue che x = k/n. Cioè ϕ(1) = e2πik/n . Al variare di k si hanno solo n valori distinti di ϕ(1) che sono forniti prendendo i valori di k da 0 a n − 1. Infine ϕ(h) = ϕ(1)h = e2πihk/n , che è quanto si voleva dimostrare. Osserviamo che la corrispondenza γ 7→ γ(1) stabilisce un isomorfismo tra cn dei caratteri di Zn ed il gruppo delle radici n-esime dell’unità il gruppo Z cioè Zn stesso. Infatti γ1 (1)γ2 (1) = (γ1 − γ2 )(1). Rinviamo per ora la dimostrazione dei casi non discreti e cioè quelli elencati ai numeri 1, 3 e 4. Vogliamo invece discutere il parallelismo tra l’analisi armonica sul gruppo Zn , sul quale si trattano le successioni periodiche di periodo n ed il gruppo R/Z sul quale si trattano le funzioni periodiche di periodo uno. Ricordiamo che le funzioni definite sul gruppo finito Zn possono essere considerate come elementi (vettori) di uno spazio vettoriale complesso di dimensione n cioè Cn . Definiamo in questo spazio il prodotto interno (normalizzato) n−1 (f, g) = 1X f (k)g(k). n k=0 0.19. VENTESIMA LEZIONE 87 Per le funzioni definite sul gruppo infinito (ma compatto) R/Z il prodotto interno è definito invece come Z 1/2 (f, g) = f (x)g(x) dx, −1/2 Nel caso appunto delle serie di Fourier il primo passo consisteva nel dimostrare che i caratteri, cioè le funzioni e2πinx cotituivano un sistema ortonormale. Faremo lo stesso per il caso del gruppo Zn . Dobbiamo dimostrare che se γ1 e γ2 sono caratteri distinti del gruppo, allora (γ1 , γ2 ) = 0 mentre invece se coincidono il prodotto interno è uguale ad uno. Osserviamo che per ogni k ∈ {0, 1, . . . k − 1} considerato come elemento di Zn , esiste un ”opposto” k 0 tale che k + k 0 = 0 mod n. Un rappresentante di questo ”opposto” è naturalmente fornito da k 0 = n − k. Se applichiamo a k un carattere per avere γ(k) ne risulterà 1 = γ(k)γ(k 0 ) e pertanto γ(k 0 ) = γ(k). Consideriamo ora due caratteri γ1 e γ2 . Allora, tenuto conto che la somma è invariante per la traslazione in Zn , n−1 γ1 (k)(γ1 , γ2 ) = n−1 1X 1X γ1 (k + j)γ2 (j) = γ1 (j)γ2 (k 0 + j) = n j=0 n j=0 n−1 n−1 X 1X 1 0 γ1 (j)γ2 (k )γ2 (j) = γ2 (k) γ1 (j)γ2 (j) = γ2 (k)(γ1 , γ2 ). n j=0 n j=0 Questo vale per ogni elemento k ∈ Zn . ne segue che se γ1 non è identico a γ2 deve essere (γ1 , γ2 ) = 0. Il fatto che un carattere abbia norma uno discende dal fatto che il modulo di un carattere è uno e che il prodotto interno è stato normalizzato in modo che la norma di un vettore costante uguale ad uno sia uno. La dimostrazione che abbiamo dato si applica anche a gruppi abeliani finiti diversi dai gruppi Zn . Nel caso dei gruppi Zn c’è un altro modo di dimostrare che i caratteri di Zn sono ortogonali tra loro, che è forse più vicino al modo in cui abbiamo dimostrato che i caratteri di R/Z sono ortogonali. Ricordiamo, appunto, che per dimostrare che le funzioni e2πikx e e2πihx sono ortogonali tra loro nello spazio L2 ([−1/2, 1/2)) abbiamo semplicemente osservato che se 0 6= h−k la funzione e2πi(h−k)x ha integrale zero. Nello stesso spirito per dimostrare che i caratteri di Zn sono ortogonali basta mostrare che se γ è un carattere di Zn che non è identicamente uguale ad uno, allora n−1 1X γ(k) = 0. n k=0 88 In altre parole basta mostrare che la somma delle n radici n-esime dell’unità è sempre P zero. Questo è vero per ”ragioni di simmetria”. Infatti, posto z = n−1 k=0 γ(k) risulta γ(1)z = e 2πi n n X z= γ(k) = z. k=1 Poiché γ(1) 6= 1, questo significa che z = 0. Abbiamo ora che gli n caratteri del gruppo Zn sono un sistema ortonormale. Poiché la dimensione dello spazio vettoriale delle funzioni definite su Zn è proprio n, i caratteri formano una base ortonormale. Se f è una funzione definita su Zn possiamo definire il coefficiente di Fourier relativo al carattere γ come 1 X fˆ(γ) = f (k)γ(k), n k∈Z n e dedurne il teorema di inversione f (k) = X fˆ(γ)γ(k), Z γ∈ c n cn l’insieme dei caratteri. dove abbiamo indicato con Z Vale anche la formula di Plancherel kf k2 = X 1 X |fˆ(γ)|2 . |f (k)|2 = n k∈Z Z γ∈ c n n Questa formula si deduce immediatamente dal fatto che i vettori fˆ(γ)γ sono ortogonali e che, in uno spazio di Hilbert, la norma al quadrato della somma di vettori ortogonali è la somma delle norme al quadrato dei vettori. Infatti, come si può immediatamente verificare se u⊥v, allora ku+vk2 = kuk2 +kvk2 . 0.20 VENTUNESIMA LEZIONE Nel contesto dei gruppi finiti ed in particolare Zn è possibile anche definire la convoluzione tra due funzioni. Se f e g sono funzioni definite su Zn definiamo la convoluzione come: n−1 1X f (k − j)g(j). f ∗ g(k) = n j=0 0.20. VENTUNESIMA LEZIONE 89 Risulta allora che f[ ∗ g(γ) = fˆ(γ)ĝ(γ). Infatti n−1 n−1 1X1X f (k − j)g(j)γ(k) = f[ ∗ g(γ) = n k=0 n j=0 n−1 n−1 1X1X f (k − j)g(j)γ(k − j)γ(j) = n k=0 n j=0 n−1 n−1 1X1X f (k − j)γ(k − j)g(j)γ(j). n j=0 n k=0 Ma n−1 1X f (k − j)γ(k − j)g(j) = fˆ(γ), n k=0 per l’invarianza della somma rispetto alla traslazione. Concludiamo quindi che f[ ∗ g(γ) = fˆ(γ)ĝ(γ). Abbiamo visto che le funzioni a valori complessi definite su Zn altro non sono che gli elementi di Cn cioè dello spazio lineare complesso di dimensione n. Sugli elementi f di questo spazio possiamo definire gli operatori Lu di convoluzione come Lu f = u ∗ f dove u è un altro elemento di Zn e la convoluzione è quella definita su Zn . Il risultato che abbiamo appena stabilito ci dice che tutti gli operatori Lu sono simultaneamente diagonizzabili rispetto alla base che è costituita dai caratteri di Zn . Può essere interessante osservare anche che gli operatori di convoluzione sono tutti e solo gli operatori che commutano con le traslazioni. Che una convoluzione commuti con le traslazioni si può direttamente verificare, vale inoltre la seguente proposizione. Proposizione 7 Sia L una trasformazione lineare di Cn in sé che soddisfa alla condizione Lτk = τk L, per ogni k ∈ Zn , dove τk f (h) = f (h − k). Allora esiste u ∈ Cn tale che, per ogni f , Lf = u ∗ f. 90 dimostrazione. Osserviamo che se γ è un carattere, allora τk γ = γ(k)γ. Perciò se L commuta con gli operatori τk deve risultare Lγ(k+h) = γ(k)Lγ(h). Per h = 0 si ha dunque Lγ(k) = γ(k)Lγ(0). Sia cγ = Lγ(0), risulta allora Lγ = cγ γ. Poniamo X u= cγ γ. γ In altre parole sia u la trasformata di Fourier inversa della funzione γ 7→ cγ . Allora, se f ∈ Cn , X u∗f = cγ fˆ(γ)γ = Lf. γ Abbiamo ora due basi diverse per lo spazio Cn . La prima è la cosiddetta base canonica che possiamo indicare con {δk : k = 0, . . . n − 1}. La seconda è costituita dai caratteri γ1 , . . . γn , dove γk (h) = γk (1)h e γk (1) = e2πik/n . Un elemento di una base può esprimersi come combinazione lineare di elementi dell’altra base. Si applica cioè la trasformata di Fourier a δk e la trasformata di Fourier inversa a γk . Cosı̀ δb0 è il vettore le cui componenti sono tutte uno e, in generale: δbk (γh ) = γh (1)k = e2πihk/n . Questo significa che posto w = e2πi/n , la matrice della trasformata di Fourier è la matrice, simmetrica, la cui prima colonna ha componenti tutte uguali ad uno e la cui colonna k-esima è costituita dalle potenze da 0 a n − 1 di wk . Ricordiamo ora la formula di Plancherel, dandole una forma più concreta. n−1 X X 1 X 2 2 ˆ |fˆ(γk )|2 . kf k = |f (k)| = |f (γ)| = n k∈Z k=0 2 n Z γ∈ c n Come abbiamo già visto questa formula è semplicemente una conseguenza della ortogonalità della base {γk = k = 0, . . . n − 1}. Ricordiamo a questo proposito che abbiamo definito il prodotto interno (f, g) in Cn , come n−1 1X (f, g) = f (k)g(k). n k=0 La divisione per n prima della somma ci serve per ottenere che i caratteri γk risultino ortonormali, cioè di norma uno anziché di norma n. Anche la convoluzione di due funzioni definite su Zn è definita con una somma normalizzata. Può succedere però che sia conveniente definire una convoluzione non 0.20. VENTUNESIMA LEZIONE 91 normalizzata, cioè una operazione ∗˙ tra due funzioni definita semplicemente come: n−1 X ˙ f ∗g(k) = f (k − j)g(j) = n(f ∗ g)(k). j=0 In effetti vale, ad esempio la formula ˙ fcg(γ) = fˆ∗ĝ(γ). L’aver identificato lo spazio Cn con lo spazio delle funzioni definite sul gruppo Zn , ci consente di definire in questo spazio la nozione di ”parità”. Facciamo naturalmente riferimento alla operazione di somma (e quindi di opposto e di differenza) nel gruppo Zn . Diciamo allora che una funzione f definita in questo gruppo è ”pari” se f (k) = f (−k). (Possiamo naturalmente identificare −k con n − k.) Diremo inece che f è dispari se f (−k) = −f (k). La nozione di parità si applica alle funzioni definite su qualsiasi gruppo commutativo, in particolare, si applica al gruppo dei caratteri di Zn (che è isomorfo a Zn ). Possiamo quindi chiederci quando si verifica che la trasformata di Fourier fˆ di una funzione è pari. Poiché l’operazione di gruppo tra i caratteri corrisponde alla moltiplicazione dei numeri complessi di modulo uno dove il coniugato corrisponde all’inverso, questa domanda si riduce a chiederci quando è che n−1 n−1 1X 1X f (k)γ(k) = f (k)γ(k) = fˆ(γ). fˆ(γ) = n k=1 n k=0 Poiché γ(k) = γ(−k), è evidente che questo avviene, per tutti i γ se e solo se f è pari. Vale quindi la seguente osservazione. Osservazione 11 . Se f è pari allora fˆ è pari e viceversa. Se f è dispari, allora fˆ è dispari e viceversa.