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FILOLOGIA ROMANZA
(ISTITUZIONALE)
PROF. PAOLO GRESTI
A.A. 2012-13
Università Cattolica del Sacro Cuore - Facoltà di Lettere e Filosofia
Introduzione
Il corso di Filologia romanza, per la parte istituzionale, che tratta i contenuti basilari della materia, i
primi 6 cfu, svolgentisi nel primo semestre e sempre uguali di anno in anno, è tenuto dal professor
Paolo Gresti, per gli studenti di tutte le branche della facoltà di Lettere e Filosofia. Il corso intende
fornire informazioni di base sulla linguistica romanza, ossia la disciplina che studia il passaggio dal
latino ai volgari romanzi, e sulla letteratura romanza, ossia i vari sviluppi letterari dei volgari
romanzi, declinati nei vari generi medievali.
A lezione il professore illustra essenzialmente la linguistica romanza, che è ciò che questa dispensa
esaurisce, comprendendo gli appunti completi di tutto il corso tenuto a lezione dal professore, i
quali sono fondamentali, poiché da un lato sono ciò che è richiesto all’esame, dall’altro non c’è un
univoco libro di testo che li tratti, dato che il professore suggerisce al più di comperare in
fotocopisteria la propria dispensa (qui ovviamente già integrata) o di appoggiarsi, per eventuali
dubbi, al volume C. Lee, Linguistica romanza, Roma, Carocci, 2000 (qui ovviamente già integrato).
Le ultime ore di lezione (5 ore circa), tuttavia, consistono nella lettura e nel commento di alcuni
testi (in lingua) che segnano il viraggio dal latino volgare ai differenti volgari romanzi e/o di testi
della letteratura romanza originale: essi sono reperibili nell’aula virtuale del professore (Unicatt >
Docenti > Gresti > Didattica > nel menu a sinistra, selezionando il proprio anno accademico) o nel
suo libro P. Gresti, Antologia delle letterature romanze, Pàtron, Bologna, 20112, ma non sono
contenuti nella qui presente dispensa, esclusivamente linguistica. Oltre a ciò, completano la
bibliografia da preparare per il corso alcune pagine tratte da F. Brugnolo - R. Capelli, Profilo delle
letterature romanze medievali, Carocci, Roma, 2011, qui non incluse e da studiare individualmente.
Ai fini dell’esame sono dunque fondamentali tanto gli appunti delle lezioni, quanto la bibliografia
lasciata alla lettura domestica.
L’esame è di media difficoltà e può riuscire ostico nelle nozioni di linguistica storica, ma con un po’
di studio è fattibile. All’esame vengono chiesti soprattutto i fenomeni linguistici, meno le parti
teoriche, e talora può capirare che venga chiesto di commentare uno dei testi presentati a lezione.
Interrogano solitamente gli assistenti, mentre il professore interroga sul monografico.
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Cenni di Fonematica e Fonetica
- Alfabeto fonetico: è l’insieme di lettere o grafemi riconosciuti dall’Api (Association Phonétique
Internationale) per trascrivere i fonemi di quasi tutte le lingue del mondo; da non confondere con
l’alfabeto comune di ogni lingua.
- Sillaba: è un insieme di lettere che, secondo canoni varianti di lingua in lingua, può essere
raggruppato; più sillabe costituiscono una parola o lemma. Si dividono in sillabe aperte o libere se
finiscono in vocale, o sillabe chiuse o implicate se finiscono in consonante.
- Foni e fonemi: un fono è la minima entità fonico-acustica della lingua, indipendente dal
significato del suono, la cui trascrizione è tra parentesi quadre; un fonema è la minima entità
linguistica con valore distintivo, dipendente dal significato del suono, la cui trascrizione è tra barre
inclinate a destra. I foni sono le realizzazioni possibili di un fonema (eg canna: /’kanna/ - [‘kanna]
[‘hanna] [‘ganna] a seconda dei dialetti).
- Divisione in sordi e sonori: i fonemi sono detti sordi se, pronunciati, fanno rimanere inerti le
corde vocali, invece sono detti sonori se, pronunciati, fanno vibrare le corde vocali.
- Divisione in tonici ed atoni: i fonemi sono detti tonici se su di essi cade l’accento, ed atoni se su
di essi non cade l’accento. L’accento è un segmento ad apice, posto prima della sillaba il cui
fonema è accentato.
- Organi fonatori: parti del corpo in grado di riprodurre i suoni, usando l’aria che fuoriesce dai
polmoni sino alla bocca o al naso. Si dividono in fissi, quali i denti (specie gli otto incisivi), gli
alveoli (la parte superiore delle gengive interne), il palato duro (la parte supero-anteriore della
cavità orale); ed in mobili, quali le labbra, la lingua (divisa in apice, dorso e radice), il palato molle
(detto anche velo del palato, è la parte supero-posteriore della cavità orale, terminante con l’ugola),
le cavità nasali (insieme di cavità mucose e cigliate), la faringe (una lunga cavità che connette alla
trachea tramite l’epiglottide) e la trachea (contenente le corde vocali, due pieghe muscolari).
- Vocali: le vocali sono fonemi prodotti dall’aria uscente senza incontrare
ostacoli, e sono tutte sonore. Quelle toniche sono sette (anteriori o palatali: i e ε;
centrali: a; posteriori o velari: ɔ o u), e sono disposte in un triangolo vocalico a
seconda del grado di apertura della bocca, più ampio al centro e meno ampio ai
lati, ed a seconda della posizione della lingua, più sul palato duro nelle anteriorpalatali, e più sul palato molle nelle posterior-velari. Per distinguere le coppie e-ε ed ɔ-o
nell’alfabeto latino si usano l’accento grave (a sinistra, < 90°) per le aperte ε-ɔ, ossia è-ò, e
l’accento acuto (a destra, > 90°) per le chiuse e-o, ossia é-ó. Quelle atone sono cinque (a e i o u) e
non hanno valori distintivi particolari.
- Semiconsonanti e semivocali: sono lo iod [j] ed il vau [w], entrambe sonore, considerate
semiconsonanti se sono una i ed una u atone seguite da una vocale, o semivocali se precedute da
una vocale.
- Dittonghi, trittonghi e iati: un dittongo è un incontro di due vocali che sia si pronunciano
assieme, sia fanno parte di un’unica sillaba, ed è detto ascendente se è formato da una
semiconsonante e da una vocale (eg piatto), invece è detto discendente se è formato da una vocale e
da una semivocale (eg mai); un trittongo è un incontro di tre vocali che né si pronunciano assieme
né fanno parte di un’unica sillaba, ma sono formati da semiconsonante, vocale e semivocale (eg
miei), oppure da due semiconsonanti ed una vocale (eg aiuola). Lo iato è un incontro tra due vocali
che né si pronunciano assieme, né fanno parte di un’unica sillaba (eg reale).
- Consonanti: le consonanti sono fonemi prodotti dall’aria uscente incontrando ostacoli, e si
dividono secondo:
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1) il modo in cui sono articolate, in occlusive (o momentanee o esplosive) se il canale espiatorio si
chiude completamente, in fricative (o spiranti o continue o costrittive) se il canale espiatorio si
chiude parzialmente, in affricate, se si fondono una occlusiva ed una fricativa; inoltre, pur
rientrando nelle categorie precedenti, sono caratteristiche le nasali (occlusive), in cui l’aria esce dal
naso, la vibrante (fricativa), in cui la lingua vibra sugli alveoli, le laterali (fricative), in cui l’aria
passa ai lati della lingua;
2) il luogo in cui sono articolate, in labiali, se il canale si chiude a livello delle labbra, in
labiodentali, se il canale si chiude tra labbro inferiore e denti superiori, in dentali, se il canale si
chiude a livello dei denti, in alveolari, se il canale si chiude a livello degli alveoli, in palatali, se il
canale si chiude a livello del palato duro, in velari, se il canale si chiude a livello del palato molle,
ed in uvulari, se il canale si chiude a livello dell’ugola;
3) il fatto d’essere sia sorde sia sonore. Il tutto secondo il seguente schema:
- Divisione in scempie e doppie: alcune consonanti, in posizione intervocalica, si dicono scempie o
semplici se sono presenti una sola volta, e doppie se sono presenti due volte (eg /’eko/ ed /’ekko/).
Sono però sempre doppie in posizione intervocalica, nell’alfabeto fonetico, /ɲ, ts, dz, ʃ, λ/ (eg
/’oɲɲi/, /’vittsi/, /’mεddzo/, /’laʃʃia/, /’maλλia/) anche se nella trascrizione in alfabeto comune
risultano scempie, ed inoltre ts e dz (come del resto ogni fonema rappresentato da due lettere, quali
tʃ e dʒ) raddoppiano in trascrizione solo la prima lettera.
- Diacrisìa: nell’alfabeto comune, ha valore diacritico in una parola una lettera non pronunciata,
aggiunta per distinguere la parola che la possiede, da un’altra.
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Lingue romanze e latino
- Storico-naturale o artificiale: una lingua è detta storico-naturale se parlata da una cultura esistita
sulla terra, altrimenti è detta artificiale se è parlata da una cultura non esistita.
- Lingue neolatine o romanze: il latino non muore ma continua nelle lingue neolatine o romanze
(da “latine loqui”, il parlar latino, o “romanice loqui”, il parlare in vernacolo), ossia quelle parlate
nella Romània: portoghese, spagnolo castigliano, catalano, francese, occitano, lingue romanze
alpine (quelle delle alpi Retiche: ladino, romancio, franco-provenzale e friulano), italiano e dialetti
italici (sardo e dialetti), dalmatico (lingua estinta), romeno. In realtà è il latino volgare, non quello
classico, che si trasforma in esse, tesi straordinariamente innovativa, fino ad allora assurda,
promulgata per la prima volta dal linguista tedesco dell’Ottocento Friedrich Diez (pronuncia [dits]),
fondatore della linguistica romanza. Si usa raggruppare le lingue romanze anzitutto in occidentali
(portoghese, spagnolo castigliano, catalano, francese, occitano, lingue romanze alpine) ed in
orientali (italiano e dialetti italici, dalmatico, romeno) in più famiglie, anche se non rigidamente:
iberoromanze (portoghese, spagnolo castigliano, catalano), galloromanze (occitano, francese,
franco-provenzale), retoromanze (romancio, ladino, friulano), italoromanze (italiano, sardo e
dialetti), balcanoromanze (dalmatico, romeno). Alcune di esse sono lingue nazionali, altre sono
regionali, altre sono parlate anche in nazioni vicine quali lingue ufficiali, altre sono lingue franche,
alcuni linguisti parlano addirittura di Romània nova creatasi colla colonizzazione di Africa ed
Americhe da parte degli Europei eredi dei latini e colla creazione di lingue creole (dette pidgins se
particolarmente semplificate per uso commerciale e di convivenza), altri linguisti ancora parlano di
Romània submersa, un’area nella quale anticamente c’è stato l’impero romano, ma in cui il latino è
stato soppiantato.
- Sino al I dC la forza centripeta di Roma, tra burocrazia e statalismo, commercio e militare, sistema
scolastico e cultura, fa sì che tutti, all’interno dell’impero, conoscano la stessa lingua. Plinio il
Giovane racconta che un seccatore ha tormentato Tacito mentre è seduto in arena per il circo,
chiedendogli se si ritenesse latino o gallico: Tacito, sdegnato, replica se lo si è riconosciuto, infatti
Tacito è scambiato per Plinio il Giovane (il latino del gallico provinciale Tacito è simile a quello
dell’italico Plinio, infatti il latino colto è pressoché identico ovunque).
- Nel VI secolo s’avvia il processo di continuazione del latino volgare nelle lingue romanze, ed il
punto di non ritorno avviene sotto Carlo Magno, che s’accorge dell’importanza della cultura e
riforma il sistema culturale, ormai consapevole di ciò; al concilio di Tours dell’813 i vescovi
decretano che la liturgia della chiesa debba rimanere in latino, ma la predicazione, nelle omelie,
debba essere eseguita in “rusticam romanam linguam aut thiotiscam”, ossia nei volgari romanzi o in
volgare tedesco: è la presa di coscienza del fatto che il latino volgare ormai è morto e sono nate le
lingue romanze.
- Lingue indoeuropee: gruppo di lingue dagli stilemi originariamente comuni, diffuse in Eurasia,
divise in gruppi quali latino, greco, germanico (da cui inglese, tedesco, olandese, svedese ecc...),
slavo (da cui russo, polacco, bulgaro, iugoslavo ecc...), celtico (da cui irlandese ecc...), sanscrito (da
cui hindi ecc...), iranico (da cui persiano ecc...) ecc... Per quanto l’indoeuropeo non sia mai
effettivamente stato parlato da questi popoli, essendo una lingua semplicemente ricostruita dai
linguisti, essa aiuta a capire la progressiva diversificazione e nascita delle lingue storico-naturali.
- Lingue galloromanze:
Il francese è la più antica lingua scritta attestata: il primo documento con stilemi di lingua francese
sono i “Giuramenti Di Strasburgo” dell’842, in cui Ludovico il Germanico e Carlo II il Calvo
giurano l’uno nella lingua dell’altro, davanti agli eserciti che invece giurano nella loro lingua,
contro il fratello Lotario, imperatore del SRI (sono i tre nipoti di Carlo Magno che combattono tra
loro), e ce lo riportano le “Historiae” di Nitardo del X secolo, dunque è una fonte indiretta ma
attendibile; il primo documento letterario della lingua francese, datato 878-82, è la “Sequenza Di
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Sant’Eulalia”, una poesiola di 29 decasillabi su tale santa, trovata nel retro di un manoscritto di san
Gregorio Nazianzeno nella biblioteca di Valenciennes, ispirata ad un inno latino di Prudenzio.
È sotto il regno di Luigi XIV col “Dictionnaire” del 1694 dell’Académie Française che si affermano
l’unità e la nazionalità della lingua francese. L’illuminismo e l’Encyclopédie hanno poi contribuito
alla diffusione della lingua nazionale, mentre la rivoluzione francese ha accelerato il processo di
popolarizzazione della lingua che comincia ad essere insegnata anche nelle scuole, finché i grandi
autori del XIX secolo non hanno stabilizzato il francese, affermandolo definitivamente sui dialetti
locali. Il francese tende a non accogliere parole straniere ed ad avvalersi della sua chiarezza, come
nella celebre citazione di Antoine De Rivarol dal “Dicours De L’Universalité De la Langue
Françoise” del 1784: “Ce qui n’est pas claire, n’est pas françois”.
In realtà in Francia sono due le lingue prevalenti dell’epoca medievale, differenziate in base al
modo di dire sì: la prima è la lingua d’oϊl (da cui il francese attuale “oui”), tipica del Nord; la
seconda è la lingua d’oc (derivata dall’“hoc” latino), tipica del Sud-Est, chiamata anche occitano o,
per metonimia col nome del suo dialetto più celebre, provenzale. Anche il franco-provenzale è
considerata una lingua galloromanza, ed è tipica della Francia del Centro-Est, vicino alla Svizzera.
Il francese attuale deriva grossomodo dalla lingua parlata nella regione di Parigi, l’île de France,
cioè il franciano, un dialetto della lingua d’oϊl, ibrido però dal fatto che a Parigi si parla anche
l’anglo-normanno, un altro dialetto della lingua d’oϊl influenzato dalla lingua parlata a Sud
dell’Inghilterra, dove sono arrivati i Normanni (è importante perché è la lingua della “Chanson De
Roland”). Nel 1539 Francesco I, re di Francia, con l’editto di Villers-Cotterêts obbliga il francese in
qualsiasi atto pubblico, per abolire il latino, ma così facendo toglie di mezzo anche l’occitano.
Le prime testimonianze scritte dell’occitano sono addirittura letterarie, le celebri “Benedizioni Di
Clermont-Ferrand”, della seconda metà del X secolo, scoperte nel XX secolo dal paleografo tedesco
Bernhard Bischoff, cioè due formule magico-terapeutiche che ben si inseriscono nel topos delle
historiolae taumaturgiche, di persone che guariscono grazie al miracolo.
- Lingue iberoromanze:
Il catalano è una “lingua ponte”, perché ha più punti di contatto coll’occitano che colle altre lingue
iberiche come il castigliano. Nel latino merovingio, erroneamente, si fa un salto semantico un po’
forzato da cum ad apud, sempre nel significato di “con”, così nel catalano si ha amb < APUD, come
nell’occitano ab/am e nel francese avec: ecco che il catalano è vicino alle lingue galloromanze.
Domina la regione spagnola della Catalogna, da sempre sotto influsso francese ed isolata dalla
Spagna araba o castigliana, da cui freme perennemente per distaccarsi. Un giuramento feudale
misto tra latino volgare e catalano è collocabile tra 1035-1055, ma il primo testo letterario sono le
“Omelie di Organyà”, databili alla fine del XII secolo, una serie di omelie della chiesa di Organyà.
Il castigliano evoluto è lo spagnolo attuale, ed è quello ufficiale perché è stata la corte di Castiglia a
diffondersi su tutto il territorio, culminando la reconquista con la presa di Granada del 1492. Il
decreto de Nueva Planta, emanato nel 1707 ed esteso nel 1716 ai paesi catalani dal re di Spagna
Filippo V, introduce l’obbligo dello spagnolo nell’amministrativo e nel giudiziario, risolvendo a
sfavore delle altre parlate del regno, soprattutto del catalano.Tuttavia, inizialmente il castigliano si è
parlato in tutta la Spagna tranne che nella Catalogna, nel Leòn e nelle Galizie. È la lingua romanza
più parlata nel mondo. Le prime testimonianze scritte dello spagnolo sono glosse, cioè vocabolari
per spiegare espressioni desuete e classiche, con forme volgari, ai popolani, in particolare le
“Glosse Emilianensi”, databili fine X inizio XI secolo, trovate in manoscritto nel monastero di san
Millàn de la Cogolla, di carattere religioso, e le “Glosse Silensi”, poco successive, trovate in
manoscritto nel monastero di santo Domingo de Silos.
Nel medioevo, invece, tranne nelle zone del Nord (Asturie e marca spagnola), al Centro-Sud sono
arrivati gli Arabi a conquistare la Spagna nel 711 dallo stretto di Gibilterra, allora le lingue parlate
nella zona araba della Spagna sono definite dialetti mozarabici, perché col nome di “mozarabi” gli
Arabi chiamano i loro sudditi spagnoli. Nel 1948 l’ungherese Samuel Miklos Stern scopre,
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leggendo dei caratteri arabi-ebraici, che in realtà sono scritti in linguistica romanza: queste brevi
poesie in mozarabico si chiamano jarchas (in arabo, “finali”, in quanto poste a fine componimento),
e risalgono all’XI secolo.
Il portoghese è una variante del galliego, cioè la lingua romanza parlata nelle Galizie. Il portoghese
attuale si basa sulla lingua di Lisbona, capitale a volte alterne dal XII secolo, prima è stata Coimbra,
sede della celebre università. La più antica testimonianza scritta del portoghese, seppur datata da
alcuni 1192 e da altri XIII secolo, sembra essere l’“Auto De Partilhas”, un atto notarile di divisione
di proprietà.
- Lingue balcanoromanze:
Il romeno è una lingua romanza, ma non ha una letteratura nel medioevo, in quanto è un paese
arretrato ed abitato da tribù, così si suole non considerarlo letterariamente. È una lingua che ha
subito molte influenze dagli idiomi slavi, che la circondano. Fino al 1840 il romeno è scritto in
caratteri cirillici, dunque slavi. Il più antico documento in protoromeno è del 1521, una lettera
scritta dal boiardo (cioè nobile) Neacşu di Cîmpulung al giudice tedesco di Braşov, Hans Benkner,
per informarlo dell’arrivo di una spedizione di Turchi ottomani. Il romeno ufficiale deriva dalla
varietà del dacoromeno, ed è parlato in Romania ed in Moldavia.
Il dalmatico, tipico della Dalmazia, la penisola al limite tra l’Italia e l’ex Iugoslavia, tra le influenze
italoromanze e balcanoromanze, è una lingua romanza assai influenzata dai dialetti slavi, ma
oggigiorno è estinta, poiché il suo ultimo parlante è morto nel 1898.
- Lingue retoromanze:
Il ladino arriva ai linguisti nel 1873, quando Graziadio Isaia Ascoli pubblica il volume “Saggi
Ladini”, in cui descrive la linguistica ladina, che lui considera un’unica lingua parlata in un
territorio vasto e frammentato, dal Canton Grigioni svizzero sino al Friuli. Altri linguisti hanno
contestato l’unica lingua, pensando ad una pluralità di lingue, quelle che appunto adesso si
definiscono retoromanze, cioè stanti dietro alle alpi Retiche, ossia romancio, ladino, friulano.
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