CONSIGLIO DI STATO – Quarta sezione

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CONSIGLIO DI STATO – Quarta sezione
SENTENZE IN SANITÀ – CONSIGLIO DI STATO
CONSIGLIO DI STATO – Quarta sezione - sentenza n. 3993/2004
Il Ministero della Salute ha ampia facoltà di rendere generico un medicinale che all’estero è già tale,
senza dover valutare un eventuale brevetto da parte di una casa farmaceutica italiana.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello n. 2970/2003 proposto dalla Astra Zeneca s.p.a.., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Giuseppe franco Ferrari e Paolo Quattrocchi, presso i quali elettivamente domicilia in Roma, alla via S. Maria in Via n. 12
Contro
Il Ministero della Salute, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12
E nei confronti di
IBI S.p.a., rappresentata e difesa dagli Avvocati Antonio Lirosi ed Elisabetta Racca ed eletivamente domciliata presso lo studio Gianni, Origoni Grippo & partners alla via IV Fontane 20
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione III Ter, n. 1830/2003
dell’11 marzo 2003, con la quale è stato respinto il ricorso da essa proposto per l’annullamento
del decreto del Ministero della salute n. 741 del 14 dicembre 2002 recante autorizzazione
all’immissione in commercio della specialità medicinale Propofolo IBI,; della nota del Ministero della salute-Direzione generale della Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza,
avente ad oggetto “principio attivo: propofol” trasmessa alla ricorrente via fax il 13 dicembre
2002
Visto l’appello con i relativi allegati;
Visto gli atti di costituzione in giudizio e le memorie del Ministero della salute e della IBI s.p.a;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito, alla pubblica udienza del 2 marzo 2004 il relatore, Consigliere Livia Barberio Corsetti e
uditi altresì per le parti gli Avv.ti G. F. Ferrari ed A. Lirosi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue
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FATTO
I - Con ricorso al TAR del Lazio la Astrazeneca S.p.a. impugnava i provvedimenti indicati in
epigrafe, che riteneva lesivi del suo interesse di licenziataria esclusiva e titolare del brevetto sul
principio attivo propofol, che costituisce la base di un medicinale denominato DIPRIVAN, brevetto con efficacia fino al 30 dicembre 2006.
Con gli atti impugnati, infatti, il Ministero della salute concedeva l’autorizzazione
all’immissione in commercio di un medicinale generico a base del medesimo principio attivo
propofol, avviando la procedura di riconoscimento ex articolo 9-bis del d.lgs. 178/1991 previa
rigetto delle obiezioni dell’ASTRA ZENECA rispetto alle quali ha affermato che le valutazioni
relative alla tutela industriale e commerciale non rientrano nella propria sfera di competenza e
che non ravvisava impedimenti amministrativi alla prosecuzione dell’iter registrativo del medicinale in questione.
Col primo motivo la Società appellante lamentava Violazione e falsa applicazione dell’articolo
3 legge 549/1995, come sostituito dall’articolo 1 d.l. 323/1996, convertito in legge 425/1996;
violazione e falsa applicazione del d.lgs. 178/1991, della direttiva 65/65/CEE e succ. modif. e
della direttiva 2001/83/CE. Violazione della prassi amministrativa. Eccesso di potere per contraddittorietà rispetto a precedenti determinazioni, sviamento, travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, manifesta illogicità e irragionevolezza.
Rappresentava che a norma dell’articolo 3 della legge 459/1995, come sostituito dall’articolo 1,
comma 3 del D.L. 323/1996, convertito in legge 425/1996 il Ministero della Salute può autorizzare l’immissione in commercio, quali generici, dei medicinali come definiti dall’articolo 1,
d.lgs. 178/1991, a base di uno i più principi attivi, prodotti industrialmente, che non siano protetti dal brevetto o dal certificato protettivo complementare di cui alla legge 349/1991 ed al Regolamento CEE n. 1768/1992.
Ne deriva che il Ministero, prima di autorizzare l’immissione in commercio è tenuto a verificare
la legittimità della domanda anche sotto il profilo brevettuale.
Ciò vale anche se si segue la procedura di cui all’articolo 9-bis del d.lgs. 178/1991. La stessa
normativa comunitaria in materia di immissione in commercio dei medicinali cui è stata data
attuazione con il d.lgs. 178/1991 dispone espressamente che il procedimento autorizzativo deve
svolgersi “senza pregiudizio della normativa relativa alla tutela della proprietà industriale e
commerciale” (art. 4, comma 3, dir. 65/65/CEE e succ. modif. e dir 200/83CE, art. 10, comma
1). Benché tale precisazione non sia stata testualmente riprodotta nella orma italiana, vale comunque la c.d. presunzione di conformità alla legge interna al diritto comunitario, vale a dire il
principio secondo cui la legge italiana deve essere interpretata in senso conforme alle prescrizioni comunitarie (corte Cost. 14 giugno 1984, n. 170).
Il Ministero, che in primo tempo si era orientato in questa direzione, ha inspiegabilmente cambiato avviso ed ha concesso l’autorizzazione in commercio di cui è causa pur essendo al corrente che il medicinale era coperto da brevetto.
Col secondo motivo la Società Astra-Zeneca denunciava Violazione e falsa applicazione del r.d.
29 giugno 1939, n. 1127 e succ. modif., della legge 349/1991, del Reg. CEE 1768/1992 e degli
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articoli 3, 41, 42 e 97 Cost. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 30 (ex art. 36) del Trattato istitutivo della Comunità europea. Eccesso di potere per sviamento, travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, manifesta illogicità e irragionevolezza. Incompetenza.
L’articolo 30 del Trattato CEE prevede che l’esistenza di un brevetto è legittimo motivo di divieto o restrizione all’importazione. La Corte di Giustizia delle Comunità europee è giunta ad
affermare che il diritto di esclusiva riconosciuto al titolare del brevetto farmaceutico può estendersi al punto di precludere la stessa presentazione della domanda AIC. Tale diritto gode di tutte
le garanzie di tutela della proprietà privata e non può essere espropriato senza indennizzo (r.d.
1127/1939, artic. 60 e 62). La concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio di
un medicinale copia equivale ad un esproprio senza indennizzo. Tra l’altro il provvedimento
impugnato è intervenuto a poche settimane di distanza dalla procedura con la quale il Ministero
ha ricalcolato la durata della efficacia del brevetto, ridotta di due anni a norma dell’articolo 3,
comma 8 del d.l. 63/2002. Né la validità ed efficacia di un brevetto possono essere contestate
dall’Autorità amministrativa senza che sia intervenuta una sentenza dell’AGO che annulli il
brevetto stesso. In proposito ricordava che il brevetto di cui si discute era oggetto di una causa
di nullità pendente innanzi al Tribunale civile di Torino. Fino all’esito di detta vertenza
l’efficacia e la validità del brevetto non possono essere poste in dubbio da nessuno.
II - Si costituivano in giudizio l’IBI e il Ministero della Salute, chiedendo il rigetto del ricorso.
L’IBI sosteneva la legittimità dell’autorizzazione all’immissione in commercio in quanto era
stata concessa sulla base della documentazione proveniente da altri paesi europei nei quali il
medicinale era stato già autorizzato. Quanto al preteso brevetto, ne sosteneva la radicale nullità
per assenza di qualsiasi novità, circostanza in corso di accertamento innanzi all’AGO, che documentava col deposito di atti da cui risultava che il prodotto Propofol era stato originariamente
brevettato in Inghilterra dalla Imperial Chemical Industries in 28 marzo 1974 e pubblicato il 4
maggio 1977. Ricordava che l’Ufficio brevetti italiano non esamina i presupposti sostanziali
della novità intrinseca ed estrinseca del prodotto. L’IBI sosteneva inoltre che la normativa comunitaria e quella nazionale non consentono di negare l’autorizzazione alla immissione in
commercio di un farmaco generico per motivi attinenti alla tutela brevettuale sia che si segua la
procedura ordinaria (art. 8 d.lgs. 178/1991) sia che si adotti la procedura di mutuo riconoscimento (art. 9 direttiva 65/65 come modificata dalla direttiva 93/93). Il Ministero può solo prendere atto della dichiarazione di chi chiede l’AIC che il prodotto non ha copertura brevettuale.
Sosteneva infine che il ricorso della Astra Zeneca era inammissibile perché l’azione andava
proposta innanzi al Giudice ordinario, eventualmente chiedendo l’inibitoria della commercializzazione del prodotto.
Il TAR adito ha rigettato il ricorso affermando in fatto e in diritto:
a) che il ricorso non è inammissibile per difetto di giurisdizione perché la causa ha per oggetto
l’uso (o non uso) dei poteri dell’Amministrazione in sede di autorizzazione all’immissione in
commercio, fatte salve tutte le questioni relative alla titolarità dei brevetti.
b) Che il Ministero, in sede di procedura di mutuo riconoscimento ex articolo 9-bis c. 2, deve
solo verificare che il medicinale non determini rischi evidenti e irrimediabili alla sanità pubblica.
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c) Che ogni contestazione sulla legittimità dell’AIC originariamente rilasciata non può essere
fatta valere se non innanzi all’Autorità dello Stato che vi ha provveduto.
d) Che colui che chiede il rilascio dell’AIC per un farmaco che afferma generico assume la responsabilità di siffatta dichiarazione, senza pregiudizio del diritto all’uso dell’eventuale brevetto, garantito nelle sedi opportune.
e) che l’Autorizzazione all’immissione in commercio non riguarda la tutela brevettuale e non la
incrina, onde non può ritenersi che l’Amministrazione, concedendola, intenda esercitare o di fatto eserciti un potere ablatorio nei confronti di eventuali titolari di brevetto.
III – L’ASTRA ZENECA impugna tale decisione riproponendo tutte le censure illustrate in
primo grado e contestando le conclusioni raggiunte dal primo giudice. Evidenzia tra l’altro, gli
effetti perversi ai quali può condurre una interpretazione che, attraverso la procedura del mutuo
riconoscimento, azzeri la protezione di maggior durata rispetto agli altri paesi europei vigente in
Italia a compensazione del ritardo con il quale è stata riconosciuta la brevettabilità dei farmaci.
Ricorda inoltre che la diversa durata della protezione fornita dai certificati complementari nei
diversi Paesi varia in funzione della registrazione del medicinale in ciascun Paese e che, pertanto, le differenze esistenti sono volute dallo stesso legislatore comunitario.
Si è costituito in giudizio l’IBI contestando in radice la ricostruzione normativa proposta
dall’appellante.
DIRITTO
1. La questione oggetto del presente giudizio è se il Ministero della salute debba o possa rifiutare l’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale, chiesta a norma dell’articolo
9-bis del D.lgs. n. 178 del 29 maggio 1991, a difesa del brevetto vantato sullo stesso medicinale
da altro soggetto.
Al di là delle argomentazioni illustrate dalle parti e da quelle contenute nella sentenza impugnata, la Sezione ritiene che sia necessario ricostruire il quadro normativo interno e comunitario alla luce del quale la questione può trovare una soluzione.
2. L’articolo 9-bis del d.lgs. 178/1991, introdotto dal D.lgs. 18 febbraio 1997, n. 44 ha stabilito
che quando il Ministero della sanità riceve una domanda di autorizzazione di immissione in
commercio ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 75/319/CE “decide sulla domanda nel rispetto
della procedura e dei termini previsti dalla normativa comunitaria”.Il secondo comma disciplina l’istruttoria del procedimento di riconoscimento stabilendo che il Ministero chiede allo Stato
che ha già autorizzato il medicinale oggetto della domanda di trasmettergli una relazione di valutazione. Entro novanta giorni il Ministero “riconosce la decisione del primo Stato” oppure, se
ritiene che l’autorizzazione del medicinale presenti un rischio per la sanità pubblica, attiva la
procedura prevista dagli articoli 10 e seguenti della direttiva 75/319/CE.
Ne consegue che il Ministero, a fronte della domanda di riconoscimento di un’autorizzazione
già concessa da altro Paese della Comunità deve e può applicare solo la normativa comunitaria e
può rifiutare il riconoscimento solo in caso vi ravvisi un rischio per la sanità pubblica.
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3. Nella normativa comunitaria, malgrado quanto sostenuto dalla Società appellante, non è poi
affatto disciplinato un obbligo dell’Autorità che rilascia l’autorizzazione a valutare se questa è
chiesta per un prodotto protetto da brevetto o da certificato complementare di protezione. Tutte
le direttive, a partire dalla 65/65, fino alla 2001/83 e lo stesso regolamento comunitario n.
2309/93 del 22 luglio 1993 in materia di autorizzazioni in commercio rilasciate a livello comunitario, sono strettamente incentrate sulle caratteristiche dei medicinali, delle modalità della loro
fabbricazione, conservazione, controllo e valutazione e non si preoccupano di stabilire un collegamento tra l’autorizzazione e l’esistenza di un brevetto.
L’unica disposizione, che non a caso è richiamata dall’appellante, che si riferisca alla tutela della proprietà industriale e commerciale, è contenuta nell’articolo 4 della direttiva 65/65 e
nell’articolo 10 della direttiva 2001/93. Tali disposizioni prevedono che “salva la normativa relativa alla tutela della proprietà industriale” il richiedente l’autorizzazione non è tenuto a fornire
una parte dell’usuale documentazione se dimostri che la specialità medicinale è simile ad un
medicinale autorizzato nello Stato cui si riferisce la domanda; che il componente o i componenti
siano di impiego medico ben conosciuto; che il medicinale sia essenzialmente analogo ad altro
già autorizzato secondo le disposizioni comunitarie in vigore da almeno sei anni nella Comunità.
Tale indicazione sembra assolvere ad una funzione completamente diversa da quella ritenuta
dall’appellante, vale a dire ad esentare le autorità che concedono l’autorizzazione da qualsiasi
indagine circa l’esistenza di una protezione brevettuale, protezione che può essere fatta valere
nelle sedi e con gli strumenti per essa previsti. In altri termini la disposizione ha il significato di
garantire che l’autorizzazione all’immissione in commercio non pregiudica in nessun caso i diritti sulla proprietà industriale e commerciale, disciplinati da diverse fonti normative.
4. Le fonti comunitarie non impongono pertanto all’Autorità che rilascia l’autorizzazione
all’immissione in commercio di valutare l’esistenza o l’efficacia di una protezione brevettuale
del prodotto. E poiché nella procedura di mutuo riconoscimento l’Amministrazione italiana,
come si è detto, deve applicare solo la normativa comunitaria, ne discende che non vi era obbligo per il Ministero di prendere in considerazione le obiezioni in materia, rappresentate
dall’ASTRA-ZENECA, che avrebbe avuto la possibilità, ricorrendone i presupposti, di ottenere
un provvedimento interdittivo dal giudice ordinario.
5. Ciò premesso, ci si deve però chiedere se non esista una disposizione, nell’ordinamento interno italiano, che deroghi alle disposizioni comunitarie, integrandole e ponendo ulteriori obblighi
a carico dell’Amministrazione procedente.
Viene in proposito in rilievo l’articolo 3, comma 130, della legge 549/1995, in base al quale si
esclude che possa essere autorizzata l’immissione in commercio, quali generici, di farmaci protetti da brevetto o dal certificato protettivo complementare di cui alla legge 349/1991, che
l’appellante richiama a sostegno della propria tesi.
Si deve però escludere che tale disposizione possa esplicare effetti rispetto alla procedura del
mutuo riconoscimento di cui all’articolo 9-bis del d.lgs. 178/91 in quanto questo è entrato in vigore successivamente (nel 1997) alla legge 549/1995 e deve ritenersi derogatorio rispetto ad
essa sia in quanto successiva, sia in quanto iscritto all’interno di uno speciale procedimento di
mutuo riconoscimento comunitario inteso a semplificare la circolazione dei farmaci in ambito
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europeo, attribuendo valore alla prima autorizzazione concessa da un Paese europeo. E, come si
è visto, la normativa europea non si preoccupa affatto della tutela della proprietà, se non per ricordare che esistono differenti disposizioni che la tutelano. Esula evidentemente dal presente
giudizio qualsiasi riferimento alla procedura ordinaria di autorizzazione e alle possibili interferenze su di essa della legge 549/1995.
6. Ne consegue che il Ministero della Salute nella fattispecie non poteva attribuire alcuna rilevanza alle sollecitazione dell’ASTRA-ZENECA senza incorrere in una violazione della normativa comunitaria che disciplina lo speciale procedimento del mutuo riconoscimento.
7. Per completezza si deve dire l’interpretazione fin qui proposta della vigente normativa interna
e comunitaria non contrasta con le disposizioni in materia di tutela della proprietà intellettuale e
commerciale, ma ha solo l’effetto di spostare le questioni relative nello Stato ove la prima autorizzazione è stata concessa, ovvero innanzi all’Autorità giudiziaria competente.
8. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello deve essere respinto. Sussistono
tuttavia giusti motivi, stante la complessità delle questioni, per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV:
Respinge l’appello e compensa le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 2 marzo 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
IV, con l’intervento dei Signori:
Gaetano Trotta
Presidente
Livia Barberio Corsetti
Consigliere, est.
Aldo Scola
Consigliere
Carlo Deodato
Consigliere
Sergio De Felice
Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Livia Barberio Corsetti
Gaetano Trotta
IL SEGRETARIO
Maria Cecilia Vitolla
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
15 giugno 2004
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Giuseppe Testa
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