Figure Bibliche di speranza e carità

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Figure Bibliche di speranza e carità
Diocesi di Tortona
CORSO BIBLICO
— Anno pastorale 2013-2014 —
Figure Bibliche di speranza e
carità
Uomini e donne
che hanno camminato con il Signore
Temi di Teologia Biblica trattati
da don Claudio Doglio
28 Ottobre 2013
2. GIONA, IL PROFETA BISOGNOSO DI
CONVERSIONE
C’è speranza per tutte le genti!
Giona è un profeta che ha bisogno di conversione. In genere i profeti si impegnano per la conversione degli altri, nel
caso di Giona ci troviamo invece di fronte a un personaggio che fa brutta figura e dimostra come sia lui bisognoso di
cambiamento.
Un racconto pedagogico
Il Libro di Giona è inserito nella raccolta dei Dodici profeti minori, ma è un libro diverso rispetto a quelli dei profeti;
non contiene infatti degli oracoli, cioè delle prediche del profeta, ma racconta una storia. È un libro narrativo con un
genere letterario particolare: sa di parabola, di racconto esemplare e didascalico. Non ci troviamo di fronte a un
racconto storico, ma a una rappresentazione teologica che vuole educare e l’autore, con grande abilità, cerca di
trasmettere un messaggio attraverso il racconto.
Il nome di Giona l’autore lo ha desunto da un libro storico dei Re dove viene nominato, senza nessuna precisazione,
questo personaggio: Giona, figlio di Amittài. L’autore parte da questa semplice indicazione di un personaggio antico di
cui si sa solo nome e cognome e costruisce una storia su questo personaggio, una storia pedagogica che serve per aiutare
gli ascoltatori a comprendere meglio il messaggio della storia.
Noi vogliamo leggere la vicenda di Giona come una storia di speranza e la richiesta di un cuore aperto, accogliente,
disposto alla carità.
Il messaggio di fondo è apertura universalistica: c’è speranza per tutti i popoli. Giona invece questo non riesce a
capirlo, è un testone che pensa alla sua condizione e non si apre alla novità; è un conservatore nel senso che cerca di
conservare la propria vita, la propria impostazione e non è d’accordo con il Signore.
Giona si trova in una situazione strana perché, mandato dal Signore, non è d’accordo con chi gli ha dato l’incarico.
È uno che rema contro: anziché lavorare nella direzione del Signore che lo ha inviato, lui fa di testa sua e va contro.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
1
La storia inizia male
Gio 1,1Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: 2«Àlzati, va’ a Ninive,
la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me». 3Giona invece si
mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore.
Senza dire una parola Giona comincia la sua vicenda disobbedendo, è una storia di disobbedienza che sembra
riprendere la storia delle origini: l’uomo all’inizio, chiamato da Dio, disobbedisce. È cioè la storia di sempre. Giona è
uno che ascolta la parola del Signore, ma non la mette in pratica.
La parola del Signore è rivolta a quell’uomo con due imperativi: «Àlzati e va’»; àlzati nel senso di non stare fermo,
non stare seduto, non stare bloccato nella tua situazione. Spesso si trova questo imperativo nelle parole che il Signore
rivolge a coloro che chiama, è l’invito a una dinamica, a un impegno, a un alzare il livello della vita, ad alzare
l’orizzonte della tensione: “Àlzati e va a Ninive”.
Ninive è una grande città, è una città assira, la grande capitale dell’impero degli assiri, ma era una città antica. Il
Libro di Giona viene scritto dopo l’esilio, quando cioè il popolo di Israele è ritornato dall’esilio in Babilonia e
faticosamente, dopo un secolo di interruzione, ha ripreso la vita nella terra promessa e si sta riorganizzando.
La storia di Giona rappresenta proprio la storia del popolo di Israele, è una vicenda in miniatura: Giona rappresenta
Israele. La parola ebraica yônāh è un nome di animale, indica la colomba. Il nome Giona significa colomba e proprio
per questo fu preso come nome dai monaci irlandesi quando partirono missionari per ri-evangelizzare l’Europa:
abbiamo grandi personaggi come Columba, Columbanus. Colombano è la forma latina maschile di colomba, quindi
sarebbe la traduzione letterale di Giona, è l’applicazione.
Chiamandosi così, il monaco che parte missionario dice di avere sentito quella parola del Signore che gli ha chiesto
di alzarsi e di andare ad annunciare.
Quando però il libro viene scritto, nel post-esilio, Ninive non esiste più, era una città antica, era stata la grande
capitale degli assiri, di un impero che aveva tiranneggiato tutta la regione settentrionale di Israele, ma nel 612 Ninive fu
distrutta, rasa al suolo dai babilonesi e non più ricostruita. La figura della grande città, abitata da peccatori, è quindi una
figura ideale. Ninive non è intesa tanto come una concreta città storica, ma la figura generica dell’ambiente urbano
segnato dal peccato e soprattutto è l’ambiente straniero, è la grande città di una nazione straniera avversa a Israele dove
il profeta viene chiamato per essere portavoce di Dio. La parola profeta significa “colui che parla a nome di un altro” e
quindi la traduzione migliore potrebbe essere portavoce: è uno che, avendo ascoltato il Signore, se ne fa interprete e
dice ad altri quello che lui ha ascoltato. Ecco perché noi cristiani, in forza del battesimo, siamo profeti; non certo perché
prevediamo il futuro, ma perché il nostro parlare con le azioni e con le parole è annunciare agli altri quello che noi
abbiamo ascoltato, ricevuto e accolto. Ninive è l’ambiente pagano che ci circonda, è la struttura ostile, disinteressata
alla parola del Signore: sono i lontani, comunque li vogliamo considerare. Giona viene chiamato dal Signore per andare
a portare una parola a questi lontani. La missione che il Signore gli ha affidato è quella di dire che la loro malvagità è
arrivata fino a Dio, Dio conosce quanto siano cattivi. Sembra quindi una missione punitiva, è un invio a rimproverare.
Giona non risponde né sì, né no, non dice accetto, non dice rifiuto, non fa opposizione, ma si mette in cammino dalla
parte opposta a Ninive. I nomi geografici servono proprio per capire questo gesto di Giona. Ninive si trova a est e Giona
invece intende recarsi a Tarsis una città che sarebbe collocabile sulle coste meridionali della Spagna, quindi anziché
andare in Mesopotamia, nel nord dell’attuale Iraq dove si trova Ninive, prende una nave per andare in Spagna,
diametralmente opposta è la direzione che prende Giona.
Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò
con loro per Tarsis, lontano dal Signore.
È la seconda volta che il narratore sottolinea questo particolare: Giona vuole andare lontano dal Signore, come se,
fuggendo dalla parte opposta, potesse allontanarsi da lui. Questo profeta sta fuggendo dalla propria vocazione, dalla
propria missione, vuole nascondersi…
4Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che
la nave stava per sfasciarsi.
Giona in … libertà vigilata
In tutto il racconto il narratore mostra ironicamente l’azione diretta del Signore che manda Giona, ma è attivo a
controllarne ogni passo e gestisce lui tutta la vicenda. Così, mentre Giona pensa di andare lontano dal Signore, il
Signore è presente in mezzo al mare e organizza una bella tempesta di mare… la nave sta per sfasciarsi.
Giona si trova in una situazione di pericolo insieme a tante altre persone che sono straniere, di altre religioni.
5I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano
sulla nave per alleggerirla. Invece Giona, sceso nella parte più profonda della nave, si corica
e dorme profondamente.
È una fuga psicologica: Giona non vuole esserci, si estranea, si addormenta. Anche in mezzo al problema della
tempesta Giona è come se non ci fosse, non vuole esserci, dorme. Tutti gli altri pregano il loro Dio, sono perciò di altre
religioni e comunque pregano; Giona invece, profeta del vero Dio, dorme.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
2
6Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cosa fai così addormentato? Àlzati,
invoca il tuo Dio!
Questa volta è un pagano, un uomo di mare che sta semplicemente guidando quella nave, a dirgli “Àlzati!” e lo
invita a pregare. Prega il tuo Dio…
Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo».
Poi tutti i componenti dell’equipaggio tentano un’altra strada. Secondo la mentalità antica ogni situazione negativa è
prodotta da una colpa e quindi ci deve essere un colpevole. Di chi è la responsabilità di questa tempesta? Ci deve essere
a bordo un colpevole e una forza divina – pensano i marinai – vuole colpire qualcuno, bisogna identificarlo. Tirano
pertanto a sorte e la sorte naturalmente cadde su Giona. In questi casi funziona benissimo: lo individuano subito, lo
prendono e lo interrogano.
8Gli domandarono: «Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo
mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?».
È un vero e proprio interrogatorio.
9Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore,
Nome proprio del Dio di Israele,
Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra».
Quindi, se lui ha fatto il mare è logico che lo controlla.
10Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?».
Giona ha semplicemente detto a quale popolo appartiene e quale Dio venera. Adesso però dice la cosa più
importante: cosa hai fatto?
Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro
raccontato.
Perché stai fuggendo? Non lo dice, riconosce tuttavia di essere lui responsabile.
11Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te? perché si calmi il mare, che è contro di
noi?». Infatti il mare infuriava sempre più.
Giona si rende conto della sua situazione:
12Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di
voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia». 13Quegli uomini
cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare
andava sempre più infuriandosi contro di loro.
Non accettano facilmente la proposta di Giona, tentano infatti in tutti i modi di salvare la nave e i passeggeri con le
forze umane. Quando però si accorgono che è tutto impossibile perché la tempesta cresce, allora mettono in atto quello
che Giona ha proposto loro e pregano il Signore prima di buttare in mare Giona.
14Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fa’ che noi non periamo a causa della
vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il
tuo volere».
Sono degli stranieri che ragionano teologicamente bene, sono anche onesti, si scusano, si sentono costretti a fare
questo, quindi in qualche modo loro obbediscono al volere di Dio, mentre Giona, il profeta immagine di Israele, del
popolo di Dio, è disobbediente, testone, fugge lontano dal Signore.
15Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. 16Quegli uomini ebbero
un grande timore del Signore,
All’istante, buttato in mare Giona, la tempesta si placa e quei marinai temono il Signore, lo riconoscono come attivo,
presente nella loro vicenda, hanno il timor di Dio:
offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.
I lontani, anche se non sembra, sono disponibili, sono attenti, sono aperti al divino.
Giona, pur con la sua cattiva testimonianza, con il cattivo esempio che ha dato, ha parlato del Signore e ha fatto
conoscere il Signore come responsabile di tutto, al punto che quei marinai ebbero il timor di Dio.
Figura di Israele nel dramma dell’esilio
Giona finisce in mare, viene buttato in acqua perché muoia, è destinato a naufragare miseramente. Il naufragio di
Giona corrisponde al naufragio di Israele.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
3
Dobbiamo ragionare in questo modo. Il racconto, didascalico, vuole presentarci la parabola storica del popolo di
Israele in dialogo con le genti. Quando il popolo fece naufragio – certamente in senso metaforico – quando cioè fallì,
quando rischiò di annegare e di sparire? Durante l’esilio!
Gli anni dell’esilio furono un autentico naufragio per Israele; la barca andò in pezzi, lo stato fallì, la terra fu
occupata, Gerusalemme conquistata, il tempio distrutto, la gente deportata: non c’era più possibilità, non c’era più
speranza.
Alcuni uomini coraggiosi ebbero invece speranza, anche in quella situazione così negativa come l’esilio, non
persero la speranza. Continuarono a credere nel Signore, a fidarsi di lui e la loro fiducia fu ben riposta, perché con il
tempo Israele poté ritornare e con il tempo – dopo che la tempesta fu passata – ripensandoci, capirono che quell’esilio
era stato utile. Quella disgrazia aveva fatto bene, aveva fatto maturare Israele, era stata una azione benefica di Dio,
curativa della mentalità distorta: Israele poteva ripartire.
Ora, nell’antica mentalità biblica, l’immagine dell’acqua, soprattutto del mare, era considerata figura caotica,
immagine del caos, del disordine, della situazione precedente alla creazione. Finire in fondo alle acque, nel linguaggio
biblico, significa annullare la creazione: è una de-creazione, una distruzione totale. Per questo viene adoperata
l’immagine del naufragio, ma Giona in fondo al mare non annega
2,1Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del
pesce tre giorni e tre notti.
Non domandiamoci che tipo di pesce fosse, neanche una balena sarebbe in grado di inghiottire un uomo e di
conservarlo tre giorni. Farsi questa domanda significa non avere capito il genere letterario del libro; quel pesce non ha
un nome, non è né una balena, né il pescecane di Pinocchio che riprende espressamente la storia di Giona. È un grosso
pesce, figura mitica per indicare il caos, il mostro primordiale caotico.
La parola caos è greca tale e quale, noi l’abbiamo presa e utilizzata nel nostro linguaggio e ha un significato tutto
particolare: è l’azione di tenere la bocca spalancata, è il riferimento a un mostro che ha la bocca aperta. Il caos è la
bocca spalancata di una belva che sta per divorarci. Quindi anche nel nostro linguaggio, sebbene non lo sappiamo, dire
caos equivale a dire figura mitica mostruosa, una belva che mi vuole mangiare. Finire in bocca al caos, finire nel caos,
vuol dire essere divorati da questo mostro primordiale.
«Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona», il Signore dispone anche questo, tutto direttamente in
questo racconto è compiuto dal Signore e Giona, in fondo al mare, dentro questo grosso pesce, sopravvive per tre giorni.
Cambia la situazione: di nuovo da capo
2
Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, 3e disse:
Il capitolo 2 presenta una antologia di versetti di salmi con l’intento di offrire una preghiera di supplica: un uomo si
trova in fondo agli abissi, in un mare di guai e non sa come venirne fuori, chiede al Signore: tirami fuori.
«Nella mia angoscia ho invocato il Signore
dal profondo degli inferi ho gridato a lui
4Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare,
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
Versetti raccolti qua e là da testi che già esistevano, formano questa preghiera…
11E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.
Il Signore parla al pesce, intendendo il mostro caotico, però quel bestione è più obbediente di Giona, perché il
Signore parla al pesce e lui rigetta Giona. Giona invece, quando ha ascoltato la parola del Signore, ha fatto l’opposto.
Tutto il libro è finemente ironico e dobbiamo imparare a leggerlo proprio con questa attenzione al modo con cui
sentiamo le situazioni.
Giona deve guarire dal risentimento, ha un atteggiamento di rivalsa, non gli piace quello che il Signore gli propone e
fa diversamente, ma disobbedendo fallisce, finisce in fondo al mare; è la storia di Israele: il popolo peccatore, traditore,
disobbediente, finì in esilio.
Avrebbe potuto essere totalmente distrutto, invece il Signore fece in modo che il popolo in esilio sopravvivesse e al
momento giusto l’esilio finì, il popolo poté ritornare e tutto ricominciò. Così è anche la storia di Giona che ricomincia.
3,1Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: 2«Àlzati, va’ a Ninive, la
grande città, e annuncia loro quanto ti dico». 3Giona si alzò e andò a Ninive secondo la
parola del Signore.
Ah! Meno male, questa volta Giona è stato obbediente, ha fatto proprio quello che il Signore gli ha chiesto, ha agito
secondo la parola del Signore, mentre prima andava lontano dal Signore. La seconda volta che il Signore gli parla gli
dice esattamente la stessa cosa che gli aveva detto la prima. Non c’è un cambiamento di missione, c’è una ripresa: punto
e a capo. La prima volta tu hai disobbedito e hai visto dove e come sei finito. Adesso ripartiamo, la missione è sempre
quella: vai a Ninive la grande città e annuncia quello che ti dico io.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
4
Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino.
Una città immensa; una giornata di cammino è valutata circa in 20 km. e tre giornate sono 60 km., pensate che città
enorme; la grande Londra è più o meno di queste dimensioni. La Ninive storica di allora no, quindi è una città di
fantasia, è immaginata come esagerata.
Un annuncio catastrofico
4Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora
quaranta giorni e Ninive sarà distrutta».
Inizia una predicazione penitenziale. Nell’antichità Giona è sempre stato visto come un profeta di penitenza, di
invito alla penitenza. Lui, che ha avuto bisogno di conversione, parla agli altri riconoscendo questa necessità. Le sue
parole sono una minaccia e un avvertimento.
«Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» come dire: se entro quaranta giorni non cambiate qui finisce male;
oppure, nel modo di pensare di Giona potrebbe anche essere semplicemente “È finita, signori, ne avete fatte troppe. Tra
quaranta giorni finisce il mondo, finisce il vostro mondo!”.
Non è un annuncio evangelico, non è una bella notizia, è un annuncio catastrofico, è una minaccia di distruzione
violenta. Giona dà per scontato che non serva a niente predicare a gente come gli abitanti di Ninive. Il narratore invece
ci stupisce raccontandoci…
5I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e
piccoli. 6Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì
di sacco e si mise a sedere sulla cenere. 7Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi
proclamato a Ninive questo decreto: «Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla,
non pascolino, non bevano acqua. 8Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato
con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è
nelle sue mani. 9Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi
non abbiamo a perire!».
La scena è paradossale; quei peccatori incalliti di Ninive alla predicazione di Giona si convertono dal più piccolo al
più grande. La notizia arriva anche al re il quale la accetta subito e fa penitenza, si toglie il vestito regale, si siede sulla
cenere e fa un decreto di digiuno. Anche gli animali devono digiunare, anche gli animali devono coprirsi di sacco.
È naturalmente una esagerazione paradossale, perché l’autore continua a raccontare con una vena ironica. Quelli di
Ninive accettano la predicazione penitenziale, perfino gli animali collaborano a questo; l’unica bestia è Giona.
Il re, a nome di tutto il popolo, dice: “Cambiamo atteggiamento, riconosciamo il male che abbiamo fatto, chiediamo
perdono, forse Dio si ravvedrà, cambierà anche lui.
C’è una possibilità di speranza. Attraverso queste parole il re di Ninive esprime una speranza di salvezza: abbiamo
una possibilità di essere salvati, accogliamola.
10Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si
ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Il popolo si convertì e Dio si convertì. Vengono cambiati i piani. Questo era l’obiettivo: salvare Ninive, non
distruggerla. Il Signore non aveva mandato Giona a distruggere Ninive, ma con la speranza che quella gente cambiasse.
La predicazione di Giona ebbe effetto positivo, Giona ci riuscì, non se lo immaginava nemmeno lui, ma è riuscito con
una giornata di cammino e di predicazione a convertire tutta questa città di peccatori.
Il dispiacere per la salvezza
4,1Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato.
Il profeta invece di essere contento è arrabbiato, ecco il risentimento, è un rigurgito di sentimento, è ri-sentito contro
i niniviti e soprattutto contro il Signore; Giona prova dispiacere perché quelli si convertono e prova dispiacere che il
Signore perdoni loro.
È un atteggiamento un po’ tipico della gente religiosa che è risentita nei confronti della misericordia di Dio e nutre
un certo risentimento: “Eh, sì!, quelli hanno fatto quello che hanno voluto e poi il Signore li perdona”.
2Giona pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese?
Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso
e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato.
È questo che mi fa venire il nervoso. Strano che un profeta parli in questo modo, ma il libro sapientemente ci offre
l’occasione per vederci allo specchio. È un risentimento del profeta, uomo religioso, che adesso dice le motivazioni.
All’inizio non aveva parlato, adesso sputa fuori tutto l’amaro che ha addosso e dice: “Non ero partito subito perché
lo sapevo già: tu sei un Dio misericordioso e perdoni, non c’è neanche gusto ad andare ad annunciare la distruzione,
tanto poi non li distruggi!”.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
5
Come se il profeta dovesse essere un uomo di sciagura, un uomo che minaccia castighi. Nel passato possiamo
ricordare predicatori che mandavano volentieri all’inferno quasi tutti, annunciatori di sciagure, gente che minaccia, ma
senza speranza. Una minaccia può essere pedagogica nell’attesa di un cambiamento. Una mamma che minaccia un
castigo al bambino non lo fa perché vuole castigarlo, ma perché vuole correggerlo. Minacciare di non dare una cosa che
fa piacere può diventare uno stimolo per far fare qualcosa che il bambino non vuole fare, ma l’obiettivo è che il figlio si
corregga, faccia bene, faccia quello che deve fare. L’obiettivo non è minacciare, non è realizzare la minaccia. Un buon
educatore non gode di punire; un insegnante non gode nel voto basso o nella bocciatura, tutt’altro; un buon insegnante è
contento di vedere i progressi degli studenti; può anche essere severo e minacciare voti bassi, ma al fine di poterli dare
alti. L’obiettivo è che gli studenti studino, sappiano bene le cose e alla fine, poter dare i pieni voti, è una soddisfazione.
Se uno invece ha questo risentimento e quasi gode nel far cadere lo studente per umiliarlo e trova soddisfazione nel dare
il voto basso, allora c’è qualcosa che non funziona. È la sua psicologia, il suo carattere, il suo atteggiamento che non
vanno bene. La metafora deve però servirci a capire che noi, persone religiose, abituate alla misericordia di Dio,
rischiamo questo risentimento verso il Dio misericordioso e gradiremmo forse un Dio un po’ più vendicatore che
fulminasse più spesso, ovviamente sempre però gli altri!
Quasi dà fastidio il discorso della misericordia di Dio, perché forse lo intendiamo male come se fosse una copertura,
un non tener conto o un far finta di niente. La misericordia di Dio è terapeutica, ma il primo ad avere bisogno di cure è
proprio Giona.
Il professor Vignolo, insegnante di Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica di Milano ha scritto un recente libro molto
bello e denso fra psicologia e teologia sul Libro di Giona; il sottotitolo è proprio “La terapia del risentimento” e
presenta il profeta Giona tra l’umido e il secco. La terapia dell’umido l’abbiamo già vista in fondo al mare, adesso
assistiamo alla terapia del secco: l’arsura e la mancanza di acqua. Prima troppa acqua, poi niente acqua: due situazioni
negative in cui si trova Giona, due situazioni terapeutiche, curative, che devono cioè far bene a Giona. Il personaggio da
curare è lui, la guarigione riguarda lui. Ninive rimane un po’ in secondo piano.
Israele dopo l’esilio, quando ricomincia con entusiasmo, con la voglia di fare veramente quello che il Signore ha
comandato, rischia di cadere di nuovo in una situazione negativa, perché si chiude, si considera il popolo eletto,
disprezza gli altri e non è assolutamente contento che Dio si occupi anche degli altri popoli e offra la salvezza a tutti.
A Israele, a una parte di Israele, questo atteggiamento dà fastidio e l’autore del Libro di Giona è un teologo,
chiaramente ispirato da Dio, che vuole insegnare un atteggiamento di apertura, di accoglienza, di universalismo della
salvezza.
3Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». 4Ma il
Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».
La risposta di Dio è una domanda. Giona è talmente arrabbiato che vorrebbe morire perché Ninive si è convertita,
perché i lontani si possono salvare. Questo gli fa così tanta rabbia che vorrebbe scomparire. Il Signore non gli dà
nessuna risposta, cerca di farlo ragionare. “Ma ti sembra giusto essere sdegnato così?”.
5Giona allora uscì dalla città
Se fosse stato in casa sarebbe uscito sbattendo la porta.
e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di
vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città.
Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta: vediamo un po’. Il profeta non demorde; la collina fuori città diventa
per lui un osservatorio ideale.
Gioia e sdegno per il ricino
6Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra
sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.
Il termine ebraico tradotto con ricino è qîqāyôn, nome di pianta difficilmente identificabile. La Comunità di Bose lo
ha scelto come nome della propria casa editrice; la nostra traduzione rende con ricino, la traduzione latina lo rendeva
con zucca. Sono piante che crescono velocemente, “cresce come una zucca” è un consueto modo di dire. Anche il ricino
è veloce nella crescita. Qui però è una crescita prodigiosa, in una notte questa pianta cresce così velocemente che fa una
bella ombra, un pergolato che offre una situazione di benessere. Giona è contento e si gode questa ombra.
7Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa
si seccò.
Notiamo che il Signore comanda al grosso pesce e al verme, comanda alla tempesta e al ricino e comanda a Giona.
Il grosso pesce, la tempesta, il ricino, il verme obbediscono tutti, Giona no. Il Signore ha fatto provare un attimo di
sollievo al profeta, dopo di che gli fa seccare la pianta.
8Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso.
Il Signore glielo fa apposta, gli toglie l’ombra e gli manda il vento caldo.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
6
Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio
per me morire che vivere». 9Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per
questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». 10Ma il
Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna
fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita!
11E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di
centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una
grande quantità di animali?».
Fine del libro, finale aperto che non ci dice come va a finire, non ci dice che cosa succede a Ninive, né che cosa
succede al profeta: fnisce con una domanda. Il Signore dice al suo profeta: “Ma ti sembra giusto il tuo atteggiamento?
Tu ti preoccupi per una pianta che non dipende da te e io non dovrei preoccuparmi di tutta quella gente?”. Il Signore
giustamente si preoccupa di tutti, anche dei lontani e chiede ai suoi che siano di mentalità aperta. Il rischio di Israele
nel post-esilio è quello di rifare lo sbaglio di prima: richiudersi nella disobbedienza, nella testardaggine, in una
conservazione religiosa che di fatto è disobbedienza a Dio.
La rilettura cristiana di Giona
Gesù fa riferimento alla storia di Giona. Sia Matteo che Luca riportano delle parole importanti. Quando gli scribi
chiesero a Gesù: “Maestro, da te vogliamo vedere un segno” Gesù rispose loro: “Siete una generazione adultera e
malvagia e volete un segno? Non vi sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona”.
Qual è il segno di Giona? È una frase enigmatica tipica del parlare parabolico di Gesù. Il segno di Giona può essere
inteso come i tre giorni nel ventre del pesce: la morte e la risurrezione, il segno di un ri-inizio; quello che sembra finito
in realtà ricomincia; oppure il segno di Giona è la salvezza di quelli che sembravano irrecuperabili. La presenza di Gesù
fa cambiare vita a persone lontanissime dalla fede; la salvezza di quelli che umanamente sembravano persi, per cui non
c’era più niente da fare, è il segno di Giona. Nel giorno del giudizio quelli di Ninive – continua Gesù – si alzeranno
contro questa generazione, contro i suoi contemporanei che hanno visto le grandi opere compiute da Gesù e non gli
hanno creduto. Quelli di Ninive nel giudizio si alzeranno e condanneranno questa generazione perché essi alla
predicazione di Giona si convertirono ed ecco, qui vi è uno ben più grande di Giona. Gesù si presenta come uno molto
più importante di Giona, è lui l’annunciatore della conversione e della misericordia di Dio, di una proposta di
misericordia che chiede di essere accolta. Quelli di Ninive ascoltarono Giona, e voi invece – dice Gesù ai suoi
contemporanei – perché non ascoltate? La storia di Giona è una storia pedagogica, è una storia di speranza e di carità, ci
invita ad aprire gli orizzonti, ad attendere la potenza di Dio contro ogni speranza, a non lasciarci dominare da questo
risentimento di acidità religiosa, ma aprirci a una dimensione grande. Dilatiamo il cuore e accogliamo noi per primi la
misericordia di Dio. Nel grande mosaico pavimentale di Aquileia, in mezzo ai pesci c’è la figura di Giona; serviva
proprio come educazione battesimale, era una storia di conversione per i catecumeni e, dato che leggevano la Bibbia in
latino, su quello splendido mosaico è raffigurata una zucca che copre il pergolato di Giona. Nella Cappella Sistina
proprio sopra il grande Giudizio Universale di Michelangelo – nella vela centrale che divide la parete dandole la forma
delle due tavole della legge – chi c’è raffigurato? Giona, che si torce e guarda l’alto: è il simbolo della risurrezione.
Proprio al centro, c’è il profeta figura di Cristo. Dunque il segno di Giona è il cambiamento degli irrecuperabili: la
risurrezione è la fonte della nostra speranza ed è l’oggetto della nostra speranza. Per noi e per tutti i popoli! Ripensiamo
a questa vicenda, rileggiamola in clima di desiderio di conversione, perché la nostra Chiesa — come direbbe papa
Francesco — non sia chiusa in sé e “autoreferenziale”, ma sappia aprirsi e annunciare il Cristo anche alle periferie di
Ninive.
C. Doglio – Giona, il profeta bisognoso di conversione
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