gravitazione sperimentale - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare

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gravitazione sperimentale - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
GRAVITAZIONE SPERIMENTALE
Fulvio Ricci
Dipartimento di Fisica, Università di Roma La Sapienza
1
Prefazione
L’ attuale conoscenza delle proprietà dell’interazione gravitazionali è basata sui contributi fondamentali di Galilei,
Newton e di Einstein. La teoria Einsteiniana della Relatività Generale riassume in se questo sviluppo secolare della
nostra conoscenza in questo campo della Fisica ed è il punto
di riferimento stabile di tutti gli sforzi sperimentali. Questi
ultimi sono tesi a mettere in luce gli aspetti dinamici della
teoria della Gravitazione e tendono ad evidenziarne i limiti.
In particolare si tenta di contribuire alla validazione di teorie
più estese che a↵rontano il problema di armonizzare Gravità
e Meccanica Quantistica. La Teoria Einsteiniana della Gravitazione viene presentata alla comunità scientifica nel 1916 e
per lungo tempo è confermata da un numero limitatissimo di
deboli evidenze sperimentali. La sua complessità matematica
ne rende difficile la di↵usione presso la comunità scientifica ed
è solo alla fine del XXo secolo, a seguito dell’ impressionante
sviluppo tecnologico che l’evidenze sperimentali si moltiplicano e raggiungono un livello precisione tale da mettere in luce
la grande robustezza e completezza della teoria di Einstein.
È lo sviluppo strumentale che apre il campo a nuove osservazioni astrofisiche interpretabili solo alla luce della Relatività
Generale e consente di sancire la prevalenza assoluta di questa teoria nell’interpretazione del fenomeni gravitazionali. Le
osservazioni astronomiche sui sistemi binari di stelle compatte hanno aperto il capitolo della gravito-dinamica, mostrando
in via indiretta l’esistenza delle onde gravitazionali. La rivelazione diretta di questo nuovo tipo di radiazione consentirà
di chiarire la dinamica dei processi di emissione, aprendo il
campo ad un nuovo tipo di astronomia. Lo sforzo sperimentale, iniziato da Joe Weber negli anni 60 del secolo precedente,
sta ora raggiungendo un livello tale da farci prevedere che la
prima rivelazione diretta avvenga nei prossimi anni. Tuttavia la Gravitazione resta tutt’oggi concettualmente separata
dalle altre interazioni fondamentali e resta aperto il problema
d’inquadrare la Gravità in un contesto più ampio d’unificazione delle interazioni fondamentali. In anni recenti la ricerca
sperimentale anche in questo direzione sta prendendo vigore
e procede, scevra di pregiudizi teorici, nello sforzo costante
di espandere il nostro livello di conoscenza della Natura. Noi
tenteremo di riassumere tale sforzo nei capitoli di questo li-
2
bro che vuole contribuire nel suo piccolo a mettere in luce
il ruolo fondamentale del metodo sperimentale galileiano nel
processo di comprensione dei fenomeni gravitazionali.
Capitolo 1
La Gravitazione
Classica.
La visione cosmologia del mondo antico è dominata dalla filosofia di Tolomeo (100 -178 d.C.) che vede la Terra al centro
dell’universo attorno a cui ruotano le varie sfere celesti con
velocità angolari diverse.
Questo ordine universale, cosı̀ bene illustrato da Dante
nella Divina Commedia, viene sconvolta da Nicolaus Copernicus che nel 1532 scrive nel suo celebre test De Revolutionibus Corporum Coelstium: Il Sole è al centro di tutte le
cose. Quale localizzazione potrebbe avere questa sorgente di
luce nel cosmo questo meraviglioso tempio, se non il centro
da cui può illuminare ogni cosa allo stesso tempo? Dunque il
sole non è denominato in modo improprio da alcuni la lampada dell’universo, da altri la relativa mente e da altri ancora
il metronomo . È interessante notare l’evoluzione temporale delle scoperte scientifiche e come esse si siano integrate
progressivamente per formare il quadro della teoria classica
della Gravitazione deducibile dalle date in cui sono vissuti i personaggi chiave di questa rivoluzione scientifica (vedi
figura).
Infatti Keplero assume il punto di vista copernicano nel suo
processo d’analisi del moto dei pianeti. L’analisi è fondata
su dati d’incredibile precisione per l’epoca raccolti da Tycho
Brahe. Nel 1609 in Astronomia Nova Keplero annuncia le
sue prime due leggi sul moto dei pianeti. tutti i pianeti si
muovono lungo orbite ellittiche ed il sole è collocato in uno
dei due fuochi.
3
4
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
Figura 1.1: I ritratti dei protagonisti della Gravitazione
Classica.
5
In tempi uguali il raggio vettore che connette il sole ai pianeti
spazza aree uguali.
La terza legge, il rapporto tra il quadrato del periodo di
rivoluzione ed il cubo del semi-asse maggiore è lo stesso per
tutti i pianeti, è pubblicata più tardi in Harmonices Mundi
del 1619.
Queste leggi descrivono le proprietà cinematiche del moto dei pianeti e sono basilari per la formulazione della legge
di Gravitazione Universale di Newton. Tuttavia, per giungere ad essa occorre coniugare la descrizione del moto alla
causa generante esso. Per colmare tale vuoto è determinante l’enunciazione del principio d’inerzia di Galileo Un corpo
non soggetto ad alcuna forza, o è fermo o si muove a velocità costante, utita all’enunciazione da parte di Newton della
seconda legge della dinamica
F~ = m~a
(1.1)
Le traiettorie curve dei pianeti implicano l’esistenza di
una forza, la cui espressione deve essere compatibile con le
proprietà cinematiche enunciate da Keplero. Utilizzando concetti elementari della moderna meccanica classica, questi passi logici sono immediatamente evidenti. Nell’ipotesi di trascurare la lieve eccentricità dell’orbita (orbita circolare), la terza
legge di Keplero suggerisce che, per tutti i pianeti, il quadrato del periodo di rivoluzione T è proporzionale al cubo del
raggio orbitale r,
T 2 = Kr3 .
2
Quindi ricordando che l’accelerazione centripeta è ac = 4⇡
r
T2
ed applicando la ??, la conseguente forza d’attrazione che piega le traiettorie dei pianeti, risulta proporzionale all’inverso
del quadrato del raggio orbitale:
4⇡ 2 K
.
r2
La dipendenza della costante K dalla massa dell’oggetto
attraente mA è conseguenza del terzo principio della dinamica: esso implica l’uguaglianza della forza che l’astro A esercita sul pianeta P con quella che P esercita su A. Si deduce
quindi la forma abituale delle legge di Newton:
Fc = mP
mA mP ~r
F~ = G
r2 r
(1.2)
6
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
Figura 1.2: Il generico vettore !
xi 0 individua la posizione delle
masse puntiformi mi generanti il campo. Il vettore !
x individua la posizione del punto P in cui si intende calcolare il
potenziale gravitazionale.
Sulla base dei dati disponibili all’epoca sul moto dei pianeti, Newton riuscı̀ anche a calcolare approssimativamente la
costante di Gravitazione Universale trovando il valore
G ' 6 · 10
1.1
N m2
.
kg 2
11
Il campo ed il potenziale gravitazionale
La teoria classica della Gravitazione è lineare e quindi ad essa
si applica il principio di sovrapposizione. Se ne deduce che il
~
campo d’accelerazione nel punto individuato dal vettore X,
generato da n masse puntiformi mk con k = 1, ....n, nelle
~ k , è esprimibile come
posizioni X
~a =
G
n
X
mk
k=1
~
X
~
|X
~k
X
~ k |3
X
(1.3)
Tale campo d’accelerazione è conservativo e ad esso è asso~ , essendo
ciabile il potenziale , tale che ~a = r
=
G
n
X
k=1
mk
~
|X
~ k|
X
.
(1.4)
Si noti che il campo di forza newtoniano di masse puntiformi ha la stessa natura centrale e lo stesso andamento 1/r2
1.1. IL CAMPO ED IL POTENZIALE GRAVITAZIONALE7
del campo elettrostatico di una carica puntiforme. Ne consegue che possiamo dimostrare l’analogo teorema di Gauss che,
per una distribuzione di massa caratterizzata dalla funzione
~ ‘ ), porta alla relazione:
densità volumetrica ⇢(X
~ · ~a = 4⇡G⇢
r
(1.5)
Il problema generale del calcolo del campo gravitazionale
implica quindi la risoluzione dell’equazione di Poisson
r2
= 4⇡G⇢
(1.6)
Tuttavia, la natura esclusivamente attrattiva della forza gravitazionale (non esistono masse negative e positive) implica
a grandi di↵erenze negli e↵etti osservabili, quali ad esempio
la non esistenza di schermo gravitazionale.
La soluzione dell’equazione (??) nel caso di distribuzione
di masse continua nello spazio, il potenziale , ha la forma
~ =
(X)
G
Z
~ ‘ )d3 X ‘
⇢(X
.
~ X
~ ‘|
|X
(1.7)
~
~ ‘ |, assume una
Questa espressione, nel caso |X|
|X
forma più semplice, ottenuta sviluppando in serie di Taylor
attorno al punto (x1 ‘ , x2 ‘ , x3 ‘ ) = 0 il termine ~ 1 ~ ‘ :
|X X |
qP
1
i (xi
1 X xi xi ‘ 1 X
= +
+
(3xi ‘ xj ‘ r‘2
3
r
r
2
‘
xi ) 2
i=1,3
i,j
q
p
‘2
‘2
i
j
)
xi xj
+··
r5
(1.8)
‘2
dove r = x1 2 + x2 2 + x3 2 e r‘ = x1 + x2 + x3
In questa approssimazione il potenziale assume la forma
~ =
(X)
GM
r
GX
xk D k
r3 k
GX
xk xl
Qk,l 5 + · · · (1.9)
2 k,l
r
dove
M=
Z
~ ‘ )d3 x‘
⇢(X
(1.10)
è la massa totale del sistema ovvero il suo monopolo.
Dk =
Z
~ ‘ )xk ‘ d3 x‘
⇢(X
(1.11)
8
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
è il termine di dipolo di massa. Si noti che, se l’origine del
sistema di riferimento coincide con il centro di massa del
sistema, tale termine di dipolo è nullo.
Qk,l =
Z
~ ‘ )(3xi ‘ xj ‘
⇢(X
r‘2
i
j
)d3 x‘
(1.12)
è il termine di quadrupolo che risulta nullo nel caso di una
distribuzione di masse a simmetria sferica.
Newton dimostrò che il potenziale di un sistema di masse
a simmetria sferica, al di fuori della sfera dove vi è materia,
è del tipo 1/r2 , analogo a quello di una sorgente puntiforme.
Una deviazione dalla simmetria sferica implica un’alterazione
di questa dipendenza spaziale. Ne consegue che le previsioni
di orbite kepleriane ellittiche dei pianeti attorno al Sole, non
sono rigorosamente vere se si tiene conto del termine di quadrupolo del campo gravitazionale del Sole e della conseguente
alterazione dell’andamento 1/r2 del campo gravitazionale solare. La perturbazione quadrupolare porta ad una variazione
del periodo di rivoluzione del pianeta ad ogni orbita e alla
conseguente precessione del perielio orbitale. Si tratta quindi
di un e↵etto previsto dalla teoria classica della gravitazione
la cui entità dipende dal valore del momento di quadrupolo
della sorgente di campo. Anche la Terra ha un momento di
quadrupolo diverso da zero, visto che la di↵erenza tra il suo
raggio polare e quello equatoriale è 21.4 km, corrispondente ad una eccentricità dell’ellissoide di rotazione della Terra
✏ = 3.35 · 10 3 [?]. La misura del suo momento di quadrupolo
è stata possibile misurando l’entità della perturbazioni indotte sul moto dei satelliti artificiali Nel caso del Sole, i risultati
sperimentali sono incerti: Dicke e Goldberg nel 1961 dedussero l’eccentricità da misure dell’intensità della radiazione solare, proiettando la sua immagine su un disco rotante recante
una fenditura al di la della quale era posta una fotocella. Tali
misure, fortemente influenzate dall’attività d’emissione locale
della superficie solare, portarono ad un valore
J2 =
Q3,3
= 2.4 ± 0.2 · 10
2M R3
5
.
Questo risultato è molto più elevato di quanto misurato più
tardi (1975), con la stessa tecnica, da Hill e Stebbings,
J2 = 1 ± 4 · 10
.
6
1.2. LE UNITÀ DI MISURA DELLA GRAVITAZIONE SPERIMENTALE.9
Negli anni 80 si è sviluppata l ’analisi delle frequenze di vibrazione meccanica del sole. Questa rappresenta una via alternativa per dedurre il valore del momento di quadrupolo.
Approssimando la forma del Sole con una sfera, i suoi modi
di vibrazione sono ottenuti sviluppando il campo di spostamento del corpo elastico in armoniche sferiche Yl,m , dove l è
l’indice armonico e m l’indice azimutale.
La degenerazione dei modi a diverso indice azimutale viene
rimossa se il corpo è in rotazione, cosı̀ che dalla separazione
in frequenza di questi modi si deduce velocità angolare di rotazione dell’interno del Sole, parametro cruciale per dedurre
la deformazione dell’astro e ottenere il valore del momento di
quadrupolo.
I risultati ottenuti confermano un valore più basso di J2 e
attualmente il valore accreditato è [?] [?]
J2 ' 1.7 ⇥ 10
7
La conoscenza di J2 è cruciale in tutti gli esperimenti di verifica delle teorie di Gravitazione, basati su misure di precessione. Infatti tutti questi esperimenti fondano la loro analisi sulla sottrazione di questo contributo sistematico previsto
nell’ambito della teoria classica. Su questo argomento torneremo più tardi nell’ambito delle discussione degli esperimenti
di verifica della Relatività Generale.
1.2
Le unità di misura della Gravitazione Sperimentale.
Il simbolo g indica l’accelerazione mediamente prodotta dalla
gravità sulla superficie della Terra, a livello del mare. In
realtà il valore dell’ accelerazione gravitazionale cambia da
luogo a luogo in funzione della latitudine, dell’altitudine e
dalla struttura geologica del luogo.
In ingegneria aerospaziale il simbolo g è utilizzato anche
per indicare l’unità di misura dell’accelerazione, assumendo
implicitamente il valore di riferimento
1 g = 9.80665 ms
2
Questa abitudine, molto di↵usa presso gli ingegneri, è fonte
di confusione poichè lo stesso simbolo g indica il grammo,
unità di misura di massa.
10
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
In luoghi ove la latitudine è pari a p, il valore convenzionale dell’accelerazione di gravità a livello del mare è ricavabile
dalla formula internazionalmente riconosciuta (International
Gravity Formula),
g = 978.0495[1+5.2892⇥10
3
sin2 (p) 7.3⇥10
6
sin2 (2p)] cm s
L’unità di misura Gal, indicato con la prima lettera maiuscola G per evitare la confusione con il simbolo gal dell’ unità
di misura di volume tanto amata dal mondo anglosassone (il
gallone), è stata introdotta in onore di Galileo Galilei. Essa
è adottata per le misure di variazioni locali dell’accelerazione
di gravità terrestre (anomalie di gravità). Un Gal è uguale a
1.0197 · 10 3 g, ovvero 1 mGal ⇠ 10 6 g ⇠ 105 ms 2 .
Per prender confidenza con la nuova unità di misura si
osservi che l’accelerazione media dei gravità è pari a ḡ =
9.81 · 105 mGal e che essa varia dal valore 9.832 · 105 mGal
all’equatore a 9.781 · 105 mGal ai poli. Variazioni, dovute all’orografia dei luoghi possono esser dell’ordine 10 100
mGal.
L’unità di misura Eötvös è adottata in Geofisica per misurare il gradiente dell’accelerazione di gravità lungo un asse.
Un Eötvös è uguale a 10 7 Gal/m e, nelle unità del Sistema
Internazionale, è pari a 10 9 s 2 . Il gradiente di gravità lungo la verticale è la componente più grande, pari a ⇠ 3000 E al
suolo (l’accelerazione di gravità cambia ⇠ 3 · 10 6 ms 2 per
ogni metro di elevazione). Le componenti orizzontali cambiano circa della metà di questo valore ed i gradienti misti
sono dell’ordine di 100 E. Le anomalie di gradiente di gravità possono raggiungere valori dell’ordine di 103 E in zone
montagnose.
2
Tabella 1.1: Tabella di conversione (g = 9.80665 m s
1 Gal
1 mGal
1E
1 mE
0.001 g
10 6 g
10 10 g m 1
10 12 s 2
10 2 m s 2
10 5 m s 2
10 7 Gal m 1
10
9
s
2
)
2
1.3. MASSE GRAVITAZIONALI ATTIVE E PASSIVE 11
1.3
Masse Gravitazionali attive e passive
Nel presentare la formula di Newton (??) abbiamo sorvolato
su alcuni sottili aspetti concettuali. Di fatto abbiamo implicitamente ammesso che la proprietà fisica del corpo che
determina l’attrazione gravitazionale, la massa gravitazionale, non può essere diversa dalla proprietà fisica dello stesso
corpo che risente di essa. Cerchiamo di chiarire meglio tale concetto. La legge di Newton implica che la massa è la
sorgente della forza gravitazionale. Indichiamo allora questa
sorgente con il termine di massa gravitazionale attiva ma .
Indichiamo poi l’ente fisico di un corpo che risente di tale
forza con il termine massa gravitazionale passiva mp . Tale
ente potrebbe non coincidere con ma .
In altre parole, riferendoci al caso della forza che la Terra esercita sulla Luna, potremmo ipotizzare che l’interazione gravitazionale sia proporzionale alla Massa Gravitazionale
Attiva della Terra e alla Massa Gravitazionale Passiva della Luna. Viceversa, la forza della Luna applicata alla Ter(T )
(L)
ra risulterebbe dipendente da mp della Terra e ma della
Luna.
Inoltre nel paragrafo precedente abbiamo dedotto la dipendenza di F~ dalla massa del pianeta in movimento utilizzando la seconda legge della dinamica, cosı̀ che la massa
passiva viene identificata con la massa inerziale mi , ovvero l’ente fisico caratterizzante la risposta dinamica del corpo
soggetto a forze. L’identificazione della massa gravitazionale con quella inerziale è la base del principio di equivalenza
che discuteremo in dettaglio in un capitolo successivo. Attualmente, proseguendo il nostro ragionamento proviamo ad
introdurre in modo operativo le tre grandezze mi , ma e mp
ed analizziamo cosa implichi la loro identificazione.
Consideriamo un sistema di due corpi, il primo del quale giochi il ruolo di massa unitaria di riferimento, m1 kg .
In assenza di forze esterne il principio di azione e reazione
suggerisce che
m1 (1kg)~a1kg + mi~ai = 0
(1.13)
Si deduce quindi che la definizione operativa della massa
inerziale massa mi è
12
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
def
mi = m1 (1kg)
|~ai |
|~a1kg |
(1.14)
ovvero il rapporto delle masse inerziali dei due corpi è direttamente deducibile dal rapporto delle rispettive accelerazioni.
Un volta introdotta la definizione operativa di massa inerziale, possiamo definire la massa gravitazionale passiva supponendo di avere una massa unitaria campione di natura attiva che attrae per interazione gravitazionale la massa mp .
Applicando quindi la seconda legge della dinamica,
G
ma (1kg) mp ~r
= mi~a
r2
r
(1.15)
deduciamo un’espressione per mp che dipende dal prodotto
di r2 a(r) che, sulla base della terza legge di Keplero, è una
quantità conservata
def
mp = lim mi (
r!1
|~a|r2
)
Gma (1kg)
(1.16)
Per la massa gravitazionale attive possiamo procedere in
modo analogo assumendo una massa campione unitaria di
natura passiva soggetta all’azione gravitazionale della massa
attiva ma . Ne segue che la definizione operativa di ma è
def
ma = lim mi (
r!1
|~a|r2
)
Gmp (1kg)
(1.17)
Sulla base di queste definizioni operative discutiamo cosa
implichi l’identificazione di questi tre enti diversi. Imponiamo
nel sistema a due corpi (individuati dagli indici 1, 2) la terza
legge della dinamica,
|F~1 | = |F~2 |
dove
F~1 = m1i~a1 =
Gm1p m2a
~r1
|~r1
~r2
~r2 |3
(1.18)
F~2 = m2i~a2 =
Gm2p m1a
~r2
|~r2
~r1
~r1 |3
(1.19)
1.3. MASSE GRAVITAZIONALI ATTIVE E PASSIVE 13
Figura 1.3: Schema del generatore di campo gravitazionale
costituito da un cilindro di Teflon immerso nella miscela di
un liquido di densità prossima a quella del solido. Il cilindro
è traslato avanti e indietro nel liquido da un motore connesso
alla puleggia rappresentata in figura.
Ne deduciamo che il rapporto tra massa attiva e massa
passiva di ciascun corpo è costante, ovvero massa gravitazionale attiva e passiva sono grandezze proporzionali:
mp
=
ma
(1.20)
L’identificazione tra massa passiva ed attiva è stato oggetto
di una elegante verifica sperimentale [?].
L’esperimento di Kreuzer è basato su un generatore di
forza gravitazionale costituito da un cilindro di Teflon (76
% di Fluoro) immerso in una miscela di Tricloro-etilene e
Dibromo-metano (74 % di Bromo). I due elementi massicci,
uno liquido e l’altro solido, sono stati scelti in modo che siano
chimicamente inerti e sia molto diversa la loro composizione
nucleare.
Il cilindro di Teflon, immerso nel liquido, è connesso ad
un motore tramite un filo sottile di nylon ed un sistema di
carrucole. Il motore fa oscillare avanti e indietro molto lentamente ( con un periodo di 400 s) il cilindro nel fluido. Se
14
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
viè una piccola di↵erenza di densità tra il fluido e il blocco
di teflon, allora lo sperimentare può misurare la forza gravitazionale che il sistema liquido+solido esercita sulle masse
di un pendolo di torsione posto di fronte al contenitore del
sistema (si veda la figura ?? e si attenda il prossimo capitolo
per una discussione dettagliata del pendolo di torsione).
Se la massa passiva coincide con la massa attiva, cambiando la densità del liquido la forza gravitazionale cambia sino
ad annullarsi per pari densità dei due materiali. Osserviamo
infatti che le misure di densità della miscela e del blocco di
Teflon dipendono dalle masse passive. Sono infatti ottenute misurando l’e↵etto del campo gravitazionale terrestre su
campioni di questi materiali.
La di↵erenza di densità dei materiali cambia in funzione della
temperatura. Quindi, comparando in funzione della temperatura T le misure di di↵erenza di densità e quelle di forza
gravitazionale esercitata sul pendolo di torsione, dal passaggio per zero delle due funzioni è possibile ricavare il limite
superiore alla di↵erenza percentuale di massa attiva e massa
passiva. Nella figura ?? sono mostrati i due grafici dei dati
originali in funzione della temperatura:
(a) la di↵erenza di densità tra liquido e solido
(b) il segnale del pendolo di torsione, che dipende dalla
di↵erenza di massa attiva tra fluido e solido.
Dal passaggio per zero della due funzioni, che avviene per
valori prossimi a 130 o C, è stato dedotto un limite superiore
al rapporto tra la di↵erenza massa attiva e passiva e la massa
del sistema pari a 5 · 10 5 .
Un limite più accurato è stato derivato sulla base di osservazioni astronomiche basate sulle accurate misure di orbita
lunare ottenuta con la tecnica del Lunar Laser Ranging su
cui torneremo più avanti [?]. Come abbiamo illustrato in precedenza, è possibile costruire un test sull’equivalenza massa
attiva - massa passiva verificando l’eventuale violazione del
terzo principio della dinamica. Questo approccio è stato seguito da Bartellet e Van Buren nel cui lavoro si assume che
la Luna sia modellata da un sistema a due componenti: un
mantello sferico di densità ⇢F e = 3.35 g/cm3 , il cui centro
è spostato di t = 10 km dal centro geometrico della crosta
sferica di densità ⇢Al = 2.9 g/cm3 (vedi figura ??).
1.3. MASSE GRAVITAZIONALI ATTIVE E PASSIVE 15
Figura 1.4: A destra il grafico della di↵erenza di densità
tra liquido e solido, a sinistra quello relativo al segnale della
bilancia di torsione in funzione della temperatura.
Figura 1.5: Il modello di Luna a due componenti. CAl , CF e
e B sono rispettivamente i centri geometrici dei due componenti di Alluminio e di Ferro ed il centro di massa del
sistema. Si assume per le distanze t = CAl CF e = 10 km e
s = CAl B = 1.98 km.
16
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
Questo modello semplificato tiene conto della composizione
asimmetrica delle due facce della superficie lunare: quella
rivolta verso la Terra è ricca di Ferro, la faccia opposta è ricca
di Alluminio. Inoltre il centro di massa della Luna risulta
spostato dal centro geometrico di s = 1.98 ± 0.06 km nella
direzione 14o ± 1o ad Est del vettore che punta la Terra.
In presenza di una violazione del principio di azione e
reazione, deve esistere una forza residua F~Al,F e dipendente
dai due componenti, diretta lungo la congiungente dei due
centri geometrici CAl , CF e ed applicata in B:
F~Al,F e = F~Al + F~F e 6= 0
(1.21)
L’e↵etto più significativo sul moto della Luna sarebbe
determinato dalla componente tangente all’orbita,
Ft = FAl,F e sin(14o )
(1.22)
che determinerebbe una variazione della velocità angolare
della Luna !. Per valutare l’entità dell’e↵etto mediato su
un mese lunare di osservazioni, calcoliamo il lavoro associato a Ft imponendolo pari alla variazione d’energia del sistema Terra-Luna. Essendo quest’ultima pari ad 1/2 della sua
energia potenziale, abbiamo:
1
2⇡rFt = MT
2
Ne segue che
1 MT M L
1
= G
r = FT,L r
2
r2
2
r
Ft
= 4⇡
r
FT,L
(1.23)
(1.24)
Di↵erenziando la terza legge di Keplero ! 2 r3 = costante,
deduciamo la relazione che lega rr a !! , e sulla base delle
?? e ??, giungiamo alla conclusione che
FAl,F e
!
= 6⇡sin(14o )
!
FT,L
(1.25)
Si tratta ora di valutare FAl,F e nel modello lunare a due componenti. Esprimiamo il modulo di questa eventuale forza
introducendo il fattore S(Al, F e). Tale fattore non è altro
che la di↵erenza dei rapporti di massa attiva e passiva della
componente ferrosa e quella a prevalenza d’alluminio
S(Al, F e) =
MAl (A)
MAl (P )
MF e (A)
MF e (P )
1.3. MASSE GRAVITAZIONALI ATTIVE E PASSIVE 17
e racchiude l’informazione relativa alla diversa composizione
nucleare dei due componenti.
FAl,F e = S(Al, F e)FAl
(1.26)
F~Al (⇠ F~F e ) rappresenta la forza che la componente di Alluminio esercita sul Ferro. Calcoliamo il suo modulo integrando il campo d’accelerazione gravitazionale della componente
d’alluminio aAl sull’elemento di massa della sfera di ferro :
FAl =
Z
⇢F e aAl dV
(1.27)
Per dedurre in modo semplice aAl e calcolare la ??, ragioniamo come se
- la componente di densità ⇢Al fosse estesa anche al di
sotto della sfera di densità ⇢F e
- alla sfera di Ferro ne pensiamo sovrapposta una identica
con densità pari a ⇢Al .
È immediato rendersi conto che il contributo della sfera
di densità ⇢Al e con centro in CF e al calcolo di ?? è nullo
per ragioni di simmetria. Applichiamo quindi il teorema di
Gauss alla sfera di densità ⇢Al sfruttando la simmetria del
problema. Nel punto generico distante z da CAl lungo la
direzione del versore k̂ si ha:
4
~aG = ⇡G⇢Al z k̂
3
(1.28)
Ponendo questo campo nella ??, otteniamo;
4
FAl = ⇡G⇢Al ⇢F e tVF e
3
(1.29)
dove VF e è il volume della palla di Ferro e t è la distanza tra
i centri CAl e CF e .
Il prodotto tVF e è deducibile dalla posizione s del baricentro del sistema e dalla massa della Luna. Infatti si ha
:
ML s = (⇢F e ⇢Al )tVF e
(1.30)
Possiamo allora concludere sulla base delle ??, ??, e ?? che
FAl,F e
ML dL,T 2 s ⇢L
=
(
)
S(Al, F e)
FT,L
MT rL
rL ⇢
(1.31)
18
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
Figura 1.6: A sinistra uno dei retro-riflettori posto sulla superficie lunare dal progetto Apollo. A destra il laser del
Goddard Space Flight Center per il tracciamento dell’orbita
lunare
avendo introdotto la distanza Terra-Luna dL,T , il raggio rL e
la densità ⇢L lunari.
Confrontando quest’ultima relazione con la ?? si deduce
un limite su S(Al, F e) legato ad una stima conservativa delle
parte non spiegata del !! < 1 · 10 12 .
Questo dato è dedotto dalle osservazioni su base mensile
di !˙ = 25.3 arcsec/secolo (misure di Lunar Laser Ranging),
avendo sottratto tutti gli e↵etti noti quali quelli legati alle
maree oceaniche terrestri che perturbano l’orbita lunare:
S(Al, F e) <
1 1
1
!
' 5 · 10
o
5 6⇡ sin(14 ) !
14
(1.32)
Tale limite è condizionato alla validità del modello lunare;
tuttavia nella seconda parte dello stesso lavoro gli autori
[?] generalizzano a più componenti il modello lunare dando
quindi maggior generalità al limite dedotto S.
Concludiamo questo paragrafo osservando che, sulla base
della definizione operativa di massa passiva, tendiamo altresı̀
a concludere che la massa passiva è proporzionale alla massa
inerziale del corpo.
mp
= ↵.
(1.33)
mi
Quest’ultima assunzione è oggetto di discussione accurata
nell’ambito della trattazione sul principio d’universalità di
1.3. MASSE GRAVITAZIONALI ATTIVE E PASSIVE 19
caduta libera dei gravi (Universality of Free Falling, UFF).
Assumendo che il principio d’equivalenza sia verificato, concludiamo che sotto un’opportuna scelta dell’unità di misura
di questi enti
mp = ma = mi .
Ritornando di nuovo sulla proporzionalità (??) tra massa passiva e massa attiva, vogliamo notare ancora una volta che si
tratta di una manifestazione del principio d’azione e reazione
o, in altri termini della conservazione dell’impulso nei sistemi
classici isolati.
Si noti che anche la teoria dominante del campo gravitazionale, la Relatività Generale di A. Einstein, postula l’identificazione delle varie masse qui discussa Quindi una violazione di
tale assunzione rappresenterebbe una crepa profonda anche
nel robusto impianto teorico einsteiniano. Questa osservazione deve esser un principio guida nel formulare o analizzare
gli esperimenti tesi alla verifica dell’identificazione mp = ma .
Tutte le considerazioni fatte sinora sono relative a stati
di moto di corpi trattati in meccanica classica, quindi nell’imporre l’uguaglianza F~1 = F~2 non abbiamo tenuto conto degli e↵etti di ritardo dell’interazione gravitazionale tra i
due corpi, che sono importanti quando non è più verificata
la condizione che la velocità dei corpi v sia piccola rispetto
alla velocità della luce c, v/c ⌧ 1. In e↵etti, la conservazione
dell’impulso è riformulata in regime relativistico in termini di
conservazione del quadri-impulso. In condizioni relativistiche
il sistema a due corpi deve tener conto del campo d’interazione gravitazionale che si propaga in un tempo finito dall’una all’altra particella. Il campo ha anch’esso associato un
impulso (ed un’energia) di cui occorre tener conto.1 .
1
Una trattazione rigorosa delle leggi fondamentali della Gravitazione
e del complesso problema associato alla conservazione del quadri-impulso
nell’ambito della Relatività Generale, è riportata nel capitolo 11 del testo
C. Moller, The Theory of Relativity, Claredon Press Oxford 1972.
20
CAPITOLO 1. LA GRAVITAZIONE CLASSICA
Capitolo 2
Il Pendolo di Torsione
2.1
La bilancia di torsione
Il tentativo di dedurre G da osservazioni astronomiche, cosı̀
come fece per primo Newton, non porta a risultati di grande
accuratezza: i valori dedotti sono a↵etti dalla scarsa conoscenza delle masse e dei raggi dei corpi celesti.
Storicamente dobbiamo attendere il primo esperimento
della moderna Gravitazione Sperimentale, basato sulla bilancia di torsione, per avere una misura di G di apprezzabile
accuratezza. Nel 1798, a conclusione di una elegante serie di
misure di laboratorio, Cavendish [?] ricava
G = 6.74 · 10
11
N m2
kg 2
distante soltanto del 1 % dal valore raccomandato del 2104
dal Committee on Data for Science and Technology [?]
G = 6.67408 · 10
11
± 0.00031 · 10
11
N m2
kg 2
dedotto quindi con una incertezza relativa di 4.7 · 10 5 .
La bilancia di torsione a basso smorzamento, concepita
da Charles Augustine Coulomb nel 1777, è ancora oggi uno
dei più sensibili strumenti per la rivelazione di piccole forze.
Essa è lo strumento principe della Fisica della Gravitazione, utilizzato sia in configurazione passiva (quasi statica) che
in condizioni dinamiche (modulazione). Cavendish è stato il
primo ad usarla per esplorare il campo gravitazionale, ma il
merito del suo concepimento e del suo sviluppo va attribuito
21
22
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
Figura 2.1: Il primo esperimento moderno sulla misura di G.
a Coulomb e Michell che avevano come obiettivo la misura
di forze elettriche. Essi si resero conto che la condizione d’equilibrio orizzontale consentiva di rimuovere quasi del tutto
l’enorme e↵etto della Terra, incluso quello della forza centrifuga dovuta alla rotazione della Terra, ma non il rumore di
fondo di origine gravitazionale. Inoltre erano consapevoli che,
per aumentare la sensibilità della misura, occorreva osservare
a lungo (lunghi tempi d’integrazione), e che il pendolo doveva avere un basso coefficiente di smorzamento, ovvero una
lunga costante di tempo di decadimento. A quel tempo non
si conosceva l’origine termica del rumore intrinseco cosı̀ che
gli sperimentatori non furono in grado di valutare l’entità di
tale rumore separandolo dai contributi sismici o di natura
antropica.
Questo strumento, utilizzato in tutto il XIX o e il XX o
secolo, continua a svolgere ancor oggi un ruolo centrale nella Fisica sperimentale della Gravitazione. Durante questo
periodo esso è stato utilizzato per la determinazione della
costante G, per il test del principio di equivalenza e la verifica di alcune proprietà del campo gravitazionale quali il
principio di sovrapposizione, per mettere in evidenza anomalie gravitazionali e l’esistenza di deboli forze di lungo raggio
d’azione. Inoltre esso è alla base delle infinite varianti che costituisco il cuore dei gravimetri, strumenti fondamentali per
2.2. LA TORSIONE DEL FILO
23
le applicazioni di Geofisica e Geodesia.
È stato costruito in innumerevoli versioni: può avere il filo di
sospensione in fibra di quarzo del diametro di 1 mm, lungo
sino a 100 m e con masse di prova sospese di 10 kg ciascuno,
oppure essere costruiti con fili di tungsteno di qualche micron
in grado di sostenere masse della frazione di grammo. È stato
montato in camere da vuoto, in serbatoi per l’immersione in
acqua, posto in cima a montagne o in grotte profonde, è stato
ra↵reddato a temperature criogeniche o riscaldato sino all’
incandescenza.
Si tratta di uno strumento robusto, con una enorme dinamica
dato che, nelle sue molteplici varianti, può coprire un vastissimo intervallo di misura di piccole forze. In tutte queste
versioni è stato accuratamente studiato il suo rumore intrinseco, l’e↵etto dell’isolamento dalle vibrazioni, le perturbazioni associate al sistema di trasduzione del segnale meccanico
in segnale elettromagnetico, in configurazione libera ed in
contro-reazione. Pochi altri strumenti scientifici, basati su
un dispositivo meccanico apparentemente cosı̀ semplice, sono
stati oggetto di studio per un periodo di tempo cosı̀ lungo.
La sua evoluzione continua ancora nella nostra epoca [?].
Le discrepanze residue tra le varie misure di G, che si osservano tutt’ora, spingono a migliorare le prestazioni di questo
strumento, aumentando il livello di comprensione dei suoi limiti fisici. Al fine di ridurre il contributo del rumore termico
e aumentare l’isolamento dalle vibrazioni, è stata seguita la
strategia di ra↵reddare il pendolo a temperature criogeniche
e ridurre le dimensioni del filo di sospensione sino a portarle a valori prossimi al massimo carico consentito dalla fibra.
In queste condizioni estreme possono entrare in gioco e↵etti
non lineari e diviene cruciale l’ottimizzazione delle proprietà
anelastiche del sistema, materia di studio alla frontiera delle
attuali ricerca sulle proprietà dissipative dei materiali.
2.2
La torsione del filo
Un sottile e lungo filo, sospeso verticalmente con una estremità fissata ad un supporto, porta all’altro estremo un’asta
rigida alle cui estremità sono poste due masse tali da mantenerla in posizione orizzontale. L’applicazione di una coppia
sul sistema di masse induce una rotazione dell’asta di un angolo ✓, che è misurabile quando si raggiunge la nuova condi-
24
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
Figura 2.2: La deformazione semplice di scorrimento.
zione d’equilibrio tra la coppia applicata e la coppia elastica
del filo in torsione. La torsione del filo, che per semplicità
supporremo essere un cilindro a sezione costante, è una tipica deformazione non omogenea. In particolare essa è schematizzabile come una deformazione a scorrimento semplice.
Ricordiamo qui che la generica deformazione di volume di un
corpo elastico è riconducibile alla composizione di
a) una deformazione semplice di volume , ovvero una deformazione che cambia il volume del corpo ma non la sua
forma ,
b) una deformazione semplice di scorrimento, ovvero una
deformazione che lascia inalterato il volume del corpo, ma ne
cambia la forma.
Nel secondo caso, facendo riferimento alla figura ??, l’angolo di scorrimento , per piccole deformazioni (tan ' ),
è dato da
CC 0
=
AC
In condizioni di deformazioni elastiche l’angolo è proporzionale allo sforzo di taglio applicato. Si può dimostrare che tale
coefficiente di proporzionalità µ, detto modulo di scorrimento, è legato ai coefficienti d’elasticità di Young E e Poisson
dalla relazione [?]
E
µ=
.
(2.1)
2(1 + )
Nel caso di torsione di un cilindro, ogni sezione perpendicolare al suo asse, quando è sottoposta alla coppia torcente di forze orizzontali, resta piana in virtù della sua forma
circolare, ma risulta ruotata rispetto alla sezione adiacente.
2.2. LA TORSIONE DEL FILO
25
Figura 2.3: La deformazione torsionale di un cilindro di
altezza infinitesima dz.
Supponiamo allora di avere un cilindro di altezza dz e fissiamo l’attenzione su un settore circolare di lunghezza dr e
ampiezza r d posto su una delle due basi del cilindro (vedi
figura??).
Supponiamo poi che il corrispondente settore sull’altra
base sia ruotato rispetto a quello sulla prima di un angolo
tanto più grande quanto più è alto il cilindro. Se dz è l’altezza del cilindro elementare, allora ↵dz è questo angolo, dove ↵
è l’angolo di rotazione per unità di lunghezza. Per piccole deformazioni nella posizione radiale r della sezione considerata,
l’angolo di scorrimento è deducibile dal rapporto dell’arco
r↵dz e dell’altezza dz del cilindro.
⌃⌧
= r↵ =
.
(2.2)
µ
⌃⌧ è lo sforzo di taglio applicato che si può esprimere in
termini del momento della forza torcente applicata M⌧ :
M⌧ =
Z R
0
r⌃⌧ (2⇡r)dr = 2⇡µ
Z R
0
1
r3 ↵dr = ⇡µR4 ↵
2
avendo fatto uso dell’equazione ??. Possiamo poi porre in
relazione tale quantità con l’altra grandezza direttamente mi-
26
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
surabile, l’angolo di torsione ✓ = ↵L, dove L è la lunghezza
totale del filo:
⇡ R4
✓ = k⌧ ✓.
(2.3)
2 L
dove k⌧ è la costante di torsione. Questa notissima relazione è utile per dedurre la frequenza fondamentale propria del
pendolo di torsione. Infatti, detto I il momento d’inerzia dell’equipaggio sospeso al filo, dalla seconda equazione cardinale
della meccanica nell’approssimazione di piccole oscillazioni,
abbiamo
M⌧ = µ
M⌧ = I4⇡ 2 ⌫⌧2 ✓
(2.4)
Dalle (??), (?? ) e (??) deduciamo la frequenza d’oscillazione
fondamentale ⌫⌧ :
p
⇡ 2
⌫⌧ =
R
4
r r s
1
L
1
I
E
(1 + )
(2.5)
Sulla base dele equazioni ?? e ?? parità di coppia di forze applicata al pendolo, tanto più bassa è questa frequenza, tanto
più ampio è l’angolo di rotazione. È chiaro allora la ragione
della scelta di fili di torsione più sottili possibile, alla luce
della dipendenza di ⌫⌧ dal quadrato del raggio del filo R.
2.3
Strategie di misura
Ad una attenta analisi, a dispetto della semplicità concettuale dello strumento, la bilancia di torsione si rivela essere un
apparato estremamente complesso. Qui proveremo a riassumere soltanto alcuni concetti base supponendo che il sistema
sia caratterizzato da un solo modo fondamentale di oscillazione. Una trattazione completa relativa ai vari modi di oscillazione di tale sistema, in regime libero e forzato, estesa anche
agli e↵etti di non linearità, è riportata in [?] e in [?].
Le strategie di misura dell’angolo di torsione della bilancia
possono essere distinte in due grandi categorie,
a) misure dirette dell’angolo di torsione
b) misure del periodo d’oscillazione
Nel primo caso inoltre è possibile distinguere
1) la configurazione di misura dell’angolo ad anello aperto
(sistema libero)
2.3.
STRATEGIE DI MISURA
27
2) la configurazione di misura ad anello chiuso (sistema
contro-reazionato.
Nel caso 1) la bilancia è libera di ruotare attorno al suo
asse e l’angolo di torsione è dedotto osservando lo spostamento medio dalla posizione d’equilibrio del sistema. La sensibilità S = !˙✓ della bilancia di torsione soggetta ad una
accelerazione angolare !˙ è approssimativamente data
S=
1 X
L i mi
k⌧ i=1,2
(2.6)
dove Li = L/2 nel caso semplice discusso in figura, essendo
L la lunghezza dell’asta della bilancia e mi le masse connesse
ai suoi estremi. Per una bilancia di torsione tradizionale L ⇠
1 m, mi 10 2 kg e k⌧ ⇠ 10 10 N m rad sono valori tipici.
Ciò corrisponde ad una sensibilità S ⇠ 106 s2 .
Per dedurre l’ordine di grandezza della minima accelerazione
misurabile !˙ min è necessario stabilire le modalità di misura
dell’angolo di torsione ✓. La misura di ✓ è e↵ettuata utilizzando sistemi senza contatto meccanico ed in molti apparati
ciò avviene applicando il metodo della leva ottica.
Il fascio luminoso, emesso da un laser, viene inviato su uno
specchio ancorato al centro dell’asta e l’intensità luminosa
del raggio riflesso è raccolta su un fotodiodo diviso in quattro
zone sensibili (fotodiodo a quadranti). La sezione del fascio
luminoso ricopre in modo diseguale i quattro settori del fotodiodo, i cui rispettivi segnali elettrici possono essere facilmente elaborati per localizzare il centro del fascio. Come si
evince dalla figura ??, per piccole oscillazioni lo spostamento del centro del fascio riflesso è proporzionale alla distanza
percorsa dal fascio riflesso s ed inversamente proporzionale al
coseno della somma dell’angolo tra la normale alla superficie riflettente ed il fascio incidente ed il doppio dell’angolo di
incidenza iniziale del fascio sullo specchio io .
Al cambiamento dell’angolo di torsione corrisponde una variazione dell’angolo d’incidenza i e quindi in definitiva la
sensibilità del metodo dipende dal valor minimo xmin dello
spostamento rivelato dal fotodiodo:
x=
2s
i
cos( + 2io )
(2.7)
Utilizzando un fotodiodo a quadranti si riescono ad apprezzare variazioni della posizione del fascio luminoso dell’ordine
28
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
Figura 2.4: La configurazione classica di misura ad anello
aperto con leva ottica
Figura 2.5: Il metodo della leva ottica
2.3.
STRATEGIE DI MISURA
29
Figura 2.6: Schema per il calcolo della funzione di trasferimento tra una rotazione (a) e una traslazione (b), di uno
specchio a distanza L da un lente convergente di focale f e lo
spostamento corrispondente del fascio luminoso su un piano
ortogonale all’asse ottico posto a distanza D, dietro la lente.
di 10 10 m. Assumendo che in un esperimento di laboratorio
sia s ⇠ 1 m, l’ordine di grandezza del valore minimo apprezzabile dell’angolo di torsione è ✓ ⇠ 10 10 rad. Questo valore
si traduce, sulla base delle considerazioni fatte in precedenza
(vedi equazione ??), in una accelerazione angolare minima di
!˙ min ⇠ 10 14 rad s 2 .
Con una opportuna configurazione ottica di raccolta della
luce sul fotodiodo è anche possibile distinguere tra i gradi di
libertà di traslazione da quelli rotazionali dello specchio.
Facciamo riferimento alla figura ?? per il calcolo dello
spostamento x dello spot del laser sul piano posto a distanza
D da una lente convergente di focale f , a seguito di una
rotazione i e di una traslazione z dello specchio posto a
distanza L dalla medesima lente.
Al primo ordine basta sommare linearmente i due e↵etti. As-
30
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
sumiamo che inizialmente il fascio luminoso incida sullo specchio con un angolo pari a io . Applicando l’ottica delle lenti
sottili
1 1
1
+ =
p q
f
(2.8)
e semplici considerazioni di geometria elementare sulla figura
??, si giunge alla conclusione:
x = 2z sin io (1
D
) + 2 i[L(1
f
D
)]
f
(2.9)
Ne segue che, se D = f , lo spostamento x misurato dipende solo dalla varaibie i, ovvero dalla sola rotazione dello
specchio. Ponendo quindi il fotodiodo nel fuoco della lente, saremo sensibili alle sole rotazioni del sistema e non alle
traslazioni.
Si noti inoltre che, ponendo il fotodiodo nel piano immagine
di L, ovvero ad una distanza D dalla lente pari a
D=
Lf
L f
il termine dovuto alle rotazioni va a zero e si sensibili alle
sole traslazioni dello specchio.
L’approccio alternativo alla strategia di misura dell’angolo medio di torsione consiste nel contro-reazionare1 la bilancia di torsione, applicando una forza proporzionale al segnale
di torsione su una delle masse sospese. In questo caso la
bilancia è ferma ed il momento torcente esterno applicato
alla bilancia è proporzionale al segnale d’uscita del sistema
contro-reazionato. Per bloccare il sistema nel punto di lavoro
la soluzione tipica adottata è quella di applicare una forza di
natura elettrostatica ad una delle due masse, come illustrato
in modo sommario in figura.
Le due capacità contrapposte sono formate da due piatti polarizzati dalla stessa tensione continua e dalla massa m2 che
funge da seconda armatura messa a terra per entrambe le
due capacità. Il segnale d’errore del ramo di contro-reazione
V si somma alla tensione di polarizzazione in un condensatore mentre nell’altro si sottrae. Indicata con A la superficie
di ciascuna armatura ed avendo bilanciato le due capacità
1
Si veda il capitolo Controreazione e controlli nella seconda parte di
questo testo.
2.3.
STRATEGIE DI MISURA
31
Figura 2.7: Schema del sistema contro-reazionato tramite
forze elettrostatiche
Ca = Cb = C, si ottiene una forza complessiva agente sulla
massa m2 , proporzionale al segnale d’errore V :
F =
1
C 2 [(V0 + V )2
2✏o A
(V0
V )2 ] = 2
C 2 V0
V
✏o A
(2.10)
Abbiamo cosı̀ un sistema dinamico che, sottoposto ad una
sollecitazione !˙ con componenti in frequenza che cadono nella banda caratteristica del sistema di controllo, resta bloccato nella posizione di lavoro. Ciò avviene in virtù dell’azione
di compensazione della forza elettrostatica, che è a sua volta proporzionale al segnale d’errore V utilizzato anche come
segnale d’uscita dello strumento. Rispetto al metodo di oscillazione libera della bilancia di torsione, questo approccio alla
misura consente di aumentare la dinamica dello strumento,
ovvero permette di rivelare sollecitazioni !˙ in un intervallo
di valori più grande a parità di sensibilità del fotodiodo a
quadranti utilizzato.
32
2.4
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
Il modello di una reale bilancia di
torsione
Una discussione approfondita dei limiti di sensibilità di questo strumento richiederebbero una trattazione ben più estesa
di quella appena abbozzata nel paragrafo precedente, perchè
molte sono le cause che concorrono a limitare la sua sensibilità. Noi qui cercheremo di discutere un aspetto particolare
dell’interazione del sistema con l’ambiente, una causa limitante la sensibilità diversa dalle sorgenti di rumore intrinseche all’apparato, quali il rumore del sistema di trasduzione e
quello termico della bilancia.
Nel rumore del sistema che trasduce la variazione dell’angolo di torsione ✓ in segnale elettrico andrà incluso il rumore
dell’ amplificatore dei circuito di rivelazione, mentre nel caso
di sistemi ottici di trasduzione, dovremo considerare il rumore shot, quello di pressione di radiazione, i rumori d’ampiezza
e fase della sorgente laser, oltre a quelli in corrente e tensione
del fotodiodo. Di queste sorgenti di rumore parleremo a lungo
quando tratteremo gli interferometri per la rivelazione delle
onde gravitazionali. In un sistema contro-reazionato poi sarà
necessario tener conto dell’eventuale contributo aggiuntivo
del ramo circuitale di contro-reazione.
Il rumore termico dell’oscillatore torsionale ha un ruolo fondamentale, cosı̀ come in gran parte degli esperimenti
gravitazionali: ad esso dedicheremo un intero capitolo nella
seconda parte di questo testo. Basta qui ricordare che la potenza spettrale del rumore termico d’accelerazione è proporzionale alla temperatura e decresce al diminuire dei parametri caratterizzanti le dissipazioni presenti nel sistema. Questo
implica che la scelta di materiali a bassa dissipazione per gli
elementi elastici, quali il filo di torsione, è fondamentale al
fine di ridurre tale contributo di rumore.
In questo paragrafo ci concentreremo quindi sui limiti derivanti dall’interazione del sistema di misura con l’ambiente
(rumori antropici). In linea di principio il moto sismico del
suolo e quindi del punto d’attacco del filo di torsione, è filtrato
dal pendolo di torsione. L’azione di filtro avrebbe efficienza
massima se le zone d’attacco del filo fossero punti geometrici.
Allora, con una opportuna scelta di tali punti non esistono
termini di accoppiamento spurio tra gradi di libertà di traslazione e di rotazione. Al contrario, in una bilancia reale una
2.4. IL MODELLO DI UNA REALE BILANCIA DI TORSIONE 33
accelerazione orizzontale del punto d’attacco del filo caricato
dalla barra che sostiene le masse mi , è accompagnato da un
moto di pendolamento di quest’ultimo e introduce un moto
torsionale dell’asta che sostiene le masse di prova mi . Si osserva allora che il rumore sismico è un limite alla sensibilità dell’
esperimento. Per formalizzare questa considerazione è necessario studiare il comportamento dinamico di una bilancia di
torsione realistica e scrivere le equazioni del moto relative. A
questo scopo proviamo a dedurre la Langragiana di un modello realistico di bilancia di torsione [?]. Facciamo riferimento
allo schema riportato in figura ?? ed introduciamo due riferimenti cartesiani includenti gli angoli di rotazione rispetto
ai rispettivi assi: il primo O0 , X, Y, Z, ↵o , o é solidale con il
punto d’attacco del filo, il secondo O1 , X1 , Y1 , Z1 , ↵1 , 1 , 1 é
solidale con la barra e la sua origine coincide con il punto
d’attacco del filo alla barra. 2 h, 2 w, e 2 l sono l’altezza,
la larghezza e la lunghezza della barra, lo è la lunghezza del
filo di torsione ed ll é la distanza tra il centro di massa del
sistema O2 e il punto d’attacco O1 .
Nell’ipotesi che il punto Oo sia fisso, i gradi di libertà del
sistema sono 5: gli angoli ↵o , o , ↵1 , 1 , 1 . Se dovessimo
includere nell’analisi gli e↵etti del rumore sismico, dovremmo
considerare anche le variabili (stocastiche) X, Y, Z, del punto
d’attacco della sospensione.
Siano ora x, y, z le coordinate del punto generico della
barra P in funzione dei gradi di libertà. A questo scopo
esplicitiamo l’equazioni di trasformazione delle variabili dal
sistema di riferimento O1 , X1 , Y1 , Z1 a quello O0 , X, Y, Z:
x =
lo sin o + x1 cos
y1 cos 1 sin 1
+z1 sin 1
y = lo cos o sin↵o
+x1 (cos↵1 sin 1
+y1 (cos↵1 cos 1
z1 cos 1 sin↵1
z =
1 cos 1
(2.11)
cos 1 sin 1 sin↵1 )
sin 1 sin 1 sin↵1 )
lo cos o cos↵o
+x1 (sin↵1 sin 1 cos 1 sin 1 cos↵1 )
+y1 (sin↵1 cos 1 + sin 1 sin 1 cos↵1 )
+z1 cos 1 cos↵1
(2.12)
(2.13)
34
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
Figura 2.8: Schema di principio della bilancia di torsione. Oo
è il punto d’attacco del filo di torsione, O1 il punto d’attacco del filo al braccio della bilancia, O2 è il centro di massa
del sistema. Abbiamo introdotto due riferimenti cartesiani
includenti gli angoli di rotazione rispetto ai rispettivi assi: il
primo O0 , X, Y, Z, ↵o , o è solidale con il punto d’attacco del
filo, il secondo O1 , X1 , Y1 , Z1 , ↵1 , 1 , 1 è solidale con il punto
d’attacco del filo alla barra.
2.4. IL MODELLO DI UNA REALE BILANCIA DI TORSIONE 35
Partendo da queste equazioni possiamo dedurre le espressioni di ẋ, ẏ, ż (tenendo presente che x˙1 = y˙1 = z˙1 = 0).
Quindi integriamo l’energia cinetica e l’energia potenziale
del punto P di massa ⇢ dx1 dy1 dz1 sul volume della barra
(l  x1  l, w  y1  w, l1 h  z1  l1 + h), ottenendo
l’espressione della Lagrangiana L del sistema:
L =
1
1
2
mlo 2 cos2 o ↵˙o 2 + mlo 2 ˙o
2
2
1
1
2
2
m(w + l ) + m(3l1 2
6
6
1
2
2
+h
w )cos 1 + m(w2 l2 )cos2 1 cos2
6

1
1
2
2
+ m(h + w + 3l1 2 ) + m(l2 w2 )cos2
6
6
1
2
2
2
+ m(w + l ) ˙1
6
+mlo l1 cos o cos 1 cos(↵o ↵1 )↵˙o ↵˙1
+mlo l1 cos o sin 1 sin(↵o ↵1 )↵˙o ˙1
+mlo l1 sin o cos 1 sin(↵o ↵1 )↵˙1 ˙o
+mlo l1 [cos o cos 1 + sin o sin 1 cos(↵o
1
+ m(w2 l2 )cos 1 sin 1 ↵˙1 ˙1
3
1
+ m(w2 + l2 )sin 1 ↵˙1 ˙1
3
+mg(l0 cos↵o cos o + l1 cos↵1 cos 1 )
1
k 12
2
1
↵˙1 2
1
˙1 2
↵1 )] ˙o ˙1
(2.14)
dove m é a massa della barra, k la costante di torsione del
filo e g l’accelerazione di gravità.
Nell’approssimazione di piccoli angoli l’espressione semplificata diviene:
L =
1
1
2
mlo 2 ↵˙o 2 + mlo 2 ˙o
2
2
1
2
+ m(h + w2 + 3l1 2 )↵˙1 2
6
1
2
+ m(h2 + l2 + 3l1 2 ) ˙1
6
1
+ m(w2 + l2 ) ˙1 2
6
+mlo l1 ↵˙o ↵˙1
˙o ˙1
+mlol1 ✓
◆
1 2 1 2
+mg l0 1
↵o
o
2
2
36
CAPITOLO 2. IL PENDOLO DI TORSIONE
✓
1 2
↵1
2
+l1 1
1
k
2
1
1
2
2
1
2
◆
(2.15)
Confrontando la ?? con la ?? possiamo notare che l’approssimazione di piccoli angoli, imposta a questo stadio della
trattazione, cancella ogni significativo accoppiamento dei vari
gradi di libertà. Se invece, partendo dalla Lagrangiana completa ?? proviamo a ricavare le equazioni del moto sulla base
della nota relazione della meccanica analitica
@L
@qi
d @L
(
)=0
dt @ q˙i
(2.16)
dove qi é il generico grado di libertà, otteniamo per il grado
di libertà torsionale 1 un’equazione che include dei termini
d’accoppiamento
1
m(w2 + l2 ) ¨1
3
=
1
m(l2 w2 )cos2 1 sin2 1 ↵˙ ! 2
3
1
2
+ m(l2 w2 )sin2 1 ˙! =
6
1
m[(l2 w2 )cos2 1 + (l2 + w2 )]↵˙ ! ˙!
3
1
+ m(l2 + w2 )sin 1 ↵¨1
3
(2.17)
Per angoli ↵1 piccoli, questa equazione si riduce alla forma
¨1 + !T 2
p
1
=
2l2 ↵˙1 ˙1
l2 + w 2
1 ↵¨1
=F
(2.18)
dove !T = k/Iz e Iz = 13 m(l2 + w2 ) il momento d’inerzia
rispetto all’asse z della barra.
Sulla base di questa relazione si può capire come i moti di
pendolamento, eccitati ad esempio dal rumore sismico e descritti dai gradi di libertà ↵1 e 1 possano fungere da forzante
F del moto torsionale tramite i termini di accoppiamento. In
modo analogo si può far vedere che ↵1 e 1 dipendono dai
gradi ↵0 e 0 e dall’eventuale moto di traslazione del punto
di sospensione O. Questi termini di accoppiamento determinano il limite di sensibilità della bilancia di torsione , dovuta
al moto sismico del punto d’attacco del sistema O.
Capitolo 3
Il principio di
equivalenza.
Il principio di equivalenza è alla base sia della teoria della
gravitazione Newtoniana che di quella di Einstein. Esso può
essere enunciato nel modo seguente:
la proprietà di un corpo che regola la sua risposta all’applicazione di una forza (mi = massa d’inerzia) coincide con
la proprietà del corpo che regola la risposta all’interazione
gravitazionale (mg = massa gravitazionale)
mi = mg
(3.1)
In modo più sintetico si può a↵ermare che tutti i corpi, indipendentemente dalla loro natura e struttura interna cadono
in campo gravitazionale con la stessa accelerazione.
Questa formulazione del Principio d’Equivalenza è oggi nota
presso la comunità scientifica come Weak Equivalence Principle (WEP).
Einstein notò allora che un osservatore, in un ascensore
in caduta libera in un campo gravitazionale uniforme, non
dovrebbe essere in grado di rilevare l’esistenza della gravitazione anche alla luce dello studio di tutti gli altri fenomeni
fisici dipendenti da interazioni fondamentali diverse dalla gravitazione (ad esempio da quelle elettromagnetiche). Questa
formulazione estensiva del principio viene indicata in letteratura come Einstein Equivalence Principle (EEP). Esso è alla
base di tutte le teorie metriche della gravità, ovvero quelle
teorie costruite sull’assunzioni che
- i fenomeni fisici sono descrivibili in termini di eventi di
uno spazio-tempo quadri-dimensionale di↵erenziabile,
37
38
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
- l’equazioni generali della Gravitazione sono esprimibili
in una forma indipendente dalle particolari coordinate
scelte, detta covariante,
- la teoria deve essere relativistica. In altre parole nel limite d’assenza di campo gravitazionale, trascurando comunque eventuali contributi di auto-energia gravitazionale valutabile in approssimazione Newtoniana, le leggi
della fisica devono ricondursi a quelle della Relatività
ristretta.
Quest’ultima considerazione implica che l’intervallo spaziotemporale elementare ds2 , in assenza di gravità, può essere
scritto in termini di un tensore simmetrico
⌘µ⌫
0
1
B0
=B
@0
0
0
1
0
0
0
0
1
0
ds2 = ⌘µ⌫ dxµ dx⌫
1
0
0 C
C
0 A
1
(3.2)
(3.3)
Ne segue anche che gli intervalli di tempo misurati da un
orologio in moto in assenza di gravità dipendono solo dalla
velocità e non dall’accelerazione.
Il rallentamento degli orologi in moto è un fenomeno ben dimostrato sperimentalmente. Uno degli esperimenti dedicato
a ciò, è stato realizzato nel 1977 al Centro Europeo di Ricerche Nucleari (CERN) [?]. In questo caso le particelle subatomiche svolgevano la funzione di orologi naturali, sfruttando il
fatto che la loro vita media ⌧¯ è una caratteristica intrinseca
della natura della particella stessa. Furono misurate le vite
medie di muoni positivi e negativi; il muone è una particella
instabile che in media dopo 2.2 · 10 6 s si disintegra spontaneamente in un elettrone e in due diversi neutrini. Muoni
aventi una velocità
p v = 0.9994 c, corrispondente a un fattore
di Lorentz = ( 1 (v 2 /c2 )) 1 = 30, furono fatti circolare
in un anello di 14 m di diametro con un’accelerazione centripeta 1018 volte l’accelerazione di gravità g. Si trovò un
accordo eccellente con la seguente formula:
⌧¯ = ⌧¯o
(3.4)
dove ⌧¯ è la vita media dei muoni osservata nelle condizioni
dette, ⌧¯o la vita media dei muoni a riposo.
39
L’informazione che possiamo ottenere da questo esperimento,
riguarda la trasformazione del tempo data dalla formula precedente: l’intervallo temporale fra due eventi to che avvengono in una stessa posizione di un sistema in moto (evento
iniezione ed evento disintegrazione del muone, nell’esempio
discusso) nel laboratorio viene osservato dilatato per il fattore se confrontato con l’intervallo temporale corrispondente
misurato dall’osservatore del sistema in moto:
to =
t
(3.5)
Oltre a questo importante esperimento esistono centinaia
e centinaia di misure fatte su fasci di particelle instabili (muoni, pioni, iperoni, ...), che hanno dimostrato che la vita media,
fino all’istante della disintegrazione spontanea, dipende dalla
velocità proprio come previsto dalla formula ??.
L’evidenza sperimentale stabilisce anche che l’accelerazione non gioca alcun ruolo nel modificare il ritmo degli orologi.
Infatti, a parità di velocità, è rallentata allo stesso modo la vita media dei fasci rettilinei di muoni (privi di accelerazione) e
quella dei muoni nell’anello di accumulazione che possiedono
un’accelerazione enorme.
Un altro esperimento sul rallentamento degli orologi in
moto, è stato realizzato nel 1972 da Hafele e Keating [?]
usando alcuni sensibilissimi orologi atomici al cesio. Questi
erano inizialmente sincronizzati in modo accurato, poi caricati su aerei di linea ordinari e gli veniva fatto compiere un
giro completo del pianeta. Un aero volava verso est, l’altro
verso ovest. Dopo ciascun volo gli orologi erano confrontati
con orologi simili che erano rimasti a terra. Si osservò che,
rispetto a questi ultimi orologi, il viaggio verso ovest aveva
generato un ritardo di 59 ± 10 ns, mentre quello verso est
aveva generato un anticipo di 273 ± 7 ns. Tale risultato è
in accordo con quanto atteso dalla teoria. Infatti la variazione più significativa si aveva nel caso di orologi che avevano
viaggiato verso est. Per essi la velocità dell’aereo si sommava alla velocità di rotazione della Terra, avendo riferito lo
studio del moto degli orologi ad un sistema con l’origine nel
centro della Terra e assi orientati in direzioni fisse del cielo.
In realtà, in questo esperimento occorre anche tener conto di
un e↵etto dovuto al campo gravitazionale terrestre che varia
con l’altitudine dell’aereo, alterando il ritmo degli orologi che
40
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
viaggiano rispetto a quelli rimasti al suolo. Di questo e↵etto
parleremo più a lungo nel capitolo ??.
La formulazione EEP ingloba quella WEP. Infatti quest’ultima stabilisce che se un corpo neutro, piccolo abbastanza da non risentire di e↵etti di inomogeoneità dello spazio,
è inizialmente in un punto dello spazio-tempo (evento) con
definita velocità, allora la sua linea orario descritta successivamente è indipendente dalla natura interna del corpo.
La formulazione di EEP implica in aggiunta che il risultato
di un qualunque esperimento locale e non-gravitazionale
è indipendente dal luogo e dal tempo in cui è eseguito.
3.1
Test del Principio d’ Equivalenza di
Einstein.
L’esperimento di Eötvos del 1909 è considerato un test basilare del principio d’equivalenza.
L’obiettivo dell’esperimento è quello di comparare l’accelerazione di due corpi di natura di↵erente posti in un stesso campo gravitazionale. Si tratta di un tipico esperimento di zero,
poiché, se WEP è valido, allora tale di↵erenza d’accelerazione deve risultare nulla. Ipotizziamo allora che il principio sia
violato e quindi che
mi 6= mg
(3.6)
Alla massa inerziale di un corpo contribuiranno varie forme d’energia, il cui contributo dipende dalla natura del corpo stesso: energia elettromagnetica, energia associata alle
interazioni deboli e forti,......
A ciascun contributo energetico può essere associata una violazione di EEP di diversa entità. Tenendo conto di questa
osservazione, scriveremo quindi:
mi = mg +
X
⌘ k Ek /c2
(3.7)
k
dove l’indice k identifica la natura del contributo energetico,
Ek rappresenta l’energia interna del corpo di natura k-esima
e ⌘ k un parametro adimensionale che misura l’entità della
violazione. Consideriamo allora due corpi che cadono con
3.1.
TEST DEL PRINCIPIO D’ EQUIVALENZA DI EINSTEIN.41
Figura 3.1: Lorand Baron von Eötvos.
accelerazioni diverse:
a1 = (1+
X
k
⌘ k Ek (1) /mi (1) c2 )g
a2 = (1+
X
⌘ k Ek (2) /mi (2) c2 )g
k
(3.8)
Il parametro sperimentale che si intende misurare è:
⌘=
2|a1 a2 | X k
=
⌘ (Ek (1) /mi (1) c2 Ek (2) /mi (2) c2 ) (3.9)
|a1 + a2 |
k
⌘ è noto come il coefficiente di Eötvos, in onore del barone ungherese Lorand Baron von Eötvos, che ha utilizzato la
bilancia di torsione per testare il principio di equivalenza. Come abbiamo accennato nel capitolo precedente, ancora oggi
questo tipo strumento, rivisitato in chiave moderna, consente
di ottenere a terra il maggior grado di precisione nella verifica
di tale principio.
L’asta, agli estremi della quale sono attaccate due masse,
è sospesa tramite un filo di quarzo. L’angolo, per il quale si
raggiunge l’equilibrio tra il momento torcente da misurare e
la reazione del filo sottoposto a torsione, permette di risalire
al valore del momento da misurare. È interessante notare che
nell’apparato di Eötvos una valore del parametro ⌘ di violazione di WEP dell’ordine di 10 8 avrebbe determinato una
rotazione dei bracci del pendolo dell’ordine di 10 11 radianti.
Lo stesso tipo d’esperimento fu condotto nel 1964 a Princeton (USA) [?] e poi da Braginsky e Panov [?] nel 1971 a
42
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Mosca (Russia). In ambedue i casi si sfruttava l’accelerazione dovuta all’attrazione gravitazionale solare che modulava
il segnale di torsione con un periodo di 24 ore. Sebbene la
componente orizzontale dell’accelerazione solare sia più debole di quella terrestre, 0.59 cms 2 contro 1.67 cms 2 , il
vantaggio di evitare la rotazione dell’apparato unito ad altri
accorgimenti sperimentali possibili con la tecnologia degli anni 60’, ha consentito questo salto significativo di tre ordini di
grandezza.
In linea di principio la verifica di WEP si compie collocando due masse di natura diversa all‘estremità della barra
trasversale.
L’esperimento è condotto in un laboratorio solidale con la
Terra, quindi la forza agente sulle masse è la somma vettoriale della forza centripeta dovuta alla rotazione della Terra
e la forza gravitazionale diretta verso il suo centro. La forza
centripeta ha una componente parallela al piano tangente della superficie terrestre. Introducendo un sistema di rifermento
in coordinate sferiche con origine nel centro della Terra e asse
che passa per i poli della Terra, questa componente della forza centrifuga dipenderà dalla localizzazione del laboratorio
sulla superficie terrestre. Indicando con theta l’angolo azimutale che il vettore, che dal centro della terra individua il
laboratorio, e l’asse che passa per i poli, avremo che
mi ax = mi ! 2 Rsin✓cos✓
dove R è il raggio terrestre.
Avremo poi per la componente della forza centrifuga diretta
secondo la direzione della forza gravitazionale
mi az = mi ! 2 Rsin2 ✓
Queste due componenti potrebbero contribuire a far ruotare il
pendolo attorno a due assi diversi, quella orizzontale attorno
all’asse verticale e viceversa (si veda figura ??).
Detti rA e rB i due bracci del pendolo, le componenti dei
momenti delle forze risultanti sono
itper la componente verticale
M z = mi A a x rA
mi B ax rB
(3.10)
itper la componente orizzontale
Mx = (mA
gg
mi A az )rA
(mB
g g
mi B az )rB
(3.11)
3.1.
TEST DEL PRINCIPIO D’ EQUIVALENZA DI EINSTEIN.43
Figura 3.2: Il pendolo di torsione.
44
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Figura 3.3: L’apparato sperimentale utilizzato da Eötvos.
3.1.
TEST DEL PRINCIPIO D’ EQUIVALENZA DI EINSTEIN.45
Scegliendo opportunamente rB possiamo imporre che il sistema non ruoti attorno all’asse x. In altre parole, scegliamo rB
in modo che Mx = 0:
rB =
(mA
gg
B
(mg g
mi A az )
rA
mi B a z )
(3.12)
In questa condizione la componente residua del momento
Mz è:
B
A
mB
mA
g /mi
g /mi
Mz = mi A ax rA
(3.13)
B
mB
ax /g
g /mi
Per Mz = 0 il sistema non si discosta dalla condizione
d’equilibrio,ovvero
B
mB
g = mi
A
mA
g = mi
Si noti dalla formula precedente ?? che ruotando il sistema di ⇡, se e soltanto se WEP è violato, il momento torcente
non nullo cambia di segno e l’apparato cambia la posizione
equilibrio.
Nel 1909 Lorand Baron von Eötvos, avendo messo a punto
un apparato capace di rivelare rotazioni di 10 11 rad (vedi
figura ??), ottenne un valore del parametro di violazione di
WEP ⌘ dell’ordine di 10 8 .
Nel 1964 a Princeton (USA) [?], utilizzando un pendolo di
torsione modificato, migliorarono considerevolmente il limite
di Eötvos.
Essi osservarono che il centro di massa del sistema è sottoposto anche all’accelerazione dovuta al Sole (0.59 m/s2 ) che
è più piccola di quella della Terra (1.67 cm/s2 ). Consideriamo allora per semplicità il sistema costituito dalle due masse
A e B di di↵erente natura. Il momento risultante dovuto
all’accelerazione del Sole gS è
MS = (mA
g gS
B
mA
i a)rA + (mg gS
ovvero
MS =
mA
g
A
mi r A ( A
mi
mB
i a)
mA
i rA
mB
i
mB
g
)gS
mB
i
che è nullo quando il rapporto tra massa inerziale e massa
gravitazionale è indipendente dalla natura dei corpi.
46
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Figura 3.4: A destra è mostrata una foto di uno degli apparati
sperimentali utilizzato da Eötvos. A sinistra è disegnato lo
schema di principio.
Si noti che la direzione dell’accelerazione solare cambia
nel tempo, quindi nel caso di violazione di WEP la risposta
del sistema deve essere modulata1 con una periodicità di 24
ore. In generale la tecnica di modulazione consente di migliorare notevolmente il rapporto segnale rumore e evita di dover
ruotare l’intero apparato di ⇡ rad.
L’apparato sperimentale di Dicke e Krotov è illustrato
in ??. Le masse in questione sono tre: due di alluminio e
una di oro. La scelta dei materiali è dettata dalla condizione di selezionare sostanze di composizione sensibilmente
di↵erente, facendo riferimento ai rapporto numero di neutroni su numero di Protoni, Nn /Np , energia dell’elettrone
nel livello K sulla massa a riposo dell’elettrone Ee (K) /me
ed all’energia elettrostatica dei nuclei sulla massa atomica
EN u (elettr.) /MA . Riportiamo qui la tabella ?? per illustrare
le di↵erenze microscopiche tra i due materiali selezionati.
Come si vede dalla figura dell’apparato sperimentale ??, la
massa d’oro è inserita tra le armature di un condensatore. In
e↵etti questo consente di far funzionare l’apparato in condizioni di anello di contro-reazione chiuso. Il segnale luminoso
è riflesso dallo specchietto e rivelato dal foto-moltiplicatore.
1
Si veda il capitolo Le tecniche di modulazione.
3.1.
TEST DEL PRINCIPIO D’ EQUIVALENZA DI EINSTEIN.47
Tabella 3.1: Massimizzazione del
Alluminio
Nn / N p
1.08
Ee (K) / me
0.03
(elettr.)
EN u
/ MA
0.03
segnale
Oro
1.5
0.16
0.16
Figura 3.5: Il pendolo di torsione dell’esperimento di Dicke.
Tra specchio e foto-moltiplicatore è posta una fenditura, cosı̀
che, quando il fascio luminoso si muove, cambia l’intensità
della luce raccolta. Tuttavia questo sistema ha una dinamica
limitata: essa dipende dalle dimensioni trasversali del fascio
e dalla larghezza della fenditura. Per aumentare la dinamica
si utilizza il segnale del foto-moltiplicatore per generare un
segnale d’errore che pilota la tensione ai capi della capacità in
cui si trova inserita la massa d’oro. Si è in grado cosı̀ di esercitare una forza che tiene ferma la massa. 2 La rivelazione è
quindi demandata alle misure di ampiezza e fase del segnale
d’errore stesso. Riportiamo in figura ?? lo schema generale di rivelazione pubblicato nell’articolo originale di Dicke e
Krotov.
2
Ciò è vero solo per quelle componenti di Fourier che cadono
all’interno della banda di frequenza caratteristica del controllo.
48
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Figura 3.6: Schema del sistema di attuazione e rivelazione
dell’esperimento di Dicke e Krotov.
Dicke e Krotov hanno cosı̀ potuto ottenere un limite per
⌘ pari a 0.96 · 10 11 [?].
Nel 1972 all’univesità Lomonosov di Mosca, Braginsky e
Panov [?] misero a punto un apparato simile con una fibra più
lunga e una configurazione di masse sospese più complessa.
Si intendeva cosı̀ aumentare la sensibilità (fibra più lunga) e
ridurre gli accoppiamenti gravitazionali spuri con l’ambiente
circostante. Quest’ultima condizione può esser realizzata rendendo il sistema più simmetrico, ovvero riducendo i momenti
di massa di quadrupolo, sestupolo ed ottupolo del sistema.
In pratica occorre aggiungere opportunamente delle masse di
compensazione. Nel lavoro pubblicato da Braginsky e Panov
non vi sono molti dettagli in merito alla configurazione sperimentale e alla riduzione degli errori sistematici. Questo ha
suscitato a lungo negli ambienti scientifici occidentali, oltre la
cortina di ferro del mondo sovietico, una notevole diffidenza
sulla validità dell’esperimento. Essi comunque concludono il
loro articolo a↵ermando di aver ottenuto un valore limite per
⌘ dell’ordine di 1 · 10 12 .
Nel 1999 con il pendolo di torsione, il gruppo gravitazionale di Adelberger dell’università dello stato di Washington
(Seattle - USA) ha ottenuto valori di ⌘ ⇠ 1.4 · 10 13 [?], [?].
Essi hanno sfruttato l’accelerazione di caduta verso il centro della Galassia ed una attenta disposizione delle masse
di compensazione (vedi figura ??). Questo tipo di apparato
3.2. LA VERIFICA DI EEP A LIVELLO ATOMICO
49
Figura 3.7: La configurazione sperimentale utilizzata nell’esperimento del pendolo di torsione del gruppo dell’università
dello stato di Washington.
sembra essere limitato dal rumore termico del filo di sospensione e pertanto è in corso uno sforzo per mettere a punto un
pendolo torsionale operante a basse temperature.
3.2
La verifica di EEP a livello atomico
Nel Novembre del 2004 alcuni fisici tedeschi hanno usato un
interferometro atomico per testare il principio di equivalenza
a livello di atomico con una accuratezza mai raggiunta sinora. Sebastian Fray ed i suoi collaboratori del Max Planck
Institute for Quantum Optics a Garching e delle università
di Tubinga e di Monaco di Baviera, hanno confrontato l’accelerazione di due isotopi di rubidio nel campo gravitazionale terrestre [?]. In accordo con il principio stesso gli atomi
risultano accelerati allo stesso modo.
Questo tipo di esperimenti si inquadra nello sforzo di verificare sino a che punto la teoria della gravità sia compatibile
con le leggi della fisica del modo microscopico. Secondo alcuni studi teorici, quando gli esperimenti gravitazionali sono
50
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
eseguita con oggetti quantistici come gli atomi, si potrebbe
osservare una violazione del principio di equivalenza facendo
cosı̀ emergere un nuovo tipo di Fisica.
Il gruppo tedesco ha basato il suo esperimento sull’utilizzo
di un interferometro atomico, una tecnica già utilizzata per
misurare la gravità terrestre con una precisione di 10 9 .
In linea di principio l’interferometria atomica è simile a quella ottica, ma è osservata utilizzando onde di materia, ovvero
fasci di atomi piuttosto che fasci di luce; la funzione del separatore di fascio (beam splitter) è svolta da onde elettromagnetiche stazionarie che sono utilizzate sia per dividere che
per ricombinare i fasci atomici.
Si procede catturando in una trappola magneto-ottica ⇠ 2 ·
109 atomi degli isotopi di rubidio Rb85 o Rb87 . Utilizzando
dei fasci laser si accelerano gli atomi verso l’alto. Quando
i raggi laser sono spenti, gli atomi cadono sotto l’influenza
della gravità.
L’interferometro ha permesso di misurare le accelerazioni di
entrambi i tipi di atomi. g85 e g87 , ottenendo un risultato in
accordo con il principio di equivalenza:
g85
g87
g85
= 1.2 · 10
7
± 1.7 · 10
7
Fray e collaboratori [?] hanno anche confrontato l’accelerazione relativa di atomi di Rb85 in due diversi stati quantici e
queste sono risultate coincidenti entro le barre di errore.
3.3
Gli esperimenti in condizioni di microgravità
Worden e Everitt proposero nel 1971 un esperimento molto
ambizioso sulla verifica del principi di equivalenza. Si tratta
di porre due masse di diversa composizione all’interno di un
satellite in orbita intorno alla Terra per ottenere una condizione di caduta libera su un lungo arco di tempo. L’apparato deve essere concepito con un sistema di monitor della
posizione delle masse ad alta sensibilità: ciò si ottiene raffreddando le masse di test a 1.8 K, per rilevare tramite delle
bobine magnetiche gli spostamenti residui si utilizzano degli
SQUID3 .
3
Il Superconducting Quantum Interference Devices (SQUID) è un
dispositivo superconduttore a interferenza quantistica, costituito da un
3.3.
GLI ESPERIMENTI IN CONDIZIONI DI MICROGRAVITÀ51
Il progetto, denominato STEP (Satellite Test of the Equivalence Principle) [?], è stato portato avanti per molti anni
sotto l’egida sia della NASA che dell’ESA: l’obiettivo è misurare l’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale
al livello di 1 · 10 17 1 · 10 18 . In esso si paragonerebbero
le accelerazioni di quattro coppie di masse di test in orbita.
Le masse di test in caduta libera devono esser poste in ultraalto vuoto, isolate dai disturbi esterni e poste in un criostato
equipaggiato di schermi magnetici superconduttori. Le loro
accelerazioni sono misurate da un circuito superconduttore
in grado di rivelare variazioni di flusso magnetico
associato al moto di↵erenziale delle masse di test. L’idea è di
misurare
con uno SQUID di sensibilità 10 22 W b su 1
Hz di banda. La scelta dei materiali delle masse di test da
porre in orbita è stata limitata al niobio, al platino-iridio,
e al berillio. Il motivo primario è di poter lavorare questi
materiali con una elevata precisione meccanica. Inoltre devono rispondere al requisito di possedere proprietà quali il
rapporto di protone/neutrone, l’energia di legatura nucleare,
sensibilmente diverse tra loro, tali da contribuire a una violazione di principio di equivalenza. Le masse sono disposte
in modo che le componenti di platino-iridio siano al centro e
le masse di berillio siano fuori. Questo evita che si verifichi
la condizione di una di↵erenza di massa cosı̀ grande da non
poter essere compensata tramite i sistemi di attuazione presenti nell’apparato. Le masse di prova di diverso materiale e
le apparecchiature per la misurazione della posizione si troverebbero all’interno del satellite (vedi figura ??), il cui assetto
è controllato tramite dei micro propulsori. Questi hanno la
funzione di annullare le accelerazioni causate dall’atmosfera
residua, la pressione di radiazione e il vento solare e che potrebbe influenzare il moto delle masse. Questa configurazione
di lavoro del satellite è detta libera da e↵etti di trascinamento
(drag free).
Questa tecnica riduce il rumore d’accelerazione a bassa
frequenza generato dalle interazioni non gravitazionali. I disturbi associati ai gradienti di gravità sono eliminati grazie al
preciso posizionamento dei centri di massa, che vengono fatti
anello superconduttore contenente una o più giunzioni Josephson. Si
tratta di un misuratore del flusso magnetico concatenato con l’anello.
La sua sensibilità è espressa in frazioni del quanto di flusso magnetico
15
W b per unità di banda passante.
o = 2.068 · 10
52
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Figura 3.8: Schema di principio del satellite STEP.
3.3.
GLI ESPERIMENTI IN CONDIZIONI DI MICROGRAVITÀ53
Figura 3.9: Le masse di test dell’esperimento STEP.
coincidere l’un l’altro. L’immagine ?? mostra una coppia di
masse nella configurazione di lavoro.
L’orbita scelta è approssimativamente circolare e sincrona con
il moto solare onde minimizzare le variazioni di temperatura,
con una altitudine ottimale prossima a 550 km. La durata
della missione è prevista di sei mesi. Tuttavia, a tutt’oggi, la
missione congiunta ESA-NASA è lungi dall’essere approvata.
L’esperimento MicroScope [?], in buona parte francese
(missione CNES-DLR-ESA), è meno ambizioso, ⌘ ⇠ 1·10 15 ,
ma molto più vicino ad ottenere dei risultati. Il lancio è avvenuto il 26 Aprile 2016 e sta per passare nella fase di presa
dati. Il satellite orbita ad una altezza di 710 km d’altezza e
la missione ha una durata prevista di due anni. Il payload satellitare è composta da due quasi identici micro-accelerometri
di↵erenziali costituiti da due masse di prova cilindriche concentriche. Le masse del primo sono dello stesso materiale e
sono dedicata a valutare l’accuratezza della sperimentazione
del principio d’equivalenza. Per il secondo accelerometro invece i materiali delle due masse sono diversi. L’assetto e la
resistenza termica del satellite sono controllati in modo attivo
cosı̀ che il satellite segue le due masse di prova nel loro moto
gravitazionale free-drag usando dei propulsori a FEEP (propulsori elettrici a e↵etto di campo). Il test di questo sistema
di micro-propulsione è l’obiettivo tecnologica secondario della missione stessa. Attualmente il satellite è ancora in fase di
test, ma gli accelerometri di↵erenziali, costruiti dall’ ONERA, hanno già dimostrato di poter osservare gli e↵etti del
gradiente di gravità dovuto alla di↵erenza tra la forza di at-
54
CAPITOLO 3. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
trazione esercitata dalla Terra sulla massa interna e su quella
esterna utilizzati per testare il principio di equivalenza.
Infine citiamo la proposta del satellite italiano Galileo Galilei (GG) [?], ancora lontana dall’essere pienamente accettata. (GG) è una proposta di un piccolo satellite in orbita bassa
dedicato alla verifica del principio di equivalenza. La fase di
studio su GG, diretta da A. Nobili dell’università di Pisa,
tende a dimostrare come sia possibile testare il principio di
equivalenza a ⌘ ⇠ 1 · 10 17 utilizzando un apparato a temperatura ambiente. La novità principale di GG rispetto a STEP
e MicroScope è quella di modulare l’eventuale segnale di↵erenziale di violazione del WEP a una frequenza relativamente
alta (⇠ 2 Hz), imponendo una rotazione del veicolo spaziale.
Rispetto ad altri esperimenti, la frequenza di modulazione è
aumentata di più di un fattore 104 , riducendo cosı̀ sia il rumore a bassa frequenza che ha un tipico andamento 1/f , sia
altri contributi di rumore associati al sistema elettronico e
meccanico.
Capitolo 4
Principi delle teorie
metriche.
4.1
Introduzione
Nel precedente capitolo abbiamo discusso il principio di equivalenza sottolineando come esso sia alla base della teoria di
Newton e di quella di Einstein. Abbiamo anche sottolineato
come il principio di equivalenza, enunciato nella forma debole
(WEP)
la traiettoria di una massa di test posta in un dato evento
dello spazio-tempo con velocità iniziale fissata é indipendente
dalla sua composizione,
non sia il solo postulato della teoria di Einstein. Essa infatti
è fondata sull’enunciato più esteso (EEP) per il quale
a) WEP é valido;
b) i risultati di esperimenti non-gravitazionali devono essere indipendenti dalla scelta del sistema di riferimento
locale, LLI (Local Lorentz Invariance);
c) i risultati di esperimenti non-gravitazionali devono essere indipendenti dalla scelta del punto dello spaziotempo degli eventi considerato LPI (Local Position Invariance).
A titolo di esempio possiamo citare come conseguenza di EEP
che la misura della costante di struttura fine ↵ = 1/137 deve
risultare indipendente dal riferimento (LLI), dalla posizione
e dal momento in cui si e↵ettua la misura (LPI).
55
56CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
Cogliamo questa occasione per enunciare un’ulteriore estensione di tale principio detto di equivalenza forte (SEP). La
sua forma è identica alla precedente salvo il fatto di sostituire negli enunciati relativi a LLI e LPI all’espressione nongravitazionali quella di gravitazionali e non-gravitazionali. In
altre parole il principio si estende a tutti quegli esperimenti
coinvolgenti oggetti auto-gravitanti o che esercitato un’interazione gravitazionale su se stessi (stelle, pianeti, buchi neri....)
o agli esperimenti con bilance di torsione.
Il principio di equivalenza di Einstein implica che la teoria
della gravitazione deve essere una teoria metrica, ovvero una
teoria nella quale si assume che
1) lo spazio-tempo é dotato di una metrica descritta dal
tensore gµ⌫ ,
2) in generale le traiettorie di caduta libera delle masse di
test sono le linee geodetiche di questa metrica,
3) nei sistemi di riferimento locali di Lorentz le geodetiche
sono rette e le leggi della fisica non gravitazionale sono
quelle della Relatività Speciale.
Infatti i fenomeni sono descritti in termini di eventi dello
spazio-tempo, la cui struttura è caratterizzata da linee costituenti una famiglia di traiettorie privilegiate dello spazio
degli eventi, quelle linee descritte dai corpi in caduta libera
locale, a cui si associa localmente un sistema di riferimento in
cui siano valide le leggi della relatività ristretta (riferimenti di Lorentz). La validità di LLI implica che, in ogni dato
punto dello spazio-tempo le leggi della Fisica devono essere le
stesse qualunque sia il sistema di riferimento locale rispetto
a cui si descrive la traiettoria di caduta libera.
Si noti che la scelta locale del riferimento di Lorentz non è
univoca: possiamo avere riferimenti associati allo stesso punto dello spazio degli eventi, ma in moto relativo uno rispetto
all’altro.
La natura metrica e tensoriale del campo discende in particolare dalla condizione limite che, in assenza di gravità, le leggi
della Fisica siano quelle formulate in Relatività Ristretta, ovvero rappresentate in un spazio-tempo le cui proprietà sono
descritte tramite il tensore ⌘µ⌫
4.1. INTRODUZIONE
57
0
B
B
@
||⌘|| = B
1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
1
1
C
C
C
A
Esisterà quindi uno o un insieme di campi tensoriali ciascuno
dei quali dovrà ricondursi nel generico punto P dello spaziotempo, ad un tensore che è proporzionale alla metrica pseudoeuclidea ( (i) = (i) (P )||⌘||). In linea di principio questi
campi potrebbero accoppiarsi in modo di↵erente con campi
di altra natura.
Tuttavia la verifica congiunta di WEP e LLI ci impone che
l’insieme dei possibili campi tensoriali si riduce localmente,
nei sistemi in caduta libera, ai campi per i quali (i) =
(i) (P )||⌘||, con
(i) (P ) che in linea di principio potrebbe
però variare da punto a punto e da campo a campo.
Essendo valida anche LPI, bisogna però che un esperimento
che coinvolga dati campi, fornisca gli stessi risultati in tutti
i punti dello spazio-tempo. Formalmente questo corrisponde a avere (i) (P ) = C (i) , dove C è una costante associata
a ciascuna delle possibili scelte dei campi (i) . In alternativa, potrebbe accadere che esista un unico campo universale
(P ) in cui tutti i campi si trasformino (i) (P ) = (P )C (i) .
Nel primo caso è possibile riscalare tutte le costanti di accoppiamento in modo da avere ciascuna C(i) = 1. Anche nel
secondo caso è possibile riscalare le costanti di accoppiamento
1 (P ) .
e definire una trasformazione per cui 0 =
Se tutti i campi assumono localmente la stessa forma, allora
essi sono riducibili ad un unico campo tensoriale simmetrico
del secondo ordine gµ⌫ .
In conclusione gµ⌫ descrive uno spazio-tempo in cui esiste una
famiglia di curve (traiettorie) privilegiate, le geodetiche: esse
sono definite come le curve che minimizzano il cammino tra
due punti dello spazio-tempo.
Dal WEP, si può d’altra parte a↵ermare che in un sistema di
riferimento in caduta libera l’e↵etto della gravità si cancella e
che le particelle libere si muovono di moto rettilineo uniforme.
Questi sistemi di riferimento in caduta libera sono i sistemi
di riferimento localmente lorentziani, Local Lorentz frame, in
cui i corpi liberi seguono linee rette come geodetiche .
In ogni punto P dello spazio-tempo esistono sistemi di riferimento locali in cui lo spazio-tempo è piatto e le relative
58CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
geodetiche sono delle linee rette. Quindi i campi tensoriali si riducono ad ||⌘|| in ciascun sistema in caduta libera
dovunque nello spazio-tempo, dove le leggi della fisica non
gravitazionale sono quelle della Relatività Speciale.
4.2
Esperimenti per la verifica di LLI e
LPI
Abbiamo discusso brevemente nel paragrafo precedente le ragioni per le quali LLI e LPI sono alla base delle teorie metriche della gravitazione. Si tratta ora di illustrare su quali basi
sperimentali poggiano tali principi di invarianza.
Nel capitolo precedente abbiamo ricordato che la fisica delle
particelle elementari ha provveduto a fornire innumerevoli
verifiche sperimentali delle leggi di trasformazione di Lorentz
per gli intervalli temporali, dimostrando che essi dipendono
dalla velocità e non dall’accelerazione dei corpi.
Inoltre l’invarianza locale di Lorentz è stata verificata sperimentalmente negli ambiti più disparati della fisica. Citiamo
in primis l’esperimento di Alain Brillet e John Hall [?]. Si
tratta di una verifica 4000 volte migliore del vecchio esperimento di Michelson e Morley, che verificava come la velocità
della luce non fosse localmente anisotropa.
L’esperimento di Brillet e Hall è basato sulla misura della
frequenza di battimento fra un laser mono-modale posto su
una tavola in rotazione ed un laser mono-modale fissato a
terra: il limite ottenuto sull’anisotropia di tutto lo spazio è
di 3 · 10 15 . In realtà va sottolineato che per determinare
la frequenza del laser in rotazione, Hall e Brillet usano un
interferometro Fabry-Perot o più propriamente un etalon: si
tratta quindi di un esperimento in cui la luce viaggia avanti
e indietro. Il limite ottenuto in questo esperimento sull’anisotropia di andata e ritorno è di 1 · 10 6 m/s, un valore
da confrontare con ⇠ 30 m/s ottenibile in un esperimento
standard.
Nel 1960 Hughes [?] ed indipendentemente Drever [?] posero un limite superiore dell’ordine di 10 20 . Si tratta di un
esperimento estremamente accurato che sfrutta l’e↵etto di risonanza magnetica nucleare del nucleo di 7 Litio nel suo stato
fondamentale caratterizzato da uno spin nucleare I = 3/2.
Cocconi e Salpeter [?] avevano dimostrato che una particella di massa m in campo coulombiano, in presenza di una
4.3. L’ESPERIENZA DI POUND E REBKA
59
dipendenza della massa dall’anisotropia dello spazio a cui associamo una variazione m, la sua energia di legame cambia
di un fattore E
E=
m ¯
T̄ P2 (cos✓)
m
(4.1)
dove T̄ è l’energia cinetica media della particella, P2 il polinomio di Legendre di ordine 2 e ✓ ıl’angolo tra la direzione
dell’accelerazione della particella e la direzione del centro galattico. La stessa formula ha validità anche nel caso nucleare,
nell’ipotesi che il nucleo sia modellato come una particella singola in un potenziale quadratico a simmetria sferica. In un
campo magnetico esterno lo stato energetico fondamentale
della particella si divide in quattro livelli tutti equi spaziati. Si osserva quindi una sola linea di transizione nucleare.
Inoltre la direzione di accelerazione della particella dipende
dalla direzione del campo magnetico esterno. Ne segue che,
in presenza di anisotropia dello spazio, questa degenerazione
dovrebbe essere rimossa e, avendo una sufficiente risoluzione,
si dovrebbe osservare un tripletto la cui separazione cambia
in funzione del tempo siderale Ts , essendo ✓ = ✓(Ts ) .
Il limite 10 20 fu ottenuto da Hughes e Drever, monitorando l’allargamento della linea spettrale della transizione tra i
livelli iperfini in funzione della rotazione dell’asse del campo
magnetico rispetto al sistema di riferimento galattico solidale
con la Terra.
Si noti che comunque questi esperimenti non danno indicazione sulla natura del tensore metrico gµ⌫ dello spaziotempo degli eventi e comunque non garantiscono l’esistenza
di un sistema di riferimento globale di Lorentz in cui il tensore
metrico sia gµ⌫ = ⌘µ⌫ .
4.3
L’esperienza di Pound e Rebka
L’esperimento della bilancia di torsione è una prova sperimentale del principio d’equivalenza: esso implica che i corpi seguano linee dello spazio degli eventi identificabili come
geodetiche del tensore metrico gµ⌫ . Affinchè queste linee descritte dal corpo siano definite come geodetiche, occorre che il
moto del corpo non risulti accelerato rispetto al punto origine
di un sistema di riferimento locale di Lorentz. Noi abbiamo
imparato dalla Relatività Ristretta che scegliere un sistema
60CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
di riferimento di Lorentz significa associare alla coordinate
spaziali anche un orologio di riferimento, quindi questa misura di moto relativo implica inesorabilmente di conoscere se
e come lo scorrere del tempo cambi da punto all’altro dello
spazio in presenza di un campo gravitazionale. L’esperimento
di Pound e Rebka (PR) ci illumina su questo punto. L’idea
è quella di confrontare il comportamento di due orologi di
riferimento posti in posizioni diverse in un campo gravitazionale uniforme, sfruttando l’e↵etto Mössbauer1 . In questo
caso gli orologi atomici sono costituiti dai livelli energetici dei
nuclei di 57 F e relativi allo stato eccitato di isospin I = 5/2.
Il nucleo viene portato in questo stato a partire dall’isotopo sorgente 57 Co che per cattura elettronica si trasforma in
57 F e. Questo nucleide può decadere in due modi (si veda il riquadro in basso della figura ?? relativa all’esperimento PR) il
principale dei quali fornisce una radiazione con una energia
pari a 14.4 keV. Il nucleo emittente dell’ atomo immerso nella
matrice del materiale cristallino, non ha pressocchè rinculo.
Tuttavia, in un sistema atomico complesso i vari nuclei dell’assorbitore, a causa delle interazioni iperfini del nucleo con
l’ambiente circostante, avranno energie di transizione nucleare diverse da quella della sorgente (le variazioni indotte dalle
interazioni iperfini sono dell’ordine di 10 9 eV ). Per questo motivo, per confrontare l’emissione di isotopi nelle stesse
condizioni, è necessario variare l’energia dei emessi dalla
sorgente inducendo e↵etto Doppler.
Si tratta quindi di muovere la sorgente dei rispetto al campione fino a quando si ottiene l’assorbimento e questo accade
quando l’energia emessa è identica a quella richiesta. Per
questo motivo si fa oscillare la sorgente radioattiva a velocità
di pochi mm/s, registrando lo spettro a intervalli discreti di
velocità. È possibile cosı̀ confrontare la frequenza dei emessi verso il basso e quella dei verso l’alto con un’accuratezza
dell’ordine del rapporto di frazioni di mm/s con la velocità
della luce (3 · 1011 mm/s).
L’esperimento PR fu eseguito presso il Je↵erson physics laboratory dell’università di Harvard, montando i due rivelatori
Mössbauer ad un’altezza di 74 feet ' 22.56 m l’uno dall’altro.
Fu misurata una di↵erenza relativa di frequenza tra fotone
che viaggia in su e il fotone che si propaga verso il basso pari
1
Si veda il capitolo dedicato.
4.3. L’ESPERIENZA DI POUND E REBKA
Figura 4.1: L’esperimento di Pound e Rebka.
61
62CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
a
⌫
= 4.92 · 10 15
(4.2)
⌫
Questo risultato è interpretabile alla luce della teoria dei
quanti, del principio d’equivalenza debole e sulla base di considerazioni di conservazione dell’energia. La particella che
emette il fotone in alto perde una certa quantità di massa
ma c2 = h⌫a dove h è la costante di Planck. Quando
il fotone è assorbito in basso l’osservatore in caduta libera
vede il proprio apparato aumentare d’inerzia per un fattore
pari a mb c2 = h⌫b . Tuttavia l’energia totale del sistema
alto+basso che include anche l’energia potenziale del campo
gravitazionale m , deve conservarsi. Allora imponiamo che
la sua variazione sia nulla:
ma c 2 +
a
ma +
mb c2 +
b
mb = 0
(4.3)
=0
(4.4)
e quindi sostituendo
⌫a
a ⌫a /c
2
+ ⌫b +
b ⌫b /c
2
che porta infine alla relazione
⌫a
1+
=
⌫b
1+
2
a /c
2
b /c
'1+
(
a)
b
c2
=1+
gh
c2
(4.5)
Il fotone nel campo gravitazionale subisce uno spostamento in frequenza (e quindi in energia) di segno opposto quando sale (red shifted) rispetto a quando scende (blue shifted).
Quindi ci aspettiamo che i due ricevitori in alto ed in basso
misurino radiazione con una di↵erenza di frequenza dovuta allo spostamento Doppler pari a 2 (gh/c2 ) ' 4.95 · 10 15 .
L’accordo tra la teoria e l’esperimento di Pound e Rebka è
⌫spe
= +1.05 ± 0.10
⌫teo
(4.6)
L’interpretazione formalmente rigorosa di questo esperimento alla luce della Relatività Generale richiede nozioni avanzate, quali il moto iperbolico (vedi [?] dal paragrafo 6.2 al
paragrafo 6.6). Si tratta di descrivere il moto di un oggetto
che risente di un’accelerazione costante rispetto ad un sistema di riferimento inerziale co-movente con l’oggetto, ovvero
rispetto a sistemi inerziali che devono essere diversi istante
per istante. Cercheremo qui di riportare una trattazione più
4.3. L’ESPERIENZA DI POUND E REBKA
63
semplice. Nell’esperimento PR gli orologi in cima ed al fondo
della torre sono statici nel sistema di laboratorio (ts , ~xs ) e rispetto a questo sistema di coordinate non sono in caduta libera. In questo riferimento l’intervallo temporale dell’orologio
è esprimibile come
⌧=
q
gµ⌫ dxµ dx⌫
(4.7)
e se l’orologio è in moto con velocità dxµ /dt, allora l’intervallo
di tempo elementare dt è
dt
1
=q
µ dx⌫
⌧
gµ⌫ dx
dt dt
(4.8)
Poichè l’orologio è fermo nel sistema di laboratorio, allora
sopravvive solo la componente goo e si ha
dt
1
=p
⌧
goo
(4.9)
Due orologi uguali, ovvero caratterizzati dallo stesso ⌧ ,
in due posizioni diverse dove diverso è il valore di goo , implicano due diverse modalità dello scorrere del tempo
dta = p
⌧
goo (xa )
da cui deduciamo immediatamente che
⌫a
=
⌫b
s
dtb = p
⌧
goo (xb )
goo (xa )
goo (xb )
Poichè in approssimazione di campo gravitazionale debole ed
uniforme, si può far vedere che
goo (x) '
1
2 (x)/c2
noi concludiamo che nel campo gravitazionale uniforme, essendo gli orologi posti uno rispetto all’altro ad un’altezza
xa xb = h, si ha
⌫a ⌫b
gh
= 2
(4.10)
⌫b
c
ritrovando cosı̀ il risultato precedente.
Lo spostamento di frequenza dei fotoni in campo gravitazionale è stato verificato in numerosi altri esperimenti ad
64CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
esempio osservando lo spettro del deuterio nel campo gravitazionale solare (accuratezza 5 · 10 2 ). In tempi più recenti,
a seguito dello sviluppo degli standard di tempo con stabilità
di 1/1016 , il limite d’accuratezza di 10 2 è stato ampiamente superato nel Giugno del 1976 dall’esperimento di Vessot e
Levine [?]. In questo caso fu utilizzato un missile Scout per
far volare ad una altezza di 10000 km un orologio atomico all’idrogeno, comparandolo con un altro identico a Terra. Una
delle difficoltà dell’esperimento era apportare la correzione
Doppler legata alla posizione e velocità del payload spaziale.
L’accuratezza raggiunta in questo caso fu di 4 · 10 4 .
4.4
La congettura di Schi↵
Le ricadute sperimentali dei tre aspetti del principio di equivalenza di Einstein, WEP, LLI, LPI, illustrati nell’introduzione sono molto diverse tra loro. D’altra parte, qualunque
teoria di gravitazione completa deve essere caratterizzata da
uno sviluppo matematico sufficiente per predire i risultati di
esperimenti che testano ognuno degli aspetti del principio.
In realtà, poichè il numero di modi in cui una teoria della
gravitazione può essere compatibile con le leggi della relatività speciale sono limitati, non è sorprendente che possano
esistere dei collegamenti teorici tra i tre sotto-principi. Per
esempio lo stesso formalismo matematico, che produce delle
equazioni descrivendo la caduta libera di un atomo di idrogeno, deve produrre anche le equazioni che determinano i livelli
di energia di idrogeno in un campo gravitazionale, determinando quindi la periodicità caratteristica di un orologio maser
a idrogeno. Quindi una violazione di EEP insita in una teoria che manifesta una violazione di WEP, potrebbe apparire
anche come una violazione dell’invarianza di posizione locale.
Intorno al 1960, Schi↵ ha supposto che questo tipo di collegamento era una caratteristica necessaria di qualunque teoria
auto-consistente della gravità. Più esattamente, la congettura di Schi↵ dichiara che qualunque teoria completa autoconsistente di gravità che incorpora WEP, incorpora necessariamente EEP.
In altre parole, la validità di WEP garantisce la validità dell’
invarianza di Lorentz e della posizione locale, e perciò di EEP.
Inoltre, se la congettura di Schi↵ é corretta, gli esperimenti di
Eötvos potrebbero essere visti come la verifica sperimentale di
4.4.
LA CONGETTURA DI SCHIFF
65
EEP, e quindi essere il fondamento dell’ipotesi interpretativa
della gravità come un fenomeno di curvatura dello spaziotempo.
Una prova rigorosa di tale congettura sembra impossibile ed
essa è sostenuta soltanto sulla base di un certo numero di
argomentazioni robuste e plausibili.
Un esempio elegante di queste argomentazioni, dovuto a Dicke, Nordtvedt e Haugan, è basato su considerazioni energetiche. Si tratta di un semplice esperimento concettuale (gedanken experiment) in cui l’ipotesi cruciale è che l’energia di un
sistema alla fine di un ciclo di trasformazioni deve comunque
esser pari a quella dell’inizio.
Proviamo ad illustrarlo.
Per un sistema nella posizione ~x, che si muove con velocità |~v | << c, l’energia totale del sistema assume la forma
generale:
1
MR U (~x) + MR v 2 + ................
2
E c = MR c 2
(4.11)
dove MR è la massa a riposo del sistema, U il potenziale esterno e v il modulo della velocità. I puntini indicano termini di
ordine superiore a U e v 2 .
Essendo un sistema legato di n particelle elementari ciascuna di massa mo , ad esso è associata una energia di legame
EA . In presenza di violazione di EEP, l’energia di riposo
del sistema può essere scritta come la di↵erenza tra l’energia
di riposo delle n particelle isolate a cui è sottratta l’energia
di legame che in generale può dipendere dalla posizione ~x (
violazione di LPI) e dalla velocità ~v (violazione di LLI):
MR c 2 = n m o c 2
EA (~x, ~v )
(4.12)
Nell’ipotesi ragionevole di debole violazione di EEP, possiamo esplicitare la dipendenza dell’energia di legame evidenziando termini dipendenti dalle anomalie di massa dovute alla
violazione
EA (~x, ~v ) = EA o +
n X
n
X
i=1 j=1
mp ij U ij +
n X
n
X
mi ij v i v j +...............
i=1 j=1
(4.13)
In questo modo abbiamo evidenziato la variazione di massa
gravitazionale passiva, mp ij , associata alla violazione di LPI
e quella inerziale associata alla LLI, mi ij .
66CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
Supponiamo ora di avere ora due diversi sistemi quantistici:
siano ad esempio due stati eccitati del nucleo 7 Li, posto in un
campo magnetico esterno. Questi stati sono caratterizzati da
di↵erente numero quantico azimutale: in assenza di violazione di EEP, la spaziatura energetica tra un livello e l’altro è
la stessa. Inoltre l’energia di legame all’ordine zero, EA o , è la
stessa per i due stati. I sistemi a riposo (v i = v j = 0 8 i, j)
nel potenziale gravitazionale U , possono transire emettendo
fotoni di frequenza proporzionale alla variazione dell’energia
del rispettivo sistema. Dalla ?? segue che, le frequenze emesse
dai due sistemi di↵eriranno a causa della presenza dei termini mp ij U ij . In questo caso l’ipotesi di violazione di WEP
induce una violazione di LPI.
Se invece consideriamo due sistemi lontani da ogni sorgente
di campo gravitazionale, che si muovono con velocita ~v , allora
osserveremmo di↵erenti frequenze legate ai diversi valori dei
termini v della ??.
Consideriamo ora un sistema a cui facciamo descrivere
una trasformazione ciclica. Il sistema quantistico di n particelle non interagenti, inizialmente a riposo ad una altezza
z = h, ha una energia
n mo c2 [1
U (h)
]
c2
Una volta poste in interazione le particelle, il nuovo sistema
ha un’energia di legame
EA (h, 0)[1
U (h)
]
c2
e quindi un’energia
[n mo c2
EA (h, 0)][1
U (h)
]
c2
Quando il corpo composto cade alla quota di riferimento z =
0 con una accelerazione a = g + a, la sua energia cambia
riducendosi di un fattore
[n mo
EA (0, v)
]ah
c2
n X
n
X
mi ij g i hj
i=1 j=1
mentre l’insieme delle particelle non interagenti, alla quota
z = 0, ha cambiato il suo stato energetico della quantità
1
EA (h, 0)gh
c2
4.4.
LA CONGETTURA DI SCHIFF
67
Nel bilancio energetico complessivo è ora a disposizione
un’energia pari a
EA (h, 0)[1
U (0) 1
EA (0, v)
] 2 EA (h, 0)gh [n mo c2
]ah
2
c
c
c2
n X
n
X
mi ij g i hj
i=1 j=1
Da questa quantità si può estrarre abbastanza energia
per de-assemblare il materiale composto da n particelle. In
particolare ne serve una quantità pari a
EA (0, 0)[1
U (0)
]
c2
Resta cosı̀ abbastanza energia per consentire alle particelle di
tornare allo stato iniziale alla quota h:
n mo g h
A ciclo chiuso il bilancio energetico deve essere verificato
(conservazione dell’energia) e l’energia scambiata deve essere
ora identicamente nulla. Abbiamo
EA (h, 0) EA (h, 0) (n mo
n X
n
X
EA o
)
ah
mi ij g i hj = 0
c2
i=1 j=1
Poiché
EA (h, 0)
EA (h, 0) =
n X
n
X
i=1 j=1
mP ij rU ij hj
si ottiene
a=g+
n
1 X
[ ( mP ij rU ij
MR j=1
mi ij g]
essendo MR = n mo EAc(0,v)
. Ne segue che, anche in questo
2
caso, l’accelerazione risulta composta dal termine tipico di
caduta libera g a cui si sommano termini che dipendono dalla
violazione di LLI e di LPI.
Una ulteriore ragionamento a supporto della congettura
fu proposto da Nordtvedt.
Sia A un sistema che cade con accelerazione gA , che può
decadere emettendo un quanto di frequenza ⌫. Supponiamo
68CAPITOLO 4. PRINCIPI DELLE TEORIE METRICHE
che l’emissione avvenga quando il sistema è ad un’altezza H
dal suolo in un campo esterno gravitazionale. A causa del
campo gravitazionale il quanto è spostato alla frequenza ⌫ 0 .
Una volta emesso il fotone, il sistema nel nuovo stato quantico
B, in caso di violazione del principio di equivalenza, cade con
una diversa accelerazione gB .
Esprimiamo quindi in un modo formalmente semplice il fatto che gA e gB dipendono dall’energia interna degli stati
coinvolti nella transizione quantistica:
gA = g(1+↵
EA
)
mA c 2
gB = g(1+↵
EB
)
mB c2
EA
EB = h⌫
(4.14)
Per riportare il sistema nella condizione iniziale prima
dell’emissione e all’altezza H, l’energia necessaria deve essere recuperata tramite quella del sistema al suolo che ha
un’energia cinetica ottenuta dalla conversione di quella potenziale mB gb H e da quella del fotone h⌫ 0 . In altre parole
dobbiamo recuperare mA gA H e la variazione di frequenza
⌫ ⌫ 0 . Imponendo questo si ottiene (all’ordine più basso in
h⌫/mc2 ) uno spostamento relativo delle frequenza dato da
Z=
⌫0
⌫
⌫0
= g(1 + ↵)
H
U
= (1 + ↵) 2
2
c
c
(4.15)
stabilendo cosı́ la violazione di LPI conseguente alla violazione di WEP.
Capitolo 5
Il formalismo PPN
5.1
Introduzione
I criteri di attendibilità di una teoria sono riconducibili a due
condizioni logiche: la completezza e l’autoconsistenza.
Una teoria è completa quando dai principi primi devono
essere derivate tutte le equazioni necessarie a descrivere il
comportamento dei corpi nel campo considerato.
Essa è autoconsistente quando la predizione dei risultati
di un dato esperimento, ottenuta con metodi di↵erenti, è unica (per esempio devono coincidere le due previsioni relative
alla deflessione della luce quando si consideri la sua natura
ondulatoria o studiando il moto di particelle di massa nulla).
Inoltre la sua attendibilià è legata alla verifica del suo
tendenza nel limite newtoniano e in quello relativistico. In
altre parole, quando il campo gravitazionale è debole ( si
veda il prossimo paragrafo per la quantificare quanto debole
deve essere) e le particelle si muovono lentamente la teoria
deve ritrovare le leggi della fisica newtoniana. Inoltre, in
assenza di campo gravitazionale, le leggi della teoria si devono
ricondurre a quelle della Relatività Speciale. Nel capitolo
precedente abbiamo discusso i pilastri fondamentali (quali
WEP - LLI - LPI ovvero EEP) sui quali poggia l’ipotesi che
la teoria della Gravità sia una teoria metrica. In un tale
teoria la materia crea questi campi che, insieme alla materia
generano la metrica, ma a sua volta la materia risponde alla
metrica.
Per quanto detto fino ad ora riguardo al EEP, le leggi della
fisica in forma covariante possono essere formulate prendendo la loro forma della relatività speciale e generalizzarle ad
69
70
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
una nuova forma che tenga conto della curvatura dello spazio. La logica è quindi quella di scrivere le leggi della Relatività Speciale derivandole da un’azione, contenente il tensore
metrico pseudo-Euclideo. La generalizzazione di cui sopra
avverrà attraverso una generica trasformazione delle coordinate xµ = xµ (x↵ ). Trasformando in modo generale, vettori,
tensori, di↵erenziali, elementi di integrazione si approda a
riscrivere l’azione nel nuovo sistema di riferimento generalmente di coordinate curvilinee. È interessante osservare che
alla termine di questa operazione la forma dell’azione resta
la stessa purché si sia rimpiazzato il tensore metrico pseudoEuclideo con il tensore metrico gµ⌫ e le derivate in derivate
covarianti e l’elemento di↵erenziale. Queste semplici regole
mnemoniche sono la manifestazione formale del principio di
Equivalenza di Einstein.
Le diverse teorie si di↵erenziano solo sul modo in cui la
metrica viene generata perché in ogni caso, se è valido EEP,
la materia si accoppia solo alla metrica. Nella teoria della
Relatività Generale esiste un unico campo gravitazionale generato dal tensore energia-impulso che contiene sia la materia
che gli altri campi. Ad esempio nella teoria di Brans-DickeJordan la materia ed i campi generano un campo scalare
che insieme a materia e campi generano la metrica. Nella teoria di Ni si suppone l’esistenza di una metrica piatta in tutto
l’Universo dove esiste un tempo proprio. Il tensore metrico
h coopera con la materia ed il campo scalare alla creazione
della metrica gµ⌫ a cui la materia è accoppiata.
In questo capitolo a↵ronteremo la questione di comparare
in modo efficace le previsioni di diverse teorie metriche con le
osservazioni sperimentali. In genere le misure a disposizione
sono relative ad e↵etti di campo debole e quindi sono relative a fenomeni descrivibili da soluzioni approssimate delle
equazioni generali della teoria, che al primo ordine devono
comunque collassare in quelle della teoria newtoniana della
gravitazione. Tuttavia, il confronto tra previsioni ed esperimenti è basato sullo studio di e↵etti deboli non previsti dalla
gravitazione newtoniana: è quindi necessario sviluppare un
formalismo sufficientemente generale che rappresenti una vasta classe di teorie metriche sviluppate ad un ordine superiore
al primo.
5.2.
RICHIAMI DI RELATIVITÀ GENERALE
5.2
71
Richiami di Relatività Generale
La sintesi delle teoria delle Gravitazione di Einstein è racchiusa nelle equazioni
Rµ⌫
1
8⇡G
gµ⌫ R = 4 Tµ⌫
2
c
(5.1)
Tµ⌫ ;⌫
(5.2)
dove µ, ⌫ = 1, 2, 3, 4. Onde chiarire il significato di queste
equazioni, proviamo a richiamare il simbolismo utilizzato e
qualche concetto matematico di base. La formula è scritta
applicando la convenzione di Einstein, per chiarire la quale
riportiamo qui questo esempio di contrazione degli indici:
v↵↵ =
X
v↵↵
↵
Il simbolo che appare nella equazione ??, ; ⌫, indica la derivazione covariante del tensore energia-momento Tµ⌫ che esprime
le proprietà della materia. Per comodità del lettore richiamiamo altresı̀ la definizione di derivata covariante del campo
vettoriale vj :
@vj
r
(5.3)
ij vr
@xi
sono i simboli di Christo↵el del secondo tipo:
vj;i =
dove
ij
r
@gjk
1
@gki @gij
= g rk ( i +
)
(5.4)
2
@x
@xj
@xk
Rµ⌫ è il tensore di Gregorio Ricci-Curbastro, matematico di
origine romagnola che, insieme conTullio Levi-Civita, scrisse
un celebre trattato di geometria di↵erenziale assoluta [?] alla
base di molti degli sviluppi matematici della teoria della gravità. Il tensore Rµ⌫ , oggi universalmente noto come il tensore
di Ricci, è ottenuto dalla contrazione degli indici del tensore
di Riemann R↵ µ↵⌫ , noto anche come tensore di curvatura dello spazio 4-dimensionale. R è lo scalare di curvatura dedotto
dal tensore di Ricci ancora per contrazione degli indici.
Tutte queste quantità dipendono dal tensore metrico dello
spazio-tempo ed infatti si ha:
ij
Rµ⌫ =
↵
r
µ⌫,↵
↵
µ↵,⌫
+
↵
µ⌫
↵
µ↵
↵
⌫,
(5.5)
72
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
dove l’indice , ⌫ indica la derivazione ordinaria rispetto alla
coordinata x⌫ .
Ricordiamo inoltre che, per verificare la validità della teoria occorre essere in grado di fare previsioni sul moto della materia e confrontarle con le misure. La relazione a cui
fare riferimento è l’ equazione della geodetica [?], ottenuta generalizzando il principio d’inerzia in uno spazio-tempo
curvo:
d2 xi
+
ds2
i
dxm dxk
= 0 labeleq : P P N.6
mk
ds ds
(5.6)
Infatti, questa è l’espressione esplicita della derivata covariante del 4-vettore velocità della particella ed il simbolo s
rappresenta la coordinata curvilinea della particella.
5.3
Il limite newtoniano.
Il limite newtoniano della Relatività Generale è caratterizzato
da moti di corpi a piccole velocità e da campi deboli. La fisica
newtoniana è deducibile dalla teoria metrica della relatività,
sviluppando al primo ordine gµ⌫ attorno ai valori del tensore
di Minkowski:
gµ⌫ = ⌘µ⌫ + hµ⌫
with
|hµ⌫ | << 1
(5.7)
Operando in questo modo è facile mettere in evidenza il
legame tra il termine di perturbazione h00 della metrica e il
potenziale newtoniano classico. Si consideri ad esempio una
particella che si muove in un campo gravitazionale statico a
velocità molto più basse della velocità della luce. Ripartiamo quindi dalla descrizione del moto delle particelle derivato
dall’equazione della geodetica ?? riscritta in termini del tempo proprio della particella ⌧ . Esprimiamo poi la connessione
affine µ⌫ , in termini delle coordinate contro-varianti ⇠ ↵ del
sistema di riferimento di caduta libera della particella
µ⌫
=
@x @ 2 x↵
@⇠ ↵ @⇠ µ @⇠ ⌫
(5.8)
Essendo il moto lento rispetto alla velocità della luce, nell’equazione ?? possiamo trascurare tutti i termini d~x/dt rispetto
a dt/d⌧ . Essa assume cosı̀ la forma semplificata:
5.3. IL LIMITE NEWTONIANO.
73
d2 xµ
dt
+ µ 00 ( )2 = 0
(5.9)
2
d⌧
d⌧
Il campo gravitazionale è statico, quindi sono nulle tutte
le derivate temporali di gµ⌫ e quindi di hµ⌫ . Allora, al primo
ordine in h si ottiene per la connessione affine
1 ↵ @h00
⌘
(5.10)
2
@x
e dalle relazioni precedenti si derivano nelle due equazioni
esplicite:
↵
00
=
d2 xµ
1 dt
= ( )2 rh00
d⌧ 2
2 d⌧
(5.11)
d2 t
=0
(5.12)
d⌧ 2
L’equazione ?? implica che dt/d⌧ sia costante e quindi
riscrivendo l’equazione ??
d2 xµ
c2
=
rh00
(5.13)
dt2
2
e comparandola con l’equazione del moto della meccanica
newtoniana nel caso di esistenza di un potenziale gravitazionale U = GM
r
d2 xµ
=
dt2
rU
(5.14)
possiamo identificare g00
U
) + costante
c2
Per rendersi conto come in questa approssimazione sia
possibile discutere una vasta categoria di fenomeni, è sufficiente fare riferimento all’entitá della perturbazione metrica
associata dal campo gravitazionale riportata in tabella.
Nel sistema solare l’energia potenziale gravitazionale U
verifica la condizione U/c2 < 10 5 . Tuttavia, per poter
prevedere e↵etti non descritti dalla teoria di Newton, quali l’extra contributo della precessione del perielio di Mercurio
(⇠ 10 7 rad/orbita) descritto invece dalla Relatività Generale, occorre un livello di approssimazione più elevata. Vediamo
quindi come sia possibile approssimare le formule della Relatività Generale per andare oltre la descrizione di fenomeni
già ottenuta in teoria newtoniana.
g00 =
1 + h00 =
(1 + 2
74
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Tabella 5.1: Potenziale gravitazionale normalizzato U/c2 alla
superficie del corpo
Protone
Terra
Sole
Nana Bianca
5.4
10
10
10
10
39
9
6
4
L’equazione del moto
Nel sistema di riferimento localmente lorentziano di coordinate s ⇠ ↵ la particella libera traccia linee rette nello spaziotempo e la sua equazione del moto è
d2 ⇠ µ
=0
(5.15)
d⌧ 2
dove ⌧ è il tempo proprio della particella espresso come
d2 ⌧ =
⌘µ⌫ d⇠ µ d⇠ ⌫
(5.16)
Possiamo riscrivere questa stessa relazione utilizzando le
coordinate x↵ di un qualunque altro sistema di riferimento1 .
Dapprima osserviamo che
0=
d ⇣ @⇠ ↵ dxµ ⌘ @⇠ ↵ d2 xµ
@ 2 ⇠ ↵ dxµ dx⌫
=
+
d⌧ @xµ d⌧
@xµ d⌧ 2
@xµ @x⌫ d⌧ d⌧
Moltiplicando ora per @x /@⇠ ↵ e osservando che
@⇠ ↵ @x
=
@xµ @x↵
µ
possiamo riscrivere finalmente l’equazione del moto in un
qualunque sistema di riferimento nella forma
d2 x
dxµ dx⌫
+
=0
µ⌫
d⌧ 2
d⌧ d⌧
dove abbiamo introdotto la connessione affine
µ⌫
1
=
@x @ 2 ⇠ ↵
@⇠ ↵ @xµ @x⌫
(5.17)
(5.18)
Per semplicità utilizziamo la convenzione per la quale c = 1, gli
indici greci indicano le quattro coordinate spazio-temporali e quelli latini
si riferiscono alle sole coordinate spaziali.
5.4. L’EQUAZIONE DEL MOTO
75
2 i
Proviamo allora a riscrivere l’accelerazione dd⌧x2 applicando opportunamente alcuni artifici matematici :
d2 xi ⇣ dt ⌘ 1 d h⇣ dt ⌘
=
dt2
d⌧
d⌧ d⌧
⇣ dt ⌘ 2 d2 xi
⇣ dt ⌘
=
d⌧
d⌧ 2
d⌧
1 dxi i
=
d⌧
3 d2 t dxi
d⌧ 2 d⌧
(5.19)
e considerando quindi l’equazione ??
d2 xi
=
dt2
i
⌫
dx⌫ dx
+
dt dt
0
⌫
dx⌫ dx dxi
dt dt dt
(5.20)
Esplicitando questa espressione si ottiene:
d2 xi
=
dt2
2
i dx
0j
j
dx
dt dt
h
dxj
+ 000 + 2 00j
+
dt
i
00
dxk
+
dt dt
j
k i dxi
0 dx dx
jk
dt dt dt
i dx
jk
j
(5.21)
Quest’ultima relazione ci guiderà nel processo di espansione
post-newtoniano.
Si noti che l’espansione all’ordine newtoniano implica che i
termini di velocità siano trascurati e praticamente ci si limita
a considerare l’equazione approssimata:
d2 xi
1 @g00
i
'
(5.22)
00 '
2
dt
2 @xi
Qui noi abbiamo utilizzato, specializzandola a questo caso,
la relazione generale che lega la connessione affine al tensore
metrico gµ⌫
µ
=
1 n @gµ⌫
@g ⌫
+
2 @x
@xµ
@gµ o
@x⌫
(5.23)
Possiamo poi applicare in Relatività Generale l’analoga approssimazione nel caso di un fluido perfetto
T µ⌫ ;⌫ ' T µ⌫ ,⌫ +
µ
00 T
00
=0
confrontando le equazioni ottenute con le equazioni di Eulero
della teoria newtoniana
@⇢ ~
+ r · (⇢~v ) = 0
@t
(5.24)
76
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
d~v
~
~
= ⇢rU
rp
(5.25)
dt
dove ⇢ è la densità del fluido, p e ~v la sua pressione e velocità,
d
@
~ Le componenti del tensore materia Tµ⌫ sono
e dt
= @t
+~v · r,
identificate nel modo seguente:
⇢
T 00 = ⇢,
T 0j = ⇢v j ,
T jk = ⇢v j v k + p
jk
dove v j sono le componenti della velocità ~v .
5.5
L’espansione post-newtoniana
L’espansione post-newtoniana (PN) è e↵ettuata nell’ipotesi
di piccole masse di test (m0 ⌧ M ) e piccole velocità, ovvero
abbiamo espanso rispetto a GM/r e a v 2 . I due fattori dello
stesso ordine: ad esempio il quadrato della velocità di particella, che percorre una orbita circolare di raggio r attorno
alla massa M , è esattamente pari a GM/r. In letteratura a
volte questa procedura viene indicata come una espansione
nei termini che dipendono da 1/c2 . In realtà questo sta solo ad indicare come l’espressione piccole velocità sia sempre
riferito al valore della velocità della luce.
Consideriamo l’equazione dell’accelerazione ??: l’approssimazione newtoniana corrisponde a considerare
d2 xi
'
dt2
i
00
'
1 @g00
2 @xi
2 i
Poiché (g00
1) è dell’ordine di (G M / r) allora ddtx2 avrà
valori prossimi a
GM
v2
⇠
r2
r
Piú in generale osserviamo che le derivazioni rispetto allo
spazio e al tempo implicano introdurre andamenti del tipo
@
1
@
v
⇠
⇠
i
@x
r
@t
r
In generale l’espansione deve essere applicata alle equazioni di campo che in Relatività Generale che dipendono dal
tensore degli sforzi Tµ⌫ e da quello di Ricci Rµ⌫ a sua volta
dipendente dalla metrica gµ⌫ . Assumendo che sia comunque
possibile trovare un sistema di coordinate in cui gµ⌫ si discosti
poco dal tensore di Minkowski ⌘µ⌫ , noi ci aspettiamo che
5.5. L’ESPANSIONE POST-NEWTONIANA
• g00 '
• gij '
1 + O(✏2 ) + O(✏4 ) + ..........
ij
• g0j '
+ O(✏2 ) + O(✏4 ) + ..........
1 + O(✏3 ) + O(✏5 ) + ..........
dove con ✏ si è indicato il generico termine di ordine
q
77
v2
r .
q
GM
r2
⇠
La dipendenza dei termini g0j dalle potenze dispari in
✏ è sancita dal fatto che in generale tali elementi del tensore
metrico debbono cambiare segno per inversione del tempo
(t ! t).
Per andare oltre, per ciascuna delle connessioni affini
@g⇢
1 µ⇢ n @g⇢⌫
@g⌫ o
=
g
+
(5.26)
⌫
2
@x
@x⌫
@x⇢
si procede a sviluppare applicando la seguente ricetta:
µ
•
i
00
tendendo conto di termini in v 4 /r
•
i
0j
tendendo conto di termini in v 3 /r
•
i
jk
tendendo conto di termini in v 2 /r
•
0
•
0
•
0
00
tendendo conto di termini in v 3 /r
0j
tendendo conto di termini in v 2 /r
jk
tendendo conto di termini in v/r
Fatto questo, si deducono le componenti del tensore di Ricci,
utilizzando analoghe approssimazioni, che sono piú evidenti
da applicare se il tensore è scritto nella forma
Rµ⌫ = R
µ ⌫
=
@ µ
@ µ⌫
⌘
+ ⌘µ
(5.27)
⌫⌘
µ⌫
⌘
@x⌫
@x
L’espansione è terribilmente semplificata se si scelgono coordinate armoniche, ovvero coordinate per le quali sono verificate le condizioni:
g µ⌫ µ⌫ = 0
(5.28)
=
Questa scelta, unita alle precedenti considerazioni, porta a
formule semplificate per i termini del tensore di Ricci, approssimati ai vari ordini 2 :
2
Gli indici (n) indicano l’ordine dell’approssimazione del relativo
termine tensoriale
78
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
1
R00 (2) = r2 g00 (2)
2
(5.29)
1
R00 (4) == r2 g00 (4)
2
1 @ 2 g00
2 @t2
(2)
1 (2) @ 2 g00
gij
2
@xi @xj
(2)
1
(2)
+ (r2 g00 )2
2
1
R0i (3) = r2 gi0 (3)
2
(5.30)
(5.31)
1
Rij (2) = r2 gij (2)
2
Riscrivendo poi le equazioni di Einstein nella forma
(5.32)
1
gµ⌫ T )
(5.33)
2
e ricordando che le leggi di conservazioni sono espresse dalle
equazioni
T µ⌫
(5.34)
;µ = 0
Rµ⌫ = 8⇡G(Tµ⌫
si puó verificare la corrispondenza (in coordinate armoniche) tra i termini approssimati di Rµ⌫ e quelli di Tµ⌫ . Ad
esempio partendo dalla ?? e scrivendo l’equazione di Einstein
corrispondente a questo termine avremo:
r2 g00
(2)
=
8⇡GToo (0)
(5.35)
Poiché il termine g00 (2) , a meno del segno e di un fattore 2,
coincide con il potenziale statico newtoniano
g00 (2) =
2
segue che
=
G
Z
(0)
T 00 (x0 , t)
|x x0 |
d3 x0
(5.36)
Analogamente si puó mostrare dalla ?? che
gij (3) =
2
ij
ed avendo identificato gi0 (3) = ⇣i come le componenti del
nuovo potenziale vettore, dalla ?? dedurremo
5.5. L’ESPANSIONE POST-NEWTONIANA
Z
79
(1)
T i0 (x0 , t)
d3 x0
|x x0 |
Infine, partendo dalla ?? ed usando l’identità
⇣i (x, t) =
4G
@ @
1
= r2
@xi @xj
2
(5.37)
r2
identifichiamo
g00 (4) =
dove
2
2
2
(5.38)
è un secondo potenziale soluzione dell’equazione
@2
(2)
(2)
+ 4⇡G[T 00 + T ii ]
(5.39)
@t2
che ammette la seguente soluzione che si annulla all’infinito
r2
=
(x, t) =
Z h
1 @ 2 (x0 , t)
(2)
4⇡
@t2
+G[T 00
(x0 , t)+T ii
(2)
(x0 , t]
i
1
d3 x0
x0 |
(5.40)
Alla luce di queste identificazioni la condizione di armonicità
delle coordinate ?? è esprimibile tramite i potenziali
e ⇣~
nella forma
=
|x
@
~ · ⇣~ = 0
+r
@t
Per risolvere le equazioni di Einstein e dell’idrodinamica, si
applica una procedura iterativa che parte dall’ordine newtoniano inserendo le espressioni dei campi all’ordine n nelle
equazioni di conservazione per Tµ⌫ . Quindi si calcolano le correzioni a Tµ⌫ cosı̀ che poi i nuovi Tµ⌫ vengono inseriti nelle
equazioni per i campi da dedurre all’ordine n + 1.
Le soluzioni delle equazioni di Einstein in approssimazione
post-newtoniana sono quindi utilizzate per scrivere le componenti della metrica come perturbazione di quelle dello spazio
piatto:
4
g00 =
g0j
=
gij
=
1+
2U
c2
1⇣
4Vj
c3
⇣
1+
1 2
(U
4 ) + O(c
c4
1 @2 ⌘
+ O(c 5 )
2 @t@xj
2U ⌘
c2
ij
+ O(c
4
)
6
)
(5.41)
80
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
dove Vj , e sono dei nuovi potenziali soluzioni delle equazioni rispettivamente;
r2 Vj =
4⇡⇢vj
(5.42)
2U
(5.43)
⇣
1
3 p⌘
4⇡⇢ v 2 + U + ⇧ +
2
2⇢
(5.44)
r2 =
r2
=
e ⇢⇧ è l’energia interna per unità di volume del sistema (ad
esempio l’energia termica).
5.6
L’espansione post-newtoniana parametrizzata (PPN)
Abbiamo già detto nell’introduzione che per tutte le teorie
metriche della Gravitazione la condizione T µ⌫
;µ = 0 è sempre
verificata e che la materia e i campi non gravitazionali (NG)
rispondono alla metrica dello spazio-tempo. Esiste dunque in
ogni teoria metrica un tensore metrico di ordine due tale che
ds2 = gµ⌫ dxµ dx⌫
Esso determina le misure di lunghezze e tempi propri nei modi a noi noti della Relatività Ristretta e di quella Generale.
Inoltre, la conseguenza del principio di equivalenza einsteniana (EEP) è che la materia e i campi NG si accoppiano solo
a gµ⌫ .
In generale i campi gravitazionali e gli NG modulano il
processo di generazione di gµ⌫ da parte della materia accoppiandosi fra loro o a gµ⌫ . A titolo di esempio elenchiamo qui
come {gµ⌫ } sia influenzato dai campi in alcune teorie
1. {gµ⌫ }: nel caso della GR la fisica gravitazionale locale
è indipendente da posizione e velocità del riferimento
locale;
2. {gµ⌫ , K }: nel caso della teoria di Brans-Dicke, la fisica
gravitazionale locale può dipendere dalla posizione;
3. {gµ⌫ , K , Aµ , B µ⌫ , ...} nal caso di teorie vettor-tensoriali,
bimetriche e stratificate, la fisica gravitazionale locale
può dipendere dalla posizione e dalla velocità.
5.6. L’ESPANSIONE POST-NEWTONIANA PARAMETRIZZATA (PPN)81
Per ogni teoria metrica della gravitazione esiste uno schema iterativo analogo all’ espansioni PN già discussa, in cui
oltre ad hµ⌫ e Tµ⌫ , si espandono tutti gli altri campi gravitazionali. Si possono quindi mettere a confronto teorie diverse
della gravitazione mediante i risultati che forniscono all’ordine post-newtoniano. In pratica, per confrontarle tra loro e
con i dati sperimentali, è stato individuato un insieme di parametri da introdurre nell’espansione post-newtoniana. Tali
valori, in teoria della Relatività Generale, sono pari a 0 o 1.
In letteratura sono stati proposti diversi gruppi di parametri. Noi qui ci riferiremo all’insieme più noto ed utilizzato
all’ inizio degli anni 2000. Si tratta del formalismo PPN (Parametrized Post Newtonian) introdotto da Will e Nordtvedt
(1972) [?], basato su questi 10 parametri:
, , ⇠, ↵1 , ↵2 , ↵3 , ⇣1 , ⇣2 , ⇣3 , ⇣4 .
Limitandosi a considerare lo studio di e↵etti osservabili
sfruttando campi gravitazionali e velocità tipiche del sistema solare, ci limiteremo a riportare qui i risultati del calcolo
PPN dei termini della metrica. Questi sono ottenuti ipotizzando un tensore Tµ⌫ tipico del fluido ideale ed avendo scelto
coordinate locali quasi-Cartesiane. Lo sviluppo è e↵ettuato
non trascurando i termini newtoniani e post-newtoniani che
vanno a 0 per |~x ~x0 |
13 .
Detta w
~ la velocità della trasformazione di Lorentz, osservando che i potenziali sono calcolati nel riferimento associato
aw
~ si puó ottenere una ulteriore semplificazione nel calcolo
sfruttandore il grado di libertà di gauge su w.
~ Applicando
questa ricetta metodologica, si perviene infine alle seguenti
espressioni dei termini della metrica PPN:
3
Si potrebbero includere nello sviluppo anche altre dipendenze de rp
e da ulteriori potenziali, qualora gli esperimenti a cui si riferiscono i dati
a disposizione lo rendessero necessario.
82
0
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
1 + 2U 2 U 2 2⇠ W
(2 + 2 + ↵3 + ⇣1 2⇠) 1
2(3
2 + 1 + ⇣2 + ⇠) 2 + 2(1 + ⇣3 ) 3
2(3 + 3⇣4 2⇠) 4 (⇣1 2⇠)A
(↵1 ↵2 ↵3 )w2 U ↵2 wi wj Uij
+
(2↵3 ↵1 )wj Vj
1
=
↵2 + ⇣1 2⇠)Vj
2 (4 + 3 + ↵1
1
1
(1
+
↵
⇣
+
2⇠)W
2↵2 )wj U
2
1
j
2
2 (↵1
↵2 wk Ujk
=
(1 + 2 U ) ij
g00 =
+
+
+
B
B
B
B
B
B
B
B
B
B
B
B
B g0j
B
B
B
@
gij
1
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
A
dove l’espressione esplicita dei potenziali post-newtoniani è:
Uij =
Z
⇢(~x0 , t)(x x0 )i (x
|~x ~x0 |3
Vj =
Wj =
W
=
Z
1
=
3
=
Z
Z
~x ~x0
⇢⇢
·
|~x ~x0 |3
Z
d3 x0
(5.45)
⇢(~x0 , t)vj0 3 0
d x
|~x ~x0 |
(5.46)
⇢(~x0 , t)~v 0 · (~x ~x0 )(x
|~x ~x0 |3
0 00
Z
x0 ) j
✓
~x
|~x
⇢0 v 02 3 0
d x
|~x ~x0 |
⇢0 ⇧0 3 0
d x
|~x ~x0 |
A=
B=
Z
Z
~x0
~x0 |
2
=
4
=
Z
Z
d3 x0
~x0 |
(~x
(5.47)
◆
~x0
d3 x0 d3 x00
~x0 |
(5.48)
~x
|~x
⇢0 U 0 3 0
d x
|~x ~x0 |
(5.49)
d3 x0
(5.50)
p0
|~x
~x0 |
⇢0 [~v 0 · (~x ~x0 )]2 3 0
d x
|~x ~x0 |
⇢0
|~x
x0 ) j
~x0 ) ·
d~v 0 3 0
d x
dt
(5.51)
(5.52)
Proviamo ora a riassumere a grandi linee il significato fisico dei 10 parametri PPN, , , ⇠, ↵1 , ↵2 , ↵3 , ⇣1 , ⇣2 , ⇣3 , ⇣4 , sintetizzando nella lista seguente il loro ruolo nelle teorie metriche
della gravitazione:
•
misura quanta curvatura dello spazio genera una massa unitaria (gij )
5.6. L’ESPANSIONE POST-NEWTONIANA PARAMETRIZZATA (PPN)83
•
misura il grado di non-linearità nella legge di sovrapposizione della teoria (g00 )
• ⇠ misura il grado di violazione di LPI
• Ponendo ↵1 = ↵2 = ↵3 = 0 dalla metrica scompaiono le
dipendenze dirette da w
~ ) preferred frame parameters
• Affinchè in una teoria metrica valgano delle equazioni
di conservazione globali per l’energia e il momento, deve accadere che ↵3 = ⇣1 = ⇣2 = ⇣3 = ⇣4 = 0.
In altre parole quei parametri ci dicono quanto e come
sono violati i principi di conservazione di energia e momento totali. Notiamo però che P µ si conserva in ogni
teoria metrica lagrangiana, mentre la conservazione di
J µ⌫ è verificata solo se ↵1 = ↵2 = 0.
In particolare, ⇠ è diverso da zero in tutte quelle teorie
che predicono una dipendenza dalla posizione rispetto ad un
sistema di riferimento privilegiato. Questo condurrebbe ad
un anisotropia della costante di gravitazione locale indotta
dalla distribuzione di massa della galassia. I tre parametri ↵
indicano se la metrica dipende dalla velocità rispetto ad un
sistema di riferimento privilegiato (universe rest frame). Nella tabella ?? sono riportati i valori che i parametri assumono
in Relatività Generale, nelle teorie semi-conservative (che inglobano una conservazione globale dell’impulso) ed in teorie
totalmente conservative che, oltre all’impulso, prevedono la
conservazione del momento angolare su scala globale.
Le teorie conservative prevedono automaticamente la nullità
di e↵etti dipendenti dalla velocità del sistema di riferimento
(cioè presentano termini nulli in ↵). In generale infatti si scrivono leggi di conservazione valide nel sistema locale: vengono generalizzate le equazioni nello spazio curvo e localmente
risultano valide le conservazioni dell’energia. I problemi nascono quando si desidera che siano verificate le condizioni di
conservazioni su scala globale. Si cerca di costruire una grandezza che si riduce localmente al tensore energia-impulso e la
cui divergenza sia nulla. Una volta identificata questa quantità in una data teoria, se determinate ipotesi sono soddisfatte
e se la grandezza risulta simmetrica rispetto ad i suoi indici,
si può verificare se il momento angolare, l’impulso e l’energia siano quantità conservate. Se tale grandezza non risulta
84
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
{↵3 , ⇣1 , ⇣2 , ⇣3 , ⇣4 }
0
0
-
{↵1 , ↵2 }
0
-
Teoria
Conservativa
Semi-conservativa
Non conservativa
Tabella 5.2: Classificazione delle teorie metriche
simmetrica è possibile dimostrare solo la conservazione dell’impulso e dell’energia ma non la conservazione del momento
angolare. Nel formalismo post-newtoniano l’esistenza di questa quantità a divergenza nulla, che si riconduce al tensore
metrico pseudo-euclideo, si può dimostrare che corrisponde
alla condizione di nullità dei 5 parametri ⇣. La condizione di
simmetria della quantità in questione, necessaria alla conservazione anche del momento angolare, si verifica solo se anche
i termini ↵1 e ↵2 sono nulli.
I parametri ↵1 , ↵2 ed ↵3 verificano la condizioni di indipendenza della metrica dalla velocità di un sistema di riferimento privilegiato. Questo lo si può vedere compiendo le
trasformazioni di coordinate da un sistema PPN ad un altro che si muove rispetto ad esso con velocit w, compiendo
trasformazioni di Lorentz approssimate nella metrica postnewtoniana ed ottenendo una nuova metrica PPN che ha dei
termini che dipendono dalla velocità. Si noti che ciò non viola la relatività speciale perché siamo di fronte comunque a
termini gravitazionali che si annullano quando la gravità si
spenge. In altri termini, se questi parametri sono diversi da
zero, allora la metrica del sistema PPN potrebbe cambiare in
funzione di questa velocità rispetto all’universo.
Nalla tabella ?? riportiamo una classificazione delle teorie
metriche ed i relativi valori dei parametri PPN.
Concludiamo il paragrafo facendo notare che la relatività
generale è una teoria conservativa e quindi ha valori dei parametri = = 1 e ⇠ = 0. Infatti introducendo tali valori
nella ?? si ottengo i termini ?? della metrica PN ricavati alla
fine del precedente paragrafo.
5.7. I LIMITI SPERIMENTALI DEI PARAMETRI PPN85
5.7
I limiti sperimentali dei parametri
PPN
Sostituendo le espansioni PPN di ogni teoria nelle equazioni
del moto si trovano spunti e basi per e↵ettuare delle verifiche
sperimentali. In particolare riportiamo qui le relazioni fondamentali sulla base dellr quali si deducono i limiti ai parametri PPN per alcuni dei test classici della relatività generale
basati su osservazioni. Vedremo poi di accennare ai test di
violazioni del principio di equivalenza forte (SEP).
5.7.1
Limiti sul parametro
Storicamente la prima verifica della relatività generale è qualle realtiva al fenomeno della deflessione della traiettoria dei
fotoni in prossimità del campo gravitazionale solare, osservata per la prima volta da Eddington nel 1919, in occasione di
un eclissi di Sole osservato in Africa. La descrizione analitica della traiettoria del fotone nel formalismo PPN porta alla
semplice relazione
✓=
1+
2
4GM 1 + cos
dc2
2
(5.53)
ovvero
1+
1.7500
(5.54)
2
In analogia a quanto fatto da Eddington le misure sono e↵ettuate durante le eclissi solari e valori della deviamax sono mediati osservando la posizione di più
zione ✓Sun
di una stella nel cielo. Il limite principale a questo tipo
di misure è dovuto alle fluttuazioni dell’indice di rifrazione
dell’atmosfera.
Concettualmente la misura può essere e↵ettuata osservando radiazione elettromagnetica di più lunga lunghezza d’onda, quali le onde radio. Infatti, il Sole è un debole emettitore
radio e si possono utilizzare molte sorgenti ben localizzabili sfruttando la tecnica interferometrica di radioastronomia
che fa interferire i segnali emessi da una sorgente stellare e
raccolti da più radiotelescopi distanti tra loro; nel caso della Long Base Line Interferometry (LBI), la distanza è dell’ordine della decina di chilometri, nel caso della Very Long
Baseline Interferometry (VLBI) sono distanti ⇠ 1000 km.
max =
✓Sun
86
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Figura 5.1: Vignetta illustrativa dell’e↵etto di deflessione della luce da parte della massa interposta tra sorgente e osservatore. Le frecce arancione indicano la direzione apparente
della luce, le frecce grige quella reale.
5.7. I LIMITI SPERIMENTALI DEI PARAMETRI PPN87
Figura 5.2: Nello schema in alto si illustra come misurare
l’angolo ✓ di inclinazione del fronte d’onda piano con la linea
ideale che unisce le due antenne (baseline). Esso è il complementare di quello tra la direzione di propagazione del fronte
d’onda piano e la baseline stessa. Nota la lunghezza B della
baseline, dalla misura del tempo di ritardo ⌧g tra i segnali
rivelati dalle due antenne si deduce la direzione di provenienza del segnale ⇡/2 ✓. La figura in basso illustra il metodo
LBI di inseguimento del satellite che si avvale del confronto
tra i tempi di ritardo misurati per il satellite e per un quaser
lontano.
88
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Figura 5.3: Schema di radiotelescopi utilizzati in configurazione interferometrica. posti a distanza tra loro.
Nel 1975 Fomalont e Sramek [?], sfruttando una baseline
di 35 km ottennero come limite
= 1.007 ± 0.009
osservando con una risoluzione angolare di 0.0100 sorgenti lontane quali i quasar 0111 + 02, 0119 + 11 e 0116 + 08, La
principale limitazione del metodo è legata alla modellizzazione della corona solare i cui e↵etti si separano osservando i
segnali elettromagnetici a più frequenze (nel loro caso 2.7 e
8.1GHz)
Ogni anno il Sole raggiunge la minima distanza dalla linea
visiva che congiunge la Terra a gruppi di quasar. Sfruttando
la tecnica VLB (accuratezza di 100 µarcsec) si è ottenuto un
nuovo limite
1+
2
= 0.99997 ± 0.00016
Per una rassegna più recente dei progressi e↵ettuati misurando la deflessione delle radio onde tramite l’uso di interferometria con grande base di riferimento , Verys Long Baseline
Array - VLBA, si faccia riferimento al lavoro [?].
5.7. I LIMITI SPERIMENTALI DEI PARAMETRI PPN89
Restando nell’ambito dei classici test di relatività, riportiamo qui la formula nel formalismo PPN del ritardo nel tempo di propagazione del segnale elettromagnetico in presenza
di un campo gravitazionale , lo Shapiro time delay.
Come nel caso precedente la misura del ritardo ci consente di
porre limiti di nuovo sul solo parametro :
t=
1+
2
4GM (r1 + x1 · n)(r2
ln
c3
d2
x2 · n)
L’idea guida per gli esperimenti è quella di misurare il
tempo di andata e ritorno di un segnale elettromagnetico inviato contro un bersaglio che funge da specchio. Tipicamente
il campo gravitazionale ritardante è sempre quello del Sole. I
riflettori possono essere dei pianeti che inducono errori legati
alla natura scabra della loro superficie: i problemi di orografia possono dare luogo a errori di tempo di propagazione
dell’ordine 5 µs.
In alternativa si utilizzano dei satelliti artificiali che generalmente so↵rono di incertezze di posizione (⇠ 50 m), dovuti ad
accelerazioni spurie del satellite causa dal sistema di controllo
di posizione o da e↵etti indotti dal vento solare. Per ovviare
a questo problema, si utilizzano più satelliti artificiali orbitanti attorno ad un pianeta ed un riflettore ancorato ad esso.
Sfruttando il satellite Mariner 9 orbitante attorno a Marte e
la sonda Viking atterrata sul suolo del pianeta rosso nel 1976
s è ottenuto un limite
= 1.000 ± 0.002
In epoca più vicina a noi, sfruttando i dati della sonda
Cassini il cui segnale radio trasmesso nelle bande X (da 7 a
12.5 GHz) e K (da 18 a 27 GHz) e passato ad una distanza
di d = 1.6R da Sole nel 2002, è stato posto il limite
= 1 + (2.1 ± 2.3) · 10
5.7.2
5
I limiti sul parametro
I limiti sul parametro sono deducibili combinando i valori
di precedentemente ottenuti con le misure di precessione del
perielio di pianeti. Utilizzando il formalismo PPN, l’avanzamento del perielio di un corpo orbitante ad esempio attorno
90
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Figura 5.4: Deflessione del segnale radio emesso dal satellite
Cassini in prossimità di Giove e rivelato a Terra. La massa
flettente è il Sole che si interpone tra il satellite e la stazione
ricevente a Terra.
5.7. I LIMITI SPERIMENTALI DEI PARAMETRI PPN91
al Sole è espresso dalla relazione
d!
GM
=
·
dt
a(1 e2 )c2
!
↵2 + ↵3 + 2⇣2 µ
J2 R 2
·
+
+
6
M
2M a(1 e2 )
(5.55)
dove R è il raggio medio del Sole, e ed a sono l’eccentricità e
l’asse maggiore dell’orbita planetaria. Il limite sul parametro
è ottenuto, dopo aver sottratto tutti gli e↵etti classici quali
la precessione degli equinozi, l’e↵etto degli altri pianeti ed
infine il contributo dovuto al momento quadrupolare del Sole,
2+2
3
2↵1
J2 =
Ic IA
⇠ 1 · 10
Modot R2
7
dove M è la massa del Sole, IC e IA sono i momenti d’inerzia
calcolati rispetto all’asse di rotazione e a quello equatoriale.
In passato la cattiva conoscenza di questi parametri aveva suscitato grandi speranze tra i sostenitori della teoria di Brans
e Dicke. Misure successive hanno però dissipato queste illazioni, inserendo di nuovo questa teoria nella lunga lista di
teoria falsificate della Gravità. Dal confronto con il valore
previsto dalla relatività generale della precessione di Mercurio ( 42.9800 /secolo secondo GR), Shapiro ottenne nel 1990 il
limite
1
(2 + 2
3
) = 1.005 ± 0.020
misure dal 1966 al 1971
1
(2 + 2
) = 1.003 ± 0.005
misure dal 1966 al 1976
3
Nella formula ?? è presente anche una dipendenza dai parametri ↵i e ⇣2 . Tuttavia l’espressione
2↵1
↵2 + ↵3 + 2⇣2
6
della ?? è pesata dal rapporto tra la massa ridotta µ e la
massa totale del sistema Mercurio-Sole M , che in pratica è
pari al rapporto tra la massa del pianeta MM ercurio e M
µ
MM ercurio
⇠
⇠ 2 · 10
M
M
7
Il suo contributo alla precessione risulta quindi trascurabile.
92
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Il monitoraggio radar dell’orbita di Mercurio in tempi più
recenti (1996) ha consentito di ottenere un limite non molto
migliore
1
(2 + 2
3
5.7.3
) = 1.000 ± 0.001
Limiti relativi agli altri parametri PPN
Per ottenere limiti sperimentali sugli altri parametri PPN è
necessario riferirsi ad altri aspetti delle teorie metriche. L’applicazione del formalismo PPN di una teoria metrica a sistemi
auto-gravitanti, ovvero per i quali si considera il contributo
energetico gravitazione del corpo stesso, può mettere in evidenza l’entità di una violazione del principio d’equivalenza.
In questo caso si parla di violazione del SEP (Strong Equivalence Principle). Si noti che già EEP include, oltre al concetto
di universalità della caduta (UFF), anche l’invarianza locale e
di posizione di Lorentz (LLI e LPI). Questi concetti implicano
la non-esistenza di riferimenti privilegiati (LLI) e l’invarianza
di posizione (LPI) nello spazio tempo degli esperimenti non
gravitazionali. IL SEP estende i concetti di LPI e LLI agli
esperimenti con una forte componente auto-gravitante. La
Relatività Generale incorpora SEP che altre teorie possono
violare.4
In caso di violazione del SEP dovrebbe accadere che un corpo
di massa m caratterizzato da una auto-energia gravitazionale
Eg cade nel campo gravitazionale di potenziale U con una
accelerazione
Eg
a = (1 ⌘ )rU
m
dove il parametro di violazione ⌘, nel quadro del formalismo
PPN, è espresso dalla relazione
✓
⌘= 4
3
10
⇠
3
↵1
2
↵2
3
2
⇣1
3
1
⇣2
3
◆
Tali violazioni sono osservabili solo su sistemi ad alto
rapporto Eg /m
4
⇣
Eg
= 1R
m
⇢~rd3 r
Z Z
G
⇢~r⇢~r0 3 0 3 ⌘
d rd r
|~r ~r0 |
(5.56)
In realtà si è anche argomentato che la validità di UFF implica anche
che siano vere LLI e LPI e quindi inglobi in qualche modo sia EEP che
la SEP.
5.7. I LIMITI SPERIMENTALI DEI PARAMETRI PPN93
dove ⇢ è la densità del corpo. Per sistemi da laboratorio si
hanno valori dell’ordine di Eg /m ⇠ 10 27 ; per avere rapporti più grandi si devono considerare corpi quali la Luna
( ⇠ 2 · 10 11 ), la Terra ( ⇠ 4.6 · 10 10 ) o ancor meglio il
Sole (⇠ 10 5 ). Nel caso di violazione del SEP sul sistema
Terra-Luna-Sole si dovrebbe osservare una crescente polarizzazione dell’orbita Terra-Luna, perché il diverso contenuto
di energia auto-gravitante della Terra e della Luna farebbe
cadere in modo diverso i due corpi verso Sole. Ciò è noto
in letteratura come e↵etto Nordtvedt [?]. La deformazione dell’orbita Terra-Luna propriamente calcolata porta alla
seguente relazione numerica:
r = 13.1 ⌘cos(!Luna
!Sole )t
dove r è misurato in metri, !Luna e !Sole sono le frequenze
di rotazione della Luna e del Sole, supposte circolari e viste
nel sistema di riferimento terrestre. Dal 1969 si e↵ettuano
regolarmente misure di Lunar Laser Ranging con accuratezze
migliori di 1 cm (ovvero 50 ps sul tempo di andata e ritorno
del segnale Terra -Luna). Sottraendo ai dati sperimentali gli
e↵etti perturbativi dovuti al campo classico del Sole e quello
degli altri pianeti, le interazioni mareali, le librazioni lunari,
gli e↵etti atmosferici, etc, etc....si è ottenuto il limite
|⌘| = (4.4 ± 4.5) ⇥ 10
5.7.4
4
L’incostanza delle costanti universali
Le violazioni delle invarianze LLI e LPI sono tali da influenzare i valori dei parametri
↵ 1 , ↵2 , ↵3 , ⇠
Valori diversi da zero di questi parametri possono indicare
un’anisotropia dello spazio tempo che si traduce in variazioni
locali di G nel tempo e/o una dipendenza dalla posizione nello
spazio. Si tratta di un tema di ricerca denso di proposte ed
esperimenti di varia natura quali le ricerche di anomalie nelle
maree terrestri, contributi anomali alle orbite planetarie e
lunari, auto-accelerazioni delle pulsar o variazioni dello spin
terrestre. Queste misure si possono tradurre in un limite
superiore del fattore
Ġ
= H0
(5.57)
G
94
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Per riassumere il vasto campo di esperimenti proviamo a
classificarli in tre grandi classi:
- esperimenti che misurano la variazione di G dagli istanti primordiali di creazione dell’universo ai giorni nostri
su una scala temporale superiori a 1010 anni. Tra questi collocheremo gli studi relativi alla nucleosintesi primordiale degli elementi e le anisotropie nella radiazione
cosmica di fondo che portano a limiti superiori di
Ġ
⇠ 10
G
13
anni
1
;
- misure su tempi dell’ordine di 109 - 1010 anni, senza per
questo coinvolgere osservazioni relative ai primi istanti
di nascita dell’universo. In questa categoria si possono
classificare i limiti ottenuti sulla base di osservazioni
paleontologiche o di astrofisica stellare, includendo tra
queste ultime anche le osservazioni di Eliosismologia,
pulsar in sistemi binari e ammassi globulari. In questi
casi i limiti sono
Ġ
⇠ 10
G
11
10
12
anni
1
;
- la terza classe è relativa ad esperimenti condotti su una
scala dei tempi della vita umana, ovvero dell’ordine del
decennio. In questo caso l’attenzione si sposta sullo
studio di possibili variazioni delle orbite dei pianeti, del
moto di rivoluzione di un sistema binario contenente
una pulsar e/o oscillazioni di nane bianche. I limiti
ottenuti sono
Ġ
⇠ 10
G
10
10
11
anni
1
.
Sebbene i risultati della prima categoria pongano i limiti più
restrittivi sulle variazioni a lungo termine di G, bisogna notare che esse dipendono dal modello di Big Bang assunto e
dalla relativa forma della variazione di G.
Riportiamo in tabella ?? lo stato dell’arte per questa quantità
5.8. CONCLUSIONI
95
Metodo
LLR
1913 + 16
Eliosismologia
Nucleosintesi primordiale
5.7.5
Ġ/G (10 13 anni
4±9
40 ± 50
0 ± 16
0±4
1)
Limiti sui parametri relativi alle leggi di
conservazione
Concludiamo questa lunga sezione sui limiti sperimentali dei
parametri PPN, riportando i risultati di test sulle leggi di
conservazione che coinvolgono
↵ 3 , ⇣1 , ⇣2 , ⇣3 , ⇣4 ,
(5.58)
In realtà il parametro zeta4 non è indipendente dagli altri.
Infatti esiste un legame teorico fra le quantità ⇢v 2 , ⇢⇧, p cosı̀
che un’opportuna combinazione lineare di tre dei parametri
può consentirci di ricavare ⇣4 :
⇣4 = 3↵3 + 2⇣1
3⇣3
(5.59)
I limiti più significativi sono dedotti dalle osservazioni dei
sistemi binari di stelle di neutroni quali il PSR1913+16, di
cui parleremo a lungo nel capitolo dedicato alle Onde Gravitazionali. Come abbiamo visto nel primo capitolo di questo
testo, la violazione della conservazione della quantità di moto
nel sistema binario, è associabile alla non identificazione della
massa gravitazionale attiva con quella passiva. Questo determinerebbe l’esistenza di una auto-accelerazione del centro di
massa del sistema binario
~acdm =
1
m1 m2 m1 m2
(⇣2 + ↵3 )
2
a3
m1 + m2 (1
e
~n (5.60)
e2 )3/2
Dai dati osservativi della pulsar PSR1913+16 è stato dedotto uno dei migliori limiti superiore delle quantità
|↵3 + ⇣2 | = 4 · 10
5.8
5
⇣2 = 4 · 10
5
Conclusioni
Quarant’anni di esperimenti basati sulla deflessione della luce, le osservazioni relative alla precessione del perielio, le mi-
96
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Parametro
1
⇠
↵1
E↵etto
(i) deflessione luce
(ii) time delay
(i) precessione perielio
(ii) E↵etto Nordtvedt
Maree terrestri
Polarizzazione orbitale
Limite
3 · 10 4
2.3 · 10 5
3 · 10 3
5 · 10 4
10 3
10 4
↵2
↵3
⌘
⇣1
⇣2
⇣3
⇣4
Precessione spin solare
Accelerazione pulsar
E↵etto Nordtvedt
Moto binarie
III legge di Newton
-
4 · 10 7
2 · 10 20
10 3
2 · 10 2
4 · 10 5
10 8
-
1
Note
VLBI
Cassini tracking
J2 = 10 7 eliosismologia
Assumendo ⌘ = 4
3
Gravimetri
Lunar laser ranging
Orbita PSR J2317+1439
Allineamento eclittica
Statistiche Ṗ pulsar
Lunar laser ranging
Limiti PPN combinati
P̈ PSR 1913+16
Accelerazione lunare
Non independente
Tabella 5.3: Limiti superiori dei parametri PPN (2005).
sure del ritardo di Shapiro sfruttando pianeti e satelliti come riflettori, le osservazioni geofisiche e astronomiche, hanno
tutte portato a concludere che
i limiti ottenuti sui valori dei parametri del formalismo PPN
sono consistenti con quanto previsto dalla Relatività Generale.
Riportiamo qui la tabella ?? riassuntiva della situazione al
2005.
Ciò non toglie che lo sforzo sperimentale per individuare
una crepa nelle previsioni della teoria einsteiniana continui.
Sono state proposte nuove missioni spaziali incentrate sui test
PPN quali
- Global Astrometric Interferometer for Astrophysics (GAIA, successore di Hipparcos, 2011). L’obiettivo è di misurare
tramite deflessione della luce con precisione
10 6 .
- Laser Astrometric Test of Relativity (LATOR). La missione intende utilizzare la tecnica del laser ranging su
una coppia di satelliti in opposizione alla Terra rispetto
al Sole. L’obiettivo ambizioso è una misura di con
precisione 10 8 e la possibilità di osservare e↵etti del
secondo ordine sulla deflessione della luce.
5.8. CONCLUSIONI
97
- Bepi-Colombo è una missione ESA che prevede il lancio di un satellite in orbita attorno a Mercurio. La
durata della missione dovrebbe consentire in due anni
di ottenere un limite su
⇠ 3 · 10 5 ,
⇠ 3 · 10 4 ,
↵1 ⇠ 10 5 , Ġ/G ⇠ 10 13 /anno ed una precisione su
J2 di 3 · 10 8 . In otto anni d’osservazione poi i fattori
di guadagno sarebbero 2 ÷ 5 su , ↵1 , J2 e 15 su Ġ/G.
In conclusione, la spinta a dare basi sperimentali più solide alla teoria della gravitazione continua e nuovi limiti ai
parametri PPN si aggiungeranno presto a quelli qui presentati.
98
CAPITOLO 5. IL FORMALISMO PPN
Capitolo 6
Il Gravitomagnetismo
6.1
Introduzione
Tra gli e↵etti post-newtoniani del moto di particelle in orbita
attorno ad una sorgente primaria di massa-energia vi è l’e↵etto Lense-Thirring, o e↵etto di trascinamento dei riferimenti
inerziali (frame-dragging). Le correnti di massa-energia producono, su una particella massiva in movimento, una forza
analoga alla forza di Lorentz agente su una particella carica in
movimento in presenza di un campo magnetico. Questa forza
non-newtoniana, denominata gravitomagnetica per la stretta
analogia fra la geometrodinamica e l’elettrodinamica nel limite di basse velocità e campi deboli, è prodotta dal campo
gravitomagnetico della massa rotante (ovvero dal momento
angolare del corpo centrale); essa rappresenta una nuova peculiarità della Relatività di Einstein rispetto alla teoria della
Gravitazione di Newton.
Come una carica elettrica in movimento genera un campo
magnetico, cosı̀ nella relatività generale una massa in rotazione genera un potenziale gravitazionale, che si aggiunge
alla attrazione gravitazionale prevista in teoria newtoniana.
Questo ulteriore potenziale produce una forza torcente, chiamata gravitomagnetica. Essa può esercitarsi su una massa
posta nelle vicinanze e dotata di momento angolare orbitale (ad esempio un satellite in orbita attorno alla Terra) o di
momento angolare di spin (cioè rotante attorno al proprio
asse).
Il gravitomagnetismo è stato formalizzato in maniera completa e precisa per la prima volta dai fisici Lense e Thirring nel
1918 [?]. Si racconta che Lense, descrivendo il fenomeno ad
99
100
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
Einstein, concludesse che questo confermava l’idea di Einstein
stesso in merito all’e↵etto di trascinamento dei sistemi di riferimento inerziali da parte delle masse in rotazione (frame
dragging, come lo chiamava Einstein). Lense però pensava che
non era possibile mettere in evidenza sperimentalmente questo fenomeno a causa della sua estrema debolezza. Einstein,
invece, osservò che, essendo l’e↵etto inversamente proporzionale al cubo della distanza, forse un giorno si sarebbe potuto
misurare mediante un oggetto artificiale molto più vicino alla
Terra.
6.2
Il potenziale gravitomagnetico
Per illustrare il fenomeno nel quandro della Relatività Generale ripartiamo dalle equazioni di Einstein già introdotte nel
precedente capitolo:
1
8⇡G
gµ⌫ R = 4 Tµ⌫
2
c
Rµ⌫
(6.1)
Proviamo a ricavare la soluzione delle equazioni di Einstein
ipotizzando di essere in condizioni di piccola perturbazione
dello stato di spazio-tempo piatto
gµ⌫ ' ⌘µ⌫ + hµ⌫
(6.2)
Limitiamoci per ora a calcolare i termini perturbativi della
metrica hµ⌫ nel vuoto. Successivamente discuteremo il suo
e↵etto su particelle di prova nello spazio vuoto.
Introducendo il tensore metrico perturbato nella definizione
del tensore di Ricci, le equazioni di capo assumono la nuova
forma:
Rµ⌫ '
@
@x⌫
µ
@
@x
µ⌫
(6.3)
Per la connessione affine si ha
1
@
@
@
' ⌘ ⇢ [ µ h⇢⌫ + ⌫ h⇢µ
hµ⌫ ]
(6.4)
2
@x
@x
@x⇢
dove abbiamo trascurato i termini di ordine uguale o superiore a h2 in entrambe le espressioni.
Osserviamo che, sotto l’ approssimazione in cui sopravvivono solo i termini in h, tutti gli indici dei tensori sono alzati
µ⌫
6.2. IL POTENZIALE GRAVITOMAGNETICO
101
e abbassati tramite il tensore dello spazio-tempo piatto ⌘µ⌫
invece di gµ⌫ . Ad esempio si ha:
⌘ ⇢ h⇢⌫ = h
⌘
⌫
⇢
@
@
=
⇢
@x
@x
Ora combinando le due espressioni ??, ??, si ha:
✓
@2
h
⌫
@xµ @x⌫
(6.5)
Da essa otteniamo cosı̀ le equazioni di Einstein in forma
semplificata:
Rµ⌫ '
1
@2
@2
hµ⌫
h
2 @x @x
@x @xµ
@2
hµ⌫
@x @x
@2
h
@x @xµ
⌫
@2
h
@x @x⌫
@2
h
@x @x⌫
µ+
µ+
@2
h
@xµ @x⌫
=
16⇡G
Tµ⌫
(6.6)
c4
Qui abbiamo introdotto un nuovo quasi tensore Tµ⌫ definito
come
1
Tµ⌫ = Tµ⌫
⌘µ⌫ T
2
Si noti che il tensore Tµ⌫ che abbiamo considerato al primo
ordine in hµ⌫ , soddisfa le ordinarie condizioni di conservazione:
@ µ
T ⌫ =0
(6.7)
@xµ
Notiamo inoltre che, nell’espressione di sinistra della ?? appare al primo termine l’operatore di D’Alambert applicato
alla perturbazione metrica. Cercheremo ora, in virtù di una
opportuna trasformazione di coordinate equivalente alla trasformazione di ricalibratura di Lorentz (gauge di Lorentz)
dell’elettromagnetismo, di porre a zero gli altri termini.
Imponiamo un cambiamento di variabile:
=
hµ⌫ = h̃µ⌫
1
⌘µ⌫ h̃
2
dove h̃ è lo scalare ottenuto dalla contrazione degli indici:
h̃µ⌫ . La trasformazione inversa è la seguente:
h̃µ⌫ = hµ⌫
1
⌘µ⌫ h
2
con h definito in modo equivalente (h =
h̃).
◆
102
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
Inoltre, la trasformazione generale di coordinate che preserva
l’approssimazione di campo debole è:
0
xµ ! x µ = xµ + ✏µ (x)
Questa nuova scelta di coordinate corrisponde ad una ulteriore cambiamento della definizione della metrica data da
g
0 µ⌫
0
0
@x µ @x ⌫
=
g
@x @x⇢
⇢
0
Di consequenza introdurremo una nuova h̃µ⌫ definita come
@✏µ
@x⌫
0
h̃µ⌫ = h̃µ⌫
@✏⌫
@xµ
0
È possibile verificare che h̃µ⌫ è ancora una soluzione delle
equazioni linearizzate del campo (invarianza di gauge), con
✏µ funzione arbitraria delle coordinate. Se ~✏ é scelto in modo
tale da verificare le quattro condizioni delle gauge di Lorentz,
@ h̃µ⌫
=0
@xµ
(6.8)
Allora le equazioni di campo assumono la forma:
@ 2 h̃µ⌫
=
@x @x
con
gµ⌫ = h̃µ⌫
16⇡G
Tµ⌫
c4
(6.9)
1
⌘µ⌫ h̃ + ⌘µ⌫
2
(6.10)
Supponiamo ora che la materia sia un fluido perfetto di densità ⇢, costituito da n particelle non interagenti che si muovono in moto stazionario con velocità vm u. Potremmo
scrivere quindi che
T00 = ⇢
T0⌫ = ⇢
Tµ⌫ = ⇢
v⌫
c
1
vµ v⌫
c2
Inoltre dalla condizione di stazionarietà segue immediatamente che la perturbazione metrica non dipende dal tempo.
6.2. IL POTENZIALE GRAVITOMAGNETICO
103
Riconoscendo infine che la combinazione di quelle derivate parziali seconde nelle sole variabili spaziali dell’equazione ?? può essere riscritta in forma compatta introducendo
l’operatore Laplaciano , si ha
16⇡G
Tµ⌫
c4
h̃µ⌫ =
(6.11)
L’insieme delle soluzioni dell’equazioni ?? può essere immediatamente dedotto dall’analogia formale con l’elettromagnetismo
1 (em)
jµ
✏o
Aµ =
(6.12)
dove jµ (em) rappresenta il quadrivettore corrente e Aµ il quadripotenziale elettromagnetico.
Il potenziale tensore h̃ µ gioca il ruolo del potenziale vettore Aµ dell’elettromagnetismo, mentre il tensore impulsoenergia Tµ⌫ emula la quadricorrente jµ (em) :
h̃00 = G
Z
⇢(r0 , t) 3 0
d r
|r r0 |
(6.13)
rappresenta il potenziale gravito-elettrico
h̃0⌫
G
=
c
Z
⇢(r0 , t)v⌫ 3 0
d r
|r r0 |
(6.14)
rappresenta il potenziale gravito-magnetico
h̃µ⌫ =
G
c2
Z
⇢(r0 , t)vµ v⌫ 3 0
d r
|r r0 |
(6.15)
è un termine di ordine superiore. A grande distanza e nel caso
di un corpo isolato di massa M le espressioni sopra riportate
diventano:
h̃00 = U (r) = G
M
r
h̃0⌫ =
~ ⌫
G (~r ⇥ L)
2
r3
(6.16)
~ è il momento angolare della massa rotante M e h̃0⌫
dove L
possono essere interpretate come le componenti spaziali di un
vettore potenziale gravito magnetico ~h.
104
6.3
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
La precessione
Per a↵rontare la trattazione rigorosa dell’e↵etto del potenziale gravitomagnetico su una particella, dovremmo dedurre la
soluzione dell’equazione geodetica per le quattro componenti,
utilizzando la metrica di Kerr per rappresentare le proprietà
dello spazio-tempo. Il ds2 in coordinate polari è:
ds2 =
(1
2GM 2 2
2GM dr2
)c dt + (1 + 2 )
2
c r
c r +
4GL
sin2 ✓d dt
c2 r
dove L è il momento angolare della massa M .
Tuttavia, noi tratteremo il problema in un modo meno rigoroso ma fisicamente più intuitivo. Se la massa di prova è un
punto materiale che risente di un debole campo gravitazionale stazionario, noi scriveremo direttamente l’equazione classica del moto di una particella alla luce delle considerazione
sviluppate nel paragrafo precedente:
+r2 d✓2 + r2 sin2 ✓d
d2~r
=
dt2
2
+
~ + 2~v ⇥ (r
~ ⇥ ~h)
rU
(6.17)
Questa equazione è formalmente analoga a quella di una par~ ) e magnetico (r⇥
~ ~h).
ticella carica in un campo elettrico (rU
L’ultimo termine dell’equazione rappresenta la parte gravito
magnetica dovuta alla rotazione del corpo M e descrive l’effetto Lense-Thirring. Questo è la rotazione del sistema di
riferimento (localmente non rotante rispetto alle stelle fisse)
a causa della rotazione del corpo rotante M (trascinamento
del sistema inerziale o frame dragging). Supponendo che la
particella sia un satellite che ruota attorno alla Terra, tale
interazione si traduce in una precessione del momento angolare orbitale del satellite intorno alla terra. Pertanto, il piano
dell’orbita del satellite non è più fisso ma precede. Cosı̀ il pericentro (perielio) o i nodi (intersezioni delle orbita del satellite con il piano equatoriale della Terra) si muovono. Questo
è un e↵etto osservabile in un esperimento proposto da Ciufolini [?], basato sulla tracciamento delle orbite eccentriche di
due satelliti, il cui moto è descritto sulla base delle ?? e ??
dall’equazione
d2~r
=
dt2
GM
~r
2G d~r
~
+ 2 3
⇥ (L
3
r
c r dt
~ · ~r)
3(L
~r
)
r2
(6.18)
6.3. LA PRECESSIONE
105
Per completezza, al secondo membro di questa equazione dovremmo aggiungere un termine di accelerazione ~a che simboleggia il contributo aggiuntivo dei termini non lineari del
campo di gravitazione newtoniana, dovuti all’estensione finita
della distribuzione di masse generanti il campo
In realtà un satellite in orbita, ruotando su se stesso, è
meglio rappresentato come un giroscopio che risente del campo gravito elettrico e quello gravito magnetico. Esso è dotato
~ e, per determinare il suo comportamento nel campo
di spin S
gravitazionale dell’oggetto rotante M , occorre introdurre un
sistema di coordinate ortogonali co-moventi ma non rotanti.
Sia dunque l’origine del riferimento nel centro del giroscopio,
l’asse z parallelo al momento angolare L della Terra e l’asse
x giacente nel piano orbitale e stabilmente orientato rispetto
alle stelle lontane.
L’ approccio non rigoroso è di continuare a sfruttare l’analogia formale con l’elettromagnetismo, rappresentando il giro~ come un dipolo gravitomagnetico. È ben
scopio con spin S
noto infatti che ai corpi estesi, uniformemente carichi con ca~ si associa
rica q e massa m, dotati di momento angolare S,
~
un momento magnetico pari a µ
~ B = (q/2m)S. Quindi, alla massa rotante assoceremo un momento gravito magnetico
~
pari a µ
~ g = S/2.
In presenza di un campo gravito magnetico
~g = r
~ ⇥ ~h = r
~ ⇥
B
⇣
2
~ ⇥ ~r ⌘
L
=
r3
2
~
r̂(r̂ · L)
r3
~
L
il giroscopio sarà sottoposto ad un momento meccanico
~
~ =µ
~ g = dS
M
~g ⇥ B
dt
Questo porta ad una equazione analoga a quella dell’elettromagnetismo che descrive la precessione di Larmor [?]:
~
dS
~ ⇥S
~
=⌦
d⌧
(6.19)
~
essendo ⌦
~ = ~v ⇥ (
⌦
1
~a
2
3 ~ ~⌘ ~ ~
r⇥h +r⇥h
2
(6.20)
Qui abbiamo introdotto anche un termine aggiuntivo ~v ⇥
~a, chiamato precessione di Thomas, dedotto anche in fisica atomica. Esso descrive la precessione dello spin causato
106
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
~ ⇥ ~h , è denoda forze inerziali. Il secondo termine, ~v ⇥ r
minato precessione geodetica o precessione di de Sitter ed a
questo termine contribuisce il solo il potenziale Newtoniano. Nel caso in cui oseervassimo l’e↵etto su un satellite orbitante attorno alla Terra, questo contributo di precessione
dipenderebbe dalla sola massa terrestre. L’ultimo termine,
~ ⇥ ~h dipende esclusivamente dal campo gravitomagnetir
co, un contributo puramente post-newtoniano denominato
e↵etto Lense-Thirring: il satellite attorno alla Terra risentirà di questo contributo aggiuntivo che dipende dal momento
angolare terrestre.
6.4
Le osservazioni sperimentali
Per dare dei valori numerici previsti sia per il termine di de
Sitter che per quello di Lense-Thirring, consideriamo un gi~ in un’orbita polare circolare. Introduciaroscopio con spin S
mo un sistema di coordinate ortogonali co-moventi, ma non
~ della
rotante con l’asse z parallelo al momento angolare L
Terra e l’asse x giacente sul piano orbitale, che ha una posizione fissa rispetto alle stelle lontane. Il vettore ~r individua
la posizione dell’origine del sistema di riferimento rispetto al
centro della Terra:
~r = (r cos!o t, 0, r sin!o t)
dove !o è la velocità orbitale del satellite
1
!o =
r
s
GM
r
La velocità angolare di precessione ⌦ risulta allora:
⇣ 3GL
3
⌦=
sin2!o t ,
3
2
2r c
2
s
GM GM
GL
,
(1
2
2
r r c
2r3 c2
3 cos2!o t)
⌘
Queste scelte consentono di separare i due contributi di LenseThirring e de Sitter: ⌦x e ⌦z sono puri termini Lense-Thirring,
~
⌦y è di pura origine geodetica. Decomponendo il vettore S
in coordinate sferiche
Sx = S cos sin✓,
Sy = S sin sin✓,
Sz = S cos✓
6.4. LE OSSERVAZIONI SPERIMENTALI
107
~ si deduce dalla equazione vettoriale ??
con S = |S|,
d
=
dt
⌦x cos cotg✓
⌦y sin cotg✓ + ⌦z
d✓
= ⌦x sin + ⌦y cos
dt
Si noti che questi e↵etti di precessione sono cumulativi.
~ sia perpendicolare a
Assumendo poi che all’istante iniziale S
~ ovvero (t = 0, = 0, ✓ = ⇡/2), si può mettere in evidenza
L,
separatamente la precessione secolare relativa ai due e↵etti:
✓
3
= ⌦y =
t
2
s
GM GM
r r 2 c2
GL
t
2r3 c2
Per completare l’esempio ipotizziamo di utilizzare un satellite
a r = 6421 km da dal centro della Terra ( 650 km di altezza)
avremo
=
t
= 6.6 arcsec/anno
✓
= 0.041 arcsec/anno
t
Le orbite dei satelliti sono influenzate da questo fenomeno
mascherato però da molteplici altri e↵etti: tramite la misura
accurata dell’orbita ed introducendo una grande quantità di
correzioni sulle previsioni dell’orbita stessa, è stato possibile
misurare l’entità del gravitomagnetismo comparandolo con
quanto previsto dalla Relatività Generale.
Considerando un satellite in orbita attorno alla Terra,
l’e↵etto LenseThirring è responsabile di una precessione della longitudine del nodo ascendente cosı̀ come dell’argomento
del perigeo dell’orbita. L’e↵etto secolare sull’orbita è molto
piccolo, meno di 2 m per anno sul nodo di satelliti quali il
LAGEOS I, ( lanciato dalla NASA) e LAGEOS II (una collaborazione ASI/NASA). Si tratta di di oggetti di cui si conosce
con maggiore accuratezza la posizione nello spazio per mezzo
della tecnica di inseguimento laser denominata Satellite Laser Ranging (SLR). La SLR consente la determinazione della
posizione dei LAGEOS con una precisione di pochi mm nei
punti dell’orbita e con uno scarto quadratico medio della distanza di circa 2 - 3 cm su tempi di osservazione dell’ordine
di 15 giorni.
108
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
Figura 6.1: La terra che ruota con velocità angolare ! e momento angolare L crea un campo gravito-magnetico con linee
di forza analoghe a quelle del campo di un dipolo magnetico.
Un giroscopio con il momento angolare di spin S si muove
intorno alla Terra lungo un’orbita polare circolare geodetica
(linea continua spessa). L’e↵etto Lense-Thirring consiste nella precessione di S intorno alla direzione data dalle linee del
! !
campo di r ⇥ h .
Figura 6.2: Foto di uno dei satelliti LAGEOS ( LAser GEOdynamic Satellite), lanciati rispettivamente il 4/5/1976 e il
22/10/1992. Il corpo esterno di alluminio è una sfera di 60
cm di 117 kg, che ospita al suo interno un corpo massiccio di
rame-berillio di 175 kg. La superficie è coperta per il 42 %
da 426 retro-riflettori (422 di silicio e 4 di germanio) ciascuno
di dimensione 1.9 cm e 33.2 gr di peso.
6.4. LE OSSERVAZIONI SPERIMENTALI
109
Figura 6.3: Mappa del Geoide terrestre prodotta dall’istituto
GFZ del German Research Centre for Geosciences a Postdam.
La scala dei colori è espressa in mgal.
La condizione ottimale per misurare la precessione relativa della linea dei nodi di una coppia di satelliti è che siano
posti su orbite inclinate di angoli supplementari. Ciò consentirebbe di cancellare l’e↵etto dominante di precessione (126o
all’anno) causata dai momenti di multipolo del campo newtoniano terrestre. Sfortunatamente i due satelliti a disposizione
non erano su orbite del tutto appropriate. Tuttavia, in attesa del lancio di un satellite dedicato (LARES), Ciufolini and
Pavlis (2004) sono riusciti a combinare i dati LAGEOS con
la previsione dell’e↵etto classico di precessione estratto grazie ad un modello dettagliata del campo newtoniano terrestre
basato su dati di satelliti per la Geodesia, l’europeo CHAMP
(Challenging Minisatellite Payload) e il satellite della NASA
GRACE (Gravity Recovery and Climate Experiment). Essi
hanno verificato che la precessione relativistica coincide con
quella predetta dalla teoria di Einstein entro un errore del
6% [?].
Nel 2012 anche il satellite LARES è stato lanciato dall’Agenzia Spaziale Italiana: si attende ora che si accumulino i
dati ottenere un risultato al meglio del percento.
La misura diretta dell’e↵etto di precessione di un giroscopio nel campo gravitazionale della Terra in rotazione è stato
l’obiettivo scientifico della missione NASA Gravity Probe-
110
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
Figura 6.4: A sinistra disegno schematico delle orbite dei
due satelliti LAGEOS. A destra il laser del SHIMOSATO
Hydrographic Observatory per il tracciamento dell’orbita dei
satelliti.
B. Riferendoci alle grandezza precedentemente introdotte,
Gravity probe-B si proponeva:
1. la misura di ⌦LT = 0.04100 / anno dovuto alla rotazione
terrestre con precisione nominale del 1%
2. la misura di ⌦Geo = 6.600 anno con precisione ⇠ 10
5
Il satellite, lanciato il 20 Aprile 2004, è stato posto su
un’orbita polare a 650 km di altitudine. In esso erano collocati 4 rotori sferici (3.8 cm) di quarzo ricoperti da uno strato
di niobio superconduttore (T < 9 K). Questi piccoli giroscopi
erano ra↵reddati al di sotto delle temperatura di transizione
superconduttrice. Attorno alle sfere, dotate di momento magnetico parallelo al loro momento angolare, erano poste delle
bobine superconduttrici accoppiate a magnetometri ad e↵etto Josephson (SQUID). Quando le sfere precedevano, nelle
bobine si induceva una corrente misurata tramite lo SQUID.
Il satellite era equipaggiato anche con un telescopio puntato sulla stella lontana IM-Pegasi che costituiva l’elemento
base di un sistema di controllo che comandava dei razzi correttori d’assetto del satellite. Il sistema di puntamento era
basato su misure VLBI del moto di IM-Pegasi relativo ai
quasar lontani. In questo modo si realizzava il sistema di ri-
6.5. GRAVITOMAGNETISMO E PARAMETRI PPN 111
ferimento co-movente con assi ad orientamento fisso rispetto
alle stelle lontane.
I dati raccolti nel periodo 28 Agosto 2004 -14 Agosto 2005,
sono stati analizzati a lungo per raggiungere l’obiettivo annunciato di verifica dell’e↵etto di precessione previsto dalla
relatività generale al meglio del 1%. Tra i tanti problemi affrontati, citiamo qui lo sforzo di sottrarre l’e↵etto residuo dovuto al dipolo elettrico delle sferette: nella fase di deposizione
del niobio su quarzo non si è ottenuto un livello di uniformità
dello strato metallico tale da impedire la formazione di un
residuo momento di dipolo elettrico. La modellizzazione dettagliata del dipolo elettrico ha presentato notevoli difficoltà
influenzando l’errore sulla misure dell’e↵etto di precessione.
Dopo sommi sforzi, nel maggio del 2011 è stato ufficialmente
annunciato durante una riunione organizzata presso la sede
entrale della NASA a Washington D.C., che i risultati sperimentali erano in accordo con le previsioni della Relatività
Generale [?] entro
• 0.28 % per l’e↵etto di precessione geodetica (termine di
de Sitter)
• 19 % per il termine di Lense -Thirring.
Concludiamo notando che anche il sistema Terra-Luna
può essere visto come un “giroscopio” con asse perpendicolare
al piano orbitale. La precessione prevista da de Sitter su
questo sistema è di circa 2” per secolo. Tale e↵etto è stato
misurato mediante LLR con una precisione dello 0.6 %.
6.5
Gravitomagnetismo e parametri PPN
L’e↵etto gravito magnetico può essere dedotto anche utilizzando la metrica PPN introdotta nel capitolo precedente. In
questo caso si ha che la precessione dello spin è descritta
dall’equazione
~
dS
~ ⇥S
~
=⌦
d⌧
~ =
⌦
1
~v ⇥ ~a
2
⇣
1~
1⌘
~
r ⇥ ~g +
+ ~v ⇥ rU
2
2
~g = g0i~ei
(6.21)
112
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
Figura 6.5: In alto a sinistra si vede la foto di uno dei quattro
giroscopi di niobio. Accanto è riportato lo schema di principio
di rivelazione del moto di precessione con l’uso di uno SQUID.
In basso le foto del payload prima del lancio e il missile appena
partito.
6.5. GRAVITOMAGNETISMO E PARAMETRI PPN 113
Anche in questo caso si riconoscono i due contributi di precessione: il primo è la precessione geodetica dipendente dalla curvatura dello spazio-tempo, ed in esso interviene il solo parametro . Tale contributo è descritto dalla seguente
relazione:
1
~
~
⌦
(6.22)
Geo = 2 (1 + 2 )~v ⇥ rU
Il secondo è legato al trascinamento di riferimenti inerziali
causato dall’accoppiamento spin-spin con il corpo centrale.
Questo è l’e↵etto di precessione Lense-Thirring in cui
interviene anche il parametro ↵1 :
~
⌦
LT =
1
(1 +
2
+
↵1 G ~
)
(J
4 r 3 c2
~ n)
3(~n · J)~
(6.23)
La precessione dovrebbe essere un e↵etto ben visibile in
alcuni sistemi binari di stelle di neutroni contenenti una pulsar. Il numero di tali sistemi, recentemente individuati con
i radiotelescopi, sta crescendo e vi sono quindi delle serie
prospettive per dedurre limiti sui parametri PPN anche attraverso l’osservazione degli e↵etti gravitomagnetici..
114
CAPITOLO 6. IL GRAVITOMAGNETISMO
Capitolo 7
Le Onde
Gravitazionali.
7.1
Introduzione
La prima citazione del concetto di onda gravitazionale degna
di nota risale al 1893. In questo anno O. Heaviside pubblica
il suo libro di teoria dell’elettromagnetismo ed assume l’esistenza della radiazione gravitazionale per analogia con la
propagazione elettromagnetica, .
Più tardi, nel 1905 Henry Poincaré, in un lungo articolo
della rivista del Circolo Matematico di Palermo, ipotizza che
tutte le forze siano soggette alle trasformazioni di Lorentz,
come nel caso elettromagnetico. Se si impone questa condizione anche al caso gravitazionale, ne consegue che anche
l’interazione gravitazionale si propaga alla velocità della luce.
Va sottolineato che questa lavoro fu scritto prima dell’articolo
di A. Einstein sulla Relatività Ristretta.
La derivazione esplicita dell’esistenza di una propagazione ondulatoria dell’interazione gravitazionale è presentata da
A. Einstein, il 22 Giugno 1916 a Berlino, in occasione della
riunione del Königlic Preussichen Akademie der Wissenchaften. In questa occasione Einstein dimostra che le equazioni
del campo gravitazionale possono essere linearizzate sotto la
condizione di piccole perturbazioni |hµ⌫ | ⌧ 1 della metrica
di Minkowski ⌘µ⌫ .
In questa approssimazione le equazioni di campo sono linearizzate e le quantità hµ⌫ si derivano scrivendo l’analoga
soluzione dei potenziali ritardati dell’elettromagnetismo.
115
116
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Un anno dopo Einstein presenta un secondo lavoro [?].
Si tratta di una rassegna completa di argomenti quali l’assorbimento delle onde incidenti su sistemi meccanici ed in
esso è possibile ritrovare l’espressione della potenza irraggiata in onde gravitazionali da un sistema in moto e la relativa
luminosità LG 1 :
LG =
G X d3
(
Dkh )2
5c5 kh dt3
(7.1)
dove G = 6.667 · 10 11 m2 kg 1 s 2 è la constante di gravitazione e c la velocità della luce. La quantità Dkh , con
k, h = 1, 2, 3, è il momento di quadrupolo del sistema definito
dalla seguente relazione:
Dkh =
Z
V
⇢(xk xh
1
3
kh x
2
)dV
(7.2)
Dopo questa fondamentale analisi per lungo tempo il problema delle onde gravitazionali è considerato solo come un
argomento interessante per le indagini teoriche. Occorre attendere gli anni 1956 - 1959, per vedere a↵rontata la questione
della rilevazione delle onde gravitazionali in chiave sperimentale. Innanzitutto dobbiamo citare il lavoro di H. Bondi et
al. [?] dove si dimostra in termini invarianti che tale radiazione trasporta energia e quindi è fisicamente osservabile. Pirani
analizza la questione della rivelazione diretta, ma è con J. Weber dell’Università del Maryland che inizia lo sforzo straordinario per portare il problema delle onde gravitazionali nel
campo della fisica sperimentale.
Poi, progressivamente la ricerca nel settore della gravitazione sperimentale si estende, proliferano gli esperimenti e si
intensifica in parallelo l’attività di elaborazione teorica. Durante il 1960 R. Penrose pubblica il suo lavoro sulla teoria
spinoriale della Relatività Generale [?], [?] e più tardi appare
la teoria scalar-tensoriale di Brans-Dicke [?]. A queste si aggiungono numerose altre teorie proposte da vari autori il cui
terreno di confronto sono gli e↵etti post-newtoniani, tradotti
in termini di valori previsti dei parametri PPN.
Il quadro teorico PPN è utilizzato anche per analizzare le osservazioni condotte su sistemi binari, come quello scoperto da
1
In realtà nel lavoro originale è presente un errore di calcolo, corretto
solo più tardi
7.1. INTRODUZIONE
117
Figura 7.1: Joseph Weber e la sua antena gravitazionale risonante equipaggiata al centro con i trasduttori
piezoelettrici.
118
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Taylor e Hulse nel 1974 [?], in cui gli e↵etti post-newtoniana
sono significativamente piú grandi. I sistemi binari si rivelano essere un perfetto laboratorio gravitazionale esistente nel
cielo non solo per la fisica post-newtoniana al primo ordine.
Nel 1978 Taylor annuncia che la misura del tasso di cambiamento del periodo orbitale del sistema risulta essere in accordo con la previsione della Relatività Generale relativa al
tasso di perdita di energia orbitale per emissione di radiazione
gravitazionale [?].
Questa osservazione indiretta dell’e↵etto delle Onde Gravitazionali, ra↵orza l’attività per la rivelazione diretta. Negli
anni che vanno dal 1980 al 2000 si sviluppano i rivelatori
risonanti criogenici. Nel primo decennio del nuovo secolo entrano in funzione gli interferometri con bracci di lunghezza
chilometrica in USA ed in Italia.
Nel decennio successivo si finalizza la costruzione della
seconda generazione di interferometri in configurazione avanzata e il 14 Settembre del 2015 i due interferometri LIGo
segnalano la prima osservazione diretta di un segnale di onda gravitazionale,emessa dalla coalescenza di due buchi neri.
L’annuncio della scoperta è dato , in USA e in Italia dalle collaborazioni LIGO e Virgo. È l’ 11 Febbraio del 2016,
cento anni dopo dalla pubblicazione dell’articolo di A. Einstein sulla Relatività Generale. Lo stesso giorno è pubblicato
il lavoro scientifico su Physical Review Letters [?], ove sono
riportati i risultati dell’analisi dei dati dell’evento, portata
avanti congiuntamente dalle due collaborazioni.
Agli interferometri LIGO in USA e Virgo in Europa, si
sta aggiungendo in questi ultimi anni un analogo rivelatore in Giappone. A meà degli anni 2020 sarà pronto anche
un quinti interferometro in India. Questi sistemi costituiranno una rete planetaria destinata a scrivere i nuovi capitoli
dell’Astronomia Gravitazionale e della Gravitodinamica.
7.2
L’equazione delle onde.
Proviamo ora a derivare dalle equazioni della Relatività Generale l’equazione delle onde. Come abbiamo già fatto nei
precedenti capitoli, la nostra trattazione assume valide le
7.2.
L’EQUAZIONE DELLE ONDE.
119
Figura 7.2: Cambiamento cumulativo del tempo di transito al
periastro del sistema doppio PSR 191316. Esso è interpretato
come dovuto alla perdita d’energia del sistema per emissione
di onde Gravitazionali. Si noti l’eccellente accordo con la
curva prevista in base alla teoria della Relatività Generale.
120
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
equazioni di Einstein della Relatività Generale [?]:
Rµ⌫
1
8⇡G
gµ⌫ R = 4 Tµ⌫
2
c
con µ, ⌫ = 1, 2, 3, 4
(7.3)
Per valutare gli e↵etti del campo su particelle di prova, descriviamo il moto di particelle liberamente gravitanti rispetto ad un determinato sistema di riferimento, deducendo la
soluzione dell’equazione della geodetica
d2 xi
+
ds2
i
dxm dxk
=0
mk
ds ds
(7.4)
con s coordinata curvilinea.
Come si vedrà nel prossimo capitolo, per osservare l’e↵etto
del cambiamento della metrica dovuto all’onda gravitazionaleè necessario studiare come una particella si muove rispetto
ad una altro corpo materiale. A questo scopo si deve considerare come due particelle si muovono l’una rispetto all’altra
descrivendo due linee geodetiche adiacenti. Descriviamo queste ultime utilizzando le coordinate xµ e xµ + ⇠ µ . Scelto
un sistema di riferimento localmente galileiano e ⇠ i = ⇠ µ il
vettore che connette le due geodetiche, si può dimostrare che
questo vettore è deducibile come soluzione dell’ equazione ottenuta sottraendo le equazioni delle due geodetiche adiacenti
(trascurando termini dell’ordine superiore in ⇠ µ ) [?]:
@2⇠i
+ um uh ⇠ k Ri mkh = 0
@s2
(7.5)
dove ui è la 4-velocità. Questa è l’ equazione della deviazione
geodetica, punto di partenza della trattazione teorica di un
qualunque rivelatore di onde gravitazionali.
Torniamo ora alle equazioni di campo ?? e deduciamo, in
approssimazione di campo debole,
gµ⌫ ' ⌘µ⌫ + hµ⌫
La soluzione di propagazione del campo nel vuoto, dove al
solito il tensore ⌘µ⌫ è quello dello spazio piatto di Minkowski
e |hµ⌫ | ⌧ 1.
In questa trattazione noi trascureremo la curvatura di fondo dello spazio-tempo che è cruciale per gli e↵etti su larga
scala. In altre parole noi cercheremo di mettere in evidenza
l’esistenza di piccole perturbazioni della metrica che si propagano nello spazio e nel tempo sovrapposte alla curvatura
quasi statica dovuta al Sole, alle galassie etc, etc.....
7.2.
L’EQUAZIONE DELLE ONDE.
121
In linea di principio questa a↵ermazione non ha una giustificazione evidente a priori, a causa della natura non lineare
delle equazioni ??. Tuttavia noi ci limiteremo a cercare soluzioni ondulatorie caratterizzate da lunghezze d’onda molto
più brevi della tipica lunghezza di scala della curvatura di
fondo. Assumiamo allora che il tensore di Riemann associato
alla soluzione ondulatoria abbia la forma
R↵
= (R↵
)T otal
(R↵
)Backgr.
dove (R↵ )Backgr. è ottenuto mediando su molte lunghezze
d’onda della radiazione.
Sotto queste ipotesi lo sviluppo analitico che segue, è assolutamente identico a quello presentato all’inizio del capitolo
sul Gravitomagnetismo. La sola cruciale di↵erenza è che non
imporremo la condizione di stazionarietà del moto e quindi
non avremo termini della metrica indipendenti dal tempo.
Quindi, dalle equazioni di Einstein, si giunge alla ??, che
riscriviamo per comodità del lettore:
@2
hµ⌫
@x @x
@2
h
@x @xµ
⌫
@2
h
@x @x⌫
=
µ
+
@2
h
@xµ @x⌫
16⇡G
Tµ⌫
c4
=
(7.6)
con
1
⌘µ⌫ T
2
che soddisfa le ordinarie condizioni di conservazione:
Tµ⌫ = Tµ⌫
@ µ
T ⌫ =0
@xµ
(7.7)
Notiamo di nuovo che l’espressione di sinistra della ??
corrisponde all’operatore di D’Alambert applicato alla perturbazione metrica. Imponendo poi il cambiamento di variabile
1
h̃µ⌫ = hµ⌫
⌘µ⌫ h
2
con h ottenuto dalla contrazione degli indici del tensore hµ⌫ ,
nella gauge di Lorentz per la quale si ha
@ h̃µ⌫
=0
@xµ
(7.8)
122
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
@ 2 h̃µ⌫
=
@x @x
16⇡G
Tµ⌫
c4
(7.9)
con
1
⌘µ⌫ h̃ + ⌘µ⌫
(7.10)
2
Queste equazioni di campo hanno assunto la ben nota forma
che ammette come soluzione per il tensore h̃µ⌫ quella tipica
dei potenziali ritardati.
Si noti altresı̀ che la gauge di Lorentz non vincola ancora in
modo univoco la scelta del sistema di riferimento. Infatti in
essa noi includiamo tutti i campi h̃µ⌫ per i quali
gµ⌫ = h̃µ⌫
h̃µ⌫ ! h̃µ⌫ +
@✏⌫
@✏µ
+ µ
@x⌫
@x
⌘µ⌫
@✏
@x
(7.11)
dove ✏µ sono funzioni arbitrarie che verificano le 4 condizioni
@ 2 ✏µ
=0
@x @x
(7.12)
Poichè hµ⌫ è un tensore simmetrico, esso ha 10 componenti
indipendenti. La scelta della gauge di Lorentz ?? elimina
4 gradi di libertà e, tenendo conto delle altre 4 condizioni
espresse dalle equazioni ??, concludiamo che esistono solo
due componenti indipendenti di hµ⌫ .
7.3
Le proprietà delle Onde Gravitazionali.
Per studiare le proprietà delle onde, consideriamo il problema
della propagazione nello spazio vuoto, ovvero imponiamo che
il tensore energia-momento sia nullo. L’equazione di campo
?? assume la classica forma dell’equazione d d’onda:
@ 2 h̃µ⌫
=0
@xm @xm
(7.13)
La soluzione più semplice di tale equazione è un’onda che si
propaga alla velocià della luce.:
h̃µ⌫ = Re[Aµ⌫ exp(jk↵ x↵ )]
(7.14)
Qui l’analogia con il caso dell’elettromagnetismo è quasi perfetta. L’equazione
k↵ k ↵ = 0
7.3. LE PROPRIETÀ DELLE ONDE GRAVITAZIONALI.123
è tipica di campi con particelle di scambio a massa nulla (il
gravitone). Imponendo la condizione di Lorentz alla soluzione
in onda piana
Aµ↵ k ↵ = 0
sotto un’opportuna trasformazione per Aµ⌫ , abbiamo il nuovo
tensore a traccia nulla
h̃kk = 0
h̃µ0 = 0
Una delle 4 relazioni che appare nell’ultima espressione (h̃00 =
0) implica che solo 3 delle condizioni di Lorentz siamo indipendenti. In particolare, imponendo l’opportuna scelta del
sistema di riferimento, abbiamo
h=0
hµ⌫ = h̃µ⌫
hµ0 = 0
hkk = 0
In questa gauge il tensore è a traccia nulla e sono diverse
da zero solo le componenti spaziali. Questa è la gauge T T (
trasformazione di ricalibratura Trasversa e a Traccia nulla)
e nel caso di un’onda che si propaga lungo la direzione x , si
ha
0
0
0
0
0
0
0
hyy
hyz
1
0
0 C
C
hyz A
hyy
(7.15)
h = Re[A exp( j(!t
x/c))]
(7.16)
h⌦ = Re[A⌦ exp( j(!t
x/c))]
(7.17)
hT T µ⌫
0
B0
=B
@0
0
In sintesi l’onda è trasversa e dipende di fatto da due
soli termini del tensore metrico. È quindi invalso l’uso di
rappresentare la generica onda come combinazione lineare di
due componenti
corrispondenti a due stati indipendenti di polarizzazione. I
due stati sono rappresentati tramite i tensori e , e⌦ e le due
quantità scalari a , a⌦ cosı̀ che
A =a e
A⌦ = a ⌦ e ⌦
I due tensori di polarizzazione possono essere espressi anche
tramite il prodotto vettore di due versori
124
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
~ey , ~ez
0 1
0 1
0
B0C
C
~ey = B
@1A
0
0
B0C
C
~ez = B
@0A
1
ottenendo un’equivalente rappresentazione dello stato di polarizzazione dell’onda
e = ~ey ⌦ ~ey
~ez ⌦ ~ez
e⌦ = ~ey ⌦ ~ez
~ez ⌦ ~ey
Per dare una rappresentazione pittorica degli stati di polarizzazione dell’onda gravitazionale nella teoria di Einstein,
consideriamo l’e↵etto dell’onda su masse di prova poste su
una piano perpendicolare alla sua direzione di propagazione.
Siano A e B due masse liberamente gravitanti. Noi abbiamo scritto l’equazione ?? allo scopo di calcolare come la
geodetica dell’una cambi rispetto all’altra sotto l’influenza
della curvatura dello spazio-tempo. Per semplificare ulteriormente il problema assumiamo l’origine del nostro sistema di
coordinate coincidente con la particella A ed esprimiamo la
variazione della linea geodetica in termini di variazione del
tempo proprio d⌧ . Assumendo la solita approssimazione
gµ⌫ = ⌘µ⌫ + hµ⌫
nel tensore di Riemann, otteniamo dalla ??
i(T T )
d2 xiB
1 @ 2 hk
'
xkB
(7.18)
d⌧ 2
2c2 @⌧ 2
Quindi il moto della particella B vista dalla A sembra
essere dovuta ad un campo d’accelerazione proporzionale alla
derivata seconda di h. La soluzione dell’equazione risulta
essere:
1 i(T T )
+ hk
)
(7.19)
2
Per esempio, assumendo che l’onda si propaghi lungo l’asse x con polarizzazione h⌦ , avremo:
xiB (⌧ ) = xiB (0)(
lAB
lAB
=
i
k
hzz
2
7.3. LE PROPRIETÀ DELLE ONDE GRAVITAZIONALI.125
Figura 7.3: L’e↵etto dell’onda gravitazionale piana che incide
perpendicolarmente al foglio su un insieme di messa disposte
ad anello. Sono rappresentati gli e↵etti della polarizzazione
+ e di quella ⇥.
dove abbiamo precisato che lAB è la posizione della particella
B rispetto alla A.
Questo calcolo consente di realizzare una rappresentazione pittorica dell’e↵etto dell’onda su un sistema costituito da
un insieme di punti materiali disposti a cerchio sul piano trasversale all’onda. Tale e↵etto è mostrato in figura ?? per i
due stati di polarizzazione: vi si riconosce la tipica simmetria
di un campo di forza quadrupolare, ovvero di un campo di
forza di marea.
Estendendo anche alla Gravitazione il principio di dualità
Onda - Corpuscolo, su cui poggia la meccanica ondulatoria,
possiamo ipotizzare l’esistenza della particella analoga al fotone del campo elettromagnetico, il Gravitone. Poichè la teoria di Einstein predice che le onde si propaghino con velocià
c, ne segue che anche il Gravitone deve avere massa a riposo
nulla. Inoltre, dalla figura che illustra gli stati di polarizzazione, possiamo dedurre un’altra caratteristica della particella
di scambio dell’interazione gravitazionale, lo spin. Per prevedere il valore dello spin è necessario osservare uno stato
fondamentale di polarizzazione dell’onda piana, ad esempio
nel caso dell’onda elettromagnetica la polarizzazione lineare:
lo spin è deducibile dal rapporto tra 2⇡ e l’angolo di cui occorre ruotare il campo polarizzato per farlo coincidere con
se stesso. Nel caso elettromagnetico questo angolo è ancora
2⇡ mentre nel caso gravitazionale la rotazione è ⇡ cosı̀ che il
126
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 7.4: Le distribuzioni delle linee di forza dell’onda
gravitazionale piana che rappresentano la polarizzazione +
e quella ⇥.
valore di spin del gravitone risulta pari a 2.
Per dimostrare che l’onda gravitazionale trasporta energia
e quantità di moto, ripartiamo dalle equazioni di campo ??
mantenendo per la metrica l’approccio perturbativo. In pratica, possiamo calcolare la parte del tensore di Ricci Rµ⌫ (1)
che é lineare in hµ⌫ , e scrivere le equazioni di campo nella
forma
1
8⇡G
Rµ⌫ (1)
⌘µ⌫ R(1) = 4 [Tµ⌫ + tµ⌫ ]
(7.20)
2
c
Qui abbiamo introdotto lo pseudo-tensore tµ⌫
tµ⌫ =
c4
{(2
16⇡G
+g µ↵ g (
⌫
+g ⌫↵ g (
µ
↵
↵
↵
+
⌫
↵
+
µ
+g ↵ g (
µ
↵
↵
↵
⌫
)(g µ↵ g ⌫
↵
⌫
µ
µ
⌫
↵
µ
↵
↵
⌫
↵
↵
)}
e ricordiamo l’espressione delle connessioni affini
µ
1
@
@
= g ↵ [ µ g↵ +
g↵µ
2
@x
@x
@
g µ]
@x↵
g µ⌫ g ↵ )+
)+
)+
(7.21)
7.3. LE PROPRIETÀ DELLE ONDE GRAVITAZIONALI.127
La sorgente del campo espressa dal termine Tµ⌫ + tµ⌫ risponde ad un principio di conservazione. Si noti infatti che
la quadri-divergenza
@
[( g)(Tµ⌫ + tµ⌫ )] = 0
@xµ
è identicamente nulla. In termini semplici potremo dire che la
somma di Tµ⌫ +tµ⌫ è tale da annullare localmente l’interazione
gravitazionale.
hµ⌫ è generata dalla densità totale, dal flusso d’energia e dal
momento angolare e tµ⌫ dipende da questa perturbazione della metrica, cosı̀ che ragionevolmente interpretiamo tµ⌫ come
il tensore energia e momento dell’onda stessa:
c4
[Rµ⌫
8⇡G
tµ⌫ =
1
gµ⌫ R
2
1
Rµ⌫ (1) + ⌘µ⌫ R(1) ]
2
(7.22)
tµ⌫ è dedotto sviluppandolo in serie per piccoli valori h, sino
al termine in h2 :
c4
1
[Rµ⌫ (2)
⌘µ⌫ ⌘ ↵ R↵ (2) ]
(7.23)
8⇡G
2
L’espansione esplicita della ?? è un esercizio piuttosto laborioso ma istruttivo; noi suggeriamo al lettore di riferirsi al
testo di Weinberg [?] per i dettagli. In realtà molte delle connessioni affini che appaiono nella relazione sopra riportata,
nella gauge TT, sono nulli.
Il termine che interpretiamo come l’energia dell’onda che,
nell’unità di tempo, traversa la superficie elementare posta
perpendicolarmente alla direzione x0 ed intercettata dall’an0
golo solido unitario d⌦ è c t0x :
tµ⌫ '
0
c t0x =
dEGW
c3 h X ⇣ dhTjkT (t, x0 ) ⌘2 i
=
dtd⌦
32⇡G jk
dt
(7.24)
Mediando su molte lunghezze d’onda della radiazione e
integrando su tutto l’angolo solido, si giunge ad un’espressione relativamente semplice per la potenza totale associata
all’onda, ovvero la luminosità gravitazionale della sorgente:
LGW =
c3
(h2 + h2⌦ )
16⇡G
(7.25)
128
7.4
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Le onde in altre teorie della Gravità.
Abbiamo visto in precedenza che il confronto fra teorie di↵erenti di Gravitazione è concentrato sui fenomeni post-newtoniani.
In altre parole i termini di confronto sono i valori dei parametri PPN previsti dalle varie teorie trattate nel limite di
campo debole e processi dinamici lenti. L’osservazione delle
onde gravitazionali è un’ulteriore terreno di confronto delle
teorie alternative della Relatività Generale. Infatti ad esse
sono associate predizioni diverse per le proprietà ondulatorie del campo. Noi ci limiteremo qui a richiamare alcune
di queste previsioni nel caso specifico di teorie metriche di
gravità.
In una teoria metrica il ruolo dei campi non-gravitazionali
è quello di contribuire a definire la curvatura di spazio-tempo
connessa con la metrica. La materia può generare questi campi ed essi possono contribuire a generare la metrica, ma la materia risponde soltanto alla metrica stessa. In altre parole la
di↵erenza fra le teorie metriche alternative è insita nel modo
particolare in cui materia (ed altri campi non-gravitazionali)
generano la metrica dello spazio-tempo.
In una classe di teorie della gravità è postulata l’esistenza
di un campo gravitazionale scalare dinamico oltre al tensore metrico g: la teoria delle Brans-Dicke ( [?]) ricade in
questa categoria. Si introducono poi due funzioni arbitrarie
di : la funzione cosmologica ( ) e la funzione !( ) dell’accoppiamento. Nel caso della teoria di Brans-Dicke si assume
! = costante e = 0 e, nel limite ! ! 1, la teoria si riduce
a quella della Relatività Generale.
La funzione cosmologica esprime la lunghezza caratteristica
d’interazione l del campo scalare. Infatti, nel caso del sistema
isolato, si deduce che il potenziale gravitazionale contiene un
termine alla Yukawa oltre a quello newtoniano:
U (~x, t) =
Z
⇢(~x, t)((a + b exp( |~x
~
|~x ⇠|
~
⇠|/l))
d~3 ⇠
Le teorie scalar-tensoriali sono conservative e, in linea generale, per grandi valori di ! le loro previsioni di↵eriscono
da quelle della teoria di Einstein per correzioni dell’ordine di
7.4.
LE ONDE IN ALTRE TEORIE DELLA GRAVITÀ.129
O( !1 ) sia nel limite post-newtoniano che per le caratteristiche
dell’onda gravitazionale.
Un caso di↵erente è rappresentato dalle teorie vettoriali e
tensoriali laddove un campo 4 vettoriale gravitazionale Kµ
si aggiunge al tensore metrico. La di↵erenza fra le teorie di
questa categoria è riconducibile al valore di quattro parametri
arbitrari. Nel limite in cui questi parametri tendono a zero,
la teoria collassa verso la teoria del Einstein.
Queste teorie sono semi-conservative, e nel limite postnewtoniano rendono possibili e↵etti compatibili con l’esistenza di sistemi di riferimento privilegiati. Inoltre le equazioni
di campo linearizzate sono più complesse sia del caso einsteiniano che di quello scalar-tensoriale. La soluzione di propagazione del tensore di hµ⌫ è influenzata dal valore del campo K di fondo cosmologico e, in generale, vi sono ben dieci
soluzioni di↵erenti dell’onda, ciascuno con la relativa propria condizione caratteristica di polarizzazione e di velocità
di propagazione.
In linea generale, vi sono due modi per i quali la velocità
delle onde gravitazionali vg può di↵erire dalla velocità della
luce. Il primo è la sua dipendenza da parametri cosmologici,
il secondo dalla distribuzione locale della materia. In realtà
alcune osservazioni nel sistema solare limitano già alcuni dei
parametri che definiscono il valore di vg , in modo da ammettere solo deviazioni inferiori ad un millesimo dalla velocità
della luce. La rivelazione di un’onda gravitazionale da parte
di più rivelatori non co-locati a Terra è in ogni caso un test
cruciale per queste teorie.
In merito agli stati di polarizzazione della radiazione gravitazionale, va detto che la previsione einsteiniana di avere
soltanto due stati indipendenti è probabilmente unica rispetto alle altre teorie metriche. Eardley et al. [?] hanno sviluppato un metodo di classificazione basato sullo studio delle
proprietà di simmetria delle ampiezze delle onde gravitazionali quando si applica una rotazione attorno alla direzione di
propagazione dell’onda (elicità). La previsione più generale è
che esistano sei stati indipendenti di polarizzazione, espressi
per mezzo delle sei componenti R0i0j del tensore di Riemann;
questi stati determinano le caratteristiche di simmetria delle
forze applicate al rivelatore.
Supponendo che l’onda provenga da una singola sorgente e
l’osservatore conosca la direzione di propagazione, usando le
130
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
informazioni ottenute da due antenne di↵erenti, dovrebbe essere possibile distinguere quale categoria di teoria metrica
si adatti meglio all’osservazione sulla base del loro stato di
polarizzazione.
7.5
L’emissione di onde gravitazionali.
Risolvere il problema della generazione di onde gravitazionali nella teoria del Einstein non è a↵atto semplice. Noi ci
limiteremo qui a discutere solo alcuni degli aspetti cruciali al
fine di stabilire una corretta strategia di rivelazione, richiamando alcuni dei risultati ottenuti applicando il formalismo
quadrupolare.
Una trattazione di tale formalismo, chiara, dettagliata e
applicata a casi di nostro interesse, quali l’emissione di ellissiodi in rotazione o di sistemi binari stabili o in fase di coalescenza, è riportata nelle dispense di V. Ferrari e L. Gualtieri
a cui rimandiamo il lettore [?].
Qui riportiamo soltanto alcuni passaggi logici che ci illustrano il metodo.
Per facilitare lo studio del processo di emissione, lo spazio
intorno alla sorgente viene diviso in tre regioni a diversa
distanza:
• una zona di generazione con r  rI , dove rI è il tipico
raggio interno della sorgente,
• una zona locale con rI  r  rex dove rex definisce
l’estensione della zona locale
• la zona d’onda (zona di propagazione) per r
rex .
Per trattare la propagazione nella zona locale assumendo
uno spazio-tempo a metrica quasi-piatta è necessario imporre alcune condizioni restrittive. I parametri di confine, rI e
rex , vengono stabiliti in base al valore della tipica lunghezza
d’onda della radiazione emessa. Il raggio interno deve essere maggior della lunghezza d’onda ridotta della radiazione,
rI
g /2⇡; inoltre rI dovrebbe definire il confine della regione dove il campo di gravità della sorgente è relativamente
debole. Questo implicherebbe avere rI
L , essendo L una
misura delle dimensioni lineari della sorgente. Per il raggio
esterno dovremmo avere
rex
rI
/2⇡
7.5. L’EMISSIONE DI ONDE GRAVITAZIONALI.
131
.
Se poi rex risultasse essere troppo grande, non potremmo
trascurare il cambiamento di fase
dovuto al campo gravitazionale della sorgente quando l’onda sta attraversando la
zona locale. Allora, bisogna anche imporre che
rex
)⌧1
(7.26)
rI
Supponendo verificate tutte queste ipotesi, ripartiamo dalle equazioni di campo ?? e ??:
=
2⇡Rg
@ 2 hµ⌫
=
@x↵ @x↵
ln(
16⇡G
Tµ⌫
c4
@hµ↵
=0
@x↵
Di nuovo, osserviamo la somiglianza formale di queste
equazioni con quelle dell’elettromagnetismo
@ 2 Ai
4⇡
=
Ji
↵
@x @x↵
c
@Ai
=0
@xi
dove Ai è il 4- potenziale e Ji è la 4-corrente. Quando uniamo la prima equazione alla seconda in entrambi i sistemi
otteniamo
@T µ↵
=0
(7.27)
@x↵
e
@J i
=0
(7.28)
@xi
e diviene palese come il conseguente sviluppo formale relativo
al calcolo del flusso di energia gravitazionale emessa risulta
essere assolutamente analogo al caso elettromagnetico. Entrambe le equazioni sono collegate con le leggi di conservazione: l’ invarianza di carica nel caso elettromagnetico e le
leggi di conservazione meccaniche, in particolare la conservazione di quantità di moto, nel caso della Gravità. Entrambe
le soluzioni sono date in termini di potenziali ritardati, che
nel caso gravitazionale prendono la forma
4G
hµ⌫ (t, ~x) = 4
c
Z
V
Tµ⌫ (t
|~x
|~
x ~
x0 |
x0 ) 3 0
c ,~
d x
~x0 |
(7.29)
132
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
dove ~x è il vettore che individua il punto in cui misuriamo
hµnu e ~x0 il vettore che individua la posizione dell’elemento
di sorgente, con |~x0 |  rI e |~x| >> rex .
Sotto tali condizioni l’integrale della ?? si riduce a
Z
4G 1
hµ⌫ (t, r) = 4
c r
V
Tµ⌫ (t
|~x
c
~x0 |
, ~x0 )d3 x0
(7.30)
Quest’ultima relazione si può ulteriormente semplificare
facendo uso del teorema del viriale applicato alla quantità
tensoriale Tµ⌫ , per il quale si ha che
2
Z
V
1 @2
Tkn d x = 2 2
c @t
3 0
Z
V
T00 xk xn d3 x0
con k, n = 1, 2, 3
dove si identifica immediatamente nell’integrale del membro di sinistra la definizione del momento di quadrupolo del
sistema
Z
Dkn = ⇢xk xn d3 x0
v
La quantità T00 dipende solo dal tempo, quindi si ha
hµ0 = 0
Concludiamo che in approssimazione quadrupolare, il tensore metrico, espresso nella gauge TT, è funzione della derivata seconda della perturbazione metrica:
h(T T ) kn =
2 G @2
[Dkn (t
r c4 @t2
r/c)](T T )
(7.31)
dove r è la distanza rispetto al punto centrale della sorgente, t è il tempo proprio misurato da un osservatore a riposo
rispetto alla sorgente, (t r/c) è il tempo ritardato.
Inoltre, se il movimento interno della sorgente è lento, nella
zona locale è possibile trascurare il ritardo di propagazione
(vedi la condizione ??) e approssimare il campo limitandoci
al termine newtoniano:
U=
1
(g00 + 1)
2
(7.32)
Il calcolo del momento di quadrupolo può essere dedotto partendo dai momenti principali d’inerzia della sorgente Ikn [?].
Infatti, si può riconoscere che vale la relazione
Dkn =
Ikn +
1
3
kn I
(7.33)
7.5. L’EMISSIONE DI ONDE GRAVITAZIONALI.
133
dove I è la traccia del tensore momento d’inerzia. Tuttavia si
noti che, per valutare correttamente l’emissione gravitazionale, anche il momento di quadrupolo, cosı̀ ottenuto, deve esser
poi esser calcolato nella gauge TT. Una valutazione dell’ordine di grandezza di hT T jk , si può ottenere approssimando il
termine
@2
[Djk (t r/c)]T T
@t2
con l’energia cinetica della sorgente associata ad un movimento non propriamente a simmetria sferica K non sph. .
K non sph.
(7.34)
r
Per una valutazione meno rozza, occorre specificare la natura della sorgente e calcolare come varia nel tempo il suo
momento di quadrupolo.
La luminosità LGW di una sorgente di onde gravitazionali
??, dedotta in approssimazione di quadrupolo ha la seguente
espressione:
h⇠
LGW =
G X d3
(
Dkh )2
5c5 kh dt3
(7.35)
In particolare notiamo che LGW dipende dalla derivata terza del momento Dkh e dal coefficiente G/5c5 = 5.5 · 10 54
m 2 kg 1 s3 . Proprio a causa del valore cosı̀ basso di G/c5
si è costretti a considerare come sorgenti interessanti ai fini della rivelazione di onde gravitazionali soltanto quelli di
origine astrofisica. In sostanza le sorgenti più potenti devono essere caratterizzate da grandi masse in moto non-sferico
caratterizzato da alta velocità. Va altresı̀ notato che la dinamica di grandi masse che si muovono velocemente, è un
tipico caso in cui il campo di gravità della sorgente è intenso e l’approssimazione quadrupolare potrebbe non essere più
verificata. Quando questo accade si introducono formalismi e
livelli di↵erenti di approssimazioni tentando di ridurre l’alta
non linearità delle equazioni di Einstein. È chiaro però che la
strada maestra per lo studio dei fenomeni associati a campi di
elevata intensità è dominio di ricerca della relatività numerica. Si tratta di trasformare le equazione alle derivate parziali
in equazione alle di↵erenze e, partendo da ragionevoli condizioni iniziali e facendo uso dei sistemi di supercalcolo sempre
più potenti, si studia l’evoluzione dinamica dei sistemi in un
ragionevole lasso di tempo di calcolo.
134
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Dal punto di vista della Gravitazione Sperimentale è interessante correlare la luminosità con il flusso rilevato a Terra
F ed all’ampiezza della perturbazione metrica h del tensore.
Supponendo un’emissione isotropa si ha
LG
(7.36)
4⇡r2
dove in questo contesto r è la distanza del rivelatore dalla
sorgente. L’assunzione di emissione isotropa sembra ragionevole perché ci aspetta che la maggior parte delle sorgenti
ruotino attorno ad un asse lungo cui la radiazione emessa è
debolmente concentrata.
Nel caso semplice di un’onda con una singola componente
di Fourier di frequenza angolare !, la relazione tra F e h è
dedotta dalle ??, ?? e ?? e si giunge alla conclusione che
F =
1
h=
!
s
16⇡G
F
c3
(7.37)
.
Si noti che un valore di h ⇠ 10 20 misurato a Terra
corrisponde ad una gigantesca quantità di potenza emessa
a distanze astronomiche.
Avendo ora introdotto le formule basilari per l’emissione possiamo procedere all’esame dei processi astrofisici in cui
l’emissione della radiazione gravitazionale dovrebbe essere rilevabile a Terra. Procederemo dividendo le sorgenti in due
grandi categorie:
- emettitori di segnali continui
- emettitori di segnali transitori.
Esempi di sorgenti continue sono i sistemi di stelle doppie che
ruotano l’una rispetta all’altra e le stelle compatte che hanno un certo gradi di asimmetria e che ruotano rapidamente
attorno ad un loro asse.
In questa stessa categoria possono essere inclusi anche i segnali stocastici di natura cosmologica, l’analogo gravitazionale della radiazione elettromagnetica di fondo cosmico a
microonde.
Nel gruppo degli emettitori impulsivi comprendiamo tutti
quei processi di collasso stellare, come le esplosioni della supernova e la coalescenza di sistemi binari.
7.6. LE SORGENTI CONTINUE.
7.6
135
Le sorgenti continue.
Prima di discutere le caratteristiche tipiche di una sorgente
astrofisica di onde gravitazionali continue, proviamo a chiarire quanto sia difficile costruire un emettitore in laboratorio.
S i potrebbe pensare ad esempio di considerare un’ asta posta in rotazione con velocità angolare ! rispetto ad un asse
perpendicolare alla sua lunghezza. Il calcolo del momento
di quadrupolo dell’asta in coordinate cartesiane è relativamente semplice e lo suggeriamo come esercizio. Nota questa grandezza, applicando la definizione di luminosità ??, si
ottiene
LG =
32 G 2 6
I !
5 c5
(7.38)
dove I è il momento di inerzia riferito all’asse di rotazione.
Riferiamoci ad un oggetto esistente: calcoliamo l’emissione
di un rotore con cui è stata calibrata [?] l’antenna criogenica per la rivelazione delle onde gravitazionali EXPLORER,
installata al CERN [?]. Un rotore simile è stato utilizzato
anche per porre un limite all’esistenza di una Vo forza di tipo
Yukawiano [?]. Quest’ultimo è una barra di alluminio della
massa di 14 kg con un profilo tale da minimizzare gli sforzi centrifughi. La barra ruota a 462 Hz ed è prossima alle
condizioni di rottura del materiale a causa delle forze centrifughe. Ha un momento d’inerzia rispetto all’asse di rotazione
pari a I = 0.15 kg m2 . In questo caso la luminosità è pari
a LGW = 2.4 · 10 33 W e la radiazione è emessa al doppio
della frequenza di rotazione. Questo valore è tale da rendere impossibile qualunque tentativo di rilevazione alla luce
dell’attuale tecnologia.
È chiaro quindi che per avere un segnale significativamente
grande abbiamo bisogno di oggetti astrofisici che ruotano ad
alta velocità angolare.
Le stelle rotanti di neutroni
Le stelle di neutroni ruotanti possono essere sorgenti di onde
gravitazionali, se hanno delle distorsioni presenti nella loro
crosta. Questi oggetti compatti sono il frutto del processo
evolutivo di una stella di grande massa: una volta esauriti i
processi nucleari che la sostengono, la stella tende a collassare sotto l’azione della forza gravitazionale. In questa fase i
136
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 7.5: La pulsar nella nebulosa del Granchio. Accanto
un disegno artistico che mette in evidenza l’e↵etto faro.
protoni reagiscono con gli elettroni formando neutroni e antineutrini (decadimento
inverso). I neutrini trasportano
una quantità enorme di energia verso gli strati superiori della
stella, propagando un’onda d’urto devastante ed espellendo il
mantello stellare in una esplosione gigantesca. L’impulso luminoso che si genera è noto come supernova, che nasconde al
suo interno il nucleo collassato, ovvero una stella di neutroni
di raggio dell’ordine di 10 km e massa dell’ordine di 1.5 M .
Avendo diminuito drasticamente il suo raggio, l’oggetto collassato ruota rapidamente su se stesso a causa della conservazione del momento angolare. Alcune di queste stelle hanno associato un elevatissimo campo magnetico (1011 - 1015
Gauss). In questo caso se l’asse di rotazione non coincide
con l’asse magnetico, la stella emette onde elettromagnetiche
lungo la direzione del campo. Queste stelle sono denominate Pulsar (pulsating radio sources) ed emettono onde radio
per l’e↵etto combinato della rapida rotazione e dell’intenso
campo magnetico sulle particelle cariche presenti nella sua
atmosfera. Le onde sono emesse entro un piccolo cono intorno al suo asse magnetico: questo, daltra parte, è inclinato
rispetto allasse di rotazione, sicché il fascio di radioonde spazza il cielo a ogni giro, come accade per la luce emessa dal faro
di un porto. Un osservatore sulla Terra, intercetta il fascio a
intervalli di tempo regolari e riceve quindi impulsi radio con
un periodo di ricorrenza pari a quello di rotazione della stella.
7.6. LE SORGENTI CONTINUE.
137
Nelle stelle con velocità angolare più elevata generalmente
si osserva una lievissima decrescita del periodo di rotazione
(spindown). Ciò implica una bassa emissione di onde gravitazionali ed una elevata simmetria della stella. Tuttavia, la
stessa asimmetria dell’enorme campo magnetico della stella
Pulsar può contribuire in modo significativo alla sua deformazione strutturale. Inoltre, l’osservazione di cambiamenti
improvvisi nel periodo di rotazione di alcune pulsar è interpretata come un cambiamento della struttura della crosta e
un assestamento della sua distorsione residua.
Per valutare la lumonisità di questa potenziale sorgente di
onde gravitazionali, supponiamo che l’oggetto abbia una semplice geometria ellissoidale con eccentricità e
(a
e= p
b)
a·b
dove a e b i due assi principali nel piano equatoriale. I3 =
M
2
2
5 (a + b ) il momento principale di inerzia rispetto all’asse
perpendicolare al piano equatoriale, dove M è la massa della stella. L’asse di rotazione della stella è ruotato rispetto a
all’asse di I3 di un angolo = ⌦t , dove ⌦ è la velocità angolare. Per calcolare i momenti di quadrupolo di massa nella
gauge TT, trasformiamo la matrice dei momenti di principali
d’inerzia
0
1
I1 0 0
Ijk = @ 0 I2 0 A
(7.39)
0 0 I3
nel sistema di riferimento co-movente della stella, tramite la
matrice
0
1
cos
sin
0
Rjk = @ sin
cos
0A
(7.40)
0
0
0
Otterremo
0
I1 cos2 + I2 sin2
@
Rik Rjl Ikl =
sin cos (I2 I1 )
0
1
sin cos (I2 I1 ) 0
I2 cos2 + I1 sin2
0A
0
I3
(7.41)
Da questa relazione deduciamo la matrice dei momenti di
quadrupolo Dij utilizzando la ?? e riconoscendo che, a meno
di termini in e3 , l’eccentricità è legata al rapporto
e'
I2
I3
I3
138
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Si ottiene quindi
Dik
0
cos2
eI3 @
=
sin2
2
0
sin2
cos2
0
1
0
0A
0
(7.42)
L’andamento dell’onda si deduce utilizzando l’espressione
compatta
hT T jk =
h d2
2G
Pjklm 2 Dlm (t
4
rc
dt
r i
)
c
1
nk nl )] [ (
2
nj nk )(
dove abbiamo introdotto il proiettore traverso Pjklm ottenendo 2
Pjklm = [(
hT T jk
dove
jk
nj nk )(
kl
0
r
c)
r
c)
cos2(⌦t
= ho @ sin2(⌦t
0
jk
sin2(⌦t
cos2(⌦t
0
r
c)
r
c)
ml
nm nl )]
1
0
0 A (7.43)
0
4G⌦2
I3 e
c4 r
Si noti che il segnale gravitazionale è emesso al doppio di
⌦, la sua ampiezza è lineare in e e quadratica nel periodo di
rotazione T = 2⇡/⌦.
Una formula dimensionale per l’ampiezza, a cui spesso si fa
riferimento, è la seguente
ho =
ho = 4.21 ⇥ 10
24
h ms i2 h kpc ih
T
r
ih e i
I3
1038 kg m2 10 6
Infine la luminosità è data dall’equazione
LGW =
288 G I32 e2 ⌦6
45 c5
(7.44)
Nel caso della pulsar PSR 0532 nella nebulosa del Granchio,
che ruota a ⇠ 30 Hz e è distante 2 kpc dalla Terra (1 pc'
3.86 · 1016 m), con e compreso tra 10 6 e 10 8 , si ricava un
valore di ho compreso nell’intervallo 10 26 - 10 28 .
2
In pratica Pjklm è ottenuto combinando il tensore 2 ⇥ 2 Pij = ij
ni nj , che proietta un vettore nel piano perpendicolare alla direzione del
vettore unitario ~n.
7.6. LE SORGENTI CONTINUE.
139
Nonostante il basso valore della perturbazione metrica,
il gruppo dell’università di Tokyo e del laboratorio di KEK
( [?]) ha provato a misurare l’ emissione gravitazionale, utilizzando un rivelatore risonante ed ha fissato un primo limite superiore all’emissione di onde gravitazionali provenienti
dalla PSR 0532.
In anni recenti le collaborazioni LSC e Virgo, analizzando
congiuntamente i dati degli interferometri del progetto LIGO
e di Virgo, hanno posto un limite pari a h  2 · 10 25 . Esso
corrisponde ad un’ellitticità dell’ordine di ⇠ 1·10 4 . Si tratta
di un primo importante risultato di natura astrofisica, visto
che si tratta di un valore più basso di un fattore 7 del limite
al flusso d’energia di onde gravitazionali dedotto dalle misure
elettromagnetiche relative al rallentamento della Pulsar.
Queste stelle possono ruotare a velocità angolari molto
elevate. Infatti, sono state osservate Pulsar con frequenza di
rotazione fino a 640 Hz. Sono oggetti prodotti tramite il meccanismo di accrescimento di vecchie stelle di neutroni o dal
collasso di una nana bianca in un sistema di stelle doppie.
Si tenga presente che circa il 50 % delle stelle appartengono ai sistemi multipli. Considerando che la loro vita media
dovrebbe essere dell’ordine degli anni di 104 anni, ne deriva
che nella nostra galassia dovrebbero esistere più di 106 stelle
doppie a cui si aggiungono anche i sistemi binari costituiti da
due corpi collassati.
Wagoner ha suggerito [?] che onde monocromatiche ad
alta frequenza potrebbero essere generate quando la stella di
neutroni raggiunge un punto di instabilità, in corrispondenza
del quale sono generate onde idrodinamiche sulla superficie,
determinando cosı̀ l’emissione di radiazione gravitazionale.
In questo caso l’emissione controbilancia l’aumento della velocità di rotazione ed essa dovrebbe essere proporzionale al
flusso di raggi X provenienti dalla stella. Alcune osservazioni X tendono a confermare l’esistenza della crescita di velocità angolare, ma è stato puntualizzato che questo processo
dipende criticamente dalla viscosità della stella.
I sistemi binari
Nel caso di due corpi di masse m1 , m2 che descrivono un’orbita circolare di raggio r, con frequenza angolare !, si ha
emissione di un’onda continua. Il sistema ha un momento
di quadrupolo dipendente dal tempo che dopo metà orbita
140
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
torna ad assumere lo stesso valore, quindi ci aspettiamo che
la frequenza dell’onda emessa sia il doppio di quella di rotazione. Applicando la definizione di momento di quadrupolo
ad sistema di due masse puntiformi che ruotano, abbiamo
0
cos2!(t)t
1
m1 M 2 @
Dij = r2
sin2!(t)t
2 m1 + m2
0
1
sin2!(t)t 0
cos2!(t)t 0 A (7.45)
0
0
Poi, facendo riferimento alla formula ??, concludiamo che la
luminosità gravitazionale del sistema è
32 G m1 m2 2 4 6
(
) r !
(7.46)
5 c5 m1 + m2
Nell’assunzione che i parametri orbitali non cambino significativamente nell’intervallo di tempo su cui calcola la media
temporale, condizione nota come approssimazione adiabatica,
scriviamo la terza legge di Keplero nella forma
LGW =
! 2 r3 = G(m1 + m2 )
(7.47)
e sostituendola nella ?? la luminosità, corrispondente alla
perdita d’energia del sistema, assume la forma:
LGW =
dE
32 G4
1
=
(m1 m2 )2 (m1 + m2 ) 5
5
dt
5 c
r
(7.48)
Poichè l’energia orbitale del sistema è E = (Gm1 m2 )/(2r),
il progressivo avvicinamento dei due corpi segue la legge:
dr
=
dt
96 h G3 m1 + m2 i 32 G2 m1 m2
5 c2
r
c2 r 4
(7.49)
Integrando rispetto al tempo quest’ultima relazione, possiamo ricavare r(t)
h
r(t) = ro 4
1
254 G3
(m1 m2 )(m1 + m2 ) t] 4 =
5
5 c
h
= ro 1
t i 14
⌧coal
(7.50)
dove ro è la distanza al tempo iniziale e ⌧coal è il tempo
caratteristico del fenomeno di coalescenza
⌧coal =
5 c5
ro 4
256 G3 (m1 m2 )(m1 + m2 )
(7.51)
7.6. LE SORGENTI CONTINUE.
141
Dalla ?? e di↵erenziando la ?? ricaviamo anche come varia
nel tempo la velocità angolare del sistema
d!
=
dt
64 G3
1
(m1 m2 )(m1 + m2 ) 3
5 c5
r
(7.52)
Combinando le ??, ?? e integrando, deriviamo
⌫(t) =
h
!
= ⌫ (in) 1
2⇡
dove
⌫ (in)
1
=
2⇡
s
t i
⌧coal
G(m1 + m2 )
ro
3
8
(7.53)
(7.54)
La relazione ?? giustifica solo qualitativamente l’andamento osservato in figura ??. Nel sistema PSR 1913+16
l’orbita è particolarmente eccentrica (e ⇠ 0.6) e nel caso di
orbita circolare LGW è minima. La luminosità aumenta rapidamente con l’eccentricità e l’emissione è più intensa vicino
al periastro, in quella zona l’e↵etto di reazione all’emissione di radiazione è più significativo, cosı̀ come la tendenza a
rendere circolare l’orbita. Inoltre, lo spettro di Fourier della
radiazione gravitazionale è composto da svariate armoniche
della frequenza orbitale.3
Proviamo a riportare qui un paio di esempi della luminosità associata a sistemi esistenti. Il sistema binario Minoris
LMi è a 30 pc dalla Terra, ha un periodo orbitale di 2.9 anni e
una luminosità di LGW =⇠ 1021 W. Il corrispondente valore
a Terra per la perturbazione metrica è h ⇠ 10 17 . Il segnale
cade in una banda di frequenza ben al di fuori di quella dei
rivelatori gravitazionali esistenti a Terra. Infatti, come vedremo, la rilevazione di radiazione gravitazionale al di sotto di
1 Hz, sembra essere impossibile sulla Terra. La difficoltà apparentemente insuperabile è l’alto livello di rumore sismico a
queste frequenze. Di conseguenza l’unico approccio possibile
sembra esser quello di realizzare un rivelatore spaziale. Gli
esperimenti basati sull’analisi dei segnali Doppler d’inseguimento di una nave spaziale (Doppler tracking) hanno posto
un limite superiore h  10 15 nella banda di frequenza di
10 4 - 10 2 Hz. Per migliore tale limite occorre utilizzare
un metodo basato sull’interferometria laser nello spazio. Il
3
Nel caso della PSR 1913+16 la potenza maggiore è messa alla ottava
armonica.
142
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
progetto LISA ha l’obiettivo di h ⇠ 10 21 nella gamma di
frequenze 10 5 - 10 2 Hz.
Il sistema binario con periodo più breve attualmente conosciuto è formato da una nana bianca e da una stella di neutroni: ha un periodo di 11 minuti e dovrebbe produrre un
segnale a 3 · 10 3 Hz. Esiste poi una vasta popolazione di
sistemi binari nella galassia che emette tra 10 4 - 10 7 Hz.
Per le sorgenti più vicine a noi l’intensità è tale da produrre
onde con h ⇠ 10 21 . Il numero di sorgenti è cosi alto da
produrre come e↵etto dominante una sovrapposizione casuale di segnali, che si traduce in un rumore di fondo di origine
gravitazionale analogo al rumore di fondo cosmologico.
Per il sistema binario PSR 1913+16, che ha un periodo orbitale di 7 h e 45 minuti, la sorgente di onde gravitazionali ha
una luminosità di LG ' 1025 W.
7.7
Segnali transitori
7.7.1
La coalescenza dei sistemi binari
Abbiamo citato nel paragrafo precedente la formula della
luminosità per un sistema binario in orbita circolare (vedi
l’equazione ??) e ne abbiamo discusso i limiti.
La perdita per radiazione riduce il raggio orbitale ed induce
le stelle ad avvicinarsi l’un l’altra sino a scontrarsi. K. Thorne ha concentrato l’attenzione sul segnale emesso durante la
fase orbitale finale, che in realtà si sviluppa a forma di spirale. Egli ha calcolato l’intensità del segnale gravitazionale
a Terra mediando il segnale su tutte le possibile orientazioni
del rivelatore rispetto alla sorgente:
h ' 1.02 · 10
23
(
2
m1 m2
⌫ 2 100
)(m1 + m2 ) 3 (
)3
m1 + m2
100
r
dove r è misurato in Mpc e nel m1 , m2 nelle masse solari
M . La scala temporale per riduzione del raggio orbitale è
espressa dalla relazione:
⌫
m1 m2
= 7.97(
)
⌫˙
m1 + m2
1
(m1 + m2 )
2
3
(
⌫
)
100
8
3
L’onda emessa dal sistema è una funzione quasi sinusoidale
in cui la frequenza e l’ampiezza aumentano nel tempo sino al
7.7. SEGNALI TRANSITORI
143
Figura 7.6: Un tipico segnale di coalescenza di un sistema
doppio di stelle di neutroni in assenza di trasferimento di
materia (chirp).
momento della fusione delle stelle (ultima orbita stabile). La
sua forma è detta chirp (stridio).
Entrando più nello specifico, le due componenti della perturbazione metrica h sono rappresentate tramite le seguenti
formula
5
G 3 M5/3 (⇡⌫(t))2/3
h+ (t) = 2 4
(1 + cos2 i) cos(2 (t) +
c
r
0)
5
G 3 M5/3 (⇡⌫(t))2/3
cos i sin(2 (t) + 0 ) (7.55)
c4
r
dove i è l’angolo tra il momento angolare orbitale e la linea
di vista dell’osservatore, (t) ⌘ (t; t0 , m1 , m2 ) è la fase orbitale della equivalente di un sistema corpo attorno al centro
di massa del sistema binario. Le due polarizzazioni della perturbazione metrica h dipendono dal parametro da M, una
combinazione delle masse m1 e m2 del sistema binario,
h⇥ (t) =
4
"
(m1 m2 )3
M=
m1 + m2
#1/5
(7.56)
detta chirp-mass; tale parametro determina in larga parte quanto rapidamente evolve nel tempo la frequenza del
segnale.
144
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Le equazioni ?? contengono la frequenza orbitale istantanea
⌫(t) e termini dipendenti dalla fase (t), la cui componenti
dominanti oscillano al doppio della frequenza orbitale:
(t)
0
= 2⇡
Z t
0
2⌫(t0 )dt0
(7.57)
In approssimazione adiabatica ed orbite circolari, utilizzando
le formule relative all’evoluzione nel tempo della frequenza
orbitale ??, otteniamo
(t)
0
=
h c3 (t
2
coal
5GM
t) i 58
(7.58)
Questa formula ci mostra che la misura della fase dell’onda
consente di ricavare informazioni dirette sulla massa M chirp.
In un approccio più rigoroso dovremmo considerare anche
correzioni di ampiezza di ordine superiore che contengono altre armoniche (termini contenenti fase del tipo n (t), essendo
n un numero intero positivo). Inoltre, le espressioni ?? sono
valide per un sistema su un’orbita quasi circolare, un assunto
non del tutto realistico. Un calcolo post-newtoniano dettagliato deve tener conto degli accoppiamenti spin-orbita e spinspin tra i due componenti del sistema binario; essi producono una modulazione caratteristica del segnale gravitazionale
emesso.
La frequenza del segnale gravitazionale al termine della fase di spiraleggiamento, quando i due oggetti massicci si
scontrano, è data da :
✓
M
f ⇠4
M
⇤
◆ 1
kHz
(7.59)
Si noti che l’equazione ?? è valida solo per un sistema composto da oggetti compatti. Nelle fase di collisione e fusione dei
due oggetti, questi si stanno muovendo a velocità relativistiche e sperimentano campi gravitazionali estremi. La fusione
implica una dinamica particolarmente violenta che può portare sino alla formazione di un buco nero, con un rilevante
rilascio della energia sotto forma di radiazione gravitazionale.
L’approssimazione post-newtoniano non è certamente più valida e per risolvere questo problema occorre sviluppare simulazioni numeriche. L’intervallo di tempo caratteristico della
fase di fusione è molto breve: da qualche millisecondo nel caso
di buchi neri di massa stellare a qualche secondo nel caso di
7.7. SEGNALI TRANSITORI
145
buchi neri di grande massa. Durante questa fase una quantità significativa di materia del progenitore potrebbe avere
un elevato momento angolare tale da contrastare la caduta
nell’orizzonte del buco nero. Nei modelli più accreditati il
processo di trasferimento di materia determina la formazione
di un disco di accrescimento intorno al buco nero, che può
alimentare un intenso getto di raggi gamma lungo l’asse di
rotazione (Gamma Ray Burst, GRB).
Dopo l’avvenuta fusione delle due stelle di neutroni progenitrici e/o dei buchi, l’oggetto compatto raggiunge uno stato
d’equilibrio, vibrando alle sue frequenze fondamentali ed irradiando alle frequenze di modi d’oscillazione che hanno una
simmetria quadrupolare (fase di ringdown). La corrispondente radiazione gravitazionale emessa dopo la fusione può
essere calcolata come sovrapposizione di modi quasi-normali
dell’oggetto formato nella fusione. La durata del ringdown
è paragonabile a quella della fusione e dipende della massa
dell’oggetto finale: in pratica si compone soltanto di due-tre
cicli.
La fase di coalescenza dei sistemi binari è ormai ben modellata e le ampiezza delle due componenti dell’onda sono
espresse dalle relazioni ??. Dal momento che la fase di (t)
del segnale è nota dal calcolo post-newtoniano, analizzando
opportunamente i dati è possibile misurare M, ⌫, t0 e 0 . I
rimanenti parametri sconosciuti di quelle equazioni sono derivabili sfruttando il fatto che le antenne hanno una risposta
che dipende dalla polarizzazione e dalla direzione d’incidenza.
Quindi, mettendo insieme le osservazioni di una rete di tre
rivelatori non co-locati, si possono estrarre tre combinazioni
indipendenti per le polarizzazioni e due ritardi temporali del
segnale osservato.
Dalla conoscenza dei parametri precedenti e dopo aver
adeguatamente considerato la funzione di risposta dei rivelatori è possibile determinare la distanza tra sorgente e rivelatore con una precisione di r/r ⇠ 1 10 %.
In Astronomia la scala delle distanze è basata sulla misura dell’e↵etto Doppler dei segnali elettromagnetici, in altre
parole sul redshift della sorgente z = ⌫(em) /⌫(oss) 1. Lo
spostamento verso il rosso osservato in astronomia può essere
misurato piuttosto facilmente, perché gli spettri di emissione
e assorbimento dei vari atomi sono ben distinti e molto ben
conosciuti. Dai segnali gravitazionali associati alla coalescen-
146
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
za dei sistemi binarie non si estrae l’informazione del redshift.
Ciò deriva da un e↵etto di cancellazione del parametro z, che
influenza varie quantità presenti nell’ampiezza di h(t). Infatti, la frequenza istantanea del sistema è spostata verso il
rosso, cosı̀ come lo è la massa M posta a redshift z e le
equazioni ?? devono essere riscritte con la mappatura M !
Mz = (1 + z)M e ⌫ ! ⌫(em) /(1 + z). La fase (t), essendo
per definizione l’integrale della pulsazione !(t) per l’intervallo elementare di tempo dt, risente di un analogo e↵etto di
cancellazione ed è indipendente da z.
Allora, per studiare l’andamento del tasso di espansione dell’universo, z va estratto rivelando una controparte elettromagnetica del segnale gravitazionale (ad esempio individuando
la galassia ospite dell’evento). Conoscendo il redshift della
controparte elettromagnetica e derivando r dal relativo segnale gravitazionale, sarà possibile misurare la costante di
Hubble, definita da H0 = c z/r e studiare anche la funzione
di evoluzione del tasso di formazione stellare.
Sino ad ora abbiamo messo in luce le grandi potenzialità insite
nella rivelazione di questo tipo di segnali. Resta ora aperta
la questione di quanti siano gli eventi osservabili in un anno
per una assegnata sensibilità dell’antenna.
Limitiamoci a considerare soltanto i sistemi che sono più vicino a noi che quindi dovrebbero essere le sorgenti più luminose.
Gli elementi in nostro possesso non sono molti: ad esempio
dalle nostre conoscenze del sistema binario PSR 1913+16 noi
possiamo prevedere un tempo di coalescenza dell’ordine di
⇠ 108 anni. Inoltre noi sappiamo che nella nostra galassia
sono state osservate ⇠ 500 pulsar in sistemi binari. Partendo
da questi dati Clarke et al. [?] hanno valutato un tasso di
eventi di ⇠ 3 · 10 4 y 1 nella galassia. Supponendo ora che vi
siano ' 105 galassie all’interno di una sfera di 100 Mpc e che
la sensibilità dell’antenna sia tale da rivelare la coalescenza
sino a quella distanza, deduciamo un tasso di eventi dell’ordine di 10 y 1 . Questa valutazione è molto approssimativa
e modelli più recenti prevedono numeri diversi, che rendono
grande l’incertezza su questa previsione. Senza entrare nel
merito dell’ampio spettro di modelli, si può assumere in via
conservativa il valore di ⇠ 10 4 y 1 quale ordine di grandezza
di eventi attesi.
La modellizzazione della fase finale del collasso è materia
difficile. Nel caso di una coppia di stelle di massa significati-
7.7. SEGNALI TRANSITORI
147
vamente diversa, ci si attende che il corpo più piccolo giunga
ad una distanza dall’altra stella tale da innescare il trasferimento di massa per e↵etto delle interazioni di marea. Il
momento angolare si trasferisce da una stella all’altra ed in
pratica la stella secondaria tende a trasformarsi in uno spesso
disco assi-simmetrico che orbita intorno alla stella primaria.
Nel caso di due stelle del tipo nana bianca, i calcoli sembrano
mostrare che il collasso non avviene immediatamente a causa
del significativo contributo della forza centrifuga.
La scala dei tempi dell’evoluzione del sistema dipende dai
meccanismi di trasporto di materia e dalla dissipazione del
momento angolare dal disco. Nel caso in cui il processo fosse
interamente dominato dalla viscosità della materia, la scala temporale dovrebbe essere estremamente lunga. Tuttavia,
nel caso in cui il rapporto iniziale di massa tra i corpi del
sistema binario è grande, il tasso di trasferimento di massa
si avvicinerebbe ad un limite dovuto essenzialmente all’emissione di radiazione gravitazionale. Il valore di questo limite
è enorme e lo scenario in cui una stella di neutroni in accrescimento debba assorbire un flusso cosı̀ enorme di materia e
momento angolare è difficilmente accettabile.
Abbiamo già osservato che lo stato stabile di trasferimento
di massa è tipico di un sistema doppio con rapporto di massa
grande. Occorre però precisare che il caso di un sistema binario di due stelle di neutroni con grande rapporto di massa non
è probabile. Il processo di trasferimento conduce all’interessante possibilità che la componente piccola che perde massa
possa esser ridotta ad un valore minimo al di sotto del quale
l’espansione libera è instabile e quindi questa massa potrebbe
esplodere prima di scontrarsi con il compagno più massiccio
e voluminoso. La maggior parte dell’energia liberata nel collasso finale si trasferisce in produzione di neutrini che è molto
difficile rivelare a causa della distanza dell’evento da Terra.
Quindi, si può ipotizzare uno scenario in cui la radiazione
gravitazionale sia il solo segnale osservabile prodotto da questi fenomeni. In realtà è stato proposto di esaminare i dati
delle antenna gravitazionali in connessione con gli eventi degli
impulsi gamma (GRB) che dovrebbero essere concomitanti al
rilascio dei neutrini nella fase esplosiva. La misura in coincidenza di impulsi gamma ed eventi di onde gravitazionali,
visto le grandi distanze in questione, potrebbero consentirci
di misurare la velocità delle onde gravitazionali con un’accu-
148
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
Mtot<&&MNS(staGco)&&
m1&
Mtot=m1+m2&
Mtot>&3&MO&
)
(staGco &&
M
NS
M tot>&&
&
M t<&3&M O
to
m2&
Fase&di&mescolamento&
m1 ≈&m
2&
m1≠&m
2&
Alta&m
a
s s a&
Mtot >&3
&MO &
Fase&di&coalescenza&
Trasferimento&di&materia&
Deformazioni&mareali&
RUOS&<RUM&
Caduta&
Stella&di&Neutroni&(NS)&
Buco&Nero&(BH)&
RUOS&>&RUM&
GRB&
Disco&di&accrescimento&
Figura 7.7: Possibili scenari evolutivi di un sistema binario
ratezza limitata solo dai ritardi intrinseci al meccanismo di
collasso.
Infine, facendo riferimento alla figura ?? cerchiamo di riassumere quali siano potenziali scenari evolutivi di un sistema
binario. A seconda delle masse e dello stato di rotazione dei
componenti del sistema binario, la fusione può evolvere in
molteplici direzioni [?]. A ciascuna di esse è associato un
diverso tipo di emissione gravitazionale e portare ad emissione di raggi gamma. Nel caso di sistemi formati da stelle di
neutroni (NS), i vari cammini evolutivi si distinguono sia dal
confronto della massa totale del sistema Mtot con il valore di
soglia di 3 M , che dalla di↵erenza tra le masse dei singoli
componenti m1 e m2 . Un’altro elemento di distinzione è dato
dal confronto di Mtot con il massimo valore di massa di una
stella di neutroni in assenza di rotazione, MN S (statico) . Nel
caso di un sistema stella di neutroni-buco nero (NS-BH), lo
schema evolutivo si di↵erenzia sulla base del confronto tra il
raggio dell’ultima orbita stabile relativa alla fase di coalescenza, RU OS con la distanza tipica a cui avviene la distruzione
della stella di neutroni per e↵etto delle intense forze mareali, RU M : quest’ultimo valore dipende dall’equazione di stato
7.7. SEGNALI TRANSITORI
149
della stella. Si noti che il trasferimento di massa può iniziare
molto prima di arrivare alla distanza critica RU M . La formazione del disco di accrescimento attorno al buco nero sembra
essenziale per creare le condizioni di emissione dei GRB. La
sua formazione dipende dalle masse e dallo stato di rotazione
degli oggetti. Nel caso in cui la stella di neutroni viene distrutta dalle forze mareali prima di cadere nel buco nero, la
massa del disco di accrescimento che si forma, dipende dello spin di BH, dall’allineamento iniziale degli spin dei due
oggetti e dal rapporto mBH /mN S .
7.7.2
Le Supernovae
Negli spettacolari processi di esplosione delle supernove è
prevista la formazione di corpo collassato. Le supernova sono
classificate in due categoria: il tipo I e II:
- Le supernovae di Tipo I sono suddivise in base ai loro spettri. La loro comune caratterizzazione è che non
vi sono linee spettrali associate all’idrogeno. Le tipo
Ia mostrano le linee di assorbimento del silicio nei loro spettri, assenti nei tipi Ib e Ic. Le supernovae di
tipo Ib esibiscono delle evidenti linee di elio neutro,
contrariamente a quelle tipo Ic.
Nelle gran parte dei casi le curve di luce sono simili,
sebbene quelle di tipo Ia siano più luminose al picco.
- Negli spettri delle supernovae di tipo II sono presenti le
linee d’emissione dell’idrogeno. Nella maggior parte dei
casi queste linee sono molto allargate, per e↵etto di una
elevata velocità di espansione (⇠ 103 km/s). Esistono
poi diverse sottocategorie del tipo II. Alcune di esse
sono caratterizzate da una curva di luce che presenta,
dopo il picco iniziale, un andamento nel tempo quasi
costante, il plateau. In sostanza la loro luminosità resta
quasi invariata per alcuni mesi prima di declinare definitivamente. Queste supernovae sono designate con la
sigla II P . Altre supernovae, caratterizzate da linee
dell’idrogeno sottili, come la SN 2005gl, sono dette del
tipo IIn.
Il processo di riferimento per una supernova tipo I è la
detonazione nucleare di una nana bianca, avvenuta dopo la
150
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
fase di accrescimento da un compagno. I modelli più ottimisti suggeriscono che almeno una frazione rilevante della nana
bianca concorra a formare una stella di neutroni. In ogni caso
la formazione di un buco nero è proibita a causa della bassa
massa del progenitore. La presenza di materia circostante al
momento del collasso può essere causa della limitata emissione ottica associata all’evento. Per questo motivo, nel classificare gli eventi di questo tipo è stato introdotto il termine di
supernova otticamente silenziosa.
La supernova di tipo II è associata al collasso della zona
centrale di una stella voluminosa e l’onda di shock determina
l’eiezione del mantello esterno otticamente luminoso.
Il tipo di supernova prodotto dipende essenzialmente da
due fattori: la massa iniziale della stella e la sua metallicità.
Quest’ultima determina infatti la perdita di massa che la stella subirà durante la sua esistenza a causa del vento stellare:
le stelle a bassa metallicità subiscono minori perdite di massa e quindi hanno nuclei di elio e inviluppi di idrogeno più
massicci al termine della loro esistenza.
Se il progenitore ha una massa inferiore a 9 M , è destinato a diventare una nana bianca. Con masse inziali comprese
tra 1 10 M si possono formare stelle di neutroni per cattura elettronica o nane biancne O2 N e M g. Partendo
da valori superiori a 10 M si ha certamente il collasso del
nucleo che può generare una stella di neutroni o una stella di
neutroni seguita da un buco nero o, direttamente, un buco
nero.
Lo stato finale della stella dipende dalla sua massa al termine
del processo evolutivo: quanto più massiccia era inizialmente
la stella e quanto meno massa ha perduto nel corso della
sua evoluzione, tanto più massiccia essa sarà al termine della
sua esistenza. Le stelle aventi una grande massa al momento
del collasso formeranno direttamente un buco nero, mentre
quelle aventi minore massa lo formeranno solo dopo essere
passate per lo stadio di stelle di neutroni. Le più leggere
non produranno a↵atto un buco nero, ma solo una stella di
neutroni.
Nel secondo millennio dopo Cristo sono state identificate otticamente una diecina di supernovae nella nostra galassia.
In questa categoria cadono gli esempi più famosi di supernova: la SN1054 è stata registrata dagli astronomi asiatici
nell’anno 1054 e le moderne osservazioni hanno identificato
7.7. SEGNALI TRANSITORI
151
Figura 7.8: Immagine registrata in ottico della Supenova
1987a. A sinistra la porzione di cielo prima dell’esplosione, a
destra subito dopo l’esplosione registrata a Terra il 23 febbraio 1987. La supernova, localizzata nella nube di Magellano a
51 kpc da Terra, è di tipo II e a tutt’oggi non è stato registrato alcun segnale emesso da una eventuale pulsar formatasi a
causa del collasso.
152
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
la pulsar PSR 0532 nella nebulosa del Granchio come la stella
di neutroni nata in questo collasso.
La SN 1987A è un evento localizzato nella grande nube Magellano a 51 kpc. In questa occasione tre rivelatori di neutrini,
posti in tre diversi laboratori sotterranei della Terra hanno
rivelato i prodotti del processo inverso del decadimento generati nell’esplosione. Si è trattato in assoluto della prima osservazione di questi prodotti del collasso e e ha segnato l’inizio
di nuovo modo di fare Astronomia, basato sull’osservazione
dei processi d’interazione debole.
Se la massa coinvolta nel processo di collasso è sufficientemente grande, è ragionevole supporre che alcune supernova
di tipo II formino buchi neri. In questo caso l’onda di urto
che determina il rimbalzo esplosivo del materiale circostante
dovrebbe essere debole. Il mantello esterno ricadrà e l’emissione dei neutrini e la loro di↵usione attraverso la materia del
mantello esterno tenderà a provocare un’estensione della scala
dei tempi del processo dal millisecondo al secondo. Tuttavia,
nello stadio finale il collasso avviene su una scala di tempi
tipico della caduta libera e l’emissione degli impulsi di onde gravitazionali dovrebbe avvenire su scale dei millisecondi
(vedi per una revisione completa [?]. La quantità di radiazione emessa dipende dall’entità d’energia cinetica associata
al moto non sferico che abbiamo evidenziato nell’equazione
??. La grandezza fondamentale che può giocare un ruolo importante nel limitare la sfericità del collasso è la rotazione
della stella. Se il suo momento angolare è inizialmente alto,
la parte centrale coinvolta nel collasso dovrebbe aumentare
di velocità. A seconda delle condizioni iniziali, il sistema può
evolversi rompendosi in due o più parti che, spiraleggiando
velocemente, tenderebbero ad unirsi di nuovo con emissione
di radiazione gravitazionale. Nel caso in cui si superi il valore
critico di massa (fra le 1.4 e 3 masse solari M ), il collasso
continua sino alla formazione del buco nero.
A formazione avvenuta, il nuovo oggetto può emettere ancora radiazione gravitazionale alle frequenze dei relativi modi normali di oscillazione eccitati dalla caduta della materia.
La gamma di frequenza di interesse è molto vasta da 0.1 a
10 kHz. Le frequenze basse saranno eccitate durante la fase
iniziale del collasso, mentre le alte frequenze si presenteranno nella fase ritardata principalmente a causa dell’eccitazione
dei modi normali della stella collassata. Vari autori hanno de-
7.7. SEGNALI TRANSITORI
153
rivato le caratteristiche del segnale gravitazionale. Qui riportiamo dá una stima di massima del valore di h alla frequenza
⌫ data da Thorne [?]:
⌫⇡
c3
M
⇡ 1.3 · 104 ⇤
5⇡Gm
M
r
Hz
(7.60)
15✏ G M
Hz
(7.61)
2⇡ c2 r
dove M è la massa del Sole.
Il valore dell’efficienza di conversione della massa a riposo
in radiazione gravitazionale ✏ è incerto. Le valutazioni teoriche sono in disaccordo e sono passate dalla stime iniziali di
✏ ⇠ 10 2 a quelle più moderne derivate dai modelli di Dimmelmeier ✏ ⇠ 10 7 e di Ott ✏ ⇠ 10 8 . I modelli di collasso
sono evoluti nel tempo: siamo ora in attesa dei risultati ottenuti dai gruppi di relatività numerica che si cimentano con un
problema di calcolo enorme. La simulazione implica la risoluzione di un problema di fluidodinamica , accoppiato con le
equazioni della relatività e dove il ruolo della fisica dei neutrini è centrale. I risultati ottenuti sino ad ora utilizzando i più
grandi centri di calcolo disponibili al mondo scientifico, sono
simulazioni in due dimensioni. Le prime simulazioni in tre
dimensioni, molto più onerose dal punto di vista del calcolo,
danno risultati diversi [?]. Il reticolo con cui si discretizza il
problema, ha una struttura adattiva: il reticolo non è uniforme e nella zona dove è più fitto (dove più alta dovrebbe
essere la precisione), ha raggiunto un passo record di 87 m.
Va inoltre sottolineato che queste stime variano anche in funzione dei valori delle grandezze dinamiche caratterizzanti lo
stato iniziale quali il momento angolare del corpo.
Supponendo che il segnale sia emesso alla frequenza di 1
kHz da un corpo di 13 M con un’efficienza di conversione
✏ = 10 2 , avremmo h ' 10 17 nel caso di sorgente al centro galattico (10 kpc). Il tasso di esplosione è probabilmente
molto basso ed è quindi giocoforza spingere la sensibilità delle
antenne ad un livello tale da rilevare eventi prodotti nell’ammasso di galassie della Vergine (⇠ 2500 galassie a 10 Mpc
dalla Terra, h ' 10 20 ). Il segnale in h scala di conseguenza,
ma la loro frequenza cresce cosı̀ da poter osservare l’evento
con una ragionevole probabilità nell’arco della vita dei rivelatori di onde gravitazionali. Secondo i modelli basati su calcoli
perturbativi, per lente rotazioni l’efficienza ✏ è una funzione
h⇡
154
CAPITOLO 7. LE ONDE GRAVITAZIONALI
della quarta potenza della quantità di moto angolare. Tuttavia, aumentando la velocità di rotazione si possono creare
condizioni tali da portare alla rottura. In tal caso l’efficienza dell’emissione delle parti residue non assi-simmetriche può
essere molta più alta. Saenz e Shapiro [?], [?], [?] hanno sviluppato un modello di collasso partendo da una geometria
iniziale di sferoide omogeneo che rimbalza su se stesso sino a
condurre alla formazione di una stella di neutroni. Uno sforzo
è stato fatto per ottenere delle valutazioni più precise di ✏ [?],
usando il formalismo quadrupolare ed un modello idrodinamico più realistico di stella ruotante. Un calcolo completo
richiede una simulazione su computer capaci di risolvere, in
un ragionevole tempo di calcolo, le equazioni relativistiche
nel caso non perturbativo, accoppiate con le equazioni dell’idrodinamica. Il codice numerico deve essere particolarmente accurato; l’alta precisione è necessaria perché l’emissione
dell’onda gravitazionale è soltanto un e↵etto secondario del
fenomeno generale. Limitandoci ai risultati dei primi calcoli
e↵ettuati nel caso di una formazione del buco nero [?], possiamo osservare che l’emissione di radiazione gravitazionale
è debole durante la fase idrodinamica. Tuttavia, un forte
segnale è previsto nella condizione finale del collasso. Questa radiazione è dovuta all’eccitazione dei modi quasi-normali
d’oscillazione a più bassa frequenza del buco nero. La forma
d’onda dell’esplosione finale dell’onda gravitazionale è indipendente dai dettagli del processo di collasso e risulta essere
polarizzata principalmente nello stato h .
Capitolo 8
I rivelatori di Onde
Gravitazionali
8.1
Il problema della rivelazione.
Nei primi anni 60 del XXo secolo, J. Weber a↵rontò il problema della rivelazione delle Onde Gravitazionali [?], dimostrando che un oscillatore armonico dotato di momento di
quadrupolo di massa, poteva essere posto in vibrazione da
un’onda gravitazionale. Il più semplice di questi sistemi è
rappresentato da una coppia di masse liberamente gravitanti
legate tra loro da una molla di massa trascurabile.
Egli suggerı̀ la possibità di rivelare tali vibrazioni equipaggiando il sistema di cristalli piezoelettrici: questi sensori avrebbero convertito a vibrazione direttamente in un segnale elettrico. In pratica concepı̀ la prima antenna gravitazionale.
L’idea pionieristica di utilizzare un segnale luminoso che
viaggia tra due masse liberamente gravitanti e caratterizza
la metrica dello spazio è già presente nel lavoro di Piran del
1956 [?].
Weber stesso insieme con Forward considerò la possibilità di
rimpiazzare la molla con un fascio di luce laser e, più tardi,
Forward portò avanti un esperimento di questo tipo presso il
laboratorio di ricerca Hughes [?].
Diverse classi di rivelatori sono riconducibili a questo principio: lo spacecraft Doppler tracking, un metodo basato sul
monitoraggio dei segnali Doppler per l’inseguimento dei satelliti artificiali, il planetary ranging, ovvero le misure delle
orbitali planetarie, l’osservazione combinata dei tempi d’ar155
156CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
rivo dei segnali radio emessi dalle pulsar ed infine gli interferometri.
In ognuna di queste tecniche l’e↵etto dell’onda gravitazionale è quello di influenzare la propagazione del segnale e.m.
e le masse di test. Nel caso del pulsar timing i segnali sono
semplicemente ricevuti a Terra (la prima massa gravitante) e
comparati accuratamente con un riferimento di fase derivato
dall’orologio disponibile di massima stabilità. Nell’altro caso
il segnale origina da una massa, viene poi riflesso all’indietro
(o ritrasmesso mantenendone la coerenza di fase) dalla seconda massa. Essendo assente il rumore sismico, queste tecniche
possono essere utilizzate per rivelare segnali nella banda di
frequenza da 10 8 a 1 Hz.
Va infine sottolineato che l’idea della rivelazione interferometrica delle onde gravitazionali gravitational fu ripresa e
letteralmente re-inventata nel 1972 da R. Weiss at M.I.T. [?],
Infatti egli porto avanti un vero e proprio studio di fattibilità della configurazione sperimentale gettando le basi degli
attuali rivelatori Virgo e LIGO.
8.2
Il rivelatore a fotoni.
Se si analizza l’e↵etto di un’onda gravitazionale su un sistema
di masse libere inizialmente in quiete, facendo la scelta più
ovvia di utilizzare nella gauge TT un sistema co-movente di
coordinate, si può dimostrare che, mentre cambia la struttura
dello spazio tempo attorno ad esse, le coordinate delle masse
di test non cambiano nel tempo. In altre parole, un sensore
accelerometrico fissato su ciascuna massa non vedrebbe alcuno e↵etto, mentre se si fa viaggiare un fotone tra due di
queste masse, il tempo di transito segue il cambiamento di
metrica dello spazio-tempo.
Infatti, consideriamo due masse in caduta libera lungo
due geodetiche, le cui coordinate delle masse sono dedotte
sulla base dell’equazione della geodetica ??. Si può facilmente
dimostrare che le masse inizialmente a riposo restano in tale
condizione nonostante l’e↵etto dell’onda piana descritta nella
gauge TT. Ciò segue dal fatto che le componenti temporali
dei simboli di Christo↵el del secondo tipo ( rit ) sono nulle
anche nella metrica perturbata.
Tuttavia, cambia la geometria dello spazio investito dall’onda, che noi ipotizzeremo avere un fronte d’onda piano e
8.2.
IL RIVELATORE A FOTONI.
157
propagarsi lungo l’asse z. Di conseguenza il corrispondete
ds2 è:
ds2 = gµ⌫ dxµ dx⌫ = c2 dt2 (1+h(t))dx2 (1 h(t))dy 2 (8.1)
dove
h(t) = ho cos( )
= 2⇡!g t +
Se limitiamo le nostre considerazioni ai fotoni di lunghezza d’onda molto più breve di quella dell’onda gravitazionale
(in altre parole noi siamo nel limite di ottica geometrica),
le traiettorie descritte dai raggi luminosi sono ancora delle
geodetiche di tipo nullo. In questo modo l’integrazione della
geodetica del fotone nello spazio tempo perturbato esprime
ancora la distanza apparente (il cammino ottico) del fotone
in un viaggio di andata e ritorno tra le due masse liberamente
gravitanti. Tutto ciò può essere espresso in modo quantitativo calcolando il tempo di propagazione (o di ritardo) tr ,
corrispondente al viaggio avanti ed indietro di 2L lungo uno
degli assi perpendicolari a z:
tr = t
2L
c
✏ho
2L sin ⌘
cos (
c ⌘
⌘)
(8.2)
! L
dove ⌘ = gc e ✏ = 1 (✏ = 1) per un fotone che si propaga
lungo x (y). Il campo elettromagnetico può essere espressa in
ogni punto del cammino ottico come somma di tre termini:
1
1
A(t) = (Ao + ho ei A1 + ho e
2
2
i
A2 )e
i!t
(8.3)
dove ! è la pulsazione della luce. In una trattazione dettagliata di un complesso rivelatore ottico è molto utile introdurre l’operatore D che tiene conto della propagazione lungo
il cammino di andata e ritorno pari a 2L. Questo si ottiene
sostituendo l’espressione ?? nell’equazione ??, ottenendo:
A(t) = e
i!( 2L
t)
c

Ao +
!g L
1
L sin ⌘ i⌘
ho ei (A1 e 2i c + i!✏
e A0 ) +
2
c ⌘
!g L
1
L sin ⌘ i⌘
ho e i (A2 e2i c + i!✏
e A0 )
2
c ⌘
(8.4)
158CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Allora l’interazione tra l’onda gravitazionale e la luce in
un viaggio è esprimibile dalla relazione
0
1
0
1
Bo
Ao
@ B 1 A = D @ A1 A
B2
A2
dove
0
1
0
(8.5)
1
0
0 C
A
sin⌘
B
D = e2i⇠ @ i✏⇠ ⌘ e i⌘ e 2i⌘
(8.6)
sin⌘ i⌘
2i⌘
i✏⇠ ⌘ e
0
e
e ⇠ = !L/c.
Utilizzando questo formalismo, ognuno dei componenti
ottici del sistema è descritto da analoghe matrici, elementi di
un’algebra non-commutativa nell’ambito della quale si definisce un operatore globale O che rappresenta il rivelatore nel
suo insieme.
I coefficienti di tale operatore sono i termini O11 , che esprimono la riflettività o la trasmissione dl sistema in assenza della
modulazione gravitazionale. Per O11 noi possiamo calcolare
il rumore del rivelatore , mentre O21 e O31 danno l’ampiezza
dell’onda luminosa in uscita dallo strumento quando in ingresso vi sia luce non modulata. In pratica da essi ricaviamo
l’ampiezza del segnale dovuto all’onda gravitazionale.
Questo trattazione è fatta nel’ipotesi che i due corpi siano
in caduta libera. In un sistema interferometrico reale installato a Terra, i corpi sono specchi sospesi a formare dei pendoli. La configurazione interferometrica classica è quella di un
interferometro di Michelson (vedi fig. ??). Calcoliamo ora
la di↵erenza di fase misurata da questo sistema applicando
l’equazione di deviazione geodetica delle tre masse rispetto
al centro di massa dell’intero sistema. Ne risulta che l’azione dell’onda gravitazionale può essere vista come un campo d’accelerazione a(n) (t, ⇠~c.m.s. ) di cui risentono le tre masse
sospese:
(n)
j (T T )
(n)
aj (t, ⇠~c.m.s.
)=
La quantità
⇠~(n) ⌘ (x(n)
c.m.s
1 @ 2 hk
2c2
@t2
xc.m.s. , y (n)
k
⇠c.m.s.
yc.m.s. , z (n)
(n)
zc.m.s. )
è riferita al pendolo n. Se l’origine del nostro riferimento
è posta sul separatore di fascio (beam splitter), per le varie
masse potremo scrivere che
8.2.
IL RIVELATORE A FOTONI.
159
Figura 8.1: Schema di interferometro di Michelson per la
rivelazione delle onde gravitazionali.
ẍ1 + ⌧
1
ẋ1 + !p2 x1 =
1
(ḧ11 xcms + ḧ12 yc.m.s. )
2
(8.7)
ÿ1 + ⌧
1
ẏ1 + !p2 y1 =
1
(ḧ21 xcms + ḧ22 yc.m.s. )
2
(8.8)
ÿ2 + ⌧
ẍ3 + ⌧
1
1
1
ẏ2 + !p2 y2 = ( ḧ21 xcms + ḧ22 (L
2
ẋ3 + !p2 x3 =
1
(ḧ11 (L
2
yc.m.s. )) (8.9)
xcms ) + ḧ12 yc.m.s. ) (8.10)
Per semplcità qui abbiamo omesso il simbolo (T T ) e abbiamo introdotto sia il tempo di rilassamento ⌧ che la pulsazione caratteristica !p del pendolo generico. La di↵erenza di
fase misurata dallo strumento è:
160CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
= 4⇡[( x
y)]
(8.11)
dove x = x1 x3 e y = y1 y2 .
Questa quantità è dedotta combinando le equazioni di↵erenziali lineari scritte in precedenza:
¨ +⌧
1
˙ + !p
=
4⇡
ḧ11 L
(8.12)
La soluzione di questa equazione dipende dalla forma di ḧ11 .
Se la perturbazione metrica h(t) è un impulso di ampiezza ho
e durata t ⌧ 1/!p , allora abbiamo:
(t) '
4⇡
4⇡
h(t) +
ho [!p tsin(!o t)e
L
L
t
⌧
]
(8.13)
che è valida per Q = !p ⌧
1.
Questa equazione ci mostra come l’uscita del rivelatore sia
una misura di h(t); il secondo termine rappresenta per tempi
t > t l’e↵etto di memoria del sistema pendolo dell’avvenuta interazione con l’onda gravitazionale. Questo termine,
essendo pesato dal fattore !o t << 1, può essere trascurato.
Nel caso di onda gravitazionale sinusoidale
h(t) = ho e
si ottiene per !g
!p e Q
=
i!g t
1
4⇡L
ho ei!g t
(8.14)
Ciò significa che l’interferometro può rivelare segnali sinusoidali a frequenza più grande di quella caratteristica della
sospensione a pendolo.
L’approccio seguito in questa trattazione è equivalente al
trattamento matriciale, dove gli specchi sono considerati in
caduta libera, perché la frequenza della sospensione dello
specchio è sempre più basse di quelle caratteristiche del segnale.
La trattazione più generale dell’interazione tra onda e
specchio legato elasticamente è riportata nel lavoro di Pegoraro, Picasso e Radicati [?], dove viene introdotta una opportuna trasformazione di gauge in cui lo specchio inizialmente a
riposo resta tale anche in presenza della metrica perturbata.
8.3.
LA CONFIGURAZIONE SPERIMENTALE
161
Citiamo infine i lavori di Braginski et al. ( [?]) e di Linet e
Tourrenc ( [?]), nei quali è trattato il caso dell’onda gravitazionale in risonanza con il fotone: in essi fu dimostrato che
in questa condizione la fase del fotone aumenta linearmente
nel tempo ed è proporzionale al rapporto tra la frequenza del
fotone e quella dell’onda gravitazionale.
8.3
La configurazione sperimentale
Nel precedente paragrafo abbiamo fatto vedere come la sensibilità di un rivelatore interferometrico dipende dalla lunghezza del cammino ottico della luce nei bracci. Il cammino luminoso può essere aumentato inserendo in ciascun dei
bracci dell’interferometro Michelson uno specchio ausiliario
posto in prossimità del separatore di fascio. La luce traversa
il primo specchio e poi è fatta rimbalzare molte volte avanti e indietro lungo il braccio del Michelson prima di essere
estratta e fatta interferire con quella proveniente dall’altro
braccio. La lunghezza totale del cammino ottico è scelta in
modo da ottimizzare la funzione di risposta dell’interferometro per una determinata frequenza dell’onda gravitazionale:
si si sceglie il tempo di intrappolamento della luce nel braccio pari alla metà del periodo dell’onda che si vuol rivelare
al meglio. Per esempio, volendo ottimizzare l’interferometro
per rivelare un segnale ad 1 kHz, il cammino ottico dovrebbe
essere dell’ordine di 150 km.
Esistono due possibili configurazioni ottiche che consentono di ottenere un tempo di intrappolamento della luce più
elevato rispetto al caso del semplice interferometro Michelson:
- l’ interferometro Michelson multi pass che include in
ciascun braccio una linea di ritardo ottica (Delay Line
- DL). DL consta di due specchi sferici regolati in modo
tale che il fascio luminoso entra attraverso un foro praticato nel primo di questi specchi, rimbalza N volte tra
essi colpendo gli specchi sempre in punti diversi, prima
di uscire da un altro foro e ricombinarsi sul beam splitter con l’altro fascio in uscita dal secondo braccio. Il
fascio ricombinato incide su un fotodiodo che finge da
monitor dello stato d’interferenza del sistema (monitor
dello stato di frangia scura dell’antenna gravitazionale).
162CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.2: In figura sono riportate due possibili configurazioni di lavoro. In alto è riportata la configurazione FP. Nella
parte bassa della figura, relativa alla linea di ritardo ottica,
il disegno a colori mette in evidenza la necessità che le traiettorie dei fasci luminosi nei viaggi di andata e ritorno siano
ben separate.
- l’ interferometro di Michelson - Fabry-Perot (FP) è ottenuto ponendo dopo il beam splitter in ciascuno dei
due bracci uno specchio semi-trasparente cosı̀ da realizzare delle cavità Fabry-Perot in ogni braccio. La luce di
ritorno dalle due cavità è ricombinata in opposizione di
fase ottenendo di nuovo il minimo di interferenza. Per
una discussione dettagliata sul Fabry-Perot si veda il
relativo capitolo nella seconda parte.
Le prestazioni di questa seconda configurazione possono
essere discusse in modo analogo al caso precedente definendo
8.3.
LA CONFIGURAZIONE SPERIMENTALE
163
un numero efficace di rimbalzi:
Nef f =
2F
⇡
(8.15)
Ricordiamo qui che una cavità FP è caratterizzata da alcuni
parametri fondamentali quali:
- la finesse che appare nella relazione ??
p
⇡ R1 R2
F =
1 R1 R2
dove R1 e R2 sono le riflettività dello specchio d’ingresso
e di quello terminale della cavità,
- la spaziatura in frequenza delle righe di risonanza, Free
Spectral Range - FSR,
⌫F SR =
c
2L
,
- la larghezza a mezza altezza delle righe di risonanza,
Full Width Half Maximum - FWHM,
⌫F SR
F
⌫F W HM =
Per un’analisi più dettagliata e il confronto completo dei due
sistemi si rimanda alla trattazione fondamentale di questi rivelatori [?], basata sulla algebra delle matrici ottiche. Qui ci
limitiamo a riportare soltanto le espressioni della variazione
di fase osservato all’uscita del rivelatore causato da un’onda
gravitazionale monocromatica di pulsazione !g nei due casi:
DL
FP
= 2ho !
✓
L sin (!g Lc N )
c !g Lc N
2T 2
R2
' !ho ⌧s 2 1 2
T 1 + T 2 R1
◆1
(8.16)
1
2
1
(1 + !g2 ⌧s2 ) 2
(8.17)
dove ⌧s è il tempo d’intrappolamento della luce
1
⌧s =
2L (R1 R2 ) 2
c 1 R1 R2
(8.18)
164CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
T1 e T2 sono la trasmettività degli specchi di ingresso e del
terminale.
La formula ?? è dedotta nell’ipotesi che la trasmittività dello
specchio sia molto maggiore del fattore di perdita. Notiamo
che gli andamenti delle due espressioni ?? e ??, in funzione della variabile !g ⌧s sono piuttosto di↵erenti tra loro1 . Il
confronto della risposta delle due configurazioni al segnale
gravitazionale dovrebbe essere fatto a parità di tempo di intrappolamento. Sotto questa ipotesi, risulta che per !g ⌧s  ⇡
il sistema Fabry-Perot è solo un fattore due più sensibile del
DL.
Tuttavia la scelta tra l’una e l’altra configurazione richiede anche un’analisi delle difficoltà che si incontrano nella realizzazione di ciascuna configurazione. Nel caso delle linee di
ritardo il problema principale è l’e↵etto della luce di↵usa sullo specchio che si sovrappone al fascio principale, producendo
segnali spuri. In particolare, la condizione di non avere sovrapposizione alcuna tra le macchie luminose del fascio multiriflesso su ciascun specchio della DL, impone l’uso di specchi
sferici di grande apertura e di altissima qualità sopratutto sul
bordo. Un’altra conseguenza dell’uso di specchi grandi è la
necessit di costruire impianti da ultra alto vuoto con chilometri di tubi di sezione più grande di quelli della configurazione
FP.
La di↵erenza tra la lunghezza statica dei cammini ottici
nei due bracci è un problema comune alle due configurazioni,
perchè le rende sensibili sensibili alle variazioni di frequenza del laser. Nel caso DL tale di↵erenza può essere dovuta
ad diverso valore dei raggi di curvatura degli specchi delle
due cavità DL, Nell’interferometro FP valori diversi della finesse delle due cavità FP, dovuti sia a variazioni del raggio
di curvatura che di riflettività degli specchi, possono porre
condizioni ancora più severe sulla riduzione del rumore di
frequenza della luce laser.
Tirando le somme, la scelta del sistema FP rispetto al DL
sembra legata a due questioni fondamentali:
• La configurazione FP ha bisogno di specchi con diametri cinque volte inferiore a quello del dispositivo DL;
1
Nel caso DL si ha ⌧s = 2N L/c e quindi nella ?? appare la variabile
equivalente !g /N = !g ⌧s (c/2L).
8.4. I RUMORI DELL’INTERFEROMETRO.
165
• la luce all’interno del cavità FP viaggia avanti e indietro
lungo lo stesso percorso, cosı̀ che il problema della luce
di↵usa è notevolmente ridotto.
Per questo motivo TAMA, LIGO, Virgo ed il futuro rivelatore KAGRA hanno preferito adottare la configurazione
FP.
8.4
I rumori dell’interferometro.
8.4.1
Il rumore granulare
La luce in uscita di un interferometro di Michelson con bracci
di lunghezza diversa, presenta una di↵erenza di fase pari a
↵ = 4⇡ (Lx Ly ). In presenza di un’onda gravitazionale che
generale una di↵erenza di fase aggiuntiva gw , la luce in uscita
avrà una potenza Wout pari a
Wout =
Win Rx 2 + Ry 2
[1 + Ccos(↵ +
2
2
gw )]
(8.19)
dove Win è la potenza in ingresso all’interferometro e C il suo
contrasto definito
C=2
Rx Ry
Rx 2 + Ry 2
(8.20)
dove Rx e Ry sono le riflettività degli specchi terminali, i cui
R
2 +R 2
valori sono molto vicini ad 1; allora si ha x 2 y ⇡ 1 e il
contrasto C anch’esso prossimo all’unità. La risposta dell’interferometro ad una variazione del segnale gravitazionale, ci
consente di dedurre la sensibilità dello strumento
Wout =
Win
Csin(↵)
2
gw
(8.21)
che risulta massima per ↵ = (k + 1)⇡/2 con k numero intero.
Questo corrisponderebbe a regolare l’interferometro in modo
che la luce di uscita sia a metà tra la condizione di interferenza
costruttiva e quella distruttiva ( condizione di metà frangia
o frangia grigia
Tuttavia, l’approccio corretto è configurare l’interferometro in modo che sia massimo il rapporto segnale rumore. Consideriamo quindi l’e↵etto del rumore granulare (shot noise)
166CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
sul fotodiodo d’uscita. Lo shot noise è descritto dalla statistica di Poisson, la cui deviazione standard è pari alla radice
p
quadrata del numero dei fotoni n rivelati dal fotodiodo.
Supponendoche la misura sia eseguita in un tempo caratteristico t, ovvero il rivelatore sia sensibile in una banda
caratteristica di frequenze ⌫. Si ha
p
nout =
s
Wout t
4⇡h̄c
Ne segue che la potenza spettrale unilatera ( ! > 0) del
rumore granulare è
SW (shot) = h̄!W
(8.22)
dobe h̄ è la costante ridotta di Planck. Calcoliamo il rapporto
segnale rumore per poi ricavare il valore di ↵ per cui si ha il
massimo:
p
Wout
1
=
2
SN R = q
SW (shot)
s
Win Csin↵ 2⇡
p
H(!) (8.23)
h̄! 1 + cos↵
dove H(!) è la trasformata di Fourier del segnale gravitazionale e L è la lunghezza media dei due bracci del Michelson.
La funzione ha un massimo per
cos↵ =
p
1
( 1+ 1
C
C 2) ⇡
1+
q
2(1
C)
valore molto prossimo alla condizione di buio ( frangia scura).
Per riportare il rumore shot all’ingresso del rivelator, definendo quindi un equivalente rumore in Sh (shot) , basta imporre
nella ?? la condizione SN R = 1. SI ottiene cosı̀ uno spettro
bianco unilatero
q
Sh
(shot)
(⌫) =
Con
q Win = 1 kW ,
4⇡L
s
2h̄!
= costante
Win
(8.24)
= 1.054 µm e ! = 2⇡ c /
si ha
p
Sh
' 5.4 · 10
1/ Hz.
Per la configurazione DL il calcolo è più complesso. Riportiamo qui il risultato di questo sviluppo algebrico:
(shot)
h
22
(DL)
=
✓
1
h̄!
!⌧s W R4N ↵ t
◆1
2
(8.25)
8.4. I RUMORI DELL’INTERFEROMETRO.
167
dove R è la riflettività dello specchio, ed abbiamo introdotto
per completezza anche l’efficienza del fotodiodo di rivelazione
↵.
Utilizzando la ??, un limite simile si ricava nel caso delle
cavità FP:
h
(F P )
✓
1 T12 + T22 R1
=
! 2T12
R2
◆1
2
1
(1 + !g2 ⌧s2 ) 2
⌧s
✓
h̄!
W↵ t
◆1
2
(8.26)
essendo questa volta la potenza in cavità pari a
Wef f = W
2F
⇡
Per entrambe le configurazioni i limiti shot sono funzione
della pulsazione del segnale gravitazionale !g ed in particolare
per !g > (2⇡⌧s ) 1 la sensibilità si riduce.
Negli attuali sistemi, per limitare il contributo del rumore
a bassissima frequenza che caratterizza la radiazione emessa dal laser, la luce viene modulata, tramite un modulatore
elettro-ottico a frequenze dell’ordine del MHz. Per realizzare modulatori ad elevata efficienza e velocità, si sfruttano
gli e↵etti elettro-ottico e acusto-ottico in cristalli, il cui indice di rifrazione può essere cambiato applicando un campo
elettrico o una tensione meccanica. I modulatori basati su
questi e↵etti realizzano la modulazione di fase (diretta o attraverso variazioni di polarizzazione) o frequenza ( si veda
il relativo capito sulle tecniche di modulazione). I segnali modulati dell’interferometro vengono poi utilizzati per il
controllo dell’interferometro stesso. In condizioni di modulazione, il segnale gravitazionale appare in una delle bande
laterali dello spettro del segnale luminoso e il massimo del
rapporto SNR si ha di nuovo quando il segnale sul fotodiodo d’uscita dall’interferometro è all’estinzione (condizione di
interferenza distruttiva o frangia scura). In questa condizione la luce riflessa all’indietro dall’interferometro verso il laser
(ingresso dell’interferometro) è massima.
È stato allora proposto di sfruttare il fatto che nel punto
di lavoro scelto l’interferometro si comporta come uno specchio virtuale, per abbassare ulteriormente il limite dovuto
allo shot noise. Si tratta in sostanza di aggiungere un altro
elemento allo schema ottico dell’interferometro al fine di realizzare una ulteriore cavità ottica risonante: è uno specchio
semi-riflettente, lo specchio di ricircolo, che viene posto tra
168CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
il laser ed il beam splitter in una posizione tale da verificare
una nuova condizione di risonanza ottica2 .
In questo modo si ottiene un aumento della potenza luminosa
Wef f che, a seconda della configurazione ottica scelta (DL
o FP), sarà realizzata in condizioni sperimentali di↵erenti.
Nel caso delle cavità FP l’andamento in frequenza del limite
della sensibilità dovuto allo shot noise, è caratterizzato da
una frequenza detta del ginocchio, (knee frequency), !k , in
prossimità della quale il rumore è minimo. Tale quantità
dipende dalla riflettività dello specchio di ricircolo e da quello
dell’interferometro.
In condizioni di ottimizzazione del rapporto segnale rumore, la densità spettrale di rumore in h dovuta allo shot
noise è data dalla seguente relazione
Sh (!) =
dove

!k
So 1 +
2!o
✓
✓
!
!k
2h̄c
1 R2
So =
2⇡W ↵
2L
e
◆2
◆2
(8.27)
(8.28)
R2 )c
(8.29)
2L
Dalla formula precedente si deduce che il miglioramento nel
rumore shot è determinato dal rapporto !k /!o per frequenze
minori di quella del ginocchio. Questo è ottenuto al prezzo
di un peggioramento del rumore alle frequenze più alte.
Una trattazione pù completa del sistema include le perdite ottiche; in tal caso si può dimostrare che il guadagno di
configurazione con il ricircolo della luce rispetto al caso nonriciclato è in pratica legata al numero medio di volte che la
luce può essere riciclata prima che sia persa attraverso gli
specchi terminali e assorbita dalle perdite del sistema.
La configurazione del solo riciclaggio di potenza è la migliore per rivelare segnali a banda larga. La ricerca del segnale a banda stretta può essere ottimizzata dalla cosiddetta
configurazione risonante [?]. Proviamo a spiegare questa idea
concentrando la nostra attenzione sul solo interferometro di
Michelson. Si tratta di immagazzinare la luce dovuta al segnale in un braccio durante metà del ciclo dell’onda gravitazionale di frequenza !g /2⇡. Poi, invece di estrarre la luce
!o =
2
(1
L’ idea di riciclare la luce riflessa fu proposta da R. Drever [?] e la
teoria generale fu sviluppata da Vinet et al. [?].
8.4. I RUMORI DELL’INTERFEROMETRO.
169
attraverso il divisore di fascio, questa è immessa nell’altro
braccio. Durante questa seconda metà del ciclo dell’onda,
poichè in questo secondo braccio anche il segno del segnale è
invertito, la fase della luce si sposta nella stessa direzione del
primo mezzo ciclo. Il ricircolo del segnale con questa modalità può esser ripetuto tante volte sino a che non prevalgono
le perdite dello specchio.
In sostanza, la luce incidente sul beam spitter circola in senso
orario e antiorario nell’ interferometro. Ciascuna di queste
parti della luce circolante è soggetta ad una continua variazione della fase dovuta al segnale, l’una con un segno e l’altra
di segno opposto, cosı̀ che la luce ricombinata al beam splitter
sarà cosı̀ caratterizzata da un più alto segnale d’interferenza. Abbiamo in sostanza costruito l’equivalente ottico di un
circuito risonante accordato alla frequenza del segnale.
Per produrre questo e↵etto si utilizza un ulteriore specchio, il sesto della configurazione FP con il ricircolo di potenza (non tenendo conto del separatore di fascio). Questo
specchio, posto tra il separatore di fascio e il fotodiodo di rivelazione costituisce, insieme con l’interferometro, un elemento
risonante alla frequenza di r !e , prossima alla frequenza della luce laser. Questa ulteriore cavità accoppia i FP dei due
bracci determinando l’esistenza di due modi risonanti
⌫e ±
⌫g
2
dove
c
(1 R1 )
4⇡L
Se poi la frequenza del laser è scelta in modo tale da eccitare
⌫g
il modo a frequenza più bassa ⌫e
2 , allora l’ interazione
del segnale gravitazionale a ⌫g avrà l’e↵etto di popolare il
⌫
modo a frequenza più alta ⌫e + 2g (upconversion). L’ ottimizzazione di questa configurazione, basata sul solo criterio
di riduzione dello shot noise, si ha per valore della riflettività dello specchio risonante Rr tali da verificare la seguente
relazione:
⌫g =
1 R2
1 R1
In questa condizione la densità spettrale del rumore granulare, riportata all’ingresso del rivelatore gravitazionale è:

⌫ ⌫g
Sh (⌫) = 4So 1 + (
)
⌫o
1
Rr = 2
170CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
per |⌫ ⌫g | ⌧ ⌫o .
È doveroso sottolineare che il significativo miglioramento
in configurazione risonante è ottenuto al costo di una altrettanto significativa riduzione della banda di rivelazione dell’interferometro.
8.4.2
Il rumore di pressione di radiazione
Questo tipo di disturbo è provocato dalle fluttuazioni statistiche dei fotoni incidenti sullo specchio: i fotoni trasferiscono
impulso alla superficie ottica alterandone la posizione. Le
fluttuazioni di pressione producono un rumore, che, riportato all’ingresso dell’interferometro, ovvero espresso in funzione
della variazione della metrica h, è pari a
Sh
(rad)
1
=
M !g 2 L
s
8⇡h̄Wef f
c
dove m è la massa dello specchio considerato. Come si vede,
per diminuire gli e↵etti di questo rumore occorre aumentare
la massa degli specchi e diminuire la potenza incidente su
essi Wef f . Quest’ultima richiesta è in contrapposizione con
quella associata alla riduzione dello shot noise. Esiste quindi
un valore di potenza luminosa tale da bilanciare il contributo
di queste due sorgenti del rumore.
Attualmente il valore della potenza che minimizza questa
somma di contributi spettrali, è due ordini di grandezza superiore a quello degli attuali interferometri, cosı̀ che il contributo dominante resta quello dello shot noise. Tuttavia la
generazione prossima, che prevede un incremento della potenza del laser d’ingresso e dei valori di finesse delle cavità
FP, si avvicinerà a tale condizione.
Lo spettro minimizzato del rumore totale è una funzione
della frequenza ! e rappresenta il limite quantistico standard
del rivelatore ottico. La discussione approfondita sul limite
quantistico e su come aggirarlo è riportata in alcuni capitoli
della seconda parte del testo.
8.4.3
Le altre sorgenti di rumore
Negli apparati sperimentali reali vi è poi una lunga lista
di altre sorgenti di rumore che limitano la sensibilità dei
rivelatori.
8.4. I RUMORI DELL’INTERFEROMETRO.
171
8"m"
______"moto"sismico"
______"moto"dello"specchio"
Frequenza""[Hz]"
Cavo"di"sospensione"del"pendolo"
Lame"elas*che"
1"
"d’acciaio"Maraging"
Figura 8.3: A destra è riportata la foto, ripresa dal basso,
del super attenuatore di Virgo. Le frecce indicano i cavi dei
pendoli e le lame elastiche di acciaio Maraging per l’attenuazione del moto sismico orizzontale e verticale. A sinistra è
riportata la misura dello spettro del rumore sismico al suolo
e sulla massa sospesa dal super attenuatore.
A bassa frequenza il limite è determinato dal rumore sismico. La soluzione adottata è di sospendere gli specchi ad
una catena di molti pendoli in cascata. Questa tecnica, proposta e realizzata dall’INFN di Pisa, fà sı̀ che il limite di bassa
frequenza della banda di rivelazione possa essere portato sino
ad un valore dell’ordine di qualche Hz. In realtà non si tratta di semplici pendoli: infatti le masse di carico di ciascun
pendolo sono equipaggiate con molle verticali al cui estremo
sono localizzati i punti di attacco dei fili dei pendoli.
In questo modo ciascun pendolo attenua le vibrazioni orizzontali di un fattore pari al quadrato del rapporto della frequenza di risonanza fondamentale del pendolo !p diviso la
frequenza di interesse !g
✓
!p
!g
◆2
ed in modo analogo l’attenuazione delle vibrazioni verticali
dipende dalla frequenza propria delle molle poste nei punti
172CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
d’attacco dei fili: !v
✓
!v
!g
◆2
Questo sistema di sospensione, adottato nell’interferometro
Virgo, nel suo insieme ha una funzione di trasferimento per
l’eccitazione verticale
✓
e
.01
7 · 1016
!g16
✓
◆
(8.30)
vert.
16 · 1013
!g16
◆
(8.31)
hor.
per gli spostamenti orizzontali.
Un’ulteriore limite alla sensibilità in h è dovuto alle fluttuazioni della pressione residua P nel tubo da vuoto dove si
propaga la luce laser. La stima di questo e↵etto non è banale. Una espressione approssimata della densità spettrale di
ruomore è
q
Sh
(vac)
7 · 10
25
✓
P
10
7
◆
1
2
1
(Hz) 2
(8.32)
Esiste inoltre il problema del rumore di frequenza del laser che dipende dalle asimmetrie presenti tra i due bracci
dell’interferometro, sia quelle dovute alla di↵erenza residua
nella geometria degli specchi (raggi di curvatura), sia quelle
associate alle diverse caratteristiche ottiche degli specchi di
una e dell’altra cavità (ad esempio associate alle perdite della
cavità). Questo limite è migliorato tramite un buon allineamento delle cavità, l’alta qualità degli specchi (riduzione delle
perdite), il controllo della loro geometria, che viene e↵ettuato
grazie ad un sistema di compensazione termica degli specchi
e un sistema di stabilizzazione dell’intensità e della frequenza
del laser.
8.4.4
Il rumore termico negli inteferometri
Una attenzione particolare deve essere posta a una seconda
limitazione intrinseca al rivelatore: il rumore termico. Sebbene ad esso sia dedicato un intero capitolo di questo testo,
converrà qui ricordare alcuni aspetti specifici di questo rumore in connessione con il rivelatore interferometrico di onde
gravitazionali.
8.4. I RUMORI DELL’INTERFEROMETRO.
173
A ciascuno dei modi normali di oscillazione e vibrazione dello specchio è associata un’energia di fluttuazione pari a kB T ,
dove kB è la costante di Boltzmann e T la temperatura di
equilibrio del sistema. Alcuni di questi modi si accoppiano
con il modo elettromagnetico su cui si fa risuonare otticamente la cavità FP (in genere il T EM00 ). Ne segue che il rumore
di fluttuazione di spostamento dello specchio associato a questi modi normali contribuisce a definire la curva di rivelazione
dello strumento insieme con il rumore termico del modo di
pendolo dello specchio, che dipende dai fili di sospensione.
Se ⌧i è il tempo di rilassamento del modo di oscillazione
i esimo che stiamo considerando, la densità spettrale di
potenza della forza stocastica che determina la fluttuazione
è:
2kB T Mi
SF =
(8.33)
⌧i
dove Mi è la massa efficace del modo normale di vibrazione considerato (per l’oscillazione di pendolo Mi coincide
coon la massa dello specchio M ).
La densità spettrale di spostamento dello specchio Sx (!g )
è dedotta moltiplicando il modulo quadro della funzione di
trasferimento dell’oscillatore normale per la ??, ottenendo
per ciascun modo:
Sx (!g ) =
2kB T
Mi ⌧i (!g2
1
!i2 )2
!
+ ( ⌧ig )2
(8.34)
dove !i indica la frequenza angolare dell’i esimo modo. La
frequenza del segnale di interesse !g è più grande di quella del
pendolo. Tenendo conto di questo nella formula precedente, si
può dedurre il limite di rumore in h dovuto al rumore termico
del pendolo :
q
Sh
◆1
2kB T X 1 2
> 2
!g L
M
⌧i
(8.35)
✓
◆1
X
2
1
1
=
2kB T
3
L
Mi Q i ! i
(8.36)
(therm.p.)
1
✓
Al contrario i modi propri di oscillazione dello specchio sono
a frequenze più alte di !g (!i > !g ); in questo caso si ha
q
Sh
(therm.m.)
dove Qi sono i fattori di qualità dei modi normali acustici
degli specchi. Essi dipendono dalla natura del materiale oltre
che dalla sua dimensione e dai modi di vibrazione considerati.
174CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Assumendo Qi ' 106 , il limite dovuto al rumore termico può
p
1/2
arrivare sotto al valore di soglia di Sh di 10 23 1/ Hz per
un valore della massa M ⇠ 100 kg. Occorre precisare che le
espressioni ?? e ?? sono derivate nell’ipotesi che i fattori di
qualità siano indipendenti dalla frequenza. Questa assunzione può avere validità limitata solo a valori di ! prossimi alle
risonanze.
La misura del contributo del rumore termico in un interferometro gravitazionale non è compito facile. L’inviluppo dei
due principale contributi di rumore termico, quello del pendolo e quello dei modi dello specchio, dovrebbe concorrere a
definire la zona spettrale di massima sensibilità dello strup
1/2
mento. In questo caso per ottenere Sh di 10 23 1/ Hz , i
fattori di qualità in gioco devono essere dell’ordine 105 - 106
a temperatura ambiente. . Ottenere questo non è facile: in
particolare le dissipazioni nei punti di collegamento delle sospensioni influenza i fattori di qualità sia dello specchio che
della sospensione. Tuttavia, è stato dimostrato in passato che
con una accurata scelta dei materiali e progettando i punti di
attacco in modo accorto, si possono ottenere significativi aumenti del valore di Q, che si esaltano ra↵reddando il sistema
a bassa temperatura. Questo è un ulteriore motivo a sostegno dell’utilizzazione di tecniche criogeniche per gli specchi
di KAGRA e dei rivelatori di futura generazione.
Come esempio di limite, ormai raggiunto dai rivelatori di
prima generazione, mostriamo in fig. ?? la curva di sensibilità di Virgo. Essa è ottenuta sommando tutte le potenze
spettrali dei vari contributi di rumore riportati all’ingresso
dello strumento ed estraendo poi la radice quadrata di questa
somma.
8.5
Le antenne risonanti.
Il rivelatore risonante è un corpo elastico massiccio caratterizzato da un modo di vibrazione con momento di quadrupolo
di massa non nullo. Il più semplice di tali sistemi è un oscillatore armonico formato da due masse identiche, distanti l
e legate tra loro da una molla. L’onda gravitazionale che
incidente normalmente al piano su cui giace questo sistema,
mette in vibrazione l’oscillatore.
J. Weber nel 1960 derivò l’equazione della deviazione geodetica che includeva il termine d’interazione elastica tra le due
8.5. LE ANTENNE RISONANTI.
175
Figura 8.4: La curva di sensibilità di Virgo ottenuta estraendo
la radice quadrata della somma delle potenze spettrali dei vari
contributi di rumore riportati all’ingresso dello strumento.
176CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.5: L’oscillatore elementare per la rivelazione delle
onde gravitazionali. Le due masse M identiche, distanti l,
seguono due linee geodetiche.
masse liberamente gravitanti. La molla schematizza l’e↵etto di richiamo nello stato d’equilibrio stabile del sistema; tale
equilibrio è basato essenzialmente sull’esistenza delle forze interne di natura elettromagnetica dei componenti microscopici
del corpo elastico. Si potrebbe arguire allora che la metrica
dello spazio influenzi anche tali forze di legame. Questo e↵etto sarebbe rilevante solo quando la densità d’energia gravitazionale (includente anche l’energia di riposo) fosse comparabile con la densità d’energia elettromagnetica del sistema. Ne
deduciamo quindi che in prima approssimazione tale e↵etto
è trascurabile.
Consideriamo allora l’equazione della geodetica includendo un termine d’interazione non gravitazionale Fi per tener
conto dell’esistenza della molla:
d2 xi
+
d⌧ 2
i
mk
dxm dxk
Fi
=
d⌧ d⌧
mc2
(8.37)
Si proceda poi considerando due linee geodetiche relative a
due masse identiche legate agli estremi della molla, descritte
ciascuna in un funzione di un opportuno parametro v e si
derivi rispetto a v l’equazione ??. Si ottiene cosı̀ una nuova
equazione
2⇠i
⌧2
dove il simbolo
+ um uh ⇠ k Ri mkh =
1 F i /m
dv
c2
v
indica la derivata covariante.
(8.38)
8.5. LE ANTENNE RISONANTI.
177
Avendo posto l’origine del sistema di coordinate nel centro
di massa dell’oscillatore armonico e assumendo che
|
dxo
|=c
d⌧
|
dxj
| = vj ⌧ c
d⌧
decomponiamo il vettore deviazione ⇠ µ in
⇠ µ = rµ + ⌘ µ
dove rµ è il vettore che definisce la posizione d’equilibrio delle
due masse.
Assumiamo inoltre che il termine d’interazione non gravitazionale includa anche una forza di natura viscosa. Orientando
l’oscillatore armonico lungo l’asse z, che a sua volta è perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda, l’equazione
?? assume la forma semplice:
2
⌘¨z + ⌘˙ z + !o ⌘z = c2 Rz ozo l
(8.39)
⌧
dove !o e ⌧ sono la frequenza angolare e il tempo di decadimento della risonanza meccanica del sistema.
Abbiamo già dedotto, nel caso di masse non interagenti, l’espressione del termine di perturbazione dovuto all’onda
incidente (si veda la formula ??); la relazione esplicita è stata ottenuta calcolando il tensore di Riemann di una metrica
debolmente perturbata rispetto a quella di Minkowski:
1
c2 Rz ozo l = ḧzz l
(8.40)
2
La soluzione dell’equazione di↵erenziale che ne risulta, si ricava introducendo la trasformata di Fourier del termine forzante H(!) e ⌘¯z (!) quella della variabile ⌘z . Si giunge quindi alla relazione fondamentale che caratterizza la risposta
dell’oscillatore armonico all’onda gravitazionale:
⌘¯z (!) =
8.5.1
l
! 2 H(!)
2 (! 2 !o2 ) j !⌧
(8.41)
La barra di Weber
Per progettare un esperimento realmente fattibile, dobbiamo
sostituire l’oscillatore armonico con un un corpo elastico. La
scelta di Weber fu di considerare un solido cilindrico, una
soluzione adottata nella maggior parte dei rivelatori costruiti.
178CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.6: Il cilindro vibra alla prima armonica longitudinale. Si scelga il sistema di riferimento al centro della barra
e si considerino due elementini di massa posti in posizioni
simmetriche rispetto al centro.
Consideriamo allora l’interazione di un’onda gravitazionale
con un cilindro la cui lunghezza è molto più grande del suo
raggio.
Limitiamo la nostra analisi al caso di un’asta sottile (stringa)
che vibra lungo l’asse dello stelo (modi di vibrazione longitudinali); sia poi la stringa perpendicolare alla direzione di
propagazione dell’onda. Indichiamo con ⇠(z, t) lo spostamento dalla posizione di equilibrio dell’elemento di massa lungo la
direzione z. La teoria di elasticità ci suggerisce che ⇠ soddisfa
la seguente equazione alle derivate parziali:
⇢
@2⇠
@
=
+ FG
2
@t
@z
(8.42)
dove è la componente z del tensore degli sforzi, ⇢ la densità
e FG è la densità di forza lungo l’asse z agente sull’elemento
di massa.
Per includere gli e↵etti dissipativi, assumiamo che la barra sia modellata come un solido di Voigt (per una discussione
rigorosa e completa di questo definizione, si veda ad esempio
il testo [?]. In pratica si introduce una semplice modifica della
legge di Hooke in modo che la relazione tra sforzo e defor@⇠
mazione @z
includa un termine di dissipazione che dipende
dalla derivata temporale della deformazione,
8.5. LE ANTENNE RISONANTI.
179
@⇠
@ @⇠
+D
(8.43)
@z
@t @z
Il coefficiente D caratteristico del processo dissipativo.
Per dedurre una espressione esplicita per FG , scegliamo il
sistema di coordinate con origine coincidente con il centro del
cilindro. L’onda gravitazionale lascia immutata la posizione
dell’origine del sistema di riferimento, quindi noi ci limiteremo a considerare lo spostamento del generico elemento di
massa dm in posizione z rispetto all’elemento simmetrico posto in z. In precedenza abbiamo visto che nel caso di due
masse puntiformi a distanza z, l’e↵etto dell’onda era assimilabile ad un campo di accelerazione data dalla ??. Possiamo
allora ipotizzare che lungo tutta la stringa sia distribuita una
forza per unità di massa data dalla seguente relazione:
=Y
⇢z @ 2 h
2 @t2
Sulla base delle ??,?? e ??, concludiamo che
FG =
(8.44)
@2⇠
@2⇠
@ @2⇠
⇢z @ 2 h
Y
D
=
(8.45)
@t2
@z 2
@t @z 2
2 @t2
La soluzione di questa equazione si ottiene introducendo le
trasformate di Fourier delle quantità h(t) e ⇠(t, z). Otteniamo
cosı̀
⇢
⇢
@ 2 X(!, z)
⇢z! 2
2
(Y
+
j!D)
+
!
⇢X(!,
z)
=
H(!) (8.46)
@z 2
2
A questa equazione di↵erenziale associamo le condizioni al
contorno di sforzo nullo agli estremi della barra. Nell’intorno
della frequenza di risonanza delle barre metalliche si ha che
Q = Y /(!D)
1 dove Q è il fattore di qualità acustico. In
questa approssimazione, la soluzione dell’equazione ?? è:
⇠(z, t) =
1
2
✓
Z 1
H(!)
1
2
sin(↵z)
z
e
↵'!
cos (↵L)
2
r
◆
exp(j!t)d!
⇢
j
(1 ±
)
Y
2Q
La funzione T (↵, z)
✓
T (↵, z) = z
sin(↵z)
cos (↵L)
2
◆
(8.47)
180CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
mostra che le pulsazioni di risonanza verificano l’equazione
di dispersione
s
⇡ Y
!k = (2k + 1)
L ⇢
essendo k un numero intero. Si noti che la risposta dell’antenna alle sollecitazione gravitazionale è nulla in corrispondenza
delle armoniche pari .
Poniamo ora l’attenzione sullo spostamento del punto terminale dell’antenna (z = L/2). Nel limite ! ! !o , la funzione
T (↵, L/2) è ben approssimata dalla funzione di trasferimento
??, relativa ad un oscillatore armonico di lunghezza e↵ettiva
l=
4
L
⇡2
L’equivalenza tra l’oscillatore puntiforme e il moto armonico
del cilindro osservato nel punto z = ±L/2 alla risonanza,
si completa introducendo il concetto di massa equivalente.
Questa quantità è definita tramite l’uguaglianza dell’energia
elastica di un massa puntiforme meq , che oscilla con ampiezza
A, e quella del solido, il cui estremo a z = L/2 oscilla di pari
ampiezza per ! = !o :
1
1
meq !o 2 A2 =
4
2
Z +L/2
Y(
L/2
@⇠
big)2 dz
@z
(8.48)
Il calcolo esplicito dell’integrale ci porta a concludere che
meq = M
2 , dove M è la massa della stringa.
Questa equivalenza, valida in prossimità della risonanza,
semplifica l’analisi del rivelatore. Supponiamo che l’antenna
sia eccitata da un impulso della forma
h(t) = ho cos(!o t)
per
|t| <
⌧g
2
e zero al di fuori di questo intervallo temporale. In questo
caso la risposta del rivelatore è:
L
⇠( , t) = ⌘(t) =
2
L
t
ho ⌧g !o exp(
) sin(!o t)
2
⇡
⌧
(8.49)
Nel caso di eccitazione dovuta ad un’onda monocromatica
alla frequenza di risonanza della barra, si ha:
⌘(t) =
2L
Qho sin(!o t)
⇡2
(8.50)
8.5. LE ANTENNE RISONANTI.
181
Per qualificare le prestazioni di un’antenna risonante si
è introdotto anche il concetto di sezione d’urto d’interazione
con l’onda gravitazionale ⌃. ⌃ è definita come il rapporto
tra la densità spettrale d’energia dell’onda incidente SG (!)
e l’energia di vibrazione dell’antenna trasferita da questo segnale Eo . Ne segue che per ricavare una espressione esplicita
di ⌃, dobbiamo specificare la natura spettrale del segnale
incidente.
Nel caso dell’onda impulsiva di durata ⌧g , che si propaga in
direzione perpendicolare all’asse dell’antenna cilindrica al suo
primo modo longitudinale, si ha
1
2L!o
Eo = meq !o2 ( 2 ho ⌧g )2
2
⇡
(8.51)
e, tenendo conto della ??, si deduce per SG (!)
SG (!) '
c3
! 2 h2o ⌧g2
32⇡G
(8.52)
Si ottiene cosı̀ la sezione d’urto
⌃=
1 Y
4G
meq 2
⇡c
c ⇢
[m2 Hz]
(8.53)
Essa dipende principalmente dal modulo di Young e dalla
massa dell’antenna. Questi parametri guideranno lo sperimentatore nella scelta del materiale e nelle dimensioni del
cilindro. È doveroso sottolineare che l’espressione dedotta
è valida nelle condizioni più favorevoli di rivelazione, ovvero nel caso di orientazione ottimale dell’antenna rispetto alla
direzione di propagazione e polarizzazione dell’onda.
Negli esperimenti più sensibili il rivelatore è un corpo metallico massiccio del peso di alcune tonnellate. È sospeso in
una camera da vuoto per essere isolato dalle vibrazioni. La
scelta del materiale nel caso dei rivelatori criogenici di ultima
generazione è caduta sulla lega di alluminio Al 5056, caratterizzata da valori di Q molto elevati a bassa temperatura
(Q ⇠ 107 ). Il gruppo dell’università della Western Australia
ha scelto invece di ra↵reddare un cilindro di ⇠ 1000 kg di niobio, un materiale particolarmente costoso che ha un fattore
di qualità a bassa temperatura ⇠ 2 · 108 .
Abbiamo detto in precedenza che in genere l’antenna risonante ha una forma cilindrica. Tuttavia, il gruppo giapponese dell’università di Tokyo e del KEK ha studiato geometrie
182CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.7: Schema dell’apparato costruita all’università della Western Australia per ra↵reddare a 4 K un’antenna di
niobio di ⇠ 1.5 tonnellate.
8.5. LE ANTENNE RISONANTI.
183
Figura 8.8: Modo di vibrazione quadrupolare dell’antenna a
quadrifoglio dell’università di Tokyo.
diverse allo scopo di massimizzare la sezione d’urto. Il loro
obiettivo era di selezionare modi di vibrazione a simmetria
quadrupolare prossimi al doppio della frequenza di rotazione della pulsar nella nebulosa del Granchio (Crab pulsar). In
un primo tempo svilupparono un rivelatore a forma quadrata
con tagli tali da ottenere un sorta di quadrifoglio (si veda la
figura ??). Più tardi fu realizzata una antenna a forma di
manubrio, ra↵reddata a 4 K, il cui primo modo di risonanza
torsionale era accordato al doppio della frequenza della pulsar [?]. Recentemente questa idea è stata ripresa di nuovo da
Ando della stessa università di Tokyo, che intende sfruttare un sistema di levitazione magnetica superconduttrice per
migliorare le prestazioni del sistema torsionale. Negli anni
2000 poi è stata ripresa una idea che Wagoner e Paik presentarono al convegno di Gravitazione Sperimentale, organizzato
a Pavia dall’Accademia dei Lincei nel 1976. In quel lavoro
proponevano di sviluppare un’antenna sferica, sfruttando i
suoi modi di oscillazione a simmetria quadrupolare. Il vantaggio di questo tipo di rivelatore è la sua omni-direzionalità.
184CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.9: Foto dell’antenna brasiliana Mario Schenberg.
A fianco e’ riportato un disegno completo dell’apparato
sperimentale.
8.5. LE ANTENNE RISONANTI.
185
Figura 8.10: Foto dell’antenna dell’antenna sferica MiniGrail,
sviluppata presso il laboratorio dell’università di Leiden in
Olanda, dal gruppo del prof. G. Frossati.
186CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Antenne sferiche, ra↵reddate a bassa (4 K) e bassissima temperatura ( tra 10 e 100 mK ) sono state costruite in Brasile [?]
e in Olanda [?]. Le foto di questi rivelatori, tuttora in fase di
sviluppo, sono riportate nella figure ?? e ??.
8.6
Il trasduttore
I rivelatori risonanti devono essere equipaggiati con un sistema di conversione del segnale meccanico in un segnale
elettrico e/o magnetico: il trasduttore.
Un trasduttore lineare, sensibile ad una sola coordinata spaziale del sistema meccanico (ad esempio un trasduttore mono
assiale) è rappresentato dalla matrice di trasduzione Zik . Essa connette le variabili d’ingresso come la forza f (t) e la velocità ẋ(t) agenti sul trasduttore alle variabili d’uscita, quali
la corrente i(t) e la tensione v(t) del circuito elettrico:
f (t) = Z11 ẋ(t) + Z12 i(t)
v(t) = Z21 ẋ(t) + Z22 i(t)
In teoria dei circuiti questa rappresentazione è nota come
sistema a due porte e per esso si dimostrano valere le seguenti
identità:
Z11 Z22 = Z12 Z21
Z12 = Z21
Un esempio semplice di trasduttore mono assiale è un condensatore di capacità C e distanza d tra le armature. Una delle
due armature è mobile e la sua equazione del moto può esser
risolta introducendo le trasformate di Fourier della forza applicata e delle relative grandezze cinetiche, quali ad esempio
lo spostamento Xt (!). Una volta ricavata la soluzione nel dominio delle frequenze, si può definire l’impedenza meccanica
del sistema
F (!)
Z11 =
j!Xt (!)
Se il condensatore è polarizzato con una carica |Q| e mantenuto elettricamente isolato, quando l’armatura armature
8.6. IL TRASDUTTORE
187
Figura 8.11: Schema a blocchi del sistema di rivelazione delle
onde gravitazionali nel caso di un’antenna risonante.
oscilla alla pulsazione !, si osserva una componente della tensione v(t) ai suoi capi che varia nel tempo proporzionalmente
o
a E
j! . Ne segue che
Z12 = Z21 =
Eo
j!
dove Eo è il valor medio del campo elettrico nel condensatore.
Infine, poichè la tensione d’uscita v(t) è connessa alla corrente
i(t) tramite l’impedenza caratteristica del condensatore, si
ha:
1
Z22 =
j!C
L’uscita del trasduttore è connessa ad un amplificatore
di tensione a basso rumore cosı̀ che il diagramma a blocchi
dell’esperimento può essere riassunto in tre parti:
• l’oscillatore meccanico,
• il trasduttore,
• l’amplificatore.
188CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Il rumore intrinseco di questo sistema è la combinazione
dei contributi dovuti alla parte elettrica e a quella meccanica.
A questo si sommerà poi il contributo del rumore ambientale,
che è principalmente dovuto alle vibrazioni sismiche e acustiche, oltre a quelle dovute agli eventuali liquidi refrigeranti,
che si propagano sino all’oscillatore meccanico. Per attenuare questi disturbi, l’antenna è sospesa in vuoto da un sistema
di filtri meccanici che forniscono una attenuazione dell’ordine
di 106 alla frequenza di risonanza.
Tra le sorgenti esterne di rumore è doveroso citare anche
l’e↵etto acustico prodotto dai raggi cosmici di alta energia
che incidono sull’oscillatore meccanico. Questo disturbo è
significativo quando il livello di sensibilità è dell’ordine di
h ⇠ 1 · 10 19 . Ne segue che i rivelatori più sensibili devono
essere equipaggiati con un telescopio di raggi cosmici che consente di vetare gli eventi indotti dal passaggio delle particelle
di alta energia
8.7
Il rumore Browniano
Il rumore termico e il rumore elettronico sono le limitazioni
intrinseche all’accuratezza delll’apparato. Il rumore termico è
dovuto al moto Browniano dell’oscillatore meccanico. Il trattamento matematico è identico a quello del caso dello specchio sospeso di un interferometro ed è l’analogo meccanico
del rumore di Nyquist in un circuito elettrico LRC.
L’estremo dell’antenna fluttua con una densità spettrale
di spostamento che ha la tipica forma della risonanza
Sxx =
Sf f
m2eq (!o2
1
! 2 )2
+ 4( !⌧ )2
(8.54)
4m k T
dove Sf f = eq⌧ B è la densità spettrale della forza stocastica applicata all’oscillatore. La funzione di autocorrelazione
dello spostamento è dedotta calcolando l’anti trasformata di
Fourier della ??,
Rxx ( t) =
Per
Sf f ⌧
exp(
4m2eq !o2
t
⌧
) cos(!o t)
(8.55)
t = 0 otteniamo la varianza dello spostamento
x
2
=
kB T
m!o2
(8.56)
8.8.
IL RUMORE DELL’AMPLIFICATORE E LA BACK-ACTION.189
Figura 8.12: L’antenna NAUTILUS, una barra di tre metri
di lunghezza e 2.3 tonnellate di alluminio, fu ra↵reddata per
la prima volta al CERN raggiungendo la temperatura di 95
mK. L’antenna fu pi trasferita all’INFN di Frascati dove è
rimasta in operazione per più di un ventennio.
Se il trasduttore applicato all’antenna è di tipo lineare, la
varianza della tensione d’uscita è proporzionale alla (??):
V Br
2
= ↵2
x
2
(8.57)
dove ↵ = j!Z21 è la costante caratteristica del trasduttore,
ovvero nel caso del condensatore ad armatura ↵ = Eo .
La riduzione del rumore termico è perseguita ra↵reddando
l’antenna a bassa temperatura. Nei rivelatori risonanti di
ultima generazione il corpo metallico di qualche tonnellata di
masse ha raggiunto temperature prossime ai 50 mK [?].
8.8
Il rumore dell’amplificatore e la backaction.
Un amplificatore lineare è schematizzato come una rete elettrica a due porte come nel caso del trasduttore. La sua
190CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.13: Schema di un amplificatore ideale con generatori
di rumore di corrente e tensione posti al suo ingresso.
rappresentazione matriciale consente di correlare le variabili elettriche d’ingresso (tensione e corrente) con le relative
grandezze in uscita.
Un schema semplificato che rappresenti il sistema dal punto di vista del rumore, è ottenuto considerando una coppia di
generatori di rumore, uno di tensione Vn e l’altro di corrente
In . Questi generatori sono connessi all’ingresso di una rete
ideale a due porte priva di rumore. L’assunzione, non sempre
verificata ma che semplifica la rappresentazione, è che le due
variabili aleatorie, Vn e In siano statisticamente indipendenti.
Quando il trasduttore è connesso all’amplificatore ideale A ,
la densità spettrale di rumore di tensione all’ingresso di A è:
SW = SVn + |Z22 |2 SIn = kB Tn |Z22 |
dove
Tn =
s
SV n SI n
kB
1+
2
(8.58)
(8.59)
è la temperatura di rumore dell’amplificatore e è il parametro di adattamento delle impedenze di rumore del sistema:
=
r
SV n
SI n
Z22
(8.60)
Se l’impedenza Z22 cambia lentamente con la frequenza e/o ci limitiamo a caratterizzare il sistema in una ban-
8.8.
IL RUMORE DELL’AMPLIFICATORE E LA BACK-ACTION.191
da di frequenza di pochi Hertz attorno alla risonanza dell’oscillatore, allora SW può essere considerato costante spettro
bianco.
Il rumore elettronico induce un altro e↵etto molto importante. Supponiamo di avere a disposizione un amplificatore
con una impedenza d’ingresso infinita. In questo caso le fluttuazione d carica schematizzate dal generatore di corrente
In determinano una forza stocastica che agisce sull’armatura mobile del condensatore e quindi sull’oscillatore armonico
stesso. Questa azione all’indietro o back-action opera allo
stesso modo della forza stocastica di rumore termico e ha
associata una densità spettrale Sf f (b.a.)
Sf f (b.a.) = |Z12 |2 SIn
(8.61)
L’equazione del moto dell’oscillatore dipende allora dalla combinazione della forza termica e di quella di back-action. Da
un punto di vista formale, per tener conto dei due e↵etti , si
introduce una temperatura equivalente Te che rimpiazza la
temperatura termodinamica dell’oscillatore:
Te = T (1 +
|Z12 |2 ⌧ SIn
|Z12 |⌧ Tn
) = (1 +
)
4meq kB T
4meq T
(8.62)
Nelle antenne criogeniche equipaggiate con amplificatori
superconduttori a interferenza quantistica (SQUID), l’e↵etto di back-action è trascurabile. Esso però rappresenta un
contributo intrinseco al sistema di misura ed ineliminabile.
Infatti, un trasduttore lineare è concepito per misurare con
continuità la posizione (o il momento) dell’oscillatore, fornendo in uscita un segnale alla frequenza dell’oscillatore meccanico. È possibile dimostrare che il meccanismo di azione all’indietro del sistema di misura sull’oscillatore traduce in termini
classici l’influenza dell’apparato di monitor sullo stato quantico di un sistema osservato (si veda ad esempio il lavoro di
Caves del 1983) [?]. Per aggirare questo limite, bisogna abbandonare la tradizionale strategia di misura basata sui trasduttori lineari. È stato dimostrato anche sperimentalmente
che, mettendo a punto un opportuno sistema di trasduzione di tipo parametrico detto Back Action Evading system BAE, questo limite può essere aggirato [?].
La sensisbilità degli schemi lineari di misura che abbiamo
discusso, hanno un limite ultimo. Esso è legato alla natura quantistica dell’oscillatore, Standard Quantum Limit, e si
192CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
derivata direttamente applicando il principio di Heisemberg.
Ad esempio per un’antenna di una tonnellata che risuona
ad 1 kHz, si ha hq.l. ⇠ 10 21 . In linea di principio anche
questa barriera può essere aggirata applicando la strategia
di misura Quantum Non Demolition - QND di cui si parlerà
di↵usamente in un altro capitolo.
8.9
L’analisi dei dati
Gli esperimenti relativi alla rivelazione delle onde gravitazionali sono caratterizzati dal comune problema di estrarre
i segnali in presenza di un alto livello di rumore. È necessario quindi mettere a punto delle strategie di filtraggio dei
dati che massimizzino il rapporto segnale-rumore (SNR) definito sulle variabili d’uscita del filtro. L’ottimizzazione delle
procedure di filtraggio dei dati è tanto importante quanto il
miglioramento stesso dello strumento. Per illustrare le procedere d’analisi discuteremo il caso delle antenne risonanti,
per poi accennare all’analisi dei dati degli interferometri.
Per i rivelatori risonanti le informazioni relative al segnale sono estraibili in un intervallo di frequenza centrato sulla
risonanza, che in genere è dell’ordine di 1 kHz.
Per limitare la quantità di dati da analizzare, l’uscita dell’amplificatore viene demodulata a !o , ottenendo due segnali
in uscita, l’uno in fase e l’altro in quadratura rispetto alla fase del segnale di riferimento a !o (Phase Sensitive Detector).
Queste uscite sono poi filtrate con un integratore caratterizzato da una costante di tempo to . L’insieme di queste operazioni
è realizzato tramite uno strumento detto lock-in. In pratica
all’operazione di demodulazione sopravvivono anche le armoniche superiori a !o , ma noi supporremo che quest’ultime
siano state efficacemente attenuate dal filtro.
Questa sequenza d’operazioni si riassume nel modo seguente. Indichiamo con v(t) il segnale d’ingresso al lock-ine
con x(t) and y(t) i segnali d’uscita. L’operazione di demodulazione e la successiva integrazione si sintetizza nelle
relazioni:
x(t) =
A0
to
Z t
v(t̃) exp(
y(t) =
A0
to
Z t
v(t̃) exp(
1
1
t
t̃
to
t
t̃
to
)sign[cos(!o t̃)]dt̃
(8.63)
)sign[sin(!o t̃)]dt̃
(8.64)
8.9. L’ANALISI DEI DATI
193
Il rumore elettronico in uscita dal lock-in ha una densità
spettrale di potenza pari a
S e = SW
1
1 + ! 2 t2o
(8.65)
a cui corrisponde nel dominio del tempo la funzione di autocorrelazione
SW
| t|
Re ( t) =
exp(
)
(8.66)
2⌧
to
Quando si ha come obiettivo la rivelazione di un impulso, si
sceglie to molto minore della costante di tempo caratteristica
dell’oscillatore meccanico ⌧ . L’e↵etto del lock-in sul rumore
termico dell’oscillatore a temperatura Te . 3 è quello di traslare la funzione lorentziana dello spettro di potenza da !o
a zero e moltiplicarla per il modulo quadro della funzione di
trasferimento dell’integratore
SBr (!) = ST
1
1
1 + ! 2 ⌧ 2 1 + ! 2 t2o
dove
ST = 2⌧
(8.67)
↵ 2 k B Te
meq !o2
L’ anti trasformata di Fourier della ?? è:
ST ⌧ exp(
RBr ( t) =
2
| t|
to )
⌧2
to exp(
t20
| t|
to )
(8.68)
È preferibile riscrivere questa funzione in modo più compatto introducendo i parametri
=
e
=
t0
⌧
SW
ST
.
Quest’ultimo è il rapporto tra il rumore a spettro bianco di
origine elettronica e il rumore lorentziano nella banda di frequenza attorno alla risonanza. Generalmente questo rapporto è molto minore di 1: vedremo che ciò ha una importanza
cruciale nella strategia dell’analisi dati.
3
L’uso di Te ci consente di tener conto dell’e↵etto della back action
194CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Il rumore totale ha una correlazione ottenuta come somma delle ?? e ??

exp(
| t|
⌧ )
| t|
to )
exp(
| t|
)
to
(8.69)
La formula ?? mostra che l’uscita è correlata su un tempo caratteristico dell’ordine di ⌧ . D’altro canto dalla ?? deduciamo
che la quantità
R( t) =
V Br
2
2
1
V Br
2
=
+
exp(
ST
(2⌧ )
non dipende dal tempo di decadimento ⌧ e rappresenta la
varianza del rumore termico equivalente all’uscita del trasduttore.
Ognuna delle due uscite del lock-in fluttua nel tempo con una
varianza calcolabile tramite la ??.
E[x2 (t)] = R(0)
A sua volta la quantità r2 (t) = x2 (t) + y 2 (t) è una variabile
stocastica che, a parte un fattore di normalizzazione, rappresenta l’energia di oscillazione dell’antenna vista all’uscita
della catena di rivelazione. Questa quantità fluttua secondo
la statistica di Boltzmann
f (r2 ) =
1
r2
exp(
)
2R(0)
2R(0)
(8.70)
quindi l’istogramma in scala semi-logaritmica di questa variabile r2 , in assenza di altre sorgenti di rumore, deve avere
una pendenza proporzionale alla temperatura equivalente del
sistema.
Poichè un segnale applicato al sistema all’istante t = 0 determina un valore di r2 pari a
rs2 = Nd Vs2
dove Nd è un fattore di normalizzazione, deduciamo che il
rapporto segnale rumore (SNR) è:
SN R '
Vs 2
V Br
2
Il processo di selezione degli eventi candidati ad essere
identificati come segnali gravitazionali, consiste nell’osservare
8.9. L’ANALISI DEI DATI
195
la distribuzione sperimentale per mettere in luce significative
deviazioni dalla distribuzione aspettata.
In altre parole la rivelazione dei segnali di GW è un classico
esempio di applicazione dei metodi di stima statistica. Ad
esempio, seguendo il criterio di Neyman-Pearson, stabiliremo a priori un livello di significatività che corrisponde ad un
determinato valore della variabile aleatoria osservata (valore
di soglia) al di la del quale una realizzazione della variabile
aleatoria viene selezionata come possibile evento di segnale.
L’efficienza di questo metodo può essere migliorata se, invece di osservare la variabile statistica energia di oscillazione,
si misura la sua variazione.
Per questo definiamo la nuova variabile aleatoria, ⇢Z 2 [?]:
⇢Z 2 (t) = [x(t)
ts )]2 + [y(t)
x(t
y(t
ts )]2 (8.71)
possiamo dimostrare che essa fluttua ancora con una distribuzione di tipo Boltzmann, ma con una varianza
2
Z
= 2(R(0)
R( ts ))
dipendente dall’intervallo di campionamento ts , l’intervallo
temporale che intercorre tra due misure consecutive.
Per semplicità scegliamo ts = to e minimizziamo la varianza
dello ZOP rispetto al parametro = (to /⌧ ), ovvero al tempo
di campionamento to . Si ottiene cosı̀
2
Z (min)
=
2 q
8VBr
(e
e
1)
to (min) = ⌧
q
(e
1) (8.72)
Il segnale applicato al sistema a t = 0 dà un valore ⇢Z 2 ridotto rispetto a r2 , in ogni caso molto meno rilevante del
cambiamento ottenuto nel valore della varianza. pIn sostanza
l’incremento di SNR è dell’ordine dell’inverso di
, un guadagno ottenuto al prezzo di dover campionare a intervalli di
tempo pari a to (min) . In sostanza, poichè piccoli valori di
si hanno quando il rumore elettronico è minore del termico,
sfruttando il lungo tempo di correlazione del rumore termico
(e il basso valore del rumore elettronico che fluttua in modo
quasi scorrelato), la previsione sul cambiamento di stato energetico dell’oscillatore indotto dal segnale gravitazione risulta
essere molto meno incerta.
La Teoria dei Segnali suggerisce un altro metodo per aumentare la nostra capacità di estrarre il segnale dal rumore
196CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
debolmente dipendente dalla scelta del tempo di campionamento ts . Qui discuteremo il caso in cui si possa ipotizzare
la forma del segnale x(t) immerso in un rumore stazionario di
cui si conoscano le proprietà, ovvero la sua densità spettrale
di potenza Sn (!).
Si dimostra che esiste un filtro lineare ottimo che consente di stimare la presenza del segnale dal campione disponibile dei dati [?]. Il filtro consiste nella formulazione di una
stima lineare del segnale all’istante t, ottenuta combinando
linearmente i dati d’uscita del lock-in precedenti e successi a
quell’istante.
Il filtro lineare applicato alla variabile continua x(t) ha la
forma
Z 1
ŵx (t) =
x(t t̃)w(t̃)dt̃
(8.73)
1
dove w(t̃) è la funzione peso che è scelta in modo tale da
minimizzare l’errore nella stima del segnale in uscita dal filtro,
ovvero deve minimizzare la quantità:
E[(ŵx(s) (t)
ŵx (t))2 ]
(s)
dove abbiamo indicato con ŵx (t) il segnale in uscita dal filtro
lineare. Questo è equivalente a imporre che
E[ŵx(s) (t)
ŵx (t)x(t̃))] = 0
8t̃
(8.74)
È possibile dimostrare che questo criterio di minimizzazione
è equivalente a trovare il massimo valore di SNR per la nuova
variabile. Introduciamo ora la rappresentazione nello spazio
di Fourier di queste variabili
ŵx (t) =
1
2⇡
Z 1
1
X(!)W (!) exp(i!t)d!
(8.75)
ed esplicitiamo la varianza di ŵn in termini di queste nuove
quantità:
1
E[(ŵn (t)) ] =
2⇡
2
Z 1
1
Sn (!)W (!) exp(i!t)d!
(8.76)
Se lo spettro di rumore considerato è bianco, Sn (!) = So ,
possiamo applicare la diseguaglianza Schwarz per massimizzare SNR. Scrivendo SNR con l’ausilio delle equazioni ?? and
?? si giunge alla conclusione che la funzione di trasferimento
del filtro è semplicemente X ⇤ (!), il complesso coniugato del
8.9. L’ANALISI DEI DATI
197
processo X(!). ] Nel dominio del tempo questo corrisponde
a scegliere
w(t̃) = x( t̃)
Nel caso dell’antenna gravitazionale risonante, a causa
del rumore browniano lo spettro del processo osservato non
è bianco. In questo caso, bisogna applicare un primo filtro
ai dati che produca un processo a spettro bianco (sbiancamento dei dati o data whiting), all’uscita del quale si può
poi applicare la procedura di ottimizzazione presentata prima. Lo sbiancamento lo otteniamo applicando il filtro Ww
che corrisponde alla forma inversa dello spettro di rumore
osservato:
Sn (!) = |Ww (!)|
2
So
Al solito, all’uscita del filtro anche la forma del segnale è
cambiata:
Xw (!) = X(!)Ww (!)
(8.77)
La funzione di trasferimento del filtro ottimo Xw è il complesso coniugato di questa espressione ??, cosı̀ che la funzione di
trasferimento complessiva del filtro è:
W (!) = Ww (!)X ⇤ (!)Ww ⇤ (!) = X ⇤ (!)
So
Sn (!)
(8.78)
Con questo metodo di stima lineare si ottiene cosı̀ un valore
massimo di SNR pari a
1
SN R =
2⇡
Z 1
|X(!)|2
1
Sn (!)
d!
(8.79)
Supponiamo ora che il segnale sia una funzione di Dirac.
In questo caso il filtro calcolato in precedenza è formalmente
identico a quello denominato di Wiener - Kolmogoro↵ (WK)
[?]. Applicando questo filtro ai dati dell’antenna risonante in
uscita dal lock-in si ha:
X(!) =
1
1
1 + j!⌧ 1 + j!to
e
Sn (!) = SBr (!) + Se (!)
(8.80)
198CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Utilizzando le ?? e ?? possiamo esplicitare Sn (!) per ottenere
nel tempo la funzione peso del filtro WK. Calcolando l’antitrasformata di Fourier della ??, si ottiene:
w(t) =

dove il segno
1 twk
twk
t
(t) + (
± 1)(
± 1) exp(±
)
2 to
⌧
twk
(8.81)
è relativo a tempi t > 0 e quello (+) a t < 0.
twk = ⌧ q
1
(1 + 1 )
(8.82)
Si noti ancora una volta che il filtro cosı̀ definito è non causale
(a-causale), nel senso che utilizza dati sia del passato che del
futuro per stimare al meglio cosa accade all’istante presente
t.
Nel caso di un segnale -Dirac, i dati del passato e del futuro
sono pesati da una funzione che decade esponenzialmente con
una costante caratteristica twk man mano che ci si allontana
dall’istante presente.
La variabile d’uscita del filtro complessivo risponde ad una
eccitazione a dell’antenna secondo l’andamento
S(t) =
Vs twk
|t|
exp(
)
2⌧
twk
da cui deduciamo che la sua risposta non è ritardata e che il
rapporto segnale-rumore per il filtro WK assume la forma:
SN R =
Vs2
1
p
2
8VBr
(1 + )
(8.83)
È usuale esprimere la sensibilità dell’antenna risonante tramite un parametro detto temperatura efficace di rumore Tef f .
In sostanza le due variabili filtrate derivate dalle rispettive
uscite del lock-in vengono quadrate, sommate tra loro e normalizzate in modo da estrarre una quantità che ha le dimensioni di una temperatura. Imponendo poi la condizione
SNR=1 si deduce l’espressione di Tef f che si misura in gradi
Kelvin:
q
Tef f = 4Te
(1 + )
(8.84)
La ?? mostra che il guadagno in sensibilità per il segnale a
operato dal filtro, dipende dal rapporto spettrale , che quindi deve essere il più basso possibile. Ricordiamo qui che è
8.9. L’ANALISI DEI DATI
199
il rapporto tra il rumore a spettro bianco di origine elettronica e il rumore lorentziano nella banda di frequenza attorno
alla risonanza. I piccoli valori di implicano che il rumore
elettronico che ha tempi d correlazione molto più brevi del
browniano, deve essere depresso rispetto al contributo in banda del rumore termico che ha tempi di correlazione legati al
⌧ dell’oscillatore armonico.
Sostituendo nella ?? l’equazione ?? e applicando la definizione di si ottiene:
Tef f = 2Tn
s
(1 +
1
2
)(1 +
4meq T
)
|Z12 |⌧ Tn
(8.85)
Lo sforzo sperimentale si concentra quindi nella minimizzazione di Tef f . Il suo valore minimo si ottiene imponendo due
condizioni [?]
2
1
T
⌧1
|Z12 |⌧
da cui possiamo dedurre che la strategia di realizzazione dei
rivelatori deve esser basata sull’uso di tecniche per le basse temperature, l’utilizzo di materiali a bassa dissipazione
acustica e trasduttori ad altissima efficienza.
Il limite ultimo raggiungibile ottimizzando lo schema di
rivelazione lineare del tipo di quello che abbiamo discusso
sinora porta alla semplice relazione [?]
Tef f ' 2Tn
(8.86)
.
L’efficacia del filtro di Wiener-Kolgomoro↵ che abbiamo
descritto, dipende dall’accuratezza con la quale si riescono a
stimare i parametri del sistema ed in particolare lo spettro
di potenza del rumore del rivelatore Sn (!) che consente di
sbiancare il rumore del rivelatore (si veda l’equazione ??).
In genere, per migliorarne la stima, quest’ultima quantità si
deduce direttamente dai dati.
Concludiamo notando che l’uso dei lock-in consente di abbassare la frequenza di campionamento dei segnali, ma altera
anche la forma del segnale. Grazie all’aumento della velocità
dei moderni sistemi d’acquisizione è possibile fare a meno dei
lock-in campionando direttamente l’uscita dell’amplificatore
connesso direttamente al trasduttore. L’accortezza importante è di utilizzare un amplificatore a banda passante onde
200CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
evitare e↵etti di aliasing generati dal campionamento. L’aumento nel numero di dati rende la loro elaborazione più laboriosa, ma dal punto di vista concettuale l’implementazione
del filtro è del tutto analoga a quella descritta nel caso del
lock-in.
8.10
La ricerca di segnali periodici con
le antenne risonanti
Le antenne risonanti sono state utilizzate anche per la ricerca di segnali periodici, come quelli emessi da pulsars. Se
la frequenza del segnale atteso è prossima alla risonanza, la
strategia di rivelazione è relativamente semplice. Supporremo
che il rumore dominante sia quello dovuto al rumore termico
(browniano e rumore di back-action), cosa che corrisponde
all’usuale condizione ⌧ 1. Nel limite di rumore elettronico nullo, il rapporto SNR è ottenuto dividendo il quadrato
del segnale d’uscita del trasduttore con lo spettro del rumore
termico. Ambedue queste quantità hanno la stessa dipendenza dalla frequenza (andamento risonante). Quindi, in questo
caso ideale, si ha rSNR indipendente alla frequenza.
In altre parole, in assenza di rumore elettronico, saremmo in
grado di rivelare segnali a frequenze anche ben lontane dalla
risonanza e dovremo concludere che la banda di rivelazione
tende all’infinito.
In un sistema reale la condizione limite di assenza di rumore elettronico non si realizza mai, tuttavia non è sorprendente notare che la banda di rivelazione risulti molto più
ampia di quella meccanica, determinata dal tempo di decadimento ⌧ del modo di vibrazione. Tuttavia, questo ragionamento, ci invita a sottolineare la distinzione tra due concetti
ben diversi
a) la banda meccanica del rivelatore risonante,
! = 2/⌧
b) la banda di rivelazione o detection bandwidth !d , ottenuta calcolando l’andamento spettrale di SNR.
L’espressione esplicita del SNR calcolato per un segnale
sinusoidale a frequenza ! 6= !o è:
SN R(!) =
8.11. LL METODO DEL COLD DAMPING
=(
Lho 2 ! 4 meq Q
1
)
2
2
⇡
!o kb Te ⌫m 1 + [Q (1
!2 2
)
!o2
+
201
!2
]
!o2
(8.87)
La banda di rivelazione si calcola ricavando i valori di frequenza in corrispondenza dei quali l’ampiezza della funzione
?? è pari alla metà del massimo. Si ottiene cosı̀
!d =
!o 1
p
Q
(8.88)
Il limite di rumore elettronico nullo è deducibile nella formule precedenti imponendo ! 0. Negli apparati sperimentali a bassa temperatura si ha ⌫o /Q ⇠ 10 3 Hz e l’ordine di
grandezza di cade nell’intervallo 10 4 10 7 a seconda dell’efficenza del sistema trasduzione: ne segue che la banda di
rivelazione può arrivare a valori dell’ordine di qualche decina
di Hertz.
8.11
ll metodo del Cold Damping
Ababimo già citato il fatto che l gruppo gravitazionale dell’università di Tokyo ha tentato di rivelare la radiazione emessa a 60 Hz dalla pulsar della nebulosa del Granchio (Crab
pulsar), sviluppando antenne risonanti di forma opportuna.
Per accordare la frequenza di risonanza meccanica del corpo
elastico si può operare in vari modi
- modificando la geometria del rivelatore lavorandolo meccanicamente, innalzando o abbassando la frequenza di
risonanza,
- aggiungendo piccole masse in punti opportuni del corpo oscillante, ottenendo cosı̀ un abbassamento della
frequenza meccanica,
- esercitando sull’antenna forze statiche, installando degli
attuatori di natura elettrica o magnetica, o sfruttando
l’azione all’indietro back action degli stessi trasduttori
di vibrazione.
La frequenza del segnale dell’onda gravitazionale cambia
nel tempo per e↵etto Doppler causato principalmente dal moto orbitale e da quello diurno della Terra. Inoltre la pulsar in
genere ha un piccolo rallentamento intrinseco del suo moto
di rotazione e, in certi casi, è soggetta ad improvvisi salti nel
202CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
valore della frequenza di rotazione glitchs4 . Le osservazioni
dei segnali radio emesse dalla pulsar mostrano un rallentamento della frequenza di rotazione (spin down) di ⇠ 0.01
Hz/anno, da confrontare con la variazione di ±0.03 Hz causata dal moto orbitale della Terra e di circa ±2·10 5 Hz come
e↵etto diurno. Questi numeri ci indicano che le variazioni in
frequenza del segnale non impediscono la sua rivelazione all’antenna risonante. Infatti è sufficiente che la frequenza di
risonanza meccanica del rivelatore sia al centro dell’intervallo di oscillazione di frequenza per l’e↵etto Doppler ed abbia
una banda di rivelazione sufficientemente ampia, (ad esempio ⌫m ⇠ 0.1 Hz). Tuttavia, se il rumore elettronico non
è trascurabile e l’efficienza di trasduzione è bassa, la banda di rivelazione dell’antenna può rivelarsi insufficiente per
mantenere alto SNR
Inoltre, la frequenza meccanica dell’antenna risonante cambia
con la temperatura. L’entità dell’e↵etto dipende dal modo
di vibrazione considerato e dal materiale dell’antenna, oltre
che dalla temperatura a cui si opera. Per il primo modo
longitudinale simmetrico di antenne cilindriche di alluminio,
a temperatura ambiente questo e↵etto è dell’ordine di . A
temperature criogeniche, questo e↵etto è più ridotto, ma si
osserva comunque una variazione lenta legata al cambiamento di livello dei liquidi criogenici utilizzati per abbassare a
temperatura del rivelatore o a variazioni del campo elettrico
o magnetico presente nel trasduttore.
Per superare queste difficoltà, il gruppo giapponese di Tokyo
ha utilizzato per primo un sistema molto ingegnoso per ottenere un allargamento della banda di rivelazione senza alterare
il rapporto segnale rumore [?].
Consideriamo lo schema rappresentato in figura ??.
L’oscillatore armonico rappresenta l’antenna equipaggiata con
un trasduttore elettrostatico a cui capi è connessa la resistenza R . Supponiamo che l’antenna sia a temperatura ambiente ( T ' 280 K). Le equazioni che caratterizzano il sistema
elettromeccanico sono:
d2 x
!o dx
M( 2 +
+ !o 2 x) + Eo q = 0
(8.89)
dt
QA dt
dove QA è il fattore di merito dell’antenna, !o la sua pulsazione di risonanza, M la massa, Eo il campo elettrico medio
4
Tali salti sono probabilmente dovuti a fenomeni di assestamento
della stella (starquakes)
8.11. LL METODO DEL COLD DAMPING
203
Figura 8.14: Nella parte alta della figura è riportato uno
schema per allargare la banda del rivelatore senza aumentare il rumore termico tramite una resistenza ra↵reddata a 4
K. Nella parte bassa della figura si schematizza un metodo
basato su un circuito elettronico attivo per ottenere lo stesso
risultato.
204CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
del condensatore e q la sua carica.
R
dq
1
+ q + Eo x = 0
dt
C
(8.90)
Combinando le due equazioni si ottiene con qualche approssimazione:
(
d2 x
1
RC!o
+ !o
+
2
dt
QA
1 + (RC!o )2
(
)
dx
+
dt
)
1
+!o 1
x=0
1 + (RC!o )2
(8.91)
dove abbiamo indicato con
il fattore di accoppiamento
elettromeccanico del trasduttore all’antenna:
2
=
CEo 2
M !o 2
(8.92)
L’equazione ?? descrive il moto di un oscillatore con un
fattore di qualità modificato:
1
1
1
=
+
Qe
QA QR
dove
QR = beta
RC!o
1 + (RC!o )2
(8.93)
(8.94)
All’equilibrio termodinamico la varianza della variabile
aleatoria x che fluttua per il rumore termico è:
x
2
=
k B Te
M !o 2
dove Te è la temperatura d’equilibrio del sistema che tiene
conto del contributo di rumore della resistenza R connessa
al trasduttore. Quando la temperatura della resistenza R è
abbassata al valore TR , ad esempio immergendola in un bagno di elio liquido a 4 K, si stabilisce una nuova situazione
stazionaria in cui si ha scambio termico tra l’antenna e il
resistore. Antenna e resistenza si scambiano le rispettive frazioni di potenza termica dissipata e in condizioni stazionarie
si avrà:
!o
!o
kB (Te TA ) =
kB (TR Te )
QA
QR
8.12. L’ANALISI DATI DEGLI INTERFEROMETRI. 205
da cui deduciamo che
Te
TA
TR
=
+
Qe
QA QR
(8.95)
Combinando ??, ?? e ?? si ottiene
Te =
(1 + (RC!o )2 )TA + Qa RC!o Tr
(1 + (RC!o )2 ) + QA RC!o
(8.96)
Se si ha QA >> 1, allora la temperatura equivalente è
Te = TR + 2TA
1
QA
L’abbassamento della temperatura equivalente del sistema è denominata smorzamento freddo o cold damping. Questa è accompagnata da un abbassamento del Q del rivelatore.
Ricordiamo che quando l’antenna è investita da un segnale
monocromatico, la risposta dell’antenna è proporzionale al
Q, come si vede dall’equazione ??. Pertanto il segnale decresce insieme al rumore senza determinare alcun guadagno
in termini di SNR. Tuttavia, questo metodo consente di ampliare la banda di rivelazione rendendo più semplice l’inseguimento in frequenza del segnale quasi monocromatico di una
pulsar.
Questo stessa tecnica si può generalizzare sostituendo alla
resistenza a bagno d’elio un amplificatore con una temperatura di rumore più bassa di quella dell’antenna, come è rappresentato nella parte bassa della figura ??. La trattazione
del nuovo sistema, molto più semplice da realizzare e mantenere in operazione, è del tutto analoga e porta alle stesse
conclusioni.
8.12
L’analisi dati degli interferometri.
La manipolazione dei dati prodotti dalle antenne interferometriche è più complesso a causa del notevole aumento del
volume di informazioni raccolte. Tuttavia, dal punto di vista
matematico, le tecniche di analisi sono assolutamente analoghe a quelle utilizzate nel caso delle antenne risonanti. Il
teorema di riferimento è quello relativo alla formulazione del
filtro lineare ottimo che abbiamo discusso in precedenza e che
si riassume nelle equazioni ?? e ??.
206CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
h(t)"
0"
0"""""""""""0.2""""""""""0.4""""""""""0.6"""""""""""0.8"""""""""""1.0"""""
"
"
"
"Tempo""[s]"""""
Figura 8.15: Forma temporale del segnale di onda gravitazionale emesso da un sistema binario di stelle di neutroni nella
fase di coalescenza predente lo scontro (merger phase).
Nel caso delle antenne risonanti ci siamo limitati a calcolare SNR nel caso di un segnale a di Dirac. D’altronde,
vista la banda di rivelazione relativamente stretta del rivelatore, la forma di un segnale transitorio diverso da una
sarebbe comunque difficilmente distinguibile. Nel caso degli
interferometri a Terra, la banda di rivelazione si può estendere da pochi Hz a sino a 10 kHz. La banda larga rende
più versatile il rivelatore, che può essere utilizzato per studiare forme d’onda di segnali transitori diversi dalla . Uno
degli obiettivi più interessanti è la rivelazione di segnali del
tipo chirp, ovvero una funzione oscillante con frequenza ed
ampiezza che crescono nel tempo (vedi figura ??).
Per le antenne risonanti abbiamo derivato il rapporto
segnale-rumore per una segnale a .
Applichiamo ora un’analoga procedura di filtraggio nel caso
del chirp generato da un sistema binario in fase di coalescenza.
Assumiamo che il rivelatore interferometrico sia dominato
principalmente dal rumore shot; sia poi ⌫k la frequenza di
ginocchio della cavità di ricircolo e ⌫s la frequenza di taglio
del rumore sismico.
8.12. L’ANALISI DATI DEGLI INTERFEROMETRI. 207
In tal caso la densità spettrale del rumore complessiva è
1
2
Sh (⌫) =
h (⌫k )[1
+(
⌫ 2
) ]
⌫k
⌫ > ⌫s
(8.97)
e Sh (⌫) = 1 for ⌫ > ⌫s .
Utilizziamo poi come modello di segnale, quello di due corpi
puntiformi in orbita circolare che perdono energia per emissione di onde gravitazionali. L’espressione matematica del
massimo d’ampiezza per il chirp è:
✓
hmax (t) = Ah [⌫(t)] cos 2⇡
Z t
◆
⌫(t̃)dt̃ +
ta
(8.98)
dove ta è il tempo d’arrivo del segnale quando la sua frequenza istantanea è pari a ⌫a , è la fase allo stesso istante.
L’ampiezza aumenta lentamente nel tempo 5
23
Ah (⌫) = 2.6 · 10
(
2 1
M 53
) (⌫) 3 ( )
M
r
(8.99)
Il periodo orbitale si riduce nel tempo e la frequenza del
segnale gravitazionale, che è a pari al doppio di quella di
rivoluzione, cambia con una rapidità data da
11
d⌫
M 53
= 13(
) (⌫) 3
dt
M
(8.100)
. Da questa equazione di↵erenziale possiamo dedurre la dipendenza della frequenza dal tempo

⌫(t) = (⌫a )
8
3
0.33(
M 53
) (t
M
ta )
3
8
(8.101)
e possiamo scrivere l’espressione esplicita dell’integrale di fase
dell’equazione
??
Z
t
2⇡
⌫(t̃)dt̃ =
ta
M
= 3000(
)
M
5
3
⇢
⌫a
5
3

(⌫a )
8
3
M 53
0.33(
) (t
M
ta )
3
8
(8.102)
Usando la ?? valutiamo la durata temporale del segnale
iniziando a dal momento in cui la frequenza sia pari a ⌫a
5
In questa formula e nelle seguenti di questo lungo paragrafo, dove appaiono valor numerici di riferimento, le frequenze devono esser calcolate
in unità di 102 Hz le distanze r in unità di 102 Mpc.
208CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
ed arrestandosi alla fine del chirp (⌫ ! 1) (in realtà sino
all’ultima orbita stabile).
Tcoal (⌫a ) = 3(
M
)
M
5
3
⌫a
8
3
(8.103)
Sfruttando il fatto che segnale cambia lentamente in frequenza (Tcoal
1/⌫) è stato sviluppato un metodo approssimato per calcolare un’espressione esplicita della trasformata di
Fourier [?] di hmax (t):
|Hmax (⌫)| ' 3.7 · 10
24
(
M
)(⌫)
M
7
6
1
( )
r
(8.104)
Possiamo allora valutare il rapporto segnale-rumore:
1
SN R =
2⇡
Z 1
|Hmax (!)|2
1
Sh (!)
d!
(8.105)
Questo SNR può essere ottimizzato scegliendo opportunamente ⌫k :
⌫kopt = 1.44⌫s
Un evento interessante ai fini della rivelazione del segnale
gravitazionale è definito quando la variabile filtrata supera
un valore di soglia assegnato. Tale evento sarà caratterizzato
dal tempo di arrivo tarr e dall’ampiezza del segnale. In particolare l’accuratezza del tempo di arrivo, che dipende in parte
dall’efficienza del filtro, è una caratteristica essenziale al fine
di estrarre informazioni sulla direzione d’arrivo del segnale
visto da una rete di rivelatori di onde gravitazionali.
La varianza di tarr si deduce dalla relazione [?]
1
2
tarr
= 4⇡ 2
Z 1
1
⌫2
|Hmax (!)|2
d⌫
Sh (!)
(8.106)
In pratica, se il segnale è a banda stretta attorno al valore
!o , in prima approssimazione la risoluzione temporale è
tarr
'
1
!o SN R
(8.107)
Ad esempio con SN R = 10 e !o /2⇡ = 100 Hz si ha una
risoluzione di circa 0.1 ms.
L’efficienza del filtro è ottima in senso statistico sopra citato, se il segnale ipotizzato nel filtro coincide con il segnale
8.12. L’ANALISI DATI DEGLI INTERFEROMETRI. 209
reale. Ne segue che, per rivelare questi tipi di segnali, occorre
costruire una famiglia di filtri, ciascuno dei quali è caratterizzato da un diverso valore di uno dei parametri del segnale.
Oltre alla posizione nel cielo del sistema emittente, occorre
tener conto dell’angolo di polarizzazione, della massa totale
M1 + M2 e la massa del chirp
µchirp =
(M1 M2 )3/5
(M1 + M2 )?1/5
(8.108)
da cui dipendono direttamente sia l’ampiezza che il periodo
del segnale (la metà del periodo orbitale per orbite circolari).
Proviamo ora valutare in modo semplice quale sia l’entità
del guadagno in SNR nel caso di rivelazione di chirp rispetto
a quello di impulsi a di Dirac.
Consideriamo due segnali con la stessa ampiezza: un breve
impulso centrato a ⌫o di durata ⌧g = 1/⌫o , e un chirp a banda
stretta con n cicli a frequenza ⌫1 . Supponiamo di avere due
interferometri accordati rispettivamente alle frequenze ⌫o e
⌫1 . Nel caso dell’impulso breve, l’ordine di grandezza del
SNR è
Z
1 1 |Hmax (!)|2
SN Rburst =
d!
2⇡ 1 Sh (!)
ovvero
SN Rburst ⇠
1
⇠ 2
f (⌫o )
Z 1
1
|Hburst (⌫)| d⌫ ⇠ 2
1
f (⌫o )
2
SN Rburst ⇠
h2
2
f (⌫o )⌫o
Z 1
1
|hburst (t)|2 dt
(8.110)
dove l’integrale è esteso tipicamente su un tempo dell’ordine
di 1/⌫o .
Nella stessa approssimazione otterremo il rapporto SNR per
il segnale (a banda stretta) della durata n/⌫1 :
SN Rc.b. ⇠
h2 n
2
f (⌫1 )⌫1
(8.111)
Concludiamo quindi che il guadagno di rivelazione del segnale è direttamente connesso al numero di cicli n ⇠ 200, per
un rapporto ⌫o /⌫1 stimato dell’ordine di 7.
Questa modo di comparare l’efficienza di rivelazione per
i due tipi di segnali è molto rozzo ed è qui riportato solo
210CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
per sottolineare il potenziale guadagno in SNR. Nel calcolo
precedente non abbiamo tenuto conto della variazione d’ampiezza nel tempo del chirp ed abbiamo ipotizzato che i due
segnali siano in assoluto della stessa ampiezza, quando forse
sarebbe stato più opportuno compare segnali associati allo
stesso livello di energia emessa dal sistema stellare. Tuttavia,
anche assumendo quest’ultima ipotesi, si giunge alla conclusione che i segnali di tipo chirp sono visibili a distanze della
sorgente emittente più grandi che nel caso di impulsi brevi
(burst).
8.13
La ricerca di segnali continui negli
interferometri.
Un interferometro per la ricerca delle onde gravitazionali produce un flusso continuo di dati con una velocità dell’ordine
di 10 MBytes/s. L’approccio seguito è di organizzare questi
dati in strutture, il cui formato è comune a tutti gli interferometri sparsi nel mondo. Essi sono analizzati in tempo reale
(on-line) per verificarne la qualità e ricostruire il segnale h(t)
di deformazione dell’interferometro. L’analisi on-line è destinata a mettere in evidenza eventuali segnali transitori in
coincidenza tra le varie stazioni d’osservazione dislocate nel
mondo (trigger search). L’ informazione relativa all’evento
selezionato è poi trasferita nel minor tempo possibile (low latency) agli osservatori astronomici a Terra e nello Spazio nel
tentativo di individuare un segnale elettromagnetico (ottico,
X o gamma) in coincidenza.
In parallelo a questo processo, tutti i dati prodotti sono inviato a grandi centri di calcolo dove sono registrati in via
permanente. Questo consente di raffinare l’analisi o↵-line sia
per i segnali transitori che per la ricerca di segnali continui,
quali quelli emessi da una stella di neutroni in rotazione.
In quest’ultimo caso ci aspettiamo l’emissione di un segnale
quasi monocromatico perchè, a causa del moto relativo del
rivelatore rispetto alla sorgente emittente, la purezza spettrale del segnale è contaminata dall’e↵etto Doppler. Se questo fosse trascurabile l’analisi sarebbe limitata al calcolo della trasformata di Fourier dei dati e all’individuazione di un
eventuale picco ad una data frequenza. La risoluzione dello
spettro di Fourier è data dall’inverso del tempo d’osservazio-
8.13. LA RICERCA DI SEGNALI CONTINUI NEGLI INTERFEROMETRI.211
ne Tobs = 1/ ⌫m e un segnale monocromatico sarebbe meglio
individuato e↵ettuando spettri ad alta risoluzione.
L’e↵etto Doppler complica l’analisi, modulando in frequenza
e in ampiezza il segnale, spalmandolo quindi in un intervallo
di frequenze. È conveniente quindi sottrarre dai dati l’e↵etto
Doppler associato al moto della Terra, calcolandolo nel sistema di di riferimento con origine nel baricentro dl sistema
solare (SSB)6 .
Una volta applicata la correzione, potremmo procedere calcolando una trasformata di Fourier su dati raccolti nell’arco
di un anno.
I dati sono ottenuti campionando il segnale a tempi regolari
( tc ) e su di essi applica la trasformata discreta di Fourier
(DFT). Un algoritmo che velocizza questo calcolo è la Fast
Fourier Transform - FFT che richiede 3N log2 N operazioni, dove N è il numero di dati disponibili. In un computer
moderno questo calcolo richiede una grande memoria dinamica (cache memory) per manipolare contemporaneamente
gli N dati. Ad esempio per vedere un segnale a 1 kHz occorre campionare almeno al doppio della frequenza (conseguenza del teorema di Nyquist sul campionamento), ovvero a
tc = 5·10 4 s. Se si intende manipolare un anno di dati, siamo difronte al problema di manipolare contemporaneamente
N ⇠ 64 · 1010 dati.
Per semplificare il calcolo, se il valore della frequenza di
emissione è approssimativamente noto, potremo applicare il
metodo dell’eterodina già discusso in precedenza nel caso del
lock-in. Moltiplichiamo i dati per un segnale sinusoidale alla
frequenza della portante ⌫c , a cui poi si applica un filtro integratore che elimina i segnali ad alta frequenza. Questa azione
ci consente di salvare tutta l’informazione d’interesse in una
banda di frequenza centrata attorno allo zero. La dimensione
⌫ di tale banda è determinata dal tempo d’integrazione del
filtro applicato. Ri-campionando i dati ad intervalli di tempo
pù grandi di quelli dell’originale sistema d’acquisizione dello
strumento, si ottiene una riduzione drastica del loro numero su cui poi e↵ettuare la FFT. Applicando questa tecnica
il tempo di calcolo e la dimensione della cache sono tali da
poter e↵ettuare l’analisi con un semplice computer portatile.
6
La correzione Doppler dipende dalla localizzazione nel cielo della
sorgente, perchè il momento angolare della Terra associato al suo moto di
rivoluzione attorno al Sole non è parallelo all’asse di rotazione terrestre.
212CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
La tecnica di eterodinatura è applicabile se, almeno approssimativamente, sono note la frequenza di emissione e la
posizione nel cielo della sorgente. In assenza di queste informazioni, bisogna scansionare tutto il cielo ipotizzando valori
di frequenze fisicamente sensate. Siamo di fronte al caso di
una ricerca in tutto il cielo (full sky), condotta alla cieca (
blind search).
Si può dimostrare che la risoluzione angolare dello strumento aumenta con il quadrato del tempo di osservazione.
Questo implica che se dividiamo al meglio il cielo in Nz zone, la cui estensione è scelta tenendo conto della risoluzione
angolare del rivelatore. Questo valore dipende dal quadrato
della frequenza del segnale e aumenta con la quarta potenza
del tempo di osservazione, ( 1⌫m )4 . Schutz ha calcolato Nz
nel caso di un tempo di osservazione relativamene breve (20
ore), [?]
Nz = 1.3 · 1013 (
⌫
10 7 Hz 4
)2 (
)
1 kHz
⌫m
concludendo che questo metodo, ottimale dal punto di vista della Teoria dei Segnali, non è applicabile a causa della
enorme potenza di calcolo richiesta.
Ne segue che è necessario sviluppare tecniche sub-ottimali in
senso statistico, riducendo il più possibile le perdite in termini di rapporto SNR. Proviamo ad accennare qui al metodo
basato sulla trasformata di Hough [?]. Poniamoci innanzitutto il problema di determinare per un dato segnale il luogo
geometrico nella sfera celeste delle sorgenti che, ad una determinata frequenza, sia compatibile con la correzione Doppler
del segnale. La formula che sintetizza come varia la frequenza
del segnale nel tempo per e↵etto Dopper è la seguente:
✓
f (t) = fo 1 +
|~v |
cos
c
◆
(8.112)
dove ~v è la velocità del rivelatore rispetto alla sorgente e è
l’angolo che questo vettore forma con la direzione del versore
che localizza la sorgente. ~v è formata da due componenti: la
velocità di rivoluzione orbitale attorno al baricentro del sistema solare, il cui modulo è pari a ⇠ 32 km/s e quella orbitale
pari a ⇠ 0.45 km/s. Sul lungo periodo (dell’ordine dell’anno) l’e↵etto significativo è determinato dal moto orbitale che
8.13. LA RICERCA DI SEGNALI CONTINUI NEGLI INTERFEROMETRI.213
determina una variazione
forbital ⇠ 1 · 10
4
fo
Sul breve periodo (da un’ora a un giorno) la variazione è
dominata dal moto orbitale, nonostante che il modulo della
velocità orbitale sia nettamente più alta di quella associata al
moto di rotazione attorno all’asse terrestre. Infatti, l’e↵etto
su un giorno, pari a fday ⇠ 1.5 · 10 6 , è ⇠ 5.6 volte più
grande di quello dovuto al moto orbitale.
Proiettiamo la posizione del rivelatore sulla sfera celesta ed
indichiamone la posizione con i valori o e ↵o . La correzione
Doppler è rappresentabile tramite la seguente funzione
cos( ) = cos( )cos( o )cos(↵
↵o ) + sin( )sin( o ) (8.113)
dove:
• le grandezze
0,
• ↵ 2 [↵1 ; ↵2 ] e
↵0 e cos( )) sono note;
2 [ 1;
2]
sono le coordinate sferiche.
↵ e sono le variabili ascensione retta e declinazione associate
al valore istantaneo della frequenza che cambia per e↵etto
Doppler. Al variare di ↵ e la figura disegnata sulla sfera
celeste è un cerchio.
Ridefinendo
F (↵, ↵o ) = cos(↵ ↵o )
(8.114)
G( ,
o, ) =

cos( ) sin( )sin( o )
cos( )cos( o )
(8.115)
l’equazione ?? può essere riscritta nella forma:
F (↵, ↵o ) = G( ,
o,
)
(8.116)
In questo modo la corona circolare che identifica le possibili
sorgenti è quindi composta da quei punti, o più propriamente
da quei pixels, individuati dalla coppia di valori ↵, , per i
quali l’identità ?? è verificata.
Alla luce di questa osservazione procediamo dividendo i
dati, relativi ad un lungo periodo d’osservazione, in tanti
sotto-periodi. Scegliamo la lunghezza dei sotto-periodi in modo tale che lo spettro discreto, ottenuto calcolando la potenza
spettrale del segnale h(t) dell’interferometro, il periodogramma abbia una risoluzione in frequenza tale da non risentire
214CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Figura 8.16: Mappa tempo-frequenza in presenza di un
segnale ad SN R > 100.
dell’e↵etto Doppler7 . L’eventuale segnale sarà quindi contenuto in un unico intervallino di frequenza dello spettro discreto; nel periodogramma successivo il segnale si sposterà da un
intervallino di frequenza ad un altro adiacente. Mettendo insieme tutti i periodogrammi ottenuti possiamo costruire una
mappa tempo-frequenza ed in essa, in presenza di un segnale
ad alto SNR, vedremo ciò che è riportato in figura ??.
Fissiamo ora l’attenzione su quei particolari valori di frequenza dello spettro discreto di Fourier che superano un prefissato valor di soglia. Per ognuno di questi valori di frequenza
si traccia la relativa curva chiusa sulla sfera celeste.
Aumentando il tempo di osservazione, se esiste un segnale
gravitazionale a quella frequenza, le varie curve si intersecheranno nello stesso punto della sfera celeste, individuando la
posizione della sorgente.
8.14
L’analisi dati della rete di antenne
Al lettore dovrebbe ormai esser evidente che la rivelazione di
segnali transitori di onde gravitazionali deve essere e↵ettuata sfruttando informazioni provenienti da più rivelatori. La
frequenza attesa di rivelazione di questi eventi è bassa e i gra7
La scelta tipica è dell’ordine di un’ora.
8.14.
L’ANALISI DATI DELLA RETE DI ANTENNE215
Figura 8.17: Curva chiusa della mappa di Hough ottenuta dai
dati della mappa tempo-frequenza riportata nella precedente
figura ??.
di di libertà del segnale sono in numero tale da rendere per
lo meno povera d’informazioni e soprattutto poco affidabile
la loro conclamata osservazione. Questa considerazione è un
a↵atto acclarato nel caso della misura diretta del primo evento gravitazionale, perchè sarà necessario un elevato livello di
confidenza statistica per convincere tutta la comunità scientifica dell’avvenuta rivelazione. Riteniamo comunque che tale
a↵ermazione continuerà ad esser vera anche successivamente
Per risalire dal segnale a tutti i parametri fisici che caratterizzano il processo di emissione, ovvero per risolvere il problema
inverso, occorre combinare i dati di cinque interferometri, tenendo conto della diversa posizione e orientazione sulla Terra.
In termini di rapporto SNR la combinazione lineare dei segnali d’uscita deve tener conto del diverso livello di rumore
delle varie antenne. Questo è fatto combinando i dati sbiancati di ciascun rivelatore, ovvero combinando nel dominio del
tempo tramite l’anti-trasformata di Fourier, il rapporto dei
dati raccolti del dominio della frequenza divisi per la relativa densità spettrale di rumore. La combinazione coerente di
questi dati deve tener conto della direzione di propagazione
che concorre a determinare
• l’istante di arrivo del segnale e quindi la fase di ciascun
216CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
rivelatore,
• l’ampiezza della risposta al segnale, che dipende da
come è orientata in quell’istante l’antenna.
Per applicare il metodo di combinazione coerente bisogna costruire le possibili combinazioni di dati che coprano lo spazio
dei parametri, che caratterizzano la risposta delle antenne al
segnale. Si tratta quindi di processare tante volte gli stessi
dati, ipotizzando una diversa combinazione, scegliendo quella che si discosta maggiormente dalla statistica del processo
statistico costruito tramite tutte queste combinazioni.
Inoltre, gli stessi dati, prodotti dalla rete di rivelatori, possono essere combinati anche in modo distruttivo, ovvero in modo da cancellare l’eventuale segnale null data stream.Questo
consente di applicare un metodo in anti-coincidenza: all’evento della combinazione costruttiva dei dati che ha superato la
soglia di rivelazione a quel dato istante, deve corrispondere
assenza di segnale nel null stream.
L’analisi coerente massimizza SNR della rete di antenne,
ma richiede una grande potenza computazionale. Il metodo delle coincidenze a soglia, utilizzato da Joe Weber [?] per
l’analisi dei dati delle sue antenne, è certamente più veloce
e robusto, ha un peso computazionale del tutto trascurabile
per i moderni computer e può essere applicato a dati prodotti da rivelatori di natura di↵erente come ad esempio tra
barre e interferometri. Gli svantaggi di questo metodo sono
relativamente pochi:
• può non rivelare eventi mal ricostruiti dai filtri e che
sono ancora immersi nel rumore;
• funziona in modo corretto se i filtri e le soglie di rivelazione applicate ai diversi rivelatori sono tra loro consistenti in termini di sensibilità. Questo a volte non
è possibile e si preferisce imporre come criterio che la
frequenza degli eventi selezionati sia la stessa nei vari rivelatori, tentando di costruire insiemi di dati quasi
stazionari. In ogni caso, la standardizzazione della procedura sulla selezione degli eventi tra i vari rivelatori è
una aspetto cruciale per l’applicazione del metodo.
L’analisi alla Weber è concettualmente semplice. L’uscita filtrata di ogni rivelatore è esaminata per determinare quando
8.14.
L’ANALISI DATI DELLA RETE DI ANTENNE217
avviene il superamento della soglia prefissata. Si producono cosı̀ delle liste di eventi che vengono scambiate tra i vari
gruppi che operano i diversi strumenti. Queste liste vengono comparate alla ricerca di coincidenza temporali di eventi
che cadono in una finestra di coincidenza t fissata a priori,
ovvero prima di iniziare l’analisi. Tale finestra viene scelta
tenendo conto della risoluzione temporale complessiva della
rete di antenna e di tutte le possibili direzioni d’arrivo dei
segnali gravitazionali.
Questa comparazione è e↵ettuata Nshif t volte, introducendo
ad ogni passaggio un ritardo temporale tshif t in una lista
rispetto all’altra. Questa procedura è necessaria per ricavare la probabilità di coincidenze casuali, sfruttando gli stessi
dati con le loro eventuali caratteristiche di non stazionarietà.
In sostanza, noi troveremo un dato numero di coincidenze
a ritardo zero nc , che compariamo con quelle ottenute per
tshif t 6= 0. In altre parole si tenderà a verificare se accade
che
nc ( tshif t 6= 0) nc ( t = 0)
(8.117)
. Questa procedura consente di stimare la probabilità per
via sperimentale, pexp , calcolando il rapporto tra il numero
di volte f per cui la diseguaglianza ?? è verificata sul numero
totale di prove Nshif t :
pexp =
f
Nshif t
Se i dati selezionati da due antenne fossero realizzazioni di
un processo stazionario, il numero medio di coincidenza <
nc >random dovrebbe esser deducibile applicando la statistica
di Poisson:
t
< nc >random = N1 N2
(8.118)
tm
dove N1 e N2 sono i numeri di eventi selezionati nella prima
e nella seconda antenna, tm è il tempo totale di raccolta dati
in coincidenza (tempo e↵ettivo di misura della rete di rivelatori). L’eventuale discrepanza del numero osservato a ritardo
rispetto a quanto previsto tramite la ??, sarà poi sottoposta a test statistico per valutarne quantitativamente la sua
consistenza.
A titolo di esempio riportiamo il caso dell’analisi in coincidenza di EXPLORER, l’antenna risonante dell’università di
218CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
Roma La Sapienza installata al CERN in Svizzera e ALLEGRO, il rivelatore del gruppo dell’università della Louisiiana,
installata a Baton Rouge in USA.
Entrambe le antenne avevano una temperatura efficace di circa 10 mK e la soglia di rivelazione degli eventi era posta a
200 mK. La finestra di coincidenza era scelta pari a 41 s
per un tempo d’osservazione in coincidenza di 121.96 giorni.
A ritardo zero fu trovata una coincidenza per un valore di
Tef f = 203 mK. Assumendo valida la statistica di Poisson,
il numero atteso di coincidenze era pari a 2.5, mentre applicando il metodo dello slittamento temporale della lista degli
eventi il numero medio di coincidenza accidentali fù valutato
pari a 1.55. La conclusione, statisticamente ovvia, fù che
nessun evento impulsivo di onde gravitazionali con energia
superiore a 200 mK era stato osservato in quel periodo di
tempo d’osservazione.
8.14.
L’ANALISI DATI DELLA RETE DI ANTENNE219
Figura 8.18: Il rivelatore risonante EXPLORER dell’università di Roma, installato al CERN. Il cubo metallico sulla
sinistra contiene il calibratore, un quadrupolo di alluminio di
14 kg . che può ruotare sino a 490 Hz
220CAPITOLO 8. I RIVELATORI DI ONDE GRAVITAZIONALI
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Elenco delle figure
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
2.1
2.2
I ritratti dei protagonisti della Gravitazione
Classica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
--xi 0 individua la posizione
Il generico vettore !
delle masse puntiformi mi generanti il campo.
-x individua la posizione del punIl vettore !
to P in cui si intende calcolare il potenziale
gravitazionale. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Schema del generatore di campo gravitazionale costituito da un cilindro di Teflon immerso
nella miscela di un liquido di densità prossima
a quella del solido. Il cilindro è traslato avanti
e indietro nel liquido da un motore connesso
alla puleggia rappresentata in figura. . . . . .
A destra il grafico della di↵erenza di densità
tra liquido e solido, a sinistra quello relativo
al segnale della bilancia di torsione in funzione
della temperatura. . . . . . . . . . . . . . . .
Il modello di Luna a due componenti. CAl ,
CF e e B sono rispettivamente i centri geometrici dei due componenti di Alluminio e di Ferro ed il centro di massa del sistema. Si assume per le distanze t = CAl CF e = 10 km e
s = CAl B = 1.98 km. . . . . . . . . . . . . . .
A sinistra uno dei retro-riflettori posto sulla
superficie lunare dal progetto Apollo. A destra
il laser del Goddard Space Flight Center per il
tracciamento dell’orbita lunare . . . . . . . .
Il primo esperimento moderno sulla misura di
G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La deformazione semplice di scorrimento. . .
423
4
6
13
15
15
18
22
24
424
ELENCO DELLE FIGURE
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
3.1
3.2
3.3
3.4
La deformazione torsionale di un cilindro di
altezza infinitesima dz. . . . . . . . . . . . . .
La configurazione classica di misura ad anello
aperto con leva ottica . . . . . . . . . . . . .
Il metodo della leva ottica . . . . . . . . . . .
Schema per il calcolo della funzione di trasferimento tra una rotazione (a) e una traslazione
(b), di uno specchio a distanza L da un lente
convergente di focale f e lo spostamento corrispondente del fascio luminoso su un piano
ortogonale all’asse ottico posto a distanza D,
dietro la lente. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Schema del sistema contro-reazionato tramite
forze elettrostatiche . . . . . . . . . . . . . . .
Schema di principio della bilancia di torsione.
Oo è il punto d’attacco del filo di torsione, O1
il punto d’attacco del filo al braccio della bilancia, O2 è il centro di massa del sistema.
Abbiamo introdotto due riferimenti cartesiani includenti gli angoli di rotazione rispetto ai
rispettivi assi: il primo O0 , X, Y, Z, ↵o , o è solidale con il punto d’attacco del filo, il secondo
O1 , X1 , Y1 , Z1 , ↵1 , 1 , 1 è solidale con il punto
d’attacco del filo alla barra. . . . . . . . . . .
25
28
28
29
31
34
3.8
3.9
Lorand Baron von Eötvos. . . . . . . . . . . .
Il pendolo di torsione. . . . . . . . . . . . . .
L’apparato sperimentale utilizzato da Eötvos.
A destra è mostrata una foto di uno degli apparati sperimentali utilizzato da Eötvos. A
sinistra è disegnato lo schema di principio. . .
Il pendolo di torsione dell’esperimento di Dicke.
Schema del sistema di attuazione e rivelazione
dell’esperimento di Dicke e Krotov. . . . . . .
La configurazione sperimentale utilizzata nell’esperimento del pendolo di torsione del gruppo dell’università dello stato di Washington. .
Schema di principio del satellite STEP. . . . .
Le masse di test dell’esperimento STEP. . . .
49
52
53
4.1
L’esperimento di Pound e Rebka. . . . . . . .
61
3.5
3.6
3.7
41
43
44
46
47
48
ELENCO DELLE FIGURE
5.1
5.2
5.3
5.4
6.1
425
Vignetta illustrativa dell’e↵etto di deflessione
della luce da parte della massa interposta tra
sorgente e osservatore. Le frecce arancione
indicano la direzione apparente della luce, le
frecce grige quella reale. . . . . . . . . . . . .
86
Nello schema in alto si illustra come misurare l’angolo ✓ di inclinazione del fronte d’onda piano con la linea ideale che unisce le due
antenne (baseline). Esso è il complementare
di quello tra la direzione di propagazione del
fronte d’onda piano e la baseline stessa. Nota
la lunghezza B della baseline, dalla misura del
tempo di ritardo ⌧g tra i segnali rivelati dalle
due antenne si deduce la direzione di provenienza del segnale ⇡/2 ✓. La figura in basso
illustra il metodo LBI di inseguimento del satellite che si avvale del confronto tra i tempi di
ritardo misurati per il satellite e per un quaser
lontano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
87
Schema di radiotelescopi utilizzati in configurazione interferometrica. posti a distanza tra
loro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
88
Deflessione del segnale radio emesso dal satellite Cassini in prossimità di Giove e rivelato a
Terra. La massa flettente è il Sole che si interpone tra il satellite e la stazione ricevente a
Terra. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
90
La terra che ruota con velocità angolare ! e
momento angolare L crea un campo gravitomagnetico con linee di forza analoghe a quelle
del campo di un dipolo magnetico. Un giroscopio con il momento angolare di spin S si muove
intorno alla Terra lungo un’orbita polare circolare geodetica (linea continua spessa). L’effetto Lense-Thirring consiste nella precessione
di S intorno alla direzione data dalle linee del
!
-- !
campo di r ⇥ h. . . . . . . . . . . . . . . . .
108
426
ELENCO DELLE FIGURE
6.2
6.3
6.4
6.5
7.1
7.2
7.3
7.4
Foto di uno dei satelliti LAGEOS ( LAser GEOdynamic Satellite), lanciati rispettivamente il
4/5/1976 e il 22/10/1992. Il corpo esterno
di alluminio è una sfera di 60 cm di 117 kg,
che ospita al suo interno un corpo massiccio
di rame-berillio di 175 kg. La superficie è coperta per il 42 % da 426 retro-riflettori (422 di
silicio e 4 di germanio) ciascuno di dimensione
1.9 cm e 33.2 gr di peso. . . . . . . . . . . . .
Mappa del Geoide terrestre prodotta dall’istituto GFZ del German Research Centre for Geosciences a Postdam. La scala dei colori è espressa in mgal. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A sinistra disegno schematico delle orbite dei
due satelliti LAGEOS. A destra il laser del
SHIMOSATO Hydrographic Observatory per
il tracciamento dell’orbita dei satelliti. . . .
In alto a sinistra si vede la foto di uno dei quattro giroscopi di niobio. Accanto è riportato lo
schema di principio di rivelazione del moto di
precessione con l’uso di uno SQUID. In basso
le foto del payload prima del lancio e il missile
appena partito. . . . . . . . . . . . . . . . .
Joseph Weber e la sua antena gravitazionale
risonante equipaggiata al centro con i trasduttori piezoelettrici. . . . . . . . . . . . . . . . .
Cambiamento cumulativo del tempo di transito al periastro del sistema doppio PSR 191316.
Esso è interpretato come dovuto alla perdita d’energia del sistema per emissione di onde Gravitazionali. Si noti l’eccellente accordo
con la curva prevista in base alla teoria della
Relatività Generale. . . . . . . . . . . . . . .
L’e↵etto dell’onda gravitazionale piana che incide perpendicolarmente al foglio su un insieme di messa disposte ad anello. Sono rappresentati gli e↵etti della polarizzazione + e di
quella ⇥. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le distribuzioni delle linee di forza dell’onda
gravitazionale piana che rappresentano la polarizzazione + e quella ⇥. . . . . . . . . . . .
108
109
110
112
117
119
125
126
ELENCO DELLE FIGURE
7.5
7.6
427
La pulsar nella nebulosa del Granchio. Accanto un disegno artistico che mette in evidenza
l’e↵etto faro. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
137
Un tipico segnale di coalescenza di un sistema doppio di stelle di neutroni in assenza di
trasferimento di materia (chirp). . . . . . . .
143
7.7
Possibili scenari evolutivi di un sistema binario 148
7.8
Immagine registrata in ottico della Supenova
1987a. A sinistra la porzione di cielo prima
dell’esplosione, a destra subito dopo l’esplosione registrata a Terra il 23 febbraio 1987. La
supernova, localizzata nella nube di Magellano
a 51 kpc da Terra, è di tipo II e a tutt’oggi non
è stato registrato alcun segnale emesso da una
eventuale pulsar formatasi a causa del collasso. 152
8.1
Schema di interferometro di Michelson per la
rivelazione delle onde gravitazionali. . . . . .
161
In figura sono riportate due possibili configurazioni di lavoro. In alto è riportata la configurazione FP. Nella parte bassa della figura,
relativa alla linea di ritardo ottica, il disegno a
colori mette in evidenza la necessità che le traiettorie dei fasci luminosi nei viaggi di andata
e ritorno siano ben separate. . . . . . . . . . .
164
A destra è riportata la foto, ripresa dal basso, del super attenuatore di Virgo. Le frecce
indicano i cavi dei pendoli e le lame elastiche
di acciaio Maraging per l’attenuazione del moto sismico orizzontale e verticale. A sinistra è
riportata la misura dello spettro del rumore sismico al suolo e sulla massa sospesa dal super
attenuatore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
173
8.2
8.3
8.4
La curva di sensibilità di Virgo ottenuta estraendo la radice quadrata della somma delle potenze spettrali dei vari contributi di rumore
riportati all’ingresso dello strumento. . . . . . 177
8.5
L’oscillatore elementare per la rivelazione delle
onde gravitazionali. Le due masse M identiche, distanti l, seguono due linee geodetiche.
178
428
ELENCO DELLE FIGURE
8.6
8.7
8.8
8.9
8.10
8.11
8.12
8.13
8.14
8.15
8.16
Il cilindro vibra alla prima armonica longitudinale. Si scelga il sistema di riferimento al
centro della barra e si considerino due elementini di massa posti in posizioni simmetriche
rispetto al centro. . . . . . . . . . . . . . . .
Schema dell’apparato costruita all’università
della Western Australia per ra↵reddare a 4 K
un’antenna di niobio di ⇠ 1.5 tonnellate. . .
Modo di vibrazione quadrupolare dell’antenna
a quadrifoglio dell’università di Tokyo. . . . .
Foto dell’antenna brasiliana Mario Schenberg.
A fianco e’ riportato un disegno completo dell’apparato sperimentale. . . . . . . . . . . . .
Foto dell’antenna dell’antenna sferica MiniGrail,
sviluppata presso il laboratorio dell’università
di Leiden in Olanda, dal gruppo del prof. G.
Frossati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Schema a blocchi del sistema di rivelazione delle onde gravitazionali nel caso di un’antenna
risonante. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’antenna NAUTILUS, una barra di tre metri
di lunghezza e 2.3 tonnellate di alluminio, fu
ra↵reddata per la prima volta al CERN raggiungendo la temperatura di 95 mK. L’antenna fu pi trasferita all’INFN di Frascati dove è
rimasta in operazione per più di un ventennio.
Schema di un amplificatore ideale con generatori di rumore di corrente e tensione posti al
suo ingresso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Nella parte alta della figura è riportato uno
schema per allargare la banda del rivelatore
senza aumentare il rumore termico tramite una
resistenza ra↵reddata a 4 K. Nella parte bassa
della figura si schematizza un metodo basato
su un circuito elettronico attivo per ottenere
lo stesso risultato. . . . . . . . . . . . . . . .
Forma temporale del segnale di onda gravitazionale emesso da un sistema binario di stelle
di neutroni nella fase di coalescenza predente
lo scontro (merger phase). . . . . . . . . . .
Mappa tempo-frequenza in presenza di un segnale ad SN R > 100. . . . . . . . . . . . . .
180
184
185
186
187
189
191
192
205
208
216
ELENCO DELLE FIGURE
8.17 Curva chiusa della mappa di Hough ottenuta
dai dati della mappa tempo-frequenza riportata nella precedente figura ??. . . . . . . . . .
8.18 Il rivelatore risonante EXPLORER dell’università di Roma, installato al CERN. Il cubo
metallico sulla sinistra contiene il calibratore,
un quadrupolo di alluminio di 14 kg . che può
ruotare sino a 490 Hz . . . . . . . . . . . . .
9.1
9.2
9.3
9.4
9.5
9.6
Le tre forme d’onda : il segnale modulante, il
segnale portante (detto la portante), il segnale
modulato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I tre grafici rappresentano l’analisi di Fourier
dei tre segnali: il modulante, la portante, il
segnale modulato . . . . . . . . . . . . . . . .
I grafici rappresentano nel dominio del tempo il segnale vAM (t) per i quattro casi m =
0, 0.5, 1 e m > 1. . . . . . . . . . . . . . . .
I grafici rappresentano le funzioni di Bessel ai
vari ordini in funzione dell’indice di modulazione m. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Spettro tipico del segnale modulato FM. . .
I grafici rappresentano le funzioni di Bessel ai
vari ordini in funzione dell’indice di modulazione m. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
429
217
221
227
228
229
233
233
234
10.1 La figura illustra quattro realizzazioni del processo stocastico x(t). Da queste si possono
estrarre i relativi valori in corrispondenza del
parametro temporale t1 per costruire l’istogramma riportato in basso. Quest’ultimo rappresenta una stima della funzione di densità di
probabilità del primo ordine del processo per
quel valore del parametro. . . . . . . . . . . . 242
11.1 Densità spettrale delle fluttuazioni di un oscillatore armonico: con dissipazione viscosa (curva rossa); con dissipazioni interne indipendenti dalla frequenza (curva nera). Nel caso di
dissipazioni interne sono riportate le pendenze
dello spettro al di sotto (/ ! 1 ) e al di sopra
(/ ! 5 ) della risonanza. . . . . . . . . . . . .
258
430
ELENCO DELLE FIGURE
11.2 Grafico della dissipazione termoelastica in funzione della frequenza; esempio di picco termoelastico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.3 Modello per la dissipazione di rinculo. . . . .
11.4 Il pendolo reale in cui è evidenziata la flessione
del filo di sospensione. . . . . . . . . . . . . .
11.5 Modello meccanico dell’oscillatore di Debay:
la molla è posta in parallelo con la serie formata da un altro elemento elastico ed un pistone
che rappresenta lo smorzamento. . . . . . . .
11.6 Esempio di modo fondamentale di vibrazione di uno specchio cilindrico; la scala di colore indica il grado di deformazione del solido
in un’oscillazione: in ordine di deformazione
crescente, da marrone (regione indeformata) a
blu (massima deformazione). La figura è tratta da una simulazione agli elementi finiti degli
specchi di Virgo. . . . . . . . . . . . . . . . .
12.1 Intensità I(E) in funzione della energia di transizione E. E = = h̄/⌧ è la larghezza della
distribuzione di energia dello stato eccitato (e).
12.2 Schema di livelli energetici nel caso di
risonanza nucleare . . . . . . . . . . . . . .
12.3 Processo di emissione . . . . . . . . . . . . . .
12.4 Conseguenza dell’e↵etto di rinculo causato dall’emissione a assorbimento di un fotone in nuclei isolati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
260
263
267
268
271
276
277
278
279
13.1 Sulla sinistra é riportato il disegno delle orbite di alcuni dei satelliti GPS, sulla destra il
disegno artistico di un satellite GPS. . . . . . 288
13.2 Deviazione di Allan sulla frequenza di un oscillatore a quarzo e di un orologio atomico a cesio
in funzione dell’intervallo di tempo ⌧ . . . . . 290
13.3 Dall’intersezione delle due sfere si ottiene un
anello.Una terza sfera localizza invece un altro
satellite, grazie al quale è possibile ridurre le
possibili posizioni a due punti. . . . . . . . . 291
13.4 Rappresentazione grafica delle coordinate pseudosferiche e cartesiane del punto P. . . . . . . . 294
ELENCO DELLE FIGURE
431
13.5 I satelliti A e B si muovono di moto rettilineo
uniforme rispetto ad una ricevente R. R e
R’ sono i sistemi di riferimento di riposo della
ricevente e dei satelliti. . . . . . . . . . . . . . 296
13.6 Eventi rappresentati nel caso dello spazio di
Minkowski bidimensionale rispetto ai due sistemi di riferimento R che R’.Gli eventi A e B
rappresentano l’invio dei segnali da parte dei
satelliti, R la ricezione da parte della ricevente. 297
13.7 Tempi di propagazione massimi e minimi del
segnale e.m. per un una posizione data di una
ricevente.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299
14.1 L’interferometro Sagnac. . . . . . . . . . . . .
306
15.1 I campi in una cavità Fabry-Perot. . . . . . . 312
15.2 Andamento della riflettività di una cavità FabryPerot. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 314
15.3 Fase della luce riflessa da una cavità Fabry-Perot.315
15.4 Simulazione della funzione di trasferimento in
riflessione di una cavità Fabry-Perot e del segnale di Pound Drever Hall letto dal fotodiodo. In alto è riportata la potenza riflessa, al
centro la fase della funzione di trasferimento
di riflessione, in basso, il segnale di controllo del fotodiodo con la fase di demodulazione
✓ = ⇡/2. La porzione utile di questo segnale ai
fini del controllo è quella lineare in prossimità
di f = 0. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321
16.1 Lo schema di principio di un sistema controreazioneato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 324
16.2 Rappresentazione✓ del criterio di Nyquist nel◆
piano complesso Re[A(s) (s)], Im[A(s) (s)] .
Il sistema è stabile se il cammino non contiene al suo interno il punto di coordinate ( 1, 0). 325
16.3 Andamento del diagramma di Nyquist in coordinate polari per ! > 0 e per A = 10 dB
e A = 40 dB (linee rosse). La circonferenza tratteggiata in blu corrisponde a valori di
guadagno unitario. . . . . . . . . . . . . . . . 326
432
ELENCO DELLE FIGURE
16.4 Curva di guadagno di un sistema ad anello
aperto ( curva rossa) e controreazionato ( curva blu). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16.5 Schema di riferimento per il calcolo del rumore
nel sistema controreazionato. Stiamo ipotizzando che esistano sorgenti di rumore di tensione all’ingresso Vn (i) , all’uscita Vn (u) e sul ramo di reazione Vn (c) . . . . . . . . . . . . . . .
16.6 Anello di reazione digitale. . . . . . . . . . . .
17.1 Segnale demodulato dell’intensità luminosa trasmessa dalla cavità Fabry-Perot in funzione
dello spostamento dalla distanza di risonanza degli specchi. A destra si riporta la stessa
funzione in prossimità di x = 0. . . . . . . . .
17.2 Schema di controllo di un Michelson semplice
secondo il metodo eterodina. . . . . . . . . .
17.3 Schema ottico semplificato di Virgo.Le cavità
FP sono costituite dalle coppie di specchi NI,
Ne e WI, We. BS e RC sono il separatore
di fascio e lo speccho di ricircolo. EOM indica il modulatore elettro-ottico utilizzato per
modulare in frequenza la luce. . . . . . . . . .
17.4 1a) modo di↵erenziale del Fabry-Perot . 1b)
modo comune del Fabry-Perot. 1c) modo differenziale del Michelson. 1d) modo comune del
Michelson. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17.5 Disposizione dei fotodiodi per il controllo longitudinale di Virgo. . . . . . . . . . . . . . . .
20.1 Al tempo t, classicamente un campo è un punto in un opportuno spazio delle fasi. L’analogia con l’oscillatore armonico quantistico e il
principio di Heisenberg non rendono più valida questa rappresentazione e richiedono un’opportuna trattazione in termini probabilistici.
20.2 Una funzione di Wigner e la marginalizzazione
rispetto ad una generica quadratura q✓ . . . .
20.3 Schema di un beam splitter ideale (a sinistra) e
sua rappresentazione diagrammatica (destra).
Per brevità il primo modo in ingresso è indicato con a1 (si intende a1 , a†1 ); per gli altri tre
modi si usa la stessa convenzione. . . . . . . .
328
329
331
337
339
341
344
346
366
369
377
ELENCO DELLE FIGURE
433
20.4 Con un solo modo la descrizione di una perdita
definita da un fattore ⌘ < 1 non è coerente (sinistra); usando due modi, il campo di interesse
e il vuoto, si riesce a trattare correttamente il
fattore ⌘ (destra). . . . . . . . . . . . . . . . .
378
20.5 Rappresentazione grafica di uno specchio spostato dalla sua posizione di equilibrio (linea
tratteggiata verticale). . . . . . . . . . . . . .
383
20.6 Semplice diagramma di un interferometro analogo a Virgo. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
384
20.7 Interferometro con cavità Fabry-Perot lungo i
bracci. Due segnali sono in ingresso: il primo
è carrier di potenza Pin che entra dalla bright
port, il secondo è il campo a che entra dalla
dark port. Un solo segnale è in uscita dalla
dark port: il campo b. . . . . . . . . . . . . .
387
20.8 Strain amplitude del rumore ottico in funzione
della frequenza e al variare della potenza Pin .
Si assume F=100, = 10 6 m ed L = 3000 m. 389
p
21.1 Rapporto segnale rumore in unità di h/ Sh
in funzione dell’angolo di quadratura ⇣ e per
K = {0, 0.5, 1, 3, 10}. . . . . . . . . . . . . . .
392
21.2 Diagramma di un interferometro con squeezed
input dalla dark port. . . . . . . . . . . . . . .
395
21.3 Diagramma di un interferometro per la rivelazione omodina e con squeezed input nella dark
port. Da questo schema si ottiene quello per
un interferometro per la sola rivelazione omodina sostituendo il vuoto squizzato in ingresso
con uno stato di vuoto ordinario. . . . . . . .
396
434
ELENCO DELLE FIGURE
21.4 Spettro del rumore ottico espresso in h in funzione della frequenza ⌦ per alcune possibili
configurazioni di interferometro; le perdite dell’apparato ottico vengono trascurate; lo strain
è misurato in unità di SSQL ( ), mentre ⌦ è
in unità delle frequenza ottimale dell’interferometro . Le curve di rumore ottico sono
relative a: (i) un interferometro convenzionale con Pin = PSQL ((??) calcolata per Pin =
PSQL ) [“conventional”]; (ii) un interferometro
con squeezed-input, Pin = PSQL e fattore di
squeezing e 2r = 0.1 e (a) angolo di squeezing
ottimale dipendente dalla frequenza ✓(⌦) (??)
[curva solida, “squeezed-input”], (b) angolo di
squeezing ottimale indipendente dalla frequenza (??) [curva tratteggiata, squeezed-input fixed squeeze angle, il minimo si abbassa all’aumentare di r]; (iii) un interferometro a rivelazione omodina con Pin = 10PSQL e fase di rivelazione omodina ⇣ = ✓(⌦) (??) [variationaloutput]; (iv) un interferometro con squeezedinput e a rivelazione omodina con Pin = 10PSQL ,
e 2r = 0.1, ✓ = ⇡/2 e ⇣ = ✓(⌦) (??) [”squeezedvariational”]. Riportiamo inoltre lo SQL (??)
[“SQL”]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 397
21.5 Schema di un interferometro di Sagnac (velocimetro) con linee di ritardo nei bracci. BP, BS
e DP indicano rispettivamente la porta d’ingresso, il separatore di fascio e la porta d’uscita.399
21.6 Schema di un interferometro di Sagnac (velocimetro) con cavità di Fabry-Perot anulari.
BP, BS e DP indicano rispettivamente la porta d’ingresso, il separatore di fascio e la porta
d’uscita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
400
21.7 Confronto fra le curve di rumore in funzione
di ⌦ per varie configurazioni di interferometro. Ciascuna curva è misurata in unità di
SSQL (100Hz) ed è stata ottimizzata per illustrare vantaggi e svantaggi dell’apparato. La
linea diagonale nera è lo SQL . . . . . . . . .
401
ELENCO DELLE FIGURE
435
21.8 Rivelatore interferometrico di onde gravitazionali con cavità di Fabry-Perot e specchio per
il signal recycling (LIGO-II). Si suppone che i
quattro specchi delle cavità poste lungo i due
bracci abbiano ciascuno massa m e che quindi
si possa descrivere il loro moto come quello di
una particella libera di massa e↵ettiva µ = m/4.402
21.9 Grafico di Sh (⌦) (in unità di SSQL ( )) di un
interferometro con signal recycling in funzione di ⌦ (in unità della frequenza ottimale )
per le seguenti scelte della fase omodina (fissa): ⇣ = {0, ⇡/6, ⇡/3, ⇡/2}. Inoltre: ⇢ = 0.9,
[!C l/c]mod2⇡ = ⇡/2 0.47 e Pin = PSQL . Sono riportate anche la strain amplitude di un
interferometro convenzionale e lo SQL. . . . . 405
21.10Strain dell’optical readout noise di un interferometro con signal recycling in funzione della
frequenza per Pin pari a 1 kW (rosso), 3k kW
(blu) e 10 kW (verde). Viene riportato anche
lo SQL (nero). . . . . . . . . . . . . . . . . . 406
21.11Schema dell’ottica per un setup con quantum
feedback. A è la cavità presente in un braccio dell’interferometro, B è una breve cavità
ausiliaria di controllo usata per monitorare lo
spostamento X2 X1 e la detuned cavity è utilizzata per misurare un’appropriata quadratura (con angolo di quadratura ✓ variabile) del
fascio ausiliario. I guadagni gi sono regolabili. 407
436
ELENCO DELLE FIGURE
Indice
1 La Gravitazione Classica
1.1 Il campo ed il potenziale gravitazionale . . . .
1.2 Le unità di misura della Gravitazione Sperimentale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Masse Gravitazionali attive e passive . . . . .
9
11
2 Il Pendolo di Torsione
2.1 La bilancia di torsione . . . . . .
2.2 La torsione del filo . . . . . . . .
2.3 Strategie di misura . . . . . . .
2.4 Il modello di una reale bilancia di
. . . . . . .
. . . . . . .
. . . . . . .
torsione .
21
21
23
26
32
3 Il Principio di Equivalenza
3.1 Test del Principio d’ Equivalenza di Einstein.
3.2 La verifica di EEP a livello atomico . . . . . .
3.3 Gli esperimenti in condizioni di microgravità
37
40
49
50
4 Principi delle Teorie Metriche
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . .
4.2 Esperimenti per la verifica di LLI
4.3 L’esperienza di Pound e Rebka .
4.4 La congettura di Schi↵ . . . . .
55
55
58
59
64
.
e
.
.
. . .
LPI
. . .
. . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
5 Il Formalismo PPN
5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Richiami di Relatività Generale . . . . . . .
5.3 Il limite newtoniano. . . . . . . . . . . . . . .
5.4 L’equazione del moto . . . . . . . . . . . . . .
5.5 L’espansione post-newtoniana . . . . . . . . .
5.6 L’espansione post-newtoniana parametrizzata
(PPN) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.7 I limiti sperimentali dei parametri PPN . . .
437
3
6
69
69
71
72
74
76
80
85
438
INDICE
5.7.1
5.7.2
5.7.3
5.7.4
5.7.5
5.8
Limiti sul parametro
. . . . . . . .
I limiti sul parametro
. . . . . . . .
Limiti relativi agli altri parametri PPN
L’incostanza delle costanti universali .
Limiti sui parametri relativi alle leggi
di conservazione . . . . . . . . . . . .
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6 Il Gravitomagnetismo
6.1 Introduzione . . . . . . . . . . .
6.2 Il potenziale gravitomagnetico .
6.3 La precessione . . . . . . . . . .
6.4 Le osservazioni sperimentali . .
6.5 Gravitomagnetismo e parametri
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
PPN .
.
.
.
.
.
7 Le Onde Gravitazionali
7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2 L’equazione delle onde. . . . . . . . . .
7.3 Le proprietà delle Onde Gravitazionali. .
7.4 Le onde in altre teorie della Gravità. . .
7.5 L’emissione di onde gravitazionali. . . .
7.6 Le sorgenti continue. . . . . . . . . . . .
7.7 Segnali transitori . . . . . . . . . . . . .
7.7.1 La coalescenza dei sistemi binari
7.7.2 Le Supernovae . . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
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.
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.
.
.
.
.
.
85
89
92
93
95
95
.
.
.
.
.
99
99
100
104
106
111
.
.
.
.
.
.
.
.
.
115
115
118
122
128
130
135
142
142
149
8 I Rivelatori di Onde Gravitazionali
157
8.1 Il problema della rivelazione. . . . . . . . . . 157
8.2 Il rivelatore a fotoni. . . . . . . . . . . . . . . 158
8.3 La configurazione sperimentale . . . . . . . . 163
8.4 I rumori dell’interferometro. . . . . . . . . . . 167
8.4.1 Il rumore granulare . . . . . . . . . . . 167
8.4.2 Il rumore di pressione di radiazione . 172
8.4.3 Le altre sorgenti di rumore . . . . . . 173
8.4.4 Il rumore termico negli inteferometri . 174
8.5 Le antenne risonanti. . . . . . . . . . . . . . . 176
8.5.1 La barra di Weber . . . . . . . . . . . 180
8.6 Il trasduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
8.7 Il rumore Browniano . . . . . . . . . . . . . . 190
8.8 Il rumore dell’amplificatore e la back-action. 192
8.9 L’analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . 194
8.10 La ricerca di segnali periodici con le antenne
risonanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202
INDICE
8.11
8.12
8.13
8.14
439
ll metodo del Cold Damping . . . . . . . . . . 203
L’analisi dati degli interferometri. . . . . . . . 207
La ricerca di segnali continui negli interferometri.212
L’analisi dati della rete di antenne . . . . . . 216
9 Le Tecniche di Modulazione.
225
9.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225
9.2 La modulazione d’ampiezza . . . . . . . . . . 227
9.3 Le modulazioni di frequenza e di fase. . . . . 231
9.3.1 Lo spettro del segnale modulato in FM 233
9.3.2 La potenza del segnale modulato in FM235
9.4 Il mixer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236
9.5 I ricevitori ad eterodina e omodina. . . . . . . 237
10 Variabili Aleatorie e Processi Stocastici
10.1 I processi stocastici . . . . . . . . . . . .
10.2 Stazionarietà e ergodicità . . . . . . . .
10.3 Proprietà dei processi ergodici . . . . .
10.4 Il filtro di Wiener . . . . . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
241
241
243
244
246
11 Il Rumore Termico
249
11.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249
11.2 Il moto browniano. . . . . . . . . . . . . . . . 249
11.3 Il teorema di fluttuazione e dissipazione . . . 253
11.4 Il moto termico dell’oscillatore armonico . . 255
11.5 Le dissipazioni interne . . . . . . . . . . . . . 256
11.6 Dissipazione Termoelastica . . . . . . . . . . 259
11.7 La dissipazione superficiale e nei punti di fissaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
11.8 La dissipazione di rinculo . . . . . . . . . . . 263
11.9 I modi di un pendolo . . . . . . . . . . . . . . 264
11.10I modi normali dei sistemi continui . . . . . . 269
11.11Smorzamento viscoso dovuto al fluido circostante il corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272
11.12Rumore non lineare: microslittamenti ed emissione acustica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
12 L’E↵etto Mössbauer
275
12.1 Concetti base di spettroscopia . . . . . . . . . 275
12.2 La risonanza nucleare . . . . . . . . . . . . . 276
12.3 Conservazione di energia e impulso . . . . . . 277
12.4 L’allargamento Doppler per agitazione termica.280
12.5 L’e↵etto Mössbauer . . . . . . . . . . . . . . 281
440
INDICE
12.6 Gravitazione ed e↵etto Mössbauer . . . . . .
13 Global Position System e Relatività
13.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . .
13.2 La trilaterazione . . . . . . . . . . .
13.3 I sistemi di riferimento . . . . . . . .
13.4 Il GPS e la relatività ristretta. . . .
13.4.1 La simultaneità. . . . . . . .
13.4.2 E↵etto Sagnac . . . . . . . .
13.4.3 La dilatazione del tempo. . .
13.5 GPS e Relatività Generale. . . . . .
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284
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287
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293
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295
298
301
301
14 L’E↵etto Sagnac
305
14.1 L’e↵etto Sagnac . . . . . . . . . . . . . . . . . 305
15 La Cavità Fabry-Perot
311
15.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311
15.2 Il metodo Pound, Drever, Hall . . . . . . . . 318
16 Controreazione e Controlli
323
16.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323
16.2 Il rumore in un sistema controreazionato . . 328
16.3 Controlli e filtri digitali . . . . . . . . . . . . 330
17 Il Controllo dell’Interferometro Virgo
335
17.1 Il controlo di una cavità Fabry-Perot . . . . . 335
17.2 Il controllo dell’interferometro Michelson . . 336
17.3 Il controllo longitudinale di Virgo . . . . . . 340
18 Lo Standard Quantum Limit
349
18.1 Il rumore granulare in un interferometro . . . 349
18.2 Fluttuazioni della pressione di radiazione . . 351
18.3 Lo Standard Quantum Limit . . . . . . . . . 352
19 Misure in Meccanica Quantistica
19.1 Misure ideali . . . . . . . . . . . . . . . . .
19.2 Relazioni di indeterminazione . . . . . . . .
19.3 Misure ripetute . . . . . . . . . . . . . . . .
19.3.1 Monitoraggio di una particella libera
19.3.2 Monitoraggio di una forza classica .
19.4 Quantum Non Demolition . . . . . . . . . .
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355
355
357
358
358
360
361
INDICE
441
20 Ottica Quantistica
363
20.1 Il laser . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 364
20.1.1 Il campo elettromagnetico . . . . . . . 364
20.1.2 Quantizzazione del campo elettromagnetico e stati di Fock . . . . . . . . . 365
20.1.3 Distribuzioni di quasi-probabilità . . . 368
20.1.4 Stati coerenti . . . . . . . . . . . . . . 371
20.1.5 Stati squizzati . . . . . . . . . . . . . . 373
20.2 I dispositivi ottici . . . . . . . . . . . . . . . . 374
20.2.1 Il separatore di fascio . . . . . . . . . 375
20.2.2 Le perdite . . . . . . . . . . . . . . . . 376
20.2.3 Lo specchio in movimento . . . . . . . 378
20.2.4 Lo specchio sospeso . . . . . . . . . . 382
20.2.5 L’interferometro di Michelson . . . . . 383
20.3 Optical readout noise e SQL: trattazione quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384
21 Evasione del Limite Quantistico
391
21.1 Modifiche dell’ingresso e/o dell’uscita dello strumento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391
21.2 La rivelazione omodina . . . . . . . . . . . . . 392
21.3 Lo squeezing del vuoto . . . . . . . . . . . . 393
21.4 Rivelazione omodina e squeezed-input . . . . . 394
21.5 Velocimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 398
21.6 Modifiche della dinamica delle masse: la molla
ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402
21.7 Quantum feedback . . . . . . . . . . . . . . . 407