maschio e femmina li creò - Facoltà Teologica di Sicilia

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maschio e femmina li creò - Facoltà Teologica di Sicilia
AA.VV.
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
Educarsi all’identità relazionale
Aggiornamento del Clero
2015
a cura di
GIUSEPPE LA PLACA
DIOCESI DI CALTANISSETTA
Centro Studi “Monsignor Giovanni Jacono Vescovo”
Istituto Teologico “Mons. G. Guttadauro”
© 2015 CENTRO STUDI “MONSIGNOR GIOVANNI JACONO VESCOVO”
Via Cairoli, 8 – 93100 Caltanissetta
ISBN 978-88-98226-15-3
IMPAGINAZIONE:
Salvatore Tirrito – Curia Vescovile Caltanissetta
STAMPA E LEGATURA:
Tipolitografia Paruzzo – Caltanissetta
INDICE
5 Presentazione di Giuseppe La Placa
RELAZIONI
9 Calogero Caltagirone
La crisi del maschile e del femminile
nella liquefazione del gender.
Modelli culturali e questioni antropoetiche
105 Mario Russotto
Maschio e femmina li creò.
Rileggendo Genesi 1-2
135 Nello Dell’Agli
Struttura antropologica e dinamiche
psico-affettive del maschile e del femminile
come “grammatica” dell’umano
157 Calogero Panepinto
Educarsi in quanto presbitero
alla identità relazionale
163 Salvatore Rumeo
Educare all’identità maschile e femminile nella catechesi
173 Antonino La Paglia
Educare alla identità maschile e femminile
nel ministero presbiterale
267
Indice
OMELIE DEL VESCOVO MONS. MARIO RUSSOTTO
I turno - Zafferana Etnea, 20-22 gennaio 2015
203
205
209
213
Fede e Comunione
A misura del Crocifisso
Incontro al Dio vicino
Radicato in terra proteso verso il Cielo
OMELIE DEL VESCOVO MONS. MARIO RUSSOTTO
II turno - Zafferana Etnea, 10-12 febbraio 2015
219
223
227
231
In triplice relazione
Servizio e custodia
La relazione fondamentale
Luce da luce
ISTANTANEE FOTOGRAFICHE
235 Primo turno
251 Secondo turno
268
LA CRISI DEL MASCHILE E DEL FEMMINILE
NELLA LIQUEFAZIONE DEL GENDER.
MODELLI CULTURALI E QUESTIONI ANTROPOETICHE
di Calogero Caltagirone*
Introduzione
La tradizionale identificazione dell’umano nella reciprocità del maschile e del femminile nelle società attuali è entrata in crisi a causa delle teorie del gender che si vanno diffondendo nell’Occidente e cercano di penetrare anche in altri contesti culturali, promosse da grandi
organizzazioni internazionali. Tali teorie consistono nella negazione
della rilevanza antropologica delle differenze sessuali, biologicamente
definite, rispetto alle determinazioni culturali della sessualità.1 Secon* Insegna Antropologia ed etica e Etica dei Servizi alla persona nel Dipartimento di
Scienze Umane dell’Università LUMSA di Roma, Teologia morale e Teologia temi specifici nei Dipartimenti di Giurisprudenza e Decopoli della stessa Università. Inoltre, è docente di Antropologia ed etica, Filosofia della natura e Teologia e Scienze nella Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni evangelista” di Palermo, di Teologia nell’Istituto Teologico “Mons. Guttadauro” di Caltanissetta e di Filosofia nell’Istituto Superiore di Scienze
Religiose “Mons. Mario Sturzo” di Piazza Armerina (En).
1 Con il termine inglese gender si suole identificare il «significato sociale della distinzione sessuale. È un attributo che fa riferimento alle caratteristiche biologiche pre-esistenti di ciascun essere umano e permette ad ogni individuo di identificarsi e di rappresentarsi nella società come un soggetto maschio o come un soggetto femmina». Isabella Crespi,
Identità di genere, relazioni e contesti. Esperienze maschili e femminili a confronto, Unicopli, Milano 2007, p. 9. Gender «è un vocabolo utilizzato per designare il carattere sessuato dell’identità socio-culturale delle persone e delle loro relazioni. Più precisamente gender indica il sesso non nella sua stretta connotazione biologica, ma come complesso culturale, costruito socialmente, attribuito al sesso di appartenenza, che ha a che fare con
identità, aspettative, aspirazioni, norme di condotta appropriata. Esso implica, dunque, il
riferimento a dimensioni e processi sostanziali: l’alterità, il riconoscimento e la relazionalità». Giovanna Rossi, Donna, famiglia e lavoro, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
do tali teorie, non esistendo una differenza ontologica tra uomo e donna, l’identità maschile e femminile non sarebbero insite nella natura,
nella realtà, ma sarebbero unicamente da attribuire alla cultura, per
cui sarebbero il risultato di una costruzione sociale, un ruolo che gli
individui interpretano mediante doveri e funzioni sociali. Le conseguenze di questa impostazione sono di portata grandissima in tutto
l’ambito della vita sessuale delle persone e, anche, per gli stessi modelli dell’antropologia e dell’etica sessuale. Infatti, poiché, per le teorie del
gender, il sesso di un individuo non è costitutivo della persona ma risulta dall’insieme dei condizionamenti e degli stereotipi di natura sociale, culturale ed educativa che attribuiscono un ruolo sociale alla persona, determinandone il suo sviluppo in senso maschile o femminile,
secondo i suoi teorici, il gender è performativo e le differenze tra uomo e donna sono soltanto oppressioni sociali che bisogna distruggere
per raggiungere realmente la parità tra uomo e donna.2 Queste teorie
(a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, Vita e Pensiero, Milano 2008, pp. 121-122. Cfr. Kath Woodward (ed.), Questioning Identity: Gender,
Class and Nation, The Open University, London 1993; Chiara Saraceno – Simonetta Piccone Stella (a cura di), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna 1996; Pierpaolo Donati, Famiglia e gender: fra omogeneizzazione e nuove differenziazioni, in Pierpaolo Donati (a cura di), Uomo e donna in famiglia. Quinto rapporto
Cisf sulla famiglia in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 25-91; François Heritier, Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, Laterza, Roma-Bari 1997; Janet Saltzman Chafetz, Handbook of the Sociology of the Gender, B. Kaplan Howard-Texas A&M
University, Texas 1999; Mila Busoni, Genere, sesso, cultura. Uno sguardo antropologico,
Carocci, Roma 2000; Stevi Jackos – Sue Scott, Gender: A Sociological Reader, Routledge,
London 2002; Jutta Burggraff, “Genere” (“Gender”), in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, Bologna
2003, pp. 421-429; Claire Colebroock, Gender, Palgrave Macmilillan, New York 2004;
Amy S. Wharton, The Sociology of Gender. An Introduction to Theory and Research, Blacwell, Oxofrd 2005; Isabella Crespi, Sesso, genere e identità: il contributo dei gender studies,
in«Sociologia e politiche sociali», 3 (2006), 8, pp. 51-88; Laura Palazzani, Sex/gender: gli
equivoci dell’uguaglianza, Giappichelli, Torino 2011.
2 «In nome della libertà e della parità, le battaglie ideologiche gender obbediscono a
esigenze individualistiche e soggettivistiche che mirano a organizzare la società senza rispettare la differenza sessuale. Anche i teorici di questa teoria e le potenti lobby che si rifanno ad essa si battono in favore di una indifferenziazione dei sessi che chiamano “neutralità sessuale“: un fluido magmatico che mischia confusamente cose astratte ed è messo in movimento come fosse una nuova utopia di “liberazione del desiderio”, falsamente
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
non si limitano a proporre un nuovo tipo di classificazione teorica degli esseri umani ma hanno dato vita a «una agenda politica per il futuro» correlata «ai mutamenti nella struttura della parentela, ai dibattiti
sul matrimonio gay, alle condizioni per l’adozione e all’accesso alla tecnologia riproduttiva».3 Effettivamente, il problema del genere è al centro della battaglia politica, specialmente nelle conferenze delle Nazioni Unite al Cairo e a Pechino,4 per la quale adottare una prospettiva
di genere significa distinguere tra quello che è naturale e biologico da
quello che è costruito socialmente e culturalmente, per cui bisogna rinegoziare il rapporto tra il naturale, e la sua relativa inflessibilità, e il
sociale, e la sua relativa modificabilità, per arrivare a sostenere che le
portatrice di una felicità universale. Lavorano allo smantellamento di quello che si chiama il “sistema binario” uomo-donna». Robert Sarah, Prefazione, in Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, San Paolo, Cinisello Balsamo 2014, pp.
5-6. «Si parla di ‘ideologia gender’ per indicare gli studi che hanno discusso questa problematica in riferimento all’identità gender ma anche all’ideologia sottesa. Per ideologia si
intende un sistema strutturato e coerente di idee elaborato e teorizzato sul piano filosofico che si propone come interpretazione totale della realtà sociale e storica al fine di attuare una trasformazione della società in base alla prassi nella direzione di una trasformazione della società in base alla teoria proposta come modello sociale. L’ideologia gender propone la teorizzazione dell’irrilevanza della natura per l’identità sessuale e dell’irrilevanza
della differenza sessuale per la costituzione della famiglia, esaltando la libertà come prodotto del desiderio individuale: insomma una ‘società senza sesso’, ma forse anche ‘senza
sessi’ (almeno i soli due tradizionali), senza identità sessuale e senza differenza sessuale».
Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 8.
3 Judith Butler La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006, p. 39.
4 Piersandro Vanzan – Maria Giovanna Noccelli, Pechino 1995. Bilancio e prospettive della IV Conferenza mondiale sulla donna, Ave, Roma 1996. «Il gender è stato concepito in alcuni laboratori di scienze umane legati all’inteleghenzia postmoderna occidentale negli anni cinquanta. Si è organicamente innestato nella rivoluzione femminista, sessuale e culturale degli anna sessanta-settanta, approfittando del suo dinamismo e del suo potere di trasformazione sociale. Verso la fine degli ottanta, giunto a maturità concettuale,
il gender cristallizza gli obiettivi della rivoluzione culturale occidentale. Si impone allora
come norma politica mondiale: alla Quarta Conferenza Internazionale dell’Onu sulle Donne (Pechino 1995), la prospettiva di genere è l’oggetto di un preteso consenso mondiale.
La parità dei sessi, traguardo della prospettiva di genere, è diventata molto in fretta una
priorità operativa effettiva della governace mondiale: una strategia di cambiamento sociale, culturale e politico, un obiettivo educativo efficacemente applicato al mondo intero».
Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, pp. 17-18. Cfr. Dale
O’Leary, Maschi o femmine? La guerra del genere, Rubettino, Soveria Mannelli 2006.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
diversità fra uomini e donne, se sono costruite culturalmente, possono essere modificate a seconda del desiderio individuale.5 Non è un
caso, infatti, che il concetto di gender, entrato prepotentemente nell’uso del linguaggio comune, ma, anche nella denominazione di un filone di ricerca accademica (i gender studies), rappresenta, in effetti, il
primo passo per sviluppare in modo più ampio lo sganciamento dell’identità sessuale dalla realtà biologica, tanto che il gender incontra il
suo logico sviluppo nell’approccio queer, cioè nella prospettiva dell’identità sessuale come scelta mobile e revocabile, anche più volte nel
corso della vita dalla stessa persona. Com’è facile intuire, le teorie del
gender, negando la differenza sessuale, orientano verso il cambiamento radicale dell’idea di natura e di identità naturale, del concetto di famiglia e di procreazione, investendo di fatto tutti i nodi fondamentali
di qualsiasi sistema antropologico ed etico. Precisamente, in gioco non
c’è solo il problema di esaudire desideri di singoli, o di gestire degli affetti, ma anche le questioni che riguardano il riconoscimento e l’affermazione della costitutività delle strutture antropologiche fondamentali che si dà nell’identità-differenza dell’umano concretata nella reciprocità del maschile e del femminile, la quale costituisce un dato di fatto
irriducibile e strutturante, da cui non è possibile prescindere, e dell’ancoraggio fisico della paternità in un corpo maschile e della maternità in un corpo femminile.6 Lo scopo delle teorie del gender è, in sin5 «La differenza uomo-donna, lungi dall’essere un ‘dato naturale’ [...] assume un significato storico e socio-culturale: mentre il sesso indica una immutabilità costante nel
tempo e nello spazio, il ‘genere’ è l’insieme di quelle caratteristiche, di quei comportamenti culturali sorti come esigenza della vita sociale, sempre più esposta alla fluidità e al cambiamento della propria identità, a cui deve partecipare l’avventura del genere, cifra emblematica dell’autotederminazione individuale, a prescindere dal dato naturale della propria sessualità». Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla
differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro
genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 40.
6 Con l’introduzione delle teorie gender il rischio che si corre è quello di distruggere
un complesso sistema simbolico e culturale all’interno del quale l’umano definisce la sua
identità e le sue relazioni. «Un sistema di parentela è un’istituzione che attribuisce a ognuno un suo spazio, definendo chi è rispetto a chi. La confusione degli spazi comporta una
confusione dell’identità». Xavier Lacroix, In principio la differenza. Omosessualità, matrimonio, adozione, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 102.
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tesi, quello «di avviare, presso il grande pubblico, il processo di rottura del “binarismo di genere” (the Gender Binary), per cui i sessi sono
due, maschio e femmina, tra loro distinti e irriducibili. La polarità maschio-femmina viene giudicata un’ipotesi arbitraria perché falsificata
dall’esistenza di persone intersessuali e transgender; viene pertanto sostituita con uno “spettro di genere” (the Gender Spectrum) che ammette infinite variazioni in relazione a identità di genere (percezione
di sé), espressione di genere (come ci si presenta, ci si veste, si agisce),
orientamento sessuale (scelta del partner affettivo o sessuale che può
essere, date le premesse, di tutti i generi), sesso di nascita e corpo in
un dato momento».7
7 Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, p. 380. «Slegato dal corpo sessuato e collegato agli stati interni
di un soggetto, il genere finisce per includere un numero indeterminato di varianti, tendenzialmente numerose quanti sono gli esseri umani». Ibidem, p. 379. Il Glossary of Gender-related Terms and Concepts del Developed by the United Nations International Research and Training Institute for the Advancement of Women (INSTRAW) dà la seguente definizione: «Il genere si riferisce all’insieme di ruoli e relazioni socialmente costruiti,
tratti della personalità, comportamenti, valori, potere relativo e influenza che la società
ascrive ai sessi su una base differenziale. Mentre il sesso biologico è determinato da caratteristiche genetiche e anatomiche, il genere è un’identità acquisita che è appresa, cambia
nel tempo, e varia ampiamente all’interno e attraverso le culture. Il genere è relazionale e
non si riferisce semplicemente a donne o uomini ma al rapporto tra loro». Developed by
the United Nations International Research and Training Institute for the Advancement
of Women, Glossary of Gender-related Terms and Concepts, in http://www.un-instraw.org.
Per UN Women, agenzia creata nel 2010 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e
divenuta attiva nel 2011, con il mandato di far applicare universalmente la prospettiva di
genere a livello inernazionale, la definizione attuale di gender è riferita agli «attributi sociali e opportunità associate al fatto di essere uomo o donna e alle relazioni tra donne e
uomini e ragazzi e ragazze, come anche alle relazioni tra donne e alle relazioni tra uomini. Questi attributi, opportunità e relazioni sono socialmente costruiti e appresi nel corso
del processo di socializzazione. Sono specifici di certi contesti ed epoche e sono mutevoli. Il gender determina ciò che è atteso, permesso e valorizzato in una donna e in un uomo in un contesto specifico. Nella maggior parte delle società esistono differenze e disuguaglianze tra donne e uomini in termini di responsabilità loro assegnate, di attività intraprese, di accesso alle risorse e di loro controllo, come per quanto concerne le opportunità di prendere decisioni. Il gender fa parte di un contesto socioculturale ampio. Altri importanti criteri per l’analisi socioculturale includono la classe, la razza, il livello di povertà, il gruppo etnico e l’età». United Nations Entity for Gender Equality and the Empo-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
Prendere consapevolezza delle istanze che sono sottese alle teorie
del gender consente di rendersi conto della vera portata di questo cambiamento che ha già iniziato a produrre effetti sul piano giuridico, sociale e politico, è diffusamente presente nelle istituzioni educative, culturali, comunicative e politiche e penetra nella mentalità comune,8 determinando, di fatto, lo stravolgimento del proprium dell’umano e delle sue relazioni fondamentali e costitutive e la deriva antropologica ed
etica della quale si è, a volte, disarmati, testimoni.9 Ciò spiega perché
werment of Women, Concepts and definitions, in http://www.un.org/womenwatch/osagi/
conceptsandefinitions.htm. «Il sesso segna la distinzione tra donne e uomini come risultato delle loro differenze biologiche, fisiche e genetiche. I ruoli di genere sono stabiliti per
convenzione e da altre forze sociali, economiche, politiche culturali». One World Action
Glossary, in http://owa.netxtra.net/indepth/project.jsp?project=206. Per il Consiglio
d’Europa, che ha approvato la Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, «per genere si deve intendere i ruoli, i comportamenti, le attività e gli attributi socialmente costruiti che una data società considera appropriati per le donne e per gli uomini». The Council of Europe, Convention on Preventing and Combating Violence against Women and Domestic Violence, in http://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/convention-violence/brochures/Istan-bulConventionFGM%20Guide%20EN.pdf.
8 «Questo lo scenario che sta sullo sfondo delle strategie culturali dominanti in questi ultimi anni intorno [...] al tema delle gender theories. Un tempo considerato il terreno
di coltura del femminismo, si è da qualche tempo orientato politicamente a trasformare
la cultura e i comportamenti sessuali, espressi in numerosi documenti dell’ONU e dell’UE, dove si punta non più a promuovere la ‘naturale’ parità uomo/donna (sorretta dalla convinzione dell’uguaglianza/differenza dei due sessi), ma ad inserire e promuovere
modelli culturali, in cui presentare il concetto di identicità dei gusti e delle inclinazioni tra
maschi e femmine, posto al servizio di una ridefinizione ‘neutra’ (non sessualmente differenziata) della natura umana». Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche
ed etiche sulla differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di),
Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 40.
9 «Anche in questo caso è la cultura che assorbe la natura tramite un’operazione egemonica e culturale che auspica il pansessualismo senza ostacoli e la sostituzione dell’eterosessualità in forme autonome e libere di uguaglianza indifferenziata – etero o omo che sia
–. Queste teorizzazioni sono anche alimentate dagli scenari aperti dalla scienza, relativi ai
possibili interventi manipolativi sul corpo: si pensi all’intercambiabilità fisica tra uomo e
donna (l’utero della donna considerato tecnicamente equivalente all’addome dell’uomo,
capace di ospitare un utero artificiale). Non sono ipotesi immaginarie, ma segnali inquietanti che tendono a vanificare la differenza tra i sessi nell’esaltazione dell’autonomia del
soggetto capace di scegliere di volta in volta indifferentemente, guidato solo dalle logiche
individuali del desiderio, la propria identità sessuale, nell’attesa del corpo androgino asessuato, simbolo dell’onnipotenza della cultura di fronte all’ordine debole e minaccioso del-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
non è più procrastinabile la fatica concettuale della comprensione del
dibattito in corso, per comprendere, ricostruendone lo svolgersi delle
tematiche, le linee portanti e discuterle con lo scopo di risignificare il
senso dell’umano nei suoi costituenti antropologici fondamentali avendo presente che la costellazione delle teorie del gender è strutturalmente interdisciplinare.10
la natura». Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 41. «Alcuni segnali importanti di questo scenario post-antropologico sembrano annunciarsi in certi modelli culturali sotto gli occhi di tutti: basti pensare al desiderio di un innaturale androginismo, diffuso dai mezzi di
comunicazione mass-mediale, evocatori di bellezze filiformi ottenute spesso da pratiche
anoressiche o, in forma apparentemente più debole, dal rifiuto – sempre più esteso – delle proprie fattezze naturali attraverso la trasformazione di parti del proprio corpo tramite
l’ossessione della chirurgia estetica, dei centri di benessere, delle palestre iperattrezzate, che
non si estende soltanto al desiderio femminile di piacere, ma riguarda sempre più anche
l’universo maschile». Ibidem, p. 42. Cfr. Marina Terragni, La scomparsa delle donne. Maschile, femminile e altre cose del genere, Mondadori, Milano 2007.
10 Il carattere interdisciplinare delle teorie del gender rimanda «all’ambito scientifico
della genetica, biologia, endocrinologia, anatomia, fisiologia, neurologia e all’ambito delle scienze umane della storia, sociologia, antropologia culturale, psicologia, psicosessuologia, psicanalisi, ma anche della linguistica, pedagogia, letteratura, comunicazione, sino
a comprendere l’ambito pratico dell’economia, politica, diritto». Laura Palazzani,
Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, pp. 8-9. Laura Palazzani, fa notare che «nel caso del gender siamo di fronte ad un passaggio diretto ‘dalla’ filosofia ‘al’ diritto, senza alcuna (o comunque scarsa) mediazione sociale e culturale: nell’ambito giuridico è evidente l’introduzione del termine senza spiegazioni. Per capire la spiegazione bisogna analizzare il dibattito filosofico, non peraltro sempre chiaro. Nessuno ha avvertito o voluto spiegare il perché di questa modificazione linguistica e ciò che essa comporta». Ibidem, p. 9.
11 «Quando incontriamo il gender nelle diverse circostanze delle nostre vite personali e sociali, come genitori ed educatori, politici, dirigenti, imprenditori, giuristi, agenti di
sviluppo o ecclesiastici, qualunque siano le nostre responsabilità siamo tenuti a esaminare la strada sulla quale esso ci conduce. [...]. Restare al di fuori del quadro ideologico del
gender è la prima regola che vogliamo applicare nel nostro processo di discernimento. [...].
Non è strategicamente saggio, né pragmaticamente utile, né giustificabile da un punto di
vista morale e personale entrare nel quadro ideologico del gender; anche con l’intenzione
di proporre un’interpretazione alternativa o di ottenere finanziamenti pubblici per fini lodevoli. Bisogna restarne al di fuori, ragionare e operare indipendentemente dal suo linguaggio, dalle sue norme, dai suoi presupposti e concetti, dalla sua etica e dai suoi meccanismi operativi nella misura in cui ci introducono al quadro ideologico». Marguerite A.
Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, p. 130. Poiché, attualmente, è impos-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
Pertanto, dato che a causa della notevole proliferazione della letteratura sul gender, estremamente diversificata e intellettualmente accorta, per cui non sempre facilmente dominabile e analizzabile analiticamente, a volte, anche se spinti da buone intenzioni, i confronti e i dibattiti si lasciano avvolgere da una spirale intellettualistica e priva di
finalità pratica, generando confusione e ignoranza dei reali effetti delle teorie gender, la necessità di un discernimento della questione impone un lavoro di analisi e di riflessione rigoroso per comprendere adeguatamente le sfide che si presentano nella loro complessità in quanto riguardano gli ambiti socio-economico, politico, giuridico, culturale, antropologico, etico e spirituale.11
1. Considerazioni preliminari e istruzioni per l’uso del termine gender
La complessità del fenomeno del gender impone alla riflessione e
alla ricerca diverse e particolareggiate considerazioni preliminari all’analisi della sua storia e delle sue implicazioni e alcuni accorgimenti
e istruzioni per l’uso stesso del termine non solo nel linguaggio scientifico, ma anche in quello ordinario, per evitare che le diverse posizioni in campo sovradeterminino una delle dimensioni costitutive dell’umano a scapito dell’unità articolata del suo essere corporeo, psichico e spirituale.12
sibile evitare il quadro ideologico del gender, Marguerite A. Peeters è convinta che «sia
giunta l’ora di distogliere l’attenzione dalla tematica del gender, divenuta oggi quasi ossessiva, e di guardare in maniera decisa in un’altra direzione, quella dei beni che contribuisce a toglierci». Ibidem, pp. 131-132.
12 «Chi accentua la differenza biologica tra maschi e femmine si espone così al rischio
di dividere il mondo in codici binari senza tener conto delle differenze individuali (nel
senso che un corpo, da solo, farebbe la differenza tra maschio e femmina); chi, del resto,
assolutizza e frammenta all’infinito le differenze culturali all’interno dello stesso genere
rende in-differenti i differenti (ponendo tutte le differenze sullo stesso piano come ugualmente possibili). Dal punto di vista della pratica politica, poi, la discussione è sovente condotta a un livello puramente emozionale: la particolare natura della questione, che intercetta la parte più intima e vulnerabile della nostra identità e relazionalità, fa scatenare spesso reazioni violente anziché fornire ragioni consistenti». Susy Zanardo, Gender e differen-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
Un primo elemento che caratterizza la complessità del fenomeno
del gender e della sua corretta comprensione è dato dall’emergere dei
problemi linguistici legati alla traduzione stessa del termine e delle numerose espressioni che da esso derivano, perché, essendo un termine
di origine anglosassone, assume un carico semantico ambiguo in quanto, nelle traduzioni neolatine, tra le quali l’italiano, può essere usato sia
per indicare gli individui appartenenti alla specie umana, maschi e femmine, che hanno caratteristiche comuni, diverse dalle specie animali e
vegetali, indicando così la categoria concettuale che si riferisce a cose
e persone che hanno in comune proprietà essenziali e differiscono per
proprietà inessenziali, sia per indicare la distinzione tra maschile e femminile, sia per rendere esplicita la categoria grammaticale che distingue tra maschile e femminile e, in altre lingue, anche neutro.13 A tal
za sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, pp. 380-381.
«Il fatto che la parola “genere” sia già entrata nel diritto positivo e abbia sostituito e stia
sostituendo la parola “sesso” non è un fatto di poca importanza: non è solo la scelta di un
termine che suona più delicato (dato il significato proco gradevole o poco elegante di “sesso” che richiama al rapporto sessuale), ma è una scelta teorica e filosofica (ma forse anche ideologica) ben precisa nella direzione della negazione della naturale differenza uomo/donna come fondamento antropologico dell’identità sessuale e della famiglia». Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel diritto, San
Paolo, Cinisello Balsamo 2008, p. 9.
13 Secondo Raewyn Connell, «la lingua è un aspetto importante del genere, ma non
offre un quadro concettuale coerente per comprenderlo appieno. D’altra parte, il linguaggio genera concetti in modi diversi: per esempio, il “terrore” è femminile in francese (la
terreur), maschile in tedesco (der Schrecken), e neutro in inglese. Lingue diverse fanno distinzioni diverse: a differenza dell’italiano, in cui gli aggettivi sono declinati al maschile o
al femminile, l’inglese è una lingua relativamente poco connotata rispetto al genere, e tra
le poche distinzioni che presenta su questo fronte ci sono i pronomi personali he, she e it.
Eppure, l’inglese distingue tra sex (sesso) e gender (genere), mentre la lingua tedesca usa
un termine solo per entrambi (Geschlecht). La lingua giapponese, poi, non ha una parola specificamente analoga, così un testo giapponese sul genere deve usare il termine inglese gender». Raewyn Connell, Questioni di genere, Il Mulino, Bologna 2006, p. 37. Raewyn
Connell è transessuale di nazionalità australiana, alla cui nascita era stato dato il nome di
Robert Willam Connell, e che ha completato la sua transizione in età abbastanza adulta.
Quasi tutto il suo precedente lavoro è stato pubblicato con il nome di genere neutro RW
Connell, fino alla seconda edizione di Masculinities, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 2005 (prima edizione del 1995). Poche pubblicazioni sono sotto il nome Bob o Robert. Dal 2006 tutto il suo lavoro è apparso sotto il nome Raewyn Connell.
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proposito, sulla scorta di quanto scrive Laura Palazzani, è possibile
specificare che mentre la parola genere può essere usata a livello grammaticale, indicando la distinzione tra maschile e femminile, e a livello
concettuale è una categoria che raggruppa cose e persone, con caratteristiche rilevanti simili e irrilevanti dissimili, nel dibattito attuale «come traduzione dall’inglese ‘gender’, si riferisce, in modo specifico, ad
una dimensione di significato che si contrappone a ‘sex’. Con ‘sex’ si
indica la condizione biologica o fisica dell’essere uomo/donna, maschio/femmina (‘come si nasce’): ‘sex’ è costituito da un insieme di
componenti, distinguibili in componente genetica, gonadica, ormonale, fenotipica e morfologica (genitali interni ed esterni, caratteri sessuali primari e secondari). Con ‘gender’ si indica la condizione meta-biologica dell’essere uomo/donna, la mascolinità/femminilità (‘come si diviene’). Tale categoria è stata teorizzata in modi diversi: dapprima come rappresentazione psicologica, quale introiezione attraverso l’educazione; successivamente come costruzione storico-sociale e antropologico-culturale, quale assunzione di compiti, ruoli, funzioni mediante la socializzazione; infine come creazione/invenzione individuale, ossia libera espressione di istinti, pulsioni, volontà. Tali teorizzazioni delineano un percorso che si allontana sempre più dal determinismo biologico e dall’essenzialismo, che postulano la antecedenza e priorità del
‘sex’ su ‘gender’, ritenendo che il ‘sex’ sia determinato alla nascita in
modo statico e fisso, che tra ‘sex’ e ‘gender’ sussista un rapporto di
causazione deterministica biunivoca, consentendo la deduzione del
‘gender’ dal ‘sex’ e delineando la corrispondenza sex/gender».14 Secondo questa prospettiva, nella discussione attuale, «“genere” è usato
per oltrepassare la “differenza sessuale” nella “in-differenza sessuale”
(o non-differenza sessuale). Precisamente, la categoria “genere” è usata per mostrare che la differenza sessuale (della natura) non è rilevante: il fatto che nasciamo (meglio sarebbe dire, che siamo concepiti) come “maschi” o come “femmine” poco importa. Ciò che conta è ciò
che “diveniamo”: il divenire dipende dalla storia, dalla società, dalla
14 Laura Palazzani, Gender: presupposti filosofici e implicazioni giuridiche, in «Cuadernos Kóre. Revista de historia y pensamiento de género», 1 ( 2011) 4, pp. 32-33.
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cultura, dalla nostra attitudine psicologica e interiore. Possiamo “essere” donne e divenire “donne” o “essere” uomini e divenire ”uomini“:
in questa direzione i ruoli prodotti dalla cultura e dalla società e le scelte psichiche dell’individuo coinciderebero con la natura. Ma è anche
possibile “essere” donne e “divenire” uomini o viceversa “essere” uomini e “divenire” donne, in un duplice senso: nel senso dell’attuazione di comportamenti e della identificazione di ruoli sociali (donne che
si comportano in modo maschile o assumono ruoli maschili e uomini
che si comportano in modo femminile o assumono ruoli femminili: la
cosiddetta mascolinizzazione delle donne o femminilizzazione degli
uomini) nel senso della trasformazione del corpo (donne che non si riconoscono in un corpo maschile che vogliono cambiare la loro identià sessuale e viceversa)».15 Inoltre, «a partire dalla considerazione della irrilevanza della natura per la identità sessuale (prodotto della costruzione sociale-culturale o della volontà individuale) le teoria del gender ritengono che la differenza sessuale (naturale), ossia la differenza
uomo/donna, non sia l’unica modalità relazione nell’ambito della costruzione di una famiglia: secondo tale prospettiva, si può scegliere indifferendemente se legarsi con individuo del sesso opposto o dello stesso sesso, con la conseguente normalizzazione dell’omosessualità ed
equiparazione delle unioni eterosessuali e unioni omosessuali, famiglie
costituite dall’unione di uomo e donna a famiglie costituite da unioni
di due donne o di due uomini».16
La diversità delle traduzioni, oltre ad impedire un’identificazione
chiara ed immediata del contenuto semantico del termine gender, mette in evidenza che tale termine appartiene a un insieme di concetti il
15 Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel
diritto, p. 7. «Il genere è una costruzione culturale; di conseguenza non è né il risultato
causale del sesso, né tanto apparentemente fisso come il sesso. [...]. Teorizzando che il genere è una costruzione radicalmente indipendente dal sesso, il genere stesso viene ad essere un artificio libero da vincoli; di conseguenza, uomo e maschile potranno essere riferiti sia a un corpo femminile, sia a uno maschile; donna e femminile, sia a un corpo maschile, sia a uno femminile». Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio,
Sansoni, Firenze 2004, p. 6.
16 Laura, Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel
diritto, pp. 7-8.
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quale, individuando la “galassia” delle espressioni molteplici delle relazioni umane, designa non una realtà identificabile, ma una costruzione intellettuale senza ancoraggio nella realtà concreta dell’essere
umano nelle sue costitutive strutture antropologiche.17 Non è un caso, infatti, che termini come “preferenza”, “autodeterminazione”, “diritto di scelta” dalle teorie del gender sono i più utilizzati, in una prospettiva che, con lo scopo di annullare i legami, ritenuti opprimenti,
tende a porre in primo piano le libertà individuali, attraverso la proposta di una liquefazione delle differenze tra i generi, in vista di spazi
più ampi per il desiderio. Dato che è una costruzione sociale, il genere può anche essere decostruito e ricostruito secondo le proprie inclinazioni e orientamenti. Questo perché la “fluidità” del genere, non potendo avere limiti, indica l’autodeterminazione individuale, a prescindere sia dalla natura, sia, anche, dalla società, della propria sessualità,
che, di fatto, diviene un “orientamento” e una scelta soggettiva, dunque, non sociale. Addirittura, anche l’esistenza di anomalie genitali costituisce una ragione per espandere anche quantitativamente il numero dei sessi, non più solo maschili o femminili, e, determinando con17 «Il gender non è un concetto isolato. Si declina in molteplici espressioni che, se in
inglese impiegano la parola gender, sono spesso tradotte con derivati dalla parola “sesso”:
parità dei sessi, discriminazione sessuale, identità sessuale, differenze sessuali, stereotipi sessisti, norme sessuali, equilibrio tra i sessi, parità o disparità tra i sessi, conformità sessuale,
contratto tra i sessi, ruolo in base al sesso, diversità sessuale, statistiche articolate in base al
sesso, comportamento sessuale, violenza basata sul sesso, neutralità sessuale, ma anche prospettive di genere, transgenere, sensibilità al genere, formazione al genere, genere interno ed
esterno, integrazione della prospettiva di genere (gender mainstreaming), analisi del genere,
specialista di genere, ricerca in materia di genere, e così via. [...]. Inoltre, il linguaggio proprio della pianificazione familiare, i programmi di educazione sessuale [...] delle conferenze dell’Onu [...] è direttamente legato al gender. Citiamo come esempi: famiglie di tutte le tipologie, salute sessuale e riproduttiva, diritti sessuali, diversità sessuale, costruzione
sociale, parità, omofobia, transfobia, genitorialità, asessuale, metrosessuale, androgino, orientamento sessuale, eteronormatività, decostruzione degli stereotipi, partenariato di persone
dello stesso sesso, contratto di convivenza, coming out, emancipazione della donna, teoria
queer, LGBT (Lesbian Gay Bisexual Transgender), matrimonio paritario, ordine patriarcale, bifobia... Affrontare la problematica di genere, considerando la molteplicità dei concetti ad essa legati, permette di cogliere meglio l’ampiezza e l’influenza culturali forti della rivoluzione di cui il gender è il segnale». Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, pp. 23-24.
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cretamente il dissolvimento della divisione sessuale tradizionale, libera l’individuo da tutti i condizionamenti e i legami antropologici ed
etici fondamentali.
Ciò spiega perché il termine gender è onnipresente nei dibattiti
scientifici, nell’opinione pubblica e nelle agende internazionali, è difeso dai movimenti femministi con la motivazione di rivendicare il ruolo delle donne e di realizzare politiche legislative e sociali tali da permettere il superamento dell’ingiustizia e della disuguaglianza giuridica alla quale la donna è stata storicamente sempre soggetta. Ma ciò implica, anche, l’impegno di un controllo critico dell’uso del termine per
evitare fraintendimenti generati dai problemi legati alle difficoltà riscontrate nella traduzione della parola, dall’originale anglosassone in
altre lingue, all’appartenenza del termine a un complesso insieme di
concetti che con esso sono più o meno direttamente affini, alla grande varietà del suo impiego associata a progetti che sembrano esteriormente consensuali in modo maggioritario, ma che in realtà sono espressione di interessi minoritari,18 al carattere post-moderno e decostruttivo del suo significato,19 che lascia «insoluta la questione se e in che
misura maschile e femminile rappresentino due poli non gerarchizzabili di un’unica sostanza metafisica costituita dalla dimensione ontolo18 Cfr. Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, p. 21.
19 «Un fenomeno epocale come la messa in questione della differenza di genere non
può essere inteso senza la sua cornice storico-culturale. Che è la post-modernità. La quale può essere considerata, dal punto di vista ontoetico, essenzialmente come un rifiuto dei
processi fondativi, processi dove soltanto si reperisce l’unità di senso degli accadimenti.
Si rinuncia all’impulso unificatore della riflessione, perché unificare vien fatto equivalere
a violentare l’oggetto dell’unificazione, cioè il molteplice o le differenze. La questione della post-modernità diventa, così, in modo evidente una questione non solo epistemologica, ma anche etica (i problemi suscitati dai comportamenti violenti sono infatti problemi
di etica). Ma questo all’interno della convinzione dell’impossibilità di reperire delle costanti di senso, che in ultima istanza rimandano, appunto, al fondamento. Il ‘relativismo’
ontoetico diventa così una cifra universale, nonostante sia un semplice presupposto prodotto dalla sfiducia previa nella forza del logos umano». Carmelo Vigna, Sul maschio e sulla femmina umani. Contro la ‘liquefazione del gender’: alcune costanti, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 61.
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gica dell’essere umano».20 Pertanto, per cercare di capire ciò che nella struttura antropologica dell’umano «sta fermo e ciò che varia, ma
senza dimenticare che si dinanzi a una realtà estremamente complessa sia dal punto di vista storico-materiale, sia dal punto di vista storico-culturale»,21 il ricorso alla genesi e all’evoluzione del termine gender si rivela quanto mai opportuno per cogliere adeguatamente la consistenza delle sfide che la liquefazione del gender pone alla riflessione
antropologica ed etica.
2. Emergenza e sviluppo della nozione gender
Lo sviluppo della nozione gender è il risultato di un lungo processo culturale che ha le sue radici nella nascita del pensiero femminista
e del suo evolversi il quale, teorizzando la separazione della sessualità
dalla fecondità e la gestione individuale del desiderio e del piacere, e
criticando la sua funzione biologica, ha proposto di considerare la sessualità come configurazione personale realizzata secondo la propria
volontà e completamente svincolata da qualsiasi limite. Inoltre, la rivendicazione dell’applicazione di un paradigma egualitario in ogni settore sociale, che richiede l’instaurarsi di una società nella quale tutti gli
individui siano uguali, senza differenze tra i sessi, e nella quale ognuno, indipendentemente dalle caratteristiche biologiche con le quali nasce, può scegliere la sua propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale, l’affermarsi delle posizioni “differenzialiste”, che pretendono per il femminile caratteristiche etico-morali diverse, se non
superiori a quelle maschili, in modo da contrastare l’egemonia del sesso forte, l’imporsi della posizione “costruttivista”, la quale ritiene che
il femminile non corrisponde a qualità ontologiche, bensì a logiche sto20
Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere:
etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 33.
21 Carmelo Vigna, Sul maschio e sulla femmina umani. Contro la ‘liquefazione del gender’: alcune costanti, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 62.
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rico-sociali tanto di subordinazione, quanto di produzione dell’identità sessuale e di genere,22 emancipano la sessualità dai ruoli in cui la
società patriarcale l’aveva collocata e la riscattano dagli ostacoli che le
donne incontrano per il loro sviluppo e per la loro felicità personale.23
In modo particolare, tuttavia, l’uso dell’espressione gender nasce da
alcune ricerche empiriche di psicologia sessuale. Specificamente, John
Money, della John Hopkins University di Baltimora, negli anni ’50 ha
introdotto il termine per indicare l’identità di bambini che, non avendo una sessualità determinata ed esplicita, a causa di genitali ambigui
dalla nascita o a causa di interventi sbagliati con conseguente compromissione della integrità sessuale, potrebbero acquisire una identità non
sulla base della natura, o conformazione sessuale, ma sulla base della
socializzazione.24 Davanti a dei casi clinici di ermafroditismo, cioè in22 Le gender theories «ritengono che “siamo” uomini o donne (maschi o femmine) in
base a come nasciamo (nella dimensione biologica) ma “diveniamo” uomini o donne (o
meglio, acquisiamo una identità maschile o femminile) in base alla nostra percezione psichica o al nostro vissuto interiore (ossia al nostro personale modo di sentire e vivere l’identità sessuale sul piano psicologico), in base alla socializzazione (ossia alla introiezione dei
comportamenti, funzioni e ruoli che la società e la cultura cui apparteniamo codifica esteriormente come maschili o femminili e che noi apprendiamo attraverso l’educazione e
l’osservazione dei comportamenti diffusi e ripetuti nell’ambiente in cui viviamo). Va pertanto distanza la differenza biologica uomo/donna dall’identità psico-sociale di genere maschile e femminile». Laura, Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel diritto, pp. 30-31.
23 Alla fine degli anni Settanta, Adrienne Rich, elaborando il concetto di politics of location (la politica del situarsi), ha riconosciuto l’importanza della «situatività» di ciascuna
donna nel proprio vissuto, ossia in un’esperienza di vita che è, prima di tutto, sessuata al
femminile, ma anche, e necessariamente, diversa per ognuno, dato che ciascuna è unica.
Poiché la somiglianza delle donne come sesso è intessuta di differenze, le donne affermano di se stesse: «Siamo le stesse nella nostra corporalità femminile, ma il corpo non è pura natura (sex) ma specialmente cultura, cioè punto di intersezione tra il biologico, il sociale e il simbolico (gender)». Rosi Braidotti, Il paradosso del soggetto ‘femminile e femminista’. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender theories, in La differenza non sia
un fiore di serra, a cura del Filo di Arianna, Franco Angeli, Milano 1991, p. 23. Cfr. Adrienne Rich, Notes toward a Politics of Location, in Myriam Diaz-Diocaretz – Iris M. Zavala
(eds.), Woman, Feminist Identity, and Society in the 1980’s, John Benjamins Publishing
Co., Amsterdam-Philadelphia 1985, pp. 7-22.
24 John Money – Patricia Tucker, Essere uomo essere donna: uno studio sull’identità
di genere, Feltrinelli, Milano 1986; John Money, Gendermaps: social constructionism, fe-
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dividui che possidono tratti biologici dei due sessi, chiamati da Money “intersessuali”,25 utilizza il termine gender in riferimento ad
un’identità sessuale che non coincide con l’identità biologica.26 Stabilendo una distinzione tra “sesso”, compreso come nozione biologica,
e “genere”, inteso come ruolo sociale, identificante esperienze di mascolinità e femminilità fatte dagli individui, Money introduce l’uso delminism, and sexosophical history, Continuum, New York 2002; John Money, Principles of
developmental psychology, Continuum, New York 1997.
25 Money definisce l’ermafrodita come «una persona nata con anatomia sessuale non
differenziata in maniera corretta». John Money – Anke A. Ehrhardt, Uomo, donna, ragazzo, ragazza, Feltrinelli, Milano 1976, p. 20. Tale indifferenziazione è dovuta ad anomalie
del dimorfismo cromosomico, ormonale e anatomico genitale. Per Money ermafrodita è
sinonimo di intersessuale, che è un termine riferito a casi con eziologia apparentemente
genetica, ma non adeguatamente conosciuta. Cfr. Ivi.
26 «Come va ricordato, un bambino, di nome Bruce, gemello di un altro maschio e
affetto da una patologia all’organo genitale, fu affidato all’équipe medica della John Hopkins University di Baltimora, dove il primario John Money gestisce una Unità di ricerca
psicormonale, esperta in chirurgia transessuale. Bruce venne operato e ‘trasformato’ chirurgicamente in una bambina, chiamata Brenda ed educata da genitori a sentirsi femmina, grazie ad una dose di psicoterapia e di ormoni. Guidata per un decennio a vivere questa differenza forzata, Brenda continuava a giocare come un maschio, rifiutare comportamenti e ruoli femminili, implementando la letteratura scientifica e parte del femminismo
radicale, finalmente certo che, alla fine, la scienza avrebbe detto una parola decisiva in ordine alla pregiudiziale naturalistica della marcatura sessuale biologica. Brenda adolescente sviluppò al contrario spalle larghe e una tipica corporatura maschile; richiamato spesso a Baltimora per completare il suo iter di femminilizzazione, si rifiutò tentando per tre
volte il suicidio. Lasciato libero di ricostruirsi la sua vita, Brice/Brenda cambiò nome –
David – sottoponendosi a quattro interventi chirurgici ricostruttivi, poi sposandosi e prendendosi cura di tre bambini adottati. La storia di questa vicenda divenne un best-seller
ed altre venticinque tentativi di ‘riassegnazione’ dell’identità sessuale fallirono. L’équipe
del dottor Money accettò di buon grado il fallimento del suo progetto scientifico, dando
alle stampe uno studio dove, accanto ai dettagli clinici, veniva consigliato di non insistere su esperimenti del genere e anche di fronte a casi di malformazioni all’organo sessuale, conveniva aiutare il bambino ad accettare questa evenienza, pena la perdita del benessere personale. Dopo qualche anno, nel 2004, Bruce/Brenda/David si tolse la vita». Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza tra i due
sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 44-45. Cfr. John Colapinto, As Nature Made Him.
The Boy Who Was Raised a Girl, Perennial, New York 2000; John Money, Babies Born
with Penis Developmental Disorder Happer When Raise Male, John Hopkins University,
Baltimora 2002.
24
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
l’espressione gender, come concetto ampio che include sex , in senso
fisico, ma che lo oltrepassa, in una prospettiva meta-biologica, sulla
base della convinzione che il gender dipende dal linguaggio e dall’atto dell’individuo e non dal suo essere, dalla realtà che lui, o lei, è.27 A
tal proposito egli distingue tra gender role (ruolo di genere), che è «tutto ciò che una persona fa o dice per indicare agli altri e a se stesso il
grado della sua mascolinità, femminilità, o ambivalenza»,28 e «per espri27 «Il ruolo e l’identità gender si formano secondo l’autore, parallelamente all’acqui-
sizione del linguaggio. Così come l’apprendimento del linguaggio dipende dalla predisposizione alla comunicazione e dall’influsso dell’ambiente esterno, la differenziazione/identificazione sessuale rimanda a fatti interni e a segnali esterni. La crescita è descritta in cinque fasi: dalla fase prenatale all’infanzia, dalla prima alla tarda infanzia, dalla pubertà all’adolescenza fino all’età adulta. Money identifica tra i 18 mesi e i 3/4 anni (seppur nella variabilità individuale) il “momento critico” dell’identificazione gender: prima il
“cancello” è aperto, poi si chiude progressivamente Eventuali modificazioni successive
compromettono l’equilibrio psichico individuale». Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 16. «Il processo di formazione dell’identità di genere, secondo
Money, avviene attraverso il superamento di quattro “cancelli” dal concepimento all’apprendimento del linguaggio. Il primo cancello è quello relativo alla fecondazione, in cui
a seconda che lo spermatozoo sia portatore del gonosoma X o Y si potrà avere una femmina o un maschio cromosomico. Verso la fine della sesta settimana si apre il secondo
cancello, nel caso in cui il feto è portatore del gonosoma Y, deve essere inviato alle gonadi il messaggio di trasformarsi in testicoli altrimenti il processo continua in senso femminile. La formazione dei testicoli avvia la produzione di ormoni androgeni. Nel caso in cui
il feto sia cromosomicamente femmina, si apre il terzo cancello, in questa fase è indispensabile l’assoluta assenza di ormoni androgeni. Alla nascita i tre cancelli biologici si chiudono definitivamente e si apre l’ultimo cancello, determinante per l’identità di genere,
quello psicologico. Questo cancello si chiude definitivamente intorno ai tre anni con l’apprendimento del linguaggio: in tal modo il bambino avrà definitivamente strutturato la
sua identità di genere definendosi come maschio o come femmina. Per l’individuo è necessario crearsi dei modelli interni dell’appartenenza ad un sesso piuttosto che all’altro.
Questi modelli sono appresi fin dalla nascita attraverso l’osservazione del comportamento altrui, l’educazione ricevuta e l’esperienza. I bambini, sia maschi che femmine, nascono con proprie caratteristiche di personalità che vengono poi incanalate verso la femminilità o la mascolinità. Ma non è la sola natura, tramite la programmazione genetica, che
definisce nella totalità cosa sia una personalità maschile o femminile». Chiara Simonelli –
Roberta Rossi – Irene Petruccelli – Francesca Tripodi, Identità di genere e sviluppo sessuo-affettivo: fattori di rischio e percorsi atipici nell’infanzia e nella preadolescenza, in «Quale psicologia», 28 (2006), pp. 158-159.
28 John Money – Anke A. Ehrhardt, Uomo, donna, ragazzo, ragazza, p. 19.
25
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
mere se stesso/se stessa, avendo rispettivamente lo stato di ragazzo o
uomo, ragazza o donna»,29 per cui rappresenta tutto quello che una
persona fa o dice per indicare agli altri e a se stesso il grado della propria mascolinità, femminilità o ambivalenza, e gender identity (identità di genere), che è il «senso di se stesso, l’unità e la persistenza della
propria individualità maschile o femminile o ambivalente, di grado minore o maggiore, particolarmente come esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio comportamento»,30 sottolineando, così, l’importanza del fattore culturale nella determinazione di sé come
maschio o femmina. Pertanto, teorizzando l’esistenza nel corpo di «predisposizioni interne» che, mediante «stimoli esterni», determinati dall’osservazione della realtà e da esperienze, formano nel cervello degli
“schemi mentali” interni su cosa significa essere maschio o femmina,
per cui tali schemi configurano “modelli di comportamento” che possono essere confermati o eliminati in funzione della “approvazione/disapprovazione” dalla società, Money, nel far rilevare che le predisposizioni interne vengono plasmate mediante l’apprendimento,
l’educazione e la socializzazione, mentre i fattori esterni esercitano una
“spinta” o “pressione”, costituendo una “forza” che imprime una forma al gender, afferma che “l’identità di genere è l’esperienza personale del ruolo di genere, e il ruolo legato al genere è l’espressione esterna dell’identità di genere”.31 In questo modo “l’essere uomo (manhood) e l’essere donna (womanhood) non sono due strade, ma una strada con tante biforcazioni: ad ogni biforcazione si può scegliere la direzione maschile o femminile del divenire uomo o donna in base a ciò
che è prodotto dall’interazione”32 sociale.
Tale convinzione trova convergenza, in ambito psicanalitico, nell’opera di Robert Stoller che ha studiato la transessualità, partendo proprio dalla distinzione del biologico dallo psichico. Nel ritenere che la
29 John Money, Gender Role, Gender Identity, Core Gender Identity: Usage and Definition of Terms, in «Journal of the Academy of Psychoanalysis» 1 (1973), 4, p. 397.
30 John Money – Anke A. Ehrhardt, Uomo, donna, ragazzo, ragazza, p. 18.
31 Ibidem, p. 19.
32 Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 16.
26
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
sessualità sia biologicamente determinata, in quanto si nasce in corpi
maschili e femminili, mentre la dimensione psichica ha diversi gradi di
intensità, dovuta a fattori socio-culturali, ambientali ed educativi, Stoller teorizza l’identità di genere, sulla base della convinzione che il bambino o la bambina sono consapevoli della loro mascolinità/femminilità
già entro il primo anno e mezzo di vita. Indipendentemente dal DNA
o dall’anatomia dei genitali, secondo Stoller, sono fondamentali le etichettature di genere da parte dei genitori, l’identità di genere dei genitori medesimi, le identificazioni del bambino o della bambina con i
genitori. Stoller, nella sua opera pubblicata nel 1968,33 tenta una ricostruzione dei possibili aspetti eziologici e psicodinamici del fenomeno
transessuale e delinea le sue teorie concernenti la sessualità e, in particolare, l’identità di genere sessuale e il suo sviluppo. Anch’egli introduce la distinzione tra sesso, che va riferito alla dimensione fisica, anatomica, fisiologica e biologica, e genere, che va correlato alle componenti psicologico-culturali maschili e femminili, così che sex riguarda
ciò che uomini e donne sono, mentre gender riguarda ciò che essi apprendono mediante un processo che inizia alla nascita, si sviluppa gradualmente nella famiglia e si manifesta nell’infanzia fino alla maturazione adulta, e si riferisce propriamente alla manifestazione, conservazione e sviluppo della mascolinità e della femminilità come insieme di
sentimenti, pensieri, comportamenti.34 Da deriva che il ruolo di gene33 Cfr. Robert Stoller, Sex and Gender. On the Development of Masculinity and Feminility, The Hogarth Press, London 1968.
34 Cfr. Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 21. «Stoller ritiene che i termini sex e gender siano continui e inestricabilmente interconnessi: è questo
quanto intuisce il senso comune, che li considera praticamente sinonimi. Ma, a suo parere, non sono inevitabilmente e necessariamente collegati: non vi è una relazione biunivoca tra sex e gender, potendo anche essere separati e indipendenti. Di solito c’è una corrispondenza tra sex maschile e gender mascolino, così come tra sex femminile e gender femminino. Gender, indica, a suo parare, la “quantità di mascolinità o femminilità” che si trova in una persona; vi è una mescolanza di entrambi negli esseri umani. Normalmente il
ragazzo/l’uomo ha una “preponderanza” di mascolinità e la ragazza/donna di femminilità. Ma ci sono casi di “anormali relazioni interpersonali”: può esistere un maschio maschile e una femmina femminile, ma anche un maschio effemminato e una femmina mascolina». Ibidem, pp. 21-22. Il termine gender «dopo il 1968, da quando cioè Robert Stoller lo
ha adattato alla psicoanalisi in Sex and Gender, [...] ha conquistato abbastanza rapidamen-
27
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
re indica i comportamenti agiti all’interno della relazione con gli altri,
cioè l’identificazione del ruolo o della posizione nella società per quel
che riguarda il genere come identità, mentre l’identità di genere, implicando la consapevolezza conscia o inconscia di appartenere ad un
sesso o ad un altro, indica il riconoscimento e la consapevolezza da
parte del soggetto della propria appartenenza all’uno o all’altro sesso
e della presenza e mescolanza, all’interno di sé, di tratti più propriamente mascolini e tratti più propriamente femminili.35 Facendo dipendere la costituzione del «nucleo d’identità di genere» dall’anatomia e
dalla fisiologia degli organi genitali, dall’atteggiamento dei genitori, dei
fratelli e delle sorelle e dei coetanei verso il ruolo di genere del bambino, da una forza biologica che può modificare, in misura maggiore
o minore, l’azione dell’ambiente, Stoller considera il genere come il
grado di mascolinità e di femminilità, presente in ciascuno in un modo ogni volta particolare, in relazione al sesso biologico.36 Questa relazione, tuttavia, non è univoca, perché se la mascolinità “quadra bene” con l’essere maschio, così come la femminilità con l’essere femmina, il vissuto del genere varia da un soggetto all’altro. In tale contesto,
lo studio della transessualità funge da strumento euristico per mettere in discussione la norma che diventa così, in un certo senso, instabile.37 Lo sfondo teorico è rappresentato dal concetto freudiano di bisessualità fisica, ma che, negli studi di Stoller, a causa del genere, è rete la scienza della psicoanalisi». Reimut Reiche, Genere senza sesso. Società e mutamento
della psiche, Meltemi, Roma 2007, p. 132.
35 Stoller per identità intende l’«organizzazione di quelle componenti psichiche che
preservano la coscienza della propria esistenza [...] e del fine nel mondo». Robert Stoller,
Sex and Gender. On the Development of Masculinity and Feminility, p. 10.
36 Cfr. Robert Stoller, Sex and Gender. On the Development of Masculinity and Feminility, pp. 72-74.
37 «L’espressione identità di genere (gender identity) [...] è uno strumento di lavoro
(working term). Sappiamo che per quanto esso abbia a che vedere con un ambito di sentimenti, pensieri e di comportamento diverso da quello che possiamo definire come ambito dell’attività sessuale, le due espressioni sono contigue e inestricabilmente interrelate.
Con genere che è un’espressione difficile da definire e identità che rappresenta ancora una
sfida per i teorici, noi abbiamo bisogno di insistere con forza sulla sacralità (holiness) dell’espressione “identità di genere”». Robert Stoller, Sex and Gender. On the Development
of Masculinity and Feminility, p. VI.
28
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
sa problematica dala maniera in cui ciascuno si appropria, in misura
differente, di elementi della mascolinità e della femminilità. Egli ritiene che il nucleo dell’identità di genere si costruisca a partire da una
“forza” biologica, dall’assegnazione del sesso alla nascita e dalle relazioni con gli adulti più vicini, e, in particolare, con la madre.38 Da questo punto di vista, per Stoller, l’identità sessuale significa il sentimento psicologico, indipendente dal sesso, di essere un uomo o una donna, e il ruolo in base al sesso si riferisce a ciò che vengono chiamati
«stereotipi» culturali maschili e femminili, anche se egli postula l’esistenza di un impulso innato ed istintivo, inalterato e continuo verso la
femminilità o la mascolinità, una forza, che, essendo la «somma alge38 Stoller ritiene che il transessualismo consentirebbe, sia d’osservare la distanza che
passa tra il sesso ed il genere, sia di trovare un’argomentazione a sostegno dell’ipotesi di
una condizione originaria in entrambi i sessi, dal punto di vista psichico, di protofemminilità o femminilità primaria, che non è la bisessualità e che ricalcherebbe un analogo stato dello sviluppo embrionale. Con il termine di protofemminilità, l’Autore intende riferirsi a una fase estremamente precoce dello sviluppo psichico, aconflittuale, contrassegnata da un rapporto simbiotico tra madre e bambino, in cui agirebbero primitivi processi
identificativi, che Stoller ritiene simili all’imprinting ed al condizionamento operante. Nel
successivo emergere da questa fusione simbiotica con la madre, che permetterà la differenziazione del sé dal non-sé, lo sviluppo dell’identità di genere e soggettiva, la bambina
proseguirebbe nel suo sviluppo in maniera lineare, potendo mantenere l’identificazione
di genere con la madre; il bambino dovrebbe, invece, superare le prime identificazioni
femminili e dirigerle verso il padre. Così, la madre dovrebbe favorire e accompagnare il
bambino nella separazione e la figura paterna, che all’inizio dello sviluppo fa sentire i suoi
effetti mediante la madre, dovrà successivamente, funzionare come oggetto identificativo
per il bambino. Cfr. Roberto Vitelli, Presentazione, in Paolo Valerio – Mario Bottone –
Riccardo Galiani – Roberto Vitelli (a cura di), Il transessualismo. Saggi psicoanalitici, Franco Angeli, Milano 2001, p. 33. Il transessualismo è definito da Stoller «come la convinzione di una persona biologicamente normale di appartenere al sesso opposto: negli adulti tale credenza è accompagnata dalla richiesta di un trattamento chirurgico ed endocrinologico in grado di modificare la loro apparenza anatomica nel senso del sesso opposto». Robert Stoller, Sex and Gender. On the Development of Masculinity and Feminility,
p. 46. In altre parola, la condizione transessuale è caratterizzata da una discordanza tra i
dati anatomici e il vissuto del soggetto, insomma, tra sesso e genere. Infatti, per Stoller,
l’origine del transessualismo maschile risiederebbe in un mancato emergere da parte del
piccolo dall’originaria fase di fusione simbiotica con la madre, quindi nell’identificazione
aconflittuale con lei, che porterebbe a una cristallizzazione dell’originaria condizione protofemminile.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
brica delle attività di un numero di centri neuroanatomici e gerarchie
di funzioni neurofisiologiche»,39 nella normalità dei casi, opera in armonia con il mondo esterno e l’ambiente culturalmente definito.40
La differenza sex/sender è stata formalizzata nel pensiero delle donne dall’antropologa Gayle Rubin, la quale, nel 1975, ha distinto tra il
genere come categoria sociale, espressione della codificazione sociale
delle differenze sessuali, e il sesso biologico, collocato dalla parte della natura. Tale dualismo consente a lei e alle teoriche femministe, che
sono seguite, di pensare il sesso come una materia prima che viene forgiata socialmente, in tal senso, il genere è «una serie di modalità con
cui la materia prima biologica del sesso e della procreazione umana è
modellata da un intervento sociale umano».41
In diretto rapporto con queste indagini si sono sviluppati il cosiddetto femminismo di genere e le gender theories, le quali, sostenendo
che le differenze tra uomini e donne non hanno nulla a che vedere con
la biologia, ma sono costruite socialmente, che gli esseri umani possiedono un’unica motivazione o potere sociale, che la vita sociale può es39 Robert Stoller, Sex and Gender. On the Development of Masculinity and Feminility, p. 74.
40 Stoller «ritiene che tale tendenza biologica sia connessa al sesso genetico: la tendenza alla mascolinità nei maschi e alla femminilità nelle femmine è una forza silenziosa
ed effettiva a livello prenatale fino alla nascita. Le influenze biologiche ed ambientali lavorano generalmente in armonia. Quando ciò non avviene è il risultato di una “infelice
combinazione” tra una debole forza biologica verso il gender ed effetti nocivi dell’ambiente, come nell’ermafroditismo e nel transessualismo». Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 24.
41 «A set of arrangements by which the biological raw material of human sex and procreation is shaped by human, social intervention». Gayle Rubin, The Traffic in Women:
Notes on the ‘Political Economy’ of Sex, in Rayna R. Reiter (ed.), Toward an AnthropologY of Women, Monthly Rewiv Press, New York 1975, p. 165 (nostra traduzione). «Per
Rubin sia la nozione di corpo che quella di differenza sessuale sono considerate pericolose in quanto intrise di preconcetti patriarcali. La differenza è segno dell’inferiorità gerarchica del femminile sulla scala ontologica dell’essere e deve essere eliminata in quanto tale. L’obiettivo è quindi di de-naturalizzare le differenze che sono fonte d’ineguaglianza,
sottolineando il ruolo giocato dalla cultura nella creazione di questo stato di cose, affinché le donne abbiano accesso alla soggettività». Rosi Braidotti, Il paradosso del soggetto
“femminile e femminista”. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender theories, in La
differenza non sia un fiore di serra, p. 22.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
sere interpretata solo dalla maniera in cui si è realizzata, e che le relazioni umane sono state frutto della dominazione del genere maschile
su quello femminile,42 sollecitano la creazione di una società senza genere nella quale l’autonomia sessuale di ciascuno sia irrilevante rispetto alla determinazione della propria identità. Attraverso la promozione di approcci sociologici delle differenze di trattamento socioeconomico e politico tra l’uomo e la donna, gli studi di genere (Gender Women’s Studies),43 rivendicano la parità dei sessi, la giustizia sociale, le
condizioni grazie alle quali le donne possono esercitare una libertà di
scelta del loro ruolo sociale, che riguarda l’accesso alle scelte, all’educazione, alla sanità, all’occupazione, alle responsabilità sociali, alle risorse, ai servizi, all’informazione, allo status sociale, al potere.44 Per
realizzare una società egualitaria e senza distinzioni di sesso, per le gender theories «bisogna “decostruire” la società, principalmente il matrimonio e la famiglia, che sono quelle istituzioni nelle quale si vive la differenza sessuale in modo più chiaro e naturale. E perché la donna possa “liberarsi” completamente deve essere capace di controllare totalmente la sua fecondità, di qui l’importanza dei cosiddetti “diritti ses42 Cfr. Steven Pinker, Blank Slate. The Modern Denial of Human Nature, Viking, New
York 2002.
43 Cfr. Paola Di Cori – Donatella Barazzetti (a cura di), Gli studi delle donne in Italia, Carocci, Roma 2001; Laure Bereni – Sébastien Chauvin – Alexandre Jaunait – Anne
Revillard, Introduction aux Gender Studies: Manuel des études sur le genre, De Boeck, Bruxelles 2008; Joan Scott (a cura di), Women’s Studies on the Edge, Duke University Press,
Durham (NC) 2008.
44 Cfr. Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, p. 42. «Secondo la logica del femminismo di genere, questa parità di accesso passa attraverso la decostruzione degli “stereotipi” femminili o maschili, l’accettazione culturale della contraccezione e del diritto all’aborto, la lotta contro le discriminazioni sessiste, una ridistribuzione globale del potere sociale tra i sessi che sola può eliminare le disparità di genere (gender
disparities) istituzionalizzate nelle leggi e nei costumi sociali, e colmare il divario tra i sessi
(gender gap). [...]. Nella pratica si verifica che la promozione della parità portata avanti dalle femministe di genere in questi ultimi decenni, va di pari passo con un’acquisizione dell’autonomia individualista delle donne, che implica un grado di rottura più o meno netto
in rapporto agli uomini, agli impegni coniugali e familiari, alle norme sociali tradizionali,
all’insegnamento religioso. Si presume che le donne conquistino libertà, parità e potere per
autoidentificazione del loro ruolo. [...]. Nella loro ottica la maternità e la complementarietà uomo-donna sono ostacoli alla realizzazione delle donne». Ibidem, pp. 42-43.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
suali e riproduttivi”».45 Pertanto, intendendo dimostrare come l’identità di genere debba avere una priorità rispetto all’identità sessuale, rinnegare l’esistenza di differenze naturali tra l’uomo e la donna e rivendicare le diversità sociali, vengono proposti una serie di cambiamenti
sociali,46 tra i quali l’abolizione della famiglia nucleare,47 che indicano
«la strada di liberazione nella rivendicazione del diritto delle donne a
disporre arbitrariamente della propria sessualità: il diritto a “non riprodursi” (diritti riproduttivi negativi) e il diritto “a riprodursi” ad
ogni costo (diritti riproduttivi positivi), garantendo la possibilità di accedere alla fecondazione assistita in vitro omologa o eterologa, alla surrogazione della maternità, alla ectogenesi ed alla clonazione. La scis45 José Juan Garcia, Ideologia di genere, in Enciclopedia di bioetica e di scienza giuridica, VII, diretta da Elio Sgreccia e Antonio Tarantino, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2014, p. 99.
46 Secondo Shulamith Firestone, esponente del femminismo radicale degli anni ’70,
«per assicurare l’eliminazione delle classi sociali è necessaria la ribellione del proletariato e il controllo dei mezzi di produzione, per eliminare le classi di sesso è necessaria la
ribellione delle donne e il controllo della riproduzione: non solo la restituzione del controllo completo del loro proprio corpo alle donne, ma anche il loro controllo della fertilità e delle istituzioni sociali di educazione dei bambini. E così come l’obiettivo finale della rivoluzione socialista non era solo l’eliminazione dei privilegi di classe ma la stessa eliminazione delle classi in se stessi, così l’obiettivo della rivoluzione femminista deve essere, a differenza di ciò che perseguiva il primo femminismo, non solo l’eliminazione dei
privilegi maschili ma l’eliminazione della differenziazione sessuale in se stessa: le differenze genitali tra gli esseri umani non avrebbero importanza culturale». Shulamith Firestone, La dialettica dei sessi. Autoritarismo maschile e società tardocapitalistica, Guardaldi, Firenze 1971, p. 7.
47 «Il matrimonio viene considerato l’istituzione che esplicita e al tempo stesso impone la gerarchizzazione patriarcale; la maternità, in senso biologico e sociale viene interpretata come la fonte della oppressione femminile (la donna che diviene madre e accudisce
i figli è relegata ad un ruolo inferiore, essendole impedita la attiva partecipazione sociale
e politica). Il femminismo, nella linea del ‘costruzionismo sociale’ (che ritiene che siano le
azioni e interazioni a costruire i significati), afferma che il ‘gender’ è una costruzione sociale (non un dato naturale), ossia prodotto della socializzazione, scindibile dal ‘sex’. Si
può pertanto de-costruire e ri-costruire; distruggendo le ‘costruzioni maschiliste’ (pretese ‘naturali’) per progettare una società che superi la differenza sessuale, liberando la donna dall’oppressione patriarcale». Laura Palazzani, Gender: presupposti filosofici e implicazioni giuridiche, in «Cuadernos Kóre. Revista de historia y pensamiento de género», 1
(2011) 4, p. 36.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
sione della procreazione dalla sessualità, dalla eterosessualità e dalla
gestazione apre nuove possibilità di “liberazione” della donna: la triade riproduzione-gestazione-maternità, intese come “giogo biologico”
per le donne o “schiavitù riproduttiva”, possono essere non solo agevolate ma addirittura sostituite dalle tecnologie. L’esito delle nuove rivendicazioni femministe aprirebbero alle donne la possibilità di avere
un figlio senza un uomo (le donne sole), generare senza una gravidanza e senza un parto: una donna potrebbe divenire madre (sociale) senza passare attraverso la maternità biologica».48
Lo sforzo teorico-pratico delle gender theories, dato che non esisterebbe alcun legame tra biologia e ruolo sociale, è quello di superare la
biologia con la socializzazione, determinando così un «ordine di genere» (gender order)49 in grado di aprire nuovi spazi di libertà e compiti
di rielaborazione e invenzione concettuale e pratica di nuove situazioni e contesti relazionali tra gli umani tali da consentire, addirittura, «di
pensare che il genere possa un giorno avere una fine»,50 in virtù del
fatto che «tutto ciò che riguarda il genere è storicamente determinato»,51 per cui può essere anche «disfatto, alterato, o reso meno importante»,52 perché, precedendo «i corpi stessi, strutturando le condizioni in cui essi vivranno e si svilupperanno»,53 il genere «è qualcosa che
si fa concretamente, e che si fa nella vita sociale; non è qualcosa che
esiste prima della vita sociale stessa, o al di fuori di essa».54
48 Laura Palazzani, Gender: presupposti filosofici e implicazioni giuridiche, in «Cuadernos Kóre. Revista de historia y pensamiento de género», 1 (2011) 4, pp. 36-37.
49 Cfr. Raewyn Connell, Gender and Power: society, the Person, and Sexual Politics,
Allen & Unwin-Polity Press-Stanford University Press, Sydney-Cambridge-Stanford 1987.
50 Raewyn Connell, Questioni di genere, p. 41.
51 Ibidem, p. 127.
52 «Le relazioni di genere potrebbero essere estinte con un deliberato processo di annullamento del genere, il cui campo di azione della struttura di genere fosse espressamente ridotto a zero. È possibile ritrovare una logica di questo tipo in alcune strategie femministe dei nostri giorni, come le politiche sulle pari opportunità e contro la discriminazione [...]. Per quanto irrealistica, tuttavia, una società senza genere rimane un punto di riferimento concettuale importante per poter pensare al cambiamento». Raewyn Connell,
Questioni di genere, p. 131.
53 Raewyn Connell, Questioni di genere, p. 74.
54 Ibidem, p. 108.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
In un mondo, addirittura, senza generi, dove ciascuno è genere a
se stesso, nel quale il superamento della disparità viene a coincidere
con l’eliminazione della differenza, secondo le gender theories, ciò che
conta non è più il fatto di nascere maschi o femmine, ma come ci si
percepisce nella sfera psichica soggettiva, tutte le transizioni identitarie sono possibili, per cui pure «il transessuale è legittimato a trasformare il proprio corpo (anche con interventi chirurgici invasivi e elevate dosi di farmaci ormonali) in forza dell’adeguamento della dimensione fisica alla dimensione psichica, dell’adeguamento del sesso biologico al genere psichico».55 Sulla base di queste convinzioni, le gender theories legittimano anche «la intersessualità come condizione sessuale, come variante della determinazione sessuale maschile e femminile, come dilatazione (qualitativa) della condizione sessuale (oltre alla condizione maschile e femminile o intersessuale con presenza di caratteri sessuali sia maschili che femminili)».56 Infatti, dalle gender theories, «la presa d’atto che esistono più di due sessi (maschio e femmina) è considerato un dato positivo (non necessariamente negativo o
patologico) in quanto mette in evidenza che oltre al “sesso genetico”
esiste in “sesso biologico” e “morfologico”, definito anche dalla presenza di ormoni, gonadi, organi riproduttivi interne ed esterni, caratteristiche sessuali secondarie, dalla combinazione delle quali si espande quantitativamente e si articola qualitativamente la classificazione
della sessualità (i cosiddetti “generi addizionali”».57
In questo modo, le gender theories, oltre a teorizzare l’irrilevanza
della differenza nella determinazione delle identità di genere, tematizzano anche l’irrilevanza della differenza sessuale nelle relazioni interpersonali, nelle unioni coniugali, nella costituzione della famiglia,58
55 Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel
diritto, p. 35.
56 Ibidem, p. 36.
57 Ivi.
58 Per le gender theories «la “liberazione sessuale” significa non solo liberazione della donna dal proprio corpo e dal ruolo (riproduttivo), ma anche “liberazione dalla famiglia tradizionale” intesa come restrizione della sessualità dei coniugi: la famiglia non è negata ma ridefinita e ridisegnata come “luogo di affetti” o unione tra individui a prescin-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
neutralizzano la sessualità umana, appiattendo di fatto l’esperienza
umana a causa dell’impossibilità di rendere ragione della complessità
delle dimensioni che caratterizzano ontologicamente l’intero dell’umano, rispetto ad ogni altro essere vivente, e si spingono fino a «normalizzare» l’omosessualità,59 che viene intesa non più come patologia o
dere dall’appartenenza sessuale (equiparando unioni eterosessuali e omosessuali), senza
delimitazione di numero (ritenendo equivalenti unioni poligamiche e, per le stesse ragioni, poliandriche), con o senza figli (sia per etero che per omosessuali, con la possibilità per
coppie omosessuali di accedere all’adozione e all’uso di tecnologie riproduttive). Si ritiene che il termine “parentalità” quale funzione genitoriale asessuata debba sostituire le
espressioni “paternità/maternità”, ritenendo che ciò che è importante per l’identificazione del bambino sia il rapporto affettivo, a prescindere dall’appartenenza sessuale». Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel diritto, p. 42.
59 La decifrazione dei significati più rilevanti della condizione omosessuale cercando
di individuare le sue radici e riflettendo sui meccanismi che presiedono alla sua insorgenza, anche se come fenomeno umano deve essere iscritta, se si intendono cogliere gli aspetti più profondi, nel contesto globale della realtà umana, non può esimere dalla possibilità di pervenire a una conoscenza che implica il confrontarsi con un insieme variegato di
fattori che sono alla base dello strutturarsi antropologico che vanno «dallo statuto biologico originario ai processi che riguardano lo sviluppo della vita genitale e affettiva fino alle dinamiche proprie del contesto socioculturale – e alla capacità di cogliere l’intreccio
che tra tali fatto si istituisce, nonché all’attenzione a iscriverla all’interno di una visione
complessiva di ordine antropologico che consenta di delinearne, per quanto possibile, il
senso». Giannino Piana, La condizione omosessuale tra etica e diritti, in Francesco D’Agostino – Giannino Piana, Io vi dichiaro marito e marito. Il dibattito sui diritti delle coppie
omosessuali, San Paolo Cinisello Balsamo 2013, p. 10. Come al solito, le questioni relative alla definizione del problema sono sempre imprescindibili. Infatti, «la prima difficoltà
che si incontra, quando si accosta il fenomeno omosessuale, è quella di definirne con precisone l’identità. Lo stesso termine “omosessualità”, che ha sostituito a partire dall’Ottocento quello di “sodomia” , il quale, oltre a una valenza rigidamente biologica, era anche
portatore di uno stigma denigratorio, è oggi da diverse parti contestato. La ragione sta nel
fatto che si tratterebbe di un termine che, avendo origine in campo medico, finirebbe per
identificare l’omosessualità come un comportamento morboso, una vera e propria malattia. Per questo molti preferiscono utilizzare il termine “omofilia” che, anziché fare diretto riferimento alla genitalità, evidenzia piuttosto l’attrazione psico-affettiva che si sviluppa tra soggetti appartenenti allo stesso sesso; o altri ancora (ma il caso è assai più raro) introducono il termine “omotropia” che pone l’accento sul fatto che l’omosessualità implica l’inclinazione globale della persona, un modo di essere-al-mondo caratterizzato da una
specifica visione del rapporto con se stessi (con il proprio corpo anzitutto), con gli altri,
con la natura e perfino con il tempo. I diversi termini usati, oltre a rendere trasparente la
complessità del fenomeno omosessuale, evidenziano i diversi livelli che lo qualifica e che
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
disagio, ma come una variante naturale e normale della sessualità umana.60 Inoltre, pretendono il riconoscimento del diritto a esprimere e
dichiarare il proprio orientamento sessuale, quale libera scelta sessuale dettata dal desiderio, mediante la richiesta di protezioni contro discriminazioni e la fruizione di benefici sociali, con l’obiettivo di provocare un cambiamento culturale a favore di una accettazione e valorizzazione generale degli stili di vita Lesbian Gay Bisexual Transgender
Intersex (LGBTI), sulla base di una ridistribuzione apparentemente
uguale tra i diversi soggetti umani, bambini e adulti, femmine e maschi, omosessuali ed eterosessuali.61
si riferiscono alle varie istanze che configurano la realtà della persona e ne determinano
concretamente il vissuto. Il rapporto che si istituisce, di volta in volta, tra questi livelli dà
luogo a conformazioni diverse dell’esperienza omosessuale, con la difficoltà di pervenire
a una definizione univoca dell’omosessualità. È come dire che non esiste l’idealtipo omosessuale, che, cioè [...] l’omosessualità presenta tratti diversi da persona a persona, e che
non si possono pertanto omologare i diversi soggetti omosessuali, ma che occorre essere
attenti alle differenze personali. Dal che si ricava la nozione di omosessualità va circoscritta entro confini ben delimitati e che, in ogni caso, essa può essere applica solo analogicamente alle persone, dovendo tenere in considerazione le varianti, quantitative e qualitative, derivanti dalle diverse situazioni soggettive e dai diversi contesti socioculturali». Ibidem, pp. 10-111. «Una minoranza di persone vive una disarmonia completa tra gli aspetti biologici e l’identità di genere, con la costante e drammatica consapevolezza di appartenere al genere opposto. Questi soggetti sono detti transessuali. Un individuo può, ad
esempio, sentire di essere un uomo, anche se il suo fisico e vari aspetti della sua biologia
sono tipici di una donna; un altro individuo, fisicamente uomo, può sentirsi profondamente donna, nonostante la biologia maschile. Il rapporto tra sesso e genere è, in casi di
questo tipo, molto intricato perché l’identità sessuale e l’identità di genere non sono tra
loro coerenti. Il transessualismo è definito come Disturbo dell’Identità di Genere (DIG)
(American Psychiatric Association)». Chiara Simonelli – Roberta Rossi – Irene Petruccelli – Francesca Tripodi, Identità di genere e sviluppo sessuo-affettivo: fattori di rischio e percorsi atipici nell’infanzia e nella preadolescenza, in «Quale psicologia« 28 (2006), p. 159.
American Psychiatric, Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
(DSM-IV- TR), Masson, Milano 2001.
60 Cfr. Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale
nel diritto, p. 41.
61 «Le istanze LGBTI si basano sulla richiesta di annullamento della differenza tra
uomini/donne/intersessuali/transessuali/transgender rispetto all’identità sessuale che può
essere indifferentemente maschile, femminile, ma anche maschile e femminile o né maschile né femminile. Richiedono anche l’annullamento della differenza tra eterosessuali/omosessuali/bisessuali rispetto all’orientamento sessuale che può indifferentemente e
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
Le strategie di applicazione di queste teorie si concretano attraverso il gender mainstreaming, espressione difficilmente traducibile, che
implica l’integrazione sistematica della prospettiva di genere nella principale corrente delle politiche sociali degli organismi nazionali, trancontestualmente rivolgersi ad individui di sesso opposto o dello stesso sesso. Le rivendicazioni giuridiche della comunità LGBTI sono rivolte all’uguaglianza intesa come equivalenza ed equiparazione omogeneizzazione dei diritti: la differenza di trattamento è ritenuta discriminatoria in quanto basata su pregiudizi negativi irrazionali ed ingiustificati di
disapprovazione o riprovazione morale e considerata del tutto priva di ragionevole e fondata giustificazione. È la rivendicazione di diritto antidiscriminatorio basato sull’indistinzione: si presume discriminante ogni trattamento differenziato esigendo una giustificazione di qualsiasi differenziazione nel trattamento giuridico, secondo la c.d. ‘inversione dell’onere della prova’». Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, pp. 134135. «In questo contesto, il gender è superato dal transgender, “termine ombrello” che
raccoglie tutti coloro che si collocano al di fuori o al di là (come precisa il prefisso trans) delle identità di genere, accomunati dal progetto di una dis-identificazione permanente.
Transgender è preferito anche a transessuale: il transessuale, infatti, non solo riconosce la
differenza sessuale, ma sceglie anche il sesso opposto a quello di nascita come la tappa finale di un processo di transizione, attraverso trattamento ormonale e riassegnazione chirurgica. Il transgender invece vuole sottrarsi a ogni assegnazione identitaria stabile che avverte come finzione, feticcio, maschera». Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un
dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, p. 383. «Nell’ambito del transgenderismo si è aviluppato anche il cyberfemminismo che preconizza l’avvento del cyborg
(nella visione tecno-libertaria di Donna Haraway), o organismo bionico (cybernetic organism) di forma umanoide, metà uomo e metà macchina (una sorta di ibrido carne/metallosilicio) che delinea uno scenario da un lato di totale affrancemento della sessualità (i cyborg non sono né maschi né femmine) dall’altro di negazione radicale della famiglia (i cyborg si replicano, non si riproducono organicamente, annullando maternità e paternità)
nella direzione di una sognata “autonomia“ totale. Non ci sarà più oppressione di un sesso sull’altro, perché non ci saranno più uomini e donne; non ci sarà più famiglia, perché
non ci sarà più generazione, né naturale né artificale (ma semmai solo produzione meccanica seriale). È una prospettiva che rompe radicalmente il discorso fondato sul sesso,
sul genere e sulla famiglia, svuotando di significato tali cateogie, procedendo verso una
totale artificializzazione della natura». Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel diritto, p. 44. Cfr. Donna Jeanne Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995; Donna Jeanne
Haraway, Testimone-modesta@femaleman-incontra-Oncotopo. Femminismo e tecnoscienza, Feltrinelli, Milano, 2000; Donna Jeanne Haraway, Compagni di specie. Affinità e diversità tra esseri umani e cani, con un saggio di Roberto Marchesini, Sansoni, Milano 2003.
Cfr., anche, Rosi Braidotti, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità, Donzelli, Roma 1995; Eadem, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma, 1996; Ubaldo Fa-
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snazionali e internazionali, imponendo alla governance mondiale
l’obiettivo di una trasformazione culturale globale a favore delle istanze del gender, mediante la proposta di adottare il gender come soluzione pratica delle difficoltà reali nelle relazioni umane nelle società e nel
mondo, che si traduce nelle seguenti prescrizioni: «Obbligo per tutti
i membri di un gruppo particolare (impresa, consorzio di Ong, associazione, ecc.), pena la marginalizzazione, di firmare una carta etica
che includa il gender, e di conformarsi ad essa nelle loro attività; condizionamento esercitato dai finanziatori sull’aiuto allo sviluppo: obbligo pratico di integrare la prospettiva di genere nei loro progetti, e di
provare la sua applicazione in occasione di controlli di sorveglianza
(sempre più frequenti) dell’uso del finanziamento accordato; impegno
nelle diverse collaborazioni (progetti di sviluppo, progetti sanitari, educativi o religiosi, ecc.) forzando le adesioni alla prospettiva di genere;
appartenenza ad un partito politico che abbia integrato il nuovo linguaggio nella sua piattaforma programmatica addirittura facendo della parità dei sessi una priorità; partecipazione a decisioni politiche che
includano, spesso anche prioritariamente, la prospettiva di genere; appartenenza a un ambiente professionalmente coinvolto, direttamente
o indirettamente, nei programmi di promozione del gender; partecipazione a dei comitati di etica regolati da una logica consensuale che
non lasciano spazio al pluralismo e all’opposizione; confronto (in quanto genitori, insegnanti, ragazzi, studenti) con programmi scolastici o
universitari obbligatori che integrino la “sensibilità al genere”».62
Prolungamento diretto e ala estrema delle gender theories, specialmente nelle loro interpretazioni omosessuali e transessuali, è il movimento queer, che si sviluppa negli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta, il quale, sostenendo che l’identità sessuale (gender identity), e
dini, Soggetto come relazione. A partire da alcuni scritti di Donna J. Haraway, in Calogero
Caltagirone – Cettina Militello (a cura di), L’identità di genere. Pensare la differenza tra
scienze, filosofia e teologia, EDB, Bologna 2015, pp. 59-68; Ubaldo Fadini, La vita eccentrica. Soggetti e saperi nel mondo della rete, Dedalo, Bari 2009. Giuseppe Savagnone, Biotecnologie e identità personale, in Calogero Caltagirone (a cura di), Antropologia e verità
dell’uomo, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2000, pp. 11-31.
62 Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, pp. 91-92.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
gli stessi atti sessuali sono costruzioni sociali, afferma che l’orientamento sessuale non sarebbe né “naturale” né essenziale per la persona, in
quanto esisterebbe in “intervallo” tra “ciò che fa” il soggetto e il suo
“io”. Andando oltre la dicotomia sesso/genere e oltre la dualità maschile/femminile, il movimento queer, il cui termine è traducibile con
“strano”, “strambo”, “losco”, “svitato” in contrapposizione al termine straight, inteso come “normale”, ritiene che la sessualità sia un continuum di identità di genere ai cui estremi si colloca il maschile e il femminile, l’eterosessuale e l’omosessuale, mentre nelle posizioni intermedie si delineano situazioni diversificate e sfumate, pensando che ogni
individuo possa oscillare, in momenti diversi della propria esistenza,
tra le diverse polarità.63 Queer, significa, allora, la dimensione fluida,
flessibile e fluttuante, dinamica e nomade, del ‘pansessualismo/polimorfismo’ sessuale contro il binarismo sessuale, diviene la categoria della ‘in-differenza’ sessuale, della neutralità e neutralizzazione che annulla ogni differenza, ammettendo solo ‘differenze’ al plurale, nella mescolanza, incrocio, confusione, dove scompaiono rigide classificazioni lasciando il posto solo a sfumature variabili per grado e intensità.64
63 Cfr. Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale
nel diritto, p. 42. La parola queer «da termine gergale dispregiativo omofobico e lesbofobico, viene usato intenzionalmente (e orgogliosamente) per indicare l’accettazione della
intersessualità, la normalizzazione della transessualità, l’equiparazione tra eterosessualità,
omosessualità gay e lesbica e bisessualità». Ivi. Cfr. Annamarie Jagose, Queer theory: an
introduction, New York University Press, New York 1996.
64 Per Eve Kosofsky Sedgwick «anche se il termine cambia molto di significato a seconda che lo si applichi a sé o a un altro, “Queer” ha il vantaggio di offrire, nell’ambito
della ricerca universitaria sull’identità di genere e sull’identità sessuale, un termine relativamente nuovo che connota etimologicamente un attraversamento dei confini, ma che non
si riferisce a niente di particolare, lasciando dunque la questione delle sue denotazioni aperte alla contestazione e alla revisione». William Benjamin Turner, A Genealogy of Queer
Teory, Temple University Press, Philadephia 2000, p. 35. Cfr. Eve Kosofsky Sedgwick,
Epistemology of the Closet, University of California Press, Berkeley 1990. «Da un lato, il
queer è una pratica eversiva: l’esistenza di corpi che non contano, corpi ribelli o eccessivi, corpi esclusi dal consorzio umano, corpi abietti, si fa veicolo di resistenza alle matrici
di potere. Dall’altro è l’eliminazione di ogni fine (termine e direzione dell’agire), ovvero è
il sogno di essere ogni cosa; la scelta di sospendere ogni scelta, ancorandosi a una coali-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
Ripensando l’identità al di fuori dei quadri normativi di una società che considera la sessuazione come costitutiva della specificità degli
uomini nel loro essere maschile e femminile, dichiarando che le identità, non essendo fisse, non possono essere inserite in categorie di orientamento sessuale che renderebbero l’individuo succube di un orientamento sessuale restrittivo, prendendo atto che i sessi non sono più due,
perché, oltre al sesso maschile e femminile, vi sono, anche, l’ermafrodito (herms), l’ermafrodito maschile (merms) e femminile (ferms),65 dalle teorie queer viene proposta la depatologicizzazione delle ambiguità
genitali, considerate non come disordini o disturbi della differenziazione sessuale, ma come stati che manifestano condizioni di indifferenziazione, da accogliere in senso positivo, esprimendo la rinuncia ad
ogni trattamento chirurgico o ormonale, se non esplicitamente richiesto dal soggetto stesso in età adulta, orientando i processi educativi ad
essere neutri. Infine, il movimento queer chiede il riconoscimento pubblico della libertà di vivere tale condizione sessuale e le trasformazioni sessuali come «diritto alla privacy», perché ogni individuo deve fare la scelta che vuole, quando e come vuole, anche mediante una registrazione anagrafica neutra, e la società deve rendere possibile, anche mediante un sostegno economico, la realizzazione della scelta dell’identità sessuale quale essa sia.66 In questo modo «queer diventa la
posizione estrema di chi non ha posizione, né sesso, né genere, né corpo riconoscibile, né identità come durata e legame: è una controstrategia politica, in risposta ai meccanismi del potere e alle sue istituzioni sociali, e la più radicale manifestazione della difficoltà (o impossibilità) a definirsi, delimitarsi, determinarsi. È il trionfo della vulnerabilità e della tentazione all’onnipotenza, dove essere tutto ed essere niente diventano lo stesso».67 Per tale prospettiva, assunta come premessa
zione potenzialmente infinita di identità, pratiche e discorsi». Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, p. 384.
65 Cfr. Anne Fausto Sterling, The five sexes: why male and female are not enough, in
«The Sciences», 33 (2000) 2, pp. 20-25.
66 Cfr. Laura Palazzani, Gender: presupposti filosofici e implicazioni giuridiche, in «Cuadernos Kóre. Revista de historia y pensamiento de género», 1 (2011) 4, p. 42.
67 Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamen-
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teorica, il compito sociale e istituzionale è quello di decostruire tutti i
condizionamenti e, data l’affermata irrilevanza del sesso biologico, viene proclamata e diffusa la convinzione che «ciascuno sia in grado di
scegliere l’identità sessuale sulla base del proprio orientamento in alcun modo vincolato».68
Lo sviluppo della nozione di gender, attraverso la ripresa tematica
di rilevazioni di carattere empirico, mette in evidenza l’emergere di una
proposta antropologica che, separando nella persona la sua dimensione corporale dalla sua dimensione psicologica e spirituale, rinnega l’esistenza di differenze tra l’uomo e la donna e rivendica le diversità sociali, all’interno delle quali ciascuno può costruire e scegliere la proti sociali», maggio 2014, p. 384. Nella sua radicalità «queer è una categoria fluttuante e
sfuggente che dà voce alla proliferazione e al dinamismo “delle” differenze sessuali: non
si può parlare di “differenza sessuale” al singolare (presupponendo la distinzione maschile/femminile), ma la plurale (data la diversità di scenari sessuali che si configurano a livello individuale e relazionale). Queer dilata e oltrepassa il genere, si contrappone alle “costrizioni” della normalità. L’obiettivo è quello di decostruire la natura e destabilizzare l’ordine sociale rigido, per introdurre un nuovo paradigma antropologico ove la “eterosessualità” non sia egemonica, obbligatoria e normativa. Queer indica l’orientamento verso
la “fluidità del genere”, che sfugge a qualsiasi categorizzazione naturale o codificazione
sociale, per includere la possibilità di essere “altro” eliminando qualsiasi forma di diversità percepita come a-normalità (senza riconoscere limiti e regole, anzi ritenendo l’eccezione alla regola un elemento positivo). [...]. L’auspicio è la realizzazione di una sorta di
“pansessualismo senza ostacoli” radicato in un “polimorfismo” sessuale senza classificazioni. È la lotta contro la “monocultura del genere” che abolisca i confini tra naturale e
contro-naturale, tra normale e anormale, considerando l’identità oltre il sesso e il genere
come una soggettività complessa, multipla, mobile, indefinibile, sfuggente rispetto a qualsiasi statica e soffocante fissazione». Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza
alla in-differenza sessuale nel diritto, pp. 42-43.
68 Giorgia Salatiello, Uomo-Donna: “Dal fenomeno al fondamento”, in «Studium»,
(2005), 2, p. 2. Per le gender theories e il movimento queer «l’unica via d’uscita è una trasformazione sociale ove si realizzi lo “scambio dei generi” e dei “ruoli”: ogni individuo
dev’essere libero di scegliere la propria identità di genere come vuole (senza costrizioni
esterne, né biologiche né sociali): la società non può e non deve prestabilire i ruoli di genere, ma essi devono essere prodotto dell’individuo (e modificabili dall’individuo stesso).
L’obiettivo è il ribaltamento dei ruoli tradizionali, tipicamente maschili o femminili: mascolizzazione o virilizzazione della donna e femminilizzazione dell’uomo, sia nel senso biologico, che psichico e sociale». Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla
in-differenza sessuale nel diritto, p. 43.
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pria identità e orientare la propria esistenza secondo le dinamiche del
proprio desiderio. Desiderio che, secondo tali orientamenti, dovrebbe trovare compiutezza nella riconfigurazione culturale del corpo il
quale, in quanto elaborato da una interpretazione sociale, diventa culturato e, quindi, nel suo definirsi, è sempre soggetto ai cambiamenti
culturali i quali, operando una sua svalutazione, ne riconfigurano la
sua modellabilità,69 nella misura in cui i rapporti di potere trasformano «una differenza anatomica banale in una distinzione sociale pertinente».70 Una proposta antropologica caratterizzata da «una generale
tendenza verso l’indifferenza e l’indifferenziato»,71 però, che de-natura e snatura l’essere umano nelle sue articolazioni antropologiche strutturali e nei suoi rapporti intersoggettivi originari e trascendentali, non
più considerati nel loro valore assoluto,72 e prospetta il modello di un
corpo di tutti i sessi (l’androgino) o di nessun sesso (desessuato) che
ha come costo antropologico la scomparsa simbolica sia delle donne
quanto degli uomini, a favore dell’affermazione nel neutro, al di là della sessuazione dell’esperienza e del pensiero, equiparando, di fatto il
corpo umano a un oggetto o merce qualsiasi dove la differenza sessuale è un qualcosa di accidentale.73
69 Adrienne Harris sostiene un «modello di genere connotato da figurazioni multiple, una natura del desiderio fluida e frammentaria e una cultura che ha il potere di dare
forma e di costruire sia l’identità sia il desiderio». Adrienne Harris, Il genere come contraddizione, in Muriel Dimen – Virginia Goldner (a cura di), La decostruzione del genere.
Teoria femminista, cultura postmoderna e clinica psicoanalitica, Il Saggiatore, Milano 2006,
p. 125.
70 Françoise Picq, Féministe, encore et toujours, Indigène Éditions, Montpellier 2012,
p. 22.
71 Simona Argentieri, L’ambiguità, Einaudi, Torino 2008, p. 57.
72 «Le differenze tra grande e piccolo, maschile e femminile, l’identità di genere, la
maturità, l’individuazione – nel bene e nel male, lo ribadisco – oltre ad essere “deboli”,
non sono più un valore assoluto». Simona Argentieri, L’ambiguità, p. 55.
73 «I nuovi simboli tendono a dissolvere la differenza sessuale: la declassano ad accidentalità in un ordinamento sessuale indifferenziato. Già sono schiere gli avanguardisti
ciechi che seguono senza saperlo la coda del pifferaio telematico sesso di nessun corpo,
moltiplicazione delle combinazioni fino a corpi extra-ordinari. Che, nella trascurabile realtà quotidiana, tutto sia molto diverso da questa prova suprema della spettacolarizzazione non conta granché: lo spettacolo fornisce occhiali, mappe, codici, interpreti, pubblici-
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
3. Euristiche al femminile
L’affermarsi del gender, con tutte le sue teoriche legittimanti, anche quando intende presentarsi come uno strumento euristico per configurare un allargamento delle identità sessuali, con lo scopo di aumentare le possibilità di scelta individuale, nel momento in cui nega la differenza sessuale, in realtà trasforma in modo definitivo le strutture antropologiche ed etiche portanti della cultura occidentale, intervenendo nel cambiamento radicale dell’idea di natura e di identità naturale,
del concetto di famiglia e di procreazione. Le conseguenze di questa
impostazione sono di portata grandissima, non solo per l’ambito della vita sessuale delle persone, bensì, principalmente per gli stessi modelli antropologici ed etici che definiscono l’identità culturale e sociale degli uomini e delle donne.
Se, da una parte, è vero che, negli ultimi secoli, la concezione della
sessualità ha subito una autentica rivoluzione per cause molteplici e variamente interconnesse, quali i progressi delle scienze biologiche che
hanno chiarito alcuni aspetti fondamentali della sessualità e della procreazione umana, gli apporti innovativi delle scienze umane che hanno
aperto nuovi orizzonti interpretativi, dall’altra, è anche vero che i ruoli sessuali e i rapporti tra i sessi, il legame fra sessualità e matrimonio, la
stessa naturalità dei sessi sono stati messi in discussione e, ripercorrendone la genealogia storica, avendo mostrato il legame con logiche di
potere e di repressione, il tentativo attuale è quello di superare queste
logiche in nome di un egualitarismo che, recuperando il concetto di
uguaglianza, non in senso naturale e ontologico, ma nel senso della nondifferenza o post-differenza, nega il dualismo binario dei sessi, rifiuta
l’istituto matrimoniale naturale, auspica la liberazione dell’eros da qualsiasi vincolo etico, che non sia il consenso, mette sullo stesso piano omosessualità ed eterosessualità, ritenendo che la “fluidità” del genere e la
sua “liquefazione” non deve avere limiti, in quanto indica la autodetertari, tutto il necessario per viversi sempre in un altro mondo, lontano dai concretissimi
conflitti tra i sessi, dai turbamenti inevitabili di una identità incerta». Romano Madera,
L’animale visionario. Elogio del radicalismo, Il Saggiatore, Milano 1999, p. 44.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
minazione individuale, a prescindere dalla natura, ma anche dalla società, della propria sessualità. In questo modo, «la differenza sessuale
da dato naturale diventa concetto, categoria di pensiero, dunque oggetto non di cui prendere atto, ma concetto su cui riflettere, da discutere e giustificare per capire meglio, ma anche suscettibile di modificazioni arbitrarie e di scelte. Emerge la dicotomia tra sesso (naturale) e
genere (sociale), che segue la distinzione natura/cultura: se il sesso indica la differenza biologica (cromosomica, genetica, genitale) dunque
immutabile (nello spazio) e costante (nel tempo), il genere indica un insieme di caratteristiche, comportamenti, valori che la società distingue
come maschili e femminili, pertanto astratte rispetto al sesso (particolari e variabili, di epoca in epoca e di società in società)».74
Dato che il tema delle differenze sessuali e di genere è stato teorizzato nell’ambito del pensiero femminista del Novecento, il quale, aprendo scenari inediti, al cui interno le influenze sociali e politiche sono diventate la base per la ridefinizione identitaria della condizione umana,
che sembra andare oltre l’identificazione sessuata,75 una attenzione alle diverse interpretazioni teoriche cha hanno cercato di rileggere la condizione umana e, in particolare, il femminile, attraverso la configurazione di differente tipologie identitarie si rivela quanto mai opportuna, anche per articolare l’ordine delle questioni in campo e la possibilità di
strutturare una proposta antropologica ed etica alternativa.
Sul significato da assegnare alla diversità corporea e sessuata tra
uomo e donna si sono sviluppate due correnti all’interno del femminismo: quella “egualitaria” o “emancipazionista”, rappresentata dal
femminismo liberale che trova la sua massima espressione in Harriet
Taylor e in John Stuart Mill, 76 e dalla riflessione di Simone de Be74 Laura Palazzani, dalla differenza sessuale alla in-differenza sessuale, in Identità di genere. Quaderni di scienza e vita 2/2007, pp. 31-32.
75 Cfr. Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 38.
76 Harriet Taylor, L’emancipazione delle donne [1851], in John Stuart Mill – Harriet
Taylor, Sull’uguaglianza e l’emancipazione femminile, Einaudi, Torino 2001, pp. 31-68;
John Stuart Mill, L’asservimento delle donne, Ibidem, pp. 68-205.
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auvoir,77 che intende equiparare i diritti delle donne a quelli maschili, ritenendo che esista, di fatto, un’uguaglianza preliminare tra uomo e donna, che la storia e la cultura del mondo avrebbero misconosciuto e cancellato, e quella “differenzialista”, espressa da Virginia Woolf78 e dalla riflessione di Luce Irigaray,79 la quale ritiene che
invece esista una differenza o una specificità del femminile, che la
cultura maschile avrebbe assoggettato e reso minoritaria o culturalmente irrilevante. Le due posizioni, che hanno profondamente inciso nelle interpretazioni sulle differenze sessuali tra uomini e donne,
hanno come presupposto comune l’accettazione del “fatto” della differenza di genere, e della preliminare definibilità culturale di un es77 Cfr. Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1984.
78 Virginia Woolf, Le tre ghinee (1938), a cura di Luisa Muraro, Feltrinelli,
Milano
20045. Virginia Woolf «sostiene che il contributo femminile ad una ‘cultura di pace’ può
avvenire solo su basi radicalmente diverse rispetto a quelle celebrate dai valori ‘maschili’.
La violenza e l’oppressione a cui la civile Gran Bretagna si oppone, in nome di valori universali, sono infatti ancora praticate contro le donne – siano esse figlie, mogli o sorelle –
all’interno della famiglia. La critica all’astratto valore dei principi di uguaglianza e di parità sfocia così, in Virginia Wolf, nell’affermazione di una costitutiva alterità delle donne
rispetto alla società che le esclude. Se la cultura maschile forma alla guerra, alla violenza
e alla dominazione, quella femminile non deve infatti riconoscersi in essa, ma semmai proporre modalità diverse di convivenza, di integrazione e di rispetto». Olivia Guaraldo, Etica femminista: una rassegna storico concettuale, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a
cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 88. ««Da tutto ciò sembra si debba dedurre un fatto indisputabile: che “noi” – intendendo con “noi”
l’intero organismo costituito da corpo, cervello e spirito, memoria e tradizione – dobbiamo necessariamente differire per qualche aspetto fondamentale da “voi”, il cui corpo, cervello e spirito hanno ricevuto un tirocinio tanto diverso e sono influenzati in modo tanto
diverso dalla memoria e dalla tradizione. Pur vedendo il medesimo mondo, lo vediamo
con occhi diversi. L’aiuto che vi possiamo dare, sarà diverso e forse appunto per la sua
diversità potrà avere qualche valore». Virginia Woolf, Le tre ghinee, p. 39.
79 Cfr. Luce Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso
che non è un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io tu noi. Per
una cultura della differenza, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te. Verso una felicità
della storia,, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994;
La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008; Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
sere umano nei termini di proprietà che almeno in principio sono extraculturali in quanto biologiche o naturali. Il problema che si pone,
nell’ambito del pensiero femminista,80 riguarda la possibilità di capire il tipo o il livello di esistenza del femminile come «proprietà»
insieme culturale e biologica, di principio distinta dal maschile, e di
conseguenza capire le condizioni per cui tale proprietà possa presentarsi come «costitutiva» di determinati soggetti umani, contribuen80
Esistendo una contesa teorica e pratica sul significato del termine femminismo,
possono valere le indicazione di Tamara Pitch sulle ragioni della sua assunzione. «Se [...]
scelgo la locuzione ‘pensiero femminista’ rispetto al più umile riferimento a elaborazioni che, nella loro eterogeneità, si autoidentificano come femministe, è per due ragioni.
La prima è che queste eterogenee elaborazioni interagiscono tra loro, costruendo uno
spazio discorso riconoscibile e riconosciuto, che non è (né vuole o può) essere una teoria. Questo spazio conferisce un orizzonte di senso attraverso cui non solo ci si parla, ma
si parla con altri. E, come avviene sempre, si viene parlati e altri sono parlati. Con l’avvertenza, forse ovvia, che questo non è un orizzonte finito e definito. Il senso cambia continuamente a misura dei discorsi che lo producono e che esso stesso produce. Ma la seconda ragione è che ciò che mi sembra contraddistinguere il femminismo è la sua vocazione ‘crossdisciplinare’, ossia la vocazione a forzare i paradigmi disciplinari, insieme a
non farsene contenere – eccederli continuamente – e a renderli confusi, incerti. Qualcosa di più della somma di tutte quelle elaborazioni che per una ragione o per l’altra si dicono femministe, qualcosa d’altro rispetto a teoria, disciplina, metodo: di qui, ‘pensiero’. Se l’orizzonte di senso che connota il pensiero femminista, e da cui quest’ultimo è
connotato, è indefinito, ossia infondato, non per questo non ha limiti: la sua riconoscibilità è funzione di pratiche, di politiche, sicché il pensiero femminista non è separabile
dalle politiche che lo producono e che esso produce. Ciò non aiuta a individuare ‘un’ e
nemmeno ‘il’ femminismo, vista l’eterogeneità delle pratiche politiche in cui è implicato, ma dice per l’appunto questo, che il pensiero femminista è (anche, o soprattutto) pratica politica autoriflessiva. E, in questo senso, costitutiva di soggetti: mai definiti o definibili una volta per tutte». Tamara Pitch, Un diritto per due. La costruzione giuridica di
genere, sesso e sessualità, Il Saggiatore, Milano 1998, pp. 12-13. Se da una parte l’assunzione della locuzione “pensiero femminista” non presuppone nessuna essenza comune
rispetto alla molteplicità delle teorie e delle pratiche in campo, dall’altra, proprio per la
sua valenza minimale è possibile utilizzare tale locuzione per indicare «quel pensiero femminile che prende parola pubblicamente e in questa dimensione, lo spazio-sociopolitico, inscrive la differenza sessuale in modo più libero e vero, sovvertendo, potenzialmente a tutti i livelli [...] il precedente inquadramento della differenza tra esser donna ed esser uomo». Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, Vita e Pensiero, Milano 2010, p. 12.
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do così a rimodulare l’asimmetria che nella storia si è stabilita tra l’essere uomini e l’essere donne.81
Alla luce di queste considerazioni generali è possibile rilevare che
nella storia del pensiero femminista, una prima interpretazione delle
differenze sessuali e di genere «ha posto al centro della propria riflessione il dato biologico, come elemento essenziale per la definizione del
soggetto donna e come base per la trasformazione della condizione sociale femminile».82 In modo particolare, nell’ambito del pensiero femminista liberale, che intende confutare la pretesa inferiorità naturale
della donna nei confronti dell’uomo. l’attenzione è posta sulla considerazione dell’uguaglianza tra uomini e donne, secondo la quale ogni
essere umano si autodetermina, essendo per natura autonomo, razionale e morale, è libero da ogni forma di asservimento e di esercitare i
diritti che derivano dalle proprie capacità naturali. Pertanto, poiché la
fonte dell’asservimento delle donne, della loro inferiorità sociale, non
è dovuta a cause naturali ma alle condizioni storiche e al dominio esercitato dagli uomini, il femminismo liberale «intende individuare i modi per superare la subordinazione delle donne rispetto al potere dell’uomo (politico, economico e sociale), superare l’inferiorità dovuta all’educazione, alla storia e alla cultura affinché le donne possano riconquistare i diritti naturali negati e non riconosciuti dalla società».83
81 «Ci sono voluti molti anni perché gli uomini incominciassero ad accorgersi delle
sfide che il femminismo ha lanciato alle forme tradizionali della mascolinità. Spesso ci siamo sentiti più tranquilli facendo nostra l’ipotesi che il femminismo riguardasse solo le donne e che si dovesse lasciarle per conto loro a elaborare le loro visioni di uguaglianza tra i
sessi, pensando che, se gli uomini dovevano fare qualcosa, era di lasciare spazio alle donne in modo che esse potessero acquisire diritti all’interno del pubblico, diritti che gli uomini da molto tempo davano per scontati. Ma il passaggio da un movimento impegnato
sul piano dei diritti a uno che voleva mettere in luce il carattere dell’oppressione sulle donne ha imposto agli uomini di riscoprire e ridefinire una mascolinità, anch’essa per troppo
tempo data per scontata». Victor J. Seidler, Uomini, sessi, potere, in «Via Dogana», 21/22
(1995), p. 13. Cfr., anche, Victor J. Seidler, Riscoprire la mascolinità: sessualità, ragione,
linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1992.
82 Giovanna Rossi, Donna, famiglia e lavoro, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna
(a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 122.
83 Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel
diritto, p. 12. «H. Taylor insiste in particolare sull’educazione, il lavoro, la partecipazione
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L’idea di base espressa da questa prima corrente liberale era che le
donne dovevano essere considerate uguali agli uomini e valorizzate all’interno della società. Di fronte a questa esigenza era necessario riconoscere lo stato di subordinazione in cui vivevano le donne e dotarle
delle possibilità e delle competenze di cui godevano gli uomini, attraverso l’educazione e il lavoro. Inoltre, veniva anche sottolineata l’importanza «della funzione riproduttiva per la sopravvivenza della società, che rende la donna protagonista nella sua valenza materna» e veniva indicato nella diversità biologica l’elemento determinante e valorizpolitica, ritenendo che la donna possa ottenere la liberazione mediante la cura della famiglia; J.S. Mill ritiene che la donna seppur naturalmente (nel senso di biologicamente e fisicamente) più debole dell’uomo non debba essergli sottomessa, affermando che la differenza fisica non giustifica la subordinazione e la schiavitù. [...]. La discriminazione sessuale è percepita come ingiusta in quanto viola l’uguaglianza naturale dei diritti: in questo
senso si ritiene che la differenza sessuale debba essere irrilevante nel momento in cui si
distribuiscono cariche o responsabilità sociali, dunque nell’equità di accesso alla sfera pubblica». Ibidem, pp. 12-13. «Come è noto, quello che si chiama, per convenzione, ‘femminismo della prima ondata’ fu essenzialmente emancipativo, ossia mirato ad offrire alle donne una possibilità di riscatto e di liberazione da una situazione di inferiorità culturale, politica e sociale. La tesi generale, rivendica, appunto, l’applicazione di un paradigma egualitario del quale si assume la verità storica in termini di giustizia e di progresso. Qualunque aspetto prenda e in qualsiasi campo si applichi, il dispotismo degli uomini sulle donne appare profondamente ingiusto, moralmente oltraggioso, oltre che logicamente incoerente rispetto al concetto di eguaglianza. Dal punto di vista della rigorosità del concetto
e del suo schema logico, uno statuto egualitario che riguarda tutti gli uomini, a prescindere dalle loro differenze, dovrebbe infatti anche prescindere dalla differenza sessuale. Il
femminismo della prima ondata non giunge a cogliere determinatamente né l’effetto di
omologazione del meccanismo egualitari, né la cancellazione della differenza sessuale che
a ciò consegue. Giunge però a registrare le contraddizioni che emergono dalle molteplici difficoltà dell’applicazione pratica del principio». Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni –
Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008,
pp. 87-88. Per un’analisi delle tematiche principali presenti in tali Autori con riferimento
al primo sviluppo del pensiero femminista, Cfr. Adriana Cavarero – Franco Restaino, Le
filosofie femministe, Bruno Mondadori, Milano 2002; Sarah Gamble, The Routledge Companion to Feminism and Postfeminism, Routledge, London and New York 2001. Per un
approfondimento delle idee liberali diffuse tra gli appartenenti a tale prima ondata del
pensiero femminista, specialmente intorno ai concetti di uguaglianza e di riforma sociale,
Cfr. Chris Beasly, What is feminism? An introduction to feminist theory, Sage Publications
Ltd, London 1999.
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zante dell’identità, in quanto costitutivo delle differenze di genere. In
altri termini, la definizione di donna è ricondotta alle qualità biofisiche creatrici della vita, contro la ‘svalutazione’ delle caratteristiche femminili proprie della cultura egemonica maschile».84 Nelle intenzioni
del pensiero femminista liberale era, dunque, chiara la richiesta del riconoscimento dell’eguaglianza dei diritti, fondata, però, sul riconoscimento della pari dignità dei due sessi, a partire dalla loro differenza.
Sotto questo profilo, l’uguaglianza tra i due sessi diviene il progetto dei
movimenti di liberazione della donna, il quale sottolinea la necessità
che la lotta si svolga all’interno e in relazione a due sfere, quella relativa al domestico e quella relativa al pubblico.
Istanze condivise anche al pensiero marxista e socialista, il quale,
pur nella diversa prospettiva teorica, ribadisce la rivendicazione della
emancipazione delle donne nell’accesso al lavoro e alla sfera pubblica.
In questo contesto riflessivo viene reificata l’identità di genere e la diversità biologica mediante la precisazione che proprio quest’ultima è
alla base delle diseguaglianze sociali, per cui l’essenza della soggettività va individuata non solo nel dato fisico, ma nell’attività umana concreta. L’identità di genere è, infatti, strettamente correlata alla divisione sessuata del lavoro, sulla base della quale, vengono definiti i ruoli
maschili e femminili distinti sia nell’ambito della famiglia, sia nel contesto sociale.85 Conseguentemente, viene messo in discussione l’intero
ordine sociale, almeno per quella parte che viene definita e organizzata secondo un principio gerarchico rispetto al rapporto tra donne e
uomini, per cui al centro della riflessione viene posta la denuncia del84 Giovanna Rossi, Donna, famiglia e lavoro, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna
(a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 122.
85 «Tale teoria inquadra il problema della condizione femminile nel contesto delle
ineguaglianze di classe derivanti dal sistema economico capitalistico: anche in questa prospettiva le ragioni dell’oppressione delle donne non sono identificate nella natura, ma nella società. Pertanto, anche le prospettive di miglioramento della condizione femminile sono ritracciate in un cambiamento sociale, precisamente delle condizioni economiche delle donne, mediante l’integrazione nella classe lavoratrice lottando per il riconoscimento
della parità di accesso al lavoro». Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 47.
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l’oppressione e dello sfruttamento della donna da parte dell’uomo, dell’androcentrismo e del patriarcato.86
Ciò dimostra che le lotte femministe presentano l’esigenza di fondare le loro azioni all’interno di un quadro articolato di concettualizzazione scientifica che, attraverso gli specifici punti di vista delle singole scienze sociali, sia in grado di sottolineare come un certo numero di differenze non siano naturali e che, dunque, presentino le relazioni tra i sessi come qualcosa di problematico e non naturalmente dato. Questo determina l’apertura di uno spazio problematico relativo
alla differenza sessuale, caratterizzato da diverse prospettive, che delineano diverse modalità di ripensamento, ciascuna delle quali presenta caratteristiche specifiche, talvolta radicalmente differenti.
In questa prospettiva si comprende il valore rivoluzionario e dirompente della riflessione di Simone De Beauvoir, la quale afferma il carattere contingente e socialmente costruito della cosiddetta féminité, assegnata alle donne quale loro destino ineluttabile in ragione del suo essere inscritta nella natura. Nell’opera Il secondo sesso Simone de Beauvoir sostiene che donne non si nasce ma si diventa, per le pressioni provenienti dal contesto sociale e per l’accettazione della subordinazione
da parte delle donne stesse, concepite come «l’altro» rispetto al soggetto maschile. Attraverso un lungo percorso che affronta la biologia, la
storia e la cultura, Simone De Beauvoir giunge a sostenere la possibilità per le donne di sottrarsi a tale subordinazione, liberandosi da quello che non deve essere considerato un destino inevitabile, per affermarsi come individui capaci di andare oltre la propria condizione.87
86 Cfr. Christine Delphy, L’ennemi principal. I. L’économie politique du patriarcat, Syllepse, Paris 1998; Christine Delphy, L’ennemi principal. II. Penser le genre, Syllepse, Paris 2001.
87 Nell’Introduzione Simone De Beauvoir scrive: «Dobbiamo ben proporci la domanda: che cosa è una donna? L’enunciazione stessa del problema mi suggerisce subito una
prima risposta. È significativo che io lo proponga. A un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singolare posizione che i maschi hanno nell’umanità. Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare: “Sono una donna”; questa verità costituisce il fondo sul quale si ancorerà ogni altra affermazione. Un uomo non comincia mai
col classificarsi come un individuo di un certo sesso: che sia uomo, è sottinteso. È pura formalità che le rubriche maschile, femminile appaiono simmetriche nei registri dei municipi
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Attraverso l’analisi degli aspetti teorici, storici, culturali ed esistenziali della condizione femminile, Simone De Beauvoir critica i miti che
relegano la donna in una condizione di subordinazione, sostenendo
che la libertà delle donne «è un diritto all’uguaglianza con l’uomo, ale negli attestati d’identità. Il rapporto dei due sessi non è quello di due elettricità, di due
poli: l’uomo rappresenta insieme il positivo e il negativo al punto che diciamo “gli uomini” per indicare gli esseri umani, il senso singolare della parola vir essendosi assimilato al
senso generale della parola homo. La donna invece appare come il polo negativo, al punto che ogni determinazione le è imputata in guisa di limitazione, senza reciprocità. Mi sono irritata talvolta, durante qualche discussione, nel sentirmi obiettare dagli interlocutori
maschili: “Voi pensate la tal cosa perché siete una donna”; ma io sapevo che la mia sola difesa consisteva nel rispondere: “La penso perché è vera”, eliminando con ciò la mia soggettività, non era il caso di replicare: “E voi pensate il contrario perché siete un uomo”;
perché è sottinteso che il fatto di essere un uomo non ha nulla di eccezionale. Un uomo è
nel suo diritto essendo tale, è la donna in torto. Praticamente, nello stesso modo che per
gli antichi c’era una verticale assoluta in rapporto alla quale si definiva l’obliquo, esiste un
tipo umano assoluto, che è il tipo maschile. La donna ha delle ovaie, un utero; ecco le condizioni particolari che la rinserrano nella sua soggettività: si dice volentieri “pensa con le
sue ghiandole”. L’uomo dimentica superbamente il proprio corpo come una relazione diretta e normale con il mondo che crede di afferrare nella sua oggettività, mentre considera il corpo della donna appesantito da tutto ciò che lo distingue: un ostacolo, una prigione. [...]. Lei è soltanto ciò che l’uomo decide che sia; così viene qualificato “il sesso”, intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio un essere sessuato: la donna per
lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è il
Soggetto, l’Assoluto: lei è l’Altro. La categoria dell’Altro ha origini remote quanto la coscienza stessa. Perché le donne non contestano la sovranità maschile? Non v’è soggetto che
si proponga immediatamente e spontaneamente come inessenziale: non è l’Altro che definendosi tale definisce l’Uno: è posto come l’Altro dall’Uno che si afferma Uno. Ma perché
l’Altro a sua volta non si rifaccia Uno, occorre ch’esso si pieghi a codesto punto di vista
estraneo. Donde viene alla donna una passività così grande? Si possono citare casi, nei quali, durante un tempo più o meno lungo, una categoria è riuscita a dominarne assolutamente un’altra. Spesso è l’ineguaglianza numerica a conferire tale privilegio: la maggioranza impone la sua legge alla minoranza, oppure la perseguita. Ma le donne non sono una minoranza, come i negri d’America o gli ebrei; ci sono tante donne quanti uomini sulla terra.
Spesso i due gruppi in contrasto sono stati inizialmente indipendenti: un tempo si ignoravano, oppure ciascuno tollerava l’autonomia dell’altro; poi è sopravvenuto un avvenimento storico che ha subordinato il più debole al più forte; la diaspora giudaica, l’introduzione dello schiavismo in America, le conquiste coloniali sono avvenimenti che hanno una data. In questo caso per gli oppressi c’è stato un prima: essi hanno in comune un passato, una
tradizione, talvolta una religione, una cultura. In questo senso avrebbe ragione Bebel quando avvicina le donne al proletariato; anche i proletari non sono in condizione d’inferiorità
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l’orizzonte della libertà universale».88 Dato che la condizione femminile del presente è, per Simone De Beauvoir, quella di un’astratta eguaglianza contrapposta a una concreta ineguaglianza, le donne non devono fermarsi alle rivendicazioni generali o alle battaglie di principio,
ma devono concentrarsi nell’individuale e approfondire la conoscenza di se stesse, mediante l’esercizio della coscienza e della libertà, per
superarsi, trascendersi e costituirsi come soggetto,89 al di là della connumerica e non hanno mai costituito una società per sé stante. Tuttavia, se manca un avvenimento preciso, c’è uno sviluppo storico che spiega la loro esistenza come classe, e che
rende conto della distribuzione di quegli individui in quella classe. I proletari non ci sono
sempre stati: le donne sì; le donne sono donne per struttura fisiologica; fin dal più remoto
passato furono subordinate all’uomo; la loro subordinazione non è la conseguenza di un
fatto o di uno sviluppo, essa non è avvenuta. Una delle ragioni per cui l’alterità appare qui
come un assoluto consiste appunto nell’eludere il carattere accidentale del fatto storico.
Una situazione che si è creata attraverso il tempo può mutare nel futuro; i negri di Haiti,
tra gli altri, lo hanno mostrato; ma una condizione naturale sembra sfidare ogni cambiamento. Pure la natura non è un dato più immobile della realtà storica. Se la donna ci appare come l’inessenziale che non torna mai all’essenziale, bisogna dire che è lei a non voler operare questo ritorno. I proletari dicono noi; così i negri. Nel momento in cui si affermano come soggetti, essi cambiano in “altri” i borghesi, i bianchi. Le donne – tranne in
certi congressi che restano manifestazioni astratte – non dicono “noi”; gli uomini dicono
“le donne” e le donne si designano con questa stessa parola, ma non si affermano autenticamente quali soggetti. I proletari hanno fatto la rivoluzione in Russia, i negri ad Haiti, gli
indocinesi si sono battuti in Indocina: l’azione delle donne non è mai stata altro che un movimento simbolico: esse hanno ottenuto ciò che gli uomini si sono degnati di concedere e
niente di più, non hanno strappato niente, hanno ricevuto. Il fatto è che non hanno i mezzi concreti per raccogliersi in una unità in grado di porsi, opponendosi. Le donne non hanno un passato, una storia, una religione, non hanno come i proletari una solidarietà di lavoro e di interessi, tra loro non c’è neanche quella promiscuità nello spazio che fa dei negri d’America, degli ebrei dei ghetti, degli operai di Saint-Denis o delle officine Renault una
comunità. Le donne vivono disperse in mezzo agli uomini, legate ad alcuni uomini – padre o marito – più strettamente che alle altre donne; e ciò per i vincoli creati dalla casa, dal
lavoro, dagli interessi economici, dalla condizione sociale. [...]. La divisione dei sessi è un
dato biologico, non un momento della storia umana. La loro opposizione si è delineata entro un mitsein [stare insieme] originale e non è stata infranta. La coppia è un’unità fondamentale le cui metà sono connesse indissolubilmente l’una all’altra. Nessuna frattura della
società in sessi è possibile. Ecco ciò che essenzialmente definisce la donna: essa è l’Altro
nel seno di una totalità, i cui due termini sono indispensabili l’uno all’altro». Simone De
Beauvoir, Il secondo sesso, pp. 20-24.
88 Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, p. 74.
89 «Ogni soggetto si pone concretamente come trascendenza attraverso una serie di
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dizione nella quale storicamente sono state confinate, permanendo nell’immanenza del proprio corpo, destinato alla procreazione, alla maternità e al lavoro domestico che le ha incatenato in una condizione di
subordinazione. In questo modo, per Simone De Beauvoir la donna,
costretta nel suo ruolo dalla società patriarcale, «è stata e continua a
essere complice dell’uomo nella “condizione” di inferiorità in cui l’uomo l’ha collocata, rendendola suo “Altro costitutivo”»,90 cioè, funzionale al sistema maschilista e fatta passare per naturale e immutabile.
La biologia spiega la dualità dei sessi, ma non è sufficiente a spiegare
come è nata la subordinazione della donna all’uomo. In altri termini,
dalla diversità biologica dei sessi deriva una differenziazione di ruoli,
funzioni, modelli di comportamento e di pensiero che vengono ipostatizzati come datità naturali, laddove in realtà sono un costrutto culturale, frutto dei modi di organizzare i rapporti sociali, giuridici ed economici.91 Ciò nonostante, secondo Simone De Beauvoir, la donna ha
una predisposizione alla libertà radicale e universale, comune a ogni
essere umano, sicché non potrà esserci una dedizione femminile all’altro se non come frutto consapevole di una scelta e di un’autodeterminazione radicale che conduce la donna a liberarsi dal dominio maschile per diventare uguale all’uomo. Così, confutare il fatto che la diverfinalità [...]; esso non attua la propria libertà che in un perpetuo passaggio ad altre libertà; la sola giustificazione dell’esistenza presente è la sua espansione verso un avvenire indefinitamente aperto. [...]. Ogni individuo che vuol dare un significato alla propria esistenza, la sente come un bisogno infinito di trascendersi. Ora, la situazione della donna si
presenta in questa singolarissima prospettiva: pur essendo come ogni individuo umano
una libertà autonoma, essa si scopre e si sceglie in un mondo in cui gli uomini le impongono di assumere la parte dell’Altro; in altre parole, pretendono di irrigidirla in funzione
di oggetto e di votarla all’immanenza, perché la sua trascendenza deve essere perpetuamente trascesa da un’altra coscienza essenziale e sovrana. Il dramma della donna consiste
nel conflitto tra la rivendicazione fondamentale di ogni soggetto che si pone come essenziale e le esigenze di una situazione che fa di lei un inessenziale». Simone De Beauvoir, Il
secondo sesso, p. 27.
90 Franco Restaino, Il pensiero femminista. Una storia possibile, in Adriana Cavarero
– Franco Restaino, Le filosofie femministe, p. 41.
91 «La debolezza femminile si rivela tale solo alla luce degli scopi che l’uomo si prefigge, degli strumenti di cui dispone e delle leggi che impone». Simone De Beauvoir, Il
secondo sesso, p. 58-59.
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sità biologica, che essa non mette mai in discussione nel suo discorso,
della donna implichi la sua inferiorità biologica, e sostenendo che l’essere donna «non è una realtà fissa, ma un divenire»,92 per cui essa non
è nata donna, ma lo è diventata, a causa di condizioni interne bio-psicologiche ed esterne storico-sociale, Simone De Beauvoir scrive che
«donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel
prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna».93 Secondo Simone De Beauvoir, non c’è alcun destino biologico,
fisico, economico a definire la figura che nella società umana è tipica
della donna. È invece l’insieme degli elementi che costituiscono la civilizzazione a elaborare il “femminile”. Non esiste, cioè, una natura
femminile prestabilita che giustifichi i fenomeni di segregazione sessuale, in quanto le differenze morfologiche non sono sufficienti a dar
conto di quella che viene considerata come dominazione maschile.94
Da questo punto di vista la donna deve cercare di slegare se stessa dalla definizione di «secondo sesso» riprendendo in mano la propria esistenza, la responsabilità insita in essa. La sua identità non può essere
legata a quella dell’uomo, ma deve costituirsi nella sua soggettività femminile assumendosi la responsabilità diretta della propria vita. Per realizzare ciò, la donna deve rifiutare di essere l’Altro dell’identità maschile e pagare il prezzo che questa scelta comporta e provare a cercare la strada per la sua libertà, che, anche se difficile, la pone in questione come individualità, come questa donna qui, come «io donna». Non
è, infatti, sufficiente definire la donna come l’altro per eccellenza in
contrapposizione al quale l’identità maschile si è costruita, perché nessuna realtà biologica può determinare un’identità fino a quando non
è assunta a livello cosciente e vissuta nelle proprie azioni.95 In tal sen92 Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, p. 60.
93 Ibidem, p. 325.
94 «La divisione dei sessi è un dato biologico, non un momento della storia umana».
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, p. 24.
95 «L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale ma in relazione a se stesso; non è considerata un essere autonomo [...] L’uomo può pensarsi senza
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so, per Simone De Beauvoir è la donna che deve decidere che cos’è la
donna, perché, dopo aver svelato la realtà della propria condizione,
deve viverla, ridefinirla. Un momento importante in questa ricerca di
identità è costituito dai rapporti con l’altro sesso,96 anche se sul futuro dell’identità femminile e sul rapporto fra i sessi Simone De Beauvoir non fa alcun pronostico, in ragione del fatto che «la vera conquista per le donne non consiste nell’ottenere semplicemente un riconoscimento formale, un’uguaglianza di diritto o di fatto che la assimili all’uomo, ma, sottraendosi al ruolo dell’Altro in quanto oggetto, nel vivere liberamente la propria alterità».97
A partire dalla riflessione di Simone De Beauvoir prende corpo
l’idea che l’essere donna non è definito tanto da una necessità biologica, quanto, invece, da una costruzione socio-culturale, per cui ogni
donna ha il diritto di opporsi a tale processo di costruzione e di scela donna: lei non può pensarsi senza l’uomo. Lei è soltanto ciò che l’uomo decide che sia;
così viene qualificata ‘il sesso’, intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio
un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è il Soggetto, l’Assoluto: lei è l’Altro». Simone De Beauvoir,
Il secondo sesso, p. 15.
96 «Liberare la donna significa rifiutare di chiuderla nei rapporti che ha con l’uomo,
ma non negare tali rapporti; se essa si pone per sé continuerà ugualmente ad esistere anche per lui; riconoscendosi reciprocamente come soggetto ognuno tuttavia rimarrà per
l’altro un altro; la reciprocità dei loro rapporti non sopprimerà i miracoli che genera la divisione degli esseri umani in due categorie distinte: il desiderio, il possesso, l’amore, il sogno, l’avventura, e le parole che ci commuovono: dare, conquistarsi, unirsi, conserveranno il loro senso; quando invece sarà abolita la schiavitù di una metà dell’umanità e tutto
il sistema di ipocrisia implicatovi, allora la “sezione” dell’umanità rileverà il suo autentico
significato e la coppia umana troverà la sua vera forma». Simone De Beauvoir, Il secondo
sesso, p. 833.
97 Olivia Guaraldo, Etica femminista: una rassegna storico concettuale, in Paola Ricci
Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di
Etica 5/2008, p. 91. «In Beauvoir il linguaggio dell’ontologia individualista finisce così per
stemperare la sua sostanzialità astratta nel vocabolario esistenzialista della contingenza e
della libertà. Smascherato come costruzione culturale, il sistema patriarcale diventa reversibile. Per chi voglia divenire donna, ossia divenirlo liberamente attuando al contempo
una società di essere liberi, il sesso, come dato biologico e naturale, non pone maggiori
ostacoli di quanto non li ponga lo stereotipo ‘donna’, ossia – nei termini del femminismo
anglofono, che tanto attingerà dal pensiero di Simone de Beauvoir – il gender». Ivi.
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gliere il proprio modo di essere e di esistere in una società costituita
da uomini e donne, realizzando le condizioni sociali affinché il senso
della differenza perda il carattere della negazione, della violenza e della prevaricazione dell’uno sull’altro. In modo particolare, il pensiero
femminista di area anglofona rilegge il femminile attraverso la configurazione teorica di nuovi tipi di identità, attraverso lo sviluppo di un
pensiero della differenza, approfondito sulle base della psicoanalisi, il
quale, criticando il binarismo sessuale e decostruendo il paradigma eterosessuale, propone di concepire il genere come costruzione sociale
indipendente dalla dimensione biologica. Si tratta del cosiddetto femminismo “differenzialista”, secondo il quale la differenza rimanda all’alterità, in quanto carattere da non negare né da cancellare, ma da accogliere e assumere. Tale pensiero differente si costituisce esso stesso
come pensiero della differenza, che esalta le individualità viventi, le
particolarità e le eccentricità, contro l’universalismo della logica maschile, ed è caratterizzato da un soggetto diverso, materno, ossia capace di ospitare in sé altri soggetti, e in relazione, ossia costituito essenzialmente dal rapporto con l’altro.
Questa linea è stata approfondita da studiose, soprattutto di ascendenza psicoanalitica, le quali hanno mostrato un interesse originario
per la funzione materna e sulla propensione femminile alla cura e alle
relazioni.98 Il tema della differenza viene così indagato «più direttamente per riferimento l’esperienza morale che a quella politica, in primo luogo sotto il profilo dello sviluppo dell’identità personale rispettivamente come maschile o femminile. Il dato fondamentale che emerge è l’importanza decisiva che assumono i rapporti interpersonali nell’esperienza femminile, in particolare le relazioni di cura, di responsabilità verso l’altro, di attenzione e di ascolto reciproci».99
98 Cfr. Nancy Chodorow, La funzione materna: psicoanalisi e sociologia del ruolo materno, La Tartaruga, Milano 1991; Nancy Chodorow, Femminile, maschile, sessuale, La
Tartaruga, Milano 1995; Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1987; Juliet Mitchell, Psychoanalysis and Feminism, Alle Lane, London 1974.
99 Roberto Mordacci, Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica,
Feltrinelli, Milano 2003, p. 225. «Queste ricerche sono alla base di un insieme di rifles-
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Dimostrando l’inadeguatezza ad accogliere la differenza di sesso da
parte del modello di sviluppo del senso morale, elaborato da Lawrence Kohlberg, secondo il quale le femmine raggiungerebbero uno sviluppo morale decisamente inferiore a quello dei maschi, legato, secondo Kolhberg, alla loro incapacità di conseguire un’adeguata capacità
logica ed astrattiva,100 Carol Gilligan, sulla base di una serie di interviste condotte su maschi e femmine, bambini, adolescenti e adulti sugli
aspetti morali delle loro esperienza, interpreta la diversità tra maschi
e femmine nello sviluppo morale non come una “deficienza”, bensì
come una “differenza” che dà origine a due modalità di pensiero.101
Infatti, essa rileva che tra maschi e femmine si danno due “voci” difsione sugli aspetti più trascurati del vissuto delle persone (di qualsiasi sesso) in campo morale e sulla forma che una riflessione teorica dovrebbe assumere per tenerne adeguatamente contro». Ivi. Alcuni approfondimenti interessanti in questo senso compaiono sotto la dizione generica di etica della cura. «Di contro all’isolamento del soggetto tradizionalmente supposto dall’individualismo liberale, l’etica della cura [...] prende le mosse dal
decisivo rilievo per i soggetti concreti della relazionalità, della dipendenza da altri e dell’appartenenza a una famiglia o un gruppo. [...]. Le filosofe femministe e i teorici della cura [...] auspicano la trasformazione delle condizioni sociali che hanno tradizionalmente
relegato le donne, in quanto esclusivamente adatte alla cura, in settori marginali e oppressi della vita civile e si oppongono al confino nel privato “familiare” del valore morale delle relazioni affettive e di dipendenza». Ibidem, pp. 227-228.
100 Secondo Kohlberg vi sono sei stadi nello sviluppo morale che segue una progressione di tre livelli. Il primo livello è quello della comprensione egocentrica della giustizia,
basata sul bisogno individuale (primo e secondo stadio); il secondo livello è quello della
concezione ancorata alle convenzioni consensualmente accettate dalla società (terzo e quarto stadio); il terzo, che è la fase della maturità morale, vede una comprensione della giustizia basata su principi universali e fondata sulla logica autonoma dell’eguaglianza e della reciprocità (quinto e sesto stadio). Cfr. Lawrence Kolhberg, The Philosophy of Moral
Development, I, Harper & Row, San Francisco 1981; Lawrence Kolhberg, The Philosophy of Moral Development, II, Harper & Row, San Francisco 1984. Per la critica della Gilligan a Kolhberg, Cfr. Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, pp. 32-70.
101 «Le storie personali raccontate dalle donne e raccolte da Gilligan mostrano soprattutto che la vita morale, quanto si tiene conto delle relazioni interpersonali, è molto
più complessa di quanto rientri nei giudizi basati solo sull’equità e i diritti individuali. Gilligan mette così in tensione l’etica dei diritti e quella che definisce etica della responsabilità (o della “cura responsabile”), sottolineando però che si tratta di aspetti complementari
e non antagonisti dell’esperienza morale». Roberto Mordacci, Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, p. 231.
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ferenti, una, quella maschile, polarizzata sulla dialettica tra particolarità e universalità, incentrata sull’equità, sui diritti e sulle regole impersonali, l’altra, quella femminile, che manifesta una dicotomia tra egoismo e responsabilità, concentrata sulla responsabilità, le relazioni e le
risposte ai bisogni.102 Per Carol Gilligan gli uomini e le donne hanno
una differente concezione del rapporto con gli altri. Mentre i primi
rappresentano i rapporti come una gerarchia, le seconde li considerano come una rete, e questo rimanda ad una diversa concezione della
moralità. Ciò significa che, a giudizio di Carol Gilligan, la quale, nello
sviluppo della moralità, individua tre fasi, quello della moralità individuale, quello della moralità in relazione alla società e alla cultura di appartenenza e quello della moralità sovra-convenzionale o di principio,
l’interpretazione della differenza si basa sulla distinzione tra un modello femminile di moralità concretato dalla ethics of care, che definisce l’identità della donna sulla base delle relazioni di identificazione e
di interdipendenza, che si fondano sull’esistenza di una rete di rapporti e di riconoscimento di reciproche responsabilità, e una concezione
maschile di essa, espressa dall’ethics of justice, che connota l’identità
maschile definita dalla percezione della separatezza tra gli individui la
cui coesistenza nasce dall’accordo tra i soggetti dotati di diritti, cercando di applicare principi generali o universali a situazioni concrete o
particolari, secondo la logica dell’uguaglianza e del diritto.103 In que102 «L’imperativo morale che emerge ripetutamente nei colloqui con le donne è un’in-
giunzione a prenderci cura della vita, la responsabilità di cogliere e alleviare “i problemi
reali e riconoscibili” del mondo, Agli uomini, invece, l’imperativo morale si presenta piuttosto come ingiunzione a rispettare i diritti altrui per tutelare così da ogni interferenza il
diritto di divere e di realizzarsi». Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, p. 104. «Una moralità intesa come cura degli altri pone al centro dello sviluppo morale la comprensione della responsabilità e dei rapporti, laddove una moralità
intesa come equità lega lo sviluppo morale alla comprensione dei diritti e delle norme».
Ibidem, p. 27.
103 «L’etica dei diritti si fonda sul concetto di eguaglianza e sull’equità del giudizio,
mentre l’etica della responsabilità poggia sul concetto di giustizia distributiva, sul riconoscimento della diversità dei bisogni. Dove l’etica dei diritti dà espressione al riconoscimento dell’ugual rispetto dovuto ad ognuno e mira a trovare un equilibrio tra le pretese dell’altro e le proprie, l’etica della responsabilità poggia su di una comprensione che fa na-
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sto modo, correggendo la prospettiva di Kolhberg, Carol Gilligan afferma che «lo sviluppo morale dovrebbe, per entrambi i sessi, comportare l’integrazione tra diritti e responsabilità, attuata attraverso il riconoscimento della complementarietà di queste due visioni morali così divergenti».104 Concretamente, per Carol Gilligan la “voce” differente dell’essere donna non dipende dal sesso, ma dal tema, in quanto è la voce della responsabilità verso l’altro, non, dunque, una voce
esclusivamente femminile, anche se essa è maggiormente presente nei
racconti al femminile che in quelli al maschile. Secondo Carol Gilligan, le donne, dunque, percepiscono e interpretano la realtà sociale in
modo diverso dagli uomini. Poiché tale diversità riguarda fondamentalmente le esperienze dell’attaccamento e della separazione, essa deduce che il senso di sé delle donne è diverso da quello degli uomini,
giacché nelle donne il senso di integrità personale si intreccia con un’etica della cura responsabile, che è il cardine della forza femminile, «al
punto che vedersi donna equivale a vedersi in un rapporto di connessione».105
Riarticolando le posizioni della tradizione della morale filosofica
occidentale, il ragionamento di Carol Gilligan dà valore al simbolico
etico femminile, rivalutando l’aspetto della cura per costruire un’etica delle donne che sia basata sulle peculiarità e le competenze femminili (capacità relazionale, responsabilità e cura nello sviluppo degli
altri, interdipendenza) e che possa essere di riferimento per il cambiamento della visione etica delle società patriarcali, anche se la sua
opera ha ricevuto diverse critiche, che hanno riguardato la metodologia di lavoro106 la nozione di sviluppo morale,107 la tematizzazione
scere la compassione e la cura». Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, p. 166.
104 Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, p. 104.
105 Ibidem, p. 173.
106 Cfr. Catherine G. Greeno – Eleanor E. Maccoby, How different is the “different
voice”, in Linda K. Kerber – Catherine G. Greeno – Eleanor Maccoby – Zella Luria – Carol B. Stack – Carol Gilligan, Viewpoint. On In a different voice: an interdisciplinary Forum, in «Signs. Journal of Women in Culture and Society», 11 (1986) 2, pp. 304-333.
107 Cfr. Judy Auerbach – Linda Blum – Vicki Smith – Christine Williams, Commen-
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dell’aborto,108 la nozione di differenza femminile, l’opposizione della
passione femminile alla razionalità maschile, la contrapposizione tra
l’etica dei diritti e l’etica della responsabilità.
Per quanto riguarda la nozione di differenza femminile, viene fatto notare che non è chiaro se Carol Gilligan attribuisca le differenze
alla cultura o alla biologia. Anche se fa riferimento spesso alla capacità riproduttiva delle donne che genera il senso della responsabilità e
l’attitudine alla cura, tuttavia, Carol Gilligan, secondo le critiche, non
menzionerebbe i cambiamenti dei ruoli genitoriali concernenti la cura. Facendo semplicemente un appello affinché si dia spazio alla differenza, Carol Gilligan reificherebbe la separazione delle sfere, giungendo ad asserzioni semplicistiche, che celebrano la cultura delle donne, senza in alcun modo contestualizzarla nelle dinamiche sociali e storiche di cui è parte, e ignorando gli effetti limitativi e costrittivi dei valori di tale cultura sulla vita delle donne.109
Rispondendo alle critiche, Carol Gilligan conferma che la prospettiva dei diritti è in contrasto con la prospettiva delle responsabilità, ovvero che vi è un pensiero orientato alla cura e uno ai diritti e dichiara
che i suoi critici, invece, fanno equivalere la prospettiva maschile con
la definizione della natura umana e interpretano la differenza fra i sessi come carenza del femminile e auspica che il suo lavoro non sia utilizzato per scopi oppressivi, ma possa costituire un valido strumento
per rafforzare le donne che si confrontano con definizioni maschili su
ciò che è valore e su ciò che è sviluppo umano.110
tary on Gilligan’s In a different voice, in «Feminist Studies», 11 (1985) 1, pp. 149-161; John
Broughton, Women’s rationality and men’s virtues: a critique of gender dualism in Gilligan’s theory of moral development, in «Social Research. An International Quaterly», 50 (1983)
3, pp. 597-642.
108 Cfr. Mary Ann O’Loughlin, Responsability and Moral Maturity in the control of fertility – or, a woman’s place is in the wrong, in «Social Research. An International Quaterly», 50 (1983) 3, pp. 556-575; Paola Bono, Virtù femminili o soggettività politica. Il dibattito anglosassone sulla moralità altra proposta da Gilligan, in «Reti», (1990) 2-3, pp. 47-53.
109 Cfr. Linda K. Kerber, Some cautionary words for Historians, in Linda K. Kerber
– Catherine G. Greeno – Eleanor Maccoby – Zella Luria – Carol B. Stack – Carol Gilligan, Viewpoint. On In a different voice: an interdisciplinary Forum, in «Signs. Journal of
Women in Culture and Society», 11 (1986) 2, pp. 307-308.
110 Cfr. Carol Gilligan, Reply by Carol Gilligan, in Linda K. Kerber – Catherine G.
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Questo dibattito rende ragione del perché alcune interpretazioni
del pensiero femminista hanno proposto di concepire, differentemente, secondo una prospettiva decostruzionista, il genere come costruzione sociale, indipendente dalla dimensione biologica. Mentre la prospettiva costruzionista si fonda sull’idea che «l’unico processo responsabile dell’esistenza è la costruzione sociale [...] e che non c’è un prius
biologico di cui rendere conto»,111 per cui le distinzioni tra maschile e
femminile, presenti in ogni società e riferite alla corporeità, sono plasmate dalla realtà sociale alla quale appartengono. Secondo Teresa de
Lauretis, la quale è l’autrice che, nel febbraio 1990 in una conferenza
tenutasi all’Università della California a Santa Cruz, ha coniato il termine queer ed ha proposto la teorizzazione del post-gender,112 il genere non è un semplice derivato del sesso anatomico, ma una costruzione simbolica, un sistema simbolico «che correla il sesso a contenuti
culturali secondo valori e gerarchie sociali».113 Inoltre, è, anche, un apparato semiotico, cioè un sistema di rappresentazione inteso come l’effetto combinato di innumerevoli rappresentazioni discorsive che provengono da diversi apparati istituzionali dello stato, quali la famiglia,
la scuola, la giurisprudenza, la medicina, ma anche dalle forme stesse
della cultura, quali il linguaggio, l’arte, i media, che determinano la costruzione del genere come «il prodotto e il processo della sua rappresentazione».114 Queste pratiche che determinano il genere sono defiGreeno – Eleanor Maccoby – Zella Luria – Carol B. Stack – Carol Gilligan, Viewpoint.
On In a different voice: an interdisciplinary Forum, in «Signs. Journal of Women in Culture and Society», 11 (1986) 2, pp. 324-333.
111 Simonetta Picone Stella – Chiara Saraceno, Introduzione. La storia di un concetto
e di un dibattito, in Simonetta Picone Stella – Chiara Saraceno (a cura di), La costruzione
sociale del maschile e del femminile, Il Mulino, Bologna 1996, p. 16.
112 Cfr. Teresa de Lauretis, Queer Theory: Lesbian and Gay Sexualities. An Introduction, in «Differences: a Journal of Feminist Cultural Studies», 3 (1991) 2, pp. III-XVIII.
««“Queer Theory” esprime l’importanza di due questioni: il lavoro concettuale e speculativo implicato nella produzione del discorso e il necessario lavoro critico della decostruzione dei nostri stessi discorsi e dei loro silenzi costruiti». Ibidem, p. IV.
113 Teresa de Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, Feltrinelli, Milano 1996,
p. 136.
114 Teresa de Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, p. 137. Cfr. Teresa de
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nite da Teresa de Lauretis «tecnologie del genere»,115 ossia teorie e apparati che articolano il discorso sulla sessualità. Ciò vuol dire che la
definizione del genere è una costruzione simbolica e discorsiva e non
comporta il negare che abbia effetti concreti nella vita materiale degli
individui. Al contrario, la realtà del genere sta precisamente negli effetti di realtà prodotti dalla sua rappresentazione. In altri termini, il genere si realizza, diviene realtà concreta, quando la rappresentazione diviene autorappresentazione,116 ovvero, viene assunta dal soggetto quale componente della propria identità. In questo senso, Teresa de Lauretis parla di «autoattribuzione di genere» e, proponendo il neologismo en-gender, che traduce in italiano «ingenerarsi», connota il genere come un processo di autocostituzione di un «soggetto in-generato».117 Il soggetto, cioè si «ingenera», si produce in quanto soggetto
nell’assumere e nel far proprie le posizioni specificate dal sistema sesso-genere di una data società. Da questo punto di vista, secondo Teresa de Lauretis, «l’“in-generazione” è il processo continuo di attribuzione di senso e di assimilazione, sempre rivedibile e modificabile: è
come un vestito “bagnato” che si appiccica sul corpo. Tale processo
produce il corpo: il corpo è una forma sociale astratta che si concretizza quando gli individui assumono una rappresentazione come propria. L’autoattribuzione di genere coincide con la sessualizzazione,
l’identificazione e la soggettivazione, mai definite ma sempre “in-definizione”».118 Pertanto, essendo il soggetto ingenerato, perché soggetto alle tecnologie del genere, en-gender fa riferimento sia al verbo engender, generare, sia al termine gender, volendo dire che il soggetto è
Lauretis, Semiotica dei generi, in Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, Feltrinelli, Milano
1999, pp. 119-134.
115 Cfr. Teresa de Lauretis, Technologies of Gender, Indiana University Press, Bloomington 1986.
116 «La costruzione del genere è il prodotto e il processo sia della rappresentazione
sia dell’autorappresentazione». Teresa de Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, p. 141.
117 Cfr. Teresa de Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, pp. 144-145.
118 Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 87. Cfr. Teresa de
Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, pp. 145.161.
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generato nel genere, ossia costituito in quanto uomo o donna, mentre
il genere è inscritto nella soggettività sin dai primi giorni di vita. Ritenendo necessario smantellare le false rappresentazioni e dissolvere i
confini tradizionali dell’identità di genere sia etero che omosessuale,
ritenuta anch’essa tradizionale, al fine di consentire identità multiple
e le metamorfosi che attraversano i generi al di là dei sessi, Teresa de
Lauretis sostiene, anche, che, se il genere è una costruzione sociale che
si concretizza variamente nei singoli individui, non solo il genere non
è una proprietà intrinseca dei corpi o una qualità ad essa connaturata,
ma al contrario, è proprio il genere, assunto o fatto proprio dal soggetto, che ne definisce il corpo, proprio perché, grazie alla semiotica
dei generi, che costituisce una catena di significati elaborati da processo di semiosi, sono i significati che, attraverso un continuo processo di
connessioni semantiche e di associazioni abituali, producono i soggetti e i loro corpi.119 Essendo concepito come un sistema di produzione
di significato che plasma le posizioni, le identità e le realtà dei soggetti e strettamente legato all’ordine sociale che lo produce, il discorso è
un dispositivo del potere il quale, producendo identità sessuali binarie, definite e distinte e nascondendo la loro natura discorsiva, le spaccia come naturali, universali, preesistenti e indiscutibili e le ordina gerarchicamente, attribuendo all’eterosessualità il valore di norma universale. S’impone, allora, secondo Teresa de Lauretis, una decostruzione discorsiva la quale, diventando fondante per le teorie queer, può
consentire di illustrare i processi di produzione e di regolazione delle
identità sessuali, attraverso la messa in discussione non solo della naturalità di categorie come omosessuale ed eterosessuale e della netta
differenziazione tra l’una e l’altra, ma pure della loro omogeneità interna, interpretando la fluidità delle identità non solo come un dato di
fatto che la norma cerca di cancellare ma anche come una modalità
decostruttiva del discorso normativo.120
119 Cfr. Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 86.
120 «Facendo ciò, la teoria [queer] e l’attivismo transgender richiamano
l’attenzione
sulle operazioni di normatività entro e tra le categorie identitarie di genere e sesso, sollevano questioni sulla strutturazione del potere lungo assi diversi dalle binarietà omo/etero
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Judith Bultler, considerata la referente mondiale nell’ambito della
teorizzazione del post-gender, propone una teoria che, non facilmente inquadrabile in uno specifico orientamento, supera la rigida distinzione disciplinare degli studi di genere, e, caratterizzandosi per la sua
radicalità, nel criticare il binarismo sessuale, opera la decostruzione del
paradigma eterosessuale. Tale decostruzione si fonda sulla convinzione che è possibile raggiungere un’adeguata soluzione dei problemi sottesi alle differenze di genere solo se si opera una destrutturazione dei
processi simbolici, culturali e linguistici che definiscono il maschile e
il femminile. Secondo questa prospettiva il concetto di un soggetto dotato di un’identità essenziale, in contrapposizione a ogni determinismo
di tipo biologico, deve essere decostruito perché, dal momento in cui
gli individui sono condizionati e costruiti dal discorso sociale e dalla
pratica culturale, bisogna togliere ogni rivestimento che la società assegna ai sessi diversi per liberare le donne dal discorso sociale loro attribuito.121 Da questo punto di vista, «dal genere come de-costruzione del sesso biologico e produzione del sesso sociale, si approda al
post-genere come de-costruzione del sesso sociale e costruzione di opzioni individuali plurali e in movimento».122
Sulla base di queste istanze, seguendo gli sviluppi della riflessione
di Michel Foucault, Jacques Derrida, Gilles Deleuze e Julia Kristeva,123
e uomo/donna, e identificano produttivi punti di collegamento per connettere l’attivismo
legato all’orientamento sessuale e all’identità di genere ad altre lotte per la giustizia sociale». Susan Stryker, Transgender History, in «Radical History Review», (2008) 100, p. 149.
121 Cfr. Giovanna Rossi, Donna, famiglia e lavoro, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo
Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 124.
122 Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, p. 383. «Nel primo passaggio, il sistema sociale si emancipa
dalla natura; nel secondo, l’individuo si slega dall’ordine sociale. In tale processo si possono individuare almeno tre momenti: in un primo tempo, i generi sono disposti lungo
un continuum che mantiene agli estremi il maschio e la femmina; in seguito, sono rappresentati come punti equivalenti di un sistema multidimensionale, dal quale è tolta ogni figura normativa o di riferimento (il maschio e la femmina, per l’appunto), allo scopo di
rendere definitivo il congedo dalla polarità binaria, infine, i generi vengono liquefatti e
consegnati alla indeterminatezza: diventano identità virtuali perennemente transitanti verso altri generi a venire». Ivi.
123 Cfr. Michel Foucault, Storia della sessualità, vol. I, La volontà di sapere, Feltrinel-
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Judith Butler cerca di decodificare i linguaggi frammisti, iscritti nel corpo, nel genere, nel potere, tentando di appropriarsi di nuove mappature e nuove connessioni per ritrarre soggettività aperte alla pluralità
ed alla diversità, e propone di considerare i corpi, i ruoli sessuali, le
differenze, come atti recitati o performativi.124 Queste perché, a suo
giudizio, dato che, essendo sesso e genere non dei nomi ma dei verbi,
«il genere è sempre un fare»,125 cioè «una ripetizione stilizzata di atti»
nel tempo,126 l’individuo, mediante una performatività, recitativa e ripetitiva, che mette «in atto o produce ciò che nomina»,127 diventa ciò
che sceglie di dire e di fare. In questo modo non ci sono la donna e
l’uomo in senso originario, o naturale, ma solo dei codici di costruzione identitaria che, attraverso questi nomi, vengono trasmessi e assunti, e, ripetendoli e assorbendoli, gli individui vengono essi stessi prodotti e “performati”.128 In altri termini, il gender è, per Judith Butler,
li, Milano 2006; Jacques Derrida, Della grammatologia, Jaca Book, Milano 20062; Gilles
Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina 1997, Gilles Deleuze – Felix Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2002; Julia Kristeva, Woman
can Never be Defined, in Elaine Marks – Isabelle de Courtivron (eds.), New French Feminism, Schocken, New York 1981, pp. 12-17.
124 Per Judith Butler la perfomatività del genere significa che «non c’è un genere che
viene “espresso” per mezzo di azioni, gesti o parole, ma che è la performazione del genere a produrre retroattivamente l’illusione che ci sia un nucleo interno di genere. [...] il genere è il prodotto di una ripetizione ritualizzata di convenzioni, e [...] questo rituale è socialmente imposto, in parte dalla forza di un’eterosessualità obbligatoria». Judith Butler,
Melancoonia di genere/identificazione rifiutata, in Muriel Dimen – Virginia Goldner (a cura di), La decostruzione del genere. Teoria femminista, cultura postmoderna e clinica psicoanalitica, Il Saggiatore, Milano 2006, p. 42. Judith Butler scrive che «il genere è una sorta
di recitazione persistente creduta reale». Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e
desiderio, p. XXXVI.
125 Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, p. 33.
126 Ibidem, p. 179.
127 Judith Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del «sesso», Feltrinelli, Milano
1996 23.
128 «Il genere non sta alla cultura come il sesso sta alla natura; il genere è anche il mezzo discorsivo/culturale attraverso il quale la “natura sessuata” o “un sesso naturale” vengono prodotti o creati come ‘pre-discorsivi’, come precedenti alla cultura, come superficie politicamente neutra su cui la cultura agisce». Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, p. 11.
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effetto del linguaggio il quale, mediante la ripetizione, che costituisce
la realtà, riproduce e stabilizza il significato del maschile e del femminile, in ragione del fatto che il corpo si adegua al genere attraverso la
“performatività”,129 la quale, contrastando la definizione fissa e stabile delle identità che esse mettono in atto, in ultima analisi, è un processo di risignificazione. Infatti, siccome l’atto ripetuto diventa atto
normativo, poiché il “fare” del corpo si manifesta nel mondo proprio
attraverso il corpo, e il genere si esprime e si costruisce secondo le sue
stesse pratiche regolatrici, che si danno sia nelle performance legate al
suo significato simbolico, attribuito individualmente o socialmente, ed
è espressione del suo stesso fare, per cui le sue manifestazioni ne sono
il risultato,130 secondo Judith Butler, non vi è alcuna identità di genere che non sia agita.131 Ciò, pertanto, vuol dire che, per Judith Butler,
la quale riprende Simone De Beauvoir, «se donna non si nasce, ma lo
si diventa, il diventarlo rappresenta il veicolo stesso del genere».132 Per
129 «La creazione di nuove modalità si attua, in parte, attraverso la rappresentazione
della corporeità, laddove il corpo non sia inteso come un fatto statico e compiuto, ma come un processo di crescita, un modo del divenire che, nel divenire altrimenti, eccede la
norma, la riformula e ci mostra come la realtà, entro cui pensavamo di essere confinati,
non sia scolpita nella pietra». Judith Butler, La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006,
p. 55.
130 «Il genere è sempre un fare, anche se non un fare da parte di un soggetto che può
essere definito come preesistente all’azione. Per ripensare la categoria del genere fuori della metafisica della sostanza sarà necessario ricordare la pertinente affermazione di Nietzsche in Genealogia della morale: “Non esiste alcun ‘essere’ al di sotto del fare, dell’agire,
del divenire; ‘colui che fa’ non è che fittiziamente aggiunto al fare – il fare è tutto”. In
un’applicazione che forse Nietzsche non avrebbe previsto né tollerato, potremmo asserire come corollario: non vi è alcuna identità di genere al di sotto delle espressioni di genere; quell’identità è performativamente costituita dalle stesse “espressioni” che, si dice, ne
sono il risultato». Judith Bulter, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio p. 33.
131 «Essendo un processo, la significazione racchiude in sé ciò che il discorso epistemologico definisce “agenzia”. Le regole che governano l’identità intellegibile, ossia che permettono e limitano l’affermazione di un “io” – regole parzialmente strutturate su matrici
di gerarchia di genere ed eterosessualità obbligatoria –, operano attraverso la ripetizione».
Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, p. 209. In altre parole, «non vi è
alcuna identità di genere al di sotto delle espressioni del genere, quell’identità è performativamente costituita dalle stesse “espressioni” che, si dice, ne sono il risultato». p. 33.
132 Judith Butler, La disfatta del genere, p. 93.
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questo motivo, definendo il genere un atto performativo posto in essere dai singoli e dalle singole che riproduce, reinterpreta, ed eventualmente modifica, le norme sociali che definiscono il genere, per cui
l’identità di genere e l’identità in generale possono essere espresse e interpretate attraverso le tecniche del corpo, ossia da quelle pratiche che
prescindono la materialità del corpo, Judith Butler, validando la teoria queer, invita ad andare oltre il corpo e la materia nella considerazione del concetto di genere, la cui costruzione, non essendo un processo passivo o innato, è concrezione del meccanismo semiotico di funzionamento della performance di genere, come di fatto testimonia il ricorso, ormai massiccio, alla chirurgia estetica, la quale conferma che
le diverse caratterizzazioni corporali non esistono solo in quanto organi fisici, carnali, ma la loro leggibilità è prodotta attraverso quei linguaggi e quei segni che si inscrivono direttamente sulla corporeità. In
questo modo, la decostruzione del genere implica la sua distruzione di
ogni confine e limite imposto dall’esterno, dal corpo o dalla natura,
tramite la determinazione di una serie di non identità atipiche, lingue
e infinitamente mutevoli, configurando, così, il genere, che non è una
categoria fredda, ma un abito di azione individuale e collettiva, come
una veste o una maschera che si può cambiare ogni giorno riducendo
il corpo anatomico a una tabula rasa.133 La prospettiva di Judith Bu133 «L’obiettivo dell’autrice è quello di ‘dis-fare’ il gender, ma anche il sex. Butler usa
l’espressione ‘un-doing’, declinando il verbo ‘to-do’ al gerundio, per indicare l’azione come processo continuo mai concluso. Di-sfare va inteso nel senso di de-costruire, scomporre, smascherare non solo l’identità sessuale naturale ma anche l’identità di genere sociale. Si tratta di comprendere che sex e gender sono entrambe prodotto di una “fabbricazione”, sono finzioni che sembrano solo apparentemente ed esteriormente veri. Bisogna smontarli per rendersi conto della loro non naturalità, della loro non esistenza, della
loro artificiosità». Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, pp. 77-78.
Questo “dis-facimento” introduce la dimensione del “neutro”, contro la sessuazione dell’esperienza e del pensiero, e cancella qualsiasi differenza e delinea stili di vita inquinati
«dal neutro dei legami senza affetti e dal deserto della competizione fine a se stessa». Carmelo Vigna, Antropologia trascendentale e differenza sessuale, Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. 226. In effetti, «nel linguaggio del diritto, della giurisprudenza, delle scienze psicologiche e pedagogiche, nel linguaggio burocratico dei servizi per l’infanzia, nelle politiche di sostegno alle famiglie e ai minori, si parla di genitori e di famiglia, al neutro, cancellando la differenza sessuale, men-
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tler, la quale, estremizzando i contributi riflessivi di Jacques Lacan,134
arriva negare la stessa categoria di donna,135 e, nel mettere in discussione la differenza sessuale, si pone l’obiettivo di giungere alla realizzazione utopica di una società dove nessuna differenziazione è legittima,136 portando, di fatto, a compimento le battaglie del primo femminismo contro gli ostacoli biologici, come, ad esempio, la maternità, e
trasformando la lotta di classe in lotta di genere contro le strutture di
potere stabilite dal desiderio sessuale nei confronti del quale bisogna
ribellarsi con scelte identitarie alternative. Tali scelte che devono riferirsi al «paradigma» queer, il quale incoraggia la possibilità di sperimentare nuove possibili trasformazioni della soggettività corporea, distre il riferimento alle madri (e più di recente ai padri, ai quali è stato esteso il congedo parentale) è esplicito solo quando si tratta di provvedimenti di tutela. Si tratta di un modo
fuorviante e misero di nominare la realtà, perché non dà conto del fatto che è la differenza sessuale che fa genitori, e la differenza sessuale fa genitori differentemente. Le relazioni madre-figli sono differenti da quelle padre-figli, come ben sanno molto precocemente,
fin dai primi mesi di vita, bambine e bambini, e dunque esse non sono riducibili a un prendersi cura (caretaking) neutro ed egualmente fungibile da figure adulte, in base ad una
presunta equivalenza funzionale». Anna Maria Piussi, La differenza di essere padri, in Annarosa Buttarelli – Luisa Muraro – Liliana Rampello (a cura di), Duemilaeuna. Donne che
cambiano l’Italia, Nuova Pratiche Editrice, Milano 2000, pp. 97-98. Cfr. Wanda Tommasi, La tentazione del neutro, in Diotima (a cura di), Il pensiero della differenza sessuale, La
Tartaruga, Milano 1987, pp. 81-103; Non è un caso, infatti, che «nei testi di Butler non
incontriamo mai un uomo e una donna, e nemmeno uomini e donne, e neppure un bambino, né come figlio della madre né come figlio dei genitori, né come figlio desiderato, né
come bambino fra i bambini. Butler non analizza l’etero empirico o gli etero empirici, ma
opera con un etero intelligibile». Reimut Reiche, Genere senza sesso. Società e mutamento
della psiche, p. 154.
134 Cfr. Paolo Gomarasca, Il sesso è naturale? Butler con Lacan, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, pp. 75-99.
135 Marina Terragni, La scomparsa delle donne. Maschile, femminile e altre cose del genere, pp. 107-122.
136 «Le relazioni di genere potrebbero essere estinte con un deliberato processo di
annullamento del genere, in cui il campo d’azione della struttura di genere fosse espressamente ridotto a zero. È possibile ritrovare una logica di questo tipo in alcune strategie
femministe dei nostri giorni, come le politiche sulle pari opportunità e contro la discriminazione. [...] Per quanto irrealistica, tuttavia, una società senza genere rimane un punto
di riferimento concettuale importante per poter pensare al cambiamento». Raewyn Connell, Questioni di genere, p. 131.
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solvendo le categorie antropologiche strutturali e strutturanti l’umano
e le sue relazioni.137 Arriva a compiuta concrezione quel vasto movimento di pensiero decostruttivo, messo in atto dalle «antropologie della differenza,138 le quali si caratterizzano per un triplice principio di
estenuazione del discorso sull’uomo che è dato dal principio dell’insignificanza, della molteplicità e della cartografia,139 ed ha determinato
lo spostamento postmoderno dei confini dell’identificabilità dell’umano,140 il quale, muovendosi attorno alla cifra del “transito”, provoca la
137 «’Fare? e ‘dis-fare’ indicano una pratica circolare mai risolta [...]: una “incessante attività in svolgimento”, un “disfacimento produttivo”, consapevole e inconsapevole;
uno strumento per “de-naturalizzare” e “de-socializzare” il binarismo e l’eternormatività.
È l’unica via per dis-conoscere le nostra condizioni naturali e sociali e riconoscere tempo
e spazio, per garantire l’accesso alla ”sfera dell’umano” alla libertà libera, all’improvvisazione del desiderio espresso nella fantasia e nell’immaginazione, sempre variabile, incalcolabile, imprevedibile proprio perché non razionale». Laura Palazzani, Sex/gender: gli
equivoci dell’uguaglianza, p. 80.
138 Cfr. Calogero Caltagirone, L’umanità dell’uomo. Sondaggi antropologici tra scienza e filosofia, Edizioni Solidarietà, Caltanissetta 2004, pp. 18-25; Calogero Caltagirone, Il
“discorso” sull’uomo nell’orizzonte antropologico contemporaneo, in «Solidarietà», (2008)
56, pp. 5-37; Calogero Caltagirone, Ri-tessere le relazioni dell’umano. La relazionalità come promozione d’umanità, in «Ho Theológos», (2010) 1, pp. 3-20; Carlo Scilironi, Il volto del prossimo. Alla radice della fondazione etica, EDB, Bologna 1991, pp. 141-159.
139 Cfr. Gilles Deleuze – Felix Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2006.
140 «Le teorizzazioni che ruotano attorno alla categoria “gender” si inscrivono (pur
nelle differenziazioni) nella cornice del pensiero postmoderno: un pensiero antimetafisico,
che riduce la natura a mero fatto contingente in senso materialistico e meccanicistico (la
natura come materia organica estesa in movimento); un pensiero antropologico empirista
che riduce l’individuo a mera pulsionalità e istintualità (non mediata dalla ragione, ma direttamente connessa alla volontà); un pensiero non-cognitivista, che nega la conoscibilità
mediante la ragione di una verità oggettiva nella natura (ritenendo che la verità si riduca
alla percezione empirica della realtà); un pensiero soggettivista, che nega la rilevanza metafattuale della natura per l’essere umano in senso etico e giuridico, dunque nega la rilevanza normativa della natura come ordine (sulla base della “legge di Hume”, non si può
passare dai fatti ai valori e ai diritti), radicando i valori e i diritti direttamente nella volontà individuale (determinata dagli istinti e dalle pulsioni); un pensiero relativista, che a partire dalla negazione dell’esistenza e della conoscibilità di una verità oggettiva nella natura, ritiene che norme e valori siano equivalenti (tutti abbiano pari dignità), sia variabili (di
società in società, di epoca in epoca, di soggetto in soggetto), non siano giustificabili (non
esistendo un criterio oggettivo per poter esprimere un giudizio) e dunque siano e debba-
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frantumazione del senso e dell’orizzonte di significato globale dell’uomo e determina un processo di decostruzione dell’uomo e della sua
comprensione.141 L’identità dell’uomo, così, si dissolve e va trovata nella differenza pensata come originaria, che implica una catena di rinvii
in possibili frammenti di senso che si deducono da molteplici interpretazioni indeterminanti.142 Tale differenza è il molteplice inteso cono essere tutti tollerabili. È questa la cornice teorica postmoderna che porta all’allontanamento dalla natura, a “s-naturare” o “de-naturalizzare” l’uomo e i suoi rapporti intersoggettivi nella società». Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel diritto, pp. 44-45. Di diverso avviso è Olivia Guaraldo, la quale, commentando il pensiero di Judith Butler, scrive che «lottare per la propria vivibilità sessuale, per
poter essere ciò che si vuole, non significa assecondare la postmoderna e tardocapitalistica proliferazione e frammentazione delle identità, bensì sostenere la precarietà della nostra condizione umana – tanto più visibile nel disfacimento dei due generi, maschile e femminile –, ossia darle dignità ontologica, riconoscere in essa una ragione di comunanza, anziché un motivo di differenziazione e di discriminazione. La riflessione di Butler, a partire dalla sua tesi iniziale sull’effetto destabilizzante del travestitismo, può infatti essere letta come la progressiva identificazione di un’ontologia della vulnerabilità che coglie nel
gender il cuore della ‘questione dell’umano’». Olivia Guaraldo, Etica femminista: una rassegna storico concettuale, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro
genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 95. Per Judith Butler, etica e politica devono essere ripensate alla luce di una condivisa vulnerabilità, da parte di una comunità umana non più identificata dall’appartenenza biologica, etnica o culturale, ma dall’universale condizione di dipendenza dalla cura o dall’offesa altrui. «La violenza non è
né una giusta punizione che subiamo, né una giusta vendetta per ciò che abbiamo subito. Al contrario, attesta una vulnerabilità fisica di cui non possiamo sbarazzarci e che non
possiamo risolvere una volta per tutte nel nome del soggetto, ma che può offrirci l’opportunità di comprendere come nessuno di noi sia totalmente delimitato, assolutamente separato, e come si sia invece tutti costitutivamente, epidermicamente, affidati gli uni agli
altri, nelle mani gli uni degli altri, alla mercé gli uni degli altri». Judith Butler, Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006, p. 136.
141 «Lo scenario del Novecento si è allestito su di un progetto di decostruzione dell’uomo o, quantomeno, di alcune sue tipologie quasi a voler sancire, dopo la morte di Dio,
l’inutilità della domanda antropologica». Carmelo Dotolo, Il paradosso della creaturalità:
il contributo dell’antropologia teologica alla identità dell’uomo, in Calogero Caltagirone (a
cura di), Antropologia e «verità» dell’uomo, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2000, p. 264.
142 In questo modo non è possibile stabilire determinatezza alcuna. La différance, che,
è alla base di ogni differenza, «è l’“origine” non-piena, non semplice, l’origine strutturata e differente delle differenze». In essa si dissolve ogni questione circa l’origine, in ragione del fatto che «il nome di origine non le si confà dunque più». Jacques Derrida, La dif-
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me sottrazione di unità. Pertanto, la maschera diventa e si costituisce
come la condizione permanente, ossia la realtà è sottratta e risolta totalmente in immagine, proprio in quanto è differenza.143 L’uomo è considerato come irriducibile molteplicità delle sue immagini. Egli, in fondo, non è che nulla, si aggira tra le rovine dei simulacri infranti, nelle
distese della disseminazione del senso e modula la sua immagine in un
gioco di articolazioni che si consuma nell’apparire tra le dissolvenze
dei significati che ormai stanno oltre. La vita dell’uomo, allora, si risolve in un puro passare continuo, un perenne transito, in un cammino
privo di direzione e si senso, di passato e di futuro, di memoria e di attesa, nel quale «come un ospite molesto l’identità è cacciata anche dall’ultimo suo possibile stare: da quell’umile eppure basilare forma di
identità che è quella spaziale: casa, città, nazione. Si taglia anche questo cordone ombelicale con la famiglia, la tradizione, i valori, per essere radicalmente altri, diversi. I crociati di un tempo, i nomadi di oggi, le formiche, appunto, […] tutte le forme di mettersi nel giro, rispondono, con maggiore o con minore aderenza, a questa prima forma di nichilismo chiamato deterritorializzazione. La deterritorializzazione è la forma corposa dello spaesamento veritativo-assiologico: il
senza patria corrisponde al senza verità e legge».144 Gli unici riferimenti che rimangono sono il sentire emotivo, il gusto, la qualità della soddisfazione, la capacità fisica di sopportazione come unico limite di una
férance, in Jacques Derrida, Margini della filosofia, Einaudi, Torino 1997, p. 39. Tale differenza provoca la “disseminazione” del senso, da sempre iscritta in ogni aspettativa di
fruttificazione, nella quale, non essendo più riconducibile ad un principio di realtà, il senso dell’uomo è abbandonato a un principio di “piacere dispersivo”, che, avendo un rapporto necessario con il godimento e la pulsione di morte, configura l’umano, in mancanza di un principio ordinatore, come una serie di innesti, ibridazioni, di formazioni proteiche non definibili e identificabili. Cfr. Jacques Derrida, La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989; Jacques Derrida, Posizioni, Bertani, Verona 1975. Cfr. Ubaldo Fadini Configurazioni antropologiche. Esperienze e metamorfosi della soggettività moderna, Liguori, Napoli 1991; Soggetti a rischio. Fenomenologie del contemporaneo, Città Aperta, Troina (En)
2004; Il futuro incerto. soggetti e istituzioni nella metamorfosi del contemporaneao, Ombre
Corte, Verona 2013.
143 Cfr. Gianni Vattimo, Il soggetto e la maschera, Bompiani, Milano 1974.
144 Italo Mancini, Il pensiero negativo e la nuova destra, Mondadori, Milano 1983, p. 20.
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vita vissuta senza ragioni e l’umano è ridotto ad un gioco pirotecnico
di pulsioni e bisogni che atomizzano l’esistenza individuale e collettiva. L’esistenza viene considerata come incessante e libera produzione
di bisogni e di desideri che liberano in maniera disorganica l’intenzionalità corporea finalizzata alla seduzione e allo sfruttamento dell’altro.
In tale forma, si celebrano la corporeità, i liberi impulsi e la forza del
desiderio, mentre l’esaudimento dei bisogni diventa la regola suprema
dell’azione. Liberare i propri impulsi, scrollarsi di dosso le arrugginiti
e scheletriche impalcature delle leggi e delle norme sociali tradizionali, significa andare oltre ogni ideale, arrivare alla gioia totale del corpo.
Questa condizione trova forma concreta nello sperimentalismo etico.
Il principio del “tutto è possibile” diventa la norma del vivere umano,
e la coscienza dell’uomo si viene a costituire come una continua sperimentazione di vita. Si abbandona l’ordine logico preformato per adottare criteri di giudizio e di valutazione che si esercitano improvvisamente al momento opportuno. Si tratta, in altri termini, di una razionalità immanente all’azione medesima. In questo modo, l’individuo resta sradicato dal passato e non orientato al futuro, sicché privo di memoria e di attesa si risolve in un consumo perennemente sperimentale del presente, in un continuo transito e nomadismo identitario,145 in
145 È questo il tratto tipico che caratterizza le teoriche del post-umano, le quali ipotizzano, tramite lo sviluppo delle biotecnologice, la trasformazione dell’umanità in transumanità che, caratterizzata dall’artificialità, si pone l’obiettivo di creare e plasmare la realtà umana a immagine e somiglianza dei fini scelti dalle persone. Per Donna Jeanne Haraway, «l’individuo è un incidente obbligato, e non il più alto frutto delle fatiche della storia della terra». Donna Jeanne Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, p. 158. Questo perché «la differenza tra macchina e organismo è completamente offuscata». Ibidem, p. 61. E ciò in ragione del fatto che «i corpi non nascono; si
fanno […]. Organismo non si nasce. Gli organismi si fanno». Ibdem, p. 142. Infatti, «tutti i possibili testi e corpi sono assemblaggi strategici, cosa che rende estremamente problematiche le nozioni di “organismo” e “individuo” […]. “Organismo” e “individuo”
[…] sono stati completamente denaturati, cioè sono diventati costrutti ontologicamente
contingenti, anche dal punto di vista del biologo». Ibidem, p. 158. Pertanto «si può ragionevolmente pensare a qualsiasi oggetto o persona in termini di montaggio e riassemblaggio. Nessuna architettura “naturale” vincola la progettazione del sistema […]. Ciò che
conta come “unità”, come uno, è altamente problematico, non è un dato permanente».
Ibidem, 147. Cfr. Antonio Caronia, Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Theoria, Roma-
72
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
cui «il nulla etico non è che un ulteriore prolungamento del nulla conoscitivo: è la piena consapevolezza che la decostruzione di ogni apriori trascina con sé ogni senso e ogni significazione: dunque anche il mondo delle norme e dei valori».146
Non potendo privilegiare alcun modello paradigmatico, per questa prospettiva riflessiva, che intende «contrappore una forma appassionata di post-umanesimo, basata sull’etica nomade femminista»,147
si tratta di mettere in campo i concetti di identità mutanti,148 vagabondaggio ontologico, nomadismo metamorfico, che veicolano le categorie postmetafisiche di multindividuo, destrutturazione, coniugazione
transitiva, le quali propongono una prospettiva ontologica aperta all’ibridazione, provocatoriamente espressa nella locuzione freakink out,
ossia il farsi mostro, che «diviene metafora del processo ontogenetico», in cui «il divenire ha un valore in sé e il corpo stesso è inteso come confusione» e «l’identità diviene un processo arbitrario e la mutazione è la recettività dell’alterità».149 Un progetto che consiste nell’«elaborazione accurata di precise cartografie per le differenti posizioni dei soggetti come trampolino di lancio verso la ricomposizione poNapoli 1985; Nicholas Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995; Roberto Terrosi, La filosofia del postumano, Costa & Nolan, Genova 1997; Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2002; Giuseppe O. Longo, Homo technologicus, Meltemi, Roma, 2001 (2^ediz. 2005); Giuseppe O.
Longo, Il simbionte: prove di umanità futura, Meltemi, Roma, 2003; Mariangela Figiani –
Vera Gessa Durotschka – Elena Pulcini, Umano, post-umano. Potere, sapere, etica nell’età
globale, Editori Riuniti, Roma 2004; Ignazio Sanna (ed.), La sfida del post-umano. Verso
nuovi modelli di esistenza?, Studium, Roma 2005; Pietro Barcellona – Fabio Ciaramelli (a
cura di), Apocalisse e post-umano, Dedalo, Bari 2007; Pietro Barcellona, L’epoca del postumano, Città Aperta, Troina 2007; Paolo Augusto Masullo, L’umano in transito. Saggio di
antropologia filosofica, Edizioni di Pagina, Bari 2008.
146 Carlo Scilironi, Il volto del prossimo. Alla radice della fondazione etica, p. 98.
147 Rosi Braidotti, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità, p. 35.
148 Cfr. Rosi Braidotti, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità; Rosi
Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, Sossella, Roma 2002; Francesco Alfano Miglietti, Identità mutanti. Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, Bruno Mondadori, Milano 2004.
149 Michele Farisco, Transizionalità ed eteroriferimento. La cultura come problema dell’alterità nel postumanesimo, in Libertà e dialogo tra culture, a cura di Mario Signore – Giulio Scarafile, Messaggero, Padova 2007, p. 252.
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stumana di un legame cosmopolita pan-umano»,150 ripensando al contempo «i principi fondamentali della nostra interazione con altri agenti umani e non umani su scala planetaria».151 Quello che accade, però, è che «negando la realtà del corpo quale dato di natura irriducibile a una produzione culturale, le teorie del genere finiscono per consegnare il soggetto alle forze sociali, ai loro rapporti di potere e ai loro imperativi culturali (compresi quelli che comandano la distruzione
delle forme sociali stesse)»,152 e mettono definitivamente in crisi la realtà e il valore delle differenze costitutive dell’identità relazionale degli umani.
4. La «differenza sessuale» risorsa alternativa
alla liquefazione del gender
Tuttavia, dinanzi alle aporie presenti nella letteratura delle gender
theories, la ripresa del pensiero della differenza sessuale e dei suoi guadagni teorici consente di cogliere all’interno del pensiero femminista
delle risorse interpretative e delle coordinate significative che possono
aiutare a rideterminare il senso del maschile e del femminile al di là
delle liquefazioni cui sono sottoposti. Tale ripresa se, da una parte,
consente di distanziarsi sia «dalla comprensione del rapporto tra la dimensione culturale e la dimensione naturale dell’essere donne o uomini, che spesso si accompagna a quella elaborazione», sia di tenersi alla
larga dalla «concezione dell’essere donna o uomo che si esprime attra150 Rosi Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma 2014, p. 60.
151 Ibidem, p. 11.
152 Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, p. 386. «Se infatti si considera l’essere umano come esclusivamente sottomesso alle costruzioni sociali, si nega da una parte il suo radicamento in un
corpo, e quindi la sua capacità di fare esperienze non rette da recite e copioni; dall’altra
si nega anche la possibilità che egli prenda distanza rispetto ai propri vissuti e alle pressioni sociali assegnando loro un senso e articolando i dati raccolti dal vissuto con i significati ad essi attribuiti». Ivi.
74
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verso il linguaggio del ‘genere’ e della ‘differenza di genere’ [...], secondo cui il compito del lavoro teorico è determinare i contenuti (siano essi di origine naturale o culturale) dei predicati ‘essere donna’ e
‘essere uomo’, o magari dei concetti ‘Maschile’ e ‘Femminile’»,153 dall’altra, oltre a permettere «di produrre spostamenti teorici e pratici e
dunque nuovi modi di tagliare antiche questioni o differenti impostazioni per affrontare sfere esperienziali»,154 legittima l’identificazione
della differenza come un «inaggirabile»,155 in ragione del fatto che essa «è una questione che interroga l’umana capacità e propensione a
elaborare l’esperienza al fine di rispondervi intellettualmente e praticamente».156 In quanto tale, la differenza sessuale interroga, differentemente, appunto, gli uomini e le donne nella loro singolarità nella pro153
Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione,
in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, pp.
4-5.
154 Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Prefazione, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. XIV.
155 «L’inaggirabile non è l’innegabile, cioè quello che non può essere negato perché
la negazione che tentasse di investirlo si troverebbe per ciò stesso a investire almeno una
delle proprie condizioni di possibilità e di riuscita. [...]. In generale, l’inaggirabile è ciò
che non si lascia aggirare da nessun atteggiamento, non solo da quelli che esplicitamente
progettano di toglierlo, ma anche da quelli che sembrerebbero del tutto indipendenti e
indifferenti a esso: quale che sia il modo in cui ci si dispone praticamente e intellettualmente in una data situazione, si è comunque presa posizione e ci si è disposti, non importa se con consapevolezza o meno, in relazione a quel che è inaggirabile». Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, pp. 34-35. Inaggirabile, in altri termini, indica l’imprescindibilità dell’essere delle determinazioni antropologiche. «Con essenziale e originario differire, intendo dire che per le donne l’essere sessuate nella differenza è qualcosa di imprescindibile: è, per ciascuna che si trova a nascere donna, un da sempre già dato e non altrimenti, che si radica nel suo essere donna non come
un che di superfluo o un di più, ma ciò che necessariamente è: appunto donna». Adriana Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in Maria Cristina Marcuzzo – Anna Rossi-Doria (a cura di), La ricerca delle donne. Studi femministi in Italia, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp. 180-181. Ovviamente il discorso vale anche per gli
uomini.
156 Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione,
in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p.
48.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
spettiva di una comprensione della comune umanità del loro essere
maschile e femminile che è attraversata dall’elaborazione simbolica di
due corporeità diverse e irriducibili.157 Ciò può determinare la possibilità di pensare la differenza sessuale, in primo luogo, «come orizzonte di senso e principio di produzione simbolica», in secondo luogo,
«come un disporsi al modo radicato nel corpo, nel punto di intersezione, sempre singolarmente elaborato, fra biologico e simbolico, fra
corpo vissuto e flusso intenzionale»,158 determinando concretamente
«l’intreccio fra corpo e parola, sentire e pensare, dato empirico e competenza simbolica».159 Questo vuol dire che l’identità del maschile e
del femminile e la loro identità sessuale si costruisce, allora, nella «ricerca di armonia tra la componente fisica, psichica e sociale, come ricerca di corrispondenza tra nascita, percezione interiore e ruolo sociale, nell’accettazione del limite del corpo e del corpo come limite».160
Nella sua originarietà irriducibile e inaggirabile, appunto perché inscritta in un corpo ed essendo parte della struttura antropologica fondamentale dell’umano, la differenza sessuale, nel porre il problema di
comprendere come differiscono uomini e donne e come possono tra
157 «La differenza sessuale è quella che si osserva nei corpi degli umani (e di tanti animali) per cui uno si dice maschio e l’altro femmina. Il luogo più vistoso della differenza
sessuale sono i genitali, ma in realtà si vede bene, e si sa sin da bambini, che tutto il corpo di un maschio e tutto il corpo di una femmina recano tracce della differenza, dove profonde e dove meno. Questo differire dei corpi si può e si deve certamente distinguere dal
differire del gender, ossia dalla maniera in cui un essere umano vive e coltiva la propria
identità di genere». Carmelo Vigna, Sul maschio e sulla femmina umani. Contro la ‘liquefazione del gender’: alcune costanti, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di
un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 65.
158 Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Prefazione, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. XVII.
159 Susy Zanardo, Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso, in «Aggiornamenti sociali», maggio 2014, p. 387. «Pensare a partire dalla propria differenza sessuale
significa innanzitutto pensare senza applicare irriflessivamente procedure che, presentandosi come neutralizzanti, promettono di garantire l’oggettività dello sguardo e invece, semplicemente, bloccano anzitempo la radicalità dell’interrogazione appunto dichiarando la
non necessità per essa di prendere in carico la differenza sessuale». Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. 15.
160 Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, p. 114.
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loro relazionarsi, si presenta, allora, «come il compito per gli uomini e
per le donne di significare e risignificare le loro esperienze e le figure
intorno a cui queste si coagulano, in modo libero».161 Impegno che è
strettamente connesso con l’umana capacità di interpretare, elaborare
e tematizzare l’esperienza umana concreta degli uomini e delle donne
e, quindi, di indicare che l’essere uomo e l’essere donna sono strutturalmente iscritti nella grammatica dell’umano come determinazioni
fondamentali dell’antropologico.162
In rapporto a queste considerazioni è possibile rilevare che il pensiero della differenza alla frammentazione del sé postmoderno oppone una concezione di sé cui «è sempre necessario l’altro: non però un
altro come categoria generale, bensì un altro o un’altra che sono sempre qualcuno, altrettanti sé, unici e irripetibili, in carne ed ossa, presenti ora e qui».163
Per Luce Irigaray, una delle teoriche più influenti del pensiero della differenza sessuale, considerata la fondatrice di tale orientamento, e
sicuramente punto di riferimento costante del pensiero della differen161 Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione,
in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, pp.
17-18.
162 Questo significa che per l’umano «la determinazione sessuale (cioè l’esser uomo
o donna) non è una sua caratteristica contingente, cioè una che costui o costei avrebbe
potuto non avere pur continuando ad esistere. La determinazione sessuale è ‘fondamentale’ nel senso che non è contingente». Riccardo Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini.
Il significare della differenza, p. 24. Dato che la sessuazione non è una variabile, in quanto l’essere sessuati è «ben altro che indossare un vestito» (Carmelo Vigna, Sul maschio e
sulla femmina umani. Contro la ‘liquefazione del gender’: alcune costanti, in Paola Ricci
Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di
Etica 5/2008, p. 66), «se l’esser sessuato è – per un essere umano qualsiasi – una costante, mentre è variabile l’esser maschio o femmina, per un singolo essere umano l’esser maschio o femmina è una costante. In altri termini dato un essere umano singolare, il suo esser maschio (o il suo esser femmina) è una condizione che sempre lo accompagna. Perciò
è da dire con sufficiente fondatezza che, quando si muta artificialmente la condizione di
maschio o di femmina di un essere umano determinato, si muta una sua costante». Ibidem, p. 68.
163 Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, Adriana Cavarero – Franco Restaino, Le filosofie femministe, p. 161.
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MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
za sessuale italiano,164 mettendo in correlazione il tema della crisi del
soggetto razionale con l’elaborazione della soggettività femminile, a
partire dalla natura sessuata dell’umano,165 e conducendo «una difesa
appassionata e una analisi persuasiva della dualità originaria, nella convinzione che non possa darsi umanità che non sia originariamente attraversata dall’elaborazione simbolica di due corporeità diverse e irriducibili»,166 la differenza sessuale è un dato originario irriducibile. La
differenza sessuale, come differenza prima e naturale degli esseri umani, per Luce Irigaray, è iscritta nei corpi come ricchezza e non man164 Il femminismo italiano ha assunto «il pensiero filosofico di Luce Irigaray come riferimento autorevole». Luisa Muraro – Chiara Zamboni, Appendice. Cronaca dei fatti principali di Diotima, in Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano
1987, p. 182. La comunità filosofica femminile Diotima nasce presso l’Università di Verona nel 1983, per iniziativa di donne interne ed esterne all’università, con l’intento di «essere donne e pensare filosoficamente». La riflessione filosofica di Luce Irigaray e il dibattito teorico e politico del movimento delle donne, in particolare il femminismo della differenza, costituiscono i riferimenti fondamentali per il lavoro di Diotima. «Fare diotima»
significa realizzare molte e diverse attività, quali la cura per le relazioni, incontri, seminari, convegni, viaggi per incontrare altre donne e altre riflessioni, semestrali «ritiri» di discussione con ospiti amiche, attività legate all’insegnamento universitario, come il laboratorio tesi di laurea, e a insegnamenti in altri luoghi non accademici. Tra le varie attività ha
un particolare rilievo il cosiddetto «grande seminario» annuale, dal quale hanno avuto seguito diverse pubblicazioni. Cfr. Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987; Diotima, Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990; Diotima, Il cielo stellato dentro di noi. L’ordine simbolico della madre, La Tartaruga, Milano
1992; Diotima, Oltre l’uguaglianza: le radici femminili dell’autorità, Liguori, Napoli 1995;
Diotima, Approfittare dell’assenza: punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli
2002; Diotima, La magica forza del negativo, Liguori, Napoli 2005; Diotima, L’ombra della madre, Liguori, Napoli 2007; Diotima, La festa è qui, Liguori, Napoli 2012.
165 «Sono una donna. Sono un essere sessuato femminile. Sono sessuata al femminile. Il motivo del mio lavoro risiede nell’impossibilità d’articolare un enunciato come questo; nel fatto che la sua produzione è per certi versi insensata, sconveniente, indecente.
Vuoi perché donna non è mai attributo di essere né sessuato femminile qualità di essere,
vuoi perché sono una donna non si predica mai di io, vuoi perché io sono sessuata esclude il genere femminile». Luce Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, p. 123.
166 Susy Zanardo, Irigaray: la passione della differenza, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. 164. «Maschile e femminile
non sono in alcun caso l’inverso o il contrario l’uno dell’altro. Essi sono differenti. Questa differenza che sta fra loro è forse la più impensabile delle differenze: la differenza stessa». Luce Irigaray, La via dell’amore, p. 73.
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canza, evidente nell’incarnazione e nella percezione di ogni vivente.
Questo comporta che, nella differenza sessuale i soggetti umani, maschili e femminili, hanno un rapporto orizzontale, preservano la specie
umana e ne sviluppano la cultura attraverso il rispetto delle loro differenze.167 Ciò vuol dire che, per Luce Irigaray, la differenza sessuale è la
forza delle società che sono costituite da una molteplicità di differenze,
linguistiche, religiose, culturali e politiche, le quali tutte si basano sulla
differenza sessuale, che è la differenza basilare da considerare per poi
potere considerare tutte le altre.168 Infatti, solo rispettando questa base, tutte le altre differenze, soprattutto in una cultura come quella contemporanea in cui le differenze sono l’identità degli individui, potranno essere rispettate a loro volta. Per Luce Irigaray la differenza sessuale è il conoscersi, l’appropriarsi delle proprie caratteristiche e, nel rispetto di esse, delle proprie e di quelle degli altri. Infatti, poiché né l’uomo né la donna possono rappresentare da soli la totalità della natura,
Luce Irigaray spiega che la donna ha un differente sviluppo sessuale autonomo rispetto l’uomo, necessita di un linguaggio che lo determini, ha
bisogno di crearsi un’identità culturale che la rappresenti totalmente,
configurare un proprio universo simbolico, dato che il mondo e il simbolico sono costituiti da uomini e da donne e il corpo umano e il pensiero sono sessuati. Per questo motivo, a giudizio di Luce Irigaray, è necessario, quindi, riprendere il discorso filosofico al fine di creare una
doppia dialettica che consenta una vera relazione fra i sessi, per mezzo
della creazione di una dialettica femminile che tenga conto della donna, della sua natura e della sua cultura.169 Rispetto al soggetto neutro e
167 Cfr. Luce Irigaray, La democrazia comincia a due, pp. 115-116.
168 «La differenza fra le culture comincia con la differenza fra i sessi. Gli uomini e le
donne non hanno solo un corpo differente ma un modo proprio di essere in relazione con
se stessi, con l’altro, con il mondo. Gli uomini e le donne sono differenti non solo a causa
della biologia o di stereotipi sociali, ma perché hanno un’identità relazionale specifica che
assicura un’articolazione fra natura e cultura propria di ciascun sesso. Si può dire che il
multiculturalismo comincia qui». Luce Irigaray, Oltre i propri confini, p. 22. Ciò spiega perché, per Luce Irigaray, «la differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema
che la nostra epoca ha da pensare». Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, p. 11.
169 Attraverso l’analisi del celebre discorso di Diotima nel Simposio di Platone, Luce
Irigaray scrive che l’insegnamento di Diotima è molto dialettico, «ma di una dialettica dif-
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impersonale dell’imparzialità scientifico-conoscitiva, alle cui spalle si
cela un maschile egemonico, nel proporre il riconoscimento della differenza, a cominciare da quella tra i due sessi, oltre a mettere in discussione il neutro come strumento linguistico ed epistemologico di un maschile che nega il femminile, annettendolo a un concetto generico di
umanità che, in realtà, solitamente viene pensato nelle forme specifiche del genere maschile,170 il pensiero della differenza, con la sessuazione del discorso, definisce una strategia di sottrazione delle donne
all’ordine simbolico patriarcale e cerca di costringere gli uomini alla
parzialità, di spingerli a rientrare nel proprio genere, ritirandosi dall’occupazione simbolica di tutto il pensabile.171 Pertanto, bisogna procedere alla decostruzione di tali linguaggi, per edificare un nuovo linguaggio che sia il frutto di uno sguardo non neutrale, ma differente,
riscoprendo e ricostruendo genealogie femminili, che consistono in legami al femminile di riconoscimento verticali, dati dai rapporti con la
madre, che costituisce l’ordine simbolico materno, il quale, raffigurando simbolicamente la mediazione sessuata, modella e rimanda agli altri rapporti con le donne, e orizzontali, dati dai rapporti di «sororità»
i quali consentono che il simbolico circoli tra le donne, rendendole capaci di dire e di pensare la loro comune esperienza e la loro comune
posizione nel mondo. Sotto questo profilo, compito del linguaggio della differenza è quello di riuscire a manifestare la differenza stessa, pensata come orizzonte di senso, che le donne sono chiamate ad elaborare, spezzando il silenzio a cui è stata relegata la parola del femminile.172
ferente da quella che solitamente noi chiamiamo dialettica. Esso infatti non fa passare il
primo termine, per opposizione, nel secondo arrivando a una sintesi dei due come in Hegel». Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, p. 22. Il metodo di Diotima, continua
Luce Irigaray, «non è una propedeutica della distruzione o destrutturazione dei due termini per stabilire una sintesi che non è né l’uno né l’altro. Ella pone, scopre, svela l’insistenza di un terzo sempre presente che permette la progressione». Ivi.
170 «L’inferiorità sociale delle donne si rinforza e si complica per via che la donna non
ha accesso al linguaggio, se non mediante dei sistemi “maschili” di rappresentazione i quali
la spogliano del rapporto con se stessa e con le altre donne. Il “femminile” si determina sempre e soltanto con e per il maschile». Luce Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, p. 69.
171 Luce Irigaray, Parlare non è mai neutro, pp. 279-305.
172 «È indispensabile elaborare una cultura del sessuale, che ancora non esiste, nel rispetto dei due generi». L. Irigaray, Io tu noi, p. 12.
80
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Tuttavia, affinché l’opera della differenza sessuale abbia luogo, è necessaria una reinterpretazione dell’intero pensiero e delle relazioni tra
il soggetto ed il discorso, tra il soggetto ed il cosmo.173 Da questo punto di vista, l’io, il soggetto, l’uomo, ossia i tradizionali concetti della filosofia, non possono più essere pensati come un’unità, ma devono essere posti come una dualità. Ciò implica, per Luce Irigaray, che bisogna ripartire dal dato di fatto che «il soggetto è due non uno»,174 dalla necessità di porre a fondamento dell’ordine simbolico il due al posto dell’Uno.175 Un ordine, cioè, che si fonda sull’incontro di un uomo e di una donna che si rispettano nella loro irriducibile differenza.176 Secondo questa visione, la differenza sessuale diventa, al contempo, principio di simbolizzazione femminile e apertura di uno scarto fra
uomini e donne. Il riconoscimento del proprio limite carnale, in quanto non copre il tutto dell’essere umano, e dell’intrascendibilità dell’altro, che non potrà mai essere catturato nell’orizzonte dell’io, introduce la passione dell’ammirazione tra uomini e donne e crea le condizioni per l’incontro con l’altro sesso.177
Per superare le aporie presenti nel linguaggio, che si riflette nel dominio maschile, secondo cui esiste l’universale maschile e il particolare
173 «Perché abbia luogo l’opera della differenza sessuale occorre, è vero, una rivoluzione di pensiero, e di etica. Tutto è da reinterpretare nelle relazioni tra il soggetto e il discorso, il soggetto e il mondo, il soggetto e il cosmo, il micro e il macrocosmo. Tutto; e
per cominciare che il soggetto si è sempre scritto al maschile, benché si pretendesse universale o neutro: l’uomo». Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, p. 12.
174 Luce Irigaray, La democrazia comincia a due, p. 20.
175 «Adempiere la rivoluzione, che va dall’affermazione di sé come altro al riconoscimento dell’uomo come altro, rappresenta il gesto che permetterà in seguito di rispettare
tutte le diverse modalità dell’alterità senza autorità né gerarchia, che si tratti di razza, di
età, di cultura, di religione ecc. Sostituire il due all’uno della differenza sessuale rappresenta dunque un gesto filosofico e politico decisivo, quello che rinuncia a essere uno o
molteplice per scegliere il due come fondamento necessario di una nuova etica, di una nuova politica nella quale l’altro si trova riconosciuto come altro e non come un medesimo:
più grande, più piccolo, al meglio uguale a me». Luce Irigaray, La democrazia comincia a
due, p. 124.
176 Luce Irigaray, La democrazia comincia a due, p. 29.
177 Cfr. Susy Zanardo, Irigaray: la passione della differenza, in Riccardo Fanciullacci
– Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. 184.
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femminile, a giudizio di Luce Irigaray bisogna rivedere il rapporto tra
madre e figlia, dal complesso di Edipo fino al suo superamento, affinché la bambina si affermi e acquisisca personalità, perché solo ricostruendo l’esperienza relazionale originaria con la madre, si può cominciare a
decostruire l’ordine patriarcale e andare oltre. Solo così si può arrivare
a costruire un linguaggio che rappresenti e identifichi la donna, nella sua
differenza specifica, grazie al quale può autosignificarsi e attribuire valori alla propria soggettività femminile, non più esclusivamente limitata
a ruoli prettamente riproduttivi, cui l’ha sempre relegata la società patriarcale, ma riconosciuta nella sua specularità nella bivalenza maschilefemminile dello sviluppo umano. In questo modo, per Luce Irigaray, la
relazione materna è il luogo di partenza su cui costruire una cultura femminile, creare una sintassi femminile che aiuti le donne a dialogare tra
loro con propri vocaboli e significati, così da rovesciare completamente
il modello femminile della società patriarcale e sostituirlo con un femminile vero. Il corpo materno è il luogo privilegiato dell’origine fisica e
simbolica e insieme della differenziazione, da cui occorre partire per ripensare la relazione genealogica materna, il legame senza parole delle
donne con la madre e fra loro. Da sempre interdetta e insondata, la relazione madre-figlia è prototipo del conflitto fra donne, e insieme del
vincolo appassionato che le lega fra loro. Una nuova relazione della figlia con la madre, sottratta alla gelosia e alla rivalità cui la condannava
la logica edipica, secondo cui la figlia è costretta ad abbandonare la propria madre per essere ammessa nel mondo del padre, consente, secondo il parere di Luce Irigaray, di scoprire nuove forme di comunicazione delle donne fra loro, e assegna a madre e figlia, unite come donne, il
compito rivoluzionario di sottrarsi al regno del padre.178 A differenza di
Freud, il quale sostiene la fattualità-necessità del distacco traumatico del178 In accordo con il pensiero di Luce Irigaray, Luisa Muraro, tra le principali esponenti del pensiero femminista italiano, sviluppa originalmente la relazione figlia-madre e
l’ordine simbolico rivoluzionario che la lingua materna, appresa nella relazione primaria
con la madre e capace di tenere insieme quel che la cultura separa, corpo e parole, esperienza e linguaggio, produce. Praticare nella vita adulta la relazione madre-figlia vuol dire sostituire all’avversione per la madre, insegnata dalla cultura maschile, la consapevolezza del privilegio, che non è del figlio, di essere nata dello stesso sesso del primo oggetto
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la bambina dalla madre,179 Luce Irigaray afferma che l’amore della bambina per la madre si colloca nel riconoscimento di sé come essere sessuato al femminile e non, come afferma Freud, nell’economia libidica
maschile. Nel restituire alla figlia la sua prima iscrizione nell’ordine simbolico femminile, Luce Irigaray crea le condizioni per potere simbolizzare quella primaria relazione e renderla disponibile al fine di stabilire
un percorso femminile segnato dalla costruzione di proprie forme simboliche e, conseguentemente, del farsi soggetto della donna, impegnata
«ad assumere su di sé il senso del proprio spazio, il senso del proprio
tempo e il senso del limite».180 Da questo punto di vista, la relazione con
la madre è il fondamento di una «nuova etica», cioè di una relazione
«qualitativa» tra donne che rende pensabili le differenze tra loro non in
termini di ostilità e competizione assegnategli dal patriarcato, bensì di
un rafforzamento di consapevolezza di sé e d’identificazione positiva con
il proprio sesso. Vedere nella differenza sessuale delle donne un simbolico comune non significa negare le loro individuali differenze, ma individuare un luogo femminile in cui il riconoscimento delle differenze diventi ricchezza e non dispersione. In questo senso, per ritrovare se stesd’amore, e la gratitudine per lei e per le altre donne che ne proseguono l’opera. Si sottrae
così l’esperienza femminile alla norma maschile, permettendole di esprimere l’attaccamento per la matrice della vita. Riconoscere la genealogia, riconoscere, cioè, l’essere figlia di
una madre che a sua volta è figlia di un’altra madre, riconoscere, appunto, l’apporto di
sapere di altre donne che sono venute prima di ciascuna è fondamentale, per Luisa Muraro, affinché il partire da sé, dalla propria esperienza non precluda, chiudendolo nella
settorialità delle rivendicazioni, lo sguardo su tutto il mondo e venga meno, quindi, la dimensione politica del pensiero della differenza sessuale. La riconoscenza verso la madre
è il primo atto di un guadagno di significato di sé nel mondo. A giudizio di Luisa Muraro, saper amare la madre fa ordine simbolico, poiché lo restituisce l’autentico senso dell’essere, per cui riabilitare la madre significa riabilitare la funzione materna come funzione generativa, non solo riproduttiva. Ciò significa che all’origine del sé del linguaggio non
ci può essere il nulla, poiché ciascuno e sempre «nato» e la nascita rinvia al principio materno in quanto essere nati è sempre essere nati da una donna. Cfr. Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991.
179 «Il distacco avviene all’insegna dell’ostilità, l’attaccamento alla madre finisce in
odio». Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi, in Sigmund Freud, Opere, XI, Boringhieri, Torino 1979, p. 228.
180 Chiara Zamboni, Luce Irigaray: da Speculum ad Etica della differenza sessuale, in
Aa.Vv., Il filo di Arianna, Letture della differenza sessuale, Utopia, Roma 1987, p. 74.
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se e la loro dimensione, le donne devono essere in grado di elaborare
una doppia interpretazione della realtà dove il genere maschile e femminile abbiano il loro spazio inviolabile da rispettare. L’identità sessuata si coglie nello spazio di un’intersoggettività originaria che è resa possibile a partire «dalla realizzazione del desiderio tra la donna e l’uomo
nel rispetto l’uno dell’altra»,181 il quale fa sì che il nuovo soggetto diventi un «noi» che, vincendo la tentazione del neutro, iscrive l’unità dell’uomo e della donna in una relazionalità fondamentale nella quale ciascuno realizza la propria specificità passando per la mediazione dell’altro.182
Da queste considerazioni è possibile rilevare che la differenza sessuale è
originaria e, in quanto tale, afferma Luce Irigaray, «è la base reale, vivente e dinamica di ogni relazione umana».183 La differenza sessuale, essendo una differenza relazionale, articola l’empirico e il trascendentale
in ogni essere umano, perché attraverso il corpo, i suoi vissuti, l’apertura relazionale a tutto ciò che è, «uomini e donne non sono [...] condannati all’estraneità, anzi sono destinati in generale all’amicizia e in casi de181 Luce Irigaray, Amo a te. Verso una felicità della storia, p. 139.
182 «In tutto il mondo siamo sempre in due, scrive la filosofa, sì che la neutralizzazio-
ne della differenza, tanto nel concetto di uguaglianza, quanto nella forma dell’isolamento in comunità di uno stesso genere, trascura che l’essere umano è maschio e femmina e
che ognuno di noi proviene da una madre e da un padre, portando in sé la destinazione
all’altro genere. L’uomo e la donna formano così un’unità di comunicazione etica in cui
ciascuno realizza la propria specificità passando per la mediazione dell’altro genere, ovvero passando per quello che egli/ella non è. È l’irriducibilità dell’altro (la sua “trascendenza orizzontale”), in tutte le sue componenti, nel vissuto corporeo come nell’ordine della significazione intenzionale, a rappresentare la condizione per l’apertura e il rilancio del
desiderio: egli resta, per l’intrascendibilità sua, la causa finale del mio movimento (e non
già l’oggetto di un mio bisogno, vale a dire la sua causa efficiente). Egli è sempre dinnanzi a me e attrae il mio desiderio, la cui corsa non si satura che per piccoli scampoli di esperienza. Se è l’altro a farlo muovere, ebbene, l’altro più radicale, il primo altro, quello che
tiene per sempre aperto il desiderio è per l’appunto l’altro sessuato. Se quindi, in un primo momento, l’elaborazione della forma simbolica femminile era consentita soprattutto
attraverso la mediazione dell’altra, in particolare della madre, ora, in un tempo in cui le
donne hanno acquisito la capacità di significarsi autonomamente, esse sono chiamate a
elaborare la “potenza del negativo” che opera tra sé e l’uomo». Susy Zanardo, Irigaray: la
passione della differenza, in Riccardo Fanciullacci – Susy Zanardo, Donne, uomini. Il significare della differenza, p. 187.
183 Luce Irigaray, Oltre i propri confini, p. 68.
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terminati alla vita in comune, sino alla condivisione preziosa dell’intimità sessuale».184 Da questo punto di vista, allora, il genere, oltre ad essere un codice binario, maschile e femminile, è anche un codice relazionale, il quale indica che l’uomo e la donna non possono definirsi a partire «dalla complementarietà o dal ruolo, né dalla sola struttura biologica che li determinano come individui ma dall’insieme relazionale che li
costituisce nel loro essere tra-termine reciproco di reciproche alterità.
L’identità personale, cioè, non può essere unilateralmente definita, bensì è il risultato di un insieme complesso di relazioni e circostanze, al cui
interno la differenza sessuale diviene un fattore essenziale anche se non
esclusivo».185
Ciò significa che per cogliere la portata antropoetica delle sfide che
la liquefazione del gender pone all’identificabilità dell’umano nelle sue
strutture antropologiche fondamentali, è necessario fare riferimento a
una comprensione relazionale del maschile e del femminile, improntato alla reciproca personalizzazione e che implica la definizione dell’identità attraverso e con la relazione,186 non per negazione dialettica,
ma per «relazionamento» ad una alterità.187
184 Carmelo Vigna, Significare la differenza? (Una messa a punto), in Calogero Caltagirone – Cettina Militello (a cura di), L’identità di genere. Pensare la differenza tra scienze,
filosofia e teologia, p. 108.
185 Calogero Caltagirone, La reciprocità maschio-femmina tra neuroscienze, antropologia e teologia.Per un nuovo paradigma antropoteologico dell’identità di genere, in Calogero
Caltagirone – Cettina Militello (a cura di), L’identità di genere. Pensare la differenza tra
scienze, filosofia e teologia, p. 137.
186 «L’essere umano infatti non entra in relazione, ma è in sé “entità relazionale”, determinato da fitti legami, modulati nell’intreccio di dati naturali e di forme culturali. La ridefinizione ontologica dell’ordine duale consente inoltre di ricostruire la trama etica delle
relazioni umane e maschili e femminili, non più disposte in contrapposizione o colte come
portatori di pacchetti di valori alternativi, tradizionalmente classificabili come ‘femminili’ (la
cura, la disponibilità, ecc.), da opporre a quelli ‘maschili’ (il potere, la forza, ecc.). Sarà invece il soggetto, inteso come ‘entità relazionale’ che, nel difficile e possibile intreccio di identità personale e di differenza di genere, produce lo spazio dell’etica, delle norme generali,
dei valori universali, delle decisioni, entro cui ritrovarsi come persone morali, produttori del
senso della responsabilità e della giustizia». Paola Ricci Sindoni, Natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza tra i due sessi, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna
(a cura di), Di un altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 47.
187 «Si tratta dunque di una semantica d’articolazione relazionale, ovvero l’integra-
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Dato che l’essere specifico della soggettualità maschile e femminile, si realizza solo nella crescente reciprocità del loro essere reciproci
e la reciprocità costituisce il “tra-termine” in cui si conciliano senza essere annullati uguaglianza e differenza, in alternativa alle teoriche delle gender theories «occorre pensare la reciprocità per mettere in moto
lo statico meccanismo delle opposizioni. L’unità originata da tale reciproca trascendenza di differenze non può essere l’universale astratto, ma il fecondo co-originario dialogo che significa comune rimando
alla possibilità stessa di rimandare».188
Pertanto, poiché l’umano si co-istituisce originariamente non come
insieme di parti sovrapposte, ma come uni-totalità molteplice di queste parti correlate secondo l’ordine dell’intero, in una prospettiva antropoetica il percorso per cogliere e definire l’intero antropologico deve essere condotto verso la comprensione della co-istituzione dell’originario dell’umano nel “tra” delle relazioni costitutive e costituenti in
cui queste si configurano come co-determinazione reciproca in unità
primaria, originaria, all’interno di un darsi soggettuale umano che si
concretizza nell’ordine dell’empirico e del trascendentale, del maschile e del femminile, dell’individuale e del comunitario. Ciò comporta
che il fermarsi a riflettere sui momenti costitutivi dell’umano e della
sua configurazione articolata porta con sé l’esigenza di approfondire
la questione del maschile e del femminile, attraverso un movimento
ternario il quale co-implica le strutture fondamentali dell’antropologico in quanto tale.
zione-differenziazione, o, se si preferisce, d’appartenenza-distinzione. L’identità di una
persona sta nel distinguersi nel riferimento agli altri (diversi da sé), cioè nel vedere la differenza, ma anche il fatto che “la differenza si stabilisce attraverso un riferimento reciproco che, al di là della negazione logica, richiede riconoscimento e scambio”». Giovanna
Rossi, Donna, famiglia e lavoro, in Paola Ricci Sindoni – Carmelo Vigna (a cura di), Di un
altro genere: etica al femminile. Annuario di Etica 5/2008, p. 126. Per la citazione interna
al testo, Pierpaolo Donati, La società come relazione. I fenomeni sociali e la loro conoscenza sociologica, in Pierpaolo Donati (a cura di), Sociologia. Un’introduzione allo studio della società, Cedam, Padova 2006, p. 23.
188 Giulia Paola Di Nicola, Uguaglianza e differenza, la reciprocità uomo-donna, Città
Nuova, Roma 1988, 202. Cfr. Cettina Militello (a cura di), Che differenza c’è? Fondamenti antropologici e teologici della identità femminile e maschile, SEI, Torino 1996.
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5. Le dimensioni antropoetiche della reciprocità del maschile
e del femminile
La reciprocità del maschile e del femminile s’inscrive, quindi, nel
mistero stesso della struttura antropologica dell’essere umano. Essa costituisce la grammatica fondamentale dell’umano nella molteplicità delle sue diverse relazioni e del suo essere al mondo. Poiché non esistono soggetti in solitudine, la reciprocità è, a livello antropologico, la
«forma» universale dell’essere umani, mentre a livello etico, generando le forme del riconoscimento degli altri, come soggetti nella pienezza della propria umanità, mostra che ogni soggetto umano, maschio
e/o femmina «si costituisce nella rete di una intersoggettività originaria, sì che l’identità è strutturalmente un’identità di relazione o identità soggettiva» e che «l’eticità (e le relazioni etiche) si configurano come il luogo proprio della soggettività trascendentale».189 Infatti, siccome il soggetto è tale nella misura in cui interagisce con altre soggettività che sostengono e motivano la sua autocomprensione come soggetto, la relazione di reciprocità costituisce un tipo particolare di legame intersoggettivo che coinvolge una molteplicità di aspetti articolati
tra di loro che dà significato alla compiutezza dell’uomo secondo la logica dell’intero dell’essere. Questo vuol dire che l’uomo e la donna,
nella reciprocità, stanno l’uno di fronte all’altro e ciascuno nell’altro
coglie, prima e più che la differenza, la comune e fondante umanità.190
È a partire da ciò che li accomuna che matura la consapevolezza che
189 Susy Zanardo, Nota sull’intersoggettività, in Egle Bonan – Carmelo Vigna (a cura
di), Etica del plurale. Giustizia, riconoscimento, responsabilità, Vita e Pensiero, Milano 2004,
p. 305.
190 «Per natura, o in altre parole in ragione della sua essenza ontica, la persona è padrona di se stessa, inalienabile e insostituibile quando si tratta del concorso della sua volontà e dell’impegno della sua libertà. Ora l’amore sottrae alla persona questa sua intangibilità naturale e questa inalienabilità, perché fa sì che la persona voglia donarsi ad un’altra, a quella che ama […]. È una specie di legge di “estasi”: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere. In nessuna altra forma d’amore questa legge è
applicata con tanta evidenza come nell’amore sponsale, al quale dovrebbe portare l’amore fra la donna e l’uomo». Karol Wojtyla, Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita
interpersonale, Marietti 1820, Genova 1980, p. 113.
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l’uno e l’altro possiedono le medesime forze, i medesimi requisiti biologici, psicologici, antropologici e socio-culturali. Ciò, ovviamente, dal
punto di vista metodologico e contenutistico, determina che, non essendo possibile elaborare alcuna antropologia pura di un uomo in sé,
astrattamente considerato, che, pertanto, rischierebbe di rimanere un
primo piano senza sfondo, è necessario sviluppare un’antropologia globale la quale, nel riconoscimento della reciprocità del maschile e del
femminile, individua l’“esser così” e l’“esserci” dell’uomo, in quanto
maschio-femmina, nella radicata concretezza del suo essere “tra” empirico e trascendentale, e indica che la risoluzione di ogni articolazione antropologica va posta nel segno dell’alterità, la quale costituisce la
questione centrale e il problema di fondo intorno ai quali si annodano tutte le problematiche antropologiche ed etiche contemporanee,
sia nella strutturazione di uno strumentario epistemologico, sia nell’articolazione della stessa tematica che è impegnata a comprendere il senso dell’essere dell’uomo nel mondo. Assumendo la forma di un atto
nel quale «confluiscono due atti, non come cose che si aggiungono ma
come intenzioni che si liberano superandosi»,191 la reciprocità, in quanto realtà originaria che è possibilità di crescita e sviluppo di ogni uomo e donna nelle sue molteplici dimensioni relazionali,192 è la capacità di manifestare la continuità radicale della propria soggettualità maschile e femminile, nonché l’identità eterogenea dell’io e del tu, maschile e femminile.193 Lungi dall’essere una fusione dell’io e del tu, com191 Cfr. Maurice Nédoncelle, La réciprocité des cosciences. Essai sur la nature de la personne, Editions Aubier Montaigne, Paris 19623, p. 19.
192 «Diremo innanzi tutto che essa è un dato primordiale della percezione delle persone, in quanto la persona non è conosciuta se in certo modo si dà a chi la contempla. La
sua presenza consentita al mondo è già un atto; ciascuno riceve e dà il suo essere da quando c’è percezione. Questo minimo di reciprocità è dunque proporzionale anche a un amore iniziale in cui si uniscono contemporaneamente sentimento, conoscenza e volontà di
promozione». Maurice Nédoncelle, Verso una filosofia dell’amore e della persona, Paoline, Roma 1959, p. 211.
193 «La volontà di promozione manifesta la continuità radicale degli spiriti e anche
l’identità eterogenea dell’io e del tu, ossia la loro comunità di soggetti in quanto soggetti.
Introduce, certo, un’incrinatura in ogni centro personale, in cui l’io ideale si distingue dall’io empirico. Ma l’io ideale comunica allo stesso tu; e, lungi dal dissolversi in esso, mira
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piendosi naturalmente a tappe,194 poicché implica sempre la dinamica della processualità relazionale, la reciprocità è una sorta ricapitolazione condivisa,195 anche se, a causa della fragilità e finitudine umane,
limitata,196 che promuove la comunanza dei soggetti, come «inter-soga farlo esistere con lo stesso movimento col quale trova in esso la sua sorgente. Non che
il destino dell’io sia quello di diventare cieco su ciò che è esso stesso e su ciò che è il suo
compagno ma, al contrario, l’io ideale scopre l’ipseità purificata da tutto ciò che non siamo, giacché l’io ideale non designa l’io falsamente idealizzato e immaginario così sovente
espresso dalle nostre maschere passionali; designa il tema personale soggiacente ad ogni
variazione, buona o cattiva, e l’aspirazione che incessantemente impersoniamo d’essere
unici, gli uni mediante gli altri. La sua funzione consiste nel liberarci non dall’incontro
della reciprocità, ma grazie ad esso: l’uno dei soggetti è l’altro, nel grado in cui fa essere
l’altro. Il tu non è un non io, perché compie la volontà dell’io essendo per se stesso». Maurice Nédoncelle, Verso una filosofia dell’amore e della persona, pp. 211-212.
194 «Efficace per principio, la reciprocità si compie solo a tappe nella duplice e laboriosa storia dei soggetti che unisce. Accedere alla libertà in virtù d’un influsso non significa conoscere il suo debito esatto verso altri; quasi sempre la progenie è ingrata e la riconoscenza è una conquista. Più un’impronta è profonda, più sembra che l’oblio delle fonti sia la regola, come se la verginità di fronte all’avvenire promesso esigesse tale oblio.
L’educazione d’un bambino o la storia di un’amicizia mostrano tuttavia che l’evoluzione
normale d’un influsso comprende altre fasi. Nell’atto mediante il quale io sono, accetto
l’essere che ricevo e lo pongo contemporaneamente per se stesso, senza altri riferimenti;
mi affermo più fortemente che finemente; e, se mi conosco dalle origini per il fatto stesso che mi sento esistere, questo è solo in maniera globale, proporzionatamente alla coscienza imperfetta di me stesso. Si ha così frequentemente un anticipo d’una coscienza su
un’altra, la prima essendo madre della seconda, senza che la seconda debba scegliere l’essere che la costituisce e al quale acconsente. Ma poi l’influsso si fa meno imperioso, pur
non cessando di arricchirmi: mi dirigo verso le mie cause, certo di decifrare l’essere del
mio benefattore; discuto i suoi doni perché ne vivo e li faccio vivere. Infine tra noi nulla
si impone e tutto si propone; o piuttosto tutto tende a concludersi in un’armonia liberamente accolta nella duplice pulsazione d’una comunità trasparente in cui una delle coscienze non è più subordinata rispetto all’altra. Ciascuno è chiamato a ricreare il dono che
riceve e la relazione stessa che lo stabilisce nel suo essere primitivo». M. Nédoncelle, Verso una filosofia dell’amore e della persona, pp. 212-213.
195 Cfr. M. Nédoncelle, La réciprocité des cosciences. Essai sur la nature de la personne, p. 18.
196 «Lo sviluppo delle coscienze e la rifusione del “noi” ch’esso opera sono tuttavia
molto meno complete e idilliache di quel che potrebbe far credere il precedente schema.
Al livello tra esseri umani la reciprocità è sempre limitata: non raggiunge mai la profondità del nostro essere. Nulla vieta senza dubbio che due coscienze siano in grado di diventare interamente trasparenti e sinergiche; mai però esse si sono create l’una l’altra: si sono
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getti». Questi sono ciascuno in una posizione di parità ontologica e
ognuno è chiamato a rinnovare il dono che riceve dall’altro donandolo a sua volta nello spazio dell’incontro “tra” l’io e il tu e viceversa. Un
incontro nel quale e attraverso il quale l’io e il tu, il maschile e il femminile, si costituiscono partner di un progetto di vita e di possibilità
esistentive e concreative che possono essere realizzate solamente insieme. In tal senso, l’etica «si dispiega essenzialmente come il compito di
far accadere la positività dell’essere per noi, un noi comprensivo di ego
e altri, nella reciprocità del riconoscimento – ponderato nel molteplice delle circostanze individuali e collettive – di una medesima dignità
d’essere e nella condivisione dell’operare conseguentemente».197
Questo vuol dire che il “destino” dell’essere umano nel mondo si
manifesta in modo particolare nella codeterminazione maschile e femminile dell’essere dell’uomo e della donna e può realizzarsi solo nella loro crescente reciprocità. In questo senso, come si è visto, l’uomo
e la donna si definiscono non dalla complementarietà o dal ruolo, e
neppure dalla sola struttura biologica che li determina come individui, bensì dall’insieme complesso strutturale di relazioni reciproche,
al cui interno la differenza sessuale diviene un fattore essenziale concretante la realtà umana come tale. Da questo rapporto di reciproca
codeterminazione scaturisce il «noi siamo» dell’identità di ciascun uoincontrate. In più, i loro momenti di reciprocità sono rari, fugaci, interrotti da correnti
contrarie o da reciprocità rivali. La comunità umana sembra inoltre ristretta a un regime
diadico: è dubbio che tre coscienze, o più, possono essere simultaneamente ed egualmente aspiranti in modo che ciascuna viva allo stesso grado con le altre. Ma la moltitudine
delle diadi che riempiono gli istanti di ogni storia personale possono rimediare, in parte
alla loro successione, mediante una presenza indiretta di tutti in uno, grazie a un “noi”
oggettivo e ai compiti comuni ch’esso contiene». M. Nédoncelle, Verso una filosofia dell’amore e della persona, p. 213.
197 Francesco Totaro, Etica dell’essere persona e nuova cittadinanza, in Francesco Botturi (a cura di), Le ragioni dell’etica. Natura del bene e problema fondativo, Vita e Pensiero, Milano 2005, p.46. «L’etica, nella sua valenza radicale, si inscrive insomma nel compito di far accadere la positività dell’essere per noi, un noi sempre articolato nella relazione di ego e altri. Nell’azione orientata ontologicamente ci rendiamo portatori d’essere, colmando il deficit della sua manifestazione in noi: un noi a partire dal quale e in vista del
quale ciascuno, nella relazione ad altri, costruisce un con-essere che significa comune partecipazione d’essere». Ibidem, p. 52.
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mo e donna, a partire dall’essere umani in quanto maschio e femmina. Questo perché «è l’essere insieme, la comunanza del “noi siamo”
che ci rende affermabili (innanzitutto riconoscibili l’uno per l’altro);
questo “noi siamo” si attualizza o, per così dire, si accresce nella misura in cui l’essere-manifesta-l’uno-per-l’altro, accrescendosi, permette una più perfetta affermazione mutua, che è “un atto comune dell’affermante e dell’affermato”».198 È, infatti, la relazione io-tu-noi nel
mondo,199 che nel riconoscimento dell’originarietà strutturale dell’amore specifica le articolazioni relazionali dell’umano in maniera alternativa ad ogni ipoteca di carattere soggettivista e individualista, e
definisce l’uguaglianza e la differenza tra uomo e donna. Tale articolazione si basa sulla reciproca interpellanza del tu e dell’io di ciascuno e svela ancor meglio la struttura del singolo come relazione costitutiva, come esse-ad, colta nella dinamica del riconoscimento di ciò
che è altro in sé e per sé. Questo spiega perché l’uomo si presenta in
prima istanza come capace di relazione d’amore in-sé, che è l’atto attraverso cui la persona si scopre come singolarità, come «incomunicabile soggettività»,200 in quanto «l’atto d’essere del soggetto è posseduto in proprio e non può essere spartito o condiviso o partecipato
con nessuno».201 È tramite questo atto che la ciascuno, uomo e donna, arriva ad avere il possesso di se stessa, «si appartiene, si gestisce
come sorgente delle proprie scelte e dei propri atti».202 Questo vuol
dire che «nella consistenza ontologica di questa singolarità […] si fonda il valore assolutamente unico e irripetibile di ogni essere personale: la “sussistenza” della persona […] è la ragione profonda della resistenza ad ogni massificazione, è il motivo irrinunciabile del rifiuto
198 Peter Henrici, Introduzione alla metafisica, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1989, p. 134.
199 Cfr. Sabino Palumbieri, Amo dunque sono. Presupposti antropologici della civiltà
dell’amore, Paoline, Cinisello Balsamo 1999, p. 69.
200 Cfr. Bruno Forte, L’eternità nel tempo. Saggio di antropologia ed etica sacramentale, Paoline, Cinisello Balsamo 1993, p. 75.
201 Cfr. Carmelo Vigna, Struttura della persona e questioni di bioetica. Alcune indicazioni di principio, in «Per la Filosofia», 9 (1992) 25, p. 12.
202 Bruno Forte, L’eternità nel tempo. Saggio di antropologia ed etica sacramentale, p. 76.
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di ogni oggettivazione, che risolva la persona in pura esteriorità, di cui
disporre dall’esterno».203
L’uomo e la donna, pertanto, sono reciproci in virtù di una «preordinazione» originaria, la struttura ontologica fondamentale, che fonda l’essere umano stesso, che è posto faccia a faccia con l’altro da se
stesso in una qualità differenziale inscindibile. Per cui, il vero rapporto dell’uomo e della donna non è quello della complementarietà, ma
quello della reciprocità, che è un modo speciale di essere, in cui i termini non possono essere considerati separatamente. Perciò, siccome il
modo di essere l’uno per l’altro è il modo originario dell’essere umano, dato prima di ogni esperienza, la reciprocità è la struttura fondamentale dell’essere umano che, nella declinazione di un’antropologia
sessuale, comporta il prendere in considerazione una relazione, la reciprocità d’amore stessa in cui s’individualizzano le persone. L’uomo
e la donna sono quello che sono soltanto nella reciprocità di un faccia
a faccia dove sperimentano quello che sono. Ognuno è se stesso per il
tramite dell’altro, in una «unità degli opposti» perché «l’unità dell’“amore” tra uomo e donna si trova, conseguentemente, tra un “sesso” aderente alle cose (come evento cosmico), e un “agape” che accentua l’alterità dell’altro, presentandosi come incontro-scontro personale».204 Mentre la sessualità caratterizza l’essere dell’uomo «tra»
maschio e femmina e lo costituisce nella sua unità-duale, in una dinamica di identità-differenza, che si manifesta interna ed esterna all’io di
ciascun soggetto umano, sia maschio sia femmina, e lo apre ad una più
acuta autocoscienza del proprio essere «da», «per» e «con» l’altro,
l’agape, comprendendo la totalità dell’esistenza dell’uomo, in quanto
maschio e femmina, realizzandosi nella dimensione della reciprocità,
si concreta come scoperta dell’altro, come cura dell’altro e per l’altro,
cerca il bene dell’altro nella definitività di una compiutezza d’amore
che trova nell’esperienza sponsale il massimo della sua concrezione e
pienezza. È, infatti, l’amore coniugale quello che oltrepassa tutte le al203 Bruno Forte, Rivelazione e persona, in Idem, In ascolto dell’Altro. Filosofia e rivelazione, Morcelliana, Brescia 19982, pp. 102-103.
204 Erich Przywara, L’uomo. Antropologia tipologica, Fabbri, Milano 1968, p. 179.
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tre forme del legame intersoggettivo tra gli umani, in «quanto esprime
un’eccedenza rispetto all’ordine naturale, ma anche una certa paradossalità, che non pare riscontrabile in nessun’altra forma di legame interpersonale».205 Dato che il dono reciproco tra le persone costituisce
l’essenza dell’amore coniugale, nell’esperienza sponsale gli aspetti più
fondamentali della relazione di reciprocità sono vissuti nel reciproco
rispetto delle persone in quanto tali e la messa in campo del cammino
verso la piena compiutezza umana di entrambi.206 Questo significa che
la legge regolativa dell’essere umano non è quella dell’identità, ma quella della reciprocità mediante la quale l’io, maschile e/o femminile, si
riconosce nel tu femminile e/o maschile. Non a caso, nell’esperienza
sponsale dell’agape, uomo e donna, dicendosi vicendevolmente di sì
nell’amore reciproco, fanno in modo che ciascuno di essi si renda conto come sia una cosa buona essere ed esistere ciascuno ed insieme,
comprenda la propria capacità di crescita verso una più grande pienezza di essere, e si coinvolga sempre più nella dinamica di quella reciprocità delle coscienze che rafforza la co-responsabilità creativa dell’umanizzare lo spazio e il tempo del mondo degli uomini.207
Scavando nell’uguaglianza differenziata dell’essere umano, che riconosce nella peculiarità stessa del maschile e del femminile il modo
altro e tuttavia convergente di realizzare insieme, nell’unità dei distin205 Donatella Pagliacci, L’amore tra autenticità affettiva e orizzonte comunitario: il vincolo familiare, in Luigi Alici (a cura di), Forme delle reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos,
Il Mulino, Bologna 2004, p. 321.
206 Il «darsi reciproco totale sarebbe certamente ingiustificabile se non vi fosse alla
base il riconoscimento che quel che dono e che ricevo come dono è già qualcosa che è
stato donato e che il darsi reciproco e totale dei coniugi non è altro che l’aiuto reciproco
alla costruzione della propria personalità». Giuseppe Riconda, Personalismo, famiglia,
amore. Riflessione filosofica sull’amore e sui legami familiari, in «Humanitas», 58 (2003)
6, p. 1128. Cfr. Giuseppe Riconda, Filosofia della famiglia, La Scuola, Brescia 2014.
207 «Il matrimonio, la cui cifra è la totalità, sembra rappresentare una forma completa dell’amore, nella misura in cui coniuga affettività e sensualità, amicizia e benevolenza,
donazione e reciprocità, fedeltà e durata. La coppia di sposi può essere un modello positivo per la comunità sociale, perché incarna un equilibrio dinamico di soggettività differenti che, nella fedeltà reciproca, vive del rispetto per la dignità e verità dell’altro». Donatella Pagliacci, L’amore tra autenticità affettiva e orizzonte comunitario: il vincolo familiare, in Luigi Alici (a cura di), Forme delle reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos, p. 324.
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ti, lo specifico antropologico dell’essere reciproci, quale forma dell’umano, secondo l’intero dell’essere, è evidente la possibilità di escludere una declinabilità diversa del maschile e del femminile, e l’eventualità di scartare una diversificazione strutturale del maschile e del
femminile, perché ci si indirizza verso una inclusione reciproca nella
considerazione della mutualità uomo-donna. L’uomo e la donna, infatti, insieme hanno iscritta nella loro esistenza, hanno quale molla della chiamata alla esistenza la reciprocità, la mutualità, la relazionalità. È
questa la dimensione costitutiva che essi mettono in gioco rapportandosi l’uno all’altro, e al mondo, ed è in questa prospettiva che sono
chiamati ciascuno a rendere ragione del senso del loro essere e agire
nella storia del mondo agli altri uomini e donne con la totalità del loro essere investiti dalla logica dell’amore che, amando, crea la comunità degli uomini e delle donne che si amano.
Alla luce di queste considerazioni, il processo di identificazione della prospettiva etica, come principio di umanizzazione dell’uomo,208 implica, di fatto, per il maschile e per il femminile, la dimensione dell’auto-appropriazione della propria umanità, sperimentata nella progressiva soggettivazione e personalizzazione, e fa sorgere la questione relativa alla determinazione della possibilità, da parte del soggetto agente, di «scegliere» non solo il proprio compimento ma anche i mezzi e
le strategie per raggiungerlo e realizzarlo. Uomini e donne, nel loro essere reciproci, coniugano e declinano un ethos della reciprocità all’interno del quale ciascuno definisce il proprio progetto di vita e concreta la fioritura della propria esistenza. Sotto questo profilo, con ethos
della reciprocità non s’intende automaticamente una morale, ossia un
sistema di prescrizioni prescrittive variabili secondo le culture, ma la
maniera più adeguata di vivere in corrispondenza alle aspirazioni più
profonde, realizzando le quali si ha la percezione di un esistere pienamente umano. Con la vita etica, in altre parole, ciascun essere umano,
maschio e/o femmina, configura un’esperienza concreta di umanizzazione e di personalizzazione, all’interno della quale elabora il proprio
208 Cfr. Calogero Caltagirone, Diventare ciò che si è. La prospettiva etica come principio di umanizzazione, Aracne, Roma 2008.
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desiderio di essere e si scopre responsabile del proprio agire. Questo
vuol dire che l’agire umano costituisce il luogo in cui ogni uomo e ogni
donna realizzano la propria vita e all’interno del quale ciascuno non
deve limitarsi a compiere buone azioni, ma deve, soprattutto, realizzare il bene, in relazione alla propria persona e a quella altrui, nella sua
pienezza.209
Per Paul Ricoeur l’ethos della reciprocità trova espressione nell’«aspirazione ad una vita felice, con e per gli altri, in istituzioni giuste».210 Si tratta di tre dimensioni che, nell’ambito del proprio, del prossimo, del socio, si configurano, rispettivamente, nella stima di sé, nella cura dell’altro, all’interno istituzioni giuste. Esse sono indispensabili
per la realizzazione di una vita sociale in generale, ma, sono, pure, particolarmente adatti a esprimere le tre direzioni etiche del rapporto di
reciprocità tra il maschile e femminile. Mediante la «stima di sé» ogni
soggetto maschile e femminile giudica le proprie azioni perché, ap209 Calogero Caltagirone, Diventare ciò che si è. La prospettiva etica come processo di
umanizzazione, p. 85. Il bene è ciò che permette all’uomo di diventare sempre più uomo
e di cogliersi all’interno della sua dimensione esistenziale. Ogni essere umano nutre il desiderio di diventare completo e perfetto. Questo perché nell’idea di perfezione, l’uomo
pensa che ci sia un qualcosa di perfetto che deve essere raggiunto per rendere la propria
vita maggiormente valida. «Il bene è un valore, e gli addice tutto quanto si è finora detto
del valore, e cioè che si definisce in termini qualitativi, che ha il carattere della validità,
che implica l’esigenza della sua realizzazione… come pure che la sua realizzazione dà giustificazione alla vita, suscita un sentimento di felicità e così via. […]. Il bene si distingue
da tutti gli altri valori: questi sono sì validi di per se stessi, ma il fatto di essere attuali, cioè
della loro validità qui ed ora, dipende dalla situazione; la validità del bene invece è sempre vincolante. Vi sono situazioni in cui ad esempio l’esigenza del rigore scientifico non è
normativa, come in un romanzo di fantasia, ma non esiste nessuna situazione in cui il bene non sia vincolante; l’essere umano, qualunque cosa faccia, anche quando fantastica, è
sempre soggetto all’esigenza d’esso. Pertanto, l’appello di tutti gli altri valori è di tipo particolare, quello del bene invece è universale; il primo è rivolto all’uomo in circostanze determinate. Essa non concerne la sua situazione come uomo simpliciter, ma determinati casi che si presentano in essa. L’esigenza del bene invece si riferisce all’esistenza umana semplicemente e in quanto tale. In qualunque situazione particolare possa trovarsi, l’uomo è
sempre soggetto all’esigenza posta dal bene». Romano Guardini, Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 41.
210 Paul Ricoeur, Il tripode etico della persona in Attilo Danese (a cura di), Persona e
sviluppo. Studi interdisciplinari, Dehoniane, Roma 1991, p. 66.
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prezzandole, ciascuno può apprezzare se stesso come autore di tali
azioni. L’uomo e la donna, cioè, si stimano capaci di compiere azioni
etiche e, dunque, in grado di prendersi cura di se stessi e degli altri all’interno di una prospettiva globale della propria vita che è data dall’unità narrativa della propria esistenza. Stima di sé e cura dell’altro
mantengono in equilibrio l’io e il tu, evitando le cadute nelle dialettiche della disuguaglianza, dell’annullamento di sé nell’altro e dell’annullamento dell’altro in sé, oppure nella indifferenziazione del neutro.
La stima di sé si radica nel sentimento di essere preziosi e amati e si riflette nell’esigenza di valorizzare i propri talenti, primariamente il dono della vita. Questo sentimento originario mantiene una distanza di
protezione e rispetto attorno all’io, evitando la sua dispersione nelle
cose, il nichilismo e un rapporto tale con gli altri da assorbire tutta la
vita, fino ad inscrivere l’identità dell’uno dentro quella dell’altro. La
stima di sé suppone anche una comprensione adeguata del valore del
proprio corpo e della differenza sessuale che lo caratterizza come femminilità e maschilità. La stima di sé, in altri termini, non comporta un
pacifico lasciarsi andare in una sorta di autocompiacimento egoistico,
ma implica il riferimento all’altro che fa dell’azione individuale una
prassi sociale che si colloca in un orizzonte intersoggettivo,211 all’interno del quale ciascun soggetto agente, maschile e femminile misura la
propria capacità con i modelli di eccellenza sulla base dei quali valuta
il suo agire. L’accettazione del proprio essere maschile e femminile per
ciascun soggetto etico è, inoltre, condizione per la formazione di una
personalità matura, condizione certa della sua identità di genere, ma
sicura della superiorità della persona rispetto alle sue determinazioni
211 «La riflessività, infatti, sembra portare con sé la minaccia di un ripiegamento su
di sé, di una chiusura, al contrario dell’apertura al largo, sull’orizzonte della “vita buona”. Ad onta di questo pericolo sicuro, la mia tesi è che la sollecitudine non si aggiunge
dal di fuori alla stima di sé, ma che essa ne dispiega la dimensione dialogale, passata fin
qui sotto silenzio. Per spiegamento, come già è stato detto in altro contesto, intendo certamente una rottura nella vita e nel discorso, ma una rottura che crea le condizioni di
una continuità di secondo grado, tale che la stima di sé e la sollecitudine non possano viversi e pensarsi l’una senza l’altra». Paul Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano
1993, p. 275.
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sessuali. La stima di sé implica, inoltre, la tenuta dell’io nel tempo e
quindi la fedeltà alla parola rivolta all’altro.
Avere cura di sé significa anche, necessariamente, avere cura dell’altro da sé. Infatti, l’aspirazione alla vita buona va declinata, per Ricoeur, attraverso la sollecitudine per l’altro e la richiesta di ottemperare ai doveri di reciprocità,212 che è l’esplicitazione dell’intima dialogicità presente nella stima di sé. Stima di sé e sollecitudine non possono viversi e pensarsi l’una senza l’altra. Questo perché se dire “sé” non
è dire “io”, “sé” implica altro da sé, affinché possa dire di qualcuno
che stima se stesso come un altro. L’altro (autrui) è colui che può dire “io” al pari di me e, come me, considerarsi un agente, autore e responsabile dei suoi atti. Altrimenti, nessuna regola di reciprocità sarebbe possibile. Il miracolo della reciprocità, a giudizio di Ricoeur, sta
nel fatto che le persone, nel loro essere uomini e donne in reciprocità,
siano riconosciute come segreto della sollecitudine. Infatti, «la “sollecitudine” riunisce la reciprocità (alter ego), l’insostituibilità (altro dall’io) e la somiglianza (che è come l’unità delle due) tra l’io e l’altro, perché la “stima di sé”, non potendo prescindere da una qual certa forma di alterità che la abita originariamente, porta ad un riconoscimento dell’altro quale degno di stima come un sé questa è la “sollecitudine”)».213 Questo vuol dire che la relazione dell’altro, la relazionalità tra
il maschile e il femminile, non si aggiunge ad una struttura etica già costituita, ma la determina intrinsecamente, in quanto il sé include l’altro, perché il sé non è l’ego.
La forma originaria dell’apparizione dell’altro non è la legge e neppure l’interdizione, ma la richiesta e l’esigenza che l’altro pone e che
si concreta nell’essere amato come il soggetto in quanto sé come altro
ama se stesso. Ciò comporta che nella forma etica della reciprocità l’altro non è funzione del me, ma è un sé come me, soggetto di un’iniziativa indeducibile e quindi anche di un’esigenza insieme identica e al212 Cfr. Antonio Da Re, Figure dell’etica, in Carmelo Vigna (a cura di), Introduzione
all’etica, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 63.
213 Raffaele Maiolini, Tra fiducia esistenziale e fede in Dio. L’originaria struttura affettivo-simbolica della coscienza credente, Glossa, Milano 2005, p. 312.
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tra dall’esigenza del me. Al contrario, la moltiplicazione dei rapporti,
con la rinuncia alla creazione di un legame profondo e stabile, mina la
fiducia nella continuità dell’impegno e nell’io stesso, disperso nella
frammentazione dei suoi atti e dei suoi pensieri. Tale processo di svuotamento di senso della fedeltà appare come l’esito nichilista dell’identità personale e della relazionalità interpersonale, specialmente di quella tra il maschile e il femminile.
È possibile comprendere, in questo modo, come la stima di sé e la
cura per l’altro siano intimamente legate nelle dinamiche della reciprocità coniugale. L’uomo è chiamato a una consegna di sé come figlio
obbediente, che è quasi un ritorno nel grembo e una rinascita nella
donna, ma anche alla condivisione come fratello e sposo, e all’amore
protettivo e orientativo come padre. Anche la donna valorizza l’attrazione naturale in una consegna discreta e sapiente del meglio di sé, capace di distacco e di donazione, di generosità e di prudenza, di intelligenza e calore umano: come madre esercita il suo amore orientativo
e protettivo, come figlia, un amore sollecito e obbediente, come sposa e sorella quello compartecipativo e solidale.
Il tripode etico si completa con l’apertura della coppia gli altri, sia
i prossimi sia quanti compongono, in un collegamento ideale, la catena di solidarietà universale che l’ha preceduta e che la seguirà. In questo apertura ogni uomo e ogni donna escono da sé per andare verso
l’altro, per comprenderlo e assumerne i «pesi». L’andare verso l’altro
conduce ogni uomo e donna a stabilire relazioni con l’altro, il socio, e
lo significano nella sua concreta esistenzialità orientata all’incontro.
L’essere per l’altro esprime, dunque, la relazione con ciò che è altro
da sé e nella sua forma esteriore si manifesta con la socialità. L’uomo
e la donna si aprono agli altri veramente e alle loro profondità in modo immediato e totale. Mediante questa apertura ciascuno riconosce
gli altri come “altri sé” ed è riconosciuto da loro come se stesso. Essi
nel comunicare agli altri i propri pensieri, emozioni, esperienze e saperi esprimono e veicolano i propri progetti di vita reciprocamente
confrontati, realizzando così il collegamento tra unità soggettive differenti e la condivisione, trasmissione e sviluppo dell’umano che è comune in un altrettanto reciproco convenire e convivere umani. In que98
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sto modo, l’ethos della reciprocità tra il maschile e il femminile, si realizza nel tramite di una “intercomunicazione” intersoggettiva tra i vari soggetti storici che vivono la loro storia nel loro ambiente storico
d’esistenza in un rapporto reciproco con altri soggetti storicamente liberi i quali concretano la loro esistenza in modo altrettanto storicamente e corporalmente percepibile.
La modalità di essere in reciprocità, concretamente, consente, ad
ogni uomo e donna, di mettere anche in evidenza il carattere del reciproco riconoscimento che specifica la «comunità intersoggettuale», di
cogliere la coappartenenza dei vari soggetti alla concreta comunità di
condivisione, differenziata, però, in funzione della diversità delle «figure» antropologiche e della multiformità delle identità intersoggettive e, infine, pone le premesse per la promozione dell’intero dell’umano nelle molteplici pratiche del convenire e del convivere.
Non a caso è il medesimo riferimento alla cura che responsabilizza le coppie, maschili e femminili, verso le istituzioni, affinché siano
meno anonime, più personalizzabili, ben sapendo che non è possibile
chiedere alle istituzioni, che sono inevitabilmente neutre, la stessa logica del rapporto amicale o familiare. I coniugi, nelle relazioni familiari, si aprono così ad accogliere nella sfera della condivisione umana
quel “ciascuno” non conosciuto e con il quale forse non sarà mai possibile entrare in rapporto di amicizia, che resterà pertanto sempre “uno
qualunque”, ma che viene raggiunto tramite il canale dell’istituzione
la quale, attraverso la giustizia, connotata come mediazione storicoistituzionale dell’amore, consente di realizzare il bene di ciascuno e
quello di tutti.214
Da questo punto di vista, ogni uomo, in quanto maschio e femmina, allora, realizza la propria umanità nell’inter-esse, inteso come un vivere bene che si nutre delle relazioni e della tensione verso gli altri.
Tensione verso gli altri che è espressa nel tramite di una relazionalità
generativa che si concreta nella categoria passiva dell’«essere generati» e in quella attiva dell’«essere capaci di generare». Dato che è l’av214 Cfr. Calogero Caltagirone, Amore, giustizia e bene comune. «Operatori» concettuali per riarticolare etica e politica, in «Archivio di Filosofia», (2013) 3, pp. 143-148.
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venimento del chiamare alla vita, all’esistenza, il “generare” non è solo il «produrre biologicamente un essere della propria specie», anzi,
questo non è che un aspetto secondario della relazione generativa umana che consiste piuttosto nel riconoscimento cognitivo e affettivo dell’altro, che ha sempre l’effetto di suscitare e promuovere l’altro, se offerto con sufficiente gratuità,215 «la generatività è la dimensione antropologicamente sintetica, a partire dalla quale è possibile giudicare della condizione umana: le relazioni umane sono per loro natura orientate alla generazione e perciò mai neutrali, ma sempre inevitabilmente
generative o de-generative, sempre istituenti o destituenti altri».216 In
questo senso, la relazione generativa significa “promuovere” qualcuno. Essa implica un movimento di “apertura” “in-avanti”, un muoversi verso il quale comporta un atto di fiducia che va oltre qualsiasi tentazione di programmazione tecnocratica e che determina il senso della configurazione dell’identità del “generante” e del “generato” nella
propria consistenza semplicemente umana. Questo vuol dire che per
ogni uomo e per ogni donna “generare” significa portare all’essere tipi di umanità compiuta che articolano l’interalità dell’umano nella dinamica delle reciprocità istituenti e consistenti.
Tale relazionalità generativa non riguarda, però, solo la ricomposizione dell’uni-molteplicità dell’umano a livello intrapersonale, ma
concerne anche le relazioni intersoggettive che accadono nella forma del riconoscimento reciproco che è la forma regolativa dell’esistenza plurale degli umani che si onorano reciprocamente in ciascuna delle infinite parti della loro esistenza.217 Pertanto, poiché la ca215 Francesco Botturi, Soggetto e relazione generativa, in Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI, Il futuro dell’uomo. Fede cristiana e antropologia, Quarto Forum del Progetto Culturale, EDB, Bologna 2002, p. 131. «La specifica generazione umana infatti non è quella biologica, ma appunto quella della relazione riconoscente: la nascita propriamente umana si compie solo con il riconoscimento personale e sociale del nuovo nato, dando avvio a un processo che – a differenza della nascita biologica – non ha più
termine e può essere, drammaticamente, revocato». Francesco Botturi, La generazione del
bene. Gratuità ed esperienza morale, Vita e Pensiero, Milano 2009, p. 173.
216 Francesco Botturi, La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale, p. 173.
217 Carmelo Vigna, Libertà. Giustizia e bene in una società plurale, in Carmelo Vigna (a
cura di), Libertà, giustizia e bene in una società plurale, Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 32.
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tegoria del riconoscimento dice della buona reciprocità tra gli essere umani che vivono dell’umano che è comune (una reciprocità riconoscente) e dice anche della molteplicità degli esseri umani che sono considerati come singolarità irriducibili costituiti da identità proprie e originali, riconoscere un essere umano, cioè “chiamarlo” alla
vita come tale significa riconoscere la sua irriducibilità a semplice
mezzo in quanto è sempre un fine in sé e come tale deve essere onorato, stimato e amato.
Le relazioni maschio-femmina e le relazioni tra gli uomini e le donne nel vivere sociale sono allora concrezioni specifiche del reciproco
riconoscimento. È questa la dimensione costitutiva che essi mettono
in gioco rapportandosi l’uno all’altro. La reciproca disponibilità riconoscente è il luogo della realizzazione di una società veramente relazionale. Questo perché la relazione di riconoscimento reciproco si offre come l’unica relazione pratica intersoggettiva in cui due o più soggettività possono convivere insieme in tutta la pienezza della loro specifica umanità.218 Tale disponibilità di riconoscimento reciproco trova forma nella molteplicità degli stili di vita relazionali che intessono
la trama dei rapporti umani all’interno di una società relazionale. La
capacità di creare stili di vita responsabili, attenti alle «possibilità e condizioni che alimentano e armonizzano la rete di relazioni che costituisce sempre di nuovo l’essere umano», comporta il mettere in atto delle «buone pratiche dell’agire», in grado di determinare responsabilmente il senso della qualità della vita buona di ognuno.219 Nella responsabilità, infatti, la volontà di riprogettare ciò che è dato si espri218 La relazione di riconoscimento reciproco è «l’unica relazione pratica intersoggettiva in cui due (o più) soggettività possono convivere in tutta la grandezza della loro universalità/trascendentalità». Carmelo Vigna, Universalità umana, riconoscimento, reciprocità, in Francesco Botturi – Francesco Totaro (a cura di), Universalismo ed etica pubblica.
Annuario di Etica, 3/2006, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 11. Questo perché, ogni soggettività ha bisogno «d’essere riconosciuta come un orizzonte di senso inoltrepassabile,
cioè intenzionalmente incondizionato, perché tale essa è per via della propria trascendentalità». Carmelo Vigna, Riconoscimento, etica del, in Enciclopedia Filosofica, 10, Bompiani, Milano 2006, p. 9722.
219 Roberto Mancini, Lo spazio politico della libertà, in Gianluigi Brena (a cura di),
Per una libertà responsabile, Messaggero, Padova 2000, p. 103.
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me nella continuità, mentre il desiderio di imprimervi una forma personale non rimuove la solidarietà.
Quando si parla di stile di vita solitamente si fa riferimento a come
si esiste, a qual è la forma visibile assunta dall’esistenza di un persona
o di un gruppo. Si fa, cioè riferimento a un «modello di eccellenza» di
esistere che è determinato dal fatto ogni uomo e ogni donna apprende il senso della vita, mediante dei «criteri di eccellenza», i quali intervengono come regole costitutive della pratica e di cui consentono l’apprezzamento. Infatti, nella misura in cui il soggetto umano mette a confronto la propria capacità con questi «modelli di eccellenza», che consentono di qualificare come buona l’attività in cui ci si impegna, egli
gerarchizza le “pratiche” e i “piani di vita”,220 in vista della realizzazione del suo progetto di compimento esistenziale in pienezza. Lo stile di
vita, allora, è un modo di esistere individuale e/o collettivo connotato
da una pluralità di tratti specifici correlati tra loro, che si danno secondo alcuni criteri di scelta traducibili quotidianamente. Lo stile di vita,
infatti, è costituito da un insieme strutturato di comportamenti condivisi con una loro stabilità temporale e una durata, nel quale si danno
una realtà propria del singolo ed espressiva del suo essere, ma anche
relazionale, ma anche un dato ricevuto da altri elaborato in una pro220 Per Oaul Ricoeur la prospettiva globale della vita, nel riconoscere l’esistenza di un
fine totalizzante dell’esistenza, ulteriore rispetto ai fini delle pratiche particolari, è concretata dalla dimensione narrativa della vita, la quale, supponendo che la vita abbia una unità, è a sua volta finalizzata alla configurazione dell’unità della vita stessa. Pertanto, «l’identità narrativa non è quella di una sostanza inalterabile o di una struttura fissa, ma l’identità mobile nata dalla combinazione tra la concordanza della storia, intesa come totalità
strutturata, e la discordanza imposta dalle peripezie della storia. Per dirla in altro modo,
l’identità narrativa partecipa alla mobilità del racconto, alla sua dialettica di ordine e disordine». Paul Ricoeur, Autobiografia intellettuale, in Idem, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale, Jaca Book, Milano 1995, p. 90. «Ricordiamo come, sotto la pressione della teoria narrativa, siamo stati condotti non soltanto ad allargare ma a gerarchizzare il concetto dell’azione in modo da portarlo al livello di quello di praxis: così, ad altezze differenti sulla scala della praxis, abbiamo situato pratiche e piani di vita, che sono assemblati
dall’anticipazione dell’unità narrativa della vita. Abbiamo, allora, messo l’accento sul principio unificatore specifico a ciascuna di queste entità pratiche. È la stessa gerarchia della
praxis che stiamo per percorrere nuovamente, questa volta dal punto di vista della sua integrazione etica all’insegna della “vita buona”». Paul Ricoeur, Sé come un altro, p. 270.
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spettiva personale. In tal modo, lo stile di vita è una specie di corpo
sociale del soggetto, maschio e/o femmina, un insieme di realtà e comportamenti, esteriori e visibili, che ogni uomo e ogni donna assume nel
collocarsi all’interno di un sistema di scelte e valori, ma anche un modo di essere del sistema di riferimento che tessendo la trama delle relazioni offre significati più o meno espliciti al modo di essere e di esistere.
Il discorso antropoetico della reciprocità del maschile e del femminile si articola, allora, come introduzione al mistero del volto e dei volti, come educazione alla percezione e al discernimento degli appelli
che risuonano nei diversi spazi vitali. Il valore dell’alterità non è, infatti, un frutto della costruzione teorica, ma ne costituisce piuttosto il presupposto, radicato in un ascolto rispettoso di quella verità che sul volto e nella carne altrui si manifesta e s’impone. Né si tratta di un fatto
puramente emotivo, che interesserebbe la sola sensibilità, ma di
un’esperienza rivelatrice, che tocca l’intera soggettività. Non a caso,
possiamo realmente dirla accolta e giunta a compimento solo quando
la percezione del bisogno altrui giunga a farsi movimento di pensiero
e di azione; giunga, insomma, a farsene carico.
Parlare di relazionalità corresponsabile significa, pertanto, declinare un modo di essere e di agire attento a quelle che sono le dimensioni costitutive dell’essere umano e, dunque, di individuare
modalità concrete di vita capaci di far fronte ai rischi di un sistema
di relazioni che rinnega il valore stesso dell’uomo e lo riduce a semplice oggetto di manipolazione e di speculazione, di farsi carico,
prendersi cura di sé e dell’altro, coltivando le capacità della persona, nel suo essere maschile e femminile, non trascurando i significati e le articolazioni relazionali di essa, di assumersi il compito di
preoccuparsi dell’umano nella sua integralità e di creare le condizioni per la fioritura dell’umano (human flourishing)221 nella sua in221 Cfr. Martha Craven Nussbaum, Diventare persone, Il Mulino, Bologna 2001, Mar-
tha Craven Nussbaum, Giustizia sociale e dignità sociale. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna 2002. La locuzione human flourishing traduce, secondo Martha Craven Nussbaum, filosofa della politica di formazione aristotelica, l’ideale di eudaimonia aristoteli-
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teralità pleromatica, proprio nella concreta reciprocità dell’essere
del maschile e del femminile.
co. L’espressione allude alla realizzazione dell’essere dell’uomo intesa come ‘fioritura’ di
tutte le virtù soggettive e comunitarie. La vita felice non è, dunque, un ideale utopistico
che non può avere luogo in questa vita, ma una modalità dell’essere uomini, dell’essere
persona in modo pieno e maturo, che rispetta se stessa, che vive senza grandi privazioni,
che desidera conoscere e partecipare attivamente alla vita della comunità.
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