Animation An emotion

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Animation An emotion
Animation
An emotion
Animazione Tradizionale e Animazione 3D
due Progettualità a Confronto
M. Bernadette Pastore matr.203688
Anno Accademico 2007/2008
Politecnico di Milano - Facoltà del Design
Corso di Laurea Specialistica
in Comunicazione
Relatore Prof. Walter Mattana
Correlatore Prof. Andrea Brogi
2
Questo progetto è nato con l’intento di
approfondire le mie conoscenze sul mondo
dell’animazione, un universo vasto ed eterogeneo
che mi ha sempre affascinato. Cercando di scoprire
cosa si cela dietro ad ogni fotogramma ho trovato
un lavoro creativo e fantastico tanto quanto
meticoloso e faticoso, un lavoro troppo spesso
ingiustamente sottovalutato.
Chiarendo passo dopo passo le due principali
tecniche di animazione spero quindi di dare risalto
a questa forma d’arte che non è affatto “da meno”
di qualsiasi altro prodotto cinematografico.
A mia Madre e a mio Padre,
che mi hanno permesso di continuare
gli studi e mi hanno concesso
mille opportunità.
Pastore M.Bernadette
3
Un ringraziamento particolare a:
Andrea Brogi, per il sostegno, la condivisione e la simpatia,
Walter Mattana, per la pazienza dimostrata,
Viviana Scibetta e Angelo De Vita, per la correzione dei testi,
Lorenzo Pastore ed Annalisa Rinolfi per l’aiuto dato nella composizione di immagini e disegni,
Alessia Beccia e i ragazzi dello studio Bonsai Ninja di Milano (www.bonsaininja.com), per l’aiuto nei render,
Alberto “Vartis” per la disponibilità e i consigli tecnici,
Mauro Brioschi e lo staff dello Studio Gertie di Milano (www.gertie-productions.it) per la disponibilità dimostrata,
Sig.Michel Fuzellier, per l’accuratezza nei chiarimenti dati,
Christian Zanin, per il sostegno morale.
4
« È stato molto tempo fa,
più di quanto non sembra,
in un posto che, forse, nei sogni si rimembra,
la storia che voi udire potrete
si svolse nel mondo delle feste più liete.
Vi sarete chiesti, magari, dove nascono le feste.
Se così non è, direi... che cominciare dovreste! »
The Nightmare Before Christmas (1993)
Tim Burton
5
6
Indice generale
INTRODUZIONE
9
STORIA
23
PRE-PRODUZIONE
47
PRODUZIONE
101
POST-PRODUZIONE
161
PROGETTO PERSONALE
169
LA GRAMMATICA CINEMATOGRAFICA
211
BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA
253
7
INTRODUZIONE 1
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
1.7
1.8
1.9
Introduzione all’ Animazione
pag.12
Principi e Tecniche
15
Disegno Animato
17
Disegno Diretto su Pellicola
18
Animazione in Stop Motion (Passo uno)
19
Animazione Cutout
20
Pixelation
21
Computer Animation 2D
22
Computer Animation 3D
23
STORIA 2
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
Le Origini dell’Animazione
I Pionieri
LE ORIGINI DELLA COMPUTER GRAFICA
EVOLUZIONE STORICA
PIXAR ANIMATION STUDIO LE TAPPE TECNOLOGICHE ESSENZIALI
26
29
32
33
39
40
PRE-PRODUZIONE 3
Prologo 3.1 Concept
3.2 Soggetto
3.3 Trattamento e Scaletta
3.4 Sceneggiatura
3.5 Design
3.6 Style Guide
8
50
52
52
53
54
56
57
3.7 Registrazione Audio
3.8 Storyboard
3.9 Animatic
3.10 Approfondimenti:
3.10.1 The Hollywood Formula
3.10.2 Cosa Rende Efficace un Personaggio
3.10.3 Narratività
3.10.4 “L’ Eroe dai Mille Volti” di J. Campbell
62
67
71
73
76
79
82
PRODUZIONE 4
Prologo
4.1 Layout 2D
4.2 LAYOUT 3D
4.3 Animazione e Test a Matita (Pencil Test)
4.4 Pulizia dei tratti (Clean Up)
4.5 MODELLAZIONE
4.6 RIGGING (Set Up)
4.7 ANIMAZIONE
4.8 Animazione inbetween
4.9 ANIMAZIONE KEYFRAME
4.10 Multilayer 2D
4.11 Inchiostratura (Ink) 4.12 Colorazione (Paint) 4.13 SHADING
4.14 TEXTURING
4.15 LIGHTING
4.16 Effetti Speciali 2D
4.17 EFFETTI SPECIALI 3D
4.18 Montaggio
4.19 RENDERING
104
106
106
108
111
111
118
125
125
127
131
134
135
136
137
139
143
143
145
146
Indice generale
4.20
Approfondimenti:
4.20.1 I 12 Principi dell’Animazione
149
POST-PRODUZIONE 5
Prologo
5.1 Screening Test
5.2 Post Produzione Audio
5.3 Post Produzione Video
164
165
165
167
7.9
7.10
7.11
7.12
7.13
7.14
7.15
Lo Spazio
Il Tempo
Il Montaggio
Il Montaggio a Dècoupagé Classico
Regole Principali del montaggio Classico
La Punteggiatura Visiva
Pillole
BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA
233
234
236
239
240
250
254
255
PROGETTO PERSONALE 6
6.1 Concept
6.2 Soggetto
6.3 Trattamento e Scaletta
6.4 Sceneggiatura e Storyboard
6.5 Design dei Personaggi
6.6 Animatic e Layout 3D
6.7 Modellazione
172
172
176
182
197
201
209
LA GRAMMATICA CINEMATOGRAFICA 7
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
7.8
Linguaggio Cinematografico 2D e 3D a Confronto
Elementi di Grammatica Cinematografica
L’ Inquadratura
La Scala dei Piani e Angolazioni
Oggettive e Soggettive
Il Fuoricampo
Regole di Composizione in Inquadratura
I Movimenti della Mdp
214
217
219
222
223
224
225
229
9
10
Introduzione
1.1 Introduzione all’ Animazione
1.2 Principi e Tecniche
1.3 Disegno Animato
1.4 Disegno Diretto su Pellicola
1.5 Animazione di Pupazzi in Stop Motion
1.6 Animazione Cutout
1.7 Pixelation
1.8 Computer Animation 2D
1.9 Computer Animation 3D
1
The Boss character
The Incredibles (2004)
Walt Disney Pictures
Pixar Animation Studio
12
1.1 Introduzione all’Animazione
Con il termine “animazione” si indica la tecnica che si
occupa del movimento di disegni animati o dell’animazione
di modelli, riprendendo l’azione “a passo uno” (cioè 24
fotogrammi al sec.) in modo che, in proiezione, vi sia
l’illusione del movimento.
La tecnica principale di animazione, quella più diffusa
e famosa, è quella dei disegni animati, da noi definiti
“cartoni animati” per una scorretta interpretazione della
lingua inglese; questo termine infatti, deriva da “animated
cartoons”, che significa disegni caricaturali animati.
La parola “cartoon” si riferisce ai disegni caricaturali di
genere satirico e politico che al principio erano stampati
in bande sui giornali, cioè i fumetti; quando questi cartoon
iniziarono ad essere proiettati sugli schermi, venne
spontaneo aggiungere la parola “animated” al termine
cartoon, ottenendo così “animated cartoon”; ma con
questo il termine “cartone”, così come lo si intende in
italiano (in inglese cardboard) non ha niente a che fare.
Va inoltre chiarito che il “cartone animato” viene purtroppo
spesso associato a qualcosa di infantile e futile, con
una sottovalutazione e uno svilimento di questa forma
espressiva che non ha giustificazioni visto che il disegno
animato può essere destinato ad un pubblico diverso da
quello infantile e può trasmettere qualsiasi messaggio, può
infatti avere scopi didattici, scientifici o politici.
E’ quindi più corretto chiamarli “disegni animati”, tenendo
ben presente che il disegno animato è solo uno dei possibili
mezzi espressivi messi a disposizione all’animazione.
Esistono infatti un’infinità di tecniche e strumenti che si
possono utilizzare per riprodurre il movimento mediante
immagini in rapida successione, dal disegno animato,
al disegno su pellicola, all’animazione di silhouette,
Introduzione
all’animazione di pupazzi in stop motion, all’animazione
con la sabbia, alla computer animation ecc. Non ci sono
limiti alle tecniche che è possibile utilizzare, l’unico limite
risiede nella creatività dell’artista.
Tutte queste tecniche vengono inglobate nel cinema
d’animazione perché, nonostante le differenze, si tratta
pur sempre di animare un movimento, o meglio, di ricreare
l’illusione del movimento sullo schermo; non qualcosa di
registrato direttamente quindi, come nei film dal vero,
ma qualcosa che va preventivamente organizzato per
diventare tale.
Tecnicamente quindi, il cinema d’animazione può essere
definito come quel particolare mezzo espressivo che si
ottiene con la successione di immagini statiche realizzate
isolatamente il cui movimento nasce successivamente al
momento della proiezione.
Gli animatori sono coloro che si occupano di ricreare
questo movimento sullo schermo, per fare questo devono
però scomporlo, organizzarlo e pianificarlo accuratamente,
immagine dopo immagine, per poi ricomporlo agli occhi
dello spettatore.
Il loro lavoro non è una semplice operazione di riproduzione
meccanica della realtà, ma come dice la parola, un buon
animatore deve sapere “animare”, cioè infondere vita ad un
personaggio, attribuendo ai suoi movimenti uno specifico
carattere ed una particolare interpretazione.
L’animazione e’ quindi innanzitutto un modo di pensare
e di interpretare il movimento dandogli una forma; da
un punto di vista concettuale non c’è nessuna differenza
quindi tra un animatore tradizionale, un animatore in
3D, in stop motion ecc., tutti devono rispettare le stesse
regole basilari per rendere un’ animazione convincente.
La difficoltà non risiede tanto nell’animare dei “bei
movimenti” recitati, ma nel far sì che questi movimenti
riescano a comunicare le sensazioni e le emozioni secondo
gli obiettivi della direzione artistica.
Va poi specificato che il cinema di animazione, prima ancora
di essere un mezzo espressivo cinematografico è una
forma d‘arte, più precisamente viene definito “arte plastica
in movimento”; può avere quindi scopi narrativi oppure
no, può avere anche solo scopi espressivi. L’animazione
più nota e diffusa è naturalmente quella usata a scopi
narrativi, per raccontare storie, tramite il media televisivo
o cinematografico.
Io mi sono occupata di questa forma d’animazione più diffusa
e commerciale, in cui l’animazione più che forma d’arte è
un mezzo espressivo utilizzato per intrattenere il pubblico.
Esiste tuttavia una forma di animazione meno nota, più
artistica, usata in campo sperimentale, dove l’animazione
è svincolata dallo scopo narrativo ed è utilizzata per la
sperimentazione plastica, formale o compositiva. Questi
due modi di fare animazione hanno quasi sempre seguito
percorsi paralleli che raramente si sono incrociati, perché
ovviamente è molto difficile far combaciare gli intenti
commerciali con l’ambizione artistica.
E’ poi indispensabile chiarire che l’animazione non è un
genere cinematografico, se per genere s’intende un
prodotto del cinema che si richiama a determinate regole
compositive come per i generi nella letteratura (fantasy,
giallo, horror ecc.); l’animazione è un mezzo espressivo,
attraverso cui è possibile raccontare storie di infiniti
generi, destinate a pubblici diversi, non solo infantili come
generalmente si è portati a credere.
Cartoon e fumetti infatti, non nacquero inizialmente
come prodotti destinati all’infanzia, ma si rivolsero
prevalentemente alla satira politica o di costume sociale,
ed erano quindi rivolti ad un pubblico più adulto: il fumetto,
veniva pubblicato sulle strisce comiche dei giornali mentre
i disegni animati erano sempre proiettati al cinema, prima
dei film, serviti un po’ come antipasto.
13
Who Framed
Roger Rabbit (1988)
Amblin Entertainment
Silver Screen Partners
Touchstone Pictures
14
Purtroppo col tempo, soprattutto a causa della lunga pratica
del cinema d’animazione commerciale, principalmente
Disneyano, il pubblico è stato abituato a concepire il
disegno animato come un surrogato dei film dal vero,
esteticamente diverso ma con gli stessi schemi formali,
narrativi e compositivi, al massimo più spettacolare e
fantasioso, perché destinato all’infanzia.
Questa convinzione è stata incentivata anche dai
lungometraggi d’animazione, che per loro natura seguono
maggiormente le regole dei film dal vero. Il cinema
d’animazione invece, nonostante sia allo stesso modo
fruibile su schermo, presenta caratteristiche peculiari che
gli sono proprie e non si basa affatto sulle stesse regole
compositive dei film live, si differenzia non solo nell’estetica,
ma anche nella storia che lo ha generato, nelle fonti che lo
hanno ispirato, nel modo in cui viene prodotto e soprattutto
negli schemi formali che lo compongono.
In primis bisogna ricordare che il cinema d’animazione è
nato prima della fotografia e quindi prima del cinema, che su
di essa si è sviluppato; l’animazione infatti, fin dall’antichità
rappresenta il tentativo dell’uomo di riprodurre la realtà
che lo circonda, nelle sue forme e nel suo moto nel tempo:
dalle rappresentazioni in sequenza sui muri delle caverne
neolitiche di Lascaux (Francia), alle figure in successione
sui vasi greci, alla più recente lanterna magica nel ‘600
(prima forma d’animazione in proiezione).
Quindi, se il cinema dal vero si basa su principi tecnico
espressivi che derivano dalla fotografia e dalla riproduzione
meccanica della realtà, il cinema d’animazione, nelle sue
variegate forme, non deriva dalla ripresa diretta della
realtà ma è il risultato di un lavoro tecnico che, simula
la riproduzione meccanica della realtà, ricreandola e
inventandola, e a volte prescinde perfino l’uso della Mdp
(macchina da presa).
A questo proposito bisogna poi considerare che mentre
il cinema d’animazione parte dal nulla, senza limiti alla
creatività, se non a quella dell’artista, il cinema live ha
dei limiti esterni connessi inevitabilmente alla realtà che lo
circonda, dalle scenografie, agli attori, alle strumentazioni
ecc. Per quanto riguarda poi le influenze, il cinema dal
vero, detto anche “a soggetto”, deriva principalmente
dal romanzo e dal teatro, cioè da una tradizione che si
basa sull’aspetto letterario, narrativo, drammatico e
spettacolare; mentre il cinema d’animazione si basa più
sull’aspetto figurativo e pittorico delle immagini, quindi
sulle arti figurative in generale, sulla letteratura per
l’infanzia e sulle sue illustrazioni e in particolarmodo sul
fumetto. Il cartoon americano inoltre, trae origine anche
dagli spettacoli teatrali comici come i cabaret, i vaudeville
e i “chalk talk” di fine 800. I “chalk talk” in particolare
erano degli sketch in cui un attore intratteneva il pubblico
su soggetti di satira, spesso politica, mentre disegnava su
di una lavagna delle caricature e dei disegni umoristici.
Non bisogna infine trascurare l’aspetto formale che
in animazione si basa sull’assetto dinamico e ritmico
Introduzione
delle immagini, sia interno, attraverso i movimenti dei
personaggi, che esterno, nel susseguirsi dinamico delle
sequenze di immagini; il ritmo va inteso proprio in senso
musicale, perché la messa in scena di fatti e azioni viene
scandita in base ad una precisa organizzazione temporale
dove i movimenti seguono regole simili a quelle di una
composizione musicale.
La differenza tra questi due generi risiede proprio nella
concezione del movimento, “esterno” nel cinema live,
basato cioè sulla mobilità della Mdp e degli attori, “interno”
all’immagine nel cinema d’animazione.
Perciò, se è possibile comparare il cinema dal vero al
romanzo, il cinema d’animazione va comparato al fumetto,
alla grafica, alla pittura, ma anche alla musica, perché
l’elemento musicale (il ritmo) è un elemento cruciale nella
sua struttura portante.
Viste quindi le differenze estetiche come anche quelle
narrative e compositive, il cinema d’animazione si presenta
come un cinema tout court, indipendente e autonomo da
quello dal vero, con la possibilità di trasmettere i medesimi
messaggi.
1.2 Principi e Tecniche
Chiarito il concetto di animazione e la sua indipendenza
dal cinema dal vero, vediamo di chiarire meglio come
viene creato il movimento agli occhi dello spettatore.
L’animazione, come già detto, si basa sulla scomposizione
di un movimento nel tempo e si ottiene con la rapida
successione di immagini (pose) che, proiettate una dopo
l‘altra, ricreano l’illusione del movimento.
Che si tratti di semplici cerchi e linee colorati o di un topo in
calzoncini rossi e gialli, il movimento ottenuto deve essere
sufficientemente convincente da non far accorgere lo
spettatore di trovarsi dinnanzi ad un’illusione ottica creata
dalla successione di immagini statiche in sequenza.
L’ animazione è quindi il risultato di un’illusione ottica
che deriva dalla velocità di riproduzione delle immagini
sullo schermo e dipende dal fenomeno fisico chiamato
“persistenza delle immagini sulla retina”. Questo principio,
notato già da Aristotele e Tolomeo, è stato poi approfondito
da scienziati e psicologi nell’ 800, che hanno notato che
l’occhio umano funziona come una camera oscura: la luce
riflessa dall’ambiente esterno, passando per il cristallino,
si focalizza sulla retina, che ha la peculiare capacità
di trattenere l’immagine per una frazione di secondo
maggiore della sua effettiva presenza in campo visivo
(circa 1/15sec.). Questo significa che un’immagine rimane
fissa sulla retina più a lungo della sua effettiva presenza.
Sequenza di disegni
tratta dal libro
Cartoon Animation
di Preston Blair
15
Elemeti della pellicola
cinematografica
tratto da:
L’evoluzione del
cartone animato
autore “Watto”
www.3D.com
16
Consapevole di questa esperienza l‘uomo ha iniziato
a sperimentare le tecniche della cinematografia e
dell’animazione riproducendo il movimento ad una velocità
tale (al di sotto del 1/15 di sec.) che l’occhio umano non
percepisse lo sfarfallio dovuto alla sostituzione delle
immagini durante la visione, avendo perciò la sensazione
di guardare un movimento continuo e fluido (il cui effetto
stroboscopico nella successione delle img. è nullo).
Il principio ottico alla base della proiezione di una
sequenza di disegni animati è lo stesso del cinema dal
vero: come è noto, la Mdp è una sorta di macchina
fotografica “a mitraglia” che impressiona sulla pellicola 24
immagini al secondo (24 fotogrammi al secondo in termini
cinematografici), dove i fotogrammi sono i riquadri che
contengono le singole immagini.
Allo stesso modo, nel cinema d’animazione, si realizzano
24 disegni per ogni secondo di animazione, per avere
un movimento altrettanto fluido in fase di proiezione.
Possiamo quindi constatare che l’animazione è una
professione estremamente laboriosa che richiede un gran
numero di immagini in sequenza, spesso dalle piccole
variazioni le une dalle altre. Se infatti si volesse animare
una breve sequenza di 5 min., si dovrebbero realizzare 24
disegni per ognuno dei 60 sec che compongono i minuti
dell’animazione, per un totale di 7.200 disegni.
Tuttavia, se questo era il metodo utilizzato agli albori,
le successive innovazioni tecniche e tecnologiche, dal
rodovetro (Earl Hurd 1914) alle nuove tecniche al
computer, hanno permesso di smaltire enormemente
questa mole di lavoro.
L’animazione a 24 fotogrammi al sec., viene definita “a
passo uno”; dove il passo, nel gergo tecnico, è il risultato
di una semplice operazione aritmetica che corrisponde
alla divisione tra numero di fotogrammi in un secondo
d’animazione e il numero di disegni utilizzati per animare
ogni secondo (24 fotogrammi/24 disegni=1).
E’ comunque possibile ottenere dei buoni risultati anche
utilizzando un numero inferiore di disegni, per esempio
con l’animazione a “passo due” (24/12=2), effettuata
riutilizzando lo stesso disegno per due fotogrammi.
Esiste poi l’animazione “a passo 3”, con 8 disegni al
secondo, e così via... questo dipende dalla qualità del
lavoro che si vuole ottenere. Ovviamente, ad un numero
di disegni inferiore, corrisponde una maggior scattosità
dell’ azione, conseguentemente una minor resa realistica
e naturale del movimento.
Ragionando in questi termini, a seconda del numero di
disegni impiegati in animazione si usa distinguere tra due
modalità di animazione:
La FULL ANIMATION (animazione completa) indica un
processo di produzione di alta qualità, principalmente
legato ai film d’animazione, nel quale i disegni sono molto
dettagliati e si presta molta attenzione al movimento
realistico e naturale dei personaggi. Questa tecnica utilizza
24 disegni (fotogrammi) per ogni secondo di animazione.
Ciò comporta tempi più lunghi e un immenso lavoro per
gli animatori. Alla full animation corrisponde l’ animazione
della Disney, che mira ad essere la più realistica e naturale
possibile; ne è un perfetto esempio il primo lungometraggio
di Biacaneve (1937).
Introduzione
sopperire alle limitazioni economiche e ai tempi ristretti
imposti in quel periodo. Successivamente venne impiegata
nella produzione di serie televisive a basso costo come ad
esempio “I Flinstone”.
Possiamo quindi concludere sottolineando il fatto che,
in quanto arte plastica in movimento, l’animazione può
servirsi di un’ infinità di tecniche per ricreare il movimento,
ognuna con le sue peculiarità espressive. Le tre tecniche
di animazione oggi più diffuse sono l’animazione a disegni
animati, l’animazione
tridimensionale e l’animazione
in stop motion di pupazzi animati, a cui corrispondono
rispettivamente i film di animazione di “Il re Leone”(1994)
della Disney, “Finding Nemo”(2003) della Pixar Animation
Studio e infine “The Nightmare Before Christmas” (1994)
di Tim Burton.
Esistono tuttavia numerose altre tecniche e molto spesso
capita che venga fatta confusione; andiamo quindi a
chiarire le principali e le loro caratteristiche.
Snow White and the
Seven Dwarfs (193437)
Disney
Full Animation
The Flinstones
Serie TV (1960)
Hanna & Barbera
Limited Animation
1.3. Disegno Animato
La LIMITED ANIMATION (animazione limitata) invece,
indica un tipo più economico di animazione, che viene
utilizzata per produzioni a basso budget e dai tempi
ristretti. I disegni sono meno dettagliati e i movimenti
sono più semplici e limitati; i personaggi sono quindi più
iconici, il movimento è più libero e antirealistico e le storie
sono per lo più incentrate sul dialogo.
La limited animation di solito utilizza l’animazione a “passo
due” (12 disegni/sec.) o a “passo tre” (8 disegni/sec.),
ma si può anche arrivare ad un minimo di 6 disegni al
secondo. Questa tecnica venne ideata dalla UPA (United
Production of America) nel secondo dopoguerra, per
L’animazione classica a disegno animato, in inglese “cel
animation”, è la tecnica più nota e diffusa perché è la
più vicina al disegno tradizionale e fra le meno ardue
da sperimentare. In un disegno animato il movimento
si ottiene scomponendo l’azione in più fasi successive;
terminata la successione di disegni, le immagini vengono
riprese e quindi proiettate in rapida successione sullo
schermo, ricreando l’illusione del movimento. Un tempo
questa tecnica prevedeva la realizzazione di ogni singolo
disegno nella sua totalità, posa dopo posa, ogni volta
ridisegnando per intero sia i personaggi che gli sfondi.
17
V for Victory (1941)
Norman Mc Laren
Disegno Diretto su
Pellicola
Sotto:
Mickey Mouse
character (1928)
Walt Disney
18
Successivamente, grazie all’invenzione dei rodovetri
trasparenti (cel), si poté smaltire notevolmente la mole di
lavoro disegnando una sola volta le parti che rimanevano
immobili (per esempio gli sfondi o gli arti immobili),
ridisegnando quindi solamente le parti in movimento tra
un frame e l’altro. Il procedimento tradizionale è tuttora il
seguente: i disegni vengono prima realizzati su fogli di carta
e poi stampati sui rodovetri trasparenti e quindi colorati.
Ogni disegno, prima di essere stampato sui rodovetri,
viene scomposto in più parti a seconda della fissità/mobilità
delle sue parti componenti. Ad ogni disegno corrispondono
quindi più livelli di rodovetri, che sovrapposti uno sull’ altro
ricomporranno poi l’immagine totale.
In fase di ripresa, per la registrazione di ogni fotogramma,
sopra il disegno dello sfondo, vengono allora sovrapposti
tutti i rodovetri necessari a comporre un singolo disegno;
per procedere alla ripresa del fotogramma successivo sarà
quindi necessario sostituire i rodovetri che devono produrre
il movimento, riprendere l’immagine, e così procedere fino
alla fine. Questa tecnica elaborata ad inizio secolo (1910)
e perfezionata negli anni successivi fino agli anni ‘30, con
l’invenzione della Multiplane Camera (apparecchio che
permette una resa più tridimensionale, aumentando il
senso della profondità di campo) è stata utilizzata per i
disegni animati di un intero secolo, fino ad arrivare oggi ad
un ulteriore miglioramento grazie all’impiego del computer,
che ha permesso di effettuare digitalmente lo stesso
procedimento, ma velocizzando i tempi, abbassando i costi
e migliorando la qualità del lavoro.
1.4 Il Disegno Diretto su Pellicola
Il disegno diretto su pellicola è una tecnica poco diffusa che
comporta la manipolazione della pellicola cinematografica
non ancora sviluppata, fotogramma per fotogramma,
come fosse un materiale artigianale. Ciò che si ottiene è
ovviamente un disegno molto piccolo e poco dettagliato
(3x2cm circa) per lo più composto da segni, linee e chiazze
di colore dalle forme geometriche o astratte. La pellicola
può essere disegnata ma anche incisa e graffiata con
punte o lamette, oppure manipolata con vari strumenti e
soluzioni. Si tratta di un lavoro minuzioso che richiede molta
precisione e pazienza. Il risultato ottenuto in proiezione
finale è dato dalla successione di ogni fotogramma
manipolato ed è spesso un risultato sconosciuto, non predeterminato, ma acquista valore in quanto prodotto di una
serie di manipolazioni volute. Il disegno su pellicola è stata
una tecnica sperimentata dal cinema astrattista e dalle
avanguardie sperimentali; fu portata al massimo grado di
sofisticazione dal neo-zelandese Len Lye e dallo scozzesecanadese Norman McLaren con opere quali “Begone Dull
Care” e “Blinkity Blank”.
Introduzione
1.5 Animazione in Stop Motion (Passo uno)
L’ animazione in Stop Motion, che significa letteralmente
“fermare il movimento”, coinvolge molte tecniche che a
prima vista possono sembrare differenti (sabbia, pittura,
oggetti, carta ecc.), in realtà cambiano solo i materiali
utilizzati mentre il procedimento è sempre lo stesso.
L’ animazione di pupazzi in plastilina, argilla o lattice di
gomma, detta Clay animation o Puppet animation, è la
tecnica più diffusa.
La Stop Motion si occupa della ripresa fotografica di un
oggetto o di un materiale qualsiasi, mosso, fra una fotografia
e l’altra, dagli animatori, in un ambiente precostruito.
L’oggetto viene mosso leggermente (la plastilina viene
manipolata), fra una fotografia e l’altra, fino a comporre l’
intera azione desiderata. La sequenza degli scatti (a passo
uno) dà vita ad un movimento continuo del modello, dove
non si vede la mano dell’operatore.
Questa tecnica richiede un vero e proprio laboratorio
artigianale dove lavorano insieme diverse figure di artisti,
scultori, scenografi, animatori, costumisti, pittori ecc.
L’artista in stop motion ha il dominio completo del proprio
mondo ma ha anche a che fare con un lavoro molto lungo
ed estremamente meticoloso. La cosa più difficile è
mantenere la visione globale del lavoro che si sta facendo,
non è possibile improvvisare: i personaggi vanno studiati
a tavolino, considerando ogni singola espressione e ogni
singolo movimento delle loro parti componenti. I pupazzi
hanno infatti un’armatura interna (in fil di ferro) che
permette la manipolazioni delle giunture e la sostituzione
di diverse parti, come la testa e gli arti.
Occorre poi considerare molto accuratamente la
composizione delle scenografie entro cui si muoveranno i
pupazzi, che hanno tutte le stesse problematiche di un set
dal vero (luci, ombre, ingombri, spostamenti di camera,
operatori e personaggi ecc.) anche se sono realizzate in
scala. Questa tecnica ha un modus operandi molto simile
a quello del cinema dal vero, in cui la disposizione delle
inquadrature, l’allestimento delle scene, degli attori e dei
movimenti deve essere ben pianificato dal regista per
determinare ogni singola composizione in inquadratura.
Il fatto di coinvolgere dei reali oggetti fisici, e non degli
oggetti disegnati manualmente, ha permesso l’uso di
questa tecnica anche nella comune cinematografia, per la
quale ha rappresentato la prima fonte di effetti speciali,
quali movimenti di oggetti, sparizioni e apparizioni.
La Puppet Animation, molto usata in Est-Europa, ebbe
in Jirí Trnka uno dei suoi autori più famosi; oggi è una
tecnica in netta ripresa grazie a film come “The Nightmare
Before Christmas” (1993) di Tim Burton, oppure “Galline
in fuga” (2000) e “Wallace & Gromit” dello studio Aardman
Animation.
Wallace & Gromit
Aardman Animation
19
Le Avventure del
Principe Achmed
(1924-1926)
Lotte Reiniger
Silhouette Animation
Pulcinella (1973)
G. Giannini, E. Luzzati
Cutout Animation
Angry Kid
Serie TV
Darren Walsh
Aardan Animation
Pixelation
20
1.6 Animazione Cutout
La Cutout Animation è un genere di Stop Motion
bidimensionale, applicata ad oggetti piatti come ritagli
di giornale, stoffe ecc. Consiste in pratica nel fotografare
in sequenza delle figure bidimensionali, realizzate in
vari materiali (cartone, stoffa, giornale ecc.), mosse
fotogramma per fotogramma su di una superficie piana.
Il risultato finale è una sorta di “collage in movimento”
dalla quasi totale assenza prospettica.
Queste figure non sono quasi mai forme uniche, ma sono
composte da articolazioni mobili, connesse da appositi
giunti, spesso anche sostituibili, per rendere più agevole il
lavoro dell’ animatore.
La Cutout Animation si divide in due categorie:
monocromatica e policromatica. Quella monocromatica è
conosciuta come “Animazione in Silhouette” e si basa sulla
classica tecnica delle ombre cinesi: le silhouette, ritagliate
su foglio metallico (o cartoncino), spiccano dallo sfondo
colorato come ombre nere. Sono infatti posizionate su
di un piano di vetro orizzontale, retroilluminato, ripreso
dall‘alto. La retro-illuminazione serve a conferire massima
opacità al nero e massima luminosità ai fondali colorati.
L’ animazione in Cutout policromatica è invece composta
da figure di diversi materiali (stoffa, cartone, foto) che
si differenziano dalle silhouette perché sono colorate e
decorate al loro interno e non sono retroilluminate.
Questa tecnica richiede molta abilità manuale e necessita
di un’ attenta pianificazione. Questo lavoro è oggi molto
facilitato dal digitale, che permette, una volta acquisite
le immagini dei ritagli, di associare le diverse parti a vari
livelli virtuali, sovrapponibili e animabili separatamente.
Fra i maggiori rappresentanti di questa tecnica va citata l’
artista tedesca Lotte Reineger, dei primi del ‘900, famosa
Introduzione
per il lungometraggio “Le Avventure del Principe Achmed”
(1926), oppure Michel Ochelot, con “Principi e Principesse”
(2000), a lei dichiaratamente ispirato. In animazione
policromatica sono invece famose le storie di “Angela
Anaconda” (2002) di Joanna Ferrone e Sue Rose, oppure
le storie animate di Giulio Giannini ed Emanuele Luzzati,
come “Pulcinella” (1973). Un esempio di Cutout digitale è
il famoso SouthPark di Trey Parker e Matt Stone.
Rotoscoping:
A Scanner Darkly(2006)
Film di R.Linklater
Attori: Keanu Reeves,
Robert Downey Jr.,
Woody Harrelson,
Winona Ryder,
Rory Cochrane.
Genere Fantascienza.
1.7 Pixelation
La Pixelation è una tecnica che si trova al confine tra
animazione in Stop Motion e ripresa dal vero, viene
effettuata disponendo in successione temporale una
serie di immagini fotografiche dalle piccole variazioni (per
esempio un fiore che sboccia) le une rispetto alle altre.
Si ottiene così un movimento poco naturale e piuttosto
scattoso, una specie di collage dinamico, ma con un effetto
piuttosto spettacolare grazie alla continuità visiva.
Questa tecnica coinvolge spesso degli attori reali che si
prestano alla fotografia in Stop-Motion muovendosi come
oggetti inanimati secondo le direttive del regista, ricreando
così scene dall’effetto surreale.
La Pixelation differisce molto da tutte le altre tecniche
proprio per il risultato innaturale e rigido che si ottiene
nell’animazione finale; questa tecnica non utilizza infatti
l’animazione a passo uno.
Un esempio attuale di Pixelation sono le avventure di
“Angry Kid” di Darren Walsh, realizzate dallo studio
Aardman Animation.
21
The Powerpuff Girl
serie TV
Craig McCracken
Hanna & Barbera
Production
1.8 Computer Animation 2D
La Computer Animation, che in italiano significa animazione
al computer, è l’insieme delle tecnologie digitali applicate
nell’animazione tramite l’utilizzo del computer e di software
specifici; può perciò essere utilizzata per effettuare
animazioni 2D oppure 3D a seconda dei casi. Esistono
comunque numerosi programmi che si possono utilizzare
per fare animazione.
La Computer Animation 2D più diffusa è la Flash Animation,
che prende il nome dall’omonimo software impiegato per
crearla. Esteticamente si distingue per i tratti nitidi e le
campiture nette, nonostante la possibilità di applicare
diversi effetti di fotoritocco.
La Flash Animation non differisce molto dalla tecnica
tradizionale, il procedimento rimane essenzialmente lo
stesso ma viene facilitato grazie all’uso del computer.
I disegni vengono direttamente realizzati in digitale
22
utilizzando una tavoletta grafica oppure vengono
successivamente digitalizzati tramite scanner.
Una volta acquisite, le immagini vengono meglio definite
nei contorni e poi colorate e animate digitalmente, tramite
l’impiego di software specifici che permettono di snellire
notevolmente il lavoro dell’animatore, migliorando sia i
tempi che i costi di produzione.
Flash in particolare ha un approccio pratico e intuitivo,
molto simile alle modalità operative tradizionali: si mantiene
una scansione temporale fotogramma per fotogramma e
tramite la tecnica detta di “onion skyn” è possibile vedere
in trasparenza i tratti dei disegni in successione (come
attraverso la tavola luminosa tradizionale). E’ inoltre
possibile effettuare delle interpolazioni automatiche per
traslare, ruotare e scalare i disegni e sono a disposizione
una buona varietà di filtri ed effetti di fotoritocco quali la
sfocatura, la trasparenza, la luminosità ecc.
I disegni così ottenuti sono in formato vettoriale e questo
rappresenta un ulteriore vantaggio perché così occupano
uno spazio limitato di memoria pur non avendo limiti di
risoluzione. Grazie a tutte queste facilitazioni Flash è un
programma molto utilizzato e diffuso sia nel web che a
livello televisivo e cinematografico.
Introduzione
1.9 Computer Animation 3D o cgi
La Computer animation 3D, detta anche CGI (Computer
Generated Imagery), si basa sulla creazione e la successiva
animazione di modelli virtuali tridimensionali creati
tramite il computer per mezzo di software specifici come
Lightwave3D, Maya, SoftimageXSI, 3DStudioMax ecc.
Ogni sistema 3D deve fornire due elementi: un metodo
di descrizione del sistema stesso detto “scena”,
composto da rappresentazioni matematiche di oggetti
tridimensionali, detti “modelli”, e un meccanismo di
produzione di un’immagine 2D dalla scena, detto “render”.
L’ animazione 3D, concettualmente basata sugli stessi
principi dell’animazione tradizionale per quanto riguarda
l’animazione dei movimenti, in realtà si avvicina molto
anche all’animazione di pupazzi in Stop Motion e alle riprese
cinematografiche dei film live, con tutte le problematiche
relative alla gestione dei set scenografico, delle luci e dei
movimenti di camera.
A seconda dello stile e dei software impiegati i processi
di produzione possono essere diversi. Esistono comunque
delle fasi che stanno alla base del processo e rimangono
sempre uguali, queste sono le seguenti:
modellazione - rigging - texturing & shading - animazione
- illuminazione - visual effect - rendering - compositing touch up e video output.
La prima fase di modellazione consiste nella creazione
tridimensionale delle forme geometriche dei personaggi,
degli oggetti e degli ambienti necessari; il rigging si
occupa quindi di creare i giunti e gli snodi per permettere
ai modelli di muoversi (nel caso di un personaggio viene
creato uno scheletro digitale per permettergli di essere
messo in posa).
La superficie geometrica del modello viene allora
agganciata allo scheletro tramite lo skinning, che permette
alla superficie di deformarsi adeguatamente seguendo i
movimenti del personaggio. Successivamente vengono
definite le proprietà estetiche tramite il texturing e lo
shading. Gli animatori si occupano nel frattempo di
“animare” il modello e le sue espressioni facciali secondo
la sceneggiatura. Va ricordato che in ambiente 3D
qualsiasi cosa all’interno del software può essere animata,
dai personaggi alle luci, dalle deformazioni ai movimenti
di camera. Successivamente si passa all’illuminazione
dei set, alla creazione degli effetti speciali e infine al
rendering, attraverso il quale si ottengono le immagini
finali in successione, previa definizione di tutte le proprietà
estetiche e gli effetti. Si passa infine alla postproduzione e
al compositing delle immagini prodotte dal rendering, per
ottenere poi un’ unica sequenza finale. Si effettuano infine
le correzioni di “touch-up” (fotoritocco) e quindi si procede
alla reazione dell’ output video finale.
Questa tecnica, oggi giunta ad uno stadio molto avanzato,
è anche impiegata per la realizzazione degli effetti speciali
digitali in ambito cinematografico e televisivo, oltre che
nel campo dei videogames. Le società più famose sono
oggi la Pixar, la Dreamworks e la PDI che con prodotti
come “Toy Story” (1995), “Shrek” (2001), “L’Era Glaciale”
(2002), “Finding Nemo” (2003), “Gli Incredibili” (2004),
o il recentissimo “Ratatouille” (2007) stanno ritagliandosi
una consistente fetta di mercato internazionale.
Pinguino character
Madagascar (2005)
PDI e Dream Works
23
Da Destra
Chicken Run (2005)
Aardman Animation
Allied Filmaker
Dreamworks SKG
Pathé Pictures Ltd
Stop Motion Animation
The Nightmare Before
Christmas (1993)
Tim Burton
Skellington Production
Touchstone Pictures
Stop Motion Animation
The Curse of the
Were-Rabbits (2005)
Nick Park e Steve Box
Aardman Animation
DreamWorks SKG
Stop Motion Animation
La Sposa Cadavere
(2005)
Tim Burton
Mike Johnson
Warner Bros Production
Stop Motion Animation
24
2D
Storia
2.1 Le Origini dell’Animazione
2.2 I Pionieri
3D
Le Origini della Computer GraFICA 2.3
Evoluzione Storica 2.4
Pixar Animation Studio 2.5
Le tappe TECNOLOGICHE Essenziali 2.6
25
2
Jack Jack character
The Incredibles (2004)
Disney / Pixar
2.1 Le Origini dell’Animazione
Storicamente parlando, si può risalire alle prime forme di
animazione sin dalla preistoria, visto che l‘uomo, fin da
sempre ha cercato di riprodurre se stesso e il mondo che
lo circonda, rappresentandolo in movimento.
Si possono citare quindi i primi graffiti sui muri,
rappresentanti animali dalle molte zampe (in sequenza),
e passare poi alla scoperta della capacità del fuoco di
rendere vibranti di movimento le figure in rilievo sui muri,
giungendo così ai bassorilievi in Egitto e successivamente
alle figure in sequenza sui vasi, per arrivare infine ai primi
spettacoli di ombre cinesi, in Cina come anche in Egitto,
Persia e Babilonia, diffusasi poi in Europa nel 1700.
Dopo le ricerche di Aristotele, degli arabi, di Giovanni
Battista Della Porta e Leonardo Da Vinci, nel campo
dell’ottica, della riflessione e rifrazione
della luce e della camera oscura, la prima
vera forma di spettacolo cinematografico
inizia con la Lanterna Magica, conosciuta
fin dalla antichità, ma citata per la prima
volta dal gesuita padre Kirchner
nel 1672 nel libro “Ars Magna
26
Lucis et Umbrae” e diffusasi in Europa attraverso spettacoli
ambulanti nelle piazze e nelle corti dei nobili nel ‘700 e
nell’ ‘800. Questo apparecchio proiettava su di un telo
delle figure disegnate su vetrini traslucidi, ottenendone
l’ingrandimento e successivamente anche effetti di
sostituzione, apparizione e sparizione.
Il cinema d’animazione prende le mosse proprio dalla
lanterna magica e dai successivi apparecchi meccanici
realizzati in tutto l’ ‘800, basati sul miglioramento della
lanterna magica e sulla scoperta della persistenza retinica
(Roget 1824).
In queste nuove apparecchiature, diffusasi più che altro
come giocattoli per l’intrattenimento, la riproduzione
del movimento era strettamente collegata al disegno,
all’illustrazione popolare, alla caricatura e al fumetto.
Il cinema “dal vero” dovrà aspettare invece i progressi nel
campo della fotografia, che partendo dalla prima immagine
fotografica realizzata da Joseph Nicéphore Niépce nel
1826, si svilupperanno in tutto l’800 con procedimenti
quali la dagherrotipia e la caleotipia, atti a migliorare il
processo chimico e i supporti, diminuendo i tempi e i costi
per lo sviluppo e la stampa. Fino ad arrivare all’invenzione
della pellicola trasparente nel 1884 (George Eastman) e
alla successiva diffusione della macchina kodak.
Il cinema d’animazione si sviluppa quindi durante tutto
l’ 800 con una serie di invenzioni e strumenti. Senza
indugiare troppo nelle descrizioni tecniche, tra le più
importanti apparecchiature possiamo citare:
il Fantascopio di Robertson (1799), il Taumatropio di John
Ayton Paris (1826), il Fenachistoscopio del fisico belga
Joseph Plateau (1833) e il contemporaneo Stroboscopio
di Simon R. von Stampfer; lo Zootropio (chiamato
inizialmente Daedalum) di William George Horner (1834)
e il particolare Cineografo (o flip book) di John Barnes
(1868). In particolare il Fenachistoscopio e lo Stroboscopio
Introduzione
Storia
Da sinistra in alto:
Lanterna Magica
(1672) Padre Kirchner
Taumatropio (1826)
John Ayton Paris
sono i primi strumenti a riprodurre il movimento come una
serie di pose statiche successive.
Queste prime invenzioni però avevano il grosso limite
tecnico del numero limitato di disegni utilizzabili, non
consentivano quindi di realizzare delle vere e proprie storie
animate, ma più che altro una serie di azioni ripetitive quali
balletti ed esercizi acrobatici effettuati da giocolieri, clown,
equilibristi ecc.
Il primo grande passo in avanti venne effettuato nella
seconda metà dell’ 800 dalle “Pantomime Luminose”
di Emilie Reynaud, considerato il precursore del cinema
d’animazione come oggi lo si intende. Egli, perfezionando
lo Zootropio, inventò il Praxinoscopio (1877), sostituendo
alle fessure un prisma poligonale collocato al centro
del cilindro; questo nuovo procedimento, eliminando il
tempo di otturazione tra una fessura e l’altra, ottenne un
movimento molto più fluido e continuo, e una maggior
luminosità dell’immagine, segnando un importante passo
in avanti rispetto alle consuete modalità di visione. Inoltre,
con il successivo Teatro Ottico (1888), utilizzando la
pellicola a scorrimento (inventata in quell’anno) Reynaud
riuscì a proiettare delle vere e proprie storie animate, in
numero non più limitato e perfino fruibili da più persone.
Le Pantomime però presentavano ancora dei limiti: si
rinnovavano pochissimo, richiedevano mesi o anni di
lavoro, erano facilmente deperibili e non duplicabili.
Dal 1892 Emile Raynaud proietterà quotidianamente le
sue famose “Pantomime Luminose” al museo Grévin di
Parigi fino all’invenzione del Cinematografo dei Lumiere,
che decreterà infine la loro rovina nel 1900.
Con la diffusione della fotografia, altri due personaggi
contribuirono all’evoluzione dell’animazione: l’inglese
Etienne Jules Marey e il francese Eadweard Muybridge.
Entrambi effettuarono diversi studi e riprese sulla
locomozione umana e animale catturando attimo per
attimo la scomposizione del movimento. A Marey in
particolare si deve l’invenzione della Cronofotografia,
ossia l’ applicazione della fotografia istantanea allo studio
del movimento; Marey, grazie all’invenzione del “fucile
fotografico”, un apparecchio del tutto simile ad un vero e
Fenachistoscopio
(1833) Joseph Plateau
primo strumento
a scomporre il
movimento in pose in
successione
Zootropio (1834)
William George Horner
Cineografo o “Flipbook”
(1868) John Barnes
Praxinoscopio (1877)
Praxinoscopio Teatro
e Teatro Ottico (1888)
Emile Raynaud
Cinetoscopio (1889)
Thomas Alva Edison
Cinematografo (1895)
Fratelli Lumiere
27
Eliografia (1826)
Joseph Nicéphore Niépce
Fucile Fotografico per
la ripresa del volo
degli uccelli (1882)
Etienne Jules Marey
Studi fotografici
sulla locomozione
umana e animale (1878)
Eadweard Muybridge
28
proprio fucile, fu in grado di fotografare il movimento a
12 e successivamente a 20 fotogrammi al secondo, grazie
all’introduzione della pellicola fotografica. Questo nuovo
strumento aveva in pratica già tutte le caratteristiche
delle moderne macchine da presa, con il solo problema
dell’irregolarità del trascinamento della pellicola. La
pellicola a scorrimento (tramite perforazione) venne ideata
poi nel 1889 da Thomas Alva Edison e dal suo assistente
Laurie Dickson, che conseguentemente inventarono anche
il Cinetografo e il Cinetoscopio: il primo era uno strumento
per effettuare riprese dal vero impressionando l’immagine
su pellicola a 35mm e il secondo era un macchinario
attraverso cui queste riprese potevano essere guardate;
quest’ultimo si diffuse notevolmente in tutta europa.
Si giunge infine alla tappa storica del febbraio 1895,
quando i fratelli Auguste e Louis Lumière, grazie anche
all’introduzione della pellicola di celluloide, brevettarono
il famoso Cinematografo, che permise di realizzare sia la
ripresa che la successiva proiezione con un unico strumento,
alla velocità di 16 img al sec. Il cinematografo utilizzava
una pellicola di 24mm perforata ai bordi, il meccanismo di
trazione faceva scorrere la pellicola dietro l’obiettivo con
moto intermittente ed era comandato da una manovella
connessa ad un otturatore. La prima proiezione pubblica
del cinematografo fu nello stesso anno al Grand Café del
Boulevard des Capucines di Parigi e vennero proiettati
brevi documentari quali “L’uscita dalle officine Lumière”
(Sortie des ouvries de l’usine Lumière) e la famosa farsa
intitolata “L’innaffiatore innaffiato” (L’arroseur arrosé).
A partire dal 1895 si moltiplicano le sale cinematografiche
sia in Francia che nel resto d’Europa e negli Stati Uniti e il
cinematografo si afferma come nuovo spettacolo popolare;
nel 1900, dopo che i fratelli Lumière cedettero i diritti di
sfruttamento a Charles Pathè, il cinematografo si diffuse
poi nel resto del mondo.
Introduzione
Storia
2.2 I Pionieri
Nella prima fase della storia che va dalla nascita del
cinematografo fino all’invenzione del rodovetro da parte di
Earl Hurd nel 1914, le produzioni di animazione sono scarse
e a carattere sperimentale, si identificano principalmente
nelle opere di alcuni pionieri che a partire dal 1905 iniziano
ad utilizzare la tecnica dell’animazione, tra questi come
il francese Meliès, l’inglese Blackton, il francese Cohl, lo
spagnolo Chomón e l’americano McCay. Si può affermare
che il cinema d’animazione, inteso come spettacolo ad
effetto, ha prima in Reynaud con le sue “Pantomime
Luminose” e poi in Meliès, con i suoi film spettacolari ricchi
di trucchi, i principali precursori, sia sul piano tecnico che
su quello artistico ed espressivo.
Fu infatti Georges Mèliès, ex illusionista e prestigiatore, che
al cinema documentaristico dei Lumière sostituì il cinema
fantastico, costruito attraverso appositi trucchi ed effetti
speciali, come dissolvenze, cambiamenti di dimensioni
e colori (dipinti su pellicola); pare che Mèliès sia stato il
primo a sperimentare la tecnica di base in animazione,
dello “scatto singolo”, ottenendo così sostituzioni, sparizioni
e apparizioni improvvise ed altri effetti stupefacenti per il
pubblico. Lo spettacolo di Mèlies si propose quindi come
alternativa al teatro spettacolare del fasto scenografico,
degli effetti drammatici e della tensione emotiva. Il suo
film più noto è “Viaggio nella Luna” (Le Voyage dans la
Lune) del 1902, ispirato a Jules Verne.
Fino a pochi anni fa gli storici però, attribuivano l’invenzione
della tecnica base di animazione, non a Georges Méliès,
ma al caricaturista e regista inglese James Stuart Blackton.
Sarebbe stato Blackton infatti, ad introdurre per primo la
tecnica dell’animazione in “Humorous Phases of Funny
Faces” (1906) e l’anno successivo, a produrre il film “The
Haunted Hotel”, con cui avrebbe sconvolto il pubblico
europeo con effetti di trasformazioni e spostamenti di
oggetti basati sull’utilizzo della tecnica dello “scatto singolo”.
Anche se la paternità della tecnica dell’animazione viene
ora attribuita a Méliès è indubbio che il successo del film di
Blackton ne determinò la diffusione in Europa e America,
tramite i suoi numerosi film prodotti dalla Vitagraph, sua
propria casa produttrice cinematografica.
Il più grande pioniere del disegno animato è comunque
considerato il caricaturista e illustratore francese Émile
Cohl che, incaricato dalla Gaumont di Parigi di realizzare un
film d’animazione sulla scia del successo di “The Haunted
Hotel”, produce il film a disegno animato “Fantasmagorie”
(1908), che può essere considerato il primo disegno
animato come lo si intende oggi. “Fantasmagorie” fu
prodotto filmando disegni composti da linee nere su
uno sfondo bianco e poi stampando la pellicola sui cui
erano stati impressionati in negativo, visto l’usanza
dell’epoca di disegnare col gesso su di una lavagna.
“L’ Arrosseur Arrosé”
prima proiezione
28/12/1895 al
Grand Café de
Boulevard des
Capucines, Parigi.
29
Le Voyage Dans
la Lune (1902)
Georges Mèliès
Humorous Phases of
Funny Faces (1906)
James Stuart Blackton
Fantasmagorie (1908)
Émile Cohl
Gertie the Dinosaur
(1914) Winsor McCay
30
I personaggi della storia erano un gentiluomo ed un
pagliaccio che durante le loro gag si trasformavano
in oggetti e creature di ogni specie e forma. E’ con
questo semplice film che il disegno animato acquista
un’autonomia espressiva vera e propria, liberandosi
definitivamente dai legami col cinema dal vero.
Seguiranno poi altri film di vario genere, alcuni ispirati a
delle serie a fumetti americane, altri perfino a pupazzi e
oggetti animati.
Un altro dei riconosciuti pionieri del cinema d’animazione
fu Segundo de Chomón, abile tecnico cinematografico, che
produsse diversi film per case cinematografiche spagnole
e straniere, tra i quali si possono citare “El Hotel Eléctrico”
del 1905, basato in gran parte sulla tecnica dell’animazione
a “scatto singolo”. Chomón introdusse anche la tecnica del
disegno animato, utilizzando lo “scatto singolo”, in una
breve sequenza del film “La légende du fantôme” del 1907.
In Italia lavorò con G. Pastrone al film Cabiria (1914).
Un discorso a parte merita Winsor McCay, definito l’artista
più geniale e poetico delle prime strisce a fumetti del ‘900.
McCay si rivolse sia ai fumetti che ai disegni animati in
modo unico e molto personale, differenziandosi totalmente
da tutti gli altri artisti e produzioni dell’epoca. Nel 1905
nacquero le famose avventure del bambino “Little Nemo
in Slumberland”, prodotte dalla Vitagraph e pubblicate a
puntate sul “New York Herald”. Successivamente, a partire
dal 1911, McCay produsse alcuni film d’animazione,
passando da una striscia animata dello stesso “Nemo” a
storie come “How a Mosquito operates”(1912) e “Gertie
the Dinosaur”(1914), quest’ultimo in particolare, ebbe un
discreto successo. In “Gertie the Dinosaur” le scene dal
vero venivano fuse con quelle a disegni di un dinosauro,
Gertie appunto, mettendo in scena una sorta di spettacolo
teatrale in cui McCay interagiva col dinosauro proiettato su
di un grande schermo alle sue spalle. McCay produsse poi
“The Sinking of the Lusitania” e tentò, ma senza successo,
di trasporre in animazione il suo personaggio a fumetti
“Little Nemo”, che però si rivelerà troppo complicato per
poter essere riprodotto adeguatamente sullo schermo.
Alla fine di questo periodo, a partire dagli anni 1920,
inizierà quindi tutta una produzione di serie a disegni
animati basati su fumetti di successo. Non si può parlare
della storia del cinema d’animazione americano senza
sottolineare la forte relazione esistente con il fumetto e il
cinema comico. La nascita del fumetto di fine ‘800, coincise
infatti con la diffusione della stampa periodica e del cinema
inteso come spettacolo popolare, nei primi del ‘900. Queste
due forme espressive condizionarono pesantemente,
Introduzione
Storia
per almeno 50 anni, le forme contenutistiche e gli stili
formali della nascente industria di animazione. Il fumetto,
essendo un genere già ben consolidato a livello sociale,
venne in particolar modo sfruttato dal disegno animato,
non solo nel segno grafico ma anche nella narrativa delle
storie e dei soggetti rappresentati. Le ragioni risiedevano
sia nella possibilità di attingere ad un panorama vasto e
variegato, ricco di personaggi e storie che erano già state
testate sul pubblico (ricavandone una certa popolarità),
sia nella facilità della trasposizione delle serie a fumetti
in serie animate, grazie alla grafica semplice e facilmente
riutilizzabile, con sfondi e ambienti che spesso si ripetevano
inalterati. Questo permetteva di contenere spese e tempi
di realizzazione. Non pochi personaggi passeranno quindi
dal fumetto allo schermo e viceversa, realizzando mutue
influenze tra questi due generi. Fu Richard Felton Outcault
il padre del fumetto americano, con le sue serie di “Yellow
Kid” (1894) e “Buster Brown” (1904), a porre le basi
della successiva diffusione delle strisce a fumetti. Queste
strisce, presenti su giornali e riviste, si erano diffuse con
la stampa periodica a fine 800 e venivano consumate
quotidianamente, a livelli industriali, dal pubblico delle
masse popolari e degli immigrati; un pubblico poco
colto e poco attento ai virtuosismi del tratto. Le storie a
fumetti, disegnate con un tratto volutamente trascurato e
caricaturale, erano storie semplici e rozze che riflettevano
i problemi e le contraddizioni sociali dell’epoca, mettendoli
sul piano della satira, del grottesco, e dello sberleffo
sociale e politico. In questo periodo l’animazione spesso si
ridusse a far muovere i personaggi dei fumetti su sfondi di
maniera, a volte utilizzando anche le famose nuvolette, per
chiarire i dialoghi (non esisteva ancora il sonoro); molto
spesso si perse il sapore comico-grottesco delle strisce
originarie ottenendo una trasposizione cinematografica
piatta e priva di fantasia (anche se il successo di pubblico
comunque non mancava). Si trattava di serie composte
da brevi film, poco più che cortometraggi, proiettati nelle
sale cinematografiche prima dello spettacolo di film “dal
vero”, oppure all’interno delle pause. Ma il valore di queste
produzioni non fu tanto nel prodotto artistico quanto nel
loro valore sociale; queste infatti, riflettevano chiaramente
lo spirito del tempo (sia pur in modo deformato), fornendo
elementi utili ad un’analisi del costume, della cultura e
della società dell’epoca. In questa produzione abbondante
di disegni animati di consumo si impegnarono tutte le
maggiori case cinematografiche dell’epoca, come Edison,
Vitagraph, Paramount, Universal e International Film
Service, ognuna creando la propria sezione dedicata
alla produzione di serie animate, con centinaia di artisti
all’opera. A trasformare in prodotti d’animazione le serie
fumetti fu inizialmente la Edison, che produsse la serie
“Buster Brown Cartoons” nel 1914 e “Animated Grouch
Chaser”, poi seguirono altre serie animate come “Krazy
Kat” dei “Katzenjammer Kids”, di “Happy Hooligan” di
“Mutt and Jeff”, di “Bringing up Father” ecc.
Negli anni seguenti alle produzioni animate si aggiunsero
allora altre case come Rko, Celebrity Production Inc., Disney,
Warner Bros, MGM (Metro Goldwin Mayer), UPA (United
Production of America)... che ora sono quelle più famose.
Alla diffusione del disegno animato di serie contribuì infine
Earl hurd con l’invenzione del rodovetro trasparente (cel)
nel 1914, che permise di mantenere inalterato lo sfondo dei
disegni, su cui poi venivano cinematografate le animazioni
dei personaggi, per trasparenza. Il disegno animato, a
partire dagli anni’10, con la successiva introduzione del
sonoro e del colore (1928 -1930), si avvia quindi verso
la produzione di serie a largo consumo che lo porterà
a monopolizzare per molti anni anche la produzione
europea, rimanendo però un sotoprodotto dell’industria
cinematografica Hollywoodiana.
31
2.3 Le Origini della Computer Grafica
Per quanto riguarda invece la nascita dell’ animazione
in digitale, si usa attribuire all’uscita nelle sale
cinematografiche del film animato “Toy Story”
(prodotto da Pixar Animation Studio in collaborazione
con Disney nel 1995) il momento chiave in cui si è data
dimostrazione della possibilità di realizzare una
storia interamente in digitale.
Scrollandosi di dosso la storica accusa di “freddezza”
rispetto all’animazione tradizionale “Toy Story”
ha dimostrato sia al pubblico che ai grandi studi
hollywoodiani, che la computer grafica 3D può essere
una tecnica di animazione nuova e indipendente con
nulla da invidiare alle altre forme di animazione, né
sul piano tecnico, né su quello stilistico, grafico o
narrativo. Ovviamente “Toy Story” è la punta di un iceberg,
rappresenta cioè il punto culminante di un percorso
di ricerche e sperimentazioni effettuate da diverse
comunità di ricercatori che, a partire dagli anni 1950,
in tempi, luoghi e modalità diverse, hanno apportato
il loro contributo nell’ambito della computer grafica
e della computer animation.
La comunità scientifica investì molto nella computer
grafica per la sua forte carica comunicativa offerta
nella chiarificazione di idee e concetti astratti;
questo favorì la computer grafica NELla creazione di
modelli matematici processabili, quindi visualizzabili
in immagini, in particolarmodo rivolti alla creazione
di ambienti, fenomeni e modelli naturali complessi,
difficilmente processabili al computer.
Questi contributi tecnologici non furono comunque
gli unici, la computer animation è infatti il frutto di
un laboratorio collettivo nel quale sono confluite le
esperienze di diversi settori. Se sul piano tecnologico
hanno contribuito sviluppatori e programmatori
grazie ad enormi investimenti di denaro e risorse
messi loro a disposizione, sul lato artistico e
creativo hanno contribuito le esperienze del settore
cinematografico e pubblicitario, in particolar
32
modo degli effetti speciali e dell’animazione.
Questi ultimi sfruttando le innovazioni messe
a disposizione dai ricercatori hanno saputo
sviluppare un nuovo linguaggio e una nuova poetica
applicabile all’animazione tridimensionale. Tutti
questi contributi portano man mano a traguardi
ritenuti irraggiungibili come il rendering realistico,
l’animazione fluida del volto e del corpo umano, la
simulazione degli ambienti e dei fenomeni naturali,
come anche la capacità di attribuire personalità
e profondità emotiva ai modelli realizzati. Varie
società e studi di produzione si sono poi indirizzate
verso l’impiego del nuovo mezzo digitale, svolgendo la
funzione di motore artistico, oltre che tecnologico,
portando l’estetica digitale nell’esperienza visiva del
pubblico sia televisivo che cinematografico.
Un aspetto peculiare della comunità di ricercatori
che contribuì allo sviluppo della computer grafica
fu la caratteristica di essere una sorta di “famiglia
allargata”, cioè un nucleo relativamente ristretto
ed omogeneo di persone dove il fattore umano, come
l’amicizia e la consuetudine di gruppi nel lavorare
insieme, fu un elemento cruciale. In alcuni casi le
attività di ricerca di questi gruppi più o meno ampi,
fecero capo a personaggi carismatici che potremmo
definire degli autentici visionari. questa “famiglia di
ricercatori” ebbe il sostegno di diverse istituzioni, sia
pubbliche che private, che, fornendo i finanziamenti e
le tecnologie necessarie, rappresentarono dei fulcri
temporanei di ricerca e sviluppo. Grandi società,
centri di ricerca scientifici e laboratori universitari,
raccolsero così diversi gruppi di ricercatori, artisti
e tecnici, che, in un determinato momento, trovarono
le condizioni favorevoli alla loro missione.
Fra questi centri dalle sorti altalenanti, alcuni si sono
presentati più volte nel corso di questa evoluzione, è
il caso della “Boeing Company”, dei “Bell Labs”, dell’ IBM
e vari centri di ricerca universitari come il “Lawrence
Livermore National Laboratory” dell’Università della
California, il “New York Institute of Technology”
(NYIT), il “dip. di informatica” dell’Università dello
Introduzione
Storia
2.4 Evoluzione Storica
ANNI 1950
Utah, oppure laboratori legati alla ricerca scientifica
come il “Jet Propulsion Laboratory” della NASA.
Sempre parlando dello spirito di apertura, della
condivisione e del confronto che guidarono questa
grande famiglia di ricercatori e appassionati, non
si può non citare l’importanza del SIGGRAPH (Special
Interest Group in Computer Graphic) nato nel 1973 ad
opera dell’ “American Computing Association” come
appuntamento annuale per il confronto, lo scambio,
l’ aggiornamento e la discussione per un ristretto
gruppo di appassionati in computer grafica. Il Siggraph
in pochi anni conobbe una crescita esponenziale di
partecipanti, diventando un atteso palcoscenico
internazionale sulla tecnologia digitale (in ogni suo
aspetto) e un vitale fulcro di comunicazione, scambio
e condivisione tra personaggi appartenenti a svariati
settori. Al siggraph si trovarono scienziati, artisti,
programmatori, animatori e semplici appassionati, allo
scopo di condividere i risultati dei recenti progressi
sia in campo scientifico-tecnologico sia artistico,
pubblicitario che degli effetti speciali.
Whirlwind (1950)
il primo
“minicalcolatore”
MIT (Massachusetts
Institute of Technology)
I computer degli albori erano macchine grosse e
molto costose, poco versatili, che richiedevano severi
procedimenti operativi ed erano impiegati più che
altro per il trattamento di volumi elevati di calcoli
elementari, a fini contabili, scientifici, statistici o in
campo militare.
Questi computer si trovavano quindi solo in
strutture privilegiate che sostanzialmente se li
potevano permettere: centri di elaborazioni dati
dell’amministrazione statale, laboratori di ricerca,
laboratori di grandi sedi universitarie e grandi
aziende. In pratica erano macchine che alla maggior
parte delle persone rimanevano sconosciute e
misteriose.
Dopo le prime sperimentazioni grafiche avvenute
occasionalmente in ambito militare (progetto
whirlwind) la comunità scientifica, accortasi delle
grosse potenzialità grafico-visive offerte dai
calcolatori nel chiarimento di concetti astratti,
iniziò a sperimentare in diversi ambiti.
Queste sperimentazioni furono portate avanti da
istituzioni ed enti pubblici e privati, che avevano le
possibilità finanziarie, le risorse tecnologiche e il
personale tecnico-scientifico adatto a portare avanti
la ricerca. questi furono essenzialmente grandi
società come la “General Motors”, la “Boeing Company”,
i “BellLabs” (“Bell Telephone”), L’IBM, centri di ricerca
scientifica come il “Jet Propulsion Laboratory” della
NASA e anche laboratori di ricerca di importanti sedi
universitarie come il “Lawrence Livermore National
Laboratory” dell’Università della California, il “dip.
di computer grafica” all’ Università dell’ Ohio, il “dip.
di informatica” dell’Università dello Utah, il gruppo
“MediaLab” del Massachussets Institute of Technology
(MIT) e il “New York Institute of Technology” (NYIT).
33
Star Wars (1977)
saga fantascientifica
George Lucas
Lucas Film
34
FINE 1970
E’ però a fine anni ‘70 che si verifica la prima fase
positiva per la computer grafica: l’industria
cinematografica registra infatti una forte flessione
di pubblico dovuta essenzialmente alla concorrenza
televisiva, alla proliferazione dellA home video e
delle reti via cavo.
Fu allora che i produttori cinematografici, in cerca di
un rilancio commerciale, si rivolsero alla computer
grafica viste le possibilità spettacolari offerte nel
campo degli effetti speciali, in particolar modo nel
campo fantascientifico.
Era da tempo infatti che si guardava con interesse
alle possibilità offerte dai computer nel controllo
automatizzato di dispositivi analogici e ottici, con
particolare riferimento ai processi di “scanimate”
impiegati per gestire complessi movimenti di camera e
anche nella realizzazione di vari effetti ottici.
Sarà proprio dalle sperimentazioni effettuate a
partire da questo momento che si arriverà poi
all’utilizzo delle tecniche di compositing digitale,
cioè del fotomontaggio e della fusione di immagini
diverse in un’ unica finale.
Gli effetti speciali iniziarono così ad essere sempre
più utilizzati nei film, dando avvio al filone “Sci-Fi”,
dove l’ estetica hi-tech e l’utilizzo del digitale divenne
visibilmente dominante.
Degli esempi furono i film “Westworld, Future World”
(1976), “The Black Hole” (1979), “Alien” (1979), “Looker”
(1981) e il mitico “Star Wars” (1977), prodotto dalla
Industrial Light & Magic (ILM) e diventato fin da subito
un cult cinematografico.
E’ opinione comune attribuire a questo film la data
di nascita degli effetti speciali digitali sebbene vi
fossero già stati esperimenti in questa direzione,
soprattutto in riguardo all’ animazione; è comunque a
partire da ”Star Wars” che le tecnologie digitali sono
diventate sempre più centrali nella realizzazione
degli effetti speciali.
L’ILM in particolare dominerà il mercato negli anni 80
e 90 con diversi film di successo basati sull’impiego
di svariati effetti speciali digitali, grazie anche
alla costituzione nel 1979 della “Computer Graphic
Division”: una sezione della Lucas Film espressamente
indirizzata alla produzione di effetti cinematografici
digitali, che raccogliendo a sé i massimi esperti del
settore tecnologico, come anche di quello artistico,
diventerà un vero e proprio punto di riferimento per
l’intero settore digitale.
Introduzione
Storia
ANNI 1980
Se però negli anni 70 la computer grafica aveva messo
in evidenza il suo potenziale, i risultati ottenuti
erano ancora piuttosto limitati. Si dovrà aspettare
gli anni ‘80, specialmente la seconda metà, per
avere una dimostrazione concreta delle possibilità
offerte dal digitale nel sostenere la trama di film
fantascientifici.
I due film che furono determinanti nel sottolineare
questo grado di maturità raggiunto dall’animazione
3D, sia sul piano tecnologico che artistico, furono
quindi “Tron” (1982), prodotto dalla Disney in
collaborazione con le maggiori compagnie del
tempo e “The Last Starfighter” (1984), prodotto dalla
Lorimar e dalla Digital Productions. Il film Tron in
particolare, apparve stupefacente per l’omogeneità
con cui riuscì ad integrare scene live, sfondi 3D ed
effetti speciali, realizzati da compagnie diverse e
sviluppati su piattaforme altrettanto diverse.
Questi due film contribuirono a dare forte visibilità
alle potenzialità della computer grafica presso
il grande pubblico, sia sul piano tecnologico che
artistico, ciò nonostante ottennero risultati
deludenti di botteghino.
Dopo una prima battuta di arresto, dovuta sia
all’esordio economico poco brillante di queste
due produzioni, sia al fatto che la CGI comportava
ancora molti problemi legati all’arretratezza delle
tecnologie informatiche a disposizione, si assistette
man mano ad una crescita generalizzata nella
domanda di effetti computerizzati che iniziarono a
diffondersi sui network televisivi di tutto il mondo.
Prese così avvio la stagione definita dei “logotipi
volanti” (flying logo), dove la CGI venne impiegata in
sigle tv, stacchi, spot pubblicitari, titolazioni per il
cinema e videoclip musicali. La CG si diffuse allora nel
mercato richiamando sempre più clienti, grazie ai bassi
costi e ai minori tempi di produzione, nonché alla
semplificazione deI processi di lavorazione (rispetto
alle sequenze cinematografiche ad alta risoluzione).
La diffusione di numerosi brevi progetti per la tv
comunque, non sempre determinò risultati di buona
qualità, anzi, la maggior parte delle volte si puntò a
facili soluzioni e ad effetti appariscenti, con una certa
volgarizzazione del linguaggio. Nonostante tutto,
questo fu un ottimo banco di prova e di confronto,
non solo per le grandi case ma anche per i piccoli
studi commerciali, contribuendo alla diffusione
delle immagini di sintesi AL grande pubblico. Queste
immagini INOLTRE, GRAZIE ALLA simulazione realistica
di materiali e movimenti, ALLA forte drammatizzazione
visiva consentita dall’illuminazione sintetica E GRAZIE
ANCHE ALL’introduzione di una nuova spazialità nei
movimenti di camera, STIMOLARONO LA COSTITUZIONE DI
UN NUOVO IMMAGINARIO VISIVO ED UNA NUOVA ESTETICA.
Tron (1982)
Walt Disney Pictures
Steven Lisberger
35
Effetti speciali
di “go-motion”
utilizzati per il fil
“Star Wars”: una
elaborazione digitale
in Stop-motion
ottenuta coordinando
il movimento del
modellino e la cadenza
degli scatti fotografici
della Mdp, attraverso il
computer.
Tecnologia utilizzata
per la ripresa di un
modello di astronave
sul set di “Star Wars”:
sono visibili il fondo
blu per le riprese
(Bluescreen) e la
Dykstraflex.
Il mercato positivo favorì allora la nascita e lo
sviluppo di diverse case di produzione specializzate
in effetti computerizzati animati, sempre più spesso in
3D; tra le principali possiamo citare l’importantissima
’”Industrial Light & Magic” (ILM) di George Lucas e la
altrettanto famosa “Whitney/Demos Productions” (ex
Digital Productions), ma anche “Triple I” (Information
International Incorporated), “MAGI” (Mathematical
Application Group Incorporated), “Abel & Associates”,
“Evans & Sutherland”, “International Information
Inc.”, alle quali si aggiungono negli anni ‘80 anche
la “Cranston/Csuri Inc.”, la PDI “Pacific Data Images”,
la sezione “CGL “del lab. di ricerca del “New York
Institute of Technology”, “Omnibus”, “Digital Pictures”
(Londra) e “Sogitech” (Francia) .
Ma è solo a partire dalla seconda metà degli anni
‘80 che, in un clima di crescenti aspettative, si apre
la vera stagione del digitale. Fino a questo punto
infatti, si era guardato con interesse alla computer
grafica e alla computer animation 3D, ma gli effetti
speciali cinematografici erano ancora per la maggior
parte prodotti con le tecniche tradizionali, basate
sulla lavorazione di modelli fisici e su lavorazioni
ottiche e fotografiche.
Diversi furono i motivi che portarono allo sviluppo
del digitale: da un lato le ricerche tecnologiche
erano giunte a maturazione raggiungendo un grado di
36
realismo insperato e inoltre i costi delle produzioni
digitali erano diventati assai concorrenziali rispetto
al processo tradizionale; dall’altro, bisogna notare
che, se in passato le società avevano dovuto sviluppare
in proprio i sistemi software e hardware necessari per
il calcolo grafico, in questo periodo erano disponibili
sul mercato diversi sistemi hardware espressamente
dedicati ad applicazioni grafiche, come nel caso del
computer grafico “IRIS1000” (1983) prodotto dalla
“Silicon Graphic Inc.”.
Si assistette inoltre alla nascita di numerose
Software House specializzate in produzioni 3D, che
in poco tempo misero a disposizione sofisticate
funzionalità agli operatori del settore. Grazie alla
disponibilità di utilizzare una piattaforma operativa
stabile e ben articolata nacquero nuove case di
produzione di effetti speciali e sequenze animate per
il settore cinematografico, televisivo e anche per
il settore dei videogiochi. Iniziarono così anche le
prime sperimentazioni di piccoli autori indipendenti.
Negli anni ottanta tra le principali case troviamo:
“Wavefont”, “TDI” (Thompson Digital), “Alias” (che
diventerà Alias-Wavefont una volta acquisita da SGI)
e “Side Effect”; come anche “PDI” (Pacific Data Image),
“Blue Sky Studios” di Chris Wedge, “Rhythm & Hues”,
“Metrolight Studios”, “Ex-Machina” (Francia) ecc.
Introduzione
Storia
ANNI 1990
A partire dalla fine degli anni ‘80 e per tutti gli anni
‘90 gli studi di Hollywood producono film utilizzando
effetti speciali digitali in modo sempre più massiccio,
man mano sempre più perfezionati, dimostrando
i risultati di una ricerca tecnologica che pare
inarrestabile.
In pochi anni si assistono a salti qualitativi sempre
più stupefacenti, che segnano profondamente
l’immaginario del pubblico con l’uscita nelle sale di
diversi film sempre più elaborati digitalmente, dove
risulta ormai difficile distinguere le lavorazioni
digitali da quelle dal vero grazie alla perfetta
integrazione raggiunta. Vengono prodotti film come
“The Abyss” (1989), “Terminator” e “Terminator II: “Il
giorno del giudizio” (1991), “La morte ti fa bella”
(1992), “Batman Returns” (1992), “Jurrasic Park” (1993),
“Forrest Gump” (1994), “The Mask” (1994), “Jumanji”
(1995), \”Twister” (1996), “Titanic” (1997) per arrivare
infine al mitico “The Matrix” (1999).
Altre importanti aziende si affiancarono alla famosa
ILM nella realizzazione degli effetti speciali digitali,
tra queste la “Digital Domain” di James Cameron, che
si occuperà di “True Lies” (1994) e “Titanic” (1997), la
“Dreamquest”, con “The Mask” (1994) e “Armageddon”
(1998) e la “WETA”, di Peter Jackson con “Contact” (1997).
L’elenco puntuale dei film esula dal discorso, “Jurassic
Park” in particolare, con le sue creature, rappresentò
un buon punto di arrivo nella realizzazione degli
effetti speciali. Nell’immaginario comune, da questo
periodo in poi, il digitale divenne la nuova tecnica
con cui fare cinema!
Gli sforzi di questa lunga fase digitale sono perciò
giunti a maturazione nel ‘900, almeno sul piano
tecnologico, producendo un vasto repertorio di
soluzioni ed effetti digitali, in grado di riprodurre
praticamente qualsiasi cosa, naturale o fantastica.
Questo grazie all’elevato grado di realismo
raggiunto, tanto da essere quasi indistinguibile
dalle riprese dal vero, sia dall’evoluzione tecnica
raggiunta nelle lavorazioni di post-produzione,
particolarmente nel campo del compositing digitale,
che permise non solo la fusione coerente di immagini
generate in modo diverso ma anche l’applicazione di
vari effetti di fotomontaggio e fotoritocco digitale,
come il clean-up (per nascondere fili e imperfezioni
nella ripresa) o la realizzazione ex-novo di effetti
speciali aggiuntivi. Questo ovviamente ha ampliato
le potenzialità espressive del cinema tradizionale
abbattendo quelli che erano i suoi limiti realizzativi.
Accanto alle produzioni cinematografiche anche
quelle di disegni animati, iniziarono ad introdurre
effetti speciali digitali nella produzione. La Disney, che
dopo la morte di Walter (1966) aveva subito un periodo
di crisi, inizia infatti a risollevarsi sotto la guida
Effetto “Genesis”
Star Trek II: L’ira di
Kahn (1982)
5 mesi per pochi sec.
di film.
Effetto di
“Morphing Digitale”
The Abyss (1989)
James Cameron
8 mesi di lavoro per
75 sec.
Effetto di
“Morphing digitale”
in Terminator 2:
Judment Day (1991)
James Cameron.
Simulazione di una
creatura in carne ed
ossa in Jurassic Park
(1993)
Steven Spielberg
2 anni di lavoro.
37
La Bella e la Bestia
(1991)
Walt Disney Productions
scena del salone
realizzata in digitale
cgi ottenendo una
perfetta mobilità di
camera.
Tarzan (1994)
Walt Disney Productions
scena realizzata
tramite il software
Deep Canvas,
utilizzato per integrare
disegno a manoe
sfondi 3D
38
di Michael Eisner e Jeffrey Katzenberg, che per primi
iniziarono a sperimentare l’integrazione di scene
3D all’interno di classici animati come “La bella e la
bestia” (1991), “Il re leone” (1994) e “Tarzan” (1999); cui
seguirono “Anastasia” (1997) della “20th Century Fox” e
“Il principe d’egitto” (1998) della “Dreamworks”.
Ma è con la fondazione della “Pixar Animation Studio”
nel 1986 che si arriva alla tappa definitiva di questo
percorso in cui l’animazione cgi giunge a maturazione;
la Pixar infatti è la prima compagnia a credere
nell’autonomia espressiva del linguaggio digitale 3D
e a investire in un prodotto realizzato interamente
in digitale.
Dal momento della sua fondazione la Pixar si preoccupa
di sviluppare la tecnologia e le conoscenze adatte a
portare avanti questo grande progetto; vengono così
prodotti diversi cortometraggi a partire da “Luxo Jr.”
(1986), frutto di un ingegno artistico e uno sviluppo
tecnologico notevoli. molti di questi corti, infatti,
ricevono premi internazionali, sia da parte della
comunità scientifica che da quella cinematografica.
Negli stessi anni anche un’altra compagnia, la PDI, inizia
a produrre dei corti di successo come “Locomotion”
e Burning Love (1988), “Gas Planet” (1993) e “Sleepy
Guy” (1994). un’altra data storica è quella del 1991 in
cui Pixar e Disney stipulano un famoso accordo per
cui si impegnano a co-produrre entro i prossimi tre
anni il primo lungometraggio animato basato sulla
tecnologia 3D sviluppata da Pixar: è la nascita di “Toy
Story”, che uscirà nelle sale cinematografiche nel
1995 con un grande successo di pubblico.
E’ con questo primo film realizzato interamente
in digitale 3D che si apre definitivamente il nuovo
capitolo delle produzioni cinematografiche in
animazione cgi.
“Toy Story” dette avvio a tutta una produzione
successiva, anche di altre società, che si
rileverà cospicua e travolgente, con l’industria
cinematografica degli Stati Uniti saldamente in testa
e perfino con un ventaglio di pubblico molto più
vasto di quanto l’animazione tradizionale avesse in
precedenza.
Da questo momento in poi anche i famosi film di Natale
della Disney accusarono il colpo della concorrenza
delle nuove uscite come “A Bug’s Life” “Toy Story2”
“Monster &Co” “Finding Nemo” ecc.
Il successo di questi film è dato anche dalla notevole
capacità inventiva dei nuovi studi di animazione
quali la Pixar, BlueSky Studios, PDI, Dreamworks
SKG (Spielberg, Katzenberg e Geffen), 20th Century
Fox, Warner Bros, Sony Pictures ecc., che alle
nuove tecniche hanno saputo aggiungere anche un
grande lavoro di sceneggiatura, regia e creatività.
A suggellare infine l’elevazione del digitale a
linguaggio cinematografico autonomo abbiamo infine
l’introduzione delle categoria Oscar per “il miglior
Introduzione
Storia
film animato”, avvenuta nel 2001, vinta da “Shrek” della
PDI (in concorrenza con “Monster&Co.” della Pixar) che
ricevette inoltre, nello stesso anno, la nomination
Oscar anche come “miglior film”.
Corto in Cgi:
The Adventures of
André and Wally B.
(1984) Lucasfilm
Computer Graphics
Division
2.5 Pixar Animation Studio
Corto in cgi:
Luxo Jr. (1986)
cortometraggio
Pixar Animation Studio
La Pixar, nata nel 1986, viene fondata da Edward
Catmull, Loren Carpenter e William Reeves, grazie
all’appoggio finanziario di Steven Jobs, l’enfant
prodige che assieme a Steve Wozniak aveva creato la
“Apple” e successivamente il Machintosch.
Catmull, Carpenter e Reeves facevano parte del
gruppo più brillante di ricercatori della “Computer
Graphic Division” della Lucas film, per cui avevano
prodotto nel 1984 “The Adventure of Andre and Wally
B.”, interamente in grafica 3D.
Questo short aveva rappresentato due grandi novità
nel campo della computer animation: una realistica
e dettagliata scenografia naturale (grazie all’uso
della modellazione particellare) e un’ animazione
molto naturale dei personaggi, realizzata in base ai
principi dei cartoon tradizionali.
Il gruppo quindi, accortosi delle grosse potenzialità
dell’ animazione cgi, aveva tentato di proporre la
strada del lungometraggio in cgi a George Lucas, ma,
divergendo nelle visioni, si era poi estromesso dalla
IL+M, fondando poi il famoso Pixar Animation Studio.
Pixar iniziò quindi col realizzare e sviluppare
l’infrastruttura necessaria a supportare al meglio la
produzione in cgi, da un lato sviluppando un software
specifico, in grado sia di sfruttare la tecnologia
raggiunta, sia di assicurare un facile approccio agli
animatori; dall’altro impegnandosi a far convergere
la tecnica alla creatività, concentrandosi sulla
sceneggiatura, la caratterizzazione dei personaggi,
i movimenti, lo stile, la credibilità ecc. A questo
sviluppo contribuì notevolmente John Lasseter, ex
animatore della Disney.
Vengono quIndi realizzati diverti corti, presentati
poi a vari festival internazionali, attraverso cui la
Pixar si fa pubblicità, ma allo stesso tempo porta
anche avanti lo sviluppo tecnologico, risolvendo di
volta in volta diverse problematiche riscontrabili
nel 3D, dal rendering realistico, all’animazione di
espressioni facciali e movimenti convincenti, ad una
migliore stilizzazione grafica dei personaggi in tre
dimensioni.
grazie agli
importanti risultati tecnologici ed
artistici raggiunti, la Pixar riceve allora una
serie di importanti riconoscimenti dalla comunità
internazionale della computer grafica.
39
Fiding Nemo (2003)
Disney / Pixar
tra questi sviluppi il più importante fu l’innovativo motore di rendering ”RenderMan” (1989), che divenne uno
standard industriale per la produzione di animazioni ed effetti digitali. Inoltre, la realizzazione di “Luxo Jr”
(1986), il primo cortometraggio realizzato applicando a delle semplici lampade da tavolo i principi dell’animazione
tradizionale, rappresenta un ulteriore dimostrazione delle capacità espressive offerte dalla cgi. Ad esso
seguiranno poi diversi altri cortometraggi, come “Red’s Dream” (1987), “Tin Toy” (1988), Knick Knack (1989), Geri’s
Game (1997) o “For the Birds” (2000), alcuni dei quali riceveranno l’ Oscar come migliori cortometraggi animati.
Nei primi anni 1990 la Pixar iniziò quindi a produrre i primi short pubblicitari per varie società commerciali quali
Coca-Cola, Listerine, Levi’s, Tropicana, Lifesavers... che frutteranno altri premi e riconoscimenti.
2.6 Le tappe tecnologiche essenziali
1950 Il progetto militare WIRLWIND dimostra la possibilità di trasformare dati numerici in info grafiche.
1962 Ivan Sutherland al MIT sviluppa SKETCHPAD il primo sistema interattivo di disegno per manipolare img 2D e 3D in
wireframe.
Lee Harrison realizza MR.COMPUTER IMAGE ABC primo esperimento di character animation realizzato attraverso
scanimate (computer analogico).
1963 Ed Zajac realizza “SIMULATION OF A TWO-GIRO, GRAVITY GRADIENT ATTITUDE CONTROL SYSTEM” il primo film animato
interamente al computer.
William Fetter sviluppa “COMPUTER GRAPHIC”, una tecnica di elaborazione dati per convertire dati ingegneristici in
immagini. Fetter realizza il primo manichino tridimensionale manipolabile di figura umana.
40
Introduzione
Storia
1964 Kenneth Knowlton crea le basi della GRAFICA RASTER
utilizzando i caratteri tipografici come in un mosaico
per comporre immagini in chiaroscuro.
Kenneth Knowlton inventa BEFLIX, un linguaggio di
programmazione user-friendly per generare sequenze
animate di immagini al computer.
1966 Prof. Charles Csuri crea animazioni di disegni
realizzati a mano e successivamente digitalizzati e
manipolati al computer. ex. HUMMINGBIRD
Michael Noll realizza animazioni astratte animate
ispirate a principi matematici. ex. HYPERCUBE
James e John Whitney realizzano LAPIS, animazione
astratta ispirata alla filosofia orientale, creata dal
computer analogico costruito da John.
John Whitney realizza poi ARABESQUE (1975) un
animazione astratta con figure geometriche e musica
1973
Nasce il SIGGRAPH
Peter Fòldes al National Film Board of Canada
produce il film animato “THE HUNGER”, realizzato
con interpolazioni digitali. Primo esperimento
sull’utilizzo del digitale per l’automatizzazione dei
processi nei cartoon.
Alvy Ray Smith sviluppa il SFTW. PAINT per il disegno
1974
Edward Catmull realizza la prima immagine munita di
TEXTURE (texture: img 2D applicata ad un modello 3D).
1975
Mandelbrot pubblica “A THEORY OF FRACTAL SETS”
sulle sue importanti ricerche sui frattali
1976
Edward Catmull al NYIT sviluppa il software TWEEN
per l’interpolazione tra keyframe nei cartoon
Al NYIT viene sviluppato anche il software SOFTCEL per
la colorazione dei fotogrammi nei cartoon.
Al NYIT inizia il progetto per il film in cgi “THE WORKS”,
che influenzerà molto gli sviluppi nel 3d anche se mai
finito.
Simulation of a Two
Gyro-Gravity-Gradient
Attitude Control System
(1963) Ed Zajac
Primo film animato
sul comportamento
di un satellite attorno
al sole
Prima sequenza
animata di un modello
umano in 3D (1963)
William Fetter
Studio sulla
Percezione: immagine
composta da un
mosaico di caratteri
tipografici (1966)
Kennet Knowlton e
Leon Harmon
Hummingbird (1966)
disegno animato di
un colibrì che si
trasforma fino ad
esplodere, per poi
ricomporsi
Charles Csuri
Scuola d’ Arte dell’Ohio
41
Cortometraggio
The Hunger (1973)
precoce esperimento
sull’ applicazione delle
tecnologie informatiche
nei processi d’automazione
nella cartoon animation
Peter Fòldes
NFB of Canada
Carla’s Island (1981)
una delle prime
animazioni ad usare
la modellazione procedurale
per la simulazione di
fenomeni naturali complessi
Nelson Max
Road to Point Reyes (1983)
una singola immagine
a dimostrazione della
qualità del realismo
raggiungibile con le
più avanzate tecniche
del tempo
LucasFilm
1978
James Blinn sviluppa il BUMP MUPPING per la
simulazione di superfici rugose e irregolari
(agendo sulle normali delle superfici)
Marc Levoy sviluppa OPAQUE: un sistema per
l’opacizzazione
in
digitale
delle
pellicole
trasparenti dei cartoon
La Disney commissiona alla Pixar un sistema assistito
dal computer per l’ottimizzazione dei processi nei
cartoon. Sulla base di Tween, nasce CAPS (Computer
Animation Production System)
1980
Loren Carpenter realizza “VOL LIBRE” uno corto
interamente prodotto al computer in modo
procedurale. Il corto mostra sequenze di volo
sopra un panorama montuoso coperto di neve.
1981
Nelson Max realizza ”CARLA’S ISLAND” un corto in
cui si utilizza la modellazione procedurale per
realizzare fenomeni naturali complessi. il corto
mostra un’ isola in diverse ore del giorno.
1983
l’ ILM produce l’immagine di sintesi “ROAD TO POINT
REYES” in cui un dettagliato paesaggio naturale è
il risultato dell’unione di più elementi renderizzati
separatamente e poi uniti in un unica immagine
finale.
Loren Carpenter scrive il nucleo del motore di
render REYES (Render Everything Your Eyes Saw).
William Reeves studiando gli oggetti della classe
“fuzzy” (fuoco-gas-liquido) pone le basi della
MODELLAZIONE PARTICELLARE proponendo di trattare
questi volumi come insiemi composti di particelle
distinte.
1984
La Silicon Graphic Inc immette sul mercato il primo
computer grafico IRIS1000 e l’anno dopo la LucasFilm
presenta il PIXAR, dedicato alla progettazione
grafica.
Rob Cook sviluppa il DISPLACEMENT MAPPING che crea
delle vere e proprie superfici rugose e irregolari.
Alla LucasFilm viene prodotto il corto animato in
3d: “THE ADVENTURE OF ANDRE AND WALLY B.”
42
Introduzione
Storia
1986 La Pixar produce il primo corto “LUXO JR” , cui
seguiranno altri corti di successo
Particle Dreams (1988)
oltre 60.000 particelle
agiscono in base alla
legge di gravità e
rimbalzano secondo
determinati parametri,
cambiano di colore
da blu a bianco per
simulare l’ effetto
schiuma
Karl Sims
James Blin realizza una animazione 3D simulando
il viaggio della sonda spaziale Voyager su Marte e
Saturno.
1987 Craig Reynolds realizza “BREAKING THE ICE”, un corto
che sviluppa la modellazione particellare complessa
trattando gruppi di organismi intelligenti quali
stormi e branchi.
1988 Karl Sims realizza “PARTICLE DREAMS” una pièce
dimostrativa che mostra una serie di sequenze
oniriche in cui vengono applicate regole procedurali
a migliaia di particelle. Le sequenze comprendono un’
esplosione, una tempesta di neve, una cascata, una
testa che si respira.
Panspermia (1990)
un sofisticato
microcosmo software
basato su di un
sistema naturale
autopropagante
Karl Sims
Pixar immette sul mercato il motore di rendering
RENDERMAN divenuto uno standard del settore.
1990 KarL Sims realizza “PANSPERMIA” utilizzando tecniche
di simulazione dinamica e sistemi particellari. Il film
tratta la diffusione di un sistema autopropagante di
germi e spore.
Displacement
mapping:
le informazioni di
questa texture non
cambiano la direzione
delle normali della
superficie, come
nel caso del bump
mupping (che causa
un illusione ottica), ma
alterano la superficie
stessa.
1991-1995 Pixar e Disney si accordano per la co-produzione del
lungometraggio animato “Toy Story” E SUCCESSIVAMENTE
“Toy Story” esce nelle sale cinematografiche
DIVENTANDO IL PRIMO UFFICIALE LUNGOMETRAGGIO D’
ANIMAZIONE cGI.
1. bump mapping
2. displacement
43
Da sinistra in alto:
Toy Story (1995)
Disney / Pixar
A Bug’s Life (1996)
Disney / Pixar
Antz (1996)
Dreamworks
Animation
Toy Story II (1999)
Disney / Pixar
Monster & Co. (2001)
Disney / Pixar
Shrek (2001)
Dreamworks
Animation
44
Introduzione
Storia
Final Fantasy (2001)
Chris Lee Productions
Square Co.Ltd
Square USA
Ice Age (2002)
20th Century Fox
Blue Sky Studios
Finding Nemo (2003)
Disney / Pixar
Shrek II (2004)
Dreamworks
Animation
The Incredibles (2004)
Disney / Pixar
Polar Express (2004)
Warner Bros
45
Da sinistra in alto:
Sharktale (2004)
Dreamworks
Animation
Uno Zoo in Fuga
(2005)
Disney
Valiant (2005)
Gary Chapman
Chicken Little (2005)
Disney
Madagascar (2005)
Dreamworks
Animation
Robots (2005)
Blue Sky Studios
Fox Animation Studio
46
Introduzione
Storia
Da sinistra in alto:
The Ant Bully (2006)
Warner Bros
Cars (2006)
Disney / Pixar
Over the Edge (2006)
Dreamworks
Animation
Flushed Away (2006)
Dreamworks Animation
Ice Age the Meltdown
(2006)20th Century Fox
Blue Sky Studio
Arthur e il popolo
dei Minimei (2007)
01 Distribution
47
Da sinistra in alto:
Happy Feet (2006)
Warner Bros
Shrek 3 (2007)
Dream Works
Animation
Meet the Robinson
(2007) Disney
Ratatouille (2007)
Disney / Pixar
Bee Movie (2007)
Dreamworks
Animation
Surf’s Up (2007)
Dreamworks
Animation
48
Pre-produzione
2D & 3D
3.1 Concept
3.2 Soggetto
et
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sc am
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tu
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co
n
ce
pt
3.3 Trattamento & Scaletta
2D
1.1
1.2 1.3 1.4
2.1
2.2
3.1
4.1
5.1
3D
3.4 Sceneggiatura
3.5 Design
3.6 Style Guide
3.7 Registrazioni Audio
3.8 Storyboard
3.9 Animatic
3.10
Approfondimenti:
3.10.1 The Hollywood Formula
49
3
3.10.2 Cosa Rende Efficace un Personaggio
3.10.3 Narratività
3.10.4 “L’ Eroe dai Mille Volti” di J. Campbell
Prologo
Innanzitutto devo premettere che il confronto da me
effettuato tra il processo produttivo in animazione
tradizionale e quello in animazione cgi tridimensionale,
considera l’animazione tradizionale allo stato attuale,
quella classica, allo stato puro, è una tecnica che quasi
non esiste più, perché l‘utilizzo del computer è entrato in
modo considerevole nel processo produttivo, permettendo
di facilitare, velocizzare e migliorare qualitativamente i
procedimenti, ottenendo risultati migliori e più economici.
Molte produzioni di disegni animati oggi si basano
sull’impiego più o meno massiccio del digitale e i disegni
50
vengono realizzati direttamente al computer o subito dopo
vengono digitalizzati per essere manipolati tramite appositi
software (Toonz, Animo, Toonboom Studio). Ma questo
non significa che il processo produttivo sia differente, le
fasi e le tecniche utilizzate sono sempre le stesse.
Tutti i processi produttivi si dividono nelle tre fasi: preproduzione, produzione e post-produzione. Questa
scomposizione rappresenta la naturale evoluzione di un
progetto, infatti tutti i lavori richiedono una fase iniziale
dove il flusso astratto di idee viene reso concreto,
ampliato e pianificato, una fase successiva dove si procede
effettivamente alla creazione di ciò che è stato pianificato,
e una fase finale in cui tutto il lavoro viene definitivamente
assemblato, revisionato e unificato in modo organico,
diventando un prodotto finito.
La prima fase di pre-produzione, che come dice la parola
pre-cede la produzione, è una fase uguale in tutti i processi
produttivi; questo perché non è un processo realizzativo
ma concettuale, che si preoccupa di stabilire le basi della
successiva produzione (le sue fondamenta), chiarendo
le principali direttive da seguire durante la fase futura
di realizzazione. In pre-produzione le idee vengono rese
concrete e ampliate, si ricercano le informazioni necessarie
e viene pianificato attentamente l’intero flusso di lavoro
successivo. Inutile quindi dire quanto sia importante
questo processo nel decretare il futuro successo o la futura
rovina di un qualsiasi progetto.
In questa prima fase non esistono molte differenze tra il
processo produttivo classico e quello in cgi 3D.
Si può però notare che, a differenza della produzione di un
film live, dove l’elemento più importante è la Sceneggiatura,
in questo caso sono invece lo Storyboard e l’ Animatic a
rivestire il ruolo di elementi cruciali; il primo nel definire
chiaramente il susseguirsi delle scene della storia e la
loro composizione sullo schermo, il secondo nel definirne
Pre-produzione
Introduzione
attentamente le tempistiche della storia.
Il motivo di questa differenza risiede nel fatto che, mentre
in un film live è possibile effettuare molte riprese che
successivamente saranno sottoposte a scelta e scarto,
questo non è possibile in un prodotto di animazione
dove qualsiasi scena realizzata richiede molto tempo e
fatica. Conseguentemente è necessario pianificare molto
attentamente le scene da produrre per non lavorare
inutilmente e limitare tempi e costi di produzione. Lo
Storyboard e l’ Animatic in questi casi sono degli utilissimi
strumenti per valutare la storia ed apportare le necessarie
modifiche prima di entrare in produzione, dove queste, se
effettuate tardivamente, risulterebbero molto gravose.
In questa prima fase produttiva bisogna inoltre far notare
che, se un tempo le registrazioni dei dialoghi venivano per
lo più aggiunte alla fine, oggi è pratica comune effettuare
la registrazione prima di entrare in produzione. Questo
perché il team produttivo, in particolare gli animatori,
utilizzano le registrazioni come spunto per animare le
movenze dei personaggi e per il sincronismo labbiale (lip
synch). Comunque esistono ancora delle produzioni che
effettuano le registrazioni alla fine (Pixar o le produzioni
giapponesi), questo dipende dal metodo di lavoro scelto da
ogni compagni e dall’importanza attribuita al sincronismo
labbiale piuttosto che alla libera interpretazione degli
animatori.
L’ultima considerazione da fare per quanto riguarda la
pre-produzione nei due processi produttivi riguarda infine
la fase di design, che si differenzia leggermente nella
creazione di personaggi e ambienti.
Il 3D infatti, lavorando col tridimensionale, ha a che fare con
uno scenario (set) che può essere facilmente paragonato
ad uno reale, con tutte le problematiche del caso quali luci,
ingombri, spostamenti di camera ed attori. In questo caso
quindi, il design di personaggi e sfondi deve essere molto
più accurato che nel tradizionale perché deve considerare
più aspetti impliciti nella costruzione tridimensionale: le
ambientazioni hanno bisogno di tavole che considerano
attentamente la loro composizione in rapporto alla mobilità
dei personaggi e degli altri elementi in campo, compreso il
posizionamento e l’orientamento delle fonti luminose.
La costruzione dei personaggi poi, oltre alle normali tavole
disegnate, comprende la creazione delle “Maquette”, cioè
delle statue in creata (o altri materiali) che ricreano le
fattezze dei personaggi principali per aiutare il modellatore
nella difficile trasposizione dal 2D al 3D.
Chiarite quindi le direttive essenziali, vediamo ora di
analizzare più attentamente le singole fasi della preproduzione.
51
3.1 Concept
Il Concept è l’idea di partenza, l’idea con la “I” maiuscola, che fa nascere una storia e fornisce identità all’argomento della
comunicazione; ne rappresenta il nocciolo.
Il Concept nasce da un processo indecifrabile che ci porta ad organizzare i pensieri per arrivare alla concezione di una
possibile storia; in pratica è la prima organizzazione razionale di un processo mentale irrazionale. Questo primo spunto
creativo può nascere in vari modi, in maniera casuale o più ragionata: può essere una parola, una sensazione, un’immagine
mentale che ci appare mentre camminiamo, ascoltiamo musica, parliamo con la gente... può derivare da un esperienza, da
una situazione che ci ha colpito o da libere associazioni... fatto sta che ci colpisce al punto tale da spingerci ad approfondire,
ad ampliarne la definizione, a ragionarci sopra, per costruire da essa una storia sensata.
3.2 Soggetto
L’idea non dà naturalmente tutte le informazioni necessarie per sviluppare una storia nella sua interezza, occorre quindi
tramutare l’idea in forma scritta, con una breve narrazione dei contenuti della storia, in base al Concept.
Il soggetto ha quindi il compito di chiarire lo sviluppo della storia nelle sue tre parti essenziali: inizio, svolgimento e fatti
che condurranno al finale.
Occorre sviluppare i personaggi principali (aspetto fisico e caratterizzazione) e definire chiaramente i tempi e i luoghi
(esterni ed interni) della storia. I personaggi devono far procedere la storia con le loro azioni, in particolare il personaggio
principale, ed è importante che siano in grado di creare empatia con il pubblico ed interessarlo.
In una storia i tre tempi sono generalmente così sviluppati: all’inizio vengono presentati i personaggi principali, l’ambiente
dove vivono e come vivono (spesso è una situazione stabile che pare duratura); poi succede qualcosa di inaspettato che
fa evolvere la storia e la trascina in una nuova direzione, i personaggi sono spinti ad uscire dalla routine per fare qualcosa
di nuovo che li mette alla prova e gli fa fare qualcosa di inaspettato (questo è il colpo di scena); infine la storia si risolve e
il protagonista la conclude, nel bene o nel male, trovando un nuovo equilibrio.
Non esiste un metodologia precisa per scrivere il soggetto, lo si può fare parlando al presente o al passato, in prima
persona oppure no, dipende dal modo che si ritiene più adatto ad entrare nel “mood” della storia. Un buon metodo per
iniziare è quello di porsi le cinque domande fondamentali del giornalismo anglosassone (chi, che cosa, dove, quando e
perché) che possono servire a dare una forma completa al racconto.
Decidere i dettagli ora è una perdita di tempo, è molto facile perdersi nelle parole e nelle descrizioni di un testo, la storia
cambierà e si svilupperà ancora nel corso della stesura.
52
Pre-produzione
Introduzione
3.3 Trattamento e Scaletta
Dalla storia descritta sommariamente nel Soggetto, ora le descrizioni si fanno più dettagliate e specifiche.
Trattamento e Scaletta interagiscono tra loro nell’ organizzazione strutturale della storia, per condurre poi alla stesura della
Sceneggiatura. Questi due procedimenti a volte non sono così nettamente distinti ma si fondono in un unica fase.
Il Trattamento si occupa di sviluppare e approfondire lo “spunto narrativo” del Soggetto. Serve a definire meglio l’evolversi
e l’ articolarsi della trama, conferendogli un certo sviluppo drammatico. La forma è ancora quella letteraria ma è più
funzionale alla descrizione delle varie scene in cui si articola la storia, con più attenzione riservata alle ambientazioni e alla
precisazione delle varie situazioni.
Una storia crea nei personaggi stimoli, conflitti e varie possibilità di azione; sono i personaggi (specialmente il protagonista)
che con le loro azioni trascinano la storia e catturano l’attenzione del pubblico, più i personaggi saranno empatici, più le loro
azioni saranno credibili e coinvolgenti. E’ importante sviluppare la storia di modo da non perdere mai di vista il protagonista,
che dovrebbe far procedere la storia con le sue azioni. Drammatizzare una storia implica conferire alla narrazione un senso
di direzione, una linea che si sposta da un inizio ad una fine, con i vari pesi delle diverse situazioni. Non ci si può lasciare
condurre dalla storia come fanno gli scrittori nei romanzi, bisogna avere ben chiaro dove si è diretti, ogni scena e ogni
frammento deve condurre in un’unica direzione, cioè avanti in termini di sviluppo della storia, verso la risoluzione finale.
La Scaletta determina poi il momento di passaggio dal testo letterario ad un piano schematico ben organizzato per
tenere sotto controllo l’andamento di tutto il racconto. Qui il Trattamento precedentemente sviluppato viene sezionato e
scomposto ottenendo una lista schematica di fatti e azioni, organizzati per punti a numerazione progressiva, che descrivono
in ordine temporale i passaggi essenziali del soggetto.
Per ognuno di questi punti bisogna quindi indicare il luogo in cui si svolge l’azione, i personaggi coinvolti, le loro azioni, gli
eventuali dialoghi e gli effetti sonori. I dialoghi e la musica in questa fase non necessitano ancora di indicazioni precise,
vanno solo abbozzati. Per quanto riguarda i dialoghi è opportuno iniziare a scrivere sommariamente le parole, per capire
bene i tempi di durata e le loro collocazioni all’interno della storia; per quanto riguarda invece gli effetti sonori e la musica,
vanno indicati i rumori principali e le loro collocazioni, eventuali suoni difficilmente reperibili ed infine è bene iniziare a
considerare il genere musicale che si ritiene più adatto ai vari momenti della narrazione.
Questo schema va più volte revisionato e sistemato per trovare il giusto ritmo della narrazione, cioè il modo più adeguato
per gestire il flusso drammatico, insieme coi picchi e i cali di tensione (momenti di suspence e stupore) al fine di rendere
la storia interessante e coinvolgente per il pubblico.
Per dare spessore alla storia si usa definire gli antecedenti, ovvero ciò che è accaduto prima di ciò che si sta raccontando.
Gli antecedenti sono i fatti salienti che riguardano il passato dei personaggi principali, possono essere eventi che li hanno
53
particolarmente traumatizzati, delle persone importanti che hanno incontrato, delle situazioni che hanno determinato
cambiamenti significativi e così via. Queste informazioni potranno affiorare oppure no nel corso della narrazione, comunque
servono a porre delle fondamenta ad un mondo che non ne ha, servono a dare spessore al personaggio, chiarendo da
dove arriva e cosa lo ha condotto alla nostra storia e infine sono utili per entrare da subito nel vivo della vicenda evitando
di vagare inutilmente, nella fase iniziale, ricercando un filo conduttore della storia.
3.4 Sceneggiatura
Una volta trovata l’idea, sviluppato l’argomento nel Soggetto, strutturata la linea di sviluppo drammatica dell’intera storia,
si arriva finalmente alla stesura della Sceneggiatura.
La Sceneggiatura rappresenta la descrizione analitica e sintetica dello svolgimento della storia così come apparirà sullo
schermo, dagli elementi dell’inquadratura a ogni parola di dialogo, esclusi però i movimenti di camera. Non bisogna essere
troppo dettagliati, la Sceneggiatura non fornisce altre informazioni oltre a quelle offerte dalla visione, il testo deve essere
perciò scritto non tanto in funzione del suo valore letterario, quanto in rapporto al suo valore audio-visivo.
La Sceneggiatura è un testo letterario che utilizza i termini tecnici del linguaggio cinematografico. Questi termini fanno
parte di una terminologia standard, da tutti riconosciuta, in grado di fornire un immediato resoconto visivo della storia, in
termini di composizione di inquadrature, scene e sequenze, che sono poi gli elementi base del discorso filmico.
L’ inquadratura (considerata l’unità fondamentale del discorso filmico) è il quadro che racchiude l’immagine, determina
uno specifico punto di vista e una determinata interpretazione da parte dello spettatore. La scena è data da una serie di
inquadrature in continuità temporale (senza salti temporali). La sequenza è invece data da una serie di inquadrature che
costituiscono un episodio narrativo compiuto, ma con dei salti temporali più o meno lunghi al suo interno.
La Sceneggiatura si occupa anche della resa espressiva delle immagini in inquadratura, considerando il tipo di atmosfera
prevista, i toni luminosi e cromatici, i suoni e il tono emotivo evocato dalla colonna sonora.
Esistono due metodi per la stesura della Sceneggiatura: nel metodo all’ italiana il foglio viene diviso verticalmente in due
colonne, a sinistra viene inserito quello che “si vede”, cioè la descrizione dell’azione in scena, mentre a destra tutto ciò
che “si sente”, dai dialoghi degli attori ai suoni e rumori della storia; ogni foglio corrisponde ad una scena. Nel (più usato)
metodo all’ americana invece, il foglio viene usato per intero senza divisioni in colonne e il nome dei personaggi e i dialoghi
si scrivono sotto la descrizione con allineamento centrale; si va quindi a capo anche per ogni transizione di inquadratura (ex.
dissolvenza), location e tempo (ex. esterno giorno), descrizione di elementi ed azioni in inquadratura, nomi dei personaggi
e dialoghi. Non si cambia pagina al termine di una scena perché seguendo tutte le convenzioni di scrittura (distanza dai
margini, numero di righe per pagina, grandezza del carattere ecc.) una pagina di sceneggiatura dovrebbe corrispondere ad
un minuto di film da girare (una sceneggiatura “standard” dovrebbe essere di 120 pagine circa).
54
Pre-produzione
Introduzione
In animazione, a differenza che nei film live, la Sceneggiatura ha meno importanza dello Storyboard e del successivo
Animatic, di conseguenza, alcuni sceneggiatori non le danno molta importanza, considerandola un testo per le descrizioni
di massima e rimandando allo Storyboard l’effettiva costituzione dell’inquadratura e della “messa in scena” della storia.
La Sceneggiatura è un processo in continua evoluzione, va revisionata molte volte e difficilmente si conclude prima della
fase di pre-produzione. Durante la creazione dello Storyboard infatti, gli sceneggiatori possono intervenire modificando
alcune scene e modificando quindi anche la Sceneggiatura. Nel migliore dei casi, budget permettendo, la Sceneggiatura
e lo Storyboard procedono di pari passo. In questi casi, regista, artisti e sceneggiatori, lavorano insieme alla stesura della
storia fino a che non ritengono di aver raggiunto un livello qualitativo tale da poter entrare in produzione.
Terminata la Sceneggiatura viene indetta una riunione a cui partecipano gli artisti del team creativo, sceneggiatore,
regista e produttore. Se tutto viene approvato gli artisti dello Storyboard procedono allora nel trasformare ogni scena della
Sceneggiatura in un’ immagine vera e propria.
Chicken Little (2005)
Disney
Lato sinistro:
Sceneggiatura col
metodo americano.
www.sceneggiatori.com
Lato destro:
Sceneggiatura col
metodo italiano.
www.sceneggiatori.com
55
Run Dragon Run
(2003) Ricardo
Biriba
Style Guide ambienti
56
3.5 Design
Una volta ottenuta una Sceneggiatura solida e coinvolgente, la fase di Design si occupa di definire lo stile grafico-visivo
che caratterizzerà la storia sullo schermo. In questa fase emozionante vengono realizzati gli schizzi e le tavole di nuovi
mondi e nuovi personaggi. Un team di disegnatori si occupa allora di visualizzare e caratterizzare su carta gli elementi più
importanti della storia: i personaggi principali e secondari (characters), gli ambienti (locations o environment) e gli oggetti
più importanti, compresi mezzi e macchinari (props).
Il risultato sarà un insieme più o meno vasto di tavole, alcune dettagliate e altre no, che successivamente saranno
sottoposte alla scelta di regista e produttore in base allo stile visivo che vogliono dare alla storia. Questa è una fase che il
produttore deve prendere in seria considerazione, perché le tavole scelte saranno distribuite al team artistico per essere
usate come spunto d’ispirazione, influenzando tutto il lavoro successivo.
In questa fase determinate e creativa è importante trovare la/le persone giuste che si occuperanno della direzione artistica
dei lavori. Nelle grandi compagnie questo lavoro è affidato al designer di produzione e al direttore artistico: il primo si
occupa della supervisore nella creazione di personaggi e sfondi, mentre il secondo, successivamente, effettua le decisioni
riguardo ai toni cromatici e luminosi degli elementi principali della storia, affinché siano armonici ed omogenei tra loro.
Pre-produzione
Introduzione
Questo primo lavoro di “layout su carta” aiuta a valutare il livello di dettaglio che si vuole raggiungere (che deve essere
funzionale alla storia e non fine a se stesso) e l’effettiva fallibilità di ciò che si vuole realizzare; conseguentemente aiuta a
considerare le conoscenze tecniche e tempi e budget a disposizione.
Un importante strumento della fase di Design è la ricerca, che serve a dare credibilità ai personaggi e alla storia.
Una buona ricerca, fornendo informazioni più approfondite, permette di non commettere errori grossolani (se per esempio
si tratta un ambiente storico particolare o un contesto fantastico peculiare) e aiuta anche a trovare nuovi spunti creativi utili
al racconto. Non è necessario seguire scrupolosamente tutte le informazioni ricavate, l’importante è che vengano utilizzate
per dare spessore agli elementi inseriti nella storia (i Flinstone per esempio, pur assomigliando ad una famiglia moderna,
sono vestiti di pelli e utilizzano strumenti di pietra).
Si può approfondire la ricerca in vari modi, dipende dal budget a disposizione. Compagnie medio/piccole effettuano ricerche
negli archivi interni ed esterni all’azienda, prendono visione di film inerenti al soggetto, consultando testi, illustrazioni,
internet, oppure interrogano personale esperto. Nelle grandi società come la Pixar o la Disney, visto che non ci sono
sostitutivi all’ esperienza diretta, è abitudine organizzare dei viaggi per visitare luoghi pertinenti alla storia, per trarre tutti
gli spunti necessari. Per il film “Finding Nemo” (1993) per esempio, molti artisti del team Pixar / Disney hanno effettuato
immersioni subacquee per osservare i fondali e i pesci in movimento e sono state scattate numerose fotografie per essere
usate come riferimento.
3.6 Style Guide
La Style Guide non è altro che una “guida stilistica” che raccoglie il materiale realizzato in fase di design per essere usato
come riferimento da artisti e tecnici dei vari dipartimenti nella fase successiva di produzione; serve a comprendere lo stile
grafico e il mood della storia. Per la sua realizzazione, regista e produttore devono accordarsi nella la scelta degli elementi
chiave in base alle necessità della storia e allo stile visivo che vogliono ottenere.
La creazione della Style Guide è un processo piuttosto lungo e costoso, ma è molto importante ai fini della produzione.
Inizialmente il direttore artistico, prendendo come riferimento la Sceneggiatura, si occupa di stilare una lista (Style Guide)
che comprende tutti gli elementi importanti da realizzare per lo sviluppo della storia.
Questa lista comprende cinque tipologie di elementi: il design dei personaggi, il design degli oggetti, delle ambientazioni,
degli sfondi (o fondali) e le illustrazioni colorate.
Ma vediamo più precisamente gli elementi contenuti in questa guida stilistica:
57
Toco & Atènakès
Model Sheet
per character 3D
Sebastian Hary
I PERSONAGGI (character): si dividono in personaggi principali e secondari; ovviamente ai primi è destinata maggiore
attenzione, cura e dettaglio.
Le tavole dei personaggi vengono chiamate Model Sheet (foglio modello) e comprendono i disegni dei soggetti ripresi in
varie pose: frontali, laterali, da dietro, a tre quarti, in azione; più i dettagli di singole parti del corpo e le espressioni facciali
in base ai diversi stati d’ animo.
Nelle tavole dei personaggi sono inclusi anche i disegni degli abiti, degli oggetti e degli accessori che i personaggi portano
con sé, compresi i particolari se necessario.
Alla fine si realizza un unico disegno contenente tutti i personaggi principali per chiarire i rapporti in scala tra di loro.
In animazione 3D in aggiunta ai disegni, è pratica comune realizzare le “Maquette”, cioè delle sculture in creta (o altri
materiali) che riproducono le fattezze dei personaggi e servono a renderne concrete le forme tridimensionali, aiutando il
modellatore nella trasposizione del modello. Nella realizzazione dei personaggi è importante che le caratteristiche fisiche
e caratteriali siano il risultato di scelte motivate perché si tende ad associare ad ogni forma una specifica interpretazione
(vedi approfondimenti: Cosa Rende Efficace un Personaggio).
58
Pre-produzione
Introduzione
Le AMBIENTAZIONI (environment, location): sono le tavole
che riguardano il design degli ambienti interni ed esterni
entro cui si muoveranno i personaggi della storia, compresi
gli arredi. Le ambientazioni sono le parti che rimangono
più a lungo sullo schermo ed è quindi importante che siano
credibili e ben fatte, sia in termini di prospettiva che di
illuminazione.
Nella costruzione delle ambientazioni è utile tenere
in considerazione i movimenti dei personaggi al loro
interno, di modo che gli ambienti possano lasciare gli
spazi necessari a non congestionare la scena. Il livello di
dettaglio delle ambientazioni è spesso in relazione a quello
dei personaggi, ma non è una regola definitiva, dipende
dalle scelte stilistiche.
Per le ambientazioni in 3D si realizzano tavole più dettagliate
visto che dovranno servire da spunto per la realizzazione
di ambienti veri e propri. Le tavole rappresentano gli
ambienti in diverse prospettive e con riprese da più punti
di vista. Se si tratta di edifici può essere anche necessario
realizzarne la pianta interna.
Si realizza poi una mappa schematica per ogni scenario
(set) dove viene indicato il posizionamento delle fonti
luminose e la direzione della luce.
Gli SFONDI o FONDALI (background): servono a stabilire
l’atmosfera generale della storia e il “mood” di ogni singola
scena.
Di solito, prima di procedere alla creazione degli sfondi, gli
stilisti dei background effettuano degli sketch preliminari
chiamati Key Background per mostrare agli altri artisti lo
stile dei disegni e il tono cromatico e luminoso con cui si
deve procedere.
Naruto
Model Sheet
serie animata
giapponese di
Masashi Kishimoto.
Sotto:
Prop Design per
“Boz the bear”
www.bozthebear.com
Gli OGGETTI (prop): sono tutti gli oggetti importanti che
devono essere animati, come per esempio una macchina,
una navicella spaziale o una spada laser.
Per gli oggetti vengono realizzate le tavole delle loro
proiezioni ortogonali, i disegni dei particolari e, se
necessario, le linee guida che ne mostrano il funzionamento
(parti scomponibili, meccaniche, tecnologiche).
Si realizzano inoltre delle tavole che illustrano i rapporti
di scala degli oggetti rispetto ai personaggi e alle
ambientazioni.
59
Steni character
Model Sheet
Thomas Gèissman
Le ILLUSTRAZIONI COLORATE: il direttore artistico si occupa di scegliere le scene chiave della storia che passeranno alla
fase di colorazione per la realizzazione delle illustrazioni colorate. Queste illustrazioni servono a definire la resa cromatica
degli elementi più importanti e comprendono le illustrazioni colorate di personaggi e oggetti, non solo in relazione a se
stessi (quindi il colore dei capelli, della pelle, degli abiti ecc.), ma anche in relazione a diverse fonti di illuminazione.
Viene perciò studiata una palette colori per il giorno, una per la notte, e in generale per tutte quelle situazioni in cui variano
le fonti luminose. Infine, vengono messi in relazione i toni cromatici dei personaggi rispetto a quegli degli ambienti e degli
oggetti, e si studiano le soluzioni più armoniche. Per quanto riguarda il 3D in questa fase vengono realizzate anche le
texture di riferimento (ex. img legno-marmo-roccia) che in aggiunta allo studio dei materiali consentiranno di realizzare
l’immagine finale di Render.
Per tutti i restanti elementi, che compaiono per poco tempo e hanno poca rilevanza, vengono realizzate tavole semplificate.
60
Pre-produzione
Introduzione
Style Guide
per definire l’aspetto
cromatico delle
ambientazioni
61
3.7 Registrazioni Audio
Le registrazioni audio si dividono in registrazione dei dialoghi, degli effetti sonori, di canzoni e musica (colonna sonora),
ognuna di queste sessioni ha caratteristiche proprie e viene registrata separatamente, per converge solo alla fine del
processo produttivo, in fase di post-produzione (mixing audio). Tutte queste registrazioni, difficilmente si concludono prima
di entrare in post-produzione, ma è importante che siano state effettuate le registrazioni dei dialoghi e delle canzoni,
(almeno le temporanee), prima di entrare in produzione.
Le prime registrazioni sono quelle dei dialoghi perché vengono utilizzate come guida e fonte di ispirazione dagli animatori,
ma anche da montatore e regista, nel loro lavoro.
Le registrazioni di doppiaggio di un film, sia per i dialoghi che per le canzoni, si dividono perciò in una sessione temporanea,
registrata da attori non professionisti, e una sessione definitiva di produzione.
Il procedimento è il seguente: per prima cosa, i dialoghi contenuti nella Sceneggiatura vanno consegnati dal regista al
montatore dei dialoghi, che li utilizzerà come traccia per la composizione delle registrazioni degli attori. Allo stesso modo
le indicazioni sulla musica e sugli effetti sonori andranno rispettivamente consegnati al compositore e ai sound designers
degli effetti sonori. Quando una sequenza di Storyboard è pronta per essere montata in Animatic, il montatore si occupa
di aggiungere le tracce dei dialoghi (scratch recording) alle immagini dello storyboard digitalizzate e temporizzate; questo
permette di analizzare con largo anticipo come si presenterà la storia. Dopo l’approvazione di regista e produttore, si
procederà alle registrazioni definitive (production dialogue). Solitamente, nello Storyboard sono presenti anche delle tracce
temporanee per gli effetti sonori principali, al fine di accompagnare meglio la visione della storia.
Per quanto riguarda le canzoni, è preferibile chiudere la loro scrittura prima di entrare in produzione, visto che le scene
che contengono canzoni influenzano l’animazione (lip synch) e sono influenzate a loro volta dalla musica della colonna
sonora. Prima di entrare in produzione, per ogni brano approvato, vengono quindi registrate una click track, cioè un piano
per la temporizzazione utile agli animatori, e una registrazione temporanea chiamata temp music. Una volta approvate dal
regista, si può passare all’organizzazione delle sessioni definitive di registrazione.
Registrazioni Dialoghi
Le registrazioni dei dialoghi implicano il reperimento degli attori che daranno voce ai personaggi, conferendogli, attraverso la
loro performance, una determinata caratterizzazione. La giusta scelta degli attori e una buona performance di registrazione,
sono quindi molto importanti per la buona riuscita dell’intera storia.
Le registrazioni dei dialoghi (doppiaggio) prevedono in realtà due tipi di sessioni, una registrazione temporanea (scratch
recording) registrata da attori non professionisti e utilizzata come guida nel lavoro di animatori e montatori, e una
registrazione definitiva (production dialogue) effettuata con gli attori professionisti e inserita in post-produzione.
62
Pre-produzione
Introduzione
I dialoghi, un tempo aggiunti dopo l’animazione, sono oggi
molto spesso registrati prima di entrare in produzione,
perché vengono utilizzati dagli animatori come guida e
spunto creativo per animare le movenze dei personaggi
e il sincronismo labbiale (lip synch). Per assolvere meglio
al loro lavoro, gli animatori hanno l’abitudine di assistere
alla performance degli attori durante le registrazioni, per
prendere spunto dalle loro movenze fisiche ed espressive.
Ogni volta che una sequenza dello Storyboard viene
approvata, si procede allora ala registrazione dei dialoghi
temporanei che successivamente il montatore si occuperà di
montare insieme alle immagini digitalizzate e temporizzate
in Animatic. Con l’approvazione di regista e produttore si
procede poi alla registrazione delle tracce definitive con gli
attori professionisti.
Il procedimento per arrivare alle registrazioni definitive
prevede una fase di casting per la scelta degli attori, una
eventuale sessione di prova previa registrazione, una fase
organizzativa delle varie sessioni e infine le registrazioni
vere e proprie. Di seguito vediamo il procedimento.
CASTING
Il Casting è la prima fase in cui si selezionano gli attori per
partecipare al progetto. Prima di tutto occorre stabilire il
direttore di casting, che prima di effettuare le audizioni,
si occupa di prestabilire con il produttore i tempi e i costi
di tutte le fasi di registrazione. Le grandi aziende di solito
hanno un dipartimento di casting interno, le piccole si
affidano a professionisti esterni. Una volta definite le
modalità di procedimento, viene indetta una riunione a
cui partecipano direttore casting, produttore, regista e
team creativo. Vengono allora valutate le caratteristiche
necessarie agli attori per interpretare i personaggi e
vengono proposti quelli più adatti al ruolo. Generalmente
le scelte degli attori, oltre che dal budget disponibile,
dipendono dalle caratteristiche fisiche di un personaggio,
dalla sua età, dalla personalità che dovrebbe avere, dal
tono di voce ecc. Una volta stabilite le caratteristiche dei
personaggi, il direttore di casting contatta gli attori tramite
i loro agenti e si accorda sulle date delle audizioni, da
effettuare negli studi di registrazione. Agli attori disponibili
viene inviato del materiale in anticipo affinché arrivino già
preparati per le registrazioni. Il materiale è il seguente:
1. Info Generali: luoghi, data e tempi delle audizioni.
2. Sceneggiatura
3. Casting Bible: descrizione scritta del progetto e dei
personaggi principali, comprese le caratteristiche
fisiche e caratteriali del personaggio da doppiare, più
le caratteristiche vocali che ci si aspetta possieda.
Spesso sono incluse anche le tavole di design.
4. Slide: parti della Sceneggiatura che dovranno essere
lette e registrate dall’attore durante il provino e
che meglio rappresentano la personalità di un
personaggio.
5. Materiale Visivo: le illustrazioni a colori dei personaggi
più le tavole sulle loro caratteristiche morfologiche.
Il Casting ha quindi avvio in uno studio di registrazione,
dove gli attori effettuano la loro performance sotto le
direttive del regista. Terminate tutte le registrazioni,
produttore e regista selezionano le prestazioni migliori,
quindi indicono una riunione con gli elementi chiave del
team e fanno ascoltare le registrazioni per commentarle e
procedere nella scelta definitiva degli attori del cast.
63
PROVE
Scelti gli attori del cast, solitamente viene allestita una
sessione di prova a cui partecipano tutti gli attori e viene
letta tutta la sceneggiatura in un’ unica sessione. Questa
fase di prova è particolarmente utile nei film di animazione
perché aiuta gli attori a capire come procedere nelle
registrazioni, come relazionarsi con gli altri attori del cast
e come immedesimarsi meglio nel personaggio.
In questo caso la registrazione immediata viene definita
“cold reading” ovvero lettura a freddo.
PREPARAZIONE ALLA SESSIONE
Terminate le prove generali e stabiliti i giorni di
registrazione, si passa all’ organizzazione delle varie
sessioni di registrazione. Vengono allora stabilite le modalità
operative per ogni sessione, il numero di attori presenti, le
strumentazioni necessarie, l’organizzazione della cabina
di registrazione, il personale che tratterà i rapporti con
gli attori (in particolare i bambini) e nel frattempo viene
inviato dell’altro materiale agli attori su cui prepararsi.
Questo materiale è comprensivo di:
1. Foglio di Lavoro: contratti e documenti vari, più
informazioni sui tempi di lavorazione e sui luoghi di
registrazione.
2. Sceneggiatura per la Registrazione: Sceneggiatura
definitiva con inclusa la descrizione di rumori/suoni
particolari.
3. Sceneggiatura per la Produzione: Sceneggiatura
comprensiva delle descrizioni necessarie agli attori
per capire lo svolgimento delle scene e delle azioni in
dettaglio.
64
4. Storyboard: incluso per fornire ulteriori chiarimenti
agli attori sui luoghi e sulle modalità di azione.
5. Artwork: i disegni e i modelli finali dei personaggi.
6. Referenze Video: tutto il materiale video realizzato
che può essere utile all’attore.
7. Referenze Audio: materiale audio che potrebbe
essere utile all’attore in caso debba riprodurre dei
suoni o riferirsi a precedenti performance.
REGISTRAZIONI
Si passa allora alla fase di registrazione definitiva
delle sessioni. Il regista si occupa di gestire tutte le
interpretazioni degli attori e può richiamarli più volte in
cabina di doppiaggio per revisionare scene o rifare la
performance. A seconda dei giorni, un coordinatore della
sessione si occupa di comunicare il numero di attori
presenti, organizzare le loro collocazioni, controllare che
tutte le strumentazioni necessarie siano sistemate e che
la cabina si pronta a ricevere gli attori. Gli attori famosi
possono in genere registrare singolarmente.
Registrazione Canzoni
La composizione delle canzoni è un processo lungo e
costoso, perciò viene discusso già in fase di Sceneggiatura
ed è importante che regista e produttore concordino
sul risultato desiderato. Nella realizzazione di un film
d’animazione è bene terminare la scrittura delle canzoni
prima di iniziare la produzione, questo perché le scene
che contengono canzoni influenzano l’animazione e sono
influenzate dalla musica.
Pre-produzione
Introduzione
In principio bisogna decidere il genere musicale, il numero
di canzoni necessarie, i punti in cui collocarle e la loro
durata. Una volta definito il genere musicale, si contattano
gli scrittori dei testi e i compositori delle musiche che si
ritengono più adatti al progetto.
Per la realizzazione delle canzoni, il compositore lavora
a stretto contatto con regista e produttore per poter
comprendere al meglio le necessità della storia e
soddisfare le loro aspettative, è perciò importante che
questi concordino sulle scelte da effettuare.
Nelle maggiori produzioni esiste un “supervisore alla
musica” che si occupa della gestione dell’intero processo e
della sua efficace commercializzazione.
Prima di entrare in produzione per ogni brano viene allora
registrata una Click Track e una Temp Music, la prima è
un piano per la temporizzazione registrato in base alla
traccia che l’animatore deve seguire, la seconda è una
registrazione temporanea usata da riferimento.
Una volta approvate, si procede ad organizzare le sessioni
definitive di produzione.
Come insegna la Disney, la realizzazione delle canzoni
può essere un strumento molto utile sia a fini creativi che
commerciali, in particolar modo se cantate o scritte da
personaggi famosi. Le canzoni sono utili strumenti
per delineare con chiarezza una certa atmosfera
e le emozioni dei personaggi che le cantano;
vengono inoltre utilizzate per delineare
i passaggi temporali più rilevanti. La
presenza di piccoli musical all’interno dei
film ha però creato dei format troppo rigidi
che col tempo sembrano aver stancato il
pubblico e vengono perciò utilizzati molto
meno.
Musica (Colonna sonora)
La Colonna Sonora influenza in maniera determinante la
visione della storia perché non avendo barriere linguistiche
e culturali è universalmente riconosciuta. Se Suoni e
rumori servono a dare credibilità alla storia, la musica
in particolare, accompagna la storia e unifica lo scorrere
delle immagini (stacchi, sequenze, dissolvenze). La musica
suscita più rapidamente il susseguirsi delle emozioni,
creando un sostegno emozionale a tratti evidentissimo,
a tratti più sommesso e nascosto; riflette così il clima
della scena nella mente dello spettatore e pone enfasi a
determinati momenti della narrazione, rivelando sentimenti
ed emozioni. Con la sua struttura ritmica e drammatica
inoltre, può servire da collante nei salti temporali ed è
un utile strumento di decongestionamento dopo scene
di tensione. Nelle grandi compagnie ad occuparsi della
composizione della Musica è il compositore, scelto in base
alle sue qualità, al budget e ai tempi a disposizione. Il
compito principale del compositore è quello di trasmettere
l’essenza del film, per questo, fin dalla prima stesura della
Sceneggiatura, egli lavora a stretto contatto con regista
e produttore, per individuare le scene più importanti da
sostenere musicalmente e per comprendere il “mood” della
storia. L’articolazione della colonna sonora è un processo
difficile che necessita uno stretto contatto tra regista e
compositore. Il regista in particolare deve sostenere il
compositore aiutandolo a comprendere la sua visione della
storia e le emozioni che vuole trasmettere, indicando le
scene chiave del racconto e il tipo di musica che ritiene
più adatto da utilizzare. Per aiutare il compositore, a volte,
un “music editor” si occupa di creare una traccia audio
temporanea per fornire al compositore le linee guida da
seguire (in base alle preferenze di regista e produttore).
Individuata la tipologia della musica, il compositore passa
Chicken Little character
Chicken Little 2005
Diney Pictures
65
Da sinistra:
Sincronismo labbiale:
le consonanti
Preston Blair
libro Cartoon
Animation
Sincronismo labbiale:
le vocali
Preston Blair
libro Cartoon
animation
quindi ad orchestrare ogni sequenza, componendo le parti
musicali per ogni scena della storia e sottoponendole poi
all’approvazione di regista e produttore, previa registrazione.
Per le registrazioni definitive si organizzano delle sessioni
di registrazione, simili a quelle dei dialoghi, stabilendo le
date di registrazione, il numero di musicisti per sessione,
eventuali strumenti e apparecchiature necessari, il formato
di registrazione, le postazioni ecc. Una volta finite tutte le
sessioni, la colonna sonora è pronta per essere inserita
nella storia, previa verifica del Music Editor.
LIP SYNCHING (sincronismo labbiale)
Il “lip synch” è il sincronismo labbiale che viene effettuato
dagli animatori per far si che l’espressione facciale
dei personaggi si muova a tempo con le parole da loro
pronunciate. L’animazione in sincronia con la colonna
sonora dipende dalle produzioni e dallo stile del disegno,
alcuni alternano semplicemente i disegni della bocca
aperta e chiusa, ma ovviamente, più espressioni vengono
disegnate e più il lip synch risulta credibile.
Se si desidera ottenere un sincronismo labbiale ben fatto,
le registrazioni dei dialoghi vengono effettuate prima di
entrare in produzione in maniera tale che gli animatori
66
possano lavorare basandosi sulla temporizzazione delle
registrazioni dei dialoghi e della colonna sonora.
Nella creazione del lyp synch si considera il fatto che tutti
siamo costretti a certe movenze facciali nel pronunciare
certe lettere: per le vocali A-E-I-O-U tutti infatti apriamo
la bocca e tutti la chiudiamo nel pronunciare le consonanti
B-M-P-F-T-V, mentre invece per le consonanti N-D-L-T
teniamo la lingua dietro ai denti. Ma siccome nessuno
quando parla normalmente scandisce ogni sillaba alla
volta, bisogna considerare la forma assunta dalla bocca
nel pronunciare il suono fonemico dato dall’aggregazione
di queste sillabe che compongono la parola. Per aiutare
gli animatori nella creazione delle espressioni facciali sono
state ideate nove forme labiali da utilizzare come base per
l’animazione (vedi img. sopra). Oggi comunque i software
assegnano già automaticamente la giusta espressione
facciale alla traccia audio importata.
Il lip synch in animazione tradizionale viene eseguito in
base alla compilazione del Dopesheet, in cui ogni fonema
occupa una precisa posizione in relazione ai fotogrammi
del film. L’ intera scomposizione della traccia viene eseguita
dal direttore artistico o da personale specifico.
Pre-produzione
Introduzione
Marco and His Ball
Storyboard
thumbnail
(2006/2007)
Marco Pavarotti
www.emanuele
pavarotti.com
3.8 Storyboard
Per dedicare il giusto tempo allo Storyboard si inizia a lavorare fin dalla prima stesura della sceneggiatura.
Prima di arrivare allo Storyboard definitivo tutte le fasi precedenti devono essere concluse: la Sceneggiatura, il design dei
personaggi e delle ambientazioni, e le registrazioni dei dialoghi (temporanee).
Lo Storyboard può essere definito “sceneggiatura disegnata” perché è la trasposizione in immagini, del testo scritto della
sceneggiatura. Si tratta infatti di una serie di disegni in sequenza temporale che illustrano, inquadratura dopo inquadratura,
come la storia si svolgerà sullo schermo.
I disegni realizzati nello Storyboard riguardano i momenti chiave della storia e possono essere disegnati in diversi modi
(in bianco e nero, a colori, schizzati, dettagliati...). Non è importante che il disegno sia particolarmente bello e rifinito, la
precisione non conta, ciò che conta è che lo stile sia omogeneo e che sia ben chiaro lo svolgimento della storia e l’atmosfera
che si intende ricreare (l’intento del regista).
Per facilitare la comprensione dello svolgimento della storia, lo Storyboard comprende sia indicazioni scritte, sia simboli
grafici: le indicazioni scritte riguardano lo svolgimento della scena, gli eventuali effetti speciali necessari, i dialoghi (seppur
abbozzati) e le fonti sonore principali (rumori e versi); i simboli grafici invece, sono generalmente frecce e riquadri, utili
ad indicare i movimenti di camera, gli spostamenti all’interno del quadro e le transizioni da quadro a quadro. Spesso nello
Storyboaard sono anche presenti le prime indicazioni sulla durata delle scene e sulla scomposizione a livelli dei disegni.
67
Duoble Indennity
Storyboard
by B.Wilder e
R.Chandler
(2006/2007)
Matt Elder design
www.mattelder.com
68
In 3D in particolare, si presta molta attenzione al posizionamento delle fonti luminose.
Utilizzato anche nei film live per organizzare le riprese, lo Storyboard ha in animazione un’importanza cruciale e un ruolo
cardine per tutta la produzione successiva. Questo perché, contrariamente ai film live dove è possibile effettuare riprese in
abbondanza, soggette poi a selezione e scarto durante il montaggio, in animazione non è possibile produrre più scene su
cui poi effettuare uno scarto. I tempi e i costi di produzione sono troppo alti, non lo permettono, perciò si organizza molto
attentamente ogni scena nello Storyboard, nel tentativo di eliminare il più possibile scarti e modifiche.
La messa a punto dello Storyboard rappresenta la fase più importante della pre-produzione e della successiva produzione.
In questa fase cruciale si investono molte energie per capire se la storia funziona oppure no, se è avvincente, divertente,
coinvolgente, oppure se in alcune parti risulta troppo statica e noiosa, troppo prevedibile ecc. Lo Storyboard permette infatti
di visualizzare chiaramente l’andamento della trama e considerare quindi lo sviluppo strutturale della storia, sia in termini
narrativi che filmici (transazioni, stacchi). E’ quindi molto utile al regista per fissare e visualizzare le idee su carta in modo
chiaro, concentrando il pensiero sulla composizione di ogni scena e sulla successione di ogni sequenza. In questo modo
il regista ha la possibilità di progettare e modificare velocemente ogni aspetto del film, correggendo i difetti strutturali ed
eventuali punti deboli della storia, prima di entrare in produzione, dove i cambiamenti risulterebbero molto più gravosi.
Lo Storyboard va comunque inteso non solo come strumento ideativo di pre-produzione o come prefigurazione di un esito
da raggiungere in modo corale, ma anche come una sorta di guida topografica o criterio comune da usare come riferimento
nel momento della produzione vera e propria.
Visto quindi che lo Storyboard ha numerose ed importanti funzioni, vediamo di riassumerle schematicamente.
Pre-produzione
Introduzione
LE PRINCIPALI FUNZIONI DELLO STORYBOARD:
1. Rappresenta i Momenti Chiave della Storia: permette di ragionare sulla complessità e sulla quantità delle scene
presenti nella storia, aiutando nella scelta del numero di disegnatori/animatori necessari alla produzione.
2. Concretizza il Progetto: aiuta il regista a lavorare concretamente sull’ idea e sulla struttura della storia. Lo Storyboard
permette di concretizzare le idee trasponendole in forma visiva su carta, questo processo di visualizzazione stimola
nuove intuizioni e nuove soluzioni e consente inoltre di individuare eventuali problemi o blocchi e risolverli. Lo
Storyboard può servire a risolvere un punto poco credibile della sceneggiatura creando una sequenza calcolata di
immagini credibili.
3. Sostiene la Chiarezza Comunicativa: la forza dello Storyboard sta nel fatto di essere realizzato con immagini che
danno la possibilità al regista di comunicare chiaramente le sue idee a tutto il team produttivo. Il fatto che un
regista abbia le idee chiare su cosa voglia esprimere, non significa infatti che sappia quale sia il migliore modo per
visualizzarle o esternarle con chiarezza al resto del team; lo Storyboard aiuta il regista in questo passaggio critico.
4. Chiarisce l‘Ordine Sequenziale delle Scene: permette di ragionare sull’ordine in cui le scene si susseguono e sul tipo di
transizioni cinematografiche da effettuare. Ragionare sull’ordine sequenziale delle scene permette di capire se il pubblico
può facilmente seguire la vicenda e se l’enfasi è posta al momento giusto della narrazione. Occorre poi ragionare sul
fatto che le transizioni tra un’inquadratura e un’ altra, come dissolvenze e stacchi netti, siano inserite in modo corretto.
5. Aiuta a Trovare le Inquadrature Migliori: permette di riflettere sulla composizione delle inquadrature e sul punto di vista
migliore per ogni scena della storia, questo è particolarmente utile se il set è piccolo o presenta degli impedimenti.
6. Permette di Riflettere su Complessità e Dettaglio: aiuta a stabilire la complessità delle scene e il livello di dettaglio
funzionale alla storia; conseguentemente serve a decidere il numero di disegnatori necessari per realizzare i disegni.
Il livello di dettaglio nello Storyboard deve essere omogeneo per tutti i disegni, per questo, nella realizzazione dello
Storyboard definitivo si vanno aggiungendo o togliendo particolari.
7. Aiuta a Riflettere sulla Fattibilità: Lo Storyboard aiuta a considerare la fattibilità di una storia, se ciò che si
vuole realizzare può essere effettivamente prodotto, sia a livello tecnico, se il team produttivo è in grado
di realizzarla o se è necessario investire in nuovi software; sia in termini di budget e tempi a disposizione.
8. E’ un Ottimo Strumento di Pitching: uno Storyboard ben realizzato è un ottima base per convincere un possibile
acquirente della bontà del progetto che si vuole realizzare; un modo per vendere un’idea facendola vedere nella sua
veste più persuasiva.
69
PROCEDIMENTO DI CREAZIONE DELLO STORYBOARD
Prima di cominciare col lo Storyboard bisogna innanzitutto
decidere il tipo di formato dei fogli da utilizzare, cioè le
dimensioni con cui la storia apparirà sullo schermo (4:3,
16:9, cinemascope...). Per realizzare lo Storyboard si può
quindi procedere in due modi: nel primo caso si utilizza
il foglio in orizzontale, con dei riquadri in sequenza sotto
ai quali si scrivono le indicazioni di scena; nel secondo
si utilizza il foglio in verticale, dividendolo in tre colonne
destinate rispettivamente alle indicazioni sceniche e ai
suoni, alle immagini disegnate e ai dialoghi.
Tre sono poi le fasi da affrontare per arrivare allo Storyboard
definitivo:
THUMBNAIL: in questa fase, come dice la parola, si
realizzano su di uno unico pannello delle piccolissime
illustrazioni (grandi come un pollice). Queste piccole
immagini servono al regista per tenere sottocchio l’intero
svolgersi dell’azione ed effettuare le modifiche necessarie
alla storia. Se necessario, il regista può chiedere ai
disegnatori di proporre o sperimentare diversi approcci.
Gli artisti quindi, sotto la sua direzione, realizzano e
modificano i disegni molto velocemente finché egli non si
ritiene soddisfatto; si passa allora alla fase successiva.
ROUGH PASS: in questa fase lo Storyboard viene
ridisegnato su appositi pannelli in dimensioni più grande
e dettagliate per avere una visione più accurata di
personaggi e sfondi. In alcune produzioni in questa fase
i disegni vengono già scansiti per arrivare ad un formato
digitale pronto per essere revisionato. Dopo l’approvazione
di regista, produttore e sceneggiatore si procede allora alla
pulizia dei tratti.
70
CLEAN UP: Se non bisogna effettuare ulteriori modifiche,
una volta approvati i disegni si arriva alla fase di pulizia.
I pannelli vengono ridisegnati a grandezza piena nel
formato scelto e definiti in tutti i loro dettagli.
Nelle grandi produzioni, gli artisti dello Storyboard sono
divisi in dipartimenti e ad ogni dipartimento viene assegnata
una parte di sceneggiatura da disegnare. Generalmente
prima che il lavoro sia assegnato ai singoli dipartimenti, uno
Storyboard Artists crea una serie di pannelli rappresentativi
per mostrare lo stile grafico da seguire.
Per coordinare ogni dipartimento esiste la figura del
“supervisore di dipartimento”, che organizza e assegna il
lavoro, mantenendo sempre aggiornata la comunicazione
tra artisti e regista. Un’assistente di produzione spesso
affianca il supervisore di dipartimento aiutandolo ad
aggiornare costantemente tutto il team sulle modifiche da
eseguire.
Ogni “Storyboard Artist” deve ovviamente saper disegnare,
essere molto veloce, conoscere le tecniche cinematografiche
ed avere un forte senso dell’inquadratura. Spesso capita
che un disegnatore debba aggiungere dei particolari o
delle azioni alla scena a lui assegnata perché non esistono
abbastanza dettagli a riguardo; se il regista approva le sue
scelte, queste diventano definitive e vengono comunicate a
tutto il resto del team. Da quando entra a quando esce da
un dipartimento, la storia subisce spesso e volentieri molte
variazioni. Può accadere perfino che, per scene importanti,
il supervisore di dipartimento assegni la stessa scena a
più di un artista, allo scopo di fornire più alternative alla
scelta del regista. Di solito durante la fase di storyboarding
i disegni vengono appesi in sequenza su di un muro o su di
un pannello (bulletin board) costantemente aggiornato, su
cui è possibile scorrere velocemente con lo sguardo tutta
la visione del film.
Pre-produzione
Introduzione
Quando una sequenza dello Storyboard è terminata, viene indetta una riunione a cui partecipano regista, produttore,
direttore artistico, montatore ed assistenti. Gli artisti mostrano la sequenza realizzata a tutto lo staff e il montatore, che si
occuperà dell’assemblaggio delle scene in Animatic, si preoccupa di prendere nota di tutti i movimenti di camera, comprese
dissolvenze e stacchi. Generalmente delle fotocopie dello Storyboard vengono distribuite per facilitare a tutti il lavoro.
Terminato tutto lo Storyboard, i pannelli coi disegni vengono digitalizzati e i singoli disegni vengono uniti creando una
sequenza digitale di immagini statiche che mostra l’evoluzione della storia (Flipbook). Una copia del Flipbook viene quindi
distribuita a montatore, direttore artistico e produttore per facilitarli nel loro lavoro.
3.9 Animatic
Una volta che lo Storyboard viene approvato, ottenute quindi le indicazioni sull’aspetto grafico di una sequenza, sulla sua
composizione e sullo svolgersi dell’azione, si passa ad analizzare un’altro fattore essenziale: la durata.
L’ Animatic, chiamato in vari modi a seconda degli studi di produzione e della fasi che attraversa (Showreel, Storyreel,
Movieboard, Videoboard, Laicareel), è composto dai disegni dello Storyboard digitalizzati e sincronizzati con il sonoro;
consiste quindi in un flusso audio-video digitale che rappresenta, seppur grezzamente, l’intera storia.
Visto che, come si è detto, il processo produttivo in animazione è un lavoro lungo e costoso e non può essere lasciato al
caso, l’ Animatic è un importante strumento che, stabilendo le tempistiche, permette di calcolare in anticipo l‘esatto numero
di fotogrammi necessari per realizzare l’intera storia (zero sprechi) e allo stesso tempo permette al regista di verificare
l’andamento della trama e effettuare le opportune correzioni. Questa procedura è effettuata per analizzare con largo
anticipo come si presenterà il film e le sensazioni raccolte saranno di grande aiuto al regista.
I primi ad avviare il lavoro sono i temporizzatori dello Storyboard, che, muniti di cronometro, si occupano di assegnare ad
ogni scena la durata necessaria allo svolgimento dell’azione.
I disegni dello Storyboard vengono quindi digitalizzati tramite scanner e numerati/codificati in ordine sequenziale grazie ad
appositi software (che permettono anche di assegnare ad ogni disegno commenti, dialoghi o note di produzione).
Le immagini ottenute vengono allora montate in ordine cronologico (sempre tramite software), ottenendo così un flusso
video digitale dell’ intera storia. Infine vengono aggiunte le registrazioni dei dialoghi e gli effetti sonori (suoni, rumori)
temporanei. Il processo di temporizzazione viene quindi ultimato dal regista che, osservando il flusso audio/video digitale,
può focalizzandosi sulla durata di ogni scena, effettuando le opportune modifiche fino ad arrivare all’ Animatic definitivo.
Una traccia audio completa comprende dialoghi, effetti sonori, canzoni e musiche, ciò nonostante nell’ Animatic sono
inseriti generalmente solo i dialoghi e gli effetti sonori temporanei, l’audio definitivo verrà aggiunto successivamente in
post-produzione.
71
DOPESHETT/X-SHEET
La tabella che compone
il Dopesheet si divide
in linee orizzontali
per ogni frame
della storia ed è
organizzata in colonne
rispettivamente per:
azione, dialoghi, suoni,
livelli di cel e movimenti
di camera.
Il montatore se ne
serve per posizionare i
cel e per capire come
effettuare le riprese.
The Animator’s
Survival Kit
Richard Williams
Tenendo presente che L’Animatic serve anche ad effettuare
le prime prove sui movimenti di camera, esistono due
tecniche principali per simulare i movimenti di camera e
quelli dei personaggi:
CUTOUT (tagliato fuori): in questo procedimento si
assegnano livelli diversi ai personaggi e agli sfondi,
animandoli attraverso semplici traslazioni, rotazioni e
scalature (zoom in-out).
ROUGH POSE (pose grezze): questo procedimento
più accurato consiste nel disegnare una serie di pose
intermedie in aggiunta ai disegni dello Storyboard, di
modo da rendere l’animazione più fluida. Ovviamente più i
disegni saranno numerosi, migliore sarà il risultato.
Con l’approvazione dell’ Animatic si arriva all’approvazione
della storia definita in tutti i suoi aspetti. Questo perché,
seppur grezzamente, l’ Animatic rappresenta l’intera
struttura grafica, compositiva, narrativa e ritmica che avrà
la storia sullo schermo. Il flusso video trasmetterà perciò le
stesse emozioni di quello definitivo, con il vantaggio che è
ancora possibile effettuare modifiche.
72
In animazione tradizionale, una volta approvato l’ Animatic,
il direttore artistico (o del personale apposito) si occupa di
compilare il Dopesheet e il Foglio Macchina Reticolato.
Il Dopesheet (Exposure-Sheet/X-Sheet) è un foglio di
lavoro composto da una tabella che scompone l’azione, i
dialoghi e il sonoro, fotogramma per fotogramma. Contiene
inoltre le indicazioni sullo svolgimento della scena, sulla
scomposizione a livelli dei disegni e sugli spostamenti di
camera. Il Dopesheet in pratica, organizza a priori come
eseguire correttamente l’animazione (le sue tempistiche)
e serve da guida sia agli animatori che al montatore.
Il Foglio Macchina Reticolato invece, riguarda gli
spostamenti di camera ed è composto da una griglia dove
sono indicate le porzioni del disegno (campi) entro cui
effettuare gli spostamenti di camera.
In questa prima fase però, sia il Dopesheet che il
Foglio Macchina Reticolato vengono compilati solo
sommariamente, lasciando poi agli animatori il compito di
definire più specificatamente ogni aspetto dell’animazione
(per esempio la scomposizione per livelli).
Approfondimenti
Introduzione
3.10 Approfondimenti
3.10.1 The Hollywood Formula
una struttura rigida, una volta intesi i punti cardine della
struttura drammatica, questa può essere modificata e
scomposta a piacimento.
Che lo stile americano piaccia oppure no, gli studios di
Hollywood producono film di ogni genere da tantissimo
tempo, forse non sempre ne producono di buoni, ma la
loro esperienza può essere senza dubbio importante per
capire cosa funziona in una storia e cosa no. Per quanto
riguarda quindi lo sviluppo drammatico di una storia, può
essere molto utile considerare il modello americano, che
impone una struttura precisa allo sviluppo drammatico
di una Sceneggiatura. Questo modello è stato definito
“Paradigma” da Syd Field, un qualificato sceneggiatore
americano, nel suo libro “La Sceneggiatura”, in cui spiega
le particolarità di questa struttura. Questo schema si
riferisce principalmente ai lungometraggi americani
(che rispondono a regole molto più rigide di quello che
si pensa) ma può essere un ottimo termine di paragone
anche per la creazione di un prodotto di animazione,
compreso un cortometraggio, fermo restando che la
stessa organizzazione drammatica va gestita in tempi più
ristretti. Naturalmente, questo schema non rappresenta
Nella Sceneggiatura di un lungometraggio si parla di iniziocentro e fine come primo atto, secondo atto e terzo atto.
Un film normalmente dura 120 minuti, a cui corrisponde 1
pagina per ogni minuto di Sceneggiatura.
Il Paradigma è il punto di partenza nella stesura di una
Sceneggiatura. Si presenta come un’organizzazione
schematica di fatti e azioni che susseguendosi fanno
procedere la storia seguendo una linea di sviluppo
drammatica diretta e sicura; questa linea procede diretta
in un unica direzione, cioè verso la conclusione.
Il Paradigma è lo scheletro, la forza strutturale che tiene
unito il tutto e lo fa procedere. Senza struttura la storia non
ha svolgimento, senza svolgimento la narrazione gira su se
stessa come un serpente che si morde la coda, rimanendo
inconcludente.
La linea di sviluppo drammatica della storia non è
completamente diritta ovviamente, ma presenta dei cali
e dei picchi di tensione a seconda delle diverse situazioni
nella storia.
punto
centrale
(crisi)
colpo di
scena1
Atto1
INPOSTAZIONE
prima metà
Atto2
CONFRONTO
seconda metà
La formula schematica
su cui si basa la
costruzione delle
Sceneggiature
americane
tratta dal libro
“La Sceneggiatura” di
Syd Field.
climax
colpo di
scena2
(2crisi)
Atto3
RISOLUZIONE
73
Ogni scena comunque porta avanti verso la risoluzione.
Il Paradigma permette di modellare la sceneggiatura
dandole il massimo valore espressivo e drammatico.
Vediamo perciò quali sono i suoi elementi essenziali che
caratterizzano ogni atto:
PRIMO ATTO (30 pag): all’inizio della storia troviamo
l’Impostazione (o Setup), che corrisponde a circa 1/3
della storia e termina con un colpo di scena che introduce
il Secondo Atto. Nell’ Impostazione viene appunto
“impostata” la storia: vengono introdotti i personaggi
principali e le premesse drammatiche della storia, si crea
quindi la situazione iniziale. Particolare attenzione viene
riservata a delineare la figura del protagonista che deve
essere sempre presente in ogni scena e deve essere il più
possibile attivo, cioè deve far procedere la storia con le
sue azioni e decisioni. Alla fine del Primo Atto si verifica
poi un Colpo di Scena (un incidente, una discussione, una
sparizione) che rompe la stabilità della situazione e la porta
in una nuova direzione, introducendo il Secondo Atto.
SECONDO ATTO (60 pag): nel Secondo Atto il contesto
drammatico viene definito Confronto, è la fase che dura più
a lungo (circa metà dell’intera storia) ed inizia e termina
con un colpo di scena. Il Secondo Atto essendo lungo,
viene diviso in due blocchi, separati al centro dal Punto
Centrale, che fa da anello di congiunzione e riferimento.
In questa parte si verifica gran parte dell’azione e il
personaggio/i personaggi principali affrontano una serie
di ostacoli, problemi e conflitti che vanno superati e risolti
per realizzare le loro esigenze drammatiche personali quali
vincere, conquistare, guadagnare, trovare ecc. In questa
fase è importante ricercare la teatralità dell’azione e renderla
il più coinvolgente possibile, considerando che il dramma
è conflitto e il conflitto è azione, senza dramma non c’è
74
azione e conseguentemente non c’è storia. Nel Secondo
Atto è inoltre utile considerare il quadro cronologico della
vicenda, seppur non troppo approfonditamente, per meglio
gestire il contesto drammatico e rafforzare la tensione.
Il Punto Centrale (Crisi) si trova all’incirca a metà del
Secondo Atto (ma potrebbe trovarsi anche verso la fine) e
rappresenta un evento, una frase o una scena, che serve
da punto di riferimento per non perdere la linea di sviluppo
del racconto. Il Punto Centrale, rappresenta l’ anello di
congiunzione tra i due blocchi del Secondo Atto che, in
questo modo, vengono trattati separatamente e quindi
meglio gestiti. Il Secondo Atto, essendo il più lungo e
trovandosi tra i due Colpi di Scena, ha bisogno di un Punto
Centrale per evitare cali di attenzione da parte del pubblico;
la Crisi fa da spartiacque, rappresenta il momento in cui le
forze di opposizione sono allo stato più teso ed è un punto
di svolta nella storia che spesso implica il raggiungimento
della meta del viaggio (poi il protagonista dovrà continuare
o tornare indietro). Alla fine del Secondo Atto avviene poi
il secondo Colpo di Scena che trascina la storia al Terzo
Atto finale. Entrando più nello specifico, in relazione ai due
blocchi, Field sottolinea la necessità di avere in entrambi
una Pinza, cioè di un evento chiave, che introduca e
segua il Punto Centrale, al fine di amalgamare meglio le
parti e tenerle ancora più sotto controllo. Ricapitolando
quindi, per il Secondo Atto serve definire prima il contesto
drammatico, il Punto Centrale e il quadro cronologico della
vicenda, poi le due Pinze.
TERZO ATTO (30 pag): nel Terzo Atto, che dura circa 1/3
della storia troviamo la Risoluzione, questa fase parte dal
secondo colpo di scena e termina con il Climax, il grande
evento della storia, che rappresenta il punto di tensione
più alto, che porta alla conclusione della storia.
La Risoluzione implica che bisogna risolvere sia il
Approfondimenti
Introduzione
protagonista che la storia stessa, rispondendo alle domande sorte insieme alle premesse drammatiche, all’inizio della
vicenda. La conclusione non deve per forza essere un “happy ending”, né tanto meno deve rispondere a tutte le domande
sorte nel corso della narrazione, ma deve comunque essere una conclusione definita, che risolva il personaggio e la
vicenda, facendo sentire il pubblico soddisfatto. La conclusione può perciò essere positiva o negativa, ma va chiarita e fatta
capire al pubblico.
A questo riguardo vanno isolati due o tre elementi che risolvono la storia e vanno poi drammatizzati accuratamente per farli
accadere ( possono esserci altri colpi di scena o pinze, ma non sono essenziali).
Giunti alla fine bisogna verificare che non ci siano subplot insoluti, cioè che vengano chiariti i destini di altri importanti
personaggi secondari e infine bisogna prestare attenzione che il finale non siano troppo improvviso, ma lasci al pubblico il
tempo emozionale necessario per “salutare” i personaggi e tirare le conclusioni.
In conclusione quando si organizza la struttura drammatica di una storia occorre definire accuratamente l’Impostazione,
la Risoluzione, il primo e il secondo Colpo di Scena, che sono le parti più importanti della storia; una volta chiariti questi
elementi, nella maggior parte dei casi il resto si risolve da sé, diventando una sorta di completamento.
Concluso il Paradigma, occorre ovviamente rivederlo nella sua interezza e controllare che le parti si integrino bene con
il tutto, che la storia abbia un ritmo narrativo sostenuto e che non ci siano momenti troppo lunghi o troppo corti, che il
protagonista sia sempre seguito nello sviluppo della storia e che il pubblico sia coinvolto ed emozionato attraverso momenti
di sorpresa e suspence.
Ogni storia cerca di coinvolgere gli spettatori, di far lievitare le loro consapevolezza, intensificando le loro emozioni.
La struttura di un racconto deve agire come una pompa che sgonfiando e gonfiando le sorti del protagonista aumenta il
coinvolgimento dello spettatore.
Due sono infine le osservazioni a riguardo dell’inizio e della conclusione di una storia: l’inizio deve conquistare il pubblico
entro i primi 10-15 minuti, se non riesce a farlo in questo tempo, probabilmente l’attenzione sarà persa per sempre e la
storia non verrà seguita; altrettanto vale per la fine, che è la parte più difficile: se risulta mal fatta o inconcludente, non
importa quanto buono sia stato il resto della narrazione, il pubblico rimarrà insoddisfatto e tutto verrà inevitabilmente
rovinato e dimenticato da quegli ultimi atti di visione, che rimarranno nella memoria.
75
vanno mostrati allo spettatore attraverso elementi
caratterizzanti e tramite le azioni. Un personaggio, al di
là del suo aspetto fisico, è dato dalla somma delle sue
azioni e reazioni all’interno della storia, sono queste a
caratterizzarlo. Essendo poi attraverso il personaggio
principale che il pubblico vive la vicenda, egli è il cuore e
l’anima della storia.
Per quanto riguarda la caratterizzazione, possiamo
distinguere innanzitutto quella fisica da quella psicologica,
vediamole nello specifico:
CARATTERIZZAZIONE FISICA
My Street character
(2003) Play Station2
Jason Buch’s
concept art
76
3.10.2 Cosa Rende Efficace un Personaggio
Ci sono poi diversi modi in cui procedere per delineare
un personaggio: si può fare un elenco di caratteristiche,
si possono cercare immagini che ne rendano l’aspetto
fisico o il senso estetico, si possono tracciare schemi di
comportamento ecc.
Due sono le cose essenziali da tenere in considerazione:
la prima cosa, la più importante in assoluto, è che qualsiasi
personaggio (oggetto animato o personaggio antropomorfo)
deve risultare credibile; deve cioè convincere il pubblico che
ciò sta guardando è un personaggio pensante, che agisce
e si muove per sua spontanea volontà e non è il frutto di
un disegno animato o di una geometria tridimensionale
ricreata al computer.
La seconda cosa importante riguarda i personaggi: visto
che si tratta di prodotti audiovisivi e non di libri dove si
possono descrivere le emozioni, in questo caso i sentimenti
Per quanto riguarda la caratterizzazione fisica si può
innanzitutto notare quanto un aspetto fisico possa essere
strettamente collegato ad uno aspetto caratteriale. Esistono
infatti determinate forme fisiche che inevitabilmente
“saltano all’occhio” e possono essere usate per far sì che
il pubblico si faccia un’idea immediata di un personaggio.
Forme fisiche triangolari (con le spalle grosse) per
esempio, sono spesso associate agli eroi; forme grosse
e tondeggianti sono tendenzialmente buone e placide;
personaggi molto magri e spigolosi sono generalmente
negativi e avidi (gli spigoli sono sinonimo dei loro spigoli
interiori e la secchezza coincide con l’aridità interiore);
forme piccole e minute sono attive e scattanti e così
via... Queste svariate forme fisiche sono perciò utili a
rafforzare gli aspetti di un personaggio, ma bisogna fare
attenzione a non creare stereotipi troppo rigidi. Anche una
particolare condizione fisica come una grossa cicatrice,
o una menomazione, può servire a fornire un immediato
resoconto emotivo del personaggio e a mettere in luce un
possibile evento passato.
Approfondimenti
Introduzione
E’ inoltre possibile aggiungere enfasi ad un personaggio
attribuendogli determinati gesti o battute ricorrenti; basti
pensare a Titty di “Titty & Silvestro” con la famosa frase:
“mi è sembrato di vedere un gatto.”
Gli abiti e gli accessori che un personaggio porta con sé sono
strumenti altrettanto utili alla caratterizzazione, possono
indicare un luogo di provenienza specifico, un aspetto
caratteriale o un particolare stile di vita. Se ad esempio
un personaggio porta grossi occhiali da vista oppure un
berretto rosso girato all’indietro, fa già molta differenza:
gli occhiali sono metafora dell’intelletto mentre il cappello
girato all’ indietro è un chiaro simbolo anticonvenzionale.
Anche l’ambiente in cui vive e si muove un personaggio
fornisce innumerevoli informazioni su di lui e sul suo stile
di vita; sia a livello generale dell’ambiente che è (foresta,
città, scuola, castello), sia a livello particolare degli
elementi che lo compongono. Si pensi per esempio ad una
cameretta pieni di libri, poster e pupazzi... chiaramente un
ambiente così intimo fornisce moltissime informazioni sulle
passioni e sulla personalità di chi la abita.
L’ambiente esterno può essere inoltre rapportato
all’ambiente interno del protagonista, assumendo significati
polivalenti come solitudine, chiusura, desolazione,
emarginazione ecc. (si pensi a Shrek e alla sua desolata
palude).
Infine non si può non considerare il tono di voce assegnato
ad un personaggio; questo è un elemento estremamente
caratterizzante influenzato dal timbro vocale, dal volume e
dall’accento di pronuncia.
Il tono di voce è automaticamente soggetto ad
interpretazione da parte del pubblico, rivela l’età e la
provenienza di un personaggio ma è anche facilmente
associabile ad un determinato carattere psicologico.
Si pensi ad una voce squillante piuttosto che cupa e roca per
esempio; alla prima si associa facilmente un personaggio
energico e scattante, alla seconda un personaggio
oscuro e misterioso. Una voce azzeccata può contribuire
enormemente a migliorare un personaggio.
La voce di Eddy Murphy, che interpreta Ciuchino nel film
di animazione “Shrek”, ha dato un così grande slancio
al personaggio che è stato necessario rifare per intero
l’animazione del mulo, precedentemente interpretato da
un’altro attore. Va infine considerato che anche le parole
pronunciate dai personaggi e il loro modo di rapportarsi
con gli altri sono utili strumenti rivelatori, trasmettono
punti di vista ed emozioni.
Ecco un articolo degno di nota riguardo la caratterizzazione
fisica degli insetti nel film “A Bug’s Life” (Pixar 1999):
Malgrado gli insetti siano creature meravigliose, in
genere non è né il loro aspetto né la loro personalità a
renderli affascinanti. Non sorprenderà quindi che una
delle sfide più impegnative che gli autori di “A Bug’s Life megaminimondo” abbiano dovuto affrontare è stata quella
di eliminare ogni dettaglio che potesse generare repulsione
nei confronti dei personaggi e dotarli di personalità alle
quali gli spettatori potessero relazionarsi. “Qui alla Pixar
ci sono un po’’ di persone che hanno una sorta di fobia
nei confronti degli insetti - racconta Lasseter - Loro sono
state le nostre cavie. Gli chiedevamo continuamente se
c’era qualcosa che li spaventava e li usavamo per capire
se eravamo riusciti ad eliminare o a minimizzare il fattore
della repulsione.” ...La fase successiva è stata quella
dello studio approfondito dell’anatomia, della locomozione
e del comportamento degli insetti. Documentari
straordinari quali “Microcosmos” o gli special del National
Geographic hanno dato agli autori una visione dettagliata
del mondo degli insetti. Vari entomologi, tra cui un
77
esperto sui movimenti degli insetti della Berkeley University,
hanno visitato gli studi Pixar per parlare con i disegnatori e
gli animatori. Dopo un po’’ era diventato normale vedere in
giro ogni genere di insetto, sia vivo che conservato. C’era
anche una mantide religiosa viva con una telecamera
costantemente puntata addosso, in modo che gli artisti e
i tecnici potessero guardarla tutte le volte che serviva, per
trarne ispirazione.
personaggio al punto in cui si trova ora nella storia e in
quelle determinate condizioni, questo aiuta a creare un
soggetto immediatamente credibile senza dover sprecare
tempo ad identificarlo.
Un personaggio è reso convincente dalla sua personalità,
dal suo background, dal contesto in cui si muove e dal
conflitto a cui è sottoposto; a renderlo credibile poi
occorrono:
Giovanni Strammiello
Computer n.59 Kult underground 12/1999
1. Il punto di vista è il modo in cui il personaggio interpreta
e vive il mondo. Un buon personaggio non solo reagisce
alle situazioni, ma reagisce in base al suo personale punto
di vista.
CARATTERIZZAZIONE EMOTIVA
Premesso che il personaggio principale di una storia
deve conquistarsi la simpatia del pubblico per essere
seguito con piacere, ogni personaggio della storia deve
comunque drammatizzare un punto di vista deciso e ben
definito. Costruire un personaggio è simile al lavoro di
immedesimazione che fanno gli attori prima di entrare in
scena, bisogna definire chiaramente la sua personalità e le
sue modalità di azione. A questo scopo occorre pianificare
bene in precedenza il suo modo di pensare e agire, di
modo da conoscere sempre quello che pensa e come si
comporterà al verificarsi di determinate situazioni.
Conviene allora definire gli Antecedenti dei personaggi
principali di una storia, per aggiungere credibilità e
spessore sia a loro che alle loro azioni.
Per determinare gli Antecedenti di un personaggio
bisogna fare una sorta di rapida biografia individuando
gli aspetti più salienti della sua vita passata: come ha
vissuto infanzia e adolescenza, i rapporti con la famiglia,
eventi traumatizzanti o positivi, incontri importanti ecc.;
in sostanza bisogna pensare a cosa ha condotto un
78
2. L’atteggiamento rappresenta la tendenza ad un
comportamento, può essere positivo o negativo, attivo
o passivo, esuberante o introverso, pigro o iperattivo,
subordinato o autoritario, critico o ingenuo ecc.
L’atteggiamento aggiunge enfasi ad un personaggio e può
essere caratterizzato da movimenti e battute ricorrenti.
3. Le esigenze drammatiche rappresentano l’obiettivo
del personaggio nella vicenda: cosa vuole diventare o
guadagnare, vincere o conquistare. Spesso il protagonista
deve rinunciare a qualcosa a cui tiene per raggiungere i
suoi scopi, a volte perfino a se stesso.
4. Il cambiamento/la crescita rappresenta la trasformazione
che un personaggio è spesso portato a compiere durante
la vicenda per portare a termine il suoi scopi.
Può essere un cambiamento interiore o il superamento
di un ostacolo concreto, può essere una trasformazione
da perdente a vincente, da insicuro a coraggioso, da
pessimista a ottimista ecc...
Approfondimenti
Introduzione
3.10.3 Narratività
Modello Attananziale
descritto da Greimas
Possiamo parlare di Narratività intesa come quell’insieme di regole che stanno alla base di un racconto e ne determinano
la sua manifestazione superficiale; questo perché il rapporto narratività-racconto può essere paragonato al rapporto
grammatica-linguaggio. La narratività quindi, indipendentemente dal medium utilizzato, è la struttura alla base di una
storia, intesa come quell’insieme di regole, procedure ed operazioni, la cui presenza in una storia ci permette di riconoscerla
come tale nella sua forma superficiale.
Un racconto può essere in realtà analizzato secondo due aspetti che sono “la storia” e “il racconto”: la storia è intesa
come il susseguirsi di eventi (fatti e azioni) ed esistenti (personaggi-elementi ambientali) che procedono nel tempo e nello
spazio verso un finale; il racconto inteso come il risultato di un discorso espositivo, legato al modo di raccontare una storia,
determinato dalle scelte effettuate su quali scene mostrare e quali no, come mostrarle e con quale ritmo.
Possiamo poi aggiungere un’altra osservazione, visto che una storia inizia in una determinata situazione destinata a
modificarsi nel tempo attraverso certi eventi che la porteranno ad un finale, la storia è determinata dal succedersi di
determinati eventi, collegati tra loro da rapporti di causa-effetto, che la fanno procedere nel tempo e nello spazio portandola
a conclusione; a monte del racconto troviamo quindi tre elementi essenziali che sono la causalità, il tempo e lo spazio.
Diversi studiosi, tra cui André Gradies, Vladimir Propp, Algirdas J. Greimas, Roland Barthes, Claude Bremond... hanno
riscontrato che alla base di ogni storia esiste sempre una stessa struttura, attuata mettendo in scena personaggi, ambienti
e situazioni diversi dalle infinite sfumature, ma pur sempre articolati in base ad un uguale logica di base.
Questo non significa che tutti i racconti sono uguali, ma che, nonostante le innumerevoli varietà e diversità delle storie,
esiste una narratività di base da prendere in considerazione e da cui si può partire per produrre infinite variazioni. Vediamo
quindi le osservazioni più importanti che sono state fatte in relazione a questa struttura di base: Andrè Gardies, propone
una struttura minimale alla base di ogni storia che si traduce in un rapporto di equilibrio - disequilibrio - riequilibrio per cui
ogni storia inizia da una certa situazione iniziale equilibrata, viene portata al disequilibrio dal verificarsi di qualche evento,
quindi si modifica nel corso di una serie di eventi arrivando ad un riequilibrio finale, diverso da quello iniziale. Greimas ha
individuato un modello di base alla storia, chiamato Modello Attananziale, dove ogni elemento è definito Attante e in cui
identifica sei funzioni essenziali:
Destinatore
Destinatario
Soggetto
Adiuvante
Oggetto di valore
Opponente
79
In base a questo schema ogni personaggio (Attante)
svolge una o più funzioni essenziali, che corrispondono ad
azioni che mettono in moto e fanno procedere la storia in
questo modo: un soggetto eroe, che sia Destinatario di se
stesso o venga destinato per mandato da qualcun’altro,
cerca di conseguire una meta per prendere possesso di un
Oggetto di Valore (che può essere anche un sentimento
o una qualità) di cui sé stesso o un Destinatario potrà
beneficiare; Audiuvanti e Opponenti sono coloro che l’eroe
incontra nel suo percorso e che rispettivamente lo aiutano
o lo ostacolano nel compimento della missione.
Questo modello non è da interpretarsi in maniera rigida
ovviamente, ogni Attante non corrisponde necessariamente
ad un personaggio concreto, può essere un animale, un
oggetto, un sentimento o una qualità come l’intelligenza;
una città, per esempio, può essere il Destinatario o il
Destinatore di una storia in cui l’eroe è incaricato di
difenderla da aggressori, oppure potrebbe essere l’
Oggetto di Valore in caso si tenti di conquistarla ecc. In
questo schema un personaggio può svolgere più funzioni
oppure più personaggi possono svolgere insieme un unica
funzione, dipende dalla storia. Inoltre, bisogna tenere
presente che a secondo dei punti di vista, una stessa
storia ha più Modelli Attanziali a seconda del soggetto
protagonista della narrazione.
Vladimir Propp, antropologo e filologo russo dei primi
decenni del ‘900, studiando le favole russe di magia arrivò
a definire un numero limitato di Funzioni (31 in tutto) che
fanno procedere una storia da una situazione iniziale ad
una finale; queste Funzioni, corrispondono in pratica a
delle azioni compiute dai diversi personaggi che entrano
in gioco e che permettono alla storia di procedere in una
determinata direzione di sviluppo. Le Funzioni possono
essere spiegate con il seguente esempio:
80
1. Un ragazzo lascia il villaggio per andare a far fortuna
altrove.
2. Un uomo accusato di alto tradimento è cacciato dalla
sua città.
3. Una donna lascia la sua casa per raggiungere
l’innamorato.
In questi esempi la Funzione (azione) dei personaggi è
la stessa e viene definita “separazione”, variano solo
le modalità in cui questa Funzione viene messa in atto
(personaggi-luoghi-motivazioni), ma ciò che si ottiene
dalla storia è sempre una dipartita da un luogo verso
un’altro. Le Funzioni sono quindi azioni indipendenti dai
personaggi che le compiono e possono essere definite
da sostantivi quali “divieto”, “richiesta di informazioni”,
“consegna dell’oggetto magico”, “fuga” ecc... Le azioni
hanno inoltre valenza diversa rispetto al punto in cui sono
collocate nella storia (se la consegna di denaro avviene
all’inizio del viaggio, ha un valore diverso che se avviene
alla fine come ricompensa) quindi hanno funzioni diverse
in base alle loro conseguenze. Propp giunge quindi alle
seguenti conclusioni sulle funzioni:
1. Tutte le fiabe sono monotipiche, cioè corrispondono
ad una stessa struttura di base.
2. Le Funzioni sono costanti e limitate, sono invece
molteplici i personaggi e le modalità che possono
metterle in atto.
3. Le motivazioni e i sentimenti dei personaggi sono
indipendenti dalle Funzioni che compiono (l’eroe
può essere inviato a compiere il viaggio in modo
amichevole o ostile, ma l’invio è la funzione).
4. Le Funzioni hanno tutte la stessa successione nella
storia; se alcune non sono presenti la loro mancanza
non altera la posizione delle altre e nessuna
Approfondimenti
Introduzione
Funzione ne esclude un’altra o la contraddice.
5. Ciò che collega diverse funzioni tra loro sono le informazioni che vengono distribuite in molteplici modi ai personaggi.
6. Funzioni diverse possono essere eseguite in modo identico
Propp effettua infine due importanti osservazioni sui racconti: la prima è che un racconto prende sempre avvio in base ad
una motivazione di mancanza (fisica o morale) o di danneggiamento, avvertito direttamente dal protagonista oppure da
qualcun’altro o in modo generico; la seconda è che l’eroe può essere un eroe attivo, che avvia spontaneamente la vicenda,
oppure passivo, che subisce un certo torto e, volente o dolente, deve porvi rimedio. Tutte queste osservazioni spiegano
perciò il carattere duplice dei racconti, da un lato la loro incredibile multiformità ed eterogeneità, dall’altro la loro uniformità
e ripetitività.
Barthes infine sottolinea come ogni Elemento all’interno della storia non sia casuale ma abbia un senso, cioè venga creato
per entrare in relazione con gli altri Elementi della storia, dando vita ad un tutto organico e solidale; ogni Elemento ha
quindi un proprio valore solidale e funzionale con gli altri nella storia. Barthes distingue quindi due categorie di Elementi,
quella delle Funzioni e quella degli Indizi: le Funzioni sono gli elementi che fanno procedere la storia e rinviano ad un fare
(entrare, avanzare, sparare, baciare...); gli Indizi sono elementi che arricchiscono il racconto aggiungendo informazioni
e rinviano ad un essere (notturno, affollato, vestito di nero, disadorno, vivace...). Questi elementi possono poi essere
ulteriormente suddivisi: le Funzioni si distinguono in Cardinali (o Nuclei) e di Catalisi, le prime sono le più importanti, i veri
punti di svolta del racconto, che lo fanno procedere in avanti (sparare, baciare, eliminare, fuggire...), le seconde sono le
azioni che si concentrano attorno a questi nuclei senza modificarne la natura alternativa (entrare, avanzare, spiegare...).
Gli Indizi si dividono invece in Informanti ed Indizi veri e propri, gli Informanti sono informazioni esplicite fornite dal
racconto (mezzanotte, affollato, vestito di nero..) mentre gli Indizi forniscono informazioni che rinviano ad un atmosfera, un
sentimento, un carattere, un attitudine e implicano una decifrazione (vestito di nero, disadorno, vivace...); alcuni aggettivi
possono essere naturalmente di entrambi i tipi.
Tutte queste osservazioni, oltre ad individuare una struttura di base, evidenziano la Causalità come un fattore chiave
all’interno di ogni racconto. Ogni storia si sviluppa infatti attorno ad un soggetto che ricerca qualcosa e che durante il suo
percorso effettua delle scelte riguardo a delle alternative che gli si pongono davanti sotto forma di eventi o azioni; queste
scelte fanno procedere la storia in una direzione piuttosto che un’altra proprio perché legati a rapporti di causa-effetto che
conducono poi all’effetto finale. Quindi una storia per essere tale è data dal risultato di eventi che per rapporti causali si
legano tra loro fornendo allo spettatore un nesso logico che conduce al finale.
81
“I miti rappresentano i sogni collettivi dell’umanità e
il cinema è anch’esso un sogno collettivo.” Cambpell
dichiara quindi che la struttura di base del racconto, sia
nel modo in cui si presentano gli eventi, sia nelle figure che
si incontrano in esso, può essere ricondotta alla struttura
universale del Mito, che è comune in tutti i popoli perché le
strutture archetipe del Mito fanno parte dell’immaginario e
dell’inconscio collettivo. Questo non significa che le storie
hanno per forza a che fare con la mitologia, ma che in tutte
le storie l’eroe è portato a compiere un percorso definibile
“iniziatico” che lo porta a raggiungere una nuova meta
e una nuova consapevolezza, attraversando determinate
fasi di passaggio in cui incontra determinate figure, che
possono essere ricondotte, in modo più o meno evidente,
a quelle del viaggio dell’eroe mitologico.
Le Avventure di
Peter Pan (1953)
Disney Pictures
creato dallo scrittore
James Matthew Barrie
82
3.10.4 “L’Eroe dai Mille Volti” di J. Campbell
Definita l’importanza della narratività e della causalità
all’interno di una storia, si possono trovare più pratiche
conclusioni analizzando la struttura del racconto sia in
base ai ruoli dei personaggi che vi fanno parte, sia in
base al percorso effettuato dal protagonista per portare a
conclusione la vicenda.
A questo proposito è sicuramente utile considerare il lavoro
di Joseph Campbell, un famoso antropologo americano del
‘900, che studiando i miti dei vari popoli del mondo, ha fatto
un’ulteriore importante scoperta, dichiarando che anche i
miti, come i racconti, nonostante la loro incredibile varietà
(derivata da culture e influenze differenti), hanno tutti una
stessa struttura di base, da lui chiamata “Monomito”. Egli
ha poi rivelato che, sia la narrativa che il cinema, ricorrono
a questi stessi modelli in modo più o meno nascosto:
Oltre a Campbell altri studiosi hanno appoggiato questa
teoria del Mito, tra cui lo psicologo Carl G. Jung che ha
trovato delle forti corrispondenze tra le figure del mito e
le figure (o forze) ricorrenti nei sogni dei suoi pazienti.
Jung notò che alcune figure importanti nei sogni erano
riconducibili alle figure archetipe della mitologia come il
vecchio saggio, l’antagonista oscuro, il guardiano della
soglia ecc., avanzò quindi l’ipotesi che sia i miti che i
sogni provenissero dalla stessa fonte comune: l’inconscio
collettivo, fondato sulle paure e sulle domande universali
dell’uomo. Il sogno è in pratica la versione individuale del
Mito, il Mito è la versione collettiva del sogno; entrambi
sono il frutto delle dinamiche della psiche.
Jung sottolineò che l’inconscio è la sede delle energie e
delle paure dell’infanzia che non siamo riusciti ad accettare
e portare con noi nella maturità. Queste forze psichiche
represse o sgradite si ripresentano a noi attraverso i
sogni; in particolar modo quando una di queste paure
viene affrontata, sconfitta o accettata, nei sogni si
Approfondimenti
Introduzione
manifestano gli stessi simboli Archetipi del mito, che
segnano l’abbandono delle fissazioni infantili e la nascita
in noi di un nuovo individuo maturo. Le storie dei nostri
sogni rappresentano quindi delle vere e proprie mappe
della psiche, psicologicamente valide ed emotivamente
realistiche, anche se irreali e fantastiche.
Questi Archetipi riflettono aspetti differenti della mente
umana e la nostra personalità si spartisce tra di essi per
mettere in scena la storia della nostra vita.
Il compito dell’eroe è quello di abbandonare il mondo
degli affetti e ritirarsi nelle zone causali della psiche
dove risiedono le difficoltà, e qui affrontarle, risolverle
e sradicarle, passando quindi alla diretta esperienza e
all’assimilazione delle immagini archetipe.
I riti delle tribù primitive, definiti anche “riti di passaggio”,
che cerimoniavano la nascita, il nome, la pubertà ecc.
avevano il preciso compito di assistere l’uomo durante i
processi di trasformazione fisica e psichica delle fasi dello
sviluppo. I riti comportavano delle pratiche, spesso difficili,
attraverso le quali si eliminavano dalla mente le tendenze,
gli affetti e le abitudini dello stadio precedente (fissazioni
infantili) e a cui seguiva un periodo di isolamento durante
il quale si svolgevano cerimonie per presentare all’iniziato
le forme ed i sentimenti propri della sua nuova condizione,
così che al suo ritorno al mondo egli sarebbe stato una
persona nuova, come rinato.
I simboli della mitologia non si fabbricano, sono produzioni
spontanee della psiche, comuni a di tutti gli uomini in tutti
i tempi. Il viaggio dell’ Eroe costituisce la riproduzione
ingigantita della formula dei riti di passaggio separazioneiniziazione-ritorno, che è alla base del Monomito: l’eroe
infatti abbandona il mondo naturale per dirigersi in un
mondo sovrannaturale dove incontra forze favolose,
positive e negative. Successivamente nel mondo
sovrannaturale l’eroe si scontra con le forze negative e
riporta una vittoria, fa quindi ritorno al mondo naturale
dotato di un nuovo potere che gioverà non solo a lui ma a
tutta la comunità. In tutti i casi, l’eroe affronta un percorso
circolare che parte e lo riporta alla comunità.
Prima del ritorno si manifesta sempre una sorta di morte e
rinascita dell’eroe, che segna il passaggio definitivo tra la
vecchia personalità e quella nuova.
Il modello di “viaggio dell’eroe” è quindi universale in ogni
cultura e in ogni tempo e la sua struttura, per quanto
varia, è composta da una serie di elementi che rimangono
i medesimi.
L’eroe della favole trionfa sui propri oppressori personali e
ottiene un trionfo microcosmico, quello mitologico ottiene
invece un trionfo macrocosmico, universale, che comporta
benefici a tutta la società; nelle favole popolari inoltre,
l’atto eroico è costituito da un azione fisica, in quelle
mitologico religiose è un azione morale; tuttavia si trovano
variazioni sorprendentemente piccole nella morfologia
dell’avventura, dei personaggi e delle vittorie, che possono
essere facilmente ricondotte al viaggio dell’eroe.
Molti produttori famosi come Steven Spielberg, George
Miller, Francis Ford Coppola, John Boorman... hanno fatto
affidamento al libro di Campbell, perfino George Lucas
ha espressamente dichiarato di essersene servito nella
produzione di “Guerre Stellari”.
Le idee radicate nella mitologia e individuate da
Campbell e Jung sono una buona chiave per affrontare la
composizione di una storia in maniera preparata, anche
rispetto ai sentimenti del pubblico. Comprendere queste
forze significa impadronirsi degli strumenti più potenti a
vantaggio dei narratori contemporanei.
Il viaggio dell’eroe può essere usato da modello strutturale
nella composizione di una storia e rappresenta un ottimo
mezzo per individuare possibili difetti strutturali.
Vediamo allora le figure principali che appartengono al
83
mito e le fasi di questo viaggio mitologico individuato da
Campbell e ridefinito in modo più pratico da Chris Vogler
nel suo “Il Viaggio dell’Eroe”.
I Sette Archetipi
E’ importante creare personaggi che corrispondano ad
Archetipi Universali e non a Stereotipi, questo perché
questi ultimi sono legati a specifiche culture e aree, perciò
non sono riconoscibili da tutti allo stesso modo.
La conoscenza degli Archetipi può aiutare gli scrittori a
liberarsi dagli Stereotipi specifici di ogni cultura, dando
loro la possibilità di utilizzare questi Archetipi come base
di partenza, per poi costruire su di essi infinite variazioni,
ottenendo così personaggi unici, vari e credibili.
Capire la funzione archetipica di un personaggio è molto
importante perché permette di individuare il suo ruolo
nella storia e permette di capire se sta assolvendo bene
il suo compito.
Due sono le cose da considerare: quale funzione psicologica
un personaggio deve rappresentare e quale funzione
drammatica assolve nel racconto.
Gli Archetipi seguenti sono sette tipologie ricorrenti di
personaggi e rapporti che si trovano nelle storie.
L’importanza degli Archetipi risiede non tanto nei
personaggi che li rappresentano, quanto nelle funzioni che
essi assolvono all’interno del racconto, che sono in pratica
le azioni che lo fanno procedere.
Bisogna quindi tenere presente che gli Archetipi non
rappresentano dei ruoli rigidi, ma vanno visti come
“maschere” che uno o più personaggi possono indossare
in fasi diverse del racconto; questo significa che un
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personaggio può svolgere anche più funzioni, indossando
più maschere a seconda delle necessità e dei momenti e,
viceversa, un’ unica funzione può anche essere assolta da
più individui della storia. Anche in questo caso valgono
le stesse regole osservate da Propp, le funzioni sono
indipendenti dai personaggi e dalle loro motivazioni.
Occorre poi precisare che per sceneggiare un racconto
esistono ovviamente molti più Archetipi di quelli qui
riportati, ne esistono tanti quanti sono le tipologie umane.
Nelle fiabe per esempio, troviamo il lupo, la madre buona, il
cacciatore, la matrigna, la principessa, il re ecc. ognuno con
funzioni specifiche. Jung e altri hanno perfino individuato
degli Archetipi Psicologici quali l’eterno fanciullo, il duro
ma buono, l’arrogante ma onesto, il poliziotto buono
o cattivo... queste sono però delle varianti infinite alle
principali figure archetipe qui di seguito discusse. I sette
Archetipi sono perciò dei modelli fondamentali dai quali
partire per ricavare poi tutti i possibili personaggi, adattati
alle esigenze dei vari racconti e dei vari generi.
L’EROE
Il termine “eroe” significa in greco “proteggere e servire”
ed è legato al concetto del sacrificio di se stessi. L’Eroe
è colui che con le sue azioni porta avanti la vicenda,
solitamente è l‘elemento più dinamico della storia. L’Eroe
è il personaggio in cui il pubblico deve identificarsi, deve
essere il catalizzatore delle emozioni universali, e quindi
deve possedere sia caratteristiche universali in cui gli
spettatori possono riconoscersi, sia caratteristiche uniche
proprie. Per quanto riguarda le caratteristiche universali
gli Eroi possiedono qualità, emozioni e motivazioni che
prima o poi tutti provano, come il desiderio di vittoria, di
essere amati, di esprimersi, di sopravvivere, vendicarsi,
Approfondimenti
Introduzione
essere liberi... ma devono poi avere qualità e difetti che li
rendano umani e credibili, non degli Stereotipi.
Esistono due tipi principali di eroe in una storia: Eroi
che potremmo definire “cercatori”, pronti e dinamici
che si lanciano impavidi all’avventura per la ricerca di
qualcosa/qualcuno o alla ricerca dell’avventura stessa
(esperienza); oppure Eroi che subiscono, che potremmo
definire “passivi” o riluttanti, spinti all’avventura da un
agente esterno o da una situazione scomoda, a volte
anche contro la loro volontà. L’Eroe può essere anche un
anti-Eroe, nel senso che non deve perforza corrisponde
all’ideale comune di Eroe ma può essere un emarginato
o un personaggio negativo, pessimista e tragico. A volte
si possono distinguere degli Eroi anche in base al loro
rapporto con il gruppo o con la società, troviamo allora
Eroi solitari, Eroi dediti ad una comunità, oppure Eroi
catalizzatori, il cui obiettivo è migliorare gli altri e non se
stessi. Un Eroe diventa tale quando per motivazioni proprie
oppure no, è spinto ad intraprendere un viaggio, reale o
personale (interiore), che lo condurrà ad abbandonare il
proprio ambiente per andare in un mondo sconosciuto e
pericoloso in cui sarà messo alla prova e dovrà superare
degli ostacoli per raggiungere i suoi obiettivi.
Il viaggio spesso prende avvio a causa di una mancanza
o di un danneggiamento, subito direttamente o da
qualcun’altro per cui l’Eroe si prende la briga di lottare.
Un momento essenziale in ogni racconto è quello in cui
l’ Eroe affronta la morte o un suo surrogato (minaccia,
trasformazione personale, relazione d’amore) per
dimostrare al pubblico che la morte va affrontata e che, nella
maggior parte dei casi, può essere sopraffatta (vittoria) o
superata (rinascita). Generalmente in questo punto, per
creare maggiore impatto, gli Eroi sono sottoposti ad un
sacrificio importante, prima di raggiungere la vittoria.
Può anche accadere che gli Eroi non ce la facciano, vengano
sconfitti oppure muoiano, in questi casi solitamente si
comportano comunque da Eroi, continuando ad inseguire
il loro ideale.
Al termine del viaggio poi l’Eroe ha poi l’importante funzione
di condividere ciò che ha trovato (oggetto concreto o
astratto che sia) con tutta la comunità o il gruppo.
Le Avventure di
Peter Pan (1953)
Disney Pictures
creato dallo scrittore
James Matthew Barrie
Inteso in termini psicologici l’Eroe è l’ego, ovvero quella
parte di personalità che ci distingue dalla madre. Il
viaggio dell’Eroe rappresenta la ricerca da parte dell’ Ego
dell’identità, dell’equilibrio e della completezza; durante
questo viaggio gli Eroi incappano in Guardiani interiori,
Ombre e aiutanti che sono gli aspetti della loro personalità.
L’ego, cioè l’Eroe, che crede di essere diverso da tutte
queste parti di se stesso, deve infine incorporarle in un
unica identità per diventare “io”.
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La Spada nella Roccia
(1963) Disney
basato sul libro di
T.H.White della serie
Re in Eterno
IL MENTORE
Tutte le mitologie presentano la figura della guida, del
maestro, del condottiero di anime; questa è la figura
archetipa del Mentore. Rappresentato spesso da personaggi
come il vecchio saggio, il mago buono o lo sciamano
guaritore, il Mentore è comunque una figura ambigua che
ha una natura sia positiva che negativa, questo perché
non solo guida, ma spinge l’eroe al viaggio verso l’ignoto.
La sua funzione è quella di istruire e proteggere l’eroe,
motivarlo a vincere le sue paure e intraprendere il viaggio.
Il Mentore però prepara solamente l’eroe, lo mette
nelle condizioni necessarie per intraprendere il viaggio,
è poi l’eroe a dover prendere la decisione definitiva di
intraprenderlo. La figura del Mentore può apparire fin
da subito all’inizio della storia o entrare in scena prima
o durante un momento difficile per l’eroe, prestando
soccorso. Comunque sia va sottolineato che il rapporto
che si instaura tra Eroe e Mentore è spesso molto saldo
e ricco di valori simbolici, per questo rappresenta uno
degli strumenti più forti a disposizione del regista per
intrattenere il pubblico.
Il Mentore viene chiamato anche Donatore per il fatto che
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comunemente, nelle fiabe, dona all’Eroe degli oggetti, dei
poteri miracolosi, degli animali utili o delle informazioni
che lo aiuteranno e lo salveranno nei momenti di difficoltà.
Ovviamente l’eroe deve meritarsi questi doni tramite il
superamento di una o più prove di valore; queste possono
essere di vario genere e possono venire affrontate più o
meno consapevolmente; le prove affrontate in modo diretto
possono essere uno scontro fisico o la risposta a degli
indovinelli, mentre le prove affrontate inconsapevolmente
dall’eroe potrebbero rappresentare un atteggiamento
cordiale nei confronti di uno sconosciuto o la prestazione di
un soccorso o di un servizio spontaneo. L’oggetto magico
non sempre viene ottenuto in seguito a delle prove, a volte
viene sottratto ad un donatore involontario, oppure può
essere trovato, acquistato o comparire improvvisamente
senza la presenza del Donatore.
Esistono diversi tipi di Mentore nelle storie e non tutti
sono personaggi positivi, possono esserci: Mentori
riluttanti a fornire i loro insegnamenti, o che li forniscono
loro malgrado, dando il cattivo esempio; cattivi Mentori,
che fingono di prestare aiuto e invece guidano l’eroe in
pericolo; Mentori molteplici, come quando l’eroe viene
addestrato da più persone; Mentori comici, come amici o
compagni carismatici. Spesso nelle fiabe si trovano Mentori
animali, che donano degli oggetti utili o prestano i loro
servigi in cambio dell’ aiuto ricevuto; perfino gli oggetti
possono essere Mentori se svolgono una funzione di
istruzione o di insegnamento, per esempio un libro, oppure
un oggetto che seguito porta l’ eroe alla meta. Infine, la
coscienza stessa dell’eroe può svolgere il ruolo di Mentore
se fondata su valori solidi ai quali appigliarsi o al ricordo
di un personaggio dal quale trarre ispirazione. Come può
accadere anche negli altri Archetipi, se questa figura non è
presente nel racconto, può essere una funzione svolta da
Approfondimenti
Introduzione
un personaggio durante la storia.
Psicologicamente parlando il Mentore è collegato alla
figura del genitore; a livello psicologico rappresenta l’io
superiore, la parte più saggia, la coscienza personale
come il grillo di Pinocchio; simboleggia ciò che l’eroe può
diventare se continua a percorrere la strada degli eroi.
Negli arcani delle storie, l’evoluzione dell’eroe termina
nella figura del Mentore.
IL GUARDIANO DELLA SOGLIA
Tutti gli Eroi incontrano degli ostacoli nella loro impresa,
il Guardiano della Soglia sorveglia l’accesso a dei luoghi
chiave che L’Eroe deve passare, come per esempio il
quartier generale dell’antagonista, e la sua funzione è
quella di sbarrare la strada all’ Eroe, verificando se merita
il passaggio. Il Guardiano della Soglia mette alla prova la
dedizione dell’eroe a intraprendere il viaggio, per capire
se possiede la volontà e le abilità per continuarlo. Queste
figure possono essere rappresentati da personaggi ostili,
come per esempio il servitore dell’antagonista, oppure
ostacoli naturali come tempeste e giungle selvagge, ma
possono anche essere ostacoli architettonici come castelli
e muraglie, oppure forze esterne come la sventura.
Il Guardiano o i Guardiani della Soglia sono figure dai
molteplici aspetti che si possono presentare in molte
occasioni durante il viaggio. Anche se generalmente
non sono figure positive, non è detto che siano perforza
degli antagonisti, possono anche essere figure neutrali o
possibili amici.
Gli Eroi hanno a disposizione diversi modi per reagire a
questi ostacoli apparenti: possono fuggire, cambiare
direzione, attaccare direttamente o subdolamente
attraverso l’astuzia, la finzione, la corruzione.
Spesso la minaccia è solo apparente e i Guardiani della
Soglia vogliono solo che venga riconosciuto il loro potere;
una soluzione allora potrebbe essere quella di ignorarli o
superarli con fede, oppure rivolgergli contro la loro stessa
forza; uno dei metodi più efficaci solitamente consiste
nel mettersi nei panni del Guardiano stesso. Per un
Eroe è importante riconoscere ed accettare la figura del
Guardiano della Soglia. Infatti molto spesso sono figure
che non vanno sconfitte, ma incorporate; in alcuni casi è
perfino possibile trasformarli in preziosi alleati.
Alice nel Paese delle
Meraviglie (1951)
Disney
tratto dal libro di
Lewis Carroll
A livello psicologico essi rappresentano degli ostacoli fisici
o pratici che incontriamo sul nostro cammino, come per
esempio personaggi ostili; oppure, a livello più profondo,
rappresentano i nostri demoni interiori, le nostre nevrosi,
le ferite, i vizi, le autocastrazioni che frenano il nostro
sviluppo e che quando tentiamo di cambiare si presentano
a verificare se siamo pronti a superarli per farlo.
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La funzione psicologica del Messaggero è quella di
annunciare la necessità di un cambiamento interiore, può
farlo sotto forma di idea oppure di sogno.
Biancaneve e i Sette
Nani (1937) - primo
lungometraggio Disney
tratto dalla fiaba dei
Fratelli Grimm
IL MUTAFORME
La Spada nella Roccia
(1963) Disney
basato sul libro di
T.H.White della serie
Re in Eterno
IL MESSAGGERO
La figura del Messaggero spesso compare nel primo atto
ad annunciare la sfida all’eroe e imporre un cambiamento;
rappresenta la scintilla che scatena la storia. La sua
funzione è praticamente quella di fornire una motivazione
che mandi avanti la storia.
Queste figure sono comparabili agli araldi della cavalleria
medioevali che annunciavano lo scoppio di una guerra,
hanno il ruolo di annunciare l’arrivo di un cambiamento
importante e possono essere figure positive, negative
o neutrali. Un Messaggero può essere il braccio destro
dell’antagonista che riferisce la sfida, un compagno di
gruppo che riferisce un’ informazione, il Mentore, oppure
anche l’antagonista stesso (ex. annunciando la sua sfida
direttamente al pubblico). Il Messaggero non deve essere
a tutti i costi un personaggio reale, può essere anche
rappresentato da un sentimento interiore che spinge al
cambiamento, da un oggetto che ispira una nuova idea,
come un libro, oppure da forze esterne, come un temporale
che preannuncia una tempesta. Anche in questo caso la
figura del Messaggero può essere una maschera indossata
da un altro Archetipo del racconto.
88
La natura del Mutaforme è quella di essere una figura di
umore o aspetto incostante, ambiguo e mutevole; spesso
la sua lealtà è messa in dubbio e il suo comportamento
svia l’ Eroe o lo tiene in sospeso per un certo tempo.
La funzione del Mutaforme è quella di suscitare dubbio
e mistero nella storia. Può essere una figura positiva o
negativa, non sempre tenta di imbrogliare o eliminare l’
Eroe, a volte può limitarsi ad abbagliarlo; spesso se l’eroe
è paziente, alla fine si scopre la sua vera identità.
Il Mutaforme solitamente appare all’inizio del racconto
oppure, poco dopo che il viaggio è stato intrapreso, può
manifestarsi in vari modi e non ha una collocazione precisa.
La figura del Mutaforme, che cambia continuamente e
risulta incostante, è spesso associata al sesso opposto,
alla tipica “donna fatale”. Questo dipende dalla sensazione
Approfondimenti
Introduzione
di incomprensione che ogni individuo prova nei confronti
dell’altro sesso, che porta ad interpretarlo come mutevole,
volubile ed incostante.
Il Mutaforme è un Archetipo molto flessibile che può
svolgere molteplici funzioni: potrebbe cambiare la visione
dell’Eroe sul sesso opposto o permettergli di venire a
contatto con le sue qualità represse.
Il mutaformismo può manifestarsi anche in cambiamenti
di aspetto o puramente caratteriali, anche in questo caso
è una maschera utilizzabile da più Archetipi (la strega di
Biancaneve, oltre ad essere l’antagonista principale diventa
Mutaforme quando si trasforma in vecchietta per regalare
la mela avvelenata).
La funzione psicologica del Mutaforme è quella di dare
sfogo ad “Animus ed Anima“ dell’inconscio, cioè allo
scontro tra le nostre qualità maschili e femminili; secondo
Jung infatti, ogni individuo è composto da qualità maschili
e femminili che lottano per raggiungere l’equilibrio, il loro
squilibrio è causato dalle convenzioni sociali che spingono
a reprimere la nostra componente del sesso opposto,
creando tensione. Animus e anima possono essere positivi
o negativi, compito dell’eroe è comprendere con quale
parte abbia a che fare.
La Bella & la Bestia
(1991) Disney - primo
film di animazione
nominato all’Oscar
come Miglior Film
L’OMBRA
Ombra è la figura dell’ antagonista, del lato oscuro della
forza, non sempre terrificante, ma pur sempre ostile.
Ombra può essere un personaggio antagonista, una forza
esterna oppure una parte più o meno repressa dell’Eroe
stesso, che lo porta all’autodistruzione (Dr.Jekyll e Mr.Hyde).
La funzione dell’Ombra è quella di fornire all’Eroe un degno
rivale da contrastare: si dice che la qualità di un racconto è
di pari efficacia del cattivo perché spinge il protagonista a
dimostrarsi all’altezza.
In pratica L’ombra deve sfidare l’Eroe, creare conflitto,
spesso mettendo in reale pericolo la sua vita.
Nemici sono ovviamente sia il cattivo che i suoi scagnozzi
o altri antagonisti della storia che si prefiggono il compito
di annientare e sconfiggere l’Eroe.
Possono esserci due tipi di Ombra in una storia, uno è
l’antagonista, che crea conflitto ma risulta meno ostile,
può limitarsi a competere con l’Eroe o semplicemente a
non condividerne l’operato; l’altro è il cattivo vero è proprio
che è destinato allo scontro finale. Da tenere comunque in
considerazione che è buona abitudine rendere vulnerabile
anche l’antagonista, umanizzandolo.
89
Mushu character
Mulan (1998)
Disney
Ombra può essere un personaggio o una maschera
indossata da molti personaggi in più momenti della storia,
questi possono svolgere anche la funzione di Imbroglione,
Guardiani della Soglia, Mutaforme, Messaggeri e perfino
Mentori. Il cattivo può rappresentare l’Ombra dell’ Eroe in
carne ed ossa, cioè essere il riflesso oscuro dei desideri
dell’Eroe esasperati e distorti; possono esserci comunque
anche Ombre positive, il cui ruolo è necessario a fornire
all’Eroe una forza a cui opporsi, rivelandosi alla fine come
la sua più grande fonte di energia; è inoltre possibile che
un’ Ombra si riscatti, diventando positiva.
Da notare il fatto che molto spesso il cattivo non si sente
tale, ma dal suo punto di vista crede di avere ragione e si
sente l’Eroe della storia. Un momento difficile per l’Eroe è
un momento buono per l’Ombra, i loro archi narrativi sono
speculari.
Solitamente l’Ombra appare due volte nei racconti, nella
prima parte appare improvvisamente, reca danno e
scompare; nella seconda entra nel racconto in qualità di
personaggio trovato dall’Eroe in seguito ad una ricerca.
Psicologicamente parlando l’ Ombra rappresenta i nostri
aspetti incompresi, inespressi e repressi, come traumi,
sensi di colpa, emozioni nascoste e inconfessati: l’Ombra
è la dimora dei mostri che reprimiamo dentro di noi,
ma potrebbe anche essere la dimora di qualità positive,
nascoste o rifiutate per qualche motivo.
Se il Guardiano rappresenta la nevrosi, l’Ombra rappresenta
la psicosi, che non solo ci ostacola, ma minaccia di
distruggerci. All’Ombra si collega anche la figura del padre,
secondo il famoso complesso di Edipo per cui il fanciullo
interpreta il padre come nemico perché compete con lui
nelle attenzioni della madre.
90
L’IMBROGLIONE
L’ Archetipo dell’ Imbroglione può essere positivo o
negativo, corrisponde a tutte quelle figure che sono buffoni
e spalle; possono essere servitori o alleati, sia dell’eroe che
dell’ombra, oppure rimanere figure neutrali che agiscono
indipendentemente con le proprie trame.
Nella storia L’ Imbroglione solitamente accompagna l’Eroe
o l’antagonista oppure viene incontrato lungo il cammino.
L’ Imbroglione è nemico dello status quo: crea scompiglio
e riunisce in sé le energie della goliardia e della spinta
al cambiamento. Le sue funzioni sono molteplici: suscita
la risata, rimarcando follie e ipocrisie; crea l’intermezzo
comico che rianima il pubblico, ribilanciando la storia
quando si fa troppo tragica o lenta; ridimensiona l’ Eroe
quando si prende troppo sul serio, aiutandolo a capire i
propri limiti e riportandolo coi piedi per terra, e, infine,
stimola il cambiamento, spesso attirando l’attenzione
su di una situazione psicologica stravagante o su di
uno squilibrio. Gli amici o gli aiutanti che aiutano l’ Eroe
nel suo viaggio possono corrispondere sia alla figura
dell’Imbroglione, sia a quella del Mentore nelle occasioni
in cui danno consiglio; spesso aiutano l’ Eroe agendo come
Approfondimenti
Introduzione
voce della coscienza, ma possono anche danneggiarlo in
modo comico e causare dei problemi. L’ Eroe Imbroglione
è una figura caratteristica in molte leggende folcloristiche,
spesso indifeso ma intelligente, si contrappone a nemici
grandi e pericolosi (ex. Eroi coniglio come Bugs Bunny).
In termini psicologici l’Imbroglione può manifestarsi
attraverso incidenti di memoria o lapsus verbali. La
componente imbrogliona può emergere quando ci si prende
troppo sul serio, per recuperare l’oggettività perduta.
Le Fasi del Viaggio dell’ Eroe
PRIMO ATTO
1. Mondo Ordinario
2. Richiamo all’Avventura
3. Rifiuto del Richiamo
4. Incontro con il Mentore
SECONDO ATTO
5. Varco della Prima Soglia
6. Prove, Alleati e Nemici
7. Avvicinamento alla Caverna più Recondita
8. Prova Centrale
9. Ricompensa
10. La Via del Ritorno
TERZO ATTO
11. Resurrezione
12. Ritorno con l’Elisir
Le fasi del viaggio dell’Eroe possono essere un buon
metodo di confronto per rinforzare la struttura delle trame
ed individuare eventuali punti deboli nel racconto, aiutano
a raccontare storie migliori.
Al viaggio fisico dell’Eroe può essere paragonato anche
un viaggio di evoluzione psicologico, questo è l’ arco di
trasformazione del personaggio:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Consapevolezza limitata
Aumento consapevolezza
Riluttanza al cambiamento
Superamento riluttanza
Impegno al cambiamento
Sperimentazione
Preparazione
Tentativo al Grande Cambiamento
Conseguenze del Cambiamento
Nuovo impegno al Cambiamento
Tentativo finale di Grande Cambiamento
Padronanza del Problema
Fondamentalmente la storia dell’Eroe, per quanto varia,
rimane sempre un viaggio, anche se interiore: il viaggio
dell’Eroe si accorda ai drammi contemporanei, dalle
storie d’amore, d’azione e di avventura, semplicemente
sostituendo alle figure simboliche quelle moderne, della
vita di tutti i giorni: dottori, analisti, insegnati e terapeuti
possono essere ottimi Mentori per esempio e le caverne
recondite possono essere paragonate ai centri delle
metropoli, ad edifici simbolo del potere, a spazi ed abissi o
alle profondità del nostro inconscio.
Le storie sono gli equivalenti simbolici di esperienze
universali della vita, tali simboli possono cambiare in infiniti
modi per adeguarsi a ciascun racconto.
La struttura dei miti e delle favole subisce spesso
91
alterazioni, i tratti più arcaici vengono in genere riadattati,
revisionati o eliminati a seconda del paese di origine, delle
culture e delle credenze locali; ma tutte queste eccezioni
non invalidano la dichiarazione della monotipicità dei
racconti, sono semplici oscillazioni che non implicano un
nuovo sistema compositivo.
Il discorso sulla flessibilità vale anche in questo caso: se è
vero che tutte le storie contengono queste fasi in maniera
più o meno nascosta, è anche vero che questa struttura
non va seguita rigidamente. Le fasi possono essere
risistemate oppure omesse senza perdere d’ efficacia ed
ogni elemento può comparire più volte.
Alcune storie poi, riguardano solo delle parti del viaggio,
tralasciandone altre, l’importante è comunque comprendere
l’insieme dei valori insiti nel modello.
1. IL MONDO ORDINARIO
Il mondo ordinario presenta i personaggi e imposta la
situazione; costruisce le premesse drammatiche e permette
al pubblico di farsi delle domande sulla buona riuscita
dell’impresa. Questa parte iniziale è utile a introdurre il
tema della storia e ricreare l’atmosfera in modo graduato,
serve a presentare il protagonista, fornisce informazioni
su di lui e sul suo ambiente, mettendo così il pubblico
nella condizione mentale per affrontare l’esperienza del
viaggio. Non è detto che il racconto non possa iniziare
già in maniera dirompente, ma solitamente si sceglie una
introduzione meno immediata. A volte all’inizio si verifica
un presagio, come un sogno o una predizione che anticipa
il viaggio o le sue sorti.
La storia inizia spesso in un mondo ordinario e statico in
cui il protagonista compie azioni abituali, solitamente è un
ambiente piuttosto monotono e serve a dare un contrasto
92
netto con il mondo straordinario in cui la storia verrà
catapultata successivamente.
L’entrata in scena del protagonista è molto importante,
dovrebbe creare un’ immediata empatia con il pubblico per
consentire l’immedesimazione; inoltre dovrebbe mostrare
fin da subito l’ atteggiamento tipico che caratterizza il
protagonista e i suoi problemi principali (che saranno
da risolvere). Le cause che spingono l’Eroe a iniziare
l’avventura possono essere un danneggiamento o una
mancanza: nel primo caso l’Eroe può subire un torto oppure
essere privato di qualcosa/qualcuno; nel secondo caso
può essere una mancanza concreta di un oggetto (spada,
denaro), di un evento (vittoria, fama), una mancanza
personale interiore (autostima, coraggio) o anche di una
forza astratta (libertà, giustizia, amore).
Da notare che questo danneggiamento o mancanza
può essere sia avvertito direttamente dall’Eroe che da
qualcun’altro, per cui egli si prende la briga di risolvere
il problema. Questa parte iniziale della storia dovrebbe
concentrarsi proprio su quel qualcosa che manca o che
verrà danneggiato, che sia la persona amata, il nucleo
familiare, l’oggetto del desiderio, la qualità che al
protagonista manca, la meta da raggiungere e così via...
2. RICHIAMO ALL’ AVVENTURA
Spesso il protagonista è in una condizione instabile,
cova già dentro di sé i semi del cambiamento e basta
un ultimo input per farli maturare. Si verifica allora un
episodio scatenante che crea instabilità nella situazione
abituale e coinvolge il protagonista spingendolo a cercare
un rimedio. L’episodio scatenante potrebbe essere un
incontro speciale, un evento traumatico, un messaggio,
un rapimento, una tentazione, il ripetersi di determinate
Approfondimenti
Introduzione
circostanze che innescano un’ idea oppure delle necessità
insite nel protagonista che raggiungono un limite.
L’ Eroe viene spinto a intraprendere il viaggio in diversi
modi, può essere l’intervento di un agente benigno o
maligno che fa da incipit definitivo, oppure a volte si trova
catapultato nel nuovo mondo per caso, per una semplice
svista o perché spinto dalla curiosità; gli esempi sono
infiniti. Che il protagonista lo voglia oppure no, alla fine
comunque è costretto ad intraprendere l’avventura.
Molto spesso accade che gli Eroi sono inconsapevoli che
c’è qualcosa di sbagliato in loro o nel loro mondo, non
vedono la necessità al cambiamento, perciò si presenta un
Messaggero che fa causa scatenante, mostrando l’instabilità
del loro mondo e la necessità ad iniziare il viaggio.
Il richiamo all’avventura spesso disorienta il protagonista
ed è per lui una cosa spiacevole, non vorrebbe seguirlo e
vi oppone resistenza, ma alla fine, in un modo o in un altro
è costretto a partire. In questa fase si stabilisce anche
la posta in gioco e l’obiettivo dell’Eroe: che sia l’onore, il
denaro, la vita... è importante che la posta in gioco sia alta,
perché crea maggiore tensione e interesse nel pubblico.
Il destino chiama quindi l’Eroe dalla zona in cui vive verso
un luogo sconosciuto e misterioso pieno di pericoli e tesori,
che chiameremo “mondo straordinario”; questo mondo
può essere rappresentato in vari modi ma è sempre e
comunque un luogo popolato di essere fluidi e poliformi, di
fatti sovrumani e inconcepibili meraviglie.
Generalmente nelle fiabe questo mondo si trova molto
lontano, per esempio molto in alto nel cielo o nelle
profondità della terra/acqua, l’altezza e la profondità sono
di solito qualità attribuite al nuovo regno dove si svolgerà
l’avventura (una terra lontana, una foresta oscura, un
regno sotteraneo o celeste, un profondo sonno...).
3. RIFIUTO DEL RICHIAMO
L’ Eroe è spesso riluttante a intraprendere il viaggio, per
lui significa lanciarsi verso l’ignoto e questo ha a che fare
con la paura; dovrà quindi essere chiamato più volte per
decidersi alla partenza, oppure alla fine sarà costretto dalle
circostanze perché si esauriranno le alternative. Questa
attesa serve a rimarcare nel pubblico la pericolosità del
viaggio e l’importanza della scelta e della posta in gioco.
Perfino gli eroi più coraggiosi all’inizio indugiano a partire
avanzando una serie di scuse poco convincenti: le ragioni
del rifiuto possono essere molteplici, una delle principali
cause sono delle esperienze passate che si sono rivelate
traumatiche, per esempio nelle commedie d’amore il rifiuto
al richiamo ha a che fare con una precedente esperienza
negativa col partner e il rifiuto a ricominciare l’ennesima
devastante storia d’amore.
Il rifiuto al richiamo potrebbe essere un momento breve e
poco percettibile dagli spettatori, che si concentra in poche
parole di esitazione prima di accettare l’impresa, oppure
potrebbe essere necessario l’intervento di un Mentore
che lo sprona e gli dà coraggio, o potrebbero anche
verificarsi ulteriori fattori come nuovi danneggiamenti ed
offese per convincere l’Eroe a intraprendere l’impresa. Se
il rifiuto al richiamo è troppo ostinato si scatenano spesso
conseguenze disastrose.
Raramente può accadere che il richiamo sia avanzato
dall’antagonista per arrecare danno; solo in questo caso
il rifiuto è positivo. Il richiamo all’avventura si trova
solitamente all’inizio del viaggio, ma potrebbe intervenire
in momenti successivi a deviarne il percorso.
Superata questa fase di rifiuto l’Eroe si convince a pieno
della necessità del viaggio e parte ben determinato a
raggiungere i suoi obiettivi.
93
94
4. INCONTRO CON IL MENTORE
5. VARCO DELLA PRIMA SOGLIA
Gli Eroi entrano quasi sempre in contatto con qualche
fonte di saggezza prima o durante il loro viaggio.
Questa fonte di saggezza è rappresentata dalla figura del
Mentore, che può essere un mago, un saggio, un’eremita,
un amico ecc., che dà dei consigli, delle informazioni e
spesso fornisce gli amuleti di cui l’eroe ha bisogno e che
lo salveranno nel momento del bisogno.
L’ incontro col Mentore potrebbe segnare una fase di
addestramento che precede l’accettazione del richiamo.
Questa fase di addestramento può essere un breve
momento transitorio, uno scambio di consigli, oppure
un addestramento vero e proprio; comunque sia questa
fase è essenziale per permettere all’Eroe di superare gli
ostacoli che si presenteranno sul suo cammino. Durante
l’addestramento il Mentore insegna all’Eroe determinate
cose e spesso lo sottopone a delle prove di intelligenza,
forza o coraggio.
Il rapporto che si instaura tra Eroe e Mentore è ricco
di valori simbolici e molto usato nelle storie. Il Mentore
ha infatti un forte ascendente sul suo discepolo e
influenzerà le sue scelte future nel corso della storia; a
volte intere storie si basano sul rapporto Eroe-Mentore,
concludendosi con una breve sfida in cui l’Eroe dimostra
di aver imparato. In alcuni casi rari il Mentore è un
personaggio negativo e fuorviante per l’Eroe e tenta
condurlo fuoristrada o in pericolo; anche in questi casi
però l’Eroe viene messo alla prova.
Terminato l’addestramento avviene spesso la consegna
dell’oggetto magico, una spada per esempio, che sarà
molto utile per affrontare i pericoli del cammino e per
affrontare il nemico finale; spesso quest’oggetto si
rivelerà essenziale alla vittoria.
Questo momento alla fine del Primo Atto rappresenta
un punto di svolta. La Soglia è il passaggio dal Mondo
Ordinario a quello Straordinario, ignoto e pericoloso,
rappresenta quindi l’ inizio dell’avventura vera e propria.
Nel caso in cui l’Eroe rimanga nello stesso posto, la
Soglia potrebbe essere un nuovo territorio emozionale
che viene esplorato. Varcarla significa che l’Eroe ha
superato i sui timori ed è pronto al viaggio, cioè ad
affrontare il problema e agire, rischiando anche se
stesso; egli intraprende un viaggio pericoloso dal quale
non è possibile tornare indietro, l’importanza di questo
momento deve essere percepita bene dal pubblico.
Va comunque precisato che gli Eroi solitamente non
attendono semplicemente gli insegnamenti o i doni
del Mentore per poi precipitarsi al Varco della Soglia e
intraprendere il viaggio; il loro coinvolgimento definitivo
viene spesso determinato da una forza esterna che
interviene arrecando un ulteriore danno decisivo
(rapimento, offesa mortale, uccisione, sfida, saccheggio),
fornendo all’Eroe una forte motivazione alla partenza.
Legato al Varco della Soglia troviamo quindi la figura del
Guardiano della Soglia, nemico e al contempo amico, che
mette alla prova l’Eroe prima di concedergli il passaggio;
questa fase può essere più o meno lunga, ma fornisce
un ulteriore insegnamento e gli infonde coraggio e forza
all’Eroe per andare avanti nell’impresa (l’attraversamento
della Soglia potrebbe anche essere un esperienza
traumatizzante che causa un danno fisico o psicologico).
Il Varco della Soglia si può paragonare all’ingresso
del fedele al tempio, dove il fedele scopre chi e cosa
egli è: null’ altro che cenere. Le porte dei templi sono
fiancheggiate spesso da cariatidi come draghi, leoni o
demoni, che vietano simbolicamente l’accesso a coloro
Approfondimenti
Introduzione
che non sono in grado di affrontare l’infinito silenzio che
sta all’interno; le cariatidi concretizzano il fatto che il
devoto nell’entrare al tempio subisce una metamorfosi.
Svestendosi delle sue qualità secolari entra infatti in una
sorta di grembo materno, si isola dal mondo esterno
compiendo un’ azione innovatrice, per poi rinascere
all’uscita (il fatto che chiunque possa entrare fisicamente
non invalida il ruolo dei guardiani perché se l’intruso non
è in grado di capire il tempio, è come se fosse rimasto
fuori).
Psicologicamente il varco della soglia rappresenta per
l’individuo una sorta di auto-annientamento.
L’Eroe muove verso l’interno di se stesso oltre i confini
del mondo visibile, per rinascere; entra in un mondo
sconosciuto scoprendo e assimilando le sue diversità, il
proprio “io” insospettato, mettendo da parte le sue virtù
e le sue credenze. Egli scoprirà infine che se stesso e il
suo contrario non sono altro che la stessa cosa.
6. PROVE, ALLEATI E NEMICI
Una volta varcata la Soglia l’Eroe si trova nel Mondo
Straordinario, un paese sconosciuto e misterioso, abitato
da forme ambigue e mutevoli, ed egli è ovviamente
scosso da queste diversità; non importa quante scuole di
vita abbia fatto, egli è un principiante in questo Mondo
Straordinario e la velocità con cui si adeguerà a questo
mondo e alle sue leggi consiste già in una nuova prova.
Nel Mondo Straordinario l’Eroe deve affrontare nuove
prove e nuovi incontri, positivi e negativi.
Le prove possono essere di svariati tipi: possono essere
ostacoli architettonici, barriere naturali e trappole,
oppure possono consistere in richieste d’aiuto da parte di
persone oppresse o in pericolo, o anche nuove prove del
Mentore se questi è ancora presente nel viaggio.
Durante le prove l’Eroe è generalmente assistito dal
ricordo dei consigli del Mentore e dagli oggetti che egli
gli ha donato. Se invece la figura del Mentore non è
ancora comparsa o si introduce in questo momento,
lungo il cammino, o ci saranno delle forze benigne che
interverranno in aiuto dell’Eroe nei momenti di pericolo.
Elemento fondamentale di questa fase di passaggio
sono gli incontri con figure nuove, positive o negative,
con il conseguente instaurarsi di nuovi legami; in alcuni
racconti si formano delle vere e proprie squadre dove
ogni personaggio ha caratteristiche peculiari.
Gli Alleati e i Nemici che si incontrano nel nuovo mondo
possono avere funzioni archetipiche differenti, possono
essere per esempio Imbroglioni, Guardiani della Soglia
o Messaggeri. A volte il protagonista è seguito da una
spalla, un Alleato che abitualmente lo sostiene.
Gli incontri sono spesso causali e avvengono per lo più
in zone di ristoro o lungo il cammino. Possono essere
la conseguenza di una richiesta di informazioni, di
una gentilezza, di uno scontro verbale, di un soccorso
prestato o subito, oppure essere il risultato di interessi
comuni. Sia la fase degli incontri, che quella delle prove
affrontate insieme agli Alleati, sono momenti utili per
mostrare al pubblico le personalità e le caratteristiche dei
vari personaggi, osservandoli agire sia nell’ordinario che
sotto pressione.
Di solito in questa fase l’Eroe rivela la sua presenza
all’antagonista, scatenando una serie di eventi.
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7. AVVICINAMENTO ALLA CAVERNA PIU’ RECONDITA
8. PROVA CENTRALE
L’ Eroe e gli Alleati, dopo essersi ambientati nel Mondo
Straordinario, proseguono per individuarne il centro
nevralgico del Mondo Straordinario, tra il confine e la
vera meta del viaggio. Gli Eroi trovano allora un’altra zona
misteriosa che rappresenta il secondo Varco della Soglia:
la “Caverna più Recondita”, che rappresenta il luogo
più oscuro e pericoloso (spesso il quartier generale del
nemico) alla soglia del quale si trova un altro Guardiano ad
attenderli ed altre importanti prove.
E’ quindi il momento di fare gli ultimi preparativi per
prepararsi ad affrontare i momento critico della Prova
Centrale del viaggio.
Spesso gli Eroi non si presentano direttamente al Varco della
Soglia ma questo momento è preceduto da un periodo di
sosta in cui il gruppo si organizza, raccoglie informazioni,
prepara strategie, effettua ricognizioni e si rifornisce e
rifocilla per meglio prepararsi ad affrontare la prova;
questa è propriamente detta la fase dell’Avvicinamento.
In questa fase può nascere anche una storia d’amore tra
l’Eroe e una compagna di viaggio.
Gli Eroi in questa fase possono incappare in intoppi molto
scoraggianti, possono essere feriti gravemente, possono
subire delle perdite, delle morti, o problemi di vario genere.
Queste vengono definite “Complicazioni Drammaturgiche”
e si tratta di ulteriori prove che rafforzano la determinazione
degli Eroi a proseguire il viaggio. L’ Avvicinamento
comprende quindi tutti i preparativi e le prove che
precedono il momento critico della Prova Centrale.
Se la storia non è un’avventura, l’avvicinamento va inteso
in altri termini (in una storia d’amore per esempio, questa
fase coincide con il corteggiamento).
La Prova Centrale è il momento critico di ogni storia,
rappresenta la prova più spaventosa.
In questa fase l’Eroe raggiunge la meta (si trova nell’antro
più oscuro della caverna) e deve fronteggiare il nemico più
temibile; le forze ostili si trovano nello stato di opposizione
più teso. Questo momento di crisi rappresenta una sorta
di spartiacque nella storia e non va confusa con il Climax
finale, che porta invece alla risoluzione della storia.
Durante lo scontro con il nemico, avviene sempre un
rovescio di fortuna, le possibilità di raggiungere la meta (o
l’oggetto del desiderio) sembrano affievolirsi e l’Eroe pare
non farcela e guarda in faccia la sua paura più grande,
affrontando con coraggio la possibilità di venire sconfitto
o morire.
Sperimentare la morte è un elemento chiave dei riti di
passaggio o iniziazione, nel mito questa è la fase in cui
l’Eroe muore per rinascere con un nuovo spirito e una nuova
personalità più matura, subendo quindi un cambiamento.
Il segreto della Prova Centrale sta proprio nella fase di
morte-rinascita dell’Eroe, che è il momento più sentito dal
pubblico.
Va precisato che comunque l’Eroe non necessariamente
deve trovarsi sul punto di morire, ma dipende dalle
situazioni; sperimentare la morte va sempre inteso in
senso metaforico, il concetto chiave è che in ogni storia gli
Eroi devono sperimentare qualcosa di simile alla morte, un
picco negativo, una sconfitta o un insuccesso, la perdita
dell’amore o di quant’altro.
Il più delle volte gli Eroi sopravvivono magicamente alla
Prova Centrale e simbolicamente rinascono trasformati in
persone nuove. Il messaggio di questa fase è che le cose a
volte devono peggiorare, prima di poter migliorare.
Una figura importante in questa fase è quella del testimone
Approfondimenti
Introduzione
che è qualcuno nelle vicinanze dell’Eroe che assiste al
suo combattimento, lo vede aprossimarsi alla morte o
addirittura lo crede morto, quindi si dispera, per poi gioire
quando l’Eroe riprende le forze e conquista la vittoria.
Il testimone è una figura importante perché trascina le
emozioni del pubblico, che insieme a lui si dispera quando
l’eroe sembra perduto e poi esulta alla sua vittoria. Una
buona storia in questa fase procura scoraggiamento, più
questo picco sarà negativo, più grande sarà il sollievo e
l’eccitamento del pubblico alla vittoria finale.
La scarica di adrenalina che segue il momento catartico
della morte e risurrezione risveglia la più grande gioia
di vivere. La sconfitta dell’Ombra, ovviamente, non
dovrebbe essere troppo facile da ottenere; nelle leggende
mitologiche gli Eroi sono stati preceduti da molti altri che
hanno fallito e spesso riescono a sopravvivere solo grazie
all’utilizzo del dono del Mentore, che li salva all’ultimo
momento. Lo scontro definitivo potrebbe poi essere anche
rimandato al Terzo Atto, in questo caso l’ombra sconfitta
potrebbe essere solo un vice del vero antagonista, oppure
l’Ombra potrebbe fuggire, per poi riorganizzarsi e tornare
più agguerrito che mai. L’azione potrebbe inoltre spostarsi
dalla sfera fisica a quella emozionale. Degli esempi di Prova
Centrale potrebbero essere il confronto generazionale tra
figlio e genitore, il raggiungimento dell’intimità nelle storie
d’amore, la vittoria su di una fobia personale, il superamento
di una tempesta, la scoperta di un tradimento, oppure
sul piano emotivo potrebbe essere il raggiungimento
di un equilibrio interiore, la riappacificazione di forze in
contrasto (spostamento dall’ego all’io, la fine della vecchia
personalità). Nonostante la vittoria però, il viaggio non è
finito e l’Eroe potrebbe dover affrontare altre forze, altre
ombre, prima di tornare al suo Mondo Ordinario.
9. RICOMPENSA
L’Eroe, sopravvissuto alla morte, o alla grande Crisi,
sperimenta quindi le conseguenze della vittoria (scontrarsi
con un grande evento e farcela crea sicuramente delle
ripercussioni positive).
La Ricompensa crea molte opportunità e coincide con la
fine della prova iniziatica dei riti di passaggio. Si verifica
allora un periodo più meno lungo in cui l’Eroe viene
riconosciuto come tale e ricompensato.
La Ricompensa è già implicita nel superamento della Prova
Centrale, con il conseguente ottenimento di ciò che l’Eroe
stava cercando, che sia un tesoro, la persona amata,
la libertà, la giustizia ecc., ma può essere una doppia
ricompensa, nel senso che, una volta riconosciuto il suo
valore, l’Eroe può anche essere ricompensato in altri modi,
con medaglie e doni per esempio.
La Ricompensa può assumere molte forme: può essere
un oggetto materiale (denaro o un oggetto simbolico),
una persona ricercata, un’ entità astratta (libertà,
pace, salvezza, amore), una qualità interiore (coraggio,
autostima); o anche la semplice possibilità di tornare a casa.
La Spada è un elemento simbolico che spesso si presta
alla Ricompensa perché rappresenta simbolicamente la
volontà dell’Eroe: forgiata nel fuoco e nel sangue, spezzata
e rinsaldata, martellata e piegata, indurita e affilata.
Nel caso in cui la ricompensa che spetta all’Eroe non venga
ceduta, questi potrebbe allora appropriarsene con la forza
o con l’astuzia; questo caso si dice “il furto dell’Elisir”.
A questo punto è normale che Eroe e compagni,
sopravvissuti alla morte, vogliano festeggiare.
I festeggiamenti (anche se a volte di breve durata)
forniscono un momento di pausa in cui si reintegrano le
energie perdute durante la lotta e si passano in rassegna
gli eventi passati.
97
Durante i festeggiamenti avvengono spesso momenti di
intimità e di riflessione in cui i personaggi parlano di sé stessi
e del loro passato, oppure, visto che l’Eroe ha dimostrato
il suo valore, potrebbe anche esserci il coronamento di un
amore o unione sacra di qualche genere.
Durante i festeggiamenti però, potrebbero anche verificarsi
delle dispute sulla spartizione della Ricompensa.
Comunque sia l’Eroe ha subìto una trasformazione, ha
raggiunto una maggiore consapevolezza (esperienza)
e i suoi compagni vedono in lui, nel suo diverso
comportamento, i segni della Rinascita.
Questa trasformazione interiore, spesso positiva, potrebbe
portare a nuove percezioni da parte dell’Eroe, oppure, nei
casi negativi, potrebbe causare una percezione distorta
da parte dell’Eroe che lo porta alla megalomania o ad
accusare un forte trauma interiore causato dall’incontro
con la morte.
10. LA VIA DEL RITORNO
La Via del Ritorno è un altro punto di svolta, rappresenta
un nuovo Varco della Soglia che conduce al Terzo Atto.
Può essere un breve momento o una serie articolata di
eventi che verifica la determinazione dell’Eroe a tornare a
casa o gli fornisce delle motivazioni per farlo.
In termini psicologici questa fase verifica la volontà
dell’Eroe di chiudere la storia e tornare a casa per mettere
in pratica ciò che ha imparato. L’Eroe, raccolto quindi
l’insegnamento del mondo Straordinario, deve decidere se
rimanere oppure tornare al Mondo Ordinario; raramente
decide di rimanere, spesso ritorna o intraprende un nuovo
viaggio. Spesso l’ eroe è riluttante al ritorno nel Mondo
Ordinario perché teme che l’esperienza acquisita svanisca
e il suo valore venga messo nuovamente in discussione,
98
non venendo creduto (le avventure devono essere spiegate
razionalmente agli scettici). Se infatti nella storia del mito
il successo ci appare inverosimile, per mantenere la sua
promessa rinnovatrice il mito ci dovrebbe mostrare non un
successo sovraumano ma un successo umano; questo è il
problema alla soglia del ritorno.
L’ eroe raramente rimane nel punto in cui è, alla fine supera
le sue incertezze e intraprende la via del ritorno.
In questa fase la tensione nella storia, che è calata, deve
salire di nuovo, spesso si verifica allora un cambiamento di
obiettivi nella storia che porta l’Eroe verso un nuova meta
con altre prove, ostacoli e tentazioni.
La Via del Ritorno rappresenta perciò il tempo per l’Eroe di
ritornare all’avventura, il benessere raggiunto deve essere
lasciato in virtù di una motivazione interiore o una forza
esterna.
L’Eroe può essere motivato a intraprendere il Ritorno in
vari modi: a volte già possiede una forte motivazione
interiore perché deve tornare a casa per risollevare
le sorti di una situazione problematica, oppure viene
semplicemente guidato verso casa da una forza benigna
che lo protegge; altre volte invece, devono intervenire
forze esterne a motivarlo. Queste potrebbero essere: lo
scattare di un allarme, l’approssimarsi dello scadere del
tempo a disposizione, la minaccia di una nuova Ombra
che non è ancora stata sconfitta e lo insegue, oppure il
ripresentarsi di un’ Ombra sconfitta che si è riorganizzata
e assesta un nuovo colpo (uccidendo un compagno,
effettuando un rapimento, reimpossessandosi dell’oggetto
di valore, lanciando una nuova sfida ecc.) costringendo
quindi l’Eroe all’inseguimento, ad un salvataggio o ad un
nuovo combattimento.
Potrebbe infine anche essere l’Eroe ad inseguire l’ Ombra
che fugge. La fuga dell’Eroe e l’inseguimento sono due
temi molto diffusi per risollevare il ritmo della storia.
Approfondimenti
Introduzione
Potrebbero anche verificarsi nuovi sviluppi nella storia,
determinati da nuove informazioni o nuovi accadimenti
che spostano gli obiettivi verso una nuova meta.
L’Eroe a questo punto potrebbe essere costretto a fare
un sacrificio, rinunciando a qualcosa che gli è caro per
ottenere ciò che per lui ha più valore (per esempio un
ladro potrebbe gettare la borsa del denaro per non essere
catturato).
Un’altra svolta sulla Via del Ritorno potrebbe essere
rappresentata da improvvise battute di arresto per cui la
sfortuna si abbatte sull’Eroe facendo sembrare che tutto
sia perduto di nuovo, per esempio potrebbe aprirsi di una
falla in una zattera ormai giunta in prossimità della costa
(il Climax).
Nelle fiabe e nelle leggende popolari, la fuga e
l’inseguimento dell’Eroe da parte del cattivo si sviluppa
attraverso varie trasformazioni, spesso il protagonista si
traveste per non essere catturato o lancia degli oggetti
che gli sono stati donati e che si trasformano, ostacolando
il nemico. Campbell interpreta psicologicamente questi
oggetti lanciati e li compara a simboli, interpretazioni,
principi e razionalizzazioni che l’individuo antepone alle
forze negative per ritardarle e assorbire il loro potere.
11. RESURREZIONE
Nella fase della Resurrezione avviene il Climax: un
momento simile alla Prova Centrale, in cui l’eroe sperimenta
nuovamente il momento di morte-rinascita nell’ultimo
e più pericoloso incontro con l’Ombra (o con la morte).
L’Eroe deve dimostrare di sapere mettere in pratica ciò
che ha imparato nel Mondo Straordinario, perciò la
Resurrezione rappresenta sia il ricordo della morte, che la
verifica dell’apprendimento, è l’ultima occasione per l’Eroe
di raggiungere un vero cambiamento. L’Eroe in pratica,
dopo aver sperimentato i misteri della vita e della morte,
deve cambiare ulteriormente, dimostrare che il vecchio io
è morto e quello nuovo è immune alle vecchie tentazioni
e debolezze; deve abbandonare la personalità forgiata
durante il viaggio e acquisirne una nuova (la somma delle
precedenti) per tornare alla comunità come rinato.
Nelle antiche tribù, i cacciatori ricoperti dal sangue della
caccia, quando tornavano al villaggio andavano purificati
per non portarsi la morte nella comunità.
Gli sciamani eseguivano quindi rituali che simulavano gli
effetti della morte o che portavano i cacciatori sull’orlo
della morte, per fare loro sperimentare la rinascita prima di
rientrare in comunità. L’Eroe allo stesso modo deve subire
una sorta di purificazione finale prima di poter ritornare a
casa. Per sentire che la storia sia completa il pubblico deve
sperimentare quest’ultimo momento catartico di morteRinascita che purifica ed eleva la coscienza dell’Eroe e
del pubblico stesso; in questa fase il pubblico deve poter
vedere il cambiamento dell’Eroe nel suo aspetto, nei suoi
atteggiamenti e nelle sulle parole.
Morte ed oscurità si presentano dinnanzi all’Eroe per un
ultima disperata prova, la resa dei conti finale, prima di
essere definitivamente sconfitte.
A livello elementare la resurrezione può essere la resa dei
conti definitiva, la battaglia finale o una prova di coraggio,
ma potrebbe anche essere una scena più tranquilla dove
l’Eroe, sottoposto ad una scelta, dimostra di essere
cambiato e aver abbandonato i suoi vecchi principi.
La differenza con lo scontro nella Prova Centrale è che qui
il pericolo è in scala più ampia, se prima era la vita dell’Eroe
ad essere minacciata, ora è quella della comunità o del
mondo intero. Come nella Prova Centrale è importante che
l’Eroe lotti nuovamente per la vita e si avvicini ancora alla
99
morte, sembri sul punto di non farcela e venire sconfitto,
prima di conquistare la vittoria finale.
Durante questa fase l’Eroe potrebbe commettere un passo
falso che pare conclusivo oppure avere una ricaduta
emotiva e perdere le speranze, arrendersi o abbandonare
il viaggio, prima di riscattarsi definitivamente.
Può anche accadere che l’Eroe non ce la faccia davvero
e nello scontro finale muoia veramente, sacrificando se
stesso; in questo caso la sua rinascita si verificherebbe
comunque, nel fatto che sopravviva nella memoria dei
compagni. Se durante lo scontro intervengono invece degli
Alleati a salvarlo, è importante che sia comunque lui a
compiere l’azione decisiva.
Anche in questo caso l’Eroe dovrebbe compire un sacrificio
importante (se non l’ha già fatto) o essere costretto a
subirlo, prima di arrivare alla vittoria; questo sacrificio
potrebbe essere l’abbandono di un oggetto caro, di una
convinzione o di una credenza, la perdita di un compagno
ecc. Generalmente in questa fase l’Eroe ricava delle prove
del suo viaggio da portare a casa, questo perché non
essere creduti è un problema ricorrente.
Nella fase del Climax potrebbe infatti comparire la figura
del Falso Eroe, cioè un personaggio che rivendica le
azioni dell’Eroe e mette in discussione il suo valore e il
suo viaggio, costringendolo ad una verifica; questa verifica
potrebbe essere effettuata mostrando un oggetto del
Mondo Straordinario o affrontando altre prove.
“Climax” è una parola greca che significa “scala”, a livello
cinematografico è il punto d’apice della storia, il punto
più drammatico, il più movimentato, il più pauroso, il più
emozionante ecc. Può essere realizzato in molti modi, alle
volte possono verificarsi perfino più Climax contemporanei
sul piano mentale, fisico, spirituale ecc..
Non necessariamente il Climax deve essere un momento
100
esplosivo, può esserci anche un Climax tranquillo, in cui
per esempio si trasmette la sensazione che tutti i conflitti
interiori sono stati sanati e si è raggiunto l’equilibrio,
l’armonia. Comunque sia un buon Climax dovrebbe avere
un effetto catartico, cioè causare un capovolgimento
emozionale in grado di purificare sia l’Eroe che il pubblico,
elevandone la coscienza e causando un aumento di
consapevolezza tale da risultare salutare.
La catarsi migliore dovrebbe coinvolgere emotivamente il
pubblico fino a scatenare la risata o il pianto. Il pianto può
essere causato dalla morte di un personaggio, mentre la
risata da una serie di battute di spirito che creano un’ilarità
collettiva che risolleva gli animi e viene condivisa da tutti.
Attraverso la catarsi i personaggi rimangono nel cuore
degli spettatori.
12. IL RITORNO CON L’ ELISIR
Nell’ultima fase finale l’Eroe torna finalmente a casa
(percorso circolare) oppure prosegue il viaggio, in
entrambi i casi comincia una nuova vita; è lecito vi siano
nuove incognite, ma i precedenti dubbi sono stati risolti o
comunque riformulati.
Ritorno con l’Elisir significa saper vivere concretamente il
cambiamento nella vita di tutti i giorni, sfruttando le lezioni
apprese dal viaggio e mettendole in pratica.
La fase del Ritorno è simile a quella della Ricompensa,
entrambi arrivano dopo una fase di morte-rinascita ed
entrambi mettono in luce le conseguenze dell’ essere
sopravvissuti alla morte e conseguentemente cambiati.
Questa fase è importantissima per la storia e rappresenta
l’ultima occasione per coinvolgere e soddisfare il pubblico,
stimolando le sue reazioni. Il finale non dovrebbe essere
troppo prevedibile, possono ancora accadere vari eventi
Approfondimenti
Introduzione
Shrek 3 (2007)
Dream Works
Animation
già citati nella fase della Ricompensa, come per esempio festeggiamenti, scene di accampamento, il coronamento di un
amore, l’autorealizzazione, oppure anche vendette, rivalse o ulteriori prove.
L’Elisir rappresenta ciò che l’Eroe porta con se dal Mondo Straordinario come prova del viaggio intrapreso. Se non portasse
niente con sé, il suo viaggio non avrebbe senso, significherebbe che non ha appreso niente e dovrebbe ripetere l’esperienza.
L’Elisir può essere qualcosa di materiale, come un tesoro, o una pozione magica, oppure qualcosa di astratto, come la
libertà, la giustizia o semplicemente la lezione appresa. L’Elisir potrebbe anche essere un esperienza negativa, per cui
l’Eroe riconosce di essere più triste, ma anche più saggio. Nelle storie in cui gli Eroi muoiono sconfitti dai loro difetti, l’Elisir
rappresenta l’insegnamento che il pubblico ne riceve. L’Elisir infatti rappresenta molto spesso un qualcosa che va condiviso
con la comunità, è un simbolo che serve a dare l’esempio e a spronare gli altri a intraprendere la ricerca (il loro viaggio
dell’Eroe) dimostrando che la morte può essere superata.
Il ritorno con l’Elisir può rappresentare una sorta di “ultima prova” in cui l’Eroe deve dimostrare di essere abbastanza
maturo da condividere i frutti della sua avventura con gli altri, accettando la responsabilità di essere una guida per la
società, influenzando il cambiamento; per esempio rinunciando allo stato solitario per stabilire le fondamenta di una nuova
101
famiglia o comunità. Compito della fase del Ritorno è anche quello di distribuire i premi e le punizioni finali, per ripristinare
l’ equilibrio della storia e dare un senso di completamento alla vicenda. Sia gli Eroi che gli Antagonisti non dovrebbero
ricevere ne più ne meno di quanto gli spetta.
I finali possono essere di due tipi, chiusi o aperti: nel primo caso il pubblico prova un senso di chiusura e completamento
della storia, ne ricava soddisfazione; nel secondo caso invece, il finale è più realistico, ambiguo e imperfetto, il viaggio
prosegue e alcuni dubbi rimangono irrisolti, il pubblico ne ricava un senso di incertezza, ma la storia prosegue nelle
menti degli spettatori. La formula più diffusa è quella del racconto circolare chiuso, in cui il protagonista torna al punto di
partenza, fisicamente o metaforicamente; questo serve a dare la misura di quanto lontano sia riuscito ad arrivare e quanto
il nuovo mondo sembri diverso da quello di prima, ricco di nuove possibilità. A volte per rendere meglio questo senso di
confronto l’Eroe viene sottoposto ad una situazione che prima gli sarebbe risultata difficile o impossibile, dimostrando il suo
cambiamento nell’affrontarla. Nelle fiabe il finale è sempre un lieto fine perfetto, dove tutto si completa con un matrimonio,
la pace e il ricongiungimento della felicità piena (l’inizio di una nuova vita rappresenta sempre un ideale).
Paragonando il racconto ad una tela, in cui le storie dei personaggi sono le linee della trama intrecciate e annodate per
creare conflitti e tensioni, in questa fase finale i fili si dovrebbero allentare, i nodi sciogliere e occorre far attenzione
di unire tutti i capi liberi, cioè a concludere i possibili subplot che si sono creati. Un buon ritorno dovrebbe sciogliere
i fili della trama mantenendo una certa dose di sorpresa, si potrebbe perciò usare qualche imprevisto, elementi
di breve sviamento o qualche rivelazione improvvisa (agnizione). A volte nei finali si usa presentare al pubblico
un epilogo, cioè un evento futuro dove si mostra come i personaggi hanno portato avanti il loro cambiamento.
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Produzione
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1.1
2.1 2.2 2.3
X.1 X.2
3.1 3.2 3.3
4.1
5.1
4.1
Layout 2D
4.3
Animazione e Test a Matita (Pencil Test)
4.4
Pulizia dei tratti (Clean-Up)
4.8
Animazione inbetween
4.10 Multilayer 2D
4.11 Inchiostratura (Ink)
4.12 Colorazione (Paint)
4.16 Effetti Speciali 2D
4.18 Montaggio
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MODELLLAZIONE 4.5
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RIGGING 4.6
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la
4
ANIMAZIONE 4.7
ra
m
e
103
3D
ANIMAZIONE KEYFRAME 4.9
SHADING 4.13
TEXTURING 4.14
LIGHTING 4.15
EFFETTI SPECIALI 3D 4.17
RENDERING 4.19
4.20
Approfondimenti:
4.20.1 I 12 Principi dell’Animazione
Barry Benson character
Bee Movie (2007)
Dreamworks Animation
Prologo
L’ animazione tradizionale e l’ animazione cgi giunte fin qui
seguendo un percorso comune, intraprendono ora strade
diverse, anche se non completamente dissimili.
La fase di produzione è quella più lunga e complessa e
spesso inizia quando ancora delle parti del film sono
ancora in pre-produzione. Entrati in produzione è però
importante che siano stati completati Sceneggiatura,
Storyboard e design di personaggi e ambientazioni; anche
se, viste le continue correzioni e migliorie, Sceneggiatura
e Storyboard si possono dire realmente conclusi solo
appena prima di entrare in post-prooduzione. In 3D
in particolare, devono essere già stati effettuati i
primi test di modellazione, animazione, texturing
e illuminazione. Tutto questo perché, una volta
entrati in produzione, la pressione diventa elevata
e uno dei problemi principali è l’efficienza
rispetto ai tempi e ai costi. Gli artisti avranno a
disposizione un tempo limitato e devono avere
ben chiaro cosa fare e come farlo.
Va comunque precisato che, mentre in
animazione classica esiste un processo di
104
produzione ben definito, in animazione 3D si sta ancora
cercando una standardizzazione dei processi. Infatti, a
seconda dello stile e dei software utilizzati i processi di
produzione possono cambiare, esistono comunque delle
fasi che stanno alla base della produzione e sono quelli che
qui di seguito ho preso in considerazione.
Il processo produttivo in animazione cgi può essere visto
come un connubio tra il processo tradizionale e quello
utilizzato nei film live; se infatti da una parte le tecniche di
animazione rimangono concettualmente identiche a quelle
del processo tradizionale, dall’altra gli artisti del 3D devono
effettivamente ricreare un ambiente reale in tre dimensioni,
con le stesse problematiche relative all’allestimento di
un set reale in termini di concettualizzazione spaziale,
movimenti di camera e attori, posizionamento delle luci
e illuminazione. L’animazione 3D, in pratica, funziona
come se si realizzasse un set cinematografico reale con
il vantaggio che occupa solo una scrivania. L’utilizzo di un
set tridimensionale del tutto simile ad uno reale, porta
inevitabilmente il 3D a dover ampliare i suoi orizzonti
nell’ambito delle regole cinematografiche per quanto
riguarda la composizione delle inquadrature e alla loro
messa in sequenza; il girato di un film in cgi risulta quindi
molto più simile a quello di un film dal vero piuttosto che
a quello di un film d’animazione bidimensionale, che, per
sua natura, risulta più statico. L’unica grande differenza
nella gestione di un set tridimensionale rispetto ad uno
dal vero risiede nel fatto che, mentre in un film dal vero
l’illuminazione viene allestita accuratamente in precedenza,
cioè prima di effettuare le riprese, in cgi l’illuminazione è
una fase successiva alla creazione dei personaggi e alla
loro animazione; questo perché non influisce direttamente
sul girato. Inoltre si ha a disposizione un maggior numero
di proprietà manipolabili, inesistenti nella realtà.
Ritornando al confronto tra i due processi produttivi,
Introduzione
Produzione
possiamo innanzitutto sottolineare che, esteticamente
parlando, mentre in animazione tradizionale si lavora su
di un disegno bidimensionale, in cui il punto di vista è
definito a priori (quello che si vede è quello che risulterà
sullo schermo), in ambiente 3D, una volta realizzato un
modello, si ha a disposizione tutti i punti di vista possibili,
senza la necessità di dover ridisegnare ogni scena da
capo.
La possibilità di avere a che fare con più punti di vista,
però, richiede all’animatore in cgi di controllare che le
animazioni siano corrette da tutti questi punti di vista e
non solo da uno, come nel disegno.
Il fatto di avere a che fare con più punti di vista, comporta
però anche un grande vantaggio nella creazione delle
scenografie; se in animazione tradizionale si volesse
cambiare un’inquadratura infatti, occorrerebbe ridisegnare
tutta la scenografia da capo (con un considerevole dispendio
di tempo e di fatica), in 3D invece, basta cambiare punto
di vista per cambiare prospettiva.
Un altro grande vantaggio dell’animazione 3D consiste
poi nella flessibilità offerta dai programmi, che permette
di effettuare numerosi test, correzioni e modifiche senza
creare troppi problemi; questo, nel processo tradizionale
non è concesso, a meno che non si tratti di animazione 2D
in digitale, per cui le modifiche sono più facili da effettuare
ma sempre meno veloci.
Questa flessibilità nelle modifiche e nella scelta delle
inquadrature permette inoltre di poter riutilizzare diverse
scene semplicemente cambiando un punto di vista, o al
massimo modificando leggermente l’animazione.
In definitiva, il processo produttivo tradizionale risulta
generalmente molto più lungo da eseguire rispetto ad
uno in animazione cgi. Questo dipende essenzialmente
dalla maggiore flessibilità e velocità offerta dal digitale
3D, in particolar modo in riferimento all’animazione:
se nel processo classico, infatti, bisogna disegnare ogni
scena fotogramma per fotogramma (frame by frame),
nel processo 3D l’animazione è data dal risultato di un
interpolazione automatica (keyframe Animation) effettuata
dal computer, una volta indicati i fotogrammi chiave, perciò
è più veloce.
Infine, prima di proseguire nell’analisi delle singole fasi
produttive è opportuno precisare che, se il processo
viene qui indicato con una serie di punti in successione,
nella realtà il lavoro viene diviso fra più dipartimenti che
lavorano in contemporanea, passandosi man mano le varie
parti della storia in modo omogeneo e continuativo, come
in catena di produzione. Anche se in entrambi i processi
il lavoro viene spartito tra più dipartimenti, si può notare
che le fasi di produzione in animazione cgi sono molto più
specifiche e, conseguentemente, il lavoro di ogni artista
del team è più particolareggiato, con una conseguente
velocizzazione dei tempi di produzione. Basti pensare alla
figura dell’animatore che, in animazione classica, si occupa
per intero della creazione di un personaggio (spartendosi
con gli altri animatori solo la creazione delle pose), mentre in
animazione cgi, si occupa esclusivamente dell’animazione,
lavorando su di un personaggio già modellato e “skinnato”
da altri operatori. L’animazione in particolare, che nel
processo tradizionale è una conoscenza diffusa a tutto il
team, in cgi diventa una specifica conoscenza richiesta
solo all’animatore. Lo stesso vale per il procedimento di
Ink & Paint che in animazione cgi si suddivide nelle tre fasi
di Shading, Texturing e Lighting, con una fase specifica
rivolta solo all’illuminazione. Il più grosso vantaggio
dell’animazione 3D risiede proprio nella non linearità del
processo produttivo.
Chiarite queste prime grandi differenze, passiamo ora
all’analisi delle singole fasi della produzione.
105
Marco and His Ball
(2006/2007)
Animatic/Layout 3D
Marco Pavarotti
emanuelepavarotti.com
4.1 Layout 2D
Prima di iniziare a disegnare ogni scena a matita,
fotogramma per fotogramma, la fase di Layout si occupa
di definire più precisamente, rispetto ai disegni dello
Storyboard, la composizione della storia sullo schermo
e la scomposizione a livelli dei disegni, destinati ai vari
animatori (questo perché l’animazione finale è il risultato
della sovrapposizione di più livelli di disegni posti uno
sull’altro per comporre il disegno finale). Questa è l’ ultima
occasione per effettuare cambiamenti prima di intraprendere
il laborioso e costoso processo di animazione.
Sulla base dell’ Animatic e delle tavole di Design, vengono
allora realizzati, in modo più accurato, i disegni delle
scene chiave della storia, considerando più attentamente
la composizione delle inquadrature, i movimenti in campo
(eventuali percorsi da seguire), gli spostamenti di camera
e l’illuminazione delle scene.
Ci sono due tipi di figure che lavorano al Layout: i
Background Layout Artists che si occupano degli sfondi
(disegnati per lo più in contorni), considerando il punto
di vista della camera, gli spostamenti della Mdp e dei
personaggi e l’illuminazione della scena; e i Character
Layout Artists, che si occupano invece dei personaggi,
definendo le loro pose principali, i loro movimenti e le loro
espressioni.
I disegni di Layout, utilizzati poi come riferimento dagli
animatori e dai disegnatori degli sfondi definitivi, servono in
particolar modo agli animatori, per tenere in considerazione
gli ambienti entro cui si muoveranno i personaggi da
animare, prestando attenzione ad impedimenti, ingombri
e alle possibili vie di fuga (porte e finestre).
106
Questa prima fase di Layout serve a favorire una buona
integrazione tra personaggi e sfondi, affinché i disegni
sembrino meno “piatti” e il più realistici possibile.
Occorre quindi utilizzare intelligentemente la prospettiva
e la profondità di campo, per ottenere una resa più
tridimensionale. Una buona abitudine è quella di muovere
i personaggi secondo linee cinetiche non troppo lineari,
facendoli interagire il più possibile coi diversi piani dei
fondali, a più livelli di profondità.
I disegni del Layout, una volta approvati dal direttore
artistico, vanno a sostituire i disegni nell’ Animatic, si passa
poi alla fase successiva.
4.2 Layout 3D
Quando una sequenza di Animatic viene approvata,
si entra in produzione. Il Layout 3D rappresenta la
prima realizzazione tridimensionale della storia e,
come nel 2D, serve a ragionare più attentamente sulla
composizione delle scene, sugli spostamenti degli
elementi in campo, sulle loro interazioni e sulla
temporizzazione della storia.
rispetto
all’animazione
tradizionale
però,
Il
Layout 3D serve in particolaR modo a ragionare sui
posizionamenti e movimenti di camera che, in 3d, sono
molto più COMPLESSI E consistenti, non si limitano a
semplici traslazioni, rotazioni e zoom.
La realizzazione del Layout 3d è un processo lungo e
costoso, ma rappresenta uno strumento efficace che
permette di pre-visualizzare molti aspetti del film e
costituisce un ottimo punto di partenza, e di verifica,
prima di entrare IN produzione.
Per la sua realizzazione vengono quindi creati dei
modelli abbozzati di ambienti e personaggi, vengono
Introduzione
Produzione
poi definite le loro posizioni ed interazioni, e infine
si stabiliscono i posizionamenti delle mdp, i movimenti
di camera, gli angoli di ripresa, il tipo di lente, le
simulazioni di luce, colore e così via.
I personaggi vengono rappresentati con geometrie
grezze e sono mossi in campo in modo poco accurato,
spesso spostati come semplici segnaposto; Questo
perché servono solamente a dare le indicazioni
di massima su Ingombri, azioni e spostamenti.
degli ambienti invece, vengono realizzati solo gli
elementi strutturali più importanti.
Diversi artisti prendono spunto dalle sequenze di
Layout (blast) prima di iniziare il loro lavoro:
gli animatori lo usano come riferimento per capire il
posizionamento dei personaggi rispetto agli ambienti,
alle azioni e ai tempi; i modellatori le usano coma
guida per la creazione dei set e i Lighter Artists se
ne servono per determinare il posizionamento e la
tipologia di luce più appropriata.
In molti studi si usa realizzare, man mano, Layout
sempre più dettagliati, operando per gradi sui diversi
fattori.
Dopo che il regista ha dato le istruzioni per il
completamento di una scena di Layout, dei supervisori
si occupano di valutarne la complessità. Questo serve
a limitare il numero di scene complesse nella storia,
per non alzare troppo I tempi e I costi di produzione.
si impiega quindi un metodo detto di “analisi della
complessità” per cui si decide quali scene è opportuno
semplificare e quali elementi (background, animazioni,
modelli, shader e texture...) è possibile riutilizzare,
senza compromettere il valore artistico del lavoro.
Questo permette di avere ben chiari i tempi e i costi di
ogni scena della storia.
Si occupano di questa analisi il coordinatore
artistico e il supervisore di Layout, insieme a regista
e produttore. Infine viene indetta una riunione
dove vengono discusse tutte le scene della storia
e le decisioni prese diventano le linee guida per la
produzione.
107
Gli animatori sfogliano
i disegni in sequenza per
verificare l’andamento
dell’animazione
Lightbox: Tavola Luminosa
retroilluminata munita
di reggetta (Peg Bar)
per l’allineamento
preciso dei fogli
Versione con
disco girevole
Reticolo (Graticulates)
permette all’animatore
di indicare al montatore
le porzioni di spazio da
riprendere all’interno
del disegno per le
riprese finali
4.3 Animazione e Test a Matita (Pencil Test)
In questa fase gli animatori, prendendo come riferimento la
temporizzazione delle scene precedentemente definita dal
direttore artistico compilando il Dopesheet (dopo l’Animatic),
iniziano a realizzare tutti i disegni della storia, fotogramma
per fotogramma. I disegni sono realizzati a matita su fogli
di carta leggera, semitrasparente, del formato definitivo
prescelto. Il tratto è inizialmente molto abbozzato e andrà
man mano rifinito durante il procedimento. I disegni da
realizzare vengono quindi spartiti tra i vari dipartimenti a
seconda che siano disegni dei personaggi (character), degli
sfondi/fondali (background) e degli effetti speciali (special
effects). Terminati i disegni il tecnico di montaggio monta
le sequenze animate sul rullo di prova dell’Animatic.
I CHARACTER ANIMATION ARTISTS si occupano
dell’animazione dei personaggi e per realizzarla devono
eseguire i disegni delle singole pose che compongono i
loro movimenti, fotogramma per fotogramma.
I fogli, qualunque sia il formato scelto, sono forati da un
108
lato (il più lungo) per poter esser infilati in un’ apposita
barra chiamata “reggetta”, utilizzata per mantenere i fogli
in perfetto allineamento tra loro.
Il procedimento adottato per disegnare le pose in
successione consiste nell’utilizzare i fogli uno sopra
l’altro, ricopiando le parti del personaggio che rimangono
statiche e disegnando solamente le parti (arti, occhi,
capelli, vestiti...) del personaggio in movimento. Il perfetto
allineamento dei fogli, garantito dalla reggetta, serve
ad assicurare che i tratti e le posizioni dei personaggi
coincidano perfettamente nello scorrere della sequenza.
Se i tratti dei disegni non coincidessero, si verificherebbe
infatti un effetto di sfarfallio dovuto allo spostamento delle
immagini durante la visione.
Sempre grazie alla reggetta, l’animatore può controllare
il risultato del suo lavoro sfogliando velocemente i fogli
da disegno, senza che questi escano fuori sede. Uno dei
principali strumenti dell’animatore è il “Lightbox”, cioè
un piano di lavoro inclinato e retroilluminato che serve
a vedere in trasparenza i tratti dei disegni sovrapposti,
per poter ricalcare le parti dei personaggi che rimangono
statiche nella successione (per esempio il corpo, mentre il
braccio si muove).
Introduzione
Produzione
I BACKGROUND ARTISITS si occupano invece di disegnare
e colorare gli sfondi. Il background occupa circa il 90%
dell’ immagine finale ed è quindi molto importante che sia
realistico e ben fatto.
I disegnatori degli sfondi, prendendo come spunto i disegni
realizzati dai Layout Artists e dai Color Artists, si occupano
allora di realizzare dei fondali tra loro armoniosi, che si
integrino perfettamente coi movimenti dei personaggi.
Di solito, i fogli utilizzati per gli sfondi hanno dimensioni
più grandi del formato utilizzato per le animazioni, di modo
che qualsiasi movimento effettuato dai personaggi non
fuoriesca dai contorni. Esistono inoltre degli sfondi piuttosto
lunghi, chiamati “pan background”, che vengono fatti
scorrere per dare il senso di un paesaggio in movimento.
Per la colorazione degli sfondi si possono utilizzare molti
materiali quali acrilici, acquarelli, tempere, pastelli o
anche colori ad olio. Va comunque precisato che oggi i
background sono molto spesso colorati o addirittura creati
direttamente al computer; questo permette di lavorare su
più livelli di profondità, favorendo la resa tridimensionale e
la gestione della messa a fuoco.
‘Urusei Yatsura’ (1984)
Japanese animated
TV series
1. disegno a matita
fotocopiato su
acetato (Cell)
2. colorazione
3. aggiunta del
background
Gli EFFECTS ANIMATORS infine, si occupano di animare
diversi fenomeni naturali, atmosferici e spettacolari, come
per esempio fuoco, pioggia, gas, tempeste, esplosioni,
raggi laser, effetti ottici ecc. Questi effetti speciali possono
essere disegnati direttamente (anche dagli stessi animatori)
oppure creati tramite il computer, a seconda del fenomeno
richiesto. A volte può capitare che anche il dipartimento
di colorazione si occupi di realizzare alcuni effetti speciali.
Oggi comunque la maggior parte degli effetti speciali è
ovviamente realizzata in digitale tramite il computer.
109
Procedimento di Animazione
Prima di iniziare a disegnare occorre che sia stato ben
pianificato il Timing, cioè l’andamento dell’animazione
in relazione al sonoro, perciò ogni animatore organizza
anticipatamente i tempi dell’azione compilando il
Dopesheet.
Inizialmente, l’animatore principale, chiamato Key Animator,
usando come guida il Layout 2D e il Dopesheet, si occupa di
disegnare le pose principali dei personaggi (key drawing),
che rappresentano gli estremi dell’ azione. Queste pose
principali servono a impostare il carattere dell’animazione
e definiscono il Timing dell’azione. Terminato il lavoro, il
Key Animator esegue il così detto Test a Matita (Pencil
Test/Line test), che consiste in un test preliminare per
verificare la correttezza dell’animazione: i disegni vengono
perciò digitalizzati tramite scanner e montati in sequenza
temporale insieme con le tracce sonore temporanee, per
controllare che l’animazione sia corretta, fluida e ben
sincronizzata.
Se il Pencil Test è corretto, i disegni e il Dopesheet vengono
passati all’assistente principale (Assistant Animator) che
ripulisce i tratti, aggiunge maggiore dettaglio ai disegni e
soprattutto realizza le pose secondarie di intercalazione,
andando a compilare le parti mancanti dell’animazione
(frame). Il lavoro quindi, dopo essere stato revisionato
dall’animatore principale, viene passato agli intercalatori
(Inbetweener) che completano definitivamente tutte le
pose mancanti dell’animazione. Anche in questo caso il
lavoro viene poi sottoposto a revisione e Test a Matita
finché l’animatore principale non lo ritiene pronto per
essere sottoposto al direttore artistico. A questo punto
viene indetta una riunione e direttore artistico, regista,
produttore e altri membri chiave del team creativo, si
occupano di visionare il lavoro finale, ed eventualmente,
110
richiedere correzioni e modifiche. Le modifiche possono
essere richieste più e più volte, fino a che si ritiene
necessario.
Quando una scena viene approvata, i disegni vengono
inseriti dal Montatore nel rullo di prova dell’ Animatic, al
posto dei disegni realizzati. L’intera scena animata a matita
viene quindi revisionata dal regista per l’approvazione
definitiva. A questo punto effettuare ulteriori modifiche
risulterebbe gravoso per la produzione (costi e tempi).
Nelle produzioni a grosso budget, i personaggi principali
sono destinati ognuno ad un gruppo di lavoro diverso;
questo gruppo è solitamente composto da uno o pochi
animatori principali e molti assistenti, compreso un
supervisore (Supervising Animator). Nelle scene in cui due
personaggi principali interagiscono tra loro, gli animatori
principali di entrambi i gruppi devono decidere chi dei
due personaggi guiderà l’azione; il personaggio principale
verrà allora animato prima, mentre l’altro sarà animato in
seguito.
Introduzione
Produzione
4.4 Pulizia dei tratti (Clean-Up)
Una volta che i disegni sono stati approvati, vengono
inviati al dipartimento di “Clean Up”, cioè di “pulizia”, che si
occupa appunto di ripulire i tratti dei disegni, ridisegnandoli
su nuovi fogli, con un tratto più uniforme e omogeneo.
Questo perché, essendo realizzati da più persone, è
inevitabile che ogni disegno possieda le piccole variazioni
stilistiche proprie dell’artista che lo ha disegnato.
Questo dipartimento è composto dai Clean Up Animators,
che ridisegnano i personaggi prestando attenzione
a non dimenticare i dettagli; ma spesso anche da
alcuni intercalatori, che si occupano di effettuare gli
eventuali disegni mancanti (questo processo è detto
Tweening). Di solito, prima di procedere nella pulizia dei
disegni, l’assistente principale realizza un Key Clean-up
rappresentativo per dare l’idea agli altri assistenti di come
il Clean-Up deve essere eseguito.
I disegni consegnati al dipartimento di “Clean-Up”
includono spesso dei segni effettuati dagli Animatori, con
pastelli colorati, per fornire indicazioni di vario genere
che agevolino la pulizia dei disegni e la successiva
colorazione (ad esempio per non confondere i tratti che si
sovrappongono o per indicare le varie campiture).
Infine, i disegni vengono sottoposti ad un nuovo Test a
Matita (Pencil Test) per controllare che non ci siano errori e
vengono quindi revisionati da Direttore Artistico e Regista;
una volta approvati vanno a sostituire quelli in Animatic.
Alien character Maquette
è possibile vedere la
trasposizione del
reticolo sulle Maquette
per l’importazione
nel software
4.5 Modellazione
In animazione cgi si inizia la Modellazione creando le
geometrie tridimensionali di ogni elemento presente
nella storia. Le persone che si occupano di questo
procedimento sono chiamate modellatori perché,
come gli scultori, devono modellare una geometria
tridimensionale affinché assuma le sembianze
desiderate. Naturalmente ogni modellatore non
inizia A lavorare partendo dal nulla, ma prende
come riferimento i disegni del personaggio/oggetto
nelle tre viste prospettiche principali: frontale,
laterale e dall’ alto. questi disegni vengono importati
direttamente nel programma e proiettati ognuno sui
rispettivi assi cartesiani di modo da poter essere poi
ricalcati nei contorni. Spetta al modellatore il compito
di estrapolare le forme tridimensionali partendo dai
disegni. Creare un modello tridimensionale partendo
da uno bidimensionale è un compito tutt’ altro che
facile, questo perché bisogna saper trasporre in
forma reale un modello che, disegnato, ha una forte
componente astratta (basti pensare alla difficoltà
di riprodurre in 3D le forme piatte delle orecchie di
Topolino).
111
Andy&Kokko (1995)
Big Rock
Training Centre
Esame finale
Tesi di Master
Stefano Schiavi
Jacopo Sebastiani
Francesco Megna
Erica Pennica
Mario Di Maso
Nicolò Fabbri
Alessandra Cavalleri
Gabriele Facchinetti
Fabiana Ciatti
Roberto Bucca
Tommaso Scorteccia
Fabio Dal Colle
Giovanni Remondini
Alessio Maida
Enrico Ferrarsi
Un secondo metodo, molto più comodo, utilizzato nelle grandi produzioni, prevede invece la costruzione di una
“Maquette”, ovvero di una scultura tridimensionale, solitamente in creta (oppure plastilina, gesso, gomma...),
basata sui disegni realizzati in fase di Design.
Questo secondo metodo non e’ in assoluto il migliore, ma senza dubbio e’ il più sbrigativo, perché permette di
importare all’interno del programma un modello già tridimensionale, grazie all’utilizzo di appositi scanner 3d. in
pratica, terminata la Maquette, si tracciano su di essa delle linee che creano una specie di rete; questa rete divide
la geometria in diverse parti componenti dette “mesh”. Si passa quindi alla scansione della Maquette tramite uno
scanner tridimensionale (o una penna ottica con braccio) e alla successiva acquisizione dei dati all’interno del
programma, affinché quest’ultimo possa ricomporre, al suo interno, la geometria del personaggio/oggetto in 3d.
Va comunque precisato che la geometria creata dal programma non e’ perfetta, un animatore quindi, per poterla
utilizzare, deve ripulire la superficie da varie imprecisioni ed effettuare le opportune modifiche e miglioramenti,
fino ad arrivare alla geometria definitiva.
112
Introduzione
Produzione
Img1
schermata in
wireframe
che mostra le
geometrie
di personaggi e oggetti
dopo la Modellazione
Img2
immagine finale a
schermo
Procedimento
Il processo di Modellazione è un lavoro che può richiedere alcuni giorni: la prima cosa che il modellatore
deve fare è scegliere con che tipo di geometria preferisce lavorare, questo perché i software 3D mettono a
disposizione quattro diversi approcci matematici per la creazione delle geometrie.
questi differenti approcci matematici influenzano il comportamento della geometria stessa e il modo di procedere
dell’animatore. Dei modelli geometrici che si possono ottenere, Non ne esiste uno migliore in assoluto, la scelta
dipende da cosa si vuole creare e dal metodo di lavoro preferito dal modellatore.
I tipi di modellazione più diffusa sono la Modellazione Poligonale e quella Nurbs (Non Uniform Rational B-Spline),
la prima viene utilizzata per creare personaggi mentre la seconda per creare gli oggetti muniti di particolari più’
tecnici e minuziosi (macchinari, apparecchi, mezzi...).
ma vediamo di seguito le caratteristiche di tutti i principali modelli geometrici che si possono utilizzare.
113
I poligoni sono semplici da manipolare, ma occorre
pratica perché queste operazioni diventino veloci ed
intuitive da effettuare.
Per iniziare a modellare una geometria poligonale
si possono usare diversi approcci: si può iniziare
ricalcando i contorni dei disegni delle viste
prospettiche (come si e’ detto prima), oppure si può
partire da una geometria di base (cubo, sfera...) o
un particolare del personaggio, per poi costruirci
attorno, si possono inoltre agganciare tra loro
più geometrie poligonali, oppure creare un modello
grezzo per poi definirlo nei particolari. Comunque
sia, Alla fine si usa effettuare un’ operazione detta di
“smothing”, per rendere la superficie del modello più
liscia ed omogenea.
In alto:
Character Modellig
e Rendering
François Gutherz
www.astrofra.com/weblog
Sotto:
Punti manipolabili
di una superficie
poligonale:
vertice (vertex)
faccia (face)
bordo (edge)
114
Le GEOMETRIE POLIGONALI sono definite “free form
modelling” (modellazioni a forma libera) proprio
perché permettono una Modellazione più libera, ma
anche più approssimativa; sono perciò indicate per
modellare personaggi e varie forme organiche.
Tecnicamente le geometrie poligonali sono composte
da un’insieme di poligoni di forme diverse (con un
minimo di tre vertici) ognuno dei quali è posizionato
nello spazio tridimensionale secondo le coordinate
cartesiane XYZ (lunghezza, altezza, larghezza). La
Modellazione Poligonale viene effettuata manipolando
vertici, bordi, spigoli e facce poligonali attraverso
operazioni semplici quali la traslazione, la rotazione
e la scalatura oppure attraverso trasformazioni più
complesse come l’estrusione, la rivoluzione attorno
ad un asse ecc.
Le SUPERFICI NURBS (Non Uniform Rational B-Spline),
dette anche superfici Parametriche, si caratterizzano
invece per la precisione e l’accuratezza con cui
descrivono le superfici geometriche; vengono perciò
utilizzate per modelli che richiedono una certa
precisione come ad esempio macchine, apparecchiature
meccaniche, gioielli, veicoli ecc.
un grande vantaggio offerto dalle Nurbs è la
possibilità di poter decidere l’ accuratezza della
geometria in fase di Render.
Matematicamente parlando, le Nurbs sono superfici
Parametriche generate dall’interpolazione di curve
B-spline. Queste superfici sono sempre modificabili
(come indica il termine parametrico) e facilmente
manipolabili operando attraverso i loro vertici.
In pratica, per modellare le superfici Nurbs, il
modellatore utilizza una serie di curve che poi,
Introduzione
Produzione
Da sinistra:
Modellazione Nurbs
interpolazione
revolve
rivoluzione di una
sezione attorno
ad un asse
extrude 1
interpolazione di una
sezione lungo ad un
percorso
una volta interpolate, costruiscono una superficie
geometrica (questa tecnica è comunemente chiamata
di “sweeping”). Le principali operazioni di sweeping
sono la rivoluzione (revolve) attorno ad un asse,
l’estrusione (extrude) lungo un percorso e il lofting
(loft): la rivoluzione attorno ad un asse permette di
creare una superficie facendo ruotare una sezione
(curva) attorno ad un asse prestabilito; l’estrusione
lungo un percorso permette di creare una superficie
interpolando una sezione lungo un asse o un percorso
prestabilito; il lofting infine, crea una superficie
interpolando tra loro più sezioni posizionate
opportunamente, a seconda della superficie che si
vuole ottenere.
Il modellatore può, anche in questo caso, procedere
alla modellazione in vari modi: uno tra i metodi più
comuni è quello di agganciare tra loro superfici Nurbs
quadrangolari chiamate “patch”, fino ad ottenere la
forma prestabilita.
L’essenziale differenza tra le superfici Nurbs e
quelle Poligonali è che, mentre le “mesh” poligonali
disegnano la geometria direttamente sui vertici, che
in fase di rendering vengono interpolati per ottenere
una forma armoniosa, le Nurbs invece sono definite da
equazioni che interpolano la forma della geometria
direttamente (interattivamente).
Le SUPERFICI DI SUDDIVISIONE (Subdivisional Surfaces)
sono geometrie che uniscono la versatilità e la
flessibilità delle superfici poligonali con la precisione
delle superfici nurbs, pur essendo matematicamente
differenti.
Esistono diverse tipologie di superfici di suddivisione,
la più famosa è la “Catmull-Clark”, che prende il nome
dal suo inventore.
Il procedimento di modellazione è il medesimo di quello
poligonale, per questo le superfici di suddivisione
stanno diventando uno standard sia nei prodotti di
animazione 3D che negli effetti speciali.
Un ulteriore grande vantaggio di Queste superfici e’
che possono essere generate da una forma poligonale
arbitraria ed è perfino possibile indicare il grado di
smussatura per ogni spigolo della loro geometria.
extrude 2
interpolazione di una
sezione lungo l’asse Y
loft
interpolazione fra di
un numero arbitrario
di sezioni fra loro
Fasi modellazione:
partendo da una sfera
poligonale si procede
modellando le facce e i
vertici della geometria
fino ad arrivare alla
forma desiderata.
Tesi di Mario
Aquaro “Animazione
bidimensionale e
tridimensionale a
confronto”.
115
Metaball
le sfere sono
rappresentate a
differenze distanze,
avvicinandosi si
attraggono reciprocamente
unendosi in un
unica superficie
Le METABALL O BLOBBY SURFACES, dette anche Superfici
Implicite, sono geometrie approssimative ottenute
dall’unione di sfere, che si attraggono l’una con l’altra,
con forza variabile, unendosi reciprocamente.
definito il comportamento generale della massa, è poi
possibile effettuare delle variazioni interne al sistema
per determinare singole varianti comportamentali in
relazione al verificarsi di specifici eventi.
Per la creazione di superfici molto complesse e
dettagliate, difficili se non impossibili da modellare
a mano perché richiederebbero troppo tempo e fatica
(si pensi ad un prato, alle chiome degli alberi, alla
peluria degli animali, a gruppi molto numerosi ecc.),
si utilizzano invece altri due tipi di modellazione
indiretta, effettuata senza l’intervento manuale del
modellatore sulla geometria.
questi metodi alternativi sono:
I SISTEMI DI MODELLAZIONE PROCEDURALE invece,
consentono di modellare una superficie agendo
attraverso una serie di parametri specifici, controllati
da diverse formule matematiche, a seconda dei casi.
questi sistemi hanno enormi possibilità e possono
arrivare a creare interi mondi senza richiedere
l’intervento diretto del modellatore; spesso operano
attraverso i sistemi frattali, cioè attraverso sistemi
costituiti da forme geometriche complesse, la cui
complessità deriva dalla ripetizione, a scale diverse,
di una stessa forma geometrica di base.
i sistemi di modellazione procedurale sono stati
studiati e implementati negli anni da diversi
sviluppatori, ne esistono quindi diverse tipologie.
Comunque sia, Tutti i programmi di modellazione 3D
permettono l’utilizzo e l’implementazione di questi
Sistemi. particolarmente conosciuto è il programma
“Houdini” della Side Effect, che permette il diretto
accesso all’ “L-System”, cioè al più comune sistema di
modellazione procedurale impiegato nella creazione
di sistemi naturali.
I SISTEMI PARTICELLARI sono generalmente utilizzati
nella creazione di fenomeni dinamici complessi, quali
fuoco, pioggia, acqua, fumo ecc. ma possono essere
usati anche per modellare. Sono caratterizzati da un
emettitore di particelle e da numerose particelle che
reagiscono a determinati criteri fisici modificabili,
quali la gravità, la velocità, la direzione, l’interazione
ecc. e che possono inoltre essere modificate anche
nell’aspetto estetico.
I sistemi particellari possono anche essere utilizzati
per gestire il comportamento di gruppi numerosi
quali sciami, stormi o folle di persone, praticamente
impossibili da animare singolarmente: una volta
116
Introduzione
Produzione
Pagina Sinistra
Modellazione frattale
di un albero di cui
sono stati definiti i
seguenti attributi:
altezza. num. foglie,
num. rami, curvatura...
Immagine realizzata
con il software Mojoworld
della società Pandromeda
Questo software
utilizza i sistemi di
modellazione frattale
Sotto:
Immagini di alcuni
frattali Mandelbrot
117
118
4.6 Rigging
sia la migliore rispetto alle necessità del rigging.
Questi primi test vengono passati anche agli animatori,
cosicché possano indicare preventivamente, eventuali
problemi di animazione.
Al Rigging è sottoposto qualsiasi personaggio/
oggetto che deve essere animato, cioè che deve essere
mosso o subire trasformazioni (veicolo, macchinario,
palla...). Terminato il processo di Modellazione, il
modello creato è una massa priva di snodi (come un
omino di creta senza fil di rame all’ interno), non
può assumere pose interessanti, ma può solo essere
traslato, ruotato e scalato nella sua totalità di
massa; per renderlo snodabile è necessario creare
una serie di controlli che permettano di muoverlo e
fargli subire deformazioni.
Il Rigger si occupa essenzialmente di creare uno
scheletro digitale e una serie di controlli che
permettano al modello di essere animato con facilità
dagli animatori.
In questa fase il regista e il supervisore del Rig
possono richiedere un rigging più o meno dettagliato
e flessibile a seconda dello stile della storia e
delle preferenze di produzione; per esempio possono
volere un rigging molto flessibile per ottenere poi
un’animazione molto più esagerata nelle movenze e
nelle posture.
Siccome è possibile effettuare il rigging in vari modi,
il Rigger, per poter svolgere bene il suo lavoro, deve
prima analizzare i disegni realizzati in fase di Design
per capire lo stile della storia e le necessità motorie
del modello (comprese le deformazioni). Una volta
comprese le necessità motorie del modello, Deve
quindi metterle in relazione alla geometria creata
dai modellatori, di modo da poter individuare la
struttura di Rigging più appropriata da eseguire.
La fase di Rigging inizia prima che sia completata la
Modellazione, utilizzando come base le geometrie
non ancora definitive dei modelli; questo serve
a verificare la validità del modello creato dai
modellatori e a controllare che la geometria ideata
Procedimento
Una volta individuata la struttura ottimale del Rig
in base alla geometria del modello, ai movimenti
da compiere, allo stile della storia e al livello di
dettaglio richiesto dalla produzione, il processo di
rigging si divide in tre fasi principali: prima si crea
la struttura del Rig, che solitamente consiste in
uno scheletro e vari deformatori; poi si assegna la
struttura alla geometria tramite lo Skinning; infine
si creano dei controlli e un interfaccia facilmente
manipolabile per gli animatori.
RIGGING (SET UP)
principalmente il Rigging si occupa di costruire una
struttura scheletrica e determinati controlli che
permettono alla geometria del modello di effettuare
vari movimenti e le opportune deformazioni.
Per i tutti i modelli composti da arti e giunti snodabili,
il Rigging prevede la costruzione di una sorta di
scheletro digitale che, una volta applicato al modello
(skinning), ne guiderà i movimenti e le deformazioni.
Questo significa che, muovendo lo scheletro, la
geometria si muoverà di conseguenza, seguendolo.
Questo “scheletro digitale” va però inteso in senso
lato, non deve necessariamente avere la forma di uno
scheletro umano, può essere infatti applicato ad un
personaggio come anche ad un oggetto, un veicolo, a
qualsiasi cosa.
Va poi sottolineato che, per un unico modello
geometrico, si possono creare diversi tipi di scheletri,
l’abilità del Rigger consiste proprio nell’individuare
il rig più adatto alle esigenze dell storia.
Per fare questo occorre che il rigger definisca
Introduzione
Produzione
a seconda del tipo di automazione che si vuole
ottenere, esistono quindi varie tecniche che si possono
utilizzare, tra queste troviamo i sistemi di causa
effetto, script, constraint, deformatori ed expression,
oppure dinamica e morphing. Una volta definite tutte
le trasformazioni, si passa allora allo Skinning.
attentamente il numero, la posizione e l’orientamento
delle ossa (bones) e dei giunti (joints) all’interno
dello scheletro da creare.
Il Rigging comunque, non prevede solamente la
costruzione di uno scheletro digitale, ma si
occupa anche di creare altri controlli, per animare
trasformazioni e deformazioni che possono essere
dipendenti o indipendenti dall’ossatura.
Questi controlli possono controllare un’infinità di
deformazioni o mutazioni di stato, come per esempio
la deformazione muscolare (piegamento-stiramento),
l’espressione facciale, l’oscillazione delle parti molli
(orecchie, naso, pancia...), la rotazione degli occhi,
oppure semplicemente la deformazione di una palla
che rimbalza a contatto col suolo. Per controllare
tutte queste deformazioni esistono diversi comandi
a seconda dei casi.
Queste animazioni, in alcuni casi, possono implicare
un certo grado di automazione, per cui, ad un
determinato movimento del corpo, deve corrispondere
una determinata deformazione: un esempio potrebbe
essere la contrazione muscolare di un braccio,
l’ondeggiamento della massa grassa durante il
movimento, oppure il comportamento di peli/capelli
durante il movimento.
Donna scheletro
Mantress’ ZSphere and
PolyMesh modelling
Composizione di
un osso: joints & bones
Lo Scheletro
Lo scheletro digitale è composto da una serie di
ossa rigide (bones) incatenate le une alle altre
tramite dei giunti snodabili (joints); agendo sui
giunti, si muovono le ossa. Una volta create le
ossa dello scheletro, al loro interno si instaura
automaticamente una gerarchia, determinata dal
programma in base all’ordine di creazione delle ossa
stesse. Questa gerarchia influenza notevolmente
l’animazione. Questo significa che l’osso che è stato
creato prima nella gerarchia (joint Padre) influenza
i movimenti delle ossa che lo seguono (joint Figli);
ruotando il joint Padre di una gerarchia, per esempio,
quello della spalla, automaticamente ruotano, allo
stesso modo, tutte le ossa figlie del braccio, della
mano e delle falangi, che sono a lui sottoposte.
Nella costruzione di uno scheletro, è poi essenziale
controllare che le ossa seguano i corretti assi di
rotazione, questo perché, come nelle articolazioni
umane, gli arti dei modelli non possono compiere
tutti i movimenti possibili (si pensi alla completa
rotazione del ginocchio o del collo per esempio).
Bisogna quindi tenere in considerazione che, durante
la fase di rigging, occorre definire dei limiti nella
rotazione degli arti.
119
Dog character
Rigging Tutorial
Attorno al modello e
alle sue spalle sono
stati creati dei
comandi per la rapida
gestione dell’animazione
120
Introduzione
Produzione
Considerare i possibili
movimenti delle ossa
umane può essere
utile al Rig.
Per fare questo lavoro è allora utile ragionare in
termini di paragone con le articolazioni del corpo
umano che oltre a distinguersi tra fisse (cranio),
semimobili (gomito) e mobili (anca), hanno tre
principali tipi di movimento: scorrimento (polso/
vertebre), angolare (gomito/ginocchio) e rotatorio
(gamba). Fortunatamente, per poter ottenere movimenti
realistici, i programmi cgi permettono di muovere le
ossa decidendo se applicarvi una cinematica diretta
oppure una cinematica inversa, in qualsiasi momento
dell’animazione:
La cinematica diretta (forward kinematics) si instaura
automaticamente nello scheletro al momento della
sua creazione e permette di trasmettere direttamente
il movimento (traslazione o rotazione) da un joint
principale (padre) ai suoi subordinati (figli).
Questo significa che, come spiegato in precedenza,
ruotando il joint padre della spalla, automaticamente
i joint figli del braccio, della mano e delle falangi,
ruoteranno di conseguenza della stessa ampiezza,
attorno a lui. Matematicamente parlando, il computer
calcola la posizione di un estremo della catena di
joint, conoscendo le posizioni dei joint intermedi.
Cinematica Diretta
(Direct Kynematics)
comportamento di
ossa e giunti
La cinematica inversa invece, lavora al contrario,
Quando un “joint figlio” viene spostato, il computer
calcola automaticamente la posizione degli altri
joint spostandoli di conseguenza.
Matematicamente parlando, conoscendo la posizione
e l’orientamento del joint all’estremità, il computer
calcola le posizioni dei joints intermedi fino ad
arrivare al joint padre (ultimo elemento influenzabile
della catena), che rimane fermo.
La cinematica inversa è più adatta a riprodurre il
comportamento di strutture ossee dove le azioni di
una parte terminale, la mano per esempio, determinano
il movimento del resto della catena di giunti, fino a
quello principale.
Bisogna però tenere presente che il computer calcola
i posizionamenti delle ossa tramite un interpolazione
matematica prima di logica, per cui, gli spostamenti
dei joints intermedi molte volte potrebbero risultare
completamente innaturali e quindi scorretti.
Se, per esempio, si spostasse la mano di un personaggio
facendo in modo che si tocchi la testa, il suo gomito
potrebbe assumere svariate posizioni errate durante
questo movimento; in questi casi Occorre quindi
utilizzare una serie di restrizioni aggiuntive, che
impongano dei limiti ai movimenti delle articolazioni
affinché assumano la posizione corretta.
Cinematica Inversa
(Inverse Kinematics)
comportamento di
ossa e giunti
121
Flying bird
Mats Halldin
Rigging tutorial
wiki.blender.org
122
SKINNING
Completato il Rigging, lo scheletro può essere mosso agevolmente, ma risulta staccato dal corpo e non
lo influenza minimamente, deve quindi essere applicato alla geometria attraverso un’ operazione definita di
“Skinning” (attaccamento della pelle), perché il modello possa seguire i movimenti dello scheletro al suo interno,
deformandosi di conseguenza.
Attraverso lo Skinning si determina quali parti del corpo saranno influenzate dal movimento di una o più ossa
dello scheletro, definendo delle percentuali di influenza delle ossa sulla superficie.
La fase di Skinning è un’operazione molto lunga e delicata perché bisogna bilanciare attentamente L’ influenza
delle ossa sulle varie parti del corpo; se il bilanciamento risulta scorretto il modello in movimento subirà delle
deformazioni errate, in alcuni punti molto evidenti.
Terminate tutte le prove necessarie a verificare le deformazioni della geometria in movimento, Bisogna poi
tenere presente che, nonostante lo Skinning sia stato effettuato in modo corretto, capita spesso che il modello
subisca ancora delle deformazioni errate nell’ assumere determinate pose; in questi casi bisogna intervenire
aggiungendo I controlli specifici necessari.
Per controllare queste deformazioni si possono utilizzare varie e numerose tecniche a seconda dei casi: si
possono aggiungere altre ossa, utilizzare sistemi di simulazione muscolare, modificatori della geometria,
oggetti di influenza oppure il Morphing.
Introduzione
Produzione
Il Morphing
Il Morphing è una tecnica che permette di effettuare
delle trasformazioni armoniose passando da una
forma ad un’ altra ed è comunemente impiegato
per la creazione delle espressioni facciali che un
personaggio deve assumere nel corso della storia.
Per effettuare il Morphing bisogna innanzitutto
creare molte copie uguali della geometria del volto
di un personaggio (il numero di copie dipende dalla
quantità di espressioni che si vuole ottenere).
Successivamente si deve modellare ogni singola copia
con un espressione del volto diversa, fino ad ottenere
l’intero set di espressioni utili al personaggio.
Alla fine si indica al programma l’espressione da
mantenere come base, solitamente la più naturale,
e questi automaticamente trasformerà le altre in
espressioni “target” (obiettivi) del volto di base, di
modo che da esso potranno poi essere richiamate, in
qualsiasi momento, all’occorrenza.
Affinché un personaggio cambi espressione facciale,
basta quindi indicare al programma l’ espressione
desiderata e automaticamente il computer effettuerà
una trasformazione armonica, tra il volto di base e la
nuova espressione scelta.
Attraverso il Morphing inoltre, non solo è possibile
sostituire un espressione con un’altra, ma è anche
possibile ottenerne di nuove, miscelando percentuali
diverse delle varie espressioni create.
Infine, per animare più accuratamente le espressioni,
spesso si assegnano delle ossa aggiuntive a
determinate porzioni del volto.
Alce character (1996)
Character Rigging
Big Rock Training Center:
l’immagine mostra il
personaggio in
posizione standard per
il rigging, detta BIND
POSE. Alle sue spalle
l’interfaccia creata
per consentire un
immediata animazione
INTERFACCIA PER L’ Animatore
NElLa fase conclusiva del Rig, il Rigger deve creare
un’ interfaccia comoda e intuitiva che dovrà essere
usata dall’animatore. Questo perché l’animatore possa
accedere, in modo rapido e diretto, al controllo di
tutti movimenti e le deformazioni possibili.
Una volta terminato il Rigging, infatti, esistono
molti controlli che sono difficili da selezionare o
individuare a colpo d’occhio; occorre perciò costruire
un’interfaccia per il rapido accesso dell’animatore,
cosicché si concentri sull’ animazione e non perda
tempo nella ricerca dei comandi.
123
Christopher Coolumbus
(2006) Di-O-Matic Press
Morphing facciale
character
124
Introduzione
Produzione
4.7 Animazione
Questa fase è fra le più cruciali e lunghe del processo
produttivo, la sua importanza dipende dal fatto che
oltre a stabilire l’azione, l’animazione conferisce
personalità ad un personaggio e ne determina
l‘impatto scenico, conseguentemente infLuisce sulla
buona riuscita della storia.
Animare un personaggio significa dare vita ad un
personaggio, munirlo di uno stile di recitazione
unico, che si esprime attraverso i suoi movimenti, di
modo che il pubblico possa credere che il movimento
avvenga per sua volontà e da quella dell’animatore.
In 3d Un personaggio può si essere reso iper-realistico
nell’ aspetto, grazie ad un buon Render, ma questo non
basta a renderlo credibile quando è in movimento: una
palla può infatti sembrare tale in un immagine statica
ma se non rimbalza come una palla quando tocca il
suolo, non apparirà reale. L’animazione ha perciò
l’importante compito di far apparire reale ciò che non
lo è, animare non significa quindi solo muovere un
oggetto, ma implica il fatto di renderlo credibile.
Il processo di Animazione, come il rigging, inizia non
appena concluso il Layout 3D di una scena e viene
effettuato utilizzando inizialmente le geometrie
grezze dei personaggi della storia.
Il team di
animatori è quello più numeroso e lavora a stretto
contatto con il regista durante tutta la produzione.
Il procedimento seguito dagli animatori 3D è
concettualmente identico a quello tradizionale,
l’animazione ubbidisce infatti alle stesse regole
e incappa nelle stesse problematiche in entrambi
i procedimenti, la differenza risiede solo nello
strumento utilizzato: matita e fogli per il
procedimento tradizionaLe, mouse e computer per
quello tridimensionale. Gli animatori 3D sono
sicuramente facilitati dall’impiego del digitale, ma
questo non risparmia all’animatore le problematiche
proprie del suo mestiere.
Se l’animazione classica è definita “inbetween
animation”, l’animazione in cgi, al contrario, funziona
tramite un procedimento chiamato “keyframe
animation”, vediamo qui di seguito le differenze.
4.8 Animazione inbetween
Come già premesso nell’introduzione ricordiamo che
sullo schermo cinematografico vengono proiettati 24
fotogrammi (frames) al secondo e che questi fotogrammi
corrispondo alla successione di immagini statiche delle
pose del personaggio in movimento: disegni su carta nel
caso dell’animazione tradizionale, immagini digitali nel
caso dell’animazione cgi; il fenomeno che sta alla base dell’
illusione del movimento è quello della persistenza retinica.
La tecnica di animazione tradizionale si basa sulla
realizzazione di una serie di disegni su carta che messi
in sequenza riproducono il movimento di un soggetto/
oggetto da una posizione A ad una posizione B; fra
queste due posizioni chiamate Estremi (extreme/keyframe),
che determinano l’inizio e la fine dell’azione, si situano
una serie di “n” disegni di pose intermedie, dette
Intercalazioni (inbetween), necessarie a conferire un
andamento fluido e armonioso all’animazione e un senso
di direzione.
Se per esempio l’azione da rappresentare fosse quella
di un topolino che compie un cenno di saluto, il braccio
dell’animale dovrebbe essere disegnato non solo in basso
125
Il Timing e Spacing di
mani, testa e coda
del topo in movimento
The Animator‘s Survival Kit
Richard Williams
animatore
Il Timing e lo Spacing
di una palla che
rimbalza la suolo
The Animator‘s Survival Kit
Richard Williams
animatore
A
B
nel punto A e in alto nel punto B, ma anche in diverse pose
intermedie che lo portano a compiere questo movimento.
Nell’arco di durata del movimento, che supponiamo
pari ad un secondo, dovranno quindi essere disegnati
“n” disegni che in sequenza producano nell’osservatore
l’illusione del movimento. I disegni delle pose non hanno
però tutti la stessa importanza, ci sono pose principali e
secondarie: i keyframe (fotogrammi chiave) rappresentano
le posizioni chiave del movimento, cioè tutte quelle pose
che imprimono un cambiamento sostanziale all’azione, di
direzione per esempio, oppure una sosta; gli inbetween
invece, sono le pose secondarie che, unendo tra loro i
keyframe, completano il movimento e dirigono l’azione.
Per precisione si può infine citare la posa di mezzo, chiamata
Breakdown position (passing position) che è la posa che
sta nel mezzo tra due estremi e ha molta importanza nel
definire il carattere e lo stile dell’animazione.
126
TIMING AND SPACING
Importante sottolineare che questa serie di pose in
successione individua il soggetto durante la sua azione
dinamica considerando il suo spostamento non solo nello
spazio, ma anche nel tempo. Entrano allora in scena i due
elementi essenziali all’animazione: il Timing e lo Spacing.
il Timing rappresenta la temporizzazione dell’azione,
quindi la sua durata (velocità) e il suo ritmo (pone gli
accenti nel movimento), lo Spacing rappresenta invece la
distanza tra i disegni delle pose e determina accellerazioni
e decellerazioni nell’azione; lo Spacing è una tecnica molto
meno intuitiva del Timing che viene appresa pienamente
solo con l’esperienza. Per meglio chiarire la concezione di
Timing e Spacing si usa spesso l’esempio di una palla che
rimbalza al suolo: il ritmo scandito da ogni impatto della
palla col suolo rappresenta il Timing, mentre lo Spacing è la
Introduzione
Produzione
distanza tra le pose (più sono vicine e più è lenta l’azione).
La palla segue un percorso ad arco che va man mano
riducendosi di distanza dal suolo, quando raggiunge il punto
più alto nell’arco la palla è più lenta e come si vede, i disegni
sono più vicini tra loro, quando invece cade acquistando
velocità, i disegni sono man mano più distanziati; questo
distanziarsi dei disegni delle pose rappresenta lo Spacing.
Manipolando il tempo e lo spazio tra le pose si può rendere
la palla più pesante o più leggera, dando l’idea del materiale
che la compone.
L’ animazione è quindi fortemente caratterizzata dal Timing
e dallo Spacing, la loro importanza supera addirittura quella
delle pose! Questo perché il Timing e lo Spacing danno
significato all’azione e determinano le cause fondamentali
del movimento, sia le cause esterne, come la forza di
gravità, la forza muscolare o la forza di collisione, sia le
cause interne che guidano un’azione, come pensieri ed
emozioni. In proposito va sottolineato che quando si anima
un personaggio è essenziale conferire sempre una ragione
psicologica o motivazionale che guidi la sua azione.
Determinare il numero di pose necessarie all’animazione
e il tempo che intercorre tra l’una e l’altra posa è la cosa
più difficile per un animatore; per questo l’animatore
principale, prima di iniziare a disegnare, è solito disegnare
una semplice linea munita di tacche (vedi img. topo)
per organizzare preventivamente il Timing e lo Spacing,
definendo il “carattere” dell’animazione.
L’animatore principale si occupa allora di disegnare
gli estremi dell’azione e tutte le pose chiave; passa
poi il lavoro agli assistenti intercalatori che dovranno
semplicemente occuparsi di completare il percorso da lui
prestabilito nel grafico a tacche. Il vero lavoro artistico
risiede nella creazione dei keyframe, mentre l’inserimento
degli inbetween è semplicemente quello più laborioso.
4.9 ANIMAZIONE KEYFRAME
Il processo di animazione usato in 3D è definito
keyframing perché essenzialmente l’animatore si
occupa solo di definire i valori delle pose chiave
(keyframe) dell’ animazione Lasciando al computer il
compito di effettuare le intercalazioni, che vengono
ottenute attraverso il calcolo di medie relative dei
valori assegnati alle pose chiave.
i keyframe hanno essenzialmente lo stesso valore
di quelli in animazione tradizionale ma vanno
fatte alcune precisazioni: in cgi i keyframe sono
valori attribuiti a certi fotogrammi su di una linea
temporale che stabilisce l’andamento dell’animazione;
questi valori attribuiti ai keyframe servono a
definire azioni e deformazioni come anche altre
numerose proprietà quali effetti di luce, variazioni
cromatiche, spostamenti di camera ecc..
In pratica, per effettuare un semplice spostamento
da una posizione A ad una posizione B, l’animatore
crea un keyframe su di un fotogramma (frame)
della linea temporale, per il personaggio in posa
A, e un keyframe su di un’altro fotogramma, per il
personaggio posizionato in posa B. A questo punto,
dando avvio all’animazione sulla linea temporale,
il software calcola automaticamente le posizioni
intermedie (inbetween) da A verso B.
Il processo di animazione 3D però non è così
semplice ed automatico come appare, molte volte
il programma crea delle interpolazioni errate
che vanno controllate inserendo un maggior
numero di keyframe nell’animazione o agendo su
apposite curve spline create automaticamente dal
programma durante l’animazione. Queste curve
spline generate automaticamente dal software
rappresentano
l’andamento
dell’animazione
in
ogni fotogramma e possono essere modificate
dall’ animatore in qualsiasi punto (la curva e’ data
127
Curve Spline
create dal programma
3d per l’animazione
della lampada nel corto
“Luxo Jr.” (Pixar).
La prima curva
è generata
automaticamente
dal programma e
risulta errata
perché la lampada
oltrepassa il suolo;
l’animatore interviene
allora aggiungendo
due keyframe per
sistemare l’errore
Sotto:
Pose chiave della
lampada “Luxo Jr.”
durante il salto.
Fonte: Principles of
Traditional animation
Applied to 3D
Computer Animation
John Lasseter
Pixar Computer Graphics,
Volume 21, Number
4, 1987
128
dalla somma di ogni punto che ha valori specifici).
per esempio, Per lo spostamento da A in B sopra citato,
il software crea una curva d’animazione per ogni
spostamento lungo i tre assi cartesiani: una curva per
la traslazione in X, un’altra curva per la traslazione
in Y e un’altra per quella in Z (dove ogni punto delle
curve ha valori specifici).
L’animatore cgi in realtà quindi, non si occupa
soltanto di stabilire le pose chiave, ma deve anche
controllare le pose intercalari intervenendo
nella modifica delle curve spline; modificando
l’andamento di queste curve si causano accelerazioni
e decelerazioni nell’animazione e si modifica quindi il
ritmo dell’azione, cioè il Timing e lo Spacing.
L’ intercalazione creata dal programma però, non è quasi
mai corretta, questo perché è il risultato di medie
matematiche precise e non di un posizionamento logico;
l’animatore deve allora intervenire aggiungendo un
maggior numero di keyframe per guidare il software
nella gestione del movimento intercalare.
A volte può essere perfino necessario creare dei
keyframe per ogni frame dell’animazione (lavorare a
passo uno) per avere il controllo totale della stessa.
Il concetto di keyframe è quindi qui molto più flessibile
rispetto a quello in animazione tradizionale.
Va poi precisato che Il modo più corretto di
effettuare un animazione 3d consiste nel creare dei
controlli keyframe procedendo “layer by layer down
the hierarchy”, ovvero livello per livello scendendo
lungo la gerarchia, dall’elemento principale a quello
più secondario (per livelli di importanza).
Questo significa che una posa chiave non viene
creata per l’ intero modello come nel disegno, ma è
il risultato di più posizionamenti chiave delle parti
componenti del personaggio/oggetto, seguendo la
loro importanza gerarchica, livello per livello.
A certi livelli i controlli da effettuare possono
richiedere solo pochi keyframe, altri possono
richiederne uno per ogni frame dell’azione, dipende;
generalmente è meglio usare pochi controlli quando
possibile, lasciando il resto al programma.
Introduzione
Produzione
La cosa migliore per questo procedimento è pianificare
l’animazione a priori (meglio sul Dopesheet).
Per chiarire meglio questo procedimento prendiamo
come esempio l’animazione della lampada nel
cortometraggio della Pixar “Luxo jr”: per animare il
salto della lampada gli animatori hanno prima agito
sugli estremi dell’azione, settando un keyframe
all’inizio e uno alla fine del salto; quindi hanno
definito l’altezza del salto con un altro keyframe e
poi, ottenute le pose principali, si sono occupati di
animare il movimento del braccio della lampada nelle
varie fasi del salto e successivamente hanno animato
prima la base e poi la testa della lampada ottenendo
così il movimento definitivo.
ANIMAZIONE DI SISTEMI PARTICELLARI
I sistemi particellari, già accennati in precedenza,
oltre a riprodurre fenomeni naturali o a modellare,
possono servire ad animare gruppi molto numerosi di
oggetti, animali o persone. Il loro funzionamento si
basa essenzialmente sulla creazione di un emettitore
e di numerose particelle, entrambi controllati da una
serie di parametri (tempo di vita, velocità, direzione,
quantità di particelle ecc.). Una volta definito il
comportamento generale di un sistema è possibile
effettuare delle varianti comportamentali al suo
interno, determinando il comportamento specifico di
una singola particella; per esempio associandogli una
propria forma geometrica e una propria animazione.
I Sistemi Particellari inoltre non solo consento di
controllare l’animazione di un gruppo, ma sono anche
in grado di attribuirvi un comportamento in relazione
al verificarsi di determinate condizioni; il risultato
sarà un sistema con una varietà e versatilità tali da
essere credibile.
Per tutti questi motivi i sistemi particellari negli
ultimi anni si stanno sviluppando molto nel campo
degli effetti speciali cinematografici (esistono diversi
software dedicati alle animazioni di massa).
ANIMAZIONE TRAMITE DINAMICA
La Dinamica permette di effettuare animazioni senza
l’impostazione dei Keyframe e viene prevalentemente
utilizzata in situazioni molto complesse dove risulta
impossibile controllare l’animazione di ogni singolo
oggetto in scena, come ad esempio nelle esplosioni.
La Dinamica viene di solito utilizzata nei sistemi
particellari per controllare il moto delle particelle,
funziona tramite l’impostazione di determinati campi
di forza (field) che agiscono sul sistema, come ad
esempio la gravita’, il vento o la turbolenza.
questi campi di forza vanno applicati alle particelle
per influenzarne il comportamento.
Esiste poi la possibilità di utilizzare la Dinamica per
effettuare animazioni particolarmente complesse
che simulino svariate interazioni, come per esempio
un’esplosione, il crollo dei piani di un palazzo, la
collisione di due veicoli ecc.; in questi casi i campi
di forza vengono applicati a degli oggetti geometrici
che interagiscono con gli altri elementi del sistema.
Per consentire al programma di effettuare
un’animazione corretta occorre impostare i campi di
forza che agiscono sull’intero sistema e poi una serie
di attributi specifici agli oggetti in campo, come per
esempio la massa, l’elasticità, la frizione ecc.; infine
bisogna definire gli oggetti dinamici attivi e quelli
passivi all’interno del sistema: gli oggetti dinamici
attivi subiscono varie alterazioni a contatto con gli
altri oggetti o con le forze del sistema, al contrario
gli oggetti passivi interagiscono con gli altri oggetti
dinamici senza però subire alterazioni.
Una volta impostato il sistema dinamico il software
effettua automaticamente l’animazione calcolando
le interazioni tra gli oggetti e le forze in campo;
l’unico problema è che l’animazione così ottenuta
risulta difficilmente controllabile e nonostante la
precisione a volte può risultare inaccettabile per le
esigenze della storia.
129
oggetti (ovviamente con le relative restrizioni).
Attraverso il Mocap è inoltre possibile effettuare il
“Retargeting” per cui un attore può ‘interpretare’ una
creatura virtuale che ha dimensioni e tratti somatici
completamente diversi rispetto alla sua ‘matrice
umana’; in questo caso il software utilizza degli
algoritmi che creano automaticamente le relazioni
tra lo scheletro dell’attore e quello della creatura
modellata.
La “Performance Capture” invece, è una tecnica del
tutto simile al Mocap (ma più sofisticata) per cui
applicando dei piccoli marker sul volto degli attori
si possono catturare le espressioni del volto per poi
applicarle ad un personaggio virtuale.
Infine possiamo citare anche la Mocap-toon per cui la
stessa tecnica viene impiegata per costruire
l’ ossatura mobile di veri e propri disegni animati.
Gollum character
Mocap Animation
The Lord of The Ring
(2001) Peter Jackson Films
J.R.R.Tolkien Novel
130
MOTION CAPTURE ( MOCAP)
Motion capture significa “catturare il movimento” ed
è una tecnica che permette di importare nel software
la recitazione di un attore reale per effettuare
l’animazione di un personaggio digitale.
Esistono diverse tecniche per rilevare il movimento,
le principali sono quella ottica e quella magnetica.
Per poter importare in digitale la performance degli
attori, viene fatta indossare una speciale tuta,
molto aderente, munita di sensori. questi sensori,
chiamati marker (punti led), sono posizionati in
corrispondenza delle articolazioni e nei punti di
maggiore contrattura muscolare e corrispondono ai
giunti dello scheletro digitale.
Nel caso dei rilevatori ottici, i marker delle tute sono
luminosi e i loro spostamenti vengono rilevati da
apposite telecamere, i dati degli spostamenti vengono
poi inviati ad un software perché possano essere
registrati e successivamente esportati per essere
applicati allo scheletro di un personaggio digitale.
Bisogna poi tenere presente che il Mocap non solo può
essere applicato a persone reali ma anche ad animali e
Il Mocap è sicuramente una tecnica molto avanzata e
vantaggiosa ma presenta anche numerose imperfezioni
che ne limitano l’applicazione:
i segnali trasmessi dai marker non sono sempre
precisi e ci sono spesso errori di posizionamento che
vanno corretti oppure per alcuni movimenti vengono
registrate più pose in un unico fotogramma dell’
azione; questo determina un segnale sporco che va
di volta in volta ripulito e ridefinito in un processo
molto laborioso (la gestione delle curve d’animazione
è molto difficoltosa).
Va infine considerato che, in aggiunta ai movimenti del
corpo, bisogna effettuare anche tutte le animazioni
degli abiti, dei capelli, degli oggetti, degli accessori
ecc... tutti elementi che vanno animati con la tecnica
tradizionale; effettuare poi una buona integrazione
tra le tue tecniche di animazione non è assolutamente
un lavoro facile.
E’ quindi importante valutare se l’utilizzo di questa
tecnologia è veramente necessario e, se si, pianificare
attentamente le sessioni di recitazione e il rigging
del personaggio, considerando le procedure di
registrazione dati.
Introduzione
Produzione
4.10 Multilayer 2D
La tecnica Multilayer (multi-livello) si riferisce al fatto che,
in animazione tradizionale, un unico disegno viene diviso
in più parti, disegnate su fogli (livelli) diversi, a seconda
degli elementi che lo compongono e della loro mobilità
sullo schermo. La tecnica multi-livello in pratica, distingue
ciò che deve rimanere immobile durante l’animazione, da
ciò che deve invece muoversi, e quindi essere disegnato
più volte, su più livelli in successione.
I livelli rispettano inoltre una gerarchia di sovrapposizione:
all’ultimo livello corrispondono i disegni in primo piano e al
primo livello, quelli sotto tutti gli altri, più vicini allo sfondo
(Layer BG), in pratica i disegni più statici. Questa tecnica
può essere utilizzata in modo più o meno consistente.
Di solito, in animazione tradizionale, si usa dividere lo
sfondo statico, dalle animazioni dei personaggi, o ci si
limita ad un numero di 4-5 livelli in sovrapposizione. Si parla
invece di animazioni multilayer, in riferimento ad un tipo
più economico di animazione (limited animation), utilizzata
per produzioni a basso budget o digitali, in cui si usa il
multilayer per smaltire la mole di disegni, risparmiando sui
tempi e sui costi di lavorazione. In questo caso si utilizzano
più livelli di disegni, dividendo anche le parti componenti
di un personaggio, come ad esempio gli arti dal tronco,
oppure la bocca dal viso. Il risultato è ovviamente un’
animazione molto meno fluida e naturale di quella a cui
ci ha abituato Disney, pensiamo per esempio ai Flinstone
della Warner o alle produzioni giapponesi degli anni ‘80.
Un tempo i disegni a livelli venivano poi trasferiti su fogli di
plastica trasparente chiamati rodovetri (Cell) che, una volta
sovrapposti, ricomponevano il disegno per intero.
Scomposizione a livelli
cel (rodovetri) di un
unico disegno.
Disegni tratti da
Cartoon Animation di
Preston Blair.
Scomposizione a livelli
cel (rodovetri) dei
personaggi.
Serie a disegni
tratta dal libro
Cartoon Animation di
Preston Blair.
Nell’animazione in 2d digitale (ex. Flash Animation) la
scomposizione a livelli funziona allo stesso modo che nel
procedimento tradizionale, con la sola differenza che,
in questo caso, i livelli sono virtuali e possono essere in
numero illimitato perché non c’è perdita di qualità nella
loro sovrapposizione. Inoltre in questi livelli virtuali è
possibile gestire molte proprietà quali il colore, la sfocatura,
l’opacità, la saturazione, la trasparenza, il contrasto ecc.
La tecnica Multilayer 2D non ha un diretto
equivalente in animazione cgi. I livelli non sono
utilizzati nel 3D in questo modo, nemmeno in termini
virtuali. Si potrebbe tuttavia notare che, in cgi, in fase di
compositing finale, si lavora con più livelli di immagini di
render, per ottenere la schermata finale.
131
Non basta infatti un immagine di render per ottenere il
prodotto finito ma servono più render specifici (render
dell’animazione - degli ambienti - degli effetti ecc.), che
uniti insieme compongono la schermata finale.
Se si volesse poi entrare nello specifico, una comparazione
potrebbe anche essere effettuata tra il risparmio di disegni
offerto dal multi-layer e la possibilità di riutilizzare cicli
di animazioni indipendenti in cgi, come per esempio
l’animazione di una camminata, oppure le espressioni del
volto, create un unica volta e poi riutilizzate a volontà.
1
2
Ecco illustrate un esempio di scomposizione multilyer fino
all’ottenimento della scena finale:
1-2 Primo Layout della scena e del primo piano (foreground)
con un tratto molto abbozzato (early rough).
3
3 Storyboard della scena con le indicazioni utili per chiunque
lavori sullo stesso disegno: n. 13 dell’episodio e n. C.203
della ripresa, più istruzioni sul movimento di camera che
parte da un primo piano delimitato dal rettangolo rosso e
“zoomma” indietro mostrando le ragazze; freccia che indica
l’entrata in scena parziale delle braccia in primo piano.
4 Individuate le ombre e i primi dettagli.
4
5
6
7
5 Completate le ombre e i dettagli dei volti, de capelli
e altri particolari.
6 Completato per intero il disegno in tutte le sue parti
(completed rough); questa è la composizione che apparirà a schermo.
132
Introduzione
Produzione
7 Disegno finale (finished pencil sketches) con solo ciò Disegni che mostrano
l’evolversi del processo
di animazione dalla
fase di bozza al
prodotto definitivo.
Tavole tratte dalla
serie giapponese
Burn Up (1991)
che va riportato sul cel, si noti che le bocche non sono
disegnate perché andranno animate con cel diversi.
L’indicazione A-1 che si riferisce al primo livello di cel
8 Sfondo su carta.
9 Sfondo più il livello A di cel ricopiato dal disegno precedente
8
9
10
11
senza le bocche.
10 Sfondo più livello A, più livello B con disegnata la bocca
Sotto:
Main characters
della serie giapponese
Burn Up (1991)
dell’uomo al centro, più livello C con la bocca della ragazza
a sinistra; entrambe si muoveranno separatamente
utilizzando più cel in sequenza.
11 Vengono aggiunti gli ultimi due cel, uno per il braccio a destra D e uno per quello a sinistra E che entreranno in
campo scivolando verso l’interno.
Per avere un maggiore effetto di profondità si può utilizzare
la tecnica del “cel overlay”, ovvero un livello ulteriore di
rodovetro che, sovrapposto alla scena principale, mette in
primo piano degli oggetti o delle figure come rocce, alberi,
cespugli, persone...
Esiste anche la tecnica del “line overlay”, per cui si
disegnavano i contorni e i dettagli dello sfondo su un cel
differente, poi aggiunto al disegno dello sfondo, ottenendo
così un ambiente più complesso e dal tratto xerografato
come gli altri disegni.
133
Colorazione a livelli
del rodovetro contenente
i personaggi.
Serie a disegni
tratta dal libro
Cartoon Animation di
Preston Blair.
Cel originali del film
d’animazione
Fievel Sbarca in America
(1987) Universal Pictures
Cel originali del film
d’animazione
Snow White and the
Seven Dwarfs
(1934-37)
Disney Pictures
134
4.11 Inchiostratura (Ink)
A seguito del lavoro di Pulizia dei tratti, dopo che il Line Test
è stato approvato, si procede alla fase di Inchiostratura o
Lucidatura.
Un tempo questo passaggio era effettuato a mano da
numerose persone, dette inchiostratori, che, utilizzando
la china nera, ricopiavano i disegni su fogli trasparenti di
celluloide (o acetato), chiamati rodovetri (in inglese cel).
Successivamente si passò alla fotocopiatura attraverso
macchine Xerox, con la possibilità di scegliere le dimensioni
di stampa, il livello di dettaglio e perfino inchiostri diversi.
Il tratto ottenuto con questo procedimento presentava
però una leggera perdita di qualità (trascurabile) rispetto
al processo manuale, ciò nonostante si ottennero grandi
vantaggi sui tempi e costi di produzione, compresa
l’eliminazione degli errori umani.
Oggi il rodovetro è stato quasi totalmente rimpiazzato
dal digitale, ogni singolo disegno viene allora digitalizzato
tramite scanner e diviso in più livelli virtuali (a seconda
delle necessità) per poi essere colorato.
Esistono software appositi, come “Animo” o “Toonz”, che
gestiscono l’intero procedimento, occupandosi non solo
della acquisizione dei disegni, ma anche dell’indicizzazione
e della scomposizione in livelli virtuali, comprese le fasi
successive di colorazione, editing e compositing.
Il passaggio al digitale ha permesso di ottenere lo stesso
risultato tradizionale, ma con numerose agevolazioni,
dalla gestione ordinata dei disegni, al loro immediato
reperimento, alla possibilità di effettuare modifiche in
maniera più flessibile.
Introduzione
Produzione
Ink & Paint della serie
animata giapponese
Wonder Island
Akira Toryama.
Il lavoro è eseguito
interamente a mano.
4.12 Colorazione (Paint)
Una volta che i disegni sono stati trasferiti sul computer,
in digitale, si passa alla colorazione di tutte le loro parti
(capelli, indumenti, attrezzi ecc.). Il personale addetto alla
colorazione dei disegni è quello dei colorists.
In questa fase non sono richieste particolari abilità tecniche
ma piuttosto molta pazienza e precisione.
Come nel procedimento coi rodovetri, anche in digitale
le parti animate rimangono su livelli virtuali diversi, che
vanno colorati uno ad uno in sequenza.
Un tempo, una volta che i disegni erano stati trasferiti sui
rodovetri, una squadra di artisti iniziava la fase di colorazione
usando tempere acriliche sul retro dei rodovetri, per evitare
di debordare coprendo le linee di contorno dei disegni.
Il procedimento di colorazione dei rodovetri procedeva a
ritroso: prima si coloravano le aree di luce ed ombra, poi si
ricopriva il tutto con il colore principale.
Oggi il computer ha migliorato molto questa fase del lavoro
permettendo di utilizzare una tavolozza di colori digitali
che rimangono sempre uguali e mai si esauriscono o
deperiscono nel tempo, come un tempo poteva accadere.
Generalmente le zone in ombra vengono colorate con
un colore di una luminosità più bassa di quella del colore
principale, al contrario le zone luminose con una luminosità
più alta. Il nero assoluto non viene quasi mai utilizzato per
le ombre, meglio colori di tonalità molto scure, mentre il
bianco può anche essere utilizzato per gli effetti luminosi.
Nella fase di colorazione dei disegni, può rientrare anche
la creazione degli sfondi (ambientazioni/background), nel
caso non siano già stati tutti preparati dai background
artists. Oggi gli sfondi possono essere creati totalmente
in digitale, dipende dallo stile della storia e dalle scelte di
produzione. Comunque sia, generalmente le ambientazioni
non sono animate, se non nei casi in cui si prevede lo
scorrimento di piani scenografici (ex. finestrino di un treno
in movimento). Uniti infine i disegni con i loro rispettivi
sfondi, si passa alla fase di Montaggio.
Fasi produzione:
Il disegno in b/n
viene scansito,
successivamente viene
colorato e infine viene
aggiunto lo sfondo.
Tesi di Mario
Aquaro “Animazione
bidimensionale e
tridimensionale a
confronto”.
135
SHADING (OMBREGGIATURA)
Principali modelli di
shader nei software 3D
4.13 Shading
Componimento di
uno shader dato dalla
somma di più attributi
specifici
visto che In 3D, quando si crea una geometria, il
programma vi attribuisce automaticamente un colore
grigio di default, per determinare l’aspetto materico
e il colore di un modello, bisogna applicarvi degli
shader e delle Texture.
Inizialmente, prendendo spunto dai disegni realizzati
in fase di Design, un apposito dipartimento si occupa
di effettuare degli “shader test”, per decidere i
materiali più adatti da utilizzare.
Attraverso gli studi di Shading si definisce allora il
materiale da applicare ad un modello e il suo colore,
prendendo in considerazione anche l’influenza che
avranno le luci del set sullo stesso. poi, attraverso
il Texturing, si interviene sullo shader applicato per
aggiungere un dettaglio realistico alla superficie
creata, altrimenti troppo omogenea.
E’ così possibile proiettare delle immagini sulla
superficie del modello, come per esempio una Texture
immagine di un legno o di un marmo, operando punto per
punto delle variazioni sulla superficie geometrica.
136
Gli shader (detti anche Shading Model) sono dei
“modelli di materialE” che è possibile applicare ad un
oggetto per simulare una determinata superficie.
In pratica, gli shader ricreano le caratteristiche
estetiche di un materiale simulando la sua interazione
luce-superficie, cosicché possono ricreare aspetti
materici diversi quali plastica, vetro, metallo, legno,
marmo, ecc.
Tecnicamente, uno shader è determinato da un
equazione matematica che governa l’interazione
di diversi attributi del materiale quali: il colore
ambientale, il colore diffuso, il colore speculare,
la riflessione, l’assorbimento della luce, l’opacità,
la trasparenza, l’incandescenza, la rifrazione,
la riflessione ecc. Tutte queste proprietà sono
modificabili singolarmente e agendo su di esse è
possibile simulare materiali diversi.
Per applicare uno shader ad un modello, la maggior
parte dei software 3D mette a disposizione una libreria
di “shader di base”, chiamati “Shading Model”, le cui
proprietà sono tutte modificabili e implementabili
a piacimento, tramite l’utilizzo di interfacce
intuitive fornite dal programma (che permettono
di non utilizzare direttamente il linguaggio di
programmazione).
Gli shader predefiniti hanno però delle limitazioni
implicite nelle formule matematiche che li generano,
Per avere una resa più realistica è allora necessario
Introduzione
Produzione
agire attraverso un linguaggio di programmazione
specifico (“Renderman Shaders Language” è lo
standard) che permette di controllare le singole
proprietà in modo ancora più preciso.
Sfere alle quali
sono state applicati
differenti tipi di shader
e Texture.
Le rugosità dei pianeti
sono determinate
dall’utilizzo del
Displacement
Mapping.
esistono molti modelli di shader, quelli più comuni
sono:
LAMBERT: materiale non riflettente dall’aspetto opaco
adatto a superfici lisce come terracotta, carbone,
cera, stucco...
BLINN: materiale che riflette la luce in modo molto
accurato, viene utilizzato per superfici metalliche
come alluminio o ottone.
PHONG: materiale lucido dai riflessi morbidi
particolarmente adatto per superfici lisce come
porcellana, plastica, ceramica e vernici lucide.
PHONG-E: materiale simile al Phong con una resa lucida
meno intensa.
ANISOTROPIC: materiale che riflette la luce in modo
irregolare a seconda di come vengono illuminate le
sue irregolarità; dipende dal punto di osservazione
e dalle luci presenti in scena ed è particolarmente
indicato per superfici ricche di graffi e irregolarità
come il metallo spazzolato, materiale satinato, tubi,
piume, capelli...
4.14 Texturing
Una volta effettuato lo Shading, la superficie del
modello risulta però totalmente omogenea e quindi
poco reale, occorre allora applicare una o più Texture
allo shader creato (alle sue proprietà), per renderlo
il più realistico possibile.
Se per esempio pensiamo ad un muro bianco, dovremmo
notare che non è composto di un materiale totalmente
identico ma presenta delle piccole irregolarità
nella superficie come piccoli fori, rilievi e graffi.
per questo in 3D non basterebbe creare una
superficie bianca che simula la superficie di
un muro (cioè uno shader), ma bisognerebbe
applicare delle Texture allo shader, per fornirgli
quelle irregolarità materiche (punti e graffi)
che lo renderebbero simile ad un muro reale.
137
Texture procedurali
applicate a delle sfere
con il medesimo
shader
138
le texture non sono altro che immagini, proiettate
sulla superficie del modello allo scopo di simulare
determinate irregolarità materiche come graffi,
nervature, rugosità, punti luce ed ombra...
Queste texture possono essere applicate ad una o
più proprietà dello shader a seconda dell’effetto
che si vuole ottenere. Inoltre, l’ immagine di texture
può essere proiettata una sola volta sulla superficie
del modello, come una semplice etichetta, oppure può
essere ripetuta infinite volte (occupando tutta la
superficie) ed essere modificata in diverse proprietà,
intervenendo punto per punto sulla superficie
geometrica del modello. Per esempio, per creare un
materiale di legno si inizia applicando la texture
immagine delle nervature del legno (terza foto in alto)
all’ attributo colore dello shader; di conseguenza
questa immagine viene proiettata sulla geometria del
modello, in maniera sequenziale, dando l’impressione
che l’oggetto sia fatto interamente di legno. Affinché
le venature sembrino in rilievo, si aggiunge poi la
stessa texture immagine di prima in scala di grigi,
ad un’altro attributo dello shader chiamato bump
mapping; a questo punto Il software ricreerà degli
effetti di rilievo in modo proporzionale alla scala di
grigi dell’immagine immessa: al bianco corrisponderà
il massimo rilievo e al nero la massima profondità.
Tra gli innumerevoli attributi messi a disposizione
per la creazione delle Texture, impossibile non citare
il bump mapping e il displacement mapping: il primo,
operando sulle normali della superficie permette di
simulare diverse irregolarità materiche come graffi
e rugosità, mentre il secondo, permette di ottenere
gli stessi risultati senza più simularli solamente, ma
modificando veramente la geometria del modello.
Esistono essenzialmente due tipi di Texture:
Le Texture di immagini sono immagini raster
bidimensionali che possono essere create al di
fuori del programma tramite macchine fotografiche
digitali, scanner, oppure utilizzando vari programmi
di grafica 2d (ex. Photoshop).
Un problema da prendere in considerazione nel loro
utilizzo è che però una volta applicate in ripetizione su
di una superficie, molto spesso i punti di congiunzione
tra un immagine e l’altra risultano molto evidenti
compromettendo la resa realistica del modello.
Le Texture procedurali sono invece dei piccoli
programmi che consentono di applicare dei pattern
ripetitivi (sintetizzabili con formule matematiche) a
modelli di grandezza variabile.
Le texture procedurali possono essere ripetute
infinite volte senza problemi di continuità visiva
e senza perdita di dettaglio a risoluzioni molto
accurate. Occupano inoltre uno spazio di memoria
molto più limitato rispetto alle Texture di immagini
e possono anche essere convertite in immagini
bidimensionali a grandezza definita.
Anche se apparentemente le procedurali appaiono
migliori sotto ogni aspetto rispetto alle precedenti,
in realtà si utilizzano entrambi i tipi di texture.
Questo perché le texture procedurali devono essere
programmate con operazioni molto complesse a livello
computazionale e hanno inoltre un antialiasing molto
più difficoltoso rispetto alle texture di immagini.
Introduzione
Produzione
4.15 LIGHTING
Per completare uno Shading Model bisogna infine
considerare il comportamento del materiale quando
viene esposto alle luci della scena (set).
Occorre allora posizionare le luci all’interno del set
e studiare la resa migliore rispetto agli ambienti e ai
personaggi in scena, come in un set reale.
Al pari di un film dal vero quindi, bisogna decidere
il numero e il tipo di luci, il posto dove posizionarle
e tutte le proprietà connesse alle luci quali la
direzione, l’intensità, la forma e il colore.
La grande differenza rispetto ad un film dal vero é che
questo procedimento è svolto alla fine del processo
mentre invece nella realtà è la prima cosa da fare
prima di effettuare le riprese.
Le luci digitali però, sono molto più flessibili delle
luci reali, questo significa che i Light designer hanno
a disposizione un set di luci che funziona come nella
realtà ma con un maggior numero di attributi luce da
controllare, inesistenti nella realtà.
Uno dei maggiori vantaggi offerti dal 3D è comunque
la possibilità di testare vari settaggi della luce, dalla
loro tipologia, al loro posizionamento, al colore, ai
riflessi sugli oggetti, all’intensità di luci e ombre e
così via.
Bisogna poi tenere in considerazione che, il fatto
di lavorare con oggetti tridimensionali non implica
che la resa finale sia altrettanto tridimensionale
sullo schermo. Infatti, oltre alla forma degli
oggetti, alle loro posizioni e alla prospettiva della
scena, la luce concorre in modo determinante alla
resa tridimensionale delle immagini sullo schermo
ricreando La profondità. L’ illuminazione di un set è
quindi in grado di enfatizzare la tridimensionalità,
ma anche di appiattirla rendendo le immagini
insignificanti. Per ricreare dei buoni effetti nella
composizione, allora, si usa inserire molte più fonti
luminose rispetto ad un set reale, utili anche ad
eliminare eventuali zone sotto-esposte.
Comunque sia, bisogna sempre fare attenzione che
all’interno di un set la presenza di una fonte luminosa
sia giustificata, non appaia irreale e sia il frutto di
una scelta motivata.
PROCEDIMENTO
Come negli altri processi, anche questa fase inizia con
diverse prove effettuate prima che le fasi precedenti
siano state ultimate: i primi test di Lighting vengono
effettuati con i modelli privi di shader e Texture,
sia perché risulta più semplice ragionare sulla resa
luminosa di un ambiente nella sua totalità, sia perché
il calcolo computazionale eseguito dal computer
risulta più veloce in un ambiente meno complesso.
Man mano si procederà aggiungendo dettaglio alle
scene, migliorando e correggendo l’interazione delle
luci, fino ad arrivare alla resa finale.
In principio si prende spunto dai disegni più
rappresentativi degli scenari e si effettuando varie
prove di lighthing, in cui si testano i posizionamenti
delle luci, la direzione e l’ intensità di luci ed ombre,
la loro forma, colore ecc.
Una volta che regista e supervisore all’illuminazione hanno
deciso le tonalità giuste da seguire (per tutte le scene
della storia), si effettuano allora i primi “Lighting
sketch”, ovvero dei disegni poco dettagliati che si
occupano esclusivamente di studiare le interazioni di
luci ed ombre con i personaggi e gli ambienti presenti
nei vari set della storia.
Partendo da questi disegni Si passa allora al “Lightig 3d”,
dove altri artisti si occupano di riportare, in ambiente
tridimensionale, la resa luminosa precedentemente
studiata e definita nei disegni. Vengono poi effettuati
ulteriori test, per arrivare alla perfetta interazione
coi modelli in scena. Concluse le fasi precedenti,
vengono importati i modelli definitivi e i Lighter Artists
procedono man mano, aggiustando le luci inizialmente
abbozzate, fino ad ottenere il settaggio finale.
139
principale o i suoi stati d’animo, quindi una luce
uniforme in tutto il set è sconsigliata. Anche il colore
delle luci è molto importante perché influenza la resa
espressiva e influisce sulla profondità, determinando
effetti più o meno realistici: colori caldi solitamente
tendono ad avvicinare mentre quelli freddi ad
allontanare. Un buon Lighter Artist deve perciò
conoscere le regole (ed i trucchi) per ottenere
una efficace composizione della scena, deve saper
bilanciare luci ed ombre con armonia, enfatizzando le
scene e le azioni dei personaggi principali rispetto a
tutto il resto.
LUCI
Pito character
sottoposto a diversi
settaggi di luce
140
Caratteristiche
L’iLluminazione in 3D è un fattore determinante ed
essenziale, la luce infatti non solo illumina i set,
ma vi attribuisce una data atmosfera, infLuenza il
carattere della storia, guida inoltre lo sguardo degli
spettatori in un determinato punto e da informazioni
sul tempo, sulle stagioni e perfino sulle emozioni dei
personaggi in scena.
I Lighter Artists non devono solo posizionare le luci
all’interno del set in modo tecnico, considerando
profondità, prospettiva e varie interazioni in scena,
ma devono soprattutto tenere in considerazione che
la luce influenza la storia ed enfatizza determinati
scorci nella visione.
Generalmente, la prima scelta da fare in riguardo
all’illuminazione è tra una luce contrastata e una
luce diffusa: la prima, come dice la parola, crea dei
contrasti netti tra le immagini ed è utilizzata per
dare effetti particolarmente intensi o drammatici; la
seconda invece, serve a rendere gli spazi più omogenei
ed è utilizzata in situazioni più distese o surreali.
Di solito si usa mettere in risalto il personaggio
In un set tridimensionale è possibile creare diverse
tipologie di luce che simulano fonti luminose diverse
quali il sole, una lampadina, una luce diffusa ecc.
Queste, possono essere spostate, scalate e ruotate
all’interno della scena come fossero oggetti e sono
controllate da molti attributi e proprietà modificabili,
come ad esempio forma, direzione, ombra, decadenza,
texture ecc. L’ insieme di questi attributi costituisce
un “Light Model” (modello luce).
Le principali tipologie di luce sono:
DIRECTIONAL LIGHT (luce direzionale): luce diffusa
in una data direzione, viene spesso utilizzata per
simulare la luce del sole.
POINT LIGHT (luce puntiforme): luce diffusa in ogni
direzione.
SPOT LIGHT (luce a spot): è una luce che parte da un
punto eD illumina una porzione di spazio definita, di
ampiezza variabile.
AREA LIGHT (luce ad area): luce emessa tramite un
pannello quadrangolare.
Introduzione
Produzione
AMBIENT LIGHT (luce ambientale): luce diffusa in modo
uniforme utilizzata per schiarire le zone troppo scure.
Pito character
Lighting Model Tutorial
Il modello dopo il
settaggio delle tre luci
principali: Back Light,
Fill Light, Front Light.
VOLUME LIGHT (luce volumetrica): luce emessa da un
volume geometrico variabile, come una sfera o un
cubo.
Le principali sono: intensità, colore ed effetti.
Quest’ultima proprietà stabilisce se la luce deve
influenzare il colore ambientale, quello diffuso o
quello speculare della scena.
Mentre i principali attributi delle luci sono:
Direzione luce (direction): la direzione dei raggi
luminosi all’interno del fascio luminoso può essere
resa radiale o parallela, indipendentemente dalla luce
creata; questo modifica conseguentemente le ombre
create. I raggi paralleli si usano solitamente per la
luce del sole e quelli radiali per luci artificiali.
Direzione ombre (light direction): la direzione delle
ombre può essere controllata indipendentemente
dalla direzione della luce. Luci posizionate
diversamente possono quindi condividere le stesse
ombre. E’ possibile inoltre creare delle ombre o delle
zone d’ombra dal nulla, definire il colore delle ombre
e la loro attenuazione nelle zone perimetrali.
Forma (shape): con l’attributo di forma è possibile
delineare un volume geometrico come un cubo o una
sfera, all’interno del quale si produce luce; questo
permette di escludere alcuni oggetti dal fascio di
luce.
Ombreggiatura (shadowing): oltre a controllare le
proprietà dell’ombra, è possibile decidere se una luce
produce un’ombra oppure no, e lo stesso anche per gli
oggetti.
Decadimento (dropoff): se nella realtà la luce
diminuisce di intensità al quadrato della distanza,
con questo attributo è possibile modificare i valori
di intensità luminosa nei confronti della distanza
dagli oggetti, oppure diminuendo la luce in prossimità
delle zone perimetrali del volume di luce.
Selezione (selection): attraverso questo attributo è
possibile decidere quali geometrie sono influenzate
da una luce e quali no, quindi quali oggetti risultano
illuminati, producendo una riflessione e un ombra.
Spesso questo attributo è usato per illuminare
diversamente sfondi e personaggi.
Texture: con questo attributo è possibile impiegare
un immagine di texture in combinazione con la luce
affinché la luce proietti l’ immagine. In questi casi
è possibile proiettare un immagine a singolo canale
(in bianco/nero) di modo che le sue componenti nere
blocchino la luce mentre le bianche la lascino passare
(cookie); oppure è possibile proiettare una luce a
colori (slide).
141
Rustyboy (2006)
cortometraggio
animato 3d
interamente creato
da Brian Taylor
www.rustboy.com
Generalmente, a seconda del modo in cui illumina una scena la luce si distingue in:
Luce ambientale: raggiunge tutti i punti della scena, anche quelli non illuminati in maniera diretta, perché non
dipende dalla presenza o dalla posizione delle fonti luminose ma dalla luce riflessa dagli altri oggetti.
Luce diffusa: che l’oggetto riflette in tutte le direzioni uniformemente; dipende dalla posizione della fonte di
luce in scena e dai materiali di cui sono fatti gli oggetti in quadro (non dalla dislocazione dell’osservatore).
Luce speculare: collegata direttamente alla riflessione della luce, quindi alla presenza di un materiale più o
meno riflettente; dipende dalla posizione dell’osservatore.
Per quanto riguarda invece il posizionamento delle sorgenti luminose in un set, tre sono le luci principali:
1. Key Light (luce principale): è la luce principale per intensità e colore che domina la scena, determina la forma
e la direzione delle ombre principali e solitamente viene posta frontalmente alla scena. Serve ad indicare i
personaggi/oggetti principali.
2. Fill Light (luce di riempimento): è una luce a bassa intensità che proietta ombre molto leggere e serve da
riempimento, per schiarire o eliminare le ombre della luce principale e riduce l’effetto tridimensionale.
Questa luce si pone spesso lateralmente, o comunque in contrasto con la luce principale.
3. Back Light (luce posteriore): è la luce utilizzata per staccare i personaggi e gli oggetti dallo sfondo, si
posiziona dietro ad essi.
142
Introduzione
Produzione
Effetto speciale
tipo laser
serie tv giapponese
tratta dal manga
Naruto(1999) ideato
da Masashi Kishimoto.
4.16 Effetti Speciali
4.17 Effetti Speciali
Come già accennato precedentemente, gli Effetti Speciali
possono essere disegnati dagli stessi animatori o destinati
ad un apposito dipartimento che, mentre gli animatori
eseguono i disegni principali, si occupa di animare gli effetti
atmosferici, naturali o gli effetti speciali veri e propri.
In animazione tradizionale gli effetti speciali comprendono
fenomeni naturali e atmosferici come fuoco, gas, pioggia
e tempeste, animazioni complesse come collisioni ed
esplosioni, oppure anche effetti laser, luminosi o ottici.
Ognuno di essi richiede l’impiego di tecniche particolari a
seconda dei casi piò o meno laboriose.
Un tempo gli effetti speciali venivano creati artigianalmente
a mano (con varie tecniche pittoriche o materiali) o tramite
l’impiego di particolari strumentazioni in fase di produzione
o di ripresa finale (filtri, gel, lenti lavorate). La Disney degli
albori per esempio, per l’effetto pioggia, filmava in slow
motion dell’acqua scrosciare cadere davanti una lavagna.
Oggi gli effetti speciali sono quasi tutti creati in digitale,
durante la produzione o in post-produzione.
Gli effetti speciali in 3D sono spesso legati alla
simulazione di fenomeni difficilmente ottenibili con
le normali tecniche di modellazione ed animazione,
comprendono fenomeni come collisioni ed esplosioni
per esempio, o anche fenomeni naturali e vari effetti
luminosi ed ottici.
Spesso, nelle grandi produzioni, si incontrano
grosse problematiche legate agli effetti speciali
necessari alla storia, per cui, esiste un dipartimento
specifico, composto per lo più da sviluppatori
e programmatori, che si occupa di studiare ed
inventare nuovi software per simulare e controllare
i fenomeni complessi e vari effetti speciali.
Da anni la comunità di ricercatori opera nel campo
degli effetti speciali perché, oltre ad essere
eventi particolarmente complessi e difficili da
rendere in modo verosimile, una volta creati è
inoltre necessario che l’animatore sia in grado di
controllarli agevolmente; l’unione di questi due
fattori è la cosa più difficile.
Normalmente, i sistemi particellari sono tra le
“Simulation and
Animation of Fire
and Other Natural
Phenomena in the
Visual Effect
Industry” (2003)
Duc Nguyen
Doug Enrigh
Ron Fedkiw
143
Chroma Key
prima e dopo il
compositing
fxhome.com/
compositelab/pro
tecniche più comunemente utilizzate per la creazione
degli effetti speciali, in particolar modo per la
creazione di fenomeni naturali o elementi numerosi
come gruppi molto numerosi in movimento, tipo folle
di persone, branchi di animali, flotte di eserciti ecc.
tutti questi effetti, una volta creati, possono essere
poi controllati in diversi modi, può essere necessario
modificare alcuni attributi oppure sottoporre
il sistema a vari campi di forza come la gravità, la
turbolenza, l’ effetto calamita ecc.
Va poi precisato che, gli effetti speciali, come molte
altri “effetti”, vanno renderizzati singolarmente e
devono quindi essere poi aggiunti all’immagine finale
tramite il compositing digitale.
Quello degli effetti speciali è un campo in continua
evoluzione, si pensi ai continui studi della Pixar per
esempio, a partire dalla resa dell’ambiente naturale
nel cortometraggio “The Adventures of André & wally
B.” (1984), fino ad arrivare ai più recenti studi sulla
resa del ghiaccio e delle masse d’acqua per il film “L’
era Glaciale”; oppure anche gli studi sul movimento
del pelo effettuati per il film “Monster & Co”(2001).
144
Nell’ ambito degli effetti speciali, impossibile non
menzionare il Chroma Key, erroneamente detto
anche Bluescreen (il Bluescreen non è altro che
il nome dell’effetto), una tecnica che permette di
sostituire ad un colore sia oggetti che immagini ma
più frequentemente viene utilizzato per gli sfondi.
Questa tecnica si basa sulla ripresa di un attore che
recita su di uno sfondo interamente blu (o verde) che
successivamente viene scontornato e ricollocato
all’interno di uno sfondo interamente virtuale.
Introduzione
Produzione
4.18 Montaggio
Rostrum camera
Una volta ottenuti i disegni definitivi, lavorando in digitale si procede al rendering 2D delle scene e al loro successivo
montaggio. Un Supervisore Generale ha il compito di controllare che tutto sia stato realizzato in modo corretto per l’editing
finale. Il suo ruolo è molto importante per la buona realizzazione del progetto, considerando i costi impliciti nella sua
realizzazione ed eventuale correzione. Se il Supervisore dichiara che tutte le tavole di una determinata scena funzionano
alla perfezione, queste vengono allora passate al Montaggio video definitivo.
Il montatore si occuperà allora di assemblare tutte le parti del film, seguendo scrupolosamente le indicazioni sul Dopesheet
e sul Foglio Macchina Reticolato, utilizzate rispettivamente per l’animazione e per i movimenti di camera all’interno del
foglio. Il risultato finale sarà un flusso video digitale dell’intera storia, a cui verrà poi aggiunto l’audio definitivo.
Un tempo il montaggio prevedeva la ripresa dei rodovetri tramite una Macchina Verticale o Rostrum Camera.
Questa era una speciale struttura costituita da un piano di lavoro (mobile) munito di lampade e una cinepresa verticale che
poteva essere spostata in vari modi, sopra i rodovetri, simulando spostamenti di camera, zoom e perfino varie angolazioni.
Tutto era svolto in modo automatizzato controllato da un computer. I rodovetri venivano infilati in un’ apposita barra
(reggetta) fissata al piano di lavoro, perché fossero mantenuti a registro, quindi, una lastra di vetro li comprimeva da
sopra, per eliminare eventuali rigonfiamenti, ombreggiature o irregolarità della carta. La videocamera riprendeva quindi
ogni singolo disegno, un fotogramma alla volta. Questo procedimento molto lungo e macchinoso
veniva continuamente ripetuto, alzando e abbassando la lastra di vetro, sostituendo i rodovetri
necessari ed effettuando i movimenti di camera indicati, fino alla registrazione su pellicola di
tutte le scene della storia. Dopo le riprese, la pellicola impressionata era inviata al dipartimento
di sviluppo e stampa e quindi veniva aggiunto l’audio finale. Oltre alla Rostrum viene spesso
citata anche la Multiplane Camera (Ub Iwerks 1930), che permetteva di ottenere una maggiore
profondità di campo. Questa macchina, munita di più piani di lavoro scorrevoli (della specie
di carrelli su cui sono posizionati i disegni) che possono essere fatti scorrere singolarmente a
diverse distanze e velocità.
145
4.19 Rendering
Il Rendering (esecuzione) è un processo automatico
che genera, dal programma tridimensionale, le
immagini bidimensionali che andranno sullo schermo.
Tutte le informazioni impostate all’interno del
programma 3D, dalle proprietà dei materiali alle
proprietà delle luci e degli effetti, vengono elaborate
dal motore di rendering che genera una serie di
fotogrammi in successione.
Da ricordare però che l’immagine di render non è
quella finale, ma è a partire da qui che si inizia ad
intravedere il risultato finale. questo perché una
immagine finale sullo schermo è il risultato del
compositing di più immagini ottenute dai render
separati delle luci (occlusion), dei colori principali,
degli effetti di riflessione (ray tracing), degli effetti
speciali ecc...
Il Rendering è un processo automatico ma va impostato
dall’animatore che definisce innanzitutto il tipo di
motore di Render da utilizzare per il calcolo grafico
e quindi una serie di attributi, quali il formato delle
immagini, la risoluzione, la qualità, la resa di luci ed
ombre e diversi effetti come, per esempio, la sfocatura
nei movimenti rapidi (motion blur) o la profondità di
campo (depth field).
Il tempo impiegato per la creazione delle immagini
dipende dalla qualità video che si vuole ottenere e
dalla composizione della scena stessa; mediamente,
per un buon Render di produzione si impiegano dalle
sei alle venti ore (per realizzare un film di animazione
servono all’incirca 110.000 immagini).
Due sono le cose importanti per ottenere un buon
Render: la prima è un buon computer, in termini di
capacità computazionale e di immagazzinamento dati,
la seconda è un buon motore di Rendering.
Per le grandi produzioni, che necessitano di
immagini ad alta qualità da proiettare sullo schermo
146
cinematografico, un buon computer però non basta;
visto l’enorme quantità di immagini che si devono
creare (circa 110.000 frame), occorre utilizzare
una Renderfarm, ovvero un unità di calcolo
costituita dall’ unione di molti computer potenti,
ognuno con più di un processore (CPU). Per quanto
riguarda invece il motore di Rendering, questo è
lo strumento più importante per determinare la
resa grafica delle immagini della storia. Nel corso
degli anni sono stati sviluppati diversi motore di
rendering, ognuno dei quali utilizza un proprio
metodo matematico per simulare determinati principi
fisici. Il più comune motore di Render utilizzato è
Photorealistic Renderman, sviluppato dalla Pixar nel
1988 e diventato uno standard di produzione per tutti
i film di animazione in cgi. dove Renderman è invece il
protocollo che mette in comunicazione programmi di
modellazione con programmi di render.
la maggior parte dei motori di Render che implementano
Renderman si basano su di un algoritmo scanline
chiamato REYES (Renders Everything You Ever Saw),
che opera scomponendo le geometrie dei modelli in
micropoligoni quadrangolari piccolissimi, della
grandezza uguale o inferiore ai pixel delle immagini,
permettendo così di ottenere immagini ad altissima
qualità.
Gli algoritmi di rendering si dividono in due
categorie principali: Scanline Renderers e Ray
Tracers: i primi operano oggetto per oggetto,
disegnando direttamente su schermo ogni poligono
o micropoligono; I secondi operano pixel per pixel e
si basano sul calcolo del percorso fatto dalla luce,
seguendone i raggi attraverso l’interazione con le
superfici (i raggi partono dal punto di vista della
telecamera piuttosto che dalle sorgenti di luce).
Attualmente grazie alle migliori prestazioni dei
computer, sono stati introdotti diversi algoritmi
per la simulazione fisica della luce e delle ombre, tra
questi troviamo il raytracing, la global illumination,
l’HDRI, caustic ecc.
Il raytracing per esempio, realizza un’accurata
simulazione dei fenomeni di riflessione e rifrazione
Introduzione
Produzione
della luce, effettuando inoltre l’occultamento delle superfici non in vista; in questo modo le superfici nascoste
non vengono considerate, permettendo così di smaltire molti calcoli matematici inutili.
Passaggi per ottenere
le immagini finali:
(Disney-Links.com)
Storyboard
Line drawing for
layout (wireframe)
No shadingNo shadows (ombre)
No lighting (luce)
Animation render
Personaggi+elementi
definiti nei loro colori
principali (key color).
Illuminazione minimale
di una sola luce (key
lighting) vicino alla
camera. No shadows.
Occlusion render
L’occlusion è la luce
diffusa che raggiunge
tutti gli oggetti non
coperti da altre
geometrie. Per le
macchine restituisce
un buon effetto di
contatto col suolo.
Ray-traced
occlusion& reflection
Effetto shading-lighting
monocromatico dato
dal ray-tracing. Questo
“lighting setup”include
gli effetti di occlusion e
le riflessioni all’interno
delle carrozzerie.
Final lighting &
rendering
Shading e Lighting
definitivo. Si vedono
gli effetti di tutte
le fonti luminose in
scena più gli effetti
di occlusion, ombre e
riflessioni (ray-tracing).
147
Gatto con gli Stivali
character
Shrek 2 (2004)
Dreamworks
Animation
148
Approfondimenti
Introduzione
4.20 Approfondimenti
4.20.1 I 12 Princìpi dell’ Animazione
I 12 principi dell’animazione tradizionale sono validi
principi per qualsiasi tipo di animazione, compreso il 3D,
rappresentano infatti delle tecniche che è possibile definire
universali e sempre valide, che qualsiasi animatore può
utilizzare per conferire all’animazione naturalezza e
credibilità, come anche spessore emotivo e attrazione nei
confronti del pubblico.
Questi principi derivano dall’esperienza degli animatori dei
Walt Disney Studios degli anni ‘30, che li hanno utilizzati
e fatti imparare a tutti i giovani animatori, affinché tutti
avessero delle solide basi da usare come guida in fase
di produzione. Questi principi sono stati inizialmente
applicati in film quali Biancaneve (1937), Pinocchio,
Fantasia (1940), Dumbo (1941) Bambi (1942) e in tutte
le successive produzioni, ma non per questo perdono di
attualità e valore.
Si dice che questi dodici principi abbiano trasformato
l’Animazione in una forma d’arte, fatto sta che oggi sono
diventati “la legge” per qualsiasi animatore che si rispetti.
I 12 principi sono i seguenti:
1. SQUASH&STRECH: Effettuare una distorsione di
forma (schiacciamento e stiramento) ad un oggetto
in azione, mantenendo il volume costante, ne
determina gli attributi di massa. 2. TIMING: Definire la durata dell’azione e lo spazio
tra una posa e un’ altra, dà significato all’azione
conferendovi un dato ritmo. Serve inoltre a definire
peso e grandezza del soggetto/oggetto trattato.
3. ANTICIPATION: La preparazione che anticipa la
successiva azione.
4. FOLLOW THROUGH AND OVERLAPPING ACTION:
Il movimento terminale di un azione in relazione con
l’azione che lo segue.
5. STAGING: Presentare un’ idea sullo schermo di modo
che sia inconfondibilmente chiara ed esplicita.
6. STRAIGHT AHEAD AND POSE TO POSE ACTION:
Due metodi di approccio all’animazione.
7. SLOW IN AND SLOW OUT: Lo spazio tra le pose
pianificato accuratamente per rendere efficace un
movimento.
8. ARCS: Il percorso ad arco eseguito naturalmente
durante il movimento.
9. EXAGGERATION: Esagerare forme ed azioni allo
scopo di accentuarne l’essenza.
10. SECONDARY ACTION: L’azione secondaria in
conseguenza di un’azione primaria.
11. APPEAL: La necessità di creare un design gradevole
sia nelle forme che nelle azioni.
12. PERSONALITY: Una personalità distinta e
riconoscibile per rendere attrattivo un personaggio.
149
A questi principi si collegano anche le tre leggi fondamentali
della fisica di Newton che riguardano il peso e il moto dei
corpi. Un animatore può esasperare queste leggi, alterarle
o eluderle, ma deve sempre tenerle in considerazione:
1. Il principio di inerzia dei corpi: ogni corpo mantiene invariato il suo stato di quiete o movimento nel tempo,
finché non interviene una forza a modificarne lo stato.
L’inerzia è direttamente proporzionale alla massa.
2. Un corpo soggetto ad una o più forze, subisce un’accelerazione direttamente proporzionale alla forza
risultante, con uguale direzione e verso.
3. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e
contraria.
01. SQUASH & STRETCH (Schiacciamento e Stiramento)
E’ probabilmente la più importante scoperta nel campo
dell’animazione: per animare un personaggio in maniera
verosimile, non c’è modo migliore che operare un cambio
di volume. Questo principio si riferisce al fatto che un
oggetto, quando è in movimento, generalmente subisce
una deformazione di schiacciamento e stiramento che ne
enfatizza la rigidità e quindi il materiale di cui è composto.
Tutti gli oggetti infatti, tranne quelli molto duri, mostrano
cambiamenti di forma espressi in termini di schiacciamento
e stiramento; queste deformazioni possono essere più o
meno percepibili, ma si verificano spesso, fermo restando
che il volume rimane sempre identico e cambia solo la
forma. Un esempio standard è lo Squash&Stretch subito
da una palla che rimbalza al suolo: la palla prima di toccare
terra si allunga, dando idea della velocità di caduta, poi
150
a contatto col suolo si schiaccia, rivelando l’impatto e
conferendo slancio al rimbalzo, infine si allunga di nuovo,
dando il senso della velocità e dello scatto.
Perciò, quando la deformazione di Squash&Stretch è molto
evidente, l’impressione è quella di un oggetto leggero e
flessibile, come una gomma, nel caso di una deformazione
rigida invece, si ha l’effetto contrario.
La tecnica di Squash&Stretch può essere utilizzata anche
per rilevare le contrazioni e gli stiramenti muscolari durante
il movimento. Se si pensa alla realtà infatti, i movimenti
di qualsiasi cosa sprigioni vita presentano delle variazioni
di forma durante il movimento, queste variazioni sono
determinate dal movimento della muscolatura interna, per
cui, per esempio, quando un braccio solleva qualcosa, si
verifica un rigonfiamento più o meno evidente del bicipite,
oppure basti pensare alle contrazioni ed estensioni di un
viso espressivo.
Va inoltre considerata l’esistenza dello Squash&Stretch
delle parti degli oggetti che sono composti da arti o giunti
snodabili come un personaggio o una lampada con braccio:
le parti snodabili possono piegarsi ed estendersi sulla base
dello stesso concetto, mantenendo intatta la forma (anche
se generalmente si opera un leggero Squash&Stretch sul
totale). Se analizziamo per esempio il salto di una persona,
noteremo che il suo corpo si comprime piegando le gambe
prima dello slancio, si estende nel salto e poi si comprime
nuovamente nell’atterraggio. Naturalmente, quando un
unico oggetto è composto da materiali diversi, questi
dovranno rispondere al movimento in maniera diversa, con
una maggiore deformazione nelle parti più flessibili.
Approfondimenti
Introduzione
02. TIMING (Temporizzazione)
Un ultimo uso dello Squash&Strech in animazione è riferito
all’effetto stroboscopico della visione, per cui l’occhio,
quando osserva dei movimenti molto veloci, come per
esempio il rapido oscillare di un pendolo, siccome non
riesce a percepire chiaramente le pose in successione
del movimento (le coglie ad una distanza maggiore
della norma), tende a schiacciare la forma dell’oggetto
osservato, di modo che la sua immagine si sovrapponga
alla posa precedente, mantenendo la continuità visiva.
Il Timing è un elemento essenziale in animazione perché
conferisce significato all’azione ed è essenziale per guidare
l’interpretazione del pubblico. Non importa quanto ben
fatto e realistico sembri un soggetto/oggetto se poi non
si comporta come appare, quindi, indipendentemente
dall’aspetto, è il Timing a determinare la credibilità di un
movimento e la sua interpretazione.
Il Timing rappresenta la temporalizzazione dell’azione,
cioè la durata dell’azione, quindi la sua velocità, ma anche
il ritmo con cui è gestito il movimento, cioè i punti in cui il
movimento è accentuato e dove no.
In particolare serve a determinare il peso e la grandezza
di un personaggio/oggetto e può servire ad esprimere le
emozioni che guidano l’azione, per esempio attraverso
movimenti nervosi, rilassa ti, vivaci, lenti ecc.
Il Timing definisce il peso e le dimensioni perché a seconda
di quanto un oggetto pesa, impiega più o meno tempo a
muoversi. Manipolando il Timing è quindi possibile dare
l’impressione che due oggetti identici di forma e dimensioni,
siano composti da materiali assai diversi tra loro: più
un oggetto è pesante, come una palla da boowling, più
grande è la sua massa, conseguentemente è necessaria
una maggiore forza per smuoverlo, per spostarlo e farlo
accelerare, ma, una volta in movimento, richiede molta
più forza per essere fermato; al contrario, un oggetto
leggero come una palla, si smuove facilmente con la forza
di un dito, facilmente cambia direzione di movimento e
altrettanto facilmente si arresta quando incontra un
piccolo ostacolo sul suo percorso. Quindi, più un oggetto
è pesante, più impiega tempo a muoversi, cambiare
direzione ed arrestarsi.
In egual modo il Timing influisce sulla grandezza: se
pensiamo ad un personaggio molto grosso, per esempio
Squash & Stretch
Serie di disegni
tratta dal libro
Cartoon Animation di
Preston Blair
Effetto stroboscopico
della visione
Squash & Stretch
John Lasseter (Pixar)
Computer Graphic
volume 21
Siggraph (1987)
151
tranquilli rappresentano il pensiero e rendono espressivo
un personaggio; interruzioni o rallentamenti nell’azione
permettono al pubblico di notare una posa e focalizzare
l’attenzione.
03. ANTICIPATION (Anticipazione)
Il Timing della camminata
varia variando il tipo di
espressività del passo.
Serie di disegni tratta dal
libro Cartoon Animation
di Preston Blair
un gigante, che ha un peso elevato, una grande massa e
una maggiore inerzia, il suo corpo farà molta più fatica a
muoversi e spostarsi rispetto ad un personaggio più piccolo,
più leggero, conseguentemente più agile e veloce.
E’ poi importante fare attenzione alla gestione del tempo di
un’azione, perché se ne viene impiegato troppo, il pubblico si
distrae, mentre se ne viene impiegato troppo poco, l’azione
non viene notata. A proposito, in animazione si usa dilatare
un po’ i tempi di un’ azione per preparare il pubblico ad
osservare bene il suo compimento: è importante spendere
un po’ di tempo (non troppo) per anticipare l’esecuzione di
un azione effettuando un movimento anticipatorio.
Questo movimento di reazione potrebbe essere, per
esempio, il piegamento delle gambe prima di effettuare
un salto oppure il piegamento alla fine, per attutire
l’atterraggio. Soprattutto quando un movimento è molto
veloce, è importante che l’attenzione sia concentrata
su di esso. Da notare infine che le pause e i momenti
152
Il principio dell’anticipazione si occupa della preparazione
del pubblico all’ azione che sta per compiersi e, come
dice la parola, consiste in un movimento anticipatorio, di
qualsiasi tipo, che introduce l’azione successiva.
Senza un movimento anticipatorio, molte azioni potrebbero
non essere notate, oppure risulterebbero troppo immediate,
brutali e innaturali. Ogni azione è perciò scomponibile in
tre parti: movimenti di anticipazione all’azione, movimento
vero e proprio e movimento terminale di reazione
all’azione.
L’anticipazione può essere fisica, implicita nel movimento,
come la contrazione dei muscoli al momento di un
salto, oppure il braccio che si piega all’indietro prima di
scagliare un pugno, o anche uno sguardo che precede uno
spostamento ecc.
L’anticipazione permette al pubblico di focalizzare
l’attenzione sul personaggio o su di un punto specifico
dello schermo prima che si andrà a compiere una
determinata azione, in sostanza dirige l’attenzione del
pubblico di modo che non perda l’azione e generalmente
indica piuttosto chiaramente quale sarà il movimento che
successivamente verrà eseguito, o comunque, permette al
pubblico di capire chiaramente che si sta per effettuare un
determinato movimento.
Il tempo entro cui si compie il movimento anticipatorio
dipende da quanto pensiero precede l’azione e anche da
quanto veloce sarà il movimento successivo.
Approfondimenti
Introduzione
04. FOLLOW THROUGH AND OVERLAPPING ACTION (Susseguenza ed Arrivo Oltre il Punto di Stop)
Le azioni molto veloci richiedono un lungo periodo di
anticipazione; se pensiamo ai cartoon in cui un personaggio
schizza fuori dallo schermo lasciando una nuvola di polvere
infatti, prima di sparire, il personaggio assume una posa
statica o prende chiaramente la rincorsa, questa è la posa
di anticipazione al movimento della corsa.
Generalmente, quanta più anticipazione viene usata, tanto
più il pubblico si aspetterà l’azione conseguente e tanto
più veloce potrà essere l’azione senza preoccuparsi che il
pubblico la perda di vista. L’anticipazione può essere perciò
utilizzata per creare suspence negli spettatori.
Infine, l’anticipazione può anche essere usata per
enfatizzare il peso di un oggetto o di un personaggio:
per sollevare un oggetto molto pesante, per esempio,
un personaggio si prepara al sollevamento chinandosi
lentamente verso terra e preparandosi allo sforzo, oppure,
un personaggio molto pesante si prepara ad alzarsi da una
sedia spostandosi prima col bacino e spingendosi poi con
le braccia.
Come l’anticipazione anticipa il movimento, il FollowThrough Action rappresenta il movimento che segue
un azione compiuta. Difficilmente un’ azione termina
nettamente non appena è stata eseguita, generalmente
un movimento viene portato avanti un po’ oltre la sua
esecuzione. Se per esempio pensiamo al movimento di
un braccio che lancia una palla, quando la palla è stata
lanciata, il braccio non si ferma immediatamente ma
continua la sua corsa seguendo il percorso del lancio.
In proposito, va considerata Follow Through Action anche
la reazione di un personaggio nei confronti di un’azione
appena avvenuta; questa reazione spesso esprime
chiaramente cosa il personaggio stia pensando/provando.
Movimento anticipatorio
del coyote prima di
iniziare l’inseguimento.
Wyle il coyote e
Road Runner, serie tv
Looney Tunes di
Chuck Jones
In basso:
Follow Through Acton
del braccio che,
dopo aver scagliato il
pugno, continua la sua
corsa. Illustrazione
tratta dal libro
Cartoon Animation
di Preston Blair.
Per quanto riguarda invece l’ Overlapping Action, cioè il
sovrapporsi delle azioni, si considera che nel movimento
di un soggetto/oggetto, le sue parti non si muovono
mai tutte in simultanea, ma piuttosto con movimenti a
catena: alcune parti si muovono prima, iniziando l’azione
e trascinano poi con sé, nel movimento, le altre parti
più leggere. Si pensi ad una camminata che inizia col
movimento del bacino che, oscillando in avanti, mette in
moto le gambe e, quando il bacino gira, viene seguito dal
petto, dalle spalle, dai polsi e infine dalla mano; oppure
ad un personaggio che afferra un oggetto, si muove prima
il suo braccio, poi l’avanbraccio ruota e il polso si alza,
153
Anticipation più
Overlapping Action
di zampe, antenne
e pungiglione dell’ape
Andrè and Wally B.
corto Pixar (1986)
Follow Through e
Overlapping Action
Eolo Character
Biancaneve e i Sette Nani
(1937) tratto da:
Cinema d’Animazione
Valerio Oss
Pixel Cartoon
www.ilcorto.it
154
quindi la mano si apre e afferra l’oggetto.
Bisogna tenere presente che molte azioni evidenti
iniziano dal bacino, che le azioni compiute con le mani
sono guidate dai polsi e che i movimenti della testa sono
preceduti da quelli degli occhi. E’ importante poi che nel
susseguirsi tra un’ azione e l’ altra, non si attenda mai
il totale completamento dell’azione per dare inizio a
quella successiva; è bene che le azioni si sovrappongano
leggermente, di modo da avere un movimento continuo e
non spezzato, più naturale e interessante.
E’ infine necessario prendere in considerazione anche
le appendici flessibili o carnose di un soggetto/oggetto,
come code, orecchie, baffi, capelli, abiti ecc. Queste parti
si muovono ad una velocità inferiore rispetto alle parti
dello scheletro, per cui vengono tutte trascinate dall’azione
principale, muovendosi a velocità diverse a seconda della
forma, della grandezza e del peso (materiale) di cui sono
composte. Inoltre, a seconda di questi fattori, impiegano
più o meno tempo a fermarsi: più le appendici sono
pesanti e più velocemente tendono a seguire il movimento
principale, impiegando però maggiore tempo a fermarsi;
contrariamente, più sono leggere, più lentamente seguono
l‘azione principale, fermandosi però più velocemente.
Per esempio, nell’immagine in alto a destra tratta dal
cortometraggio “The Adventures of Andrè and Wally B.”,
le antenne, le gambe e il pungiglione rappresentano le
appendici dell’ape e si muovono tutte in modo diverso
seguendo l’azione principale dello scatto: il pungiglione,
che è più rigido e pesante, viene trascinato immediatamente
insieme al corpo, ma quando il corpo si fermerà, anch’esso
cesserà il movimento; i piedi invece, che sono flessibili
come palloncini d’acqua, impiegano più tempo sia per
seguire l’azione principale, sia per fermarsi.
Spesso gli animatori giocano attribuendo creative variazioni
alle parti appendici, per rendere l’azione più interessante e
farla apparire più naturale. Questo effetto vene chiamato
‘trazione’ (drag) e rende molto verosimile l’animazione.
Un consiglio finale riguarda poi la tecnica del “moving
Approfondimenti
Introduzione
hold” che consiglia di mantenere sempre un personaggio
in leggero movimento quando conclude la sua azione,
questo perché la fissità delle pose toglie vita al soggetto,
interrompendo il fluire dell’azione.
Una differenza sostanziale tra 3d e 2d consiste nel
fatto che in 3D non è mai possibile far assumere al
personaggio una posa statica come invece può capitare
nel 2d, questo perché, non appena il personaggio
assume una posa statica, automaticamente perde vita
agli occhi dello spettatore. La soluzione è mantenere
sempre qualcosa in movimento, anche se minimamente
percepibile.
05. STAGING (Messa in Scena)
Lo Staging è una tecnica teatrale che consiste nella
“messa in scena” di un’ idea o di un’azione, affinché sia
inconfondibilmente chiara agli occhi dello spettatore.
Un’azione viene “messa in scena” perché se ne
comprendano i meccanismi e le cause, una personalità
viene “messa in scena” perché possa essere compresa, il
mood di una scena viene “messo in scena” per influenzare
il pubblico e così via. Ogni cosa deve essere rappresentata
nella maniera più semplice ed esplicita possibile prima di
passare alla successiva. Se occorre mostrare della tristezza,
tutti gli elementi in scena devono sprigionare tristezza, per
non creare attriti.
La storia viene raccontata attraverso azioni ed emozioni
che il pubblico non può perdere di vista, altrimenti la storia
ne soffre. L’importanza dello Staging risiede proprio nel
guidare l’attenzione dello spettatore nel punto preciso
e nel momento esatto dove si sta verificando quel che
vogliamo mostrare ed esprimere. Lo Staging diventa quindi
ancora più importante nei casi in cui la storia necessita
di mostrare al pubblico delle azioni poco evidenti nel
contesto in cui si svolgono. Bisogna però fare attenzione
a non confondere lo spettatore rappresentando troppe
azioni/idee in una volta sola. Bisogna perciò utilizzare
intelligentemente lo Staging per guidare l’attenzione dello
spettatore considerando che, in un contesto normale
e tranquillo, l’attenzione si concentra nei punti in cui si
svolge un movimento evidente; in una situazione agitata,
invece, avviene il contrario, l’attenzione si dirige dove c’è
calma. Occorre creare contrasto tra l’azione principale e il
resto della scena per evitare che si focalizzi l’ attenzione su
di un punto sbagliato dello schermo.
Un vecchio concetto legato allo Staging riguardava
l’importanza di disegnare in silhouette i movimenti chiave
affinché non venissero confusi nel bianco&nero dei disegni.
Questo problema è ormai risolto, ma il concetto delle
silhouette va comunque tenuto in considerazione, perché
può ancora capitare che un personaggio, muovendosi,
copra se stesso o parte dei suoi movimenti.
Lo Staging del lancio
della palla accentua
il movimento
rendendolo chiaro
ed evidente.
Serie di disegni
tratta dal libro
Cartoon Animation di
Preston Blair
155
Pose to Pose Action:
l’animatore pianifica
attentamente
l’andamento della
azione
The Animator ‘s
Survival Kit
Richard Williams
animatore
06. STRAIGHT AHEAD ACTION AND POSE TO POSE
ACTION (Azione diretta e Azione da Posa a Posa)
Esistono due modalità principali con cui un animatore
tradizionale può affrontare il foglio bianco in animazione:
la prima modalità è chiamata “Straight Ahead” (azione
diretta), che, come dice la parola, consiste nel disegnare
tutte le pose di getto, una dopo l’altra, linearmente, (frame
by frame) avendo ben chiaro il punto della storia. In questo
caso l’animatore, quando inizia a lavorare, non ha un piano
preciso di come il tutto sarà realizzato, sia i disegni che
l’azione hanno un look fresco e semplice e l’intero processo
si mantiene su di un alto livello di creatività, spontaneità
e freschezza.
Nella seconda modalità invece, definita “Pose-to-Pose
Action” (azione posa per posa), che è la più usata,
l’animatore pianifica attentamente il lavoro, calcolando
esattamente quanti e quali disegni sono necessari per
animare una scena. Inizialmente si organizza il Timing
e lo Spacing, poi si realizzano i disegni per gradi di
importanza: prima tutti i disegni delle pose chiave, poi gli
estremi, le posizioni di intermezzo (breakdown) e infine
156
le intercalazioni. Una scena organizzata in questo modo
risulta ben comprensibile allo spettatore e funziona sempre
in modo corretto ed equlibrato. Questo è un metodo
essenziale per realizzare le scene più importanti dove
occorre un’ottima recitazione e una tempistica precisa
delle azioni. La differenza di base è che con il Pose-To-Pose
Action, si sa esattamente cosa succederà nel tempo, ma
l’azione in alcuni casi perde di vitalità e originalità, mentre
invece, con lo Straight Ahead non si può sapere come
l’azione si evolverà, ma il risultato sarà sempre molto fresco
e creativo. Utilizzare un procedimento che risulti dall’unione
di entrambe le tecniche sembra essere la soluzione migliore,
organizzando prima l’ azione in modo Pose-to-Pose e poi,
una volta definiti i punti chiave, procedendo guidati dalla
creatività entro i limiti imposti.
La tecnica “Pose to Pose” utilizzata in animazione tradizionale
è difficilmente applicabile all’animazione 3D a causa delle
intercalazioni generate automaticamente dal programma e
poco controllabili; ciò nonostante, la tecnica “layer by layer
down the hierarchy” funziona concettualmente allo stesso
modo perché richiede l’organizzazione a priori delle pose.
07. SLOW IN AND SLOW OUT (Rallentamento in
Approfondimenti
Introduzione
07. SLOW IN AND SLOW OUT (Rallentamento in Entrata
e in Uscita)
Lo Slow In and Out rappresentano rispettivamente la
graduale accelerazione e decelerazione di un movimento e
dipendono direttamente dal Timing&Spacing delle pose.
Un soggetto/oggetto può rallentare all’avvicinarsi di una
determinata posa (Slow In) oppure può gradualmente
accelerare da una posa statica verso un’altra (Slow out).
Per esempio, un pendolo, oscillando rallenta avvicinandosi
al punto più estremo dell’arco (slow in), fermandosi, per
poi accelerare di nuovo verso l’interno (slow out). Allo
stesso modo una palla che rimbalza, rallenta prima di
raggiungere il punto più alto (slow in), fermandosi, quindi
accelera tornando verso terra (sLow out).
La quantità di accelerazione/rallentamento di un azione
dipende dallo spazio tra le pose degli intermezzi: più le
pose sono vicine tra loro e maggiore è il rallentamento.
In animazione, per enfatizzare questo effetto, vengono
aggiunte più pose (disegni) agli estremi di un movimento,
rallentandolo, e molto poche nel mezzo, creando così un
movimento centrale più rapido e veloce. Temporizzare le
intercalazioni in modo da porne in maggior numero agli
estremi e una sola nella parte centrale restituisce un
effetto piuttosto “spiritato”, con il personaggio che parte
lento, accelera ed infine termina di nuovo lento.
Il “Fast In and Fast Out“ è invece il movimento inverso
per cui un personaggio/oggetto accelera all’inizio, rallenta
nel mezzo e accelera nuovamente alla fine; viene spesso
usato per dare un senso surreale alla storia.
Come sempre, non bisogna esagerare nell’utilizzo di questi
“trucchi” per evitare di appesantire troppo la visione.
Sopra:
Slow-In e Slow-Out
di un pendolo che
rallenta la sua corsa
agli estremi e
aumenta velocità
tornando verso l’interno
Slow In e Out
di un personaggio.
Illustrazione tratta da
Cinema d’Animazione
Valerio Oss
Pixel Cartoon
www.ilcorto.it
157
09. EXAGGERATION (Esagerazione)
08. ARCS (Archi)
Movimento ad arco:
la maggior parte dei
movimenti segue
percorsi ad arco
The Animator ‘s Survival Kit
Richard Williams
animatore.
158
Il percorso compiuto da un movimento ha molto spesso un
andamento ad arco; questo perché in natura l’arco, non la
retta, rappresenta il percorso più breve per compiere un
movimento da una posizione ad un’ altra.
Tutti noi ci muoviamo seguendo delle linee curve, pensiamo
al movimento di un braccio che saluta, per esempio, o alla
rotazione delle gambe durante la corsa.
E’ molto raro che un personaggio o i suoi arti si muovano
in linea retta, perciò i movimenti ad arco sono usati in
animazione per conferire all’azione un effetto naturale
e fluido. In alcuni casi un movimento ad arco può
terminare trasformandosi in un percorso a linea retta, ma
solitamente, persino nei movimenti diretti, come un lancio
di un oggetto, questo ruota su se stesso.
Utilizzando programmi 3D si possono incontrare problemi
nella creazione di movimenti ad arco quando l’azione è
veloce, perché il computer tende ad interpolare i movimenti
rapidi in linee rette. Questo problema deriva dal fatto che
la curva che controlla il Timing è la stessa che controlla il
percorso del movimento, è perciò necessario aggiungere
un maggior numero di intercalazioni.
L’esagerazione di un’ azione è un principio piuttosto ovvio,
implica l’enfatizzazione di una forma, un movimento o un
espressione, allo scopo di accentuarne l’essenza e renderlo
il più esplicito e divertente possibile. Se un personaggio è
spaventato, bisogna renderlo terrorizzato, se è innamorato,
bisogna renderlo pazzamente innamorato, se è arrabbiato
renderlo furioso e così via. Una specie di caricatura della
realtà per ottenere un contatto più immediato con il
pubblico.
Questo ovviamente non significa che bisogna distorcere
insensatamente delle espressioni o rendere le azioni
arbitrariamente più violente e irreali.
L’esagerazione va valutata in rapporto al mondo in cui è
inserita, alle leggi che lo governano, al clima della scena
e alle sensazioni del personaggio. L’esagerazione in un
contesto potrebbe essere adeguata mentre in un altro
potrebbe risultare completamente irreale: un’ azione
credibile nel 2D potrebbe non esserlo altrettanto nel 3D
proprio per la resa realistica delle immagini; un’ eccessivo
Squash&Stretch in 3D infatti, non risulta credibile come
invece in animazione tradizionale.
L’animatore deve riuscire a trovare l’essenza di un’ idea o
il fulcro di un movimento per poi enfatizzarlo, imponendo
su di esso l’attenzione del pubblico perché possa capirlo e
comprenderlo al meglio. Una scena è composta da molti
elementi che possono essere esagerati (forme, emozioni,
colori, suoni...), l’esagerazione di tutti questi elementi
va però bilanciata in modo adeguato e controbilanciata
con elementi più naturali e reali (esagerare qualsiasi cosa
apparirebbe innaturale). Per controbilanciare gli elementi
di esagerazione si usano spesso degli ambienti realistici (o
anche solo i terreni).
Approfondimenti
Introduzione
10. SECONDARY ACTION (Azioni Secondarie)
La Secondary Action è un’azione secondaria, di più lieve
entità, che deriva da un’altra azione dominante e ne è
subordinata, come per esempio il movimento di una coda
trascinata da un animale in corsa, oppure lo sfrusciare di
un abito durante uno spostamento; anche l’espressione
facciale di un personaggio potrebbe essere considerata
un’azione secondaria se si volesse enfatizzare il movimento
del corpo. Le azioni secondarie sono importanti perché
arricchiscono la scena, aumentando l’interesse del pubblico
e aggiungono una complessità realistica all’animazione.
Generalmente la Secondary Action avviene in
contemporanea con l’azione principale e molto spesso
è un’azione indipendente dalla volontà del soggetto
che la compie. La difficoltà principale sta nell’unificare
l’animazione di due cose temporizzate separatamente.
Nei casi in cui l’azione secondaria entra in conflitto con
l’azione principale, disturbandola, o addirittura diventando
più interessante, occorre riconsiderare la messa in scena
dell’azione (oppure non si tratta di un azione secondaria).
Se durante lo svolgimento di una Secondary Action
devono avvenire dei cambiamenti importanti, che devono
essere notati (ex. espressione di un volto), è meglio che
avvengano prima o dopo il movimento principale; questo
perché se avvengono durante l’azione principale, esiste un
alto rischio che non vengano notati.
L’azione messa in scena può poi essere rafforzata da
un’azione sussidiaria come ad esempio lo scuotere della
testa di un personaggio che scatta in piedi intimorito,
oppure il gesto di asciugarsi una lacrima velocemente
durante un diverbio ecc.
Exaggeration
Droopy della serie tv
MGM cartoon di
Tex Avery
Secondary Action
della corda trascinata
dal salto della lampada.
Luxo Jr (1986) Pixar.
Secondary Action
nel volto del
personaggio dopo
che si è sistemato
adeguatamente.
Disegno tratto da:
Cinema d’Animazione
Valerio Oss
Pixel Cartoon
www.ilcorto.it
159
ad una lampada bambino, nella stessa maniera in cui
un bambino si differenzia da un adulto: la lampadina è
identica a quella del padre mentre la testa è più piccola,
il braccio meccanico mantiene lo stesso diametro ma si
accorcia nelle proporzioni.
Tra gli accorgimenti più importanti bisogna ricordare che:
il volume del modello deve esprimere solidità, profondità
e bilanciamento nelle forme; occorre evitare la simmetria
perfetta nelle posture degli arti (fermi o in movimento);
e infine che non bisogna mai specchiare perfettamente i
due lati del volto (ex. non specchiare perfettamente uno
sbadiglio tra i due lati del voto, ma inclinarlo di più da
un lato). Naturalmente anche la voce di un attore può
conferire molto Appeal ad un personaggio.
11. APPEAL (Attrattiva)
Rendere una cosa attraente significa renderla piacevole
da guardare, ma questo non significa che per forza un
personaggio deve essere bello, carino, dolce o suscitare
tenerezza, significa solamente che deve essere reso
attraente, comunicativo e magnetico.
Se un soggetto/oggetto è sgraziato, troppo complicato o
ha un cattivo design, non attira lo sguardo del pubblico e
conseguentemente perde in comunicatività e attenzione.
In questo caso è allora importante delineare chiaramente
le forme e bilanciare i volumi (peso e spessori), di modo
che appaiano reali.
Nel cortometraggio della Pixar “Luxo Jr.” per esempio,
l’Appeal viene reso giocando con le proporzioni delle
lampade: la più piccola non è semplicemente scalata di
dimensioni, ma ha delle proporzioni che la rendano simile
160
12. PERSONALITY (Personalità)
Quest’ultimo essenziale principio è in pratica il risultato della
somma dei principi precedenti. Quando un personaggio ha
una personalità definita, di conseguenza acquista vita e
credibilità, i suoi movimenti appaiono come il risultato dei
suoi pensieri e il pubblico lo percepisce come un soggetto
pensante, si dimentica della sua irrealtà e, tramite esso è
Introduzione
Approfondimenti
trascinato nella storia e vive le sue emozioni.
Più la personalità di un personaggio è distinta e riconoscibile,
con caratteristiche che il pubblico riconosce come familiari,
più il soggetto diventa credibile e attraente.
Un animatore deve avere ben chiaro tutte le sfaccettature
di carattere dei soggetti con cui lavora, deve conoscere i
loro desideri e le loro aspirazioni, perché in base ad essi
deve eseguire l’animazione.
I personaggi che risultano vincenti, non solo reagiscono
a delle situazioni, ma agiscono in base al loro istinto e
perfino al loro umore, alle situazioni che gli si presentano.
Quando un personaggio ha successo e il pubblico si
affeziona, automaticamente entra nell’immaginario
comune di migliaia di persone, molte altre cose a questo
punto, cadono in secondo piano.
Nella pagina di destra:
Appeal:
le due lampade
da tavolo, pur
restando realistiche
sono caratterizzate in
modo da apparire
una il genitore e l’altra
il figlio.
Luxo Jr. (1986) Pixar
Personality:
un personaggio deve
saper esprimere una
forte personalità.
Miarge character
The Incredibles (2004)
Disney / Pixar
161
162
Post-produzione
2D & 3D
5.1 Screening Test
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vi
e
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5.3 Post Produzione Video
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d
io
5.2 Post Produzione Audio
2D
1.1
1.2 1.3
3D
163
5
Salley Character
Monster & Co. (2001)
Disney / Pixar
164
Prologo
La post-produzione ha quindi fasi uguali per entrambi i
processi produttivi, fermo restando che ogni progetto ha
poi le sue peculiarità produttive.
Terminata la fase di Rendering ed ottenute delle immagini
bidimensionali in entrambe le produzioni, si passa allora
al loro assemblaggio attraverso il montaggio video e
successivamente a quello audio (mixing audio), per
l’ottenimento della versione finale (Final Cut).
La fase di Post-produzione non si limita comunque alla
semplice operazione di assemblaggio delle immagini, ma
consiste in una vera e propria fase di produzione in cui la
storia viene migliorata sia a livello visivo che sonoro.
Il montatore è senza dubbio la figura chiave di questo
processo, che si occupa del montaggio, lavorando a
stretto contatto con il regista fin dalle prime scene dello
Storyboard. Al montatore è quindi richiesta una grande
sensibilità, sia per gestire al meglio la temporizzazione
della storia, sia per trasmettere al meglio la visione del
regista e il significato del racconto.
Con l’introduzione dei mezzi informatici il procedimento
di montaggio utilizzato tradizionalmente in animazione,
chiamato montaggio lineare (Linear Editing), in quanto
opera su di un flusso di immagini in sequenza ben definita,
è stato oggi sostituito dal montaggio non lineare (Non
Linear Editing) che, invece di usare moviole, centraline,
mixer, video registratori ecc. permette di operare un
montaggio digitale, a computer, non sequenziale e quindi
molto flessibile. Il grande vantaggio del sistema non lineare
è che opera off-line, cioè non lavora direttamente sulla
pellicola e consente di operare su dati digitali, testando
diverse soluzioni senza preoccuparsi di alterare niente in
modo definitivo; per il computer infatti, le immagini sono
dati che possono essere spostati, cancellati, aggiunti e
alterati in qualsiasi punto della storia.
Il sistema non lineare, lavora con più livelli di immagini
(ognuno dalle proprietà modificabili) e permette di
effettuare sia operazioni semplici quali tagli, aggiunte,
cambiamenti di scena, titolazioni e variazioni audio,
sia vere e proprie modifiche delle immagini e della loro
composizione a video, con l’aggiunta di effetti speciali o di
immagini provenienti da altre fonti video o software.
Il processo inizia lavorando sulle immagini video e poi
sul sonoro, aggiungendo l’audio alle immagini lavorate
(mixing delle tracce audio), e infine aggiungendo i titoli e i
credits. Una volta terminato il lavoro, le varie parti vengono
assemblate in un unico file e si effettua il Rendering finale,
in qualità ormai definita broadcast, ottenendo così la storia
Post-produzione
Introduzione
nel formato definitivo (Final Cut).
I master provenienti da una post-produzione digitale,
oltre a dover essere veloci, accessibili e qualitativamente
elevati, godono di un’estrema duttilità; a partire dalle
stesse informazioni registrate su hard disk si possono
effettuare infatti innumerevoli trasferimenti su supporti
eterogenei, l’animazione può essere esportata su un
supporto digitale, quale CD-rom o DVD, oppure riversata
su nastro magnetico (VHS, Betacam SP, Mini DV ecc.),
utilizzando i formati internazionali (PAL, NTSC, SECAM) o
della televisione digitale (HDTV, SDTV, 4:3 e 16:9), oppure
può anche essere caricata direttamente in internet (il
formato più utilizzato è l’swf).
I vantaggi del montaggio non lineare sono innumerevoli,
anche se il costo del materiale per allestire una sala di
montaggio off-line è incredibilmente maggiore: per
immagazzinare i dati infatti si utilizzano degli hard-disk
molto spaziosi e con particolari requisiti, come un’elevata
velocità di risposta e numero di giri, in grado di permettere
una lettura senza “salti” del flusso visivo a 24 fotogrammi
al secondo. I software più diffusi nel settore professionale
sono Avid Media Composer, Film Composer 8000, Data
Translation’s Media 100, Lightworks, The Video Cube,
D-Vision o anche Final Cut Pro e Adobe Premiere.
5.1 Screening Test
Prima di avviare la post-produzione, i film vengono
solitamente sottoposti ad uno o più test di proiezione,
chiamati Screeaning Test, per controllare le reazioni del
pubblico alla storia e ai personaggi.
Il primo test viene effettuato con il filmato ancora allo stato
grezzo (con una colorazione di massima) ma già munito
di dialoghi e colonna sonora temporanei. A questo primo
test se ne aggiungono poi altri, per successive verifiche
riguardo ad aggiunte o tagli di scena e varie correzioni.
Fino agli ultimi test di proiezione quindi, il film può
ancora subire modifiche. Le prime sono invece altri tipi di
proiezione effettuati per la pubblicizzazione del prodotto,
a fini di marketing.
5.2 Post-produzione Audio
sessioni audio temporanee
Durante la produzione vengono utilizzate delle tracce
audio temporanee
che, insieme alle indicazioni
del regista, fanno da le linee guida a montatore ed
animatori per aiutarli a svolgere il loro lavoro avendo
ben chiaro le esigenze del progetto e le emozioni
da trasmettere. Il lavoro di queste figure è infatti
fortemente influenzato dal ritmo musicale della storia.
Vengono quindi effettuate due sessioni di prova, la Sound
Spotting per gli effetti sonori e la Music Spotting per la
colonna sonora, in cui il regista valuta con precisione
(scena per scena) dove inserire l’audio per contribuire nel
modo migliore allo svolgimento della storia.
165
Un buon posizionamento dell’audio implementa
notevolmente sia la storia che il coinvolgimento del pubblico.
In queste fasi, quando vengono effettuate delle modifiche
ai tempi della storia (tagli/allungamenti), il team del
sonoro deve costantemente aggiornare il posizionamento
delle tracce audio perché siano nuovamente sincronizzate
con le immagini.
Sound Spotting (effetti sonori): Le scene della storia,
munite degli effetti sonori, vengono revisionate da Regista
e Montatore, con la supervisione del Montatore del sonoro
e del team audio (sound designer, rumorista, supervisore
dei dialoghi) e si procede al loro esatto posizionamento
rispetto alle immagini.
Music Spotting (colonna sonora): Viene effettuata dal
compositore e dal montatore della musica, con il preciso
scopo di trovare l’accompagnamento musicale più adatto
al film, che fornisca delle chiare indicazioni sulle atmosfere
e sulle emozioni dei personaggi, guidando così le emozioni
del pubblico. Le decisioni prese influenzeranno quindi
l’arrangiamento finale e saranno utilizzate dal montatore
nel montaggio delle scene col sonoro.
Le sessioni di spotting possono essere effettuate in vari
momenti della produzione, ma generalmente è consigliabile
averle terminate prima di avere la musica, gli effetti sonori
e i dialoghi definitivi.
166
Design degli Effetti Sonori definitivi
In questa fase il supervisore degli effetti sonori, studiando
la storia (munita di alcuni effetti sonori temporanei), si
occupa di appuntare tutti gli effetti che dovranno essere
creati o ricercati in apposite librerie sonore già esistenti.
Questi effetti sono innumerevoli e variano dal rumore di
eventi atmosferici (vento, foglie, tuoni), ai versi di animali,
ad oggetti che si muovono (sbattere di una finestra),
ai passi in un corridoio e così via... Tutti gli effetti, in
particolar modo i suoni ambientali, sono importantissimi
perché creano atmosfera e aggiungono realismo alla
storia, sostenendo la visione dello spettatore.
Una volta ottenuti tutti questi suoni, tramite la così detta
sessione di “foley”, si procede poi nell’individuare il punto
esatto dove inserirli nel film, in base alle tracce della
sessione di Sound Spotting.
Mixing Audio Finale
Concluse le registrazioni dei dialoghi, delle canzoni, degli
effetti sonori e della musica definitivi, il missaggio finale
si occupa di montare insieme tutte le componenti audio.
Inizialmente, le tracce di dialoghi, musica ed effetti sonori
sono mantenute su livelli separati, per poter ottenere la
giusta combinazione del livello audio dei vari elementi.
Il missaggio finale, in cui tutte le componenti audio
vengono unite, prende il nome di copia master e può
essere realizzato in vari formati a seconda delle necessità
produzione: Dolby Digital, DTS, SDDS o THX.
In previsione della riproduzione in paesi esteri,
le tracce vocali vengono solitamente mantenute
separate per effettuare il doppiaggio delle voci.
Post-produzione
Introduzione
5.3 Post-produzione Video
La post-produzione video inizia non appena terminata la
fase di Render e consiste nell’assemblare tutte le immagini
renderizzate per ogni fotogramma.
Per eseguire il montaggio bisogna avere ovviamente
tutto il materiale video, la EDL (Edit decision list), in cui
sono indicate le modalità con cui eseguire il montaggio,
e bisogna conoscere le specifiche tecniche richieste per
l’output finale.
In pratica nel lavoro di montaggio, prima si individuano
gli spezzoni da montare, quindi questi vengono importati,
tagliati, rifiniti, modificati e ordinati tramite software e,
solo alla fine, riversati.
Compositing
Come già detto in precedenza, terminato il processo di
Rendering, ciò che si ottiene non è un’ immagine sola per
ogni fotogramma, ma più immagini per ogni fotogramma,
che devono poi essere assemblate per la creazione di un
unico fotogramma finale che andrà sullo schermo.
Il procedimento di assemblaggio di queste immagini viene
chiamato Compositing, e può essere una fase più o meno
lunga e complessa a seconda delle necessità della storia.
Esistono diversi software che gestiscono la fase di
compositing sa per il 2D (Animo, toonz) che per il 3D
(Shake, Nuke).
Nella fase di compositing, ogni singolo fotogramma del
film viene renderizzato su livelli diversi, a secondo della
complessità della scena. Nei casi più semplici si divide
l’immagine in personaggi, oggetti, set (scenografie) e
sfondi, ma spesso occorrono più separazioni.
Sono i direttori tecnici e il supervisore del compositing a
decidere come scomporre le immagini a livelli per ogni
scena del film. A questo punto, ognuno di questi elementi
viene ulteriormente scomposto con una tecnica chiamata
Render Pass.
Attraverso il Render Pass, tutte le caratteristiche principali
di un’immagine, come il colore diffuso, le luci, le ombre, le
riflessioni, la specularità, la sfocatura, la trasparenza ecc...
possono essere salvate su file distinti, al fine di poterli
manipolare singolarmente, senza influire sul resto della
composizione.
Se per esempio le ombre di una scena risultassero troppo
forti, si potrebbe intervenire solo sul livello che le gestisce
per schiarirne il colore, ottenendo un nuovo Render in
tempo reale, questo è un grande vantaggio in termini
di tempo! Molto spesso per ogni fotogramma del film
vengono create decine di immagini separate, per ottenere
un maggiore controllo su ogni parametro.
Il Render Pass permette questo procedimento grazie
all’introduzione di un canale alpha aggiuntivo alle
immagini, che determina le zone di opacità e trasparenza.
Il canale apha in pratica è un’ immagine in scala di grigi
che permette di lavorare sulla trasparenza della scena
utilizzando il nero come colore di massima trasparenza e
il bianco come colore di massima opacità (per cui i diversi
valori di grigio rappresentano i diversi gradi di opacità).
Il Compositing comunque si usa anche per uniformare
i colori delle scene con discontinuità cromatica o per
aggiungere effetti speciali o visivi come la sfocatura, la
nebbia, lampi di luce e bagliori ecc. In molti casi questi
effetti si ottengono anche piuttosto semplicemente.
Attraverso il Compositing è inoltre possibile importare
immagini da altre fonti (video o software) che
andranno ad aggiungersi alla composizione finale.
167
L’ultima fase del montaggio si conclude con il Rendering
finale, che permette di ottenere un filmato unico che potrà
essere esportato su un supporto fisico (VHS, CD, DVD,
Beta, pellicola...) oppure trattato per la distribuzione in
rete.
Ritocchi Finali (TOUCH UP) E CORREZIONE COLORE
Quando una scena è stata completata, a volte può essere
necessario intervenire per correggere eventuali sviste o
piccoli problemi generati dal software, siccome rifare la
scena è molto costoso, spesso si ricorre al fotoritocco
digitale con programmi come photoshop, aftereffects
o altro. Queste correzioni possono essenzialmente
riguardare il riposizionamento dei personaggi, dei cambi
di inquadratura (zoom in/out), dei movimenti di camera
o delle modifiche sul colore e sulla luce di alcune scene
della storia.
Se il film è stato stampato su pellicola, è poi possibile che
subisca delle variazioni di colore dovute a vari fattori quali
la temperatura ambientale o l‘esposizione alla luce; viene
quindi richiesta una verifica cromatica da parte del regista
attraverso la stampa di prova di alcune scene chiave della
storia. Se necessario si interviene con una correzione
cromatica che potrebbe interessare la modifica del colore,
delle tinte, il contrasto, la luminosità o la saturazione delle
immagini. Successivamente vengono fatte altre stampe per
verificare che tutte le modifiche fatte siano state applicate
con successo.
168
CREDITS
A questo punto non resta che aggiungere i Titoli e i
Credits. I titoli di testa e di coda, danno informazioni in
merito al titolo dell’opera, alla produzione, al regista, agli
attori principali e a tutto lo staff artistico e tecnico che ha
partecipato alla realizzazione del prodotto audiovisivo.
La lista viene aggiornata di continuo durante la produzione
ma comunque c’è molta libertà sul numero di persone
da inserire e sulla loro lunghezza. Il posizionamento e la
dimensione dei credits dipende dalle decisioni di produttore
e regista.
DISTRIBUZIONE
Verificato che i colori delle scene del film sono bilanciati si
procede alla creazione del negativo della colonna sonora e
all’unione del video col sonoro.
Si ottiene così la prima copia stampa.
La realizzazione della prima copia stampata viene
sottoposta ad un ulteriore controllo di qualità sulla resa
video e sulla sincronia dell’audio e, se approvata, si
procede alla duplicazione.
Vengono allora stampate in positivo tutte le copie della
pellicola e si procede alla distribuzione.
Post-produzione
Introduzione
Compositing digitale:
un personaggio e
due livelli di sfondo
La Talpa (2007)
Progetto di
Mauro Baldissera
169
Rendering finale
dopo il Compositing
La Talpa (2007)
Progetto di
Mauro Baldissera
170
Progetto personale
6.1 Concept
6.2 Soggetto
6.3 Trattamento e Scaletta
6.4 Sceneggiatura e Storyboard
6.5 Design dei Personaggi
6.6 Animatic e Layout 3D
6.7 Modellazione
171
6
Pedone protagonista
character
Il protagonista
della mia storia
6.1 Concept
Quello degli scacchi è un tema caro sia all’arte che alla
letteratura: sono molti gli autori che hanno dedicato una
particolare attenzione a questo gioco, che nelle loro opere
si spoglia delle sue caratteristiche logico-matematiche
da manuale per conservare solo i connotati filosofici ad
esso connessi: nati in Persia e diffusi in Europa dagli Arabi
tra il IX e il X secolo D.C., gli scacchi comprendono un
universo manicheo retto da rigide regole, dove lo scontro
tra il bianco e il nero incarna la metafora dell’eterna lotta
tra il bene e il male, tra principi originari e contrari ed è
sostanzialmente il simbolo dell’eterna contesa; ogni pedina
inoltre è facilmente riconducibile ad un personaggio dalle
spiccate personalità e caratteristiche.
Ho deciso quindi di raccontare una storia attraverso
gli scacchi pensando che potessero essere facilmente
rapportabili alle diverse tipologie di personaggi che
compongono la società e, in quanto tali, potessero, oltre
che raccontare una semplice storia, trasmettere anche un
messaggio.
Il Concept da cui è nato il mio racconto deriva principalmente
dall’idea di sottolineare l’importanza dei personaggi
che spesso appaiono più insignificanti, più piccoli, umili
o indifesi, che troppo spesso vengono ingiustamente
snobbati e ritenuti inutili, quando invece potrebbero
rivelare (nella loro umilità) grandi insegnamenti; questo
mi pare un concetto importante e attuale, soprattutto in
una società individualista come la nostra.
6.2 Soggetto
La storia mette in scena una partita a scacchi reale,
con le stesse regole del gioco; le pedine, in tutto sei
più il protagonista (senza contare le repliche), sono
rappresentate da personaggi simil-umani dai ruoli ben
caratterizzati e con le stesse mosse vincolate utilizzate nel
gioco reale.
Il protagonista è il pedone a2 della squadra bianca, il più
debole tra tutti i pezzi perché si trova ad un estremo del
campo e ha quindi minori possibilità di cattura rispetto agli
altri pedoni.
La scacchiera si trova su di uno sfondo neutro di colore
nero o bianco, non esiste una stanza o una location...
172
Progetto personale
la telecamera viaggia essenzialmente all’interno del campo
e attorno ad esso. La storia, in breve, racconta di come
un Pedone insignificante e pauroso riesce ad arrivare in
fondo alla scacchiera e, per un caso fortuito, a mettere
in scacco matto il Re avversario, ribaltando le sorti della
partita. La morale, come già detto, vuole sottolineare
come anche le pedine più insignificanti, a volte, possono
rivelarsi fondamentali.
Nella prima parte della storia, dopo che tutti i pezzi sono
saliti in campo per ordine gerarchico (prima i pedoni, poi
torri, cavalli, alfieri, donna e re), allo scoccare del timer,
inizia la partita.
Nella seconda parte della storia, ovviamente, non verranno
mostrati tutti i passaggi del gioco ma saranno presentate
solo alcune azioni importanti (per lo più catture), con un
numero limitato di pezzi coinvolti; queste mostreranno
man mano varie situazioni nel progredire del gioco, fino ad
arrivare ad introdurre la situazione finale. In questa parte
di svolgimento della partita, le catture saranno per lo più
effettuate dalla controparte avversaria, la squadra nera,
di modo che, alla fine, risulti evidente il suo vantaggio
numerico e strategico sulla squadra bianca. Le avanzate
del protagonista saranno intercalate con altre scene di
“cattura” che si svolgono in campo; il protagonista non sarà
quindi sempre al centro dell’attenzione, ma nella maggior
parte delle scene sarà comunque visibile e parteciperà
come spettatore, rivelando le sue emozioni (paura).
L’attenzione sul protagonista non deve essere assoluta
per evitare che il finale diventi scontato; ciò nonostante,
essendo il personaggio principale, andrà mostrato spesso
per permette allo spettatore di “affezzionarsi” a lui.
Il protagonista non catturerà nessuno fino alla fine e ad un
certo punto correrà un grosso rischio di cattura prima di
arrivare al finale. Nella terza e ultima parte del gioco, il Re
bianco sarà messo in scacco matto più volte, di modo da
far credere che non ci siano più speranze per la squadra
bianca e cercando di creare un senso di agitazione nello
spettatore... improvvisamente però, un intervento fortuito
del protagonista ribalterà le sorti del gioco, portando
incredibilmente la squadra bianca alla vittoria.
SPECIFICHE SUI PEZZI
La forma dei pezzi rimane quella reale, a cui si aggiungono
un volto e due braccia, esclusi la torre e il cavallo. I vari
pezzi agiscono generalmente per volontà propria, ma
possono ricevere ordini dai superiori. La mobilità dei
pezzi è limitata all’interno della loro casella, a parte gli
spostamenti e le catture; generalmente, se non coinvolti
nell’azione, rimangono fermi, immobili.
Ogni pezzo è muto, emette solamente suoni gutturali o, se
necessario, utilizza un linguaggio incomprensibile.
Quando un pezzo viene catturato generalmente scompare
in una nube di fumo emettendo un rumore tipo scoppio
(puff). Caratteristiche dei singoli pezzi:
PEDONE: il pedone è l’elemento più debole di tutti.
Si muove di uno in avanti e mangia di uno di lato; ad inizio
partita solamente, può avanzare anche di due caselle.
La capacità di attacco di un pedone è scarsa, quindi l’
attacco avverrà nel modo più elementare: sferrando
testate. Caratterialmente il pedone è essenzialmente un
personaggio semplice, umile e grossolano, poco incline
al coraggio. Sonoro: muovendosi emette rumori di passi/
salti e in attacco il suono di una potente testata viene
preceduto dallo scoccare di una campanella da boxe, come
quelle che scandiscono i round.
173
TORRE: la torre è uno dei pezzi più importanti, si trova
all’estremità della scacchiera e si muove lateralmente e
frontalmente in tutte le direzioni.
In attacco, vista la sua forma solida e robusta, cattura
investendo l’avversario con la sua mole, sotto le sembianze
di un mezzo come un treno o un automobile.
Per quanto riguarda le sue caratteristiche principali, la torre
spicca per la sua fisicità, solidità e irruenza, vista poi la
sua forma cilindrica, può essere paragonata creativamente
ad una tromba, un tubo di scappamento, un cannone... a
seconda delle situazioni.
Sonoro: per esprimersi la torre emette boati e versi
mostruosi; in attacco, il suono ad essa associato è quello
di un mezzo come un auto o un treno in movimento, con
le ulteriori specifiche sonore quali suoni di clacson, rotaie,
motore. ecc.. In alcune situazioni la torre può emettere il
suono di una tromba.
174
L’alfiere si muove in obliquo di quanto vuole e lo fa
levitando; giunto alla casella di destinazione si posa. In
attacco ruota velocemente su se stesso e scaraventa in
aria il nemico eliminandolo. Caratterialmente parlando,
questo pezzo dalla forma appuntita e affusolata dà l’idea
di essere scattante, diretto, minaccioso e severo.
Sonoro: quando si muove l’alfiere è accompagnato da un
suono che ne evidenzia la velocità e durante l’attacco,
mentre gira, emette l suono di un tifone/turbine.
CAVALLO: Il cavallo è l’unico elemento animale e in
quanto tale, mantiene le sue caratteristiche di animale
energico, scattante, vigoroso come anche facilmente
irritabile, nervoso e inquieto. Questo pezzo si muove ad
“L” ed è l’unico che può saltare i pezzi che si trovano
sulla sua strada; cattura gli avversari saltandoci sopra e
trapassandoli nella caduta.
Sonoro: il cavallo nitrisce più o meno concitatamente a
seconda delle situazioni; muovendosi emette suoni che ne
caratterizzano il galoppo, il trotto e il salto.
DONNA: La donna, che si trova al fianco del re, rappresenta
la regina, la sua “spalla” e la sua consigliera; è decisamente
il pezzo più importante dopo il re ed è estremamente
versatile negli spostamenti, si muove infatti come uno degli
altri pezzi a scelta, tranne il cavallo (in tutte le direzioni di
quanto vuole quindi).
La donna si muove normalmente ma attacca dal basso,
immergendosi sotto la scacchiera come fosse uno squalo
in un mare di caselle; la sua corona affiora e si muove
in campo come la pinna di uno squalo e gli avversari
vengono risucchiati in basso permettendo poi a lei di
risalire direttamente sulla casella conquistata.
Caratterialmente parlando, la donna è bella, fredda, severa
e arcigna, consapevole del suo ruolo e della sua potenza;
si caratterizza per eleganza, astuzia e superbia.
Sonoro: normalmente negli spostamenti produce un rapido
rumore di passi mentre in fase di attacco è accompagnata
dalla colonna sonora del film “Lo squalo”.
ALFIERE: L’alfiere è riconducibile al personaggio del
vescovo, la forma della testa riprende le forme della
mitra vescovile e rappresenta il carattere religioso; ciò
nonostante molti lo confondono con un cavaliere con
l’elmo ed è perciò a questa figura che io mi sono ispirata.
RE: Il re rappresenta il pezzo più importante come anche
il più inutile; senza di esso la partita non avrebbe senso,
l’unico scopo è infatti catturarlo, ma al di là di questo ruolo
simbolico, il re in campo è poco utile, muove di uno in tutte
le direzioni e va esclusivamente difeso.
Progetto personale
L’ importanza del re risiede quindi nella sua essenza.
In attacco questo pezzo fa un semplice salto sul posto
e la casella dell’avversario si apre come una botola negli
antichi castelli medioevali.
Essendo di scarsa mobilità, il re si caratterizza per lentezza,
placidità e pigrizia; cade spesso in preda del sonno,
russando rumorosamente: va quindi svegliato.
Sonoro: generalmente accompagnato dal suono di passi,
spesso sbadiglia o russa perché addormentato; in attacco
si sente il rumore della botola aprirsi e l’eco delle urla
dell’avversario che cade in basso.
PEDONE PROTAGONISTA: Il protagonista è il pedone A2
che, oltre ad essere tra i pezzi più deboli, è effettivamente
il più debole tra di loro, avendo minor possibilità di attacco
per la sua posizione laterale.
L’attacco del pedone è uguale a quello degli altri
suoi compagni anche se, per l’estremo timore, non è
effettivamente in grado di compiere atti di violenza.
Il protagonista è una sorta di “nerd” della situazione, si
caratterizza per l’estrema umiltà, codardia, timidezza,
remissività e timore, ma anche per una certa dose di
ironia/umorismo e impulsività rispetto alle situazioni;
in pratica esalta al massimo le caratteristiche della sua
“specie”. La sua esigenza drammatica è quella di arrivare
vivo a fine partita e questo è il suo unico scopo, non si cura
particolarmente delle sorti della battaglia perché si sente
impotente ed inutile.
Il punto di vista del protagonista è quello di un personaggio
che si trova a disagio in un ambiente che non gli conviene,
come un pacifista coinvolto in una guerra. Per quanto
riguarda i cambiamento, in questa storia il protagonista
non cambia, rimane essenzialmente lo stesso, sono gli
avvenimenti, la fortuna (o il caso) a portarlo ad essere un
eroe pur non avendone le doti.
sonoro: spostandosi produce rumori di passi o salti come
i compagni ed emette spesso versi che ne sottolineano la
paura e l’ansia rispetto alle varie situazioni.
antecedenti del gioco
Ogni partita rappresenta una battaglia, la somma delle
partite rappresenta la guerra in generale, che, giunta alla
centesima battaglia, deciderà i vincitori finali: la vittoria del
bene sul male o viceversa.
Ogni partita è però decisiva per i pezzi che la compongono.
Ogni volta che viene portata a termine una battaglia infatti,
i pezzi catturati rimarranno in “prigione” e i pezzi rimasti
continueranno invece la battaglia successiva.
Praticamente, quindi, quando un pezzo viene catturato
dall’avversario, nella partita successiva sarà sostituito da
un nuovo “soldato”.
Un pezzo, rimanendo in vita, sale di grado: un pedone
diventa cavallo nella partita seguente e così via per gli
altri pezzi; se un pezzo ne cattura però uno di grado
superiore, nella partita successiva si merita il ruolo del
pezzo catturato.
Inoltre, se un pedone arriva in fondo e viene promosso,
nella partita successiva sarà il pezzo che è diventato.
Il pezzo che mette in scacco matto definitivo il re
avversario, nella partita successiva merita di scegliere che
pezzo diventare.
175
6.3 Trattamento e Scaletta
La storia è così divisa e organizzata in parti dalle specifiche
necessità drammatiche:
PRIMA PARTE
Fasi essenziali:
delineare il soggetto
introdurre i personaggi principali
stabilire i presupposti drammatici
creare la situazione
ampliare le informazioni sulla storia
stabilire un colpo di scena che introduca il secondo atto.
La fase iniziale della storia è composta da una parte
introduttiva in cui l’occhio della telecamera scende dall’alto
avvicinandosi alla scacchiera, perlustrando il campo in
lungo e in largo. La perlustrazione della camera viene
quindi interrotta dal rumore delle caselle che, sbloccandosi,
iniziano a scendere verso il basso per portare poi i pezzi
in campo, tipo un ascensore; la salita dei pezzi avviene
176
a gruppi di elementi simili: prima tutti i pedoni (bianchi e
neri), poi tutte le torri, i cavalli, gli alfieri, le due regine e
infine i re. La salita del pedone protagonista non avviene
però insieme a tutti gli altri, ma subito dopo, in seguito
al ripetuto bussare (sulla sua casella) di un compagno...
questo a dimostrare il suo tentativo di non presentarsi in
campo, per sfuggire alla battaglia/al gioco. Una volta salito
occorre far notare che il protagonista è molto impaurito e
disperato, perciò si mostrerà in possesso di un cornetto
portafortuna (unica speranza di salvezza per l’inetto
protagonista).
Saliti tutti i pezzi in campo, le due squadre in opposizione,
una di fronte all’altra, inizieranno a lanciarsi sguardi
e gesti intimidatori di modo da alzare la tensione della
storia. Per quanto riguarda le riprese delle due squadre,
vista la posizione delle pedine e la loro condizione di
opposizione/scontro, si manterrà spesso una parte dello
schermo riservata ad una squadra e una all’altra (ai neri
la sinistra e ai bianchi la destra), di modo da far risaltare
maggiormente il contrasto delle squadre come quello delle
inquadrature. Ad introdurre il secondo atto in cui inizia la
partita è lo scoccare dell’orologio da torneo posto al lato
destro del campo da gioco.
SECONDA PARTE
Nella seconda parte si svolge la partita e vengono
mostrate diverse situazioni in tempi diversi, per mostrare
il progredire del gioco. Il pedone non sarà l’unico
protagonista degli eventi, a volte vi assisterà soltanto
come spettatore, questo per evitare che il finale risulti
scontato. Visto che la squadra bianca deve arrivare in una
situazione di svantaggio, le catture saranno per la maggior
parte effettuate della squadra avversaria.
Progetto
personale
Introduzione
Fasi essenziali:
Il protagonista deve affrontare ostacoli e conflitti che vanno
superati per realizzare le sue esigenze drammatiche. Deve
esserci poi un secondo colpo di scena che spinga in avanti
la storia verso il terzo atto.
Schema svolgimento
partita nella seconda
parte, fase 1.
Fase 1:
Nella prima fase del gioco inizia la partita e i pedoni fanno
le loro prime mosse; le prime catture avverranno quasi
subito dopo l’inizio del gioco:
cattura pedone N-pedone B,
cattura pedone N-pedone B di nuovo
cattura cavallo B-pedone N
Alla prima cattura, avvenuta con una testata da parte del
pedone N sull’avversario B, il povero malcapitato scompare
in una nube di fumo.
Il pedone N avanza allora sulla nuova casella mentre il
protagonista e un compagno si guardano attoniti per la
morte del compagno e due pedoni N battono il cinque per
festeggiare la vittoria.
Il cavallo B spinge allora il pedone B c2 per situarlo in
posizione di cattura di modo che, una volta avvenuta
la seconda cattura, poi lui possa catturare il pedone N
avversario. Questa mossa omicida sconvolge ulteriormente
il protagonista e il compagno che vengono inquadrati
guardarsi con orrore.
Avviene quindi la seconda cattura del pedone N e subito
dopo la cattura del cavallo B.
La prima scena si conclude quindi sotto le risa soddisfatte
dell’alfiere B, con una dissolvenza a nero.
177
Schema svolgimento
partita nella seconda
parte, fase 2.
Fase 2:
Fase 3:
Nella seconda scena la situazione in campo è leggermente
diversa rispetto alla precedente, è passato infatti del tempo
e alcuni pezzi hanno cambiato posizione.
Visto che un pedone B viene messo in pericolo dall’avanzata
del cavallo N, il pavido protagonista è costretto ad avanzare
(contrariamente alla sua volontà) per coprirgli le spalle,
spinto dalle necessità del gioco.
Non volendo avanzare per timore, il protagonista verrà
spinto dalla torre B alle sue spalle, cadendo e scivolando
fino alla casella dovuta.
Immediatamente dopo, il pedone N suo opposto gli sbarrerà
la strada con una contromossa, mettendo nuovamente
in pericolo il pedone B suo compagno e scoraggiando il
povero protagonista a2.
Dissolvenza a nero e secondo salto temporale.
In questa scena il protagonista è escluso, occorre mostrare
anche altre situazioni in campo.
La scena mostra inizialmente il solo pedone B. h4 guardare
dritto davanti a sé fuoricampo, preoccupato... la telecamera
ruota attorno a lui e mostra la torre avversaria pronta ad
attaccare che inizia a sbuffare come un treno... tocca però
ai bianchi muovere per primi.
Interviene da fuoricampo l’alfiere B in volo e si posa a lato
del pedone in sua difesa; la torre N smorza allora il suo
sbuffo delusa.
Ma un pedone N avanza spavaldamente di uno e mette
in pericolo l’alfiere B che è costretto a ritirarsi uscendo
nuovamente fuoricampo.
Avviene allora la cattura torre N-pedone B: la torre inizia
a muoversi come un treno diritta in direzione del piccolo
avversario, che, preso dal panico, si agita da un lato
all’altro all’interno della sua casella fino a che, giunta la
torre in prossimità, si lancia giù dalla scacchiera per non
essere investito. Si ode un tonfo.
Dissolvenza a nero e terzo salto temporale.
Fase 4:
Questa fase in cui non avviene una cattura vuole essere
semplicemente una scena di intervallo più distensiva e
divertente; serve inoltre ad introdurre la quinta fase in
cui si ritorna al protagonista messo in serio pericolo dalla
donna N.
La dissolvenza si apre riprendendo tre pedoni (due Neri e
un Bianco) disposti in modo triangolare; i due N sono alle
spalle del pedone B intento ad osservare con timore misto
178
Progetto personale
ad ammirazione l’imponente torre N al suo fianco.
I maligni pedoncini N organizzano uno scherzo alle spalle
del pedone avversario: un nero si acquatta di soppiatto
alle sue spalle e lancia un “BOOO!” facendolo spaventare;
il pedone B salta in alto per lo spavento, quindi si gira,
guardandoli scocciato, mentre questi ridono compiaciuti
per la bravata riuscita.
Ma ecco che uno dei pedoni N scorge il protagonista
fuoricampo ad osservare la situazione... chiama allora
il compagno ed insieme guardano verso di lui con aria
scocciata.
Il protagonista perplesso non capisce la situazione.
I pedoncini iniziano allora a complottare tra loro sotto lo
sguardo del protagonista finché, pare, giungano ad una
decisione.
Un pedone N lancia allora un sasso alla donna N lì vicino e,
una volta che la donna furiosa si gira verso di loro, accusano
il protagonista di aver compiuto il gesto, indicandolo. La
donna furiosa guarda quindi verso il protagonista mentre
questi squote le mani negando il coinvolgimento. La
donna allora si dirige velocemente verso il protagonista
minacciosa, introducendo la quinta fase.
Sopra:
Schema svolgimento
partita nella seconda
parte, fase 3.
Schema svolgimento
partita nella seconda
parte, fase 4.
179
Schema svolgimento
partita nella seconda
parte, fase 5.
Fase 5:
In questa quinta fase, l’ ultima prima del terzo atto, il
pedone è messo seriamente in pericolo; il pubblico deve
credere che sia quasi spacciato.
La donna furiosa avanza minacciosa verso il pedone che
scatta in avanti di uno tentando inutilmente di sfuggire.
A questo punto il protagonista è in situazione di cattura,
come anche il compagno... tocca ai neri muovere e la donna
incombe su di loro. I due si stringono impauriti e la donna
furiosa si china verso il protagonista apparentemente
intenzionata ad eliminarlo.
Il protagonista sembra spacciato ed in preda alla
disperazione alza in aria il cornetto portafortuna ponendolo
tra sé e le regina N in scopo di difesa. Improvvisamente
però la donna emette un ghigno di scherno (per il gesto
del pedone) e cambia movente girandosi in direzione
dell’alfiere B sullo sfondo, anch’esso in posizione di cattura.
Sarà stato il suo obiettivo fin dall’inizio? La donna si dirige
quindi verso l’ alfiere immergendosi lentamente sotto il
campo da gioco... (inizia a sentirsi la colonna sonora de
“Lo Squalo”).
Il protagonista e il compagno, chiusi gli occhi per la paura,
si accorgono solo tardivamente di essere in salvo.
L’alfiere intanto si guarda in giro cercando la donna.
Come la pinna di uno squalo affiora allora la corona della
regina da una casella del campo e, da lì, inizia a muoversi
velocemente girando attorno all’alfiere B per poi scomparire
nuovamente sott’acqua giunta davanti a lui.
L’alfiere guarda in basso curioso e i due pedoncini assistono
alla scena; improvvisamente la donna risucchia in basso
l’alfiere che emette un grido. La scena si chiude con il
protagonista che bacia il suo cornetto come a ringraziarlo
dell’intervento... dissolvenza a nero.
180
TERZA PARTE
Fasi essenziali:
Nel terzo atto si deve risolvere la situazione drammatica e
deve avvenire l’ultimo colpo di scena.
Bisogna mostrare il netto svantaggio della squadra bianca,
il re B deve essere messo in scacco matto più volte creando
tensione e poi il protagonista deve improvvisamente
risolvere le sorti del gioco con l’ultimo colpo di scena
finale.
La scena si apre con il re B messo in scacco matto dalla
regina N... la corona a croce del re si accende ed inizia a
girare come la croce dell’ambulanza per indicare il pericolo.
Interviene l’alfiere B da fuoricampo che si interpone tra i
Progetto personale
due pezzi a difesa del sovrano.
La regina N si avvicina allora alla zona dei bianchi, mettendo
Il re in scacco di nuovo; l’alfiere non può fare niente e il
re si sposta sfuggendo allo scacco per altre due volte... la
tensione sale... la terza volta è messo in scacco dalla torre
N. dal lato opposto del campo... Il re sfugge quindi a bordo
campo liberandosi dallo scacco della torre ma interviene
nuovamente la regina N mettendolo in scacco per
l’ennesima volta e costringendolo a retrocedere all’angolo
del campo... si avvicina infine la torre che si affianca
alla regina bloccando definitivamente il re B all’angolo del
campo da gioco. Il re non può muoversi e i bianchi hanno
solo un ultima mossa a disposizione prima dello scacco
matto definitivo... la partita sembra conclusa.
A questo punto i bianchi, rimasti guardano tutti verso il re
disperati e scoraggiati (vari scorci); tra i vari scorci ritroviamo
quindi il protagonista che, sconvolto dalla situazione, fa
cadere a terra l’adorato cornetto portafortuna.
Il portafortuna finisce a terra suscitando l’interesse di
un pedone N che, per dispetto, si china velocemente nel
tentativo di prenderlo e rubarlo al nemico; allo stesso
tempo il protagonista fa altrettanto, finendo per eliminare
(involontariamente) con una testata il pedone avversario.
Tutti si voltano quindi verso il protagonista che, ignaro, si
rialza col suo cornetto in mano, guardandosi poi attorno
in modo perplesso e realizzando solo posticipatamente di
aver eliminato un avversario.
Il protagonista è incerto, deve avanzare nella nuova
casella conquistata mettendo in scacco matto il re N
e allo stesso tempo mettersi in condizioni di cattura
da solo; non sapendo che fare guarda allora verso il
pedone suo compagno in cerca di conferme... il pedone
B gli fa quindi cenno di avanzare e così il protagonista
avanza mettendo in scacco matto il re avversario.
Il re N cerca allora di avventarsi sul piccolo pedone
Schema svolgimento
partita nella terza
parte.
181
Schema svolgimento
partita nella terza
parte, fase finale.
terrorizzato ma viene fermato da un fischio fuoricampo
dell’alfiere, che gli indica che non può catturare il
protagonista perché si metterebbe poi in scacco matto da
solo. Il re N è costretto a spostarsi e, facendolo, si blocca
da solo nella sua nuova casella.
La torre B, dal bordo campo opposto, inizia quindi ad
esultare con degli “strombazzi“ di clacson e ondulando
contenta si dirige verso il re N mettendolo in scacco matto
definitivo - la partita è vinta.
Il re N diventa rigido come una pietra e stramazza al suolo
diritto a sé come nelle partite reali; il protagonista schiva
la caduta dell’avversario ed esulta quindi per la vittoria
saltando in alto.
6.4 Sceneggiatura e Storyboard
Nelle pagine seguenti sono stati riportati i miei disegni
dello Storyboard che illustrano le varie fasi importanti della
storia in ordine cronologico. Ogni immagine è commentata
in modo tecnico, cinematografico, inquadratura per
inquadratura, e i suoni importanti sono stati evidenziati in
grassetto (per le specifiche tecniche sulle riprese consultare
il cap. seguente).
182
Progetto personale
CAMPO LUNGO: VISIONE DELLA SCACCHIERA
DALL’ALTO, LA MDP SCENDE VERSO IL BORDO
CAMPO.
MUSICA ALLEGRA TIPO BALLATA MEDIOEVALE
DI SOTTOFONDO. DA QUI FINO AL PROSSIMO
AVVERTIMENTO.
CARRELLATA IN AVANTI: LA MDP SCORRE
LUNGO LA SCACCHIERA DAL BORDO IN
AVANTI...
CARRELLATA IN AVANTI (STESSA RIPRESA):
PRIMA LA MDP SCORRE IN AVANTI NELLA SUA
LUNGHEZZA...
CARRELLATA LATERALE: ...E POI DI LATO NELLA
SUA LARGHEZZA (DA SINISTRA VS DESTRA)
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO: LA SCACCHIERA GIRA DA
SINISTRA VS DESTRA E POI SI SENTE UN RUMORE
SIMILE ALLA MESSA IN FUNZIONE DI
UN ASCENSORE (RUMORE APERTURA ASCENSORE).
LA MUSICA SCEMA LENTAMENTE
C. LUNGO: LENTAMENTE SALGONO TUTTI
I PEDONI IN CAMPO, PRONTI SULLE LORO
POSTAZIONI (RUMORE ASCENSORE)
STACCO
C. MEDIO: (INQUADRATURA FISSA DELLA
SCACCHIERA DALL’ALTO) SCORCIO DI ALCUNI
PEDONI B. CHE, ARRIVATI IN CAMPO, SI
ASSESTANO IN POSIZIONE, DOPO LA SCOSSA DI
ASSESTAMENTO PER LA CHIUSURA
DELL’ASCENSORE
STACCO
CARRELLATA LATERALE: LA MDP SCORRE
LATERALMENTE (DESTRA VS SINISTRA) LUNGO I
PEDONI B. COME FOSSE UNO SGUARDO.
CARRELLATA LATERALE: PRIMA DI ARRIVARE IN
FONDO, LO SCORRERE DELLA TELECAMERA VIENE
INTERROTTO DALLO SGUARDO DEI PEDONI B. CHE
SI GIRANO VERSO SINISTRA INCURIOSITI
CARRELLATA LATERALE: LA MDP RIPRENDE A
SCORRERE VELOCEMENTE VERSO SINISTRA
SEGUENDO GLI SGUARDI E SI FERMA ALLA
POSTAZIONE FINALE, VUOTA.
PANORAMICA ALTO VS BASSO: IL PENULTIMO
PEDONE B. GUARDA STUPITO VERSO TERRA A
DESTRA
CAMERA FISSA: TERMINATA LA PANORAMICA, IL
PEDONE BIANCO (DI CUI SI VEDE SOLO LA BASE)
SI SPOSTA SULLA CASELLA VUOTA E BUSSA CON LA
SUA BASE SULLA CASELLA (TOC TOC)
STACCO
183
C. LUNGO: LA FILA DI PEDONI B. SI SPORGE A
GUARDARE VERSO LA CASELLA DEL RITARDATARIO
IN SALITA (RUMORE APERTURA ASCENSORE)
STACCO
PANORAMICA DAL BASSO VS L’ALTO: PARTICOLARE
DEL CORNETTO NELLE MANI DEL PRO. FINO A
SALIRE SUL DETTAGLIO DEL VOLTO.
ZOOM IN AVVICINAMENTO SULLA TORRE N.: LA
TORRE EMETTE UN GRIDO MOSTRUOSO
STACCO
184
C. MEDIO FISSO DELL’ANGOLO DELLA
SCACCHIERA: (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE)
DALLA CASELLA SPUNTA LA TESTA DEL PEDONE
B. PROTAGONISTA CHE SI GUARDA INTORNO
PREOCCUPATO. IL COMPAGNO LO GUARDA
PERPLESSO
IL PRO RIDE (RUMORE RISA) IMBARAZZATO.
ALL’ IMPROVVISO SI ODE NUOVAMENTE
IL RUMORE DI APERTURA ASCENSORE; IL
PROTAGONISTA SOBBALZA SPAVENTATO.
STACCO
CAMPO MEDIO: IL CAVALLO B. TERMINA LA SALITA
CON UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO (RUMORE
CHIUSURA ASCENSORE)
(RUMORE APERTURA ASCENSORE)
C. MEDIO FISSO: (RUMORE APERTURA
ASCENSORE) IL PROTAGONISTA RIPRENDE LA
SALITA FINO AD ARRIVARE IN CAMPO; TRA LE
MANI STRINGE NERVOSAMENTE UN CORNETTO
ROSSO PORTA FORTUNA. (RUMORE ASCENSORE)
STACCO
C. LUNGO FISSO: RIPRESA ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA: DALLA FILA DI PEDONI B. TUTTI
GLI SGUARDI SONO RIVOLTI AL PROTAGONISTA.
STACCO
C. LUNGO: SALITA DELLE TORRI SUL PIANO DELLA
SCACCHIERA (RUMORE DI ASCENSORE)
STACCO
C. MEDIO DELL’ ANGOLO OPPOSTO DELLA
SCACCHIERA: SALITA DELLA TORRE NERA
(RUMORE ASCENSORE) E SCOSSA DI
ASSESTAMENTO.
CAMPO MEDIO: LA MDP SCORRE LATERALMENTE
VERSO DESTRA MENTRE SALGONO GLI ALFIERI
(RUMORE ASCENSORE)
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE B. SI ASSESTA,
TERMINATA LA SALITA (RUMORE CHIUSURA
ASCENSORE)
STACCO
Progetto personale
CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE N. SI ASSESTA,
TERMINATA LA SALITA (RUMORE CHIUSURA
ASCENSORE)
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE B. SI ASSESTA,
TERMINATA LA SALITA (RUMORE CHIUSURA
ASCENSORE)
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE N. SI ASSESTA,
TERMINATA LA SALITA (RUMORE ASCENSORE)
STACCO
(RUMORE APERtURA ASCENSORE)
PRIMO PIANO FISSO E VUOTO: LA DONNA BIANCA
ENTRA DAL BASSO VS L’ALTO NELL’INQUADRATURA,
SALENDO IN CAMPO (RUMORE ASCENSORE)
STACCO
PRIMO PIANO E CARRELLATA VERSO DESTRA:
LA MDP, PRIMA DEL L’ARRIVO IN CAMPO DELLA
DONNA B., SI MUOVE GIRANDOGLI ATTORNO ALLA
TESTA E PORTANDOSI ALLE SUE SPALLE
STACCO
PRIMO PIANO FISSO: LA DONNA B. TERMINA LA
SALITA CON UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO
(RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) E DALL’ALTRO
LATO LA DONNA NERA FA LO STESSO (RUMORE
CHIUSURA ASCENSORE)
STACCO
PRIMO PIANO DELLA DONNA N. CHE GUARDA
VERSO LA DONNA B. STIZZITA E FA UNA SMORFIA
POI INTERROTTA DAL SUONO DELL’ASCENSORE
(RUMORE APERTURA ASCENSORE), SEGUITO
DALLE TROMBE REALI (SUONO REGALE DELLE
TROMBE)
PRIMO PIANO DELLA DONNA N. CHE SI INCHINA
IN AVANTI RISPETTOSAMENTE (SUONO REGALE
DELLE TROMBE)
STACCO
CAMPO MEDIO DELLA TORRE B. CHE SUONA COME
UNA TROMBA MUOVENDOSI A RITMO
STACCO
CAMPO LUNGO RIPRESO DALL’ALTO DELLE PEDINE
CHE SI INCHINANO TUTTE INSIEME
(SUONO TROMBE)
STACCO
CAMPO MEDIO DEL RE N. CHE SALE E ARRIVA IN
CAMPO CON UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO
(RUMORE ASCENSORE E CHIUSURA). LE ALTRE
PEDINE SONO TUTTE INCHINATE.
STACCO
C. MEDIO DEL RE B. CHE, ARRIVATO IN CIMA,
STA DORMENDO E RUSSA FRAGOROSAMENTE.
(RUMORE DI RUSSA). LA DONNA LO SVEGLIA CON
UNA “PEDATA”.
STACCO
185
CAMPO MEDIO DI DUE PEDONI N. CHE RIDONO
FRA LORO IRRISPETTOSI. (RISA)
STACCO
C. LUNGO LATERALE DI TUTTA LA FILA DI PEDONI
B. CHE SI ARRABBIA SPORGENDOSI IN AVANTI
VERSO GLI AVVERSARI.
IL PROTAGONISTA LI GUARDA INCREDULO.
STACCO
C. LUNGO LATERALE DI TUTTA LA FILA DI PEDONI
B. CHE SI ARRABBIA SPORGENDOSI IN AVANTI
VERSO GLI AVVERSARI.
STACCO
PRIMO PIANO DELL’ALFIERE B. CHE SI PREPARA
ALL’ ATTACCO FACENDO CADERE LA VISIERA
(SUONO METALLICO)
STACCO
PRIMO PIANO LATERALE DELLA DONNA N. CHE,
APRENDO LE BRACCIA, FA SCATTARE UN LAMPO
COME FOSSE UNA STREGA.
(RUMORE DI TUONO)
STACCO
PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE SI
SPAVENTA (URLO)
STACCO
CAMPO MEDIO LATERALE DEL CAVALLO B. CHE,
STIZZITO DAL TUONO, NITRISCE IRREQUIETO
STACCO
CAMPO MEDIO DELLA TORRE N. CHE EMETTE UN
URLO MOSTRUOSO
STACCO
PRIMO PIANO DAL BASSO DEL VOLTO DEL RE
PERPLESSO E PREOCCUPATO
STACCO
CAMPO MEDIO DEL RE N. CHE RIDE COMPIACIUTO
CON LA DONNA CHE SORRIDE COMPLICE
STACCO
SCATTA LA LANCETTA DELL’OROLOGIO
(TICCHETTIO)
STACCO
CAMPO LUNGHISSIMO DALL’ALTO DELLA TORRE
CHE SUONA LA MARCIA DELLA BATTAGLIA (SUONO
DI TROMBA)
ZOOM IN AVANTI
STACCO
186
Progetto personale
INIZIA LA PARTITA
CAMPO MEDIO FISSO DEL CENTRO CAMPO VUOTO,
RIPRESO LATERALMENTE.
ENTRA IN CAMPO DA DESTRA UN PEDONE B. CON
UN SALTO VS SINISTRA
ENTRA IN CAMPO DA SINISTRA VS DESTRA UN
PEDONE N. CON UN SALTO... I PEDONI SONO
UNO DI FRONTE ALL’ALTRO (NoN POSSONO
CATTURARE)...
CAMPO MEDIO FISSO DEL CENTRO CAMPO CON
LE DUE PEDINE AVVERSARIE CHE SI SPINTONANO
(RUMORE COLPI)... ENTRA IN CAMPO DA DESTRA
VERSO SINISTRA UN ALTRO PEDONE B. CON UN
SALTO. IL NUOVO PEDONE E’ IN POSIZIONE DI
CATTURA.
LA MDP SI SPOSTA VS SINISTRA RUOTANDO
ATTORNO AI PERSONAGGI. SI ODE UNA
CAMPANELLA DA RING A SEGNALARE
IL MOMENTO... IL PEDONE N. SI GIRA
SOGGHIGNANDO MENTRE L’ ALTRO B. SI ACCORGE
DELL’ERRORE
STACCO
CAMPO MEDIO LEGGERMENTE INCLINATO
DALL’ALTO DEL PEDONE N. CHE SI AVVENTA CON
UNA TESTATA CONTRO LO SBADATO PEDONE
B. (RUMORE DELLA TESTATA). IL PEDONE B.
SCOMPARE IN UNA NUBE DI FUMO (RUMORE
SCOMPARSA)
STACCO
CAMPO MEDIO DEL PROTAGONISTA E DEL PEDONE
B. AL SUO FIANCO CHE SI GUARDANO ALLARMATI
STACCO
CAMPO MEDIO DI DUE PEDONI N. CHE,
SODDISFATTI DELL’INIZIO PARTITA, SI BATTONO
IL CINQUE
STACCO
CAMPO MEDIO DEL PEDONE N. CHE HA
CATTURATO CHE SI SPOSTA NELLA NUOVA
CASELLA PRIMA OCCUPATA DALL’AVVERSARIO
STACCO
CAMPO MEDIO DEL CAVALLO B. CHE CON LA
TESTA SPINGE IL PEDONE B. CHE HA DAVANTI
FACENDOLO FINIRE IN CONDIZIONE DI ATTACCO
DA PARTE DEL PEDONE N. CHE SI E’ APPENA
MOSSO
LA MDP SEGUE LO SPOSTAMENTO DEL PEDONE B.
CHE NONOSTANTE LA RESISTENZA, VIENE SPINTO
VS IL PEDONE NERO, SACRIFICATO.
IL PEDONE N. RIDE NUOVAMENTE, COMPIACIUTO
E IGNARO
STACCO
MEZZA FIGURA DEL PROTAGONISTA CHE,
SCONVOLTO DAL SACRIFICIO DEL COMPAGNO, SI
PORTA UNA MANO ALLA BOCCA
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO DEL PEDONE N. CHE SI
PREPARA A SFERRARE UNA NUOVA TESTATA
INCLINANDOSI INDIETRO.
IL PEDONE B. CHIUDE GLI OCCHI RASSEGNATO
STACCO
187
MEZZA FIGURA: IL PROTAGONISTA SI COPRE GLI
OCCHI
(RUMORE TESTATA-RUMORE SCOMPARSA)
MEZZA FIGURA: IL PROTAGONISTA SI SCOPRE GLI
OCCHI E SBIRCIA VERSO L’AVVENUTA CATTURA
DELL’ AVVERSARIO
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO: TERMINATO IL SALTO,
L’ALFIERE B. RIDE SODDISFATTO MENTRE IL
PROTAGONISTA E IL PEDONE B. SI VOLTANO
BASITI (RUMORE RISA)
SCHERMO NERO
CAMBIO SCENA
SALTO TEMPORALE DI ELLISSI
MEZZA FIGURA PROTAGONISTA: IL PEDONE B. SI
VOLTA INDIETRO GUARDANDO ALLE SUE SPALLE,
SPERANDO CHE IL RICHIAMO SIA RIVOLTO A
QUALCUN ALTRO
STACCO
SOGGETTIVA DEL PROTAGONISTA - CAMPO LUNGO
FISSO: IL PEDONE B., GUARDANDO VERSO IL
PROTAGONISTA, RIPETE IL CENNO COL CAPO
(RUMORE CENNO)
STACCO
188
CAMPO LUNGO: IL PEDONE N. AVANZA DI NUOVO
VS LA NUOVA CASELLA SOGGHIGNANDO... IL
PROTAGoNISTA E IL COMPAGNO LO GUARDANO
ATTERRITI. IL CAVALLO B. NITRISCE IMPAZIENTE...
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA: IL CAVALLO N. AVANZA IN CAMPO
CON UN SALTO (RUMORE GALOPPO).
SITUAZIONE PERICOLOSA PER IL PEDONE B. ALLA
DESTRA DEL PROTAGONISTA IN POSIZIONE DI
CATTURA
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA: IL PROTAGONISTA SCUOTE IL
CAPO IN SENSO NEGATIVO RIFIUTANDOSI DI
AVANZARE PER PAURA (RUMORE TESTA CHE SI
SCUOTE)
CAMPO LUNGO FISSO: IL CAVALLO B. SALTA SOPRA
IL PEDONE N. CHE SCOMPARE IN UNA NUBE DI
FUMO (RUMORE ZOCCOLI-RUMORE SCOMPARSA). I
PEDONI B. E IL PRO GUARDANO INORRIDITI.
CAMPO LUNGO FISSO: IL PEDONE B. SI VOLTA
VERSO IL PROTAGONISTA, E CON UN FISCHIO E
UN CENNO DEL CAPO, LO INVITA AD AVANZARE
PER PROTEGGERLO (RUMORE CENNO)
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA: LA TORRE B. PRENDE IN
MANO LA SITUAZIONE E SPINGE IN AVANTI IL
PROTAGONISTA FACENDOLO CADERE A TERRA
(RUMORE SPINTA E RUMORE CADUTA)
STACCO
Progetto personale
CAMPO LUNGO FISSO DA TERRA VERSO L’ALTO
DELLA CADUTA DEL PROTAGONISTA CHE MAN
MANO, SI AVVICINA ALL’ INQUADRATURA
(RUMORE CADUTA)
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO LATERALE DELLA CADUTA: IL
PROTAGONISTA, IN CADUTA, ENTRA DA DESTRA
VERSO SINISTRA FINENDO IN SCIVOLATA SULLA
CASELLA DA OCCUPARE (RUMORE CADUTA)
CAMPO MEDIO FISSO LATERALE DELLA CADUTA:
MENTRE IL PROTAGONISTA E’ ANCORA A TERRA
ENTRA IN CAMPO DI FRONTE A LUI IL PEDONE N.
CON UN SALTO (RUMORE SALTO)
CAMPO MEDIO FISSO LATERALE DELLA CADUTA: IL
PEDONE N. GUARDA VERSO IL PROTAGONISTA E IL
PROTAGONISTA ALZA LA TESTA VERSO IL PEDONE
NERO
STACCO
SOGGETTIVA DEL PROTAGONISTA DAL BASSO
VERSO L’ALTO: MEZZA FIGURA DEL PEDONE N CHE
RIDE CON SCHERNO (RUMORE RISA)
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO LATERALE (UGUALE AL
PRECEDENTE): IL PEDONE B. SI LASCIA CADERE
TOTALMENTE A TERRA PER LO SCONFORTO
(RUMORE DELL’URTO COL SUOLO). IL PEDONE N.
CONTINUA A
SGHIGNAZZARE.
DISSOLVENZA A NERO
SCHERMO NERO
CAMBIO SCENA
SALTO TEMPORALE DI ELLISSI
CAMPO MEDIO CHE RUOTA ATTORNO ALLA FIGURA
DI UN PEDONE B. FINO A PORTARSI ALLE SUE
SPALLE: AL LATO ESTREMO DEL CAMPO IL PEDONE
B. GUARDA DRITTO A SE’ ALLARMATO VERSO IL
FUORICAMPO
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PEDONE
B. CHE MOSTRA CIò CHE STA GUARDANDO
ALLARMATO: LA TORRE N. IN SITUAZIONE DI
ATTACCO INIZIA A CARICARSI SBUFFANDO COME
UN TRENO (RUMORE TRENO)
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PEDONE:
ENTRA IN CAMPO DAL LATO SINISTRO L’ALFIERE
B. VOLANDO VERSO IL PEDONE B. IN PROFONDITà
DI CAMPO (RUMORE SBUFFO TRENO E RUMORE DI
velocità’)
CAMPO LUNGO STESSA INQUADRATURA: L’ALFIERE
B. SI ARRESTA POSANDOSI SU DI UNA CASELLA A
LATO DEL PEDONE B. IN POSIZIONE DI DIFESA. LA
TORRE N. SMORZA LO SBUFFO INCLINANDOSI IN
AVANTI DELUSA PER AVER PERSO L’ OCCASIONE
CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA:
L’ALFIERE B. GUARDA VERSO IL PEDONE B. CHE
SORRIDE MENTRE ALLE SUE SPALLE AVANZA
CON UN SALTO UN PEDONE N. METTENDOLO IN
PERICOLO (RUMORE PASSI)
189
CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA:
L’ALFIERE B. SI VOLTA E GUARDA VERSO IL
BASSO IL PICCOLO AVVERSARIO CHE GLI FA UNA
PERNACCHIA SPAVALDO (RUMORE PERNACCHIA)
CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA:
L’ALFIERE B. SI RIVOLTA VERSO IL PEDONE B. E
GUARDANDO VERSO IL BASSO, SCROLLA LE SPALLE
IMPOTENTE, SOSPIRANDO DI RASSEGNAZIONE
(RUMORE SOSPIRO)
CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA:
L’ALFIERE B. SE NE VA USCENDO DI CAMPO VERSO
SINISTRA (DOVE ERA ENTRATO) E LASCIANDO
SCOPERTO IL COMPAGNO. IL PEDONE B. LO SEGUE
CON LO SGUARDO (RUMORE velocità’)
CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: IL
PEDONE B. TORNA A GUARDARE IMPAURITO
VERSO LA TORRE N. CHE RIPRENDE A SBUFFARE
COME UN TRENO (RUMORE SBUFFO TRENO). IL
PEDONE B. INDIETREGGIA DI SCATTO.
CAMPO LUNGO STESSA INQUADRATURA: IL
PEDONE B. SI AGITA SPOSTANDOSI ENTRO I
BORDI DELLA SUA CASELLA FINCHE’ LA TORRE N.
INIZIA LA CORSA VERSO DI LUI. (RUMORE TRENO
E RUMORE SPOSTAMENTI DEL PEDONE B.)
CAMPO LUNGO STESSA INQUADRATURA: PRIMA
CHE LA TORRE N., COME UN TRENO, LO INVESTA,
IL PEDONE B. SI LANCIA FUORI DAL CAMPO DELLA
SCACCHIERA, PRECIPITANDO VERSO IL BASSO.
(RUMORE TRENO E RUMORE SALTO)
CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: LA
TORRE N. ARRIVA SULLA CASELLA DEL PEDONE
E SMETTE DI SBUFFARE MENTRE SI ODE IL
RUMORE DEL PEDONE B. CHE SI SCHIANTA AL
SUOLO (RUMORE TRENO E RUMORE SCHIANTO)
DISSOLVENZA A NERO
SCHERMO NERO
CAMBIO SCENA
SALTO TEMPORALE DI ELLISSI
CAMPO MEDIO FISSO DI UNA DISPOSIZIONE A
TRIANGOLO 2PEDONI N. E 1 BIANCO: MENTRE IL
PEDONE B., DI SPALLE, OSSERVA LA TORRE N., I
DUE AVVERSARI NERI SI SCAMBIANO SGUARDI E
CENNI DI INTESA
CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: MENTRE
IL PEDONE B. E’ DI SPALLE OSSERVA LA TORRE N.,
MAN MANO INDIETREGGIA... UN PEDONE N. GLI SI
AVVICINA E SI ACQUATTA ALLE SUE SPALLE
190
CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: IL
PEDONE N. ALLE SPALLE DEL B. LO SPAVENTA
CON UN “BOOO!” E QUESTI SCHIZZA IN ALTO
SPAVENTATO PER LA TENSIONE ACCUMULATA
(RUMORE SALTO IMPROVVISO)
CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: IL
PEDONE B. RIATTERRA E SI VOLTA SCOCCIATO
ALLE SUE SPALLE, GUARDANDO CON ARIA SEVERA
I DUE PEDONI N. BURLONI CHE SE LA RIDONO
DI GUSTO (RUMORE RISA E VERSO STIZZITO DEL
PEDONE B.)
Progetto personale
CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: IL
PEDONE B. OSSERVA SCOCCIATO I DUE N. CHE
RIDONO FINCHE’ UNO NON SCORGE QUALCOSA
FUORICAMPO E, CON UNA SPINTA, AVVERTE
IL COMPAGNO INDICANDOGLI VERSO DESTRA
(RUMORE SPINTA)
CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: TUTTI
E TRE I PEDONI SI VOLTANO VERSO DESTRA
GUARDANO INCURIOSITI FUORICAMPO
CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: TUTTI
E TRE I PEDONI SI VOLTANO VERSO DESTRA
GUARDANO INCURIOSITI FUORICAMPO
STACCO
ZOOM INDIETRO - CAMPO LUNGO FISSO ALLE
SPALLE DEL PROTAGONISTA CHE STA GUARDANDO
VERSO IL TRIO MENTRE QUESTI SI GIRANO A
GUARDARE VERSO DI LUI
STACCO
PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE GUARDA
PERPLESSO E INCURIOSITO
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA (UGUALE AL PRECEDENTE) CHE
GUARDA VERSO IL TRIO MENTRE QUESTI SI
RIGIRANO DI SPALLE A COMPLOTTARE A BASSA
VOCE (RUMORE BISBIGLI)
STACCO
PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE GUARDA
PERPLESSO E SI GRATTA LA TESTA IN SEGNO DI
INCOMPRENSIONE
STACCO
SOGGETTIVA DEL PROTAGONISTA - CAMPO
LUNGO FISSO: UN PEDONE N. DEL TRIO SI
VOLTA E PRENDE LA RINCORSA LANCIANDO UN
SASSO ALLA REGINA N. CHE STA GUARDANDO IN
UN’ALTRA DIREZIONE (RUMORE LANCIO SASS0)
ZOoM IN AVANTI - CAMPO MEDIO FISSO: LA
REGINA, UNA VOLTA RICEVUTO IL COLPO, SI GIRA
LENTAMENTE GUARDANDO VERSO I PEDONI NERI
FURIOSA (VERSO DELLA REGINA “GRRR”)
CAMPO MEDIO - STESSA INQUADRATURA: I
PEDONI N. INDICANO IL PROTAGONISTA COME
COLPEVOLE
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA (UGUALE AI PRECEDENTI): IL
PROTAGONISTA SOBBALZA DI STUPORE PER LA
SPIACEVOLE SITUAZIONE
STACCO
PRIMO PIANO DELLA DONNA N. CHE SI VOLTA
LENTAMENTE A GUARDARE VERSO SINISTRA IN
DIREZIONE DI DOVE HANNO INDICATO I PEDONI
N. (RUMORE VERSI DONNA ARRABBIATA)
STACCO
191
CAMPO MEDIO FISSO DEI DUE PEDONI N. CHE
RIDONO DI SOPPIATTO PER LA BRAVATA.
(RUMORE RISA)
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL
PROTAGONISTA: LA REGINA NERA INDIVIDUA IL
PROTAGONISTA E SI ARRABBIA MOLTO (RUMORE
“GRRRR”). IL PROTAGONISTA SCUOTE LE MANI IN
SEGNO NEGATIVO PER DISCOLPARSI (RUMORE
GESTI)
STACCO
PRIMO PIANO DAL BASSO VERSO L’ALTO: LA
REGINA NERA SI SPOSTA ED ESCE FUORI CAMPO
OCCUPANDO L’INTERA INQUADRATURA (RUMORE
“GRRRR” E RUMORE PASSI)
STACCO
CAMPO LUNGO DELLA PORZIONE SINISTRA DELLA
SCACCHIERA: LA REGINA N., FURIOSA, SI SPOSTA
VELOCEMENTE IN AVANTI DIRETTA VERSO IL
PROTAGONISTA... IL PROTAGONISTA SCATTA ALLA
CASELLA SUCCESSIVA PER EVITARLA (RUMORE
PASSI).
STACCO
CAMPO MEDIO DAL BASSO VERSO L’ALTO
DIETRO IL PROTAGONISTA E IL COMPAGNO: LA
REGINA N. SI CHINA VERSO I DUE PEDONI B.
ARRABBIATA (RUMORE “GRRR”) MENTRE QUESTI
SI AVVINGHIANO L’UN L’ALTRO E TREMANO
VISTOSAMENTE
STACCO
CAMPO MEDIO DAL BASSO VERSO L’ALTO DIETRO
IL PROTAGONISTA: ORMAI IN PREDA AL PANICO
EGLI ESPONE DAVANTI A SE’ IL CORNETTO
PORTAFORTUNA PER PROTEGGERSI DAL
PREVEDIBILE ATTACCO (PERICOLO CATTURA) ZOOM
IN AVANTI E STACCO
CAMPO MEDIO DAL BASSO VERSO L’ALTO DIETRO
I PEDONI: LA REGINA N. SNOBBA I PEDONI E SI
VOLTA ALLE SUE SPALLE GUARDANDO VERSO
L’ALFIERE B. ANCH’EGLI IN POSIZIONE DI
CATTURA. L’ALFIERE B. DA LONTANO SI ALLARMA
STACCO
CAMPO LUNGO DALL’ALTO VS IL BASSO: LA REGINA
N. SI DIRIGE LENTAMENTE VERSO L’ALFIERE
B. SPROFONDANDO SOTTO IL CAMPO MENTRE
L’ALFIERE INDIETREGGIA RENDENDOSI CONTO
DI ESSERE SPACCIATO (COLONNA SONORA “LO
SQUALO”)
CAMPO LUNGO DALL’ALTO VERSO IL BASSO
(STESSA INQUADRATURA) : LA REGINA
SPROFONDA INTERAMENTE SOTTO IL CAMPO
MENTRE L’ALFIERE SEGUE CON LA TESTA LE SUE
MOSSE (C.S. “LO SQUALO”)
STACCO
CAMPO MEDIO DEL PROTAGONISTA E DEL
COMPAGNO B. CHE SI ACCORGONO DI ESSERE
FUORI PERICOLO E SI GUARDANO INTORNO
CERCANDO LA REGINA N. (C.S. “LO SQUALO”)
STACCO
CAMPO LUNGO DALL’ALTO VERSO IL BASSO
(STESSA INQUADRATURA PRECEDENTE) : L’ALFIERE
CERCA LA DONNA GUARDANDO IN TUTTE LE
DIREZIONI VERSO IL BASSO (C.S. “LO SQUALO”)
STACCO
DETTAGLIO DEL CAMPO DELLA SCACCHIERA
DALL’ALTO VERSO IL BASSO: DA UNA CASELLA
INIZIALMENTE VUOTA SPUNTA LA CORONA DELLA
DONNA N. CHE SI DIRIGE POI VELOCEMENTE
VERSO L’ALFIERE B. ( C.S. “LO SQUALO” E RUMORE
ACQUA)
STACCO
192
Progetto personale
CAMPO LUNGO INCLINATO DALL’ALTO VERSO IL
BASSO: L’ALFIERE SEGUE IL MOVIMENTO DELLA
CORONA CHE GIRA ATTORNO A LUI PER POI
FERMARSI DI FRONTE...
...E SPARIRE NUOVAMENTE SOTT’ ACQUA.
L’ALFIERE RIMANE A GUARDARE VERSO IL PUNTO
DOVE LA CORONA SI E’ IMMERSA...
DOPO UNA BREVE PAUSA, IMPROVVISAMENTE
L’ALFIERE VIENE TRASCINATO “SOTT’ ACQUA”
(SOTTO IL CAMPO) DA SOTTO LA SUA CASELLA,
SEGUITO DALL’ECO DEL SUO URLO.
CAMPO LUNGO FISSO: LA DONNA N. RISALE
DALLA CASELLA DELL’ALFIERE B. RIDENDO
CLAMOROSAMENTE SODDISFATTA DELLA CATTURA
STACCO
IL PROTAGONISTA BACIA FELICE IL SUO
CORNETTO, COME A RINGRAZIARLO DELLO
SCAMPATO PERICOLO
DISSOLVENZA A NERO
SCHERMO NERO
CAMBIO SCENA
SALTO TEMPORALE DI ELLISSI
SCATTA LA LANCETTA DELL’OROLOGIO
(TICCHETTIO)
STACCO
PRIMIsSIMO PIANO DELLO SGUARDO MINACCIOSO
DELLA DONNA N.
STACCO
PRIMISSIMO PIANO DELLO SGUARDO
PREOCCUPATO DEL RE B. IN PERICOLO,
LA CROCE DALL’ALLARME SULLA CORONA INIZIA A
GIRARE E SUONARE
(SUONO AMBULANZA)
STACCO
C. MEDIO FISSO DEL FONDO DELLA SCACCHIERA:
iL PROTAGONISTA E UN ALTRO PEDONE B. SI
VOLTANO INDIETRO A GUARDARE VERSO IL RE B.
INCURIOSITI DAL SUONO DELLA SIRENA
STACCO
C. MEDIO DELLA TORRE CHE SI GIRA A SINISTRA
VERSO IL RE B. UDENDO LA SIRENA D’ALLARME
STACCO
CAMPO MEDIO DELL’ALFIERE B. CHE SI GIRA
A SINISTRA VERSO IL RE B. RICHIAMATO DAL
SUONO DELLA SIRENA D’ ALLARME
STACCO
193
CAMPO LUNGO INCLINATO DALL’ALTO VERSO IL
BASSO ALLE SPALLE DELLA REGINA N.: IL RE B.
SI TROVA VINCOLATO SOLO IN UN ANGOLO IN
POSIZIONE DI SCACCO E SULLA SUA TESTA GIRA
LA SUA CROCE ROSSA ILLUMINATA COL SUONO
DELL’AMBULANZA (RUMORE SIRENA)
LA MDP SI SPOSTA PORTANDOSI ALLE SPALLE DEL
RE B. MENTRE LA CROCE CONTINUA A SUONARE E
LAMPEGGIARE (RUMORE SIRENA).
ENTRA IN CAMPO L’ALFIERE B. DA SINISTRA VERSO
DESTRA (RUMORE “ZOOM”) POSIZIONANDOSI
DAVANTI AL RE B. IN DIFESA.
STESSA INQUADRATURA FISSA IN CAMPO LUNGO:
LA SIRENA SMETTE DI GIRARE E SUONARE.
(RUMORE SIRENA CHE SI SMORZA). LA REGINA
N. SFERRA UN NUOVO ATTACCO AVVICINANDOSI
E METTENDO NUOVAMENTE IN SCACCO IL RE.
(RUMORE PASSI E SIRENA)
CAMPO LUNGO FISSO (STESSA PRECEDENTE)
: IL RE B. SI SPOSTA SUBITO INDIETRO
LATERALMENTE SALVANDOSI (RUMORE PASSI E
SIRENA SMORZATA). LA REGINA N. SI SPOSTA
IMMEDIATAMENTE A DESTRA RIMETTENDO IN
SCACCO IL RE B. (RUMORE SIRENA)
C. LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA) : IL
RE B. SI SPOSTA IN AVANTI SALVANDOSI DI
NUOVO (RUMORE SIRENA CHE SI SMORZA). LA
TORRE N. DAL FONDO CHE SI SPOSTA A SINISTRA
METTENDO DI NUOVO IN SCACCO IL RE B.
(RUMORE TRENO E RUMORE SIRENA)
CAMPO LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA
PRECEDENTE) : TUTTI SI VOLTANO VERSO LA
TORRE E POI IL RE B. SI SPOSTA VELOCEMENTE A
SINISTRA SALVANDOSI DI NUOVO (RUMORE PASSi
E SIRENA CHE SI SMORZA).
CAMPO LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA
PRECEDENTE) : LA REGINA N. SI SPOSTA
VELOCEMENTE IN AVANTI RIMETTENDO IN
SCACCO IL RE B. (RUMORE SPOSTAMENTO E
RUMORE SIRENA).
CAMPO LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA
PRECEDENTE) : IL RE B. SI SPOSTA VELOCEMENTE
INDIETRO SALVANDOSI PER L ’ENNESIMA VOLTA
(RUMORE SPOSTAMENTO E RUMORE SIRENA CHE
SI SMORZA).
STACCO
CAMPO LUNGO FISSO ANGOLATO ALLE SPALLE
DEL RE: LA TORRE N. AVANZA VELOCE COME
UN TRENO VERSO IL RE B. FERMANDOSI SU DI
UNA CASELLA VICINA MA NON METTENDOLO IN
SCACCO (RUMORE TRENO).
C. LUNGO FISSO ANGOLATO (STESSO
PRECEDENTE): IL RE B. IN TRAPPOLA E’ BLOCCATO
E SI AGITA NELLA SUA CASELLA SBATTENDO
CONTINUAMENTE SUI BORDI DELLA SCACCHIERA
(RUMORE COLPI). STACCO
C. MEDIO DALL’ALTO VS IL BASSO: IL RE B. IN
TRAPPOLA SBATTE SUI BORDI MENTRE REGINA E
TORRE N. FANNO PER AVANZARE. TOCCA PERO’
AI BIANCHI... (RUMORE BATTITI CUORE RE B.
)
STACCO
PRIMO PIANO DELL’ ALFIERE B. CHE ABBASSA LA
TESTA ABBATTUTO (VERSO DI SCONFORTO “SIG”)
STACCO
194
Progetto personale
PRIMO PIANO DELLA TORRE B. CHE ABBASSA E
SCUOTE LA TESTA IN SEGNO NEGATIVO (VERSO DI
SCONFORTO)
STACCO
PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE GUARDA
ALLARMATO PORTANDOSI LA MANO ALLA BOCCA
(VERSO SHOCK)
LA MDP SI SPOSTA VERSO IL BASSO, PER
LO SHOCK DELL’ IMMINENTE SCONFITTA, AL
PROTAGONISTA CADE DI MANO IL CORNETTO CHE
ESCE FUORICAMPO (RUMORE CADUTA)
STACCO
PARTICOLARE DEL CAMPO DALL’ALTO VERSO
IL BASSO: IL CORNETTO RIMBALZA AL SUOLO
(RUMORE ATTERRAGGIO AL SUOLO)
CAMPO MEDIO FISSO: IL PROTAGONISTA E IL
PEDONE N. AVVERSARIO GUARDANO A TERRA
INCURIOSITI VERSO IL CORNETTO CADUTO
CAMPO MEDIO FISSO: IL PROTAGONISTA E IL
PEDONE N. AVVERSARIO RIALZANO LA TESTA E SI
GUARDANO DUBBIOSI NEGLI OCCHI, ENTRAMBI
CON LA STESSA INTENZIONE DI AFFERRARE IL
CORNETTO
C. MEDIO FISSO (STESSO): IL PROTAGONISTA E
IL PEDONE N. SI CHINANO SIMULTANEAMENTE
VERSO IL CORNETTO E IL PROTAGONISTA
COLPISCE CON UNA TESTATA INVOLONTARIA
L’AVVERSARIO, ELIMINANDOLO (RUMORE
CAMPANELLO RING E TESTATA)
C. MEDIO FISSO (STESSO): IL PEDONE N.
SCOMPARE IN UNA NUVOLA D FUMO (RUMORE
SCOMPARSA) E IL PROTAGONISTA AFFERRA IL
SUO CORNETTO SALDAMENTE, SOLLEVATO, NON
ACCORGENDOSI SUBITO DI AVER ELIMINATO IL
NEMICO.
STACCO
CAMPO MEDIO FISSO DEL RE N. E COMPAGNI AL
SUO FIANCO CHE, INCURIOSITI, SI VOLTANO A
SINISTRA GUARDANDO FUORICAMPO VERSO IL
PROTAGONISTA DOPO AVER SENTITO IL RUMORE
DELL’ATTACCO (VERSO “UMMN?!”)
STACCO
MEZZA FIGURA DELLA TORRE B. CHE SI
GIRA VERSO IL PROTAGONISTA GUARDANDO
FUORICAMPO ANCH’ESSA INCURIOSITA (VERSO
“UMMN?!”)
STACCO
MEZZA FIGURA DEL RE B. CHE SI INCLINA VERSO
DESTRA GUARDANDO FUORICAMPO, A SUA VOLTA
INCURIOSITO, PER SCORGERE DA DOVE PROVIENE
IL RUMORE DELL’ ATTACCO (VERSO “UMMN?!”)
ZOOM INDIETRO: MEZZA FIGURA DELLA REGINA
N E DELLA TORRE N. CHE, INSIEME ALL’ALFIERE
B., SI VOLTANO GUARDANDO ALLE LORO SPALLE
FUORICAMPO VERSO IL PROTAGONISTA (VERSO
“UMMN?!”)
STACCO
195
MEZZA FIGURA DEL PROTAGONISTA CHE,
ALZANDOSI DAL BASSO VS L’ ALTO, UNA VOLTA
ERETTO, SI ACCORGE DI ESSERE OSSERVATO E
NON CAPISCE COSA E’ SUCCESSO, GUARDANDOSI
ATTORNO PERPLESSO. STACCO
C. LUNGO DELL’ANGOLO DELLA SCACCHIERA
COI PEZZI RIMASTI: IL PROTAGONISTA SOTTO
GLI SGUARDI ATTONITI DEGLI ALTRI PEZZI,
CHINANDOSI VERSO LA CASELLA DEL PEDONE
ELIMINATO, SI ACCORGE DI AVERLO
SCONFITTO.
STACCO
C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B.: IL
PROTAGONISTA SI VOLTA VS IL COMPAGNO NON
SAPENDO COSA FARE... IL PEDONE B. GLI FA
CENNO DI AVANZARE SULLA NUOVA CASELLA
ANCHE SE SIGNIFICA METTERSI IN PERICOLO DI
CATTURA OLTRE CHE ATTACCO
C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B. (STESSO):
SOTTO GLI OCCHI DEL RE N. IL PROTAGONISTA
INTIMORITO AVANZA LENTAMENTE VS LA NUOVA
CASELLA METTENDO IL RE N. IN SCACCO MATTO
(RUMORE SCRICCHIOLII DEL CAMPO) STACCO
DETTAGLIO DELLA CROCE DEL RE N. CHE INIZIA
A GIRARE E LAMPEGGIARE SUONANDO COME LA
SIRENA DI UN’ AMBULANZA PERCHé MESSO IN
SCACCO. (RUMORE SIRENA AMBULANZA)
C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B. (STESSO): IL
RE N. FA PER AVVENTARSI SUL PROTAGONISTA
TERRORIZZATO MA SI ODE UN FISCHIO
DI MONITO PROVENIRE DA FUORICAMPO
(RUMORE SIRENA E RUMORE FISCHIO)
STACCO
C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B. (STESSO):
IL RE N. E IL PROTAGONISTA, INSIEME AGLI
ALTRI PEZZI, SI VOLTANO VS IL FUORICAMPO DI
DESTRA GUARDANDO IN DIREZIONE DEL FISCHIO
(RUMORE SIRENA)
STACCO
C. LUNGO DELL’ ALTRO ANGOLO DI CAMPO:
L’ALFIERE B. FA CENNO DI NO CON LA MANO
INDICANDO AL RE CHE, CATTURANDO IL
PROTAGONISTA, SI METTEREBBE IN SCACCO DA
SOLO E NON SI PUÒ’ (RUMORE GESTO E RUMORE
SIRENA)
STACCO
CAMPO LUNGO DELL’ ALTRO ANGOLO DI CAMPO:
IL PROTAGONISTA E IL RE N. SI GUARDANO
PERPLESSI E POI IL PROTAGONISTA SORRIDE
SOLLEVATO PER LA SITUAZIONE FORTUNATA...
(TUTTO MERITO DEL CORNETTO PENSA)
STACCO
FIGURA INTERA DELLA TORRE B. CHE,
DALL’ANGOLO OPPOSTO AL RE N., SI METTE
IN MOTO STROMBAZZANDO GIOIOSA CON IL
CLACSON (RUMORE DI MACCHINA E CLACSON).
SEMBRA AVER CAPITO QUALCOSA (RUMORE
SIRENA )
STACCO
CAMPO LUNGO DELL’ANGOLO RE N. E
PROTAGONISTA: IL RE N. SI SPOSTA A SINISTRA
LATERALMENTE DAVANTI AL PROTAGONISTA
LIBERANDOSI DALLO SCACCO MATTO (RUMORE
SIRENA CHE SI SMORZA)
STACCO
FIGURA INTERA DELLA TORRE B. CHE INIZIA
A PROCEDERE ALLEGRAMENTE VERSO IL RE
N. ONDULANDO E STROMBAZZANDO CON IL
CLACSON PIENA DI GIOIA (RUMORE DI MACCHINA
E CLACSON)
196
Progetto personale
LA MDP SEGUE IL MOVIMENTO DELLA TORRE B.
CON UNA PANORAMICA ORIZZONTALE VERSO
DESTRA FINCHE’ LA TORRE ARRIVA A LATO DEL RE
N. METTENDOLO IN SCACCO MATTO DEFINITIVO
SENZA POSSIBILITÀ’ DI AZIONE (RUMORE DI
MACCHINA, CLACSON E SIRENA)
IL RE N. STRAMAZZA AL SUOLO CADENDO
DRITTO SECCO DAVANTI A SE... (RUMORE
CADUTA). IL PROTAGONISTA LO SCHIVA
SCOSTANDOSI VELOCEMENTE VS SINISTRA E
POI EMETTE UN URLO DI GIUBILO SALTANDO
DISSOLVENZA A NERO
6.5 Design dei Personaggi
Nella fase di Design ho disegnato i personaggi secondo le seguenti caratteristiche:
Premesso che i personaggi assomigliano molto a quelli degli scacchi veri e propri, con la differenza che sono muniti di
braccia, la cosa più importante è la caratterizzazione del volto. Innanzitutto, per quanto riguarda il protagonista, non
potendosi differenziare troppo dagli altri pedoni, ho pensato di utilizzare delle forme più tondeggianti, paffute e minute,
con in aggiunta un particolare ben visibile quale le orecchie a sventola; i pedoni suoi compagni, invece, hanno forme più
sobrie e anonime, non si distinguono molto gli uni dagli altri.
Nella creazione del volto del protagonista mi sono ispirata alle figure Disney di Casper il fantasma e Topolino, come anche
di Son Goku, una scimmia protagonista di un cartoon giapponese.
Passando invece alla Torre, ho creduto opportuno non munirla di braccia ma utilizzare l’intero pezzo come fosse la testa di
un personaggio rude, imponente e piuttosto anziano... una sorta di totem come quelli presenti sull’Isola di Pasqua; durante
la sua creazione mi sono ispirata ai personaggi di Mr.Incredible (Gli Incredibili, 2004) e Shrek (Shrek, 2001), come anche
agli alberi del film di animazione “La Foresta Magica” (Dygra Films).
Il Cavallo è il personaggio che meno di tutti ha subito variazioni: rimane infatti un cavallo, con tutte le caratteristiche
annesse, dalla massa, alla forza, alla facile irritabilità; nella sua creazione mi sono ispirata a foto vere e a diversi disegni
trovati nel web. L’ Alfiere è invece uno dei pezzi più alti e, per la sua forma affusolata, gli ho attribuito una figura più
longilinea e magra rispetto agli altri pezzi; questo pezzo, avendo in testa un elmo da cavalleria, non ha creato particolari
problemi: mi sono ispirata agli elmi medioevali per la forma della testa in generale e ho poi cercato di mantenere un’apertura
frontale simile a quella dei caschi delle moto.
197
Disegno che
comprende tutti i pezzi
in scala tra loro.
198
Passando alla Donna invece, ho avuto delle incertezze, inizialmente ho preso ispirazione da personaggi femminili arcigni,
severi e potenti come la strega di Biancaneve, Crudelia Demon (La Carica dei 101, 1961) e l’antagonista Yzma (Le follie
dell’imperatore, 2000). Successivamente, però, ho deciso di mantenere il volto della Donna più bello, giovane e femminile,
fermo restando la severità dei tratti.
Il Re infine è stato ideato con una forma piuttosto robusta ed è stato caratterizzato con folti baffi e doppio mento, per
conferirgli un aspetto più nobile e importante; per la creazione di questo ultimo pezzo mi sono basata inizialmente sulla
figura di Babbo Natale per via della robustezza e della placidità ispirata, ma ho poi deciso di attribuirgli una maggiore
cattiveria passando a personaggi come Capitan Uncino (Le avventure di Peter Pan, 1953) e Jafar (Aladdin, 1992).
Oltre alla caratterizzazione dei pezzi, ho ritenuto essenziale differenziare, seppur minimamente, le figure bianche da quelle
nere; ho appuntito quindi tutte le forme dei pezzi per renderli più spigolosi e minacciosi rispetto ai bianchi.
Progetto personale
Dall’alto da sinistra vs
destra:
01_Protagonista
02_Pedoni
03_Torre
04_Cavallo
199
Dall’alto da sinistra vs
destra:
05_Alfiere
06_Re
07_Donna
200
Progetto personale
6.6 Animatic
Animatic del mio
progetto scacchi
Come si è detto, l’ Animatic rappresenta una sorta di primo capolinea nelle fasi di realizzazione di una storia: il suo
completamento rappresenta la fine della fase progettuale di pre-produzione, prima di entrare nella fase realizzativa di
produzione. A questo punto è stato definito sia l’aspetto grafico degli elementi che compongono la storia all’interno del
quadro (inquadratura), sia lo svolgimento stesso della storia sullo schermo (scene e sequenze), comprese le tempistiche...
l’ Animatic rappresenta quindi la storia nella sua totalità, seppur in modo grezzo.
Una volta eseguito l’ Animatic coi disegni e l’audio, sono poi passata alla realizzazione del primo Layout 3d della storia.
Mi sono quindi fermata qui, visto che il mio obiettivo principale era più che altro comprendere come si affronta la fase
progettuale di una storia più che la fase realizzativa vera e propria; il successivo lavoro di produzione è un lavoro meticoloso,
lungo e faticoso, ma che si basa essenzialmente sulle capacità e le conoscenze tecniche del programma 3D utilizzato e sulle
abilità di animazione degli elementi della storia.
Ciò che effettivamente si ottiene con l’ Animatic è il fulcro della storia, la sua essenza: nonostante la scarsa qualità grafica,
esso rappresenta un elemento cruciale perché permette la pre-visualizzazione del prodotto finito.
201
202
Progetto personale
203
204
Progetto personale
205
206
Progetto personale
207
208
Progetto personale
6.7 Modellazione
Queste sono infine le prove di modellazione e di render dei personaggi, sulla base dei disegni iniziali.
Pedone Protagonista
209
Pedone B/N
Torre B/N
210
Cavallo B/N
Progetto personale
Alfiere B/N
Re B/N
211
Regina B/N
212
La grammatica
cinematografica
7.1
Linguaggio Cinematografico a Confronto
7.2
Elementi di Grammatica Cinematografica
7.3
L’ Inquadratura
7.4
La Scala dei Piani e Angolazioni
7.5
Oggettive e Soggettive
7.6
Il Fuoricampo
7.7
Regole di Composizione in Inquadratura
7.8
I Movimenti della Mdp
7.9
Lo Spazio
7.10 Il Tempo
7.11 Il Montaggio
7.12 Il Montaggio a Dècoupagé Classico
7.13 Regole Principali del montaggio Classico
7.14 La Punteggiatura Visiva
213
7
7.15 Pillole
Kung Fu Panda (2008)
film di Mark Osborne
e John Stevenson.
Prodotto dalla
DreamWorks Animation
7.1 Linguaggio Cinematografico
2D e 3D a Confronto
La caratteristica essenziale dell’immagine filmica è che,
nonostante la bidimensionalità sullo schermo, lo spettatore
reagisce allo spazio rappresentato come se questo fosse
tridimensionale, cioè analogo alla realtà che lo circonda, e
si immedesima col punto di vista che viene rappresentato.
Il linguaggio cinematografico è un linguaggio unico,
universalmente riconosciuto, indipendentemente dal
regista e dalla nazionalità in cui si sviluppa la storia. Questo
perché la grammatica cinematografica è una grammatica
visiva logica, che può organizzare
qualsiasi discorso sullo schermo,
dalle storie a disegni animati, ai
film, ai documentari ecc.
214
Cinema e televisione creano le loro storie seguendo
una grammatica precisa, con procedimenti paragonabili
a quelli della grammatica nei romanzi. Come per il
linguaggio verbale, anche quello audiovisivo ha una propria
sintassi, ovvero un’insieme di regole grazie alle quali si
costruiscono frasi e periodi cinematografici utilizzando una
punteggiatura visiva; questa punteggiatura è determinata
essenzialmente dai movimenti di camera e dal montaggio,
utilizzando dissolvenze e stacchi come punti e virgole nel
discorso filmico, zoom al posto degli accenti narrativi e
movimenti di camera per creare le pause.
Un prodotto audiovisivo comunque, come ogni strumento
narrativo, ha dei punti di forza e dei punti di debolezza:
bisogna quindi tenere presente che riprodurre pensieri
ed idee sullo schermo non è facile come in un libro, in
un prodotto audiovisivo i pensieri e i sentimenti devono
essere trasformati in parole e soprattutto in azioni che
possono essere viste e interpretate dal pubblico; azioni
come risultati finali di un pensiero o un desiderio quindi,
questo deve essere mostrato. Ne deriva perciò che un
prodotto audiovisivo scarsamente si addice a descrivere
situazioni statiche o troppo serene mentre invece si adatta
perfettamente a situazioni dinamiche e di conflitto, in
quanto il conflitto genera azione.
Bisogna poi sottolineare che la storia e l’interpretazione dei
personaggi/attori non sono quindi gli unici fattori a dare
senso alla narrazione, anche la Mdp, tramite la posizione
che occupa e il movimento che compie nello spazio può
intervenire a modificare la percezione della scena da parte
dello spettatore. La Mdp può infatti forzare la direzione
dello sguardo del pubblico, dirigerne la visione e quindi
l’interpretazione. Il montaggio inoltre, selezionando
e componendo il susseguirsi delle inquadrature, può
addirittura sconvolgere totalmente il senso della
narrazione.
La grammatica cinematografica
Introduzione
Il modo in cui vengono organizzate le riprese e il loro
conseguente montaggio attribuiscono quindi alla storia
uno specifico carattere e una determinata interpretazione
e sono due fattori essenziali nel decretarne il successo o,
alternativamente, la rovina.
Effettuate le dovute osservazioni riguardo alla grammatica
cinematografica, possiamo notare che, se dal punto di
vista produttivo l’animazione tradizionale e quella 3D
hanno caratteristiche che, nonostante i processi specifici
potremmo definire simili, dal punto di vista del linguaggio
cinematografico (filmico), ovvero della messa in scena
di una storia sullo schermo tramite movimenti di camera
e montaggio, questi due generi di animazione sono
visibilmente molto diversi tra di loro.
Da un lato il cartoon tradizionale utilizza un linguaggio
cinematografico essenziale, poco dinamico e limitato dalla
resa bidimensionale dei disegni; dall’altro, l’animazione 3D,
avendo a disposizione un set (scenario) tridimensionale
perfettamente paragonabile a quello reale dei film live
(dal vero), ha sviluppato un linguaggio cinematografico
molto più filmico, con tutte le problematiche connesse alla
gestione di un vero e proprio set dal vero, dalla creazione
delle scenografie, agli ingombri, alle luci, ai movimenti dei
personaggi/attori e soprattutto ai movimenti di camera.
Questa grande differenza tra i due generi dipende
essenzialmente dalla loro natura e dal differente modo di
concepire il movimento, soprattutto interno all’immagine (al
quadro) per i cartoon tradizionali, esterno per l’animazione
tridimensionale.
Il cartoon tradizionale ha sviluppato un linguaggio filmico
basilare perché la sua natura figurativa bidimensionale,
piuttosto piatta (nonostante l’intelligente uso della
prospettiva), tende a favorire i movimenti di camera interni
al disegno come panoramiche, carrellate e zoom; questi
sono i semplici spostamenti che la camera può effettuare
muovendosi sopra il foglio, senza comportare particolari
distorsioni nelle dimensioni.
Questa limitazione deriva dal fatto che i movimenti di camera
più complessi o angolati (come una resa a 360° o una
ripresa dal basso del soggetto) richiedono al disegnatore
di effettuare un disegno con distorsioni prospettiche che
sono più lunghe e difficili da realizzare, conseguentemente
anche più costose. Questa possibilità viene perciò scartata,
non essendo indispensabile, in favore di un disegno più
semplice e veloce, e non necessariamente peggiore.
Per quanto riguarda invece un prodotto di animazione
tridimensionale, è proprio la sua natura tridimensionale
e il modo in cui viene realizzato, a favorire un
ampio utilizzo dei movimenti di camera, perché la
camera riprende dei movimenti esterni ed è quindi
più facile effettuare riprese da diversi piani scenici
e scomporre l’azione in riprese da più punti di vista.
In un set (scenario) tridimensionale la Mdp può essere
posizionata e spostata allo stesso modo che in un film
live, anzi, le possibilità offerte sono addirittura maggiori,
sia a livello tecnico che a livello pratico: non solo la
Mdp tecnicamente ha molte più opzioni di ripresa, ma
praticamente non presenta ingombri, non viene mai
visualizzata anche se presente, può essere attraversata
e può attraversare oggetti, si può posizionare in un
qualsiasi punto del set, anche in zone irraggiungibili da
un operatore reale, come dietro un camino o dentro un
muro, ed infine può compiere facilmente percorsi tortuosi
rimanendo sempre stabile. E’ quindi prerogativa essenziale,
per questo nuovo tipo di animazione, la conoscenza delle
tecniche cinematografiche utilizzate nei film live per
tutto ciò che concerne l’intero set di allestimento, dalle
fonti di illuminazione agli sfondi ma soprattutto riguardo
215
alla messa in quadro dei soggetti/oggetti, agli spostamenti
di camera e al successivo montaggio; questo implica un
insieme di conoscenze maggiori rispetto a quelle necessarie
per realizzare un prodotto a cartoon tradizionale.
Possiamo quindi affermare che l’animazione 3D è un
genere completo che si trova a metà tra entrambi i processi
produttivi, da un lato prende spunto dall’animazione
tradizionale nella pianificazione estremamente accurata
della storia che andrà in produzione, dall’altro utilizza le
stesse tecniche narrative cinematografiche dei film live
tradizionali; questo significa che l’animazione 3D è un
prodotto completo sotto ogni punto di vista e inoltre è
anche il genere più complesso rispetto ad entrambe
le altre due produzioni, questo perché, paragonata
all’animazione tradizionale, ha in più a disposizione la
narrativa cinematografica e, paragonata ai film live, ha alla
base una struttura di pianificazione della storia molto più
solida e accurata.
Un ulteriore osservazione che potrebbe rafforzare questo
concetto è rappresentata dall’integrazione dell’animazione
tridimensionale nelle grandi produzioni a cartoon
tradizionale. Si può infatti notare che spesso, nei casi
in cui un cartoon tradizionale debba realizzare scene
particolarmente complesse (in riferimento più agli ambienti
che ai personaggi), molte produzioni preferiscono integrare
l’animazione 3D piuttosto che mantenere omogenea
la produzione bidimensionale disegnando tutte le rese
prospettiche necessarie; evidentemente, se le produzioni
arrivano addirittura a cambiare metodo produttivo, significa
che realizzare queste scene in animazione bidimensionale
risulta poco conveniente rispetto alle possibilità offerte dal
3D che garantisce, una volta realizzato l’ambiente, di poter
ottenere tutte le viste prospettiche desiderate e poterle
cambiare senza più fatica; ne sono esempi gran parte dei
prodotti di animazione giapponese, dalle opere di Miyazaki
216
come “la città incantata” o “il castello errante di Howl” ma
anche alcune produzioni americane come “La Bella e la
Bestia” della Disney o “Il principe d’Egitto” e “Spirit” della
Dreamworks.
In conclusione, vista l’importanza del linguaggio
cinematografico soprattutto in riferimento all’animazione
tridimensionale, va specificato che, tra le infinite possibilità
di montaggio possibili, l’animazione utilizza quasi
esclusivamente le tecniche del montaggio a Découpagè
classico che sono le più tradizionali e si basano sull’idea
di un montaggio invisibile, cioè non percepito dallo
spettatore, che guida la visione facendo scivolare il pubblico
nella storia facilitando l’immedesimazione, favorendo
la chiarezza espositiva, la drammatizzazione dell’azione
e il mantenimento della continuità tra un’ inquadratura
ed un’ altra per non disorientare la visione. Ho raccolto
quindi nei seguenti capitoli una serie di indicazioni di base,
pratiche ed essenziali, per poter costruire un discorso
filmico appropriato; queste informazioni riguardano le
caratteristiche dell’inquadratura e della sua composizione
interna, le possibilità offerte dai movimenti di camera e la
grammatica visiva nella composizione del montaggio.
La grammatica cinematografica
Introduzione
7.2 Elementi di Grammatica Cinematografica
L’ inquadratura è l’unità di base del discorso filmico, di
questa grammatica; essa non solo mostra qualcosa, ma lo
mostra in un determinato modo: determina un certo punto
di vista, dirige lo sguardo e l’ attenzione dello spettatore e
quindi ne influenza conseguentemente l’ interpretazione,
facendo scaturire determinate emozioni. Dal momento in
cui un’inquadratura viene posta in essere, non rappresenta
mai un punto di vista neutrale, il modo in cui essa si
mostra allo spettatore, che sia voluto oppure no, ne vizia
inevitabilmente l’interpretazione.
Unendo tra loro due inquadrature poi, si procede alla
composizione della storia, ovvero al montaggio. Anche se la
sua esistenza non è essenziale alla storia (potrebbe esserci
un unica inquadratura fissa senza montaggio), quando
c’è, riveste un ruolo di primaria importanza, migliorando
la percezione tridimensionale della scena e dirigendo la
narrazione e la visione.
Le inquadrature durante il montaggio non vanno trattate
come tasselli di puzzle, ma come unità complesse, ricche
e dinamiche; ogni inquadratura che si lega alle precedenti,
non si limita a seguirle, ma le completa arricchendole di
nuovi significati e connessioni che vanno ben al di là del
valore della singola inquadratura.
Il lavoro di “taglio e cucito” delle parti della storia operato
dal montaggio, va quindi al di là della semplice operazione
di unione, è un’ operazione artistica di congiunzione, che
non solo permette di mostrare una storia, ma si preoccupa
di raccontarla in un determinato modo, manipolando le
immagini, lo spazio, il tempo e il sonoro.
Bisogna inoltre considerare che il montaggio utilizza
una punteggiatura visiva, determinata dagli stacchi
netti oppure ottici come dissolvenze, tendine o iris, ma
anche dall’insieme di metodi che è possibile utilizzare
per manipolare lo scorrimento a video dell’immagine
cinematografica; questo linguaggio, per esempio, può
creare delle pause di narrazione utilizzando i movimenti
di camera, può creare degli accenti di narrazione usando
gli zoom, oppure creare punti e virgole nella narrazione
usando varie dissolvenze e stacchi. Possiamo quindi
concludere che il montaggio, operando una selezione
e ricombinazione delle parti e aggiungendovi una
punteggiatura visiva, contribuisce a viziare ulteriormente
la visione dello spettatore, attribuendo alla storia uno
specifico carattere e una determinata interpretazione.
Prima di passare ad analizzare meglio le componenti
dell’inquadratura e del montaggio, approfondiamo alcuni
termini cinematografici e alcune nozioni: in riferimento alla
mente che organizza e gestisce il flusso audio-video che
scorre davanti agli occhi dello spettatore, è stato definito
il termine tecnico di istanza narrante (o superiore), che
organizza le scene e manipola le immagini, il tempo e il
sonoro in un determinato modo, al fine di mostrare al
pubblico determinate cose, facendogli provare determinate
sensazioni. L’istanza narrante, come uno scrittore nei suoi
romanzi, ha un totale controllo sulla narrazione e può
intervenire in vari modi rendendosi più o meno manifesta
al pubblico: può scegliere di mostrare semplicemente
una situazione, facendo scivolare lo spettatore nella
vicenda senza che questi si accorga di una precisa
costruzione, oppure può rivelarsi al pubblico intervenendo
a commentare una situazione, oppure manipolando la
visione (il tempo e lo spazio) in modo tale da creare altre
forme di significazione, oppure ancora gestendo il flusso di
informazioni tra personaggi e spettatori, per determinare
particolari sensazioni.
Il regista, come istanza narrante, dovrebbe trovare il
modo migliore per raccontare la sua storia gestendo
217
queste possibilità in vari modi nei vari momenti della
narrazione.
A proposito del flusso di informazioni che un film distribuisce
agli spettatori, possiamo notare che attraverso le immagini,
le scritte, le parole, i suoni e i rumori si forniscono
delle informazioni; l’istanza narrante (il regista) ha la
possibilità di manipolare queste informazioni, mostrando o
occultando determinate immagini agli spettatori durante la
visione, al fine di suscitare in loro determinate sensazioni.
In particolar modo, riuscire a creare dei sentimenti di
suspence o sorpresa in determinate situazioni può rivelarsi
una carta vincente nelle mani del narratore.
La strategia narrativa per cui si insinuano sentimenti
di attesa o suspence nello spettatore dipende dalla
distribuzione delle informazioni tra personaggi e pubblico
all’interno di una determinata situazione; in certe situazioni
di tensione infatti, se il pubblico ha le stesse conoscenze
dei personaggi, al verificarsi di un evento improvviso (per
esempio una bomba) reagirà con uguale stupore; se
invece il pubblico ha a disposizione più informazioni dei
personaggi e sa cosa sta per accadere, (sta per scoppiare
una bomba ma i personaggi non lo sanno) si creerà
suspence negli spettatori e ci sarà maggiore tensione. Si
parla allora di focalizzazione in riferimento alla strategia
narrativa messa in atto dall’istanza narrante per gestire il
flusso di informazioni in una storia, allo scopo di gestire le
emozioni degli spettatori. Praticamente l’istanza narrante
può gestire i rapporti di sapere tra personaggi della storia
e spettatori in tre modi: nel primo caso lo spettatore e il
personaggio del racconto sono a conoscenza delle stesse
informazioni (focalizzazione interna); nel secondo caso lo
spettatore ha più informazioni perché gli vengono mostrate
più cose (focalizzazione spettatoriale o zero), nel terzo
caso è il personaggio a sapere più cose dello spettatore
perché il narratore non ne fa conoscere i pensieri o le
218
intenzioni (focalizzazione esterna); in quest’ultimo caso
gli spettatori saranno più incuriositi dalle situazioni perché
non ne comprendono a pieno il significato. Visto che vedere
implica il sapere, e un film è un mezzo audiovisivo, vediamo
come questo sapere può essere praticamente mostrato
sullo schermo; teniamo però presente che vedere implica
un sapere parziale perché le immagini possono ingannare
lo spettatore, mostrando qualcosa che poi si contraddice con
parole, suoni, rumori ecc...
L’ocularizzazione si occupa di stabilire la differenza tra ciò
che il personaggio della storia vede, rispetto a ciò che la
Mdp mostra allo spettatore, quindi cosa un personaggio
conosce e cosa conosce lo spettatore. Le principali
possibilità a disposizione della camera sono due: mostrare
ciò che vede il personaggio (ocularizzazione interna) o
mostrare ciò che vede la camera senza la sua mediazione
(ocularizzazione zero); il punto di vista del personaggio
può essere una soggettiva vera e propria (ocularizzazione
interna primaria) oppure mostrare il personaggio che
guarda insieme a ciò su cui egli concentra la sua attenzione
(ocularizzazione interna secondaria); mentre per quanto
riguarda la visione esclusiva della Mdp, essa può scrutare
come un occhio gli elementi più importanti in scena facendo
dimenticare la sua presenza (enunciazione mascherata)
oppure vincolare la visione con una certa autonomia,
rivelando la presenza dell’ istanza superiore che decide
cosa mostrare o nascondere allo spettatore (enunciazione
marcata). Queste sono le principali possibilità offerte ad un
regista nell’ambito della narrazione e dovrebbero essere
intelligentemente sfruttate per gestire la narrazione e il
coinvolgimento dello spettatore.
La grammatica cinematografica
Introduzione
7.3 L’Inquadratura
Per quanto riguarda sia il filmico che il profilmico possiamo
avere tre diversi tipi di combinazioni d’inquadratura:
L’inquadratura è l’unità base del discorso filmico e può
essere definita come la rappresentazione in continuità
di un certo spazio per un certo tempo. Un’inquadratura
corrisponde ad un punto di vista più o meno immaginario.
Spazialmente un’inquadratura è delimitata dai quattro
bordi che compongono il quadro della ripresa mentre,
temporalmente parlando, è determinata da un inizio,
che corrisponde al finire dell’inquadratura precedente,
e una fine, che corrisponde all’inizio dell’inquadratura
successiva.
L’inquadratura spesso si confonde con il “piano”, ma sono
due cose distinte; il termine “inquadratura” corrisponde
alla “messa in quadro” di un determinato spazio, mentre
il piano è la porzione di spazio inquadrata; parlando di
inquadratura perciò ci si riferisce al rapporto tra ciò che
viene e non viene mostrato, parlando di piano ci si riferisce
alla sua organizzazione e composizione.
In generale, un’inquadratura è data dalla somma delle
scelte relative a due macro-elementi che sono il profilmico
e filmico: il profilmico rappresenta tutto ciò che viene
posto in inquadratura, dinnanzi allo spettatore, e come
viene organizzato, cioè la messa in scena che riguarda
ambienti, personaggi, luci, colori... il filmico indica invece
il modo in cui questo profilmico viene rappresentato,
ha quindi a che fare con il linguaggio cinematografico,
con il posizionamento della Mdp, con i piani e i campi, i
movimenti di camera, oggettive e soggettive, il rapporto
campo-fuoricampo ecc...
Ogni inquadratura quindi non solo mostra qualcosa ma è
il prodotto di alcune scelte ragionate che si preoccupano
di mostrare quel qualcosa in un determinato modo allo
spettatore.
1.
2.
3.
4.
Profilmico
Profilmico
Profilmico
Profilmico
statico - filmico statico.
statico - filmico dinamico.
dinamico - filmico statico.
dinamico - filmico dinamico.
La staticità/dinamicità del profilmico è essenzialmente
legata ai movimenti degli attori o degli oggetti in scena,
quella del filmico ai movimenti della Mdp.
Per quanto riguarda la composizione dell’inquadratura,
abbiamo invece tre possibili situazioni in scena:
1. Dialogo senza azione.
2. Azione senza dialogo.
3. Dialogo in azione.
Queste sono ovviamente categorie semplificate, esistono
molte più variazioni specifiche a disposizione di un regista,
per esempio il dialogo potrebbe essere quello dell’istanza
narrante invece che quello dei personaggi, oppure l’azione
dei personaggi potrebbe essere determinata dal movimento
di un mezzo di trasporto sopra al quale siedono statici gli
attori, oppure perfino tutte e tre le categorie potrebbero
intervenire consecutivamente in un unica inquadratura...
ma cerchiamo di ragionare per termini generali.
219
Lunghezza focale:
la macchina A ha un
lungo fuoco e quella
B un grandangolare.
Si nota infatti che,
a parità apparente
delle dimensioni del
personaggio in campo,
cambia la porzione di
sfondo alle sue spalle.
Quando una di queste scene deve essere tradotta in
immagine, in inquadratura, bisogna sempre tenere
presente i seguenti quattro fattori:
1. La composizione interna dell’inquadratura, quindi
la collocazione degli elementi e i rapporti che si
instaurano tra di loro.
2. La distanza tra camera e personaggi, che determina
il numero di personaggi e oggetti presenti nel quadro
e la porzione di ambiente in cui sono collocati;
nonché pone enfasi alla situazione tramite la
vicinanza o lontananza dai soggetti.
3. I movimenti dei personaggi coinvolti, che a seconda
dell’ampiezza, determinano l’uso di specifici
movimenti di camera.
determina l’importanza di una determinata scena tramite
l’avvicinamento e l’allontanamento di campo.
A seconda della vicinanza o lontananza dai soggetti infatti,
si pone enfasi a determinati momenti della narrazione;
generalmente, avvicinandosi si concentra l’attenzione,
allontanandosi invece, si amplia il campo di visione e si
crea un maggiore distacco dalla situazione, fornendo una
pausa di respiro alla narrazione. Un buon regista deve
saper gestire intelligentemente i vari momenti del film,
intervallando inquadrature ampie e distese, che permettono
al pubblico di rilassare la tensione, a inquadrature più
ravvicinate e coinvolgenti emotivamente.
2. Lunghezza Focale dell’Obiettivo
4. Il rapporto della singola inquadratura con le parti che
la precedono e che la seguiranno in fase di montaggio;
per produrre un buon attacco.
Stabiliti i termini generici di approccio, vediamo di analizzare
meglio la composizione dell’inquadratura:
Ad
influenzare
la
composizione
tridimensionale
dell’inquadratura concorrono tre principali fattori:
1. LA DISTANZA
La distanza cinematografica rappresenta la distanza tra
la Mdp e il soggetto ripreso, è una caratteristica molto
importante perché, oltre a determinare la messa in scena
e precisare il numero di personaggi/oggetti coinvolti,
collocati in una porzione di spazio più o meno ampia, essa
220
La distanza tra soggetto-Mdp è determinata non solo dalla
posizione della camera, ma anche dalla lunghezza focale
dell’obiettivo utilizzato, che determina l’ampiezza di campo
abbracciato. Come regola generale, la lunghezza focale delle
lenti è inversamente proporzionale all’ampiezza di campo
abbracciato. Le lenti degli obiettivi, in base alla loro capacità
di ingrandimento, si dividono in tre categorie: normali,
grandangolari, teleobiettivi: un’ottica normale riproduce
le distanze così come appaiono all’occhio umano, mentre
grandangolari e teleobiettivi, rispettivamente aumentano
e diminuiscono la distanza apparente dai soggetti ripresi
La grammatica cinematografica
Introduzione
(lente normale a lunghezza focale 50mm=46° gradi di
ampiezza di campo - lente grandangolare a 35mm=63° teleobiettivo lente a 135mm=18°). Le lenti grandangolari
sono utilizzate solitamente per dare più imponenza alle
costruzioni, aumentandone il volume e il senso prospettico.
A proposito delle lenti, bisogna comunque tenere in
considerazione che, da una data posizione, un movimento
della Mdp non produce mai lo stesso effetto del cambio di
una lente; osservando il disegno (dove la macchina A ha
un lungo fuoco e quella B un grandangolare) si nota infatti
che, a parità apparente delle proporzioni del personaggio
in campo, cambia la porzione di sfondo alle sue spalle.
In relazione agli obiettivi, è importante sapere che, col
diminuire della lunghezza focale delle lenti, l’intervallo
tra i soggetti lontani e quelli vicini risulta maggiore,
conseguentemente si accentuano gli spazi fra i vari piani,
aumenta la profondità di campo (zona entro la quale tutto
è a fuoco) e aumentano le deformazioni prospettiche dei
soggetti ripresi. Viceversa, per l’aumento della lunghezza
focale. Considerando poi i movimenti effettuati in direzione
della Mdp, ad una minore lunghezza focale delle lenti
corrisponde una maggiore velocità apparente delle azioni;
al contrario, ad una maggiore lunghezza focale corrisponde
un rallentamento. Per i movimenti trasversali, invece, l’
aumento della velocità apparente e del ritmo dell’azione,
corrisponde ad una lunghezza focale maggiore.
3. Posizionamento della Mdp:
inclinazione-angolazione-altezza
Il terzo fattore che determina la composizione di
un’ inquadratura è la posizione della macchina da presa,
in relazione alla sua angolazione, inclinazione e alla sua
altezza in rapporto al rappresentato. Partendo da un’
Inquadratura di base
frontale rispetto la
linea dell’orizzonte e
senza inclinazioni.
inquadratura di base dove la Mdp è posta frontalmente
rispetto all’asse orizzontale e verticale che divide in due il
soggetto ripreso e si trova alla stessa altezza, è possibile
derivare un’infinita serie di posizioni della Mdp posta lungo
questi assi orizzontali (destra-sinistra), verticali
(alto-basso) e in profondità (davanti-dietro). Si devono
inoltre tenere in considerazione anche le posizioni inclinate
dell’inquadratura in cui la sua base non è parallela alla linea
dell’orizzonte nel rappresentato.
Rispetto a questa posizione di base, qualsiasi angolazione,
inclinazione e altezza acquista un suo particolare significato
perché rappresenta la volontà dell’istanza narrante di
conferire un determinato valore all’oggetto rappresentato.
In particolarmodo inquadrature molto inclinate dal basso
verso l’alto o dall’alto verso il basso vengono usate per
ingigantire o svilire i personaggi ripresi: una ripresa dal
basso accentua l’imponenza e la forza del soggetto della
visione, viceversa, una ripresa molto inclinata dall’alto
verso il basso tende a sminuire e svilire i personaggi
inquadrati, sottolineandone lo stato d’inferiorità.
Questo non significa che tutte le inclinazioni così effettuate
abbiano questo particolare effetto sulla scena, sono delle
linee generali; ogni inquadratura è ovviamente inserita
in un contesto e il suo significato va ricercato anche in
relazione ad esso.
221
Scala dei piani in
ordine dall’alto:
campo lunghissimo
campo lungo
campo totale
figura intera
dettaglio
figura intera
piano americano
mezza figura
primo piano
primissimo piano
particolare
7.4 Scala dei Piani e Angolazioni
Stabilito che la distanza reale ha un significato relativo, la
pratica professionale ha introdotto delle distinzioni nella
scala dei piani per definire i rapporti di distanza Mdp e
soggetto/oggetto rappresentato; questa scala parte da
inquadrature più ampie e distanziate, definite campi, per
arrivare poi a piani più ristretti e ravvicinati; per i campi
il parametro di base è il paesaggio, per i piani è la figura
umana, vediamo quindi le distinzioni:
CAMPO LUNGO/LUNGHISSIMO: porzione di spazio estesa,
se è presente la figura umana, essa è subordinata al ruolo
di semplice elemento ambientale. Ha principalmente
una funzione descrittiva e spesso viene utilizzato per
sottolineare il rapporto personaggio-ambiente, anche con
valenze simboliche (unione/disgiunzione da uno spazio). Il
campo lungo può servire a riprendere spazi vasti o gruppi
numerosi, solitamente è usato per introdurre una scena,
stabilendo la collocazione dei personaggi; a volte viene
utilizzato per estraniare l’osservatore dalla situazione
rappresentata.
PIANO AMERICANO: la figura umana viene inquadrata
dalle ginocchia in su.
CAMPO MEDIO: porzione di spazio in cui l’elemento
ambientale e la figura umana sono in equilibrio, quest’ultima
occupa circa 1/3 o una metà dello spazio rappresentato. Il
campo medio è simile al punto di vista teatrale.
PARTICOLARE: porzione del corpo o del volto umano
CAMPO TOTALE: rappresentazione per intero di un
ambiente in cui sono in campo tutti i personaggi che
prendono parte alla scena.
222
FIGURA INTERA: la figura umana occupa un ruolo
dominante rispetto allo spazio ripreso, occupa circa 2/3 o
più della verticale dell’immagine.
MEZZA FIGURA: la figura umana inquadrata dalla vita in su.
PRIMO PIANO: la fig. umana è inquadrata dalle spalle in
su. La funzione del primo piano è essenzialmente quella
di mettere in scena l’intimità dello spettatore, favorendo
l’introspezione da parte del pubblico.
PRIMISSIMO PIANO: viene inquadrato solo il volto
DETTAGLIO: piano ravvicinato di un determinato oggetto
Queste distanze sono abbastanza flessibili e non sempre
perfettamente identificabili in una piuttosto che in un’ altra.
Ciò che è importante sottolineare è che ogni inquadratura
non ha una funzione precisa che la caratterizza, per cui
non c’è nessun criterio che stabilisce quale sia meglio
utilizzare in una situazione, la scelta di un piano è una
La grammatica cinematografica
Introduzione
scelta ragionata in base alla situazione da rappresentare e
all’importanza che deve avere nella storia, in base quindi
al montaggio da effettuare.
L’unico criterio basilare valido per tutte le inquadrature
in fase di montaggio è che, quando si giuntano due
inquadrature, bisogna sempre evitare che queste siano
troppo simili tra di loro; questo perché in questi casi lo
stacco non viene percepito come tale, a causa dell’eccessiva
somiglianza, e si produce nello spettatore un disturbo
visivo interpretato come un errore di visione.
Sempre riguardo a piani e campi, però, in fase di
montaggio, va specificato che si parla di piano sequenza
quando un’ unica ripresa ininterrotta, senza stacchi o tagli,
copre l’azione equivalente ad un’intera scena o sequenza
(o quasi); si parla invece di piano d’ambientazione quando
vi è un’ inquadratura prettamente descrittiva che avvia
una scena col compito di introdurne i caratteri ambientali,
per dare le informazioni necessarie ad una corretta
comprensione dell’episodio che segue.
7.5 Oggettive e Soggettive
La Mdp partecipa alla vicenda del film tramite inquadrature
che vengono definite oggettive e soggettive a seconda
della visione e dell’identificazione dello spettatore: le
oggettive sono le inquadrature in cui la Mdp rappresenta
un testimone invisibile che scruta la scena da diverse
angolazioni.
Lo spettatore in questi casi si identifica con la visione
interpretandola come uno sguardo neutrale (identificazione
primaria). Le oggettive possono essere particolarmente
utili per scrutare posti ermeticamente chiusi, spazi infiniti o
luoghi desolati restituendo il senso di completa solitudine;
vengono distinte tra oggettive reali o irreali, a seconda che
siano effettuate da punti normalmente accessibili all’occhio
umano oppure no.
Le soggettive sono invece inquadrature in cui il punto di
vista del pubblico coincide con quello di un personaggio
della storia e sono essenziali per favorire l’identificazione
dello spettatore (identificazione secondaria).
Attraverso lo sguardo del personaggio lo spettatore viene
proiettato in scena e viene spinto non solo a vedere come
il personaggio ma anche a vivere le sue stesse emozioni;
questo meccanismo favorisce quindi un senso di lettura
particolareggiato a favore del soggetto per cui si compie
l’identificazione.
La soggettiva inoltre, coincidendo con l’occhio di un
personaggio, diventa espressione diretta del guardare
e quindi di tutto ciò a cui questo guardare è collegato;
può per esempio rivelare interesse, amore, invidia, sfida o
ammirazione; può mostrare uno sguardo che si perde nel
vuoto di un ricordo, un pensiero, un sogno; può interpellare
direttamente lo spettatore o mostrare rapporti privilegiati
tra personaggi che si scambiano sguardi.
Come si fa una soggettiva: tecnicamente per effettuare una
soggettiva Edward Bergman stabilisce che si deve partire
innanzitutto da un’oggettiva che riprende un determinato
punto dello spazio dove è posizionato l’osservatore;
quindi, successivamente, deve avvenire una transizione
(solitamente uno stacco) ad un’altra inquadratura (la
soggettiva) in simultaneità o continuità temporale, in cui
viene mostrato l’ oggetto guardato dall’osservatore, da una
posizione che si presume essere quella del personaggio
mostrato nella prima inquadratura.
Praticamente una soggettiva deve essere introdotta
da un’oggettiva che ci mostra il personaggio che sta
evidentemente scrutando una situazione (meglio se
223
effettua un movimento evidente o se guarda direttamente
in camera) quindi solo a questo punto si effettua il
passaggio alla soggettiva vera e propria dove lo spettatore
guarda attraverso gli occhi del personaggio che ha
precedentemente identificato. Esistono poi delle eccezioni,
chiamate soggettive stilistiche, per cui una soggettiva può
non essere preceduta da
un’ oggettiva quando il punto di vista di un personaggio
è talmente indubbio che non è necessario introdurlo con
un’oggettiva; degli esempi potrebbero essere la soggettiva
di un ubriaco, di un animale, di uno che guarda col
binocolo o di una persona in movimento; si utilizzano
perciò effetti deformanti, retini colorati, mascheramenti
della camera, rovesciamenti o oscillazioni. Oltre alla
soggettiva convenzionale esistono altri due modi di
presentare una soggettiva in inquadratura: il primo consiste
in una soggettiva che non rispetta tutti i canoni di una
normale visione (semi-soggettiva) ponendosi in maniera
differenziata rispetto alla posizione dell’osservatore (più
vicina o più angolata) oppure mostrando delle parti
dell’osservatore (da dietro la nuca o le spalle); il secondo
caso, meno comune, implica il passaggio da una soggettiva
ad un’oggettiva nella stessa visione, per cui un esempio
potrebbe essere una soggettiva che mostra l’avanzare di
un personaggio e che in un secondo momento si ferma
facendo entrare in campo l’osservatore (falsa-soggettiva).
7.6 Il Fuoricampo
L’ immagine in inquadratura è definibile suspence sulla
base di un doppio criterio spaziale: lo spazio rappresentato
e quindi in campo e lo spazio che si presume esista ma
non è rappresentato, cioè il fuoricampo, ma fa parte di
quell’ambiente generale di cui l’inquadratura non è altro
che un prelievo. Campo e fuoricampo sono spesso legati
da un rapporto di reversibilità per cui basta un movimento
di camera a invertirne i ruoli, mettendo in campo ciò che
prima era fuoricampo e viceversa; compito della narrazione
filmica è quello di mettere in comunicazione e rendere
reversibili questi due spazi.
Il fuoricampo viene suddiviso in sei zone di spazio attorno
alla macchina da presa, queste sono le zone intorno
all’inquadratura, cioè in basso, in alto e ai lati, più quelle
oltre la scenografia e dietro la macchina da presa.
Diversi sono i modi di mettere in relazione questi spazi con
lo spazio interno dell’inquadratura, rendendo consapevole
il pubblico dell’esistenza del fuoricampo:
1. Entrate/uscite di campo di personaggi/oggetti.
2. Sguardi fuoricampo come anche i movimenti e le
parole ad esso indirizzati.
3. Suoni fuoricampo, ambientali (strumenti, mezzi, apparecchiature) o di personaggi.
4. Inquadrature parziali di oggetti e personaggi
Il primo metodo è quello delle entrate e uscite di campo,
che possono avvenire da e verso ognuna delle sei zone
descritte sopra, ma generalmente avvengono lungo l’asse
orizzontale destra-sinistra oppure oltre la scenografia,
spesso tramite una porta.
Un altro modo per rendere tangibile il fuoricampo sono
224
La grammatica cinematografica
Introduzione
gli sguardi del personaggio, come anche i suoi gesti o le
sue parole indirizzate verso l’esterno dell’inquadratura;
questi movimenti inducono inevitabilmente lo spettatore
a farsi delle domande a riguardo di ciò che il personaggio
vede ma che non è dato a vedere o sapere, suscitando
così sentimenti di attesa o suspence. Un terzo modo per
rivelare la presenza del fuoricampo è il sonoro, attraverso
il “suono off”, ovvero un suono fuoricampo la cui fonte
rimane estranea all’inquadratura, come per esempio il
suono del traffico, di una radio o anche di una persona
che parla; il “suono off” aggiunge credibilità, esplicita la
presenza di un ambiente esterno e può essere utilizzato
sia per contestualizzare un ambiente (ex. suoni di un
ufficio) sia per suscitare quel senso di attesa e curiosità
descritto sopra, derivante dal fatto di non poter vedere
o sapere un qualcosa che i personaggi invece vedono e
conoscono. Un ultimo metodo per rendere il fuoricampo è
quello di utilizzare inquadrature parziali di un personaggio,
mostrando al pubblico solo delle parti, spesso non
riconoscibili; anche in questo caso lo spettatore è spinto
a porsi delle domande. Il fuoricampo può quindi rivelarsi
in modo evidente al pubblico suscitando curiosità nello
spettatore (fuoricampo attivo), oppure può rivelarsi in
maniera poco invasiva, fungendo solo da sfondo sonoro
per esempio (fuoricampo passivo); può essere esterno
o interno all’inquadratura (anche se celato allo sguardo
da qualche elemento profilmico), e può infine essere un
fuoricampo concreto o immaginario, a seconda che sia
stato o meno già mostrato.
7.7 Regole di Composizione in Inquadratura
L’inquadratura produce senso non solo attraverso la
distanza, la lunghezza focale e l’inclinazione, ma anche
attraverso la sua composizione interna e le relazioni che
vengono a instaurarsi nella disposizione degli elementi
rispetto al quadro come anche tra di loro.
In linea di massima, una buona inquadratura deve essere
bilanciata, cioè gli elementi al suo interno devono essere
disposti con equilibrio negli spazi del fotogramma; ciò non
significa che l’inquadratura deve essere per forza centrata
o geometrica, ma che gli spazi vuoti e pieni devono essere
in rapporto equilibrato.
E’ poi importante che i soggetti in quadro risultino
riconoscibili e che le loro caratteristiche peculiari siano
messe in evidenza; anche i livelli di altezza in cui sono
disposti i personaggi contribuiscono a determinarne la loro
importanza, sia nella composizione generale che tra loro.
A questo proposito è utile notare che l’occhio umano è
attratto dagli elementi che disturbano la continuità, quindi
oltre all’altezza possono influire anche la resa cromatica,
il movimento, la posizione o la disposizione, se risultano
diverse rispetto ad una massa omogenea: se, per esempio,
tutti sono vestiti scuri e un personaggio è vestito colorato;
oppure se tutti sono fermi e uno si muove e viceversa;
oppure ancora se tutti sono in piedi e uno è seduto; se
tutti sono in fila e uno non la rispetta ecc...
Questi accorgimenti possono essere particolarmente utili in
situazioni di folla. Un altro elemento che è bene sfruttare
in inquadratura è la profondità, disponendo gli elementi
nei vari livelli di profondità: disponibili o effettuando
movimenti in allontanamento/avvicinamento alla camera.
In generale ciò che avviene in primo piano ha la priorità su
ciò che avviene più in fondo.
225
La regola dei terzi
stabilisce di dividere
lo spazio rettangolare
dell’inquadratura in
tre colonne orizzontali
e verticali, quindi
di fare in modo
che gli elementi
in inquadratura
coincidano il più
possibile con queste
linee di divisione o
con gli spazi da esse
determinati.
E’ stato osservato che l’occhio umano tende a concentrare
l’attenzione in un solo punto sullo schermo, trascurando
gli altri, è quindi necessario prestare attenzione alla
composizione degli elementi in inquadratura, di modo
che quelli più importanti non vengano trascurati. Vediamo
allora alcune regole di base nate dal frutto dell’esperienza
di addetti del settore cinematografico e fotografico, che
nel corso degli anni hanno osservato i modi migliori per
la disposizione di personaggi e oggetti nel rettangolo
d’inquadratura, al fine di controllare meglio il messaggio
che essa invia allo spettatore:
risulta poco interessante rispetto ad una posizionata
leggermente a destra o a sinistra rispetto al centro, lungo le
linee di divisione; oppure che la linea dell’orizzonte risulta
migliore non se corre lungo il centro dell’inquadratura, ma
se posizionata in corrispondenza della linea di divisione più
in alto o in basso rispetto al centro, così da dare più spazio
al cielo o alla terra.
RIPRESA DELLA FIGURA UMANA
RULE OF THIRDS (Regola dei Terzi)
La regola dei terzi si occupa della disposizione degli elementi
in quadro in modo equilibrato, è usata in fotografia come
anche nel cinema e in qualsiasi caso in cui sia necessaria
una disposizione in quadro.
Questa regola stabilisce di dividere mentalmente lo spazio
rettangolare (qualunque sia la sua dimensione) in tre
colonne orizzontali e verticali, quindi di fare in modo che
gli elementi in inquadratura coincidano il più possibile con
queste linee di divisione o con gli spazi da esse determinati.
Notiamo quindi che una figura perfettamente centrale
226
sotto le cavità delle braccia: PRIMO PIANO
sotto il petto / MEZZO PRIMO PIANO
sotto la vita / MEZZA FIGURA
sotto il cavallo / PIANO AMERICANO
sotto le ginocchia / PIANO AMERICANO
La grammatica cinematografica
Introduzione
La pratica ha scoperto che la figura umana presenta dei
“tagli di ripresa” attraverso i quali è possibile ottenere
effetti gradevoli di composizione; bisogna prestare
attenzione a riprendere le persone come illustrato sopra
e a non tagliare mai all’altezza delle giunture, quindi alle
caviglie, alle ginocchia, al girovita, ai gomiti e al collo,
questo darà cattivi effetti. Quando si inquadra una figura
umana in campo totale devono essere sempre inclusi i
piedi per evitare di dare una cattiva impressione.
SFONDO NON INVASIVO
Bisogna prestare attenzione anche allo sfondo entro cui si
muovono i personaggi: è importante che l’ambientazione
non distolga l’attenzione dai personaggi principali e
dalle loro azioni e che lo sfondo non contenga oggetti
che collidano in modo evidente con i soggetti in primo
piano, creando strane unioni visive; se succede, è il caso
di riposizionare la camera o il personaggio, oppure si
potrebbe risolvere la situazione mettendo fuori fuoco lo
sfondo o avvicinando l’inquadratura.
POSIZIONI DEL CORPO E SPOSTAMENTI
Per quanto riguarda le posizioni del corpo e gli spostamenti
esistono delle regole che derivano direttamente dai principi
teatrali riguardo a come muoversi sul palcoscenico.
Le posizioni fisiche assunte dai personaggi non hanno tutte
la stessa valenza, alcune sono più forti in scena e altre più
deboli. Le posizioni principali sono tre: la posa frontale
è definita “aperta”, quella laterale è definita “neutrale” e
quella posteriore “chiusa”; le prime due, drammaticamente
parlando, sono le più forti, in realtà dipende dal contesto.
L’attore principale dovrebbe assumere quasi sempre
una posizione aperta, diretta verso gli spettatori; inoltre
dovrebbe essere posizionato più in fondo rispetto agli
altri personaggi, di modo da sovrastare leggermente
le loro figure in scena. L’aspetto dominante può essere
naturalmente scambiato con altri personaggi aprendo e
chiudendo la posizione del corpo.
I cambiamenti di atteggiamento corporeo risultano meno
evidenti e più naturali se eseguite quando il personaggio è
in movimento piuttosto che spostandolo da una posizione
statica ad un’ altra. Se un’ inquadratura è dinamica quindi,
si articola in più quadri che, mutando nel corso del tempo,
variano in distanza, altezza, angolazione e punto di vista.
Si può inoltre fare distinzione tra movimenti liberi o subordinati
a seconda che la Mdp si muova con autonomia oppure
seguendo un percorso specifico, allo scopo di mantenere
in campo un soggetto/oggetto in azione. I movimenti
subordinati sono ovviamente meno percepiti dallo
spettatore mentre invece i liberi rivelano la presenza di
un istanza superiore. In proposito possiamo notare che i
movimenti della Mdp possono essere più o meno importanti
a seconda delle situazioni e delle decisioni dell’istanza
narrante di rendersi o meno manifesta.
Sfondo non invasivo:
bisogna prestare
attenzione che lo
sfondo entro cui si
muovono i personaggi
non distolga
l’attenzione da loro o
dalle loro azioni.
227
Eye Level:
nelle riprese
ravvicinate al viso la
Mdp va leggermente
inclinata dal basso per
gli uomini e dall’alto
per le donne.
POSIZIONE DELLA TESTA
EYE LEVEL (livello occhi)
L’altezza della Mdp influenza il senso della rappresentazione.
Nelle scene comuni la camera è situata più o meno all’altezza
degli attori, siano essi seduti, in piedi o sdraiati, dando
l’impressione che esista un altro soggetto ad assistere
alla scena accanto a loro; difficilmente si mostrano piani
sopraelevati o rasoterra. Quando invece il punto di vista è
molto angolato, specialmente verso l’alto o verso il basso,
l’inquadratura determina un particolare effetto di senso:
se rivolta dal basso verso l’alto, conferisce importanza al
soggetto, incute timore e rende l’idea di un qualcosa che
incombe o giganteggia; al contrario, se rivolta dall’alto
verso il basso, tende a svilire, subordinare e schiacciare
il soggetto rappresentato. Nelle riprese ravvicinate al viso
non si dispone quasi mai la Mdp perfettamente frontale,
ma leggermente inclinata dal basso per gli uomini e
dall’alto per le donne.
228
La posizione della testa in inquadratura va considerata. Lo
spazio che sta tra la punta della testa di un personaggio
e l’estremità superiore del quadrato che compone
l’inquadratura, deve essere controllata: lasciare troppo
spazio tra il personaggio e il bordo dà l’impressione
che il soggetto stia affondando; mentre lasciare troppo
poco spazio focalizza l’attenzione sul collo. Bisogna
prestare attenzione al fatto che la linea degli occhi stia
sopra o sotto la prima linea orizzontale che divide lo
spazio dell’inquadratura secondo la divisione dei terzi
precedentemente accennata.
La grammatica cinematografica
Introduzione
Direzione di sguardo e
di movimento:
quando un soggetto
guarda in una
direzione o si sta
spostando verso una
direzione, è opportuno
lasciare uno spazio
maggiore nella
direzione in cui sta
guardando o verso cui
si sta spostando
DIREZIONE DI SGUARDO E DI MOVIMENTO
7.8 I Movimenti della MDP
Quando inquadriamo un soggetto che guarda in una
direzione, o che si sposta verso una direzione, è opportuno
lasciare uno spazio maggiore nella direzione in cui sta
guardando o verso cui si sta spostando; questo perché il
centro d’interesse si sposta davanti a lui, specialmente se
è di profilo. Nel caso in cui si stia muovendo poi, se venisse
posizionato male, si avrebbe l’impressione che il personaggio
stia andando contro l’estremità dell’inquadratura, uscendo
fuori campo. La posizione migliore in questi casi è perciò
con il soggetto posizionato più indietro rispetto al centro
dell’inquadratura, dando maggiore spazio allo spazio vuoto
davanti a lui.
Rispetto ai film degli albori, in cui la ripresa era unica e
fissa, l’ utilizzo della Mdp in movimento ha conferito ai film
una nuova libertà e una nuova dimensione, con altrettanti
possibilità narrative; sviluppandosi, però, è diventato
anche un facile “strumento di perdizione”. I movimenti
della Mdp infatti, se usati troppo o male, hanno la capacità
di distruggere l’illusione; nel primo caso diventando invasivi
e disturbando la visione dello spettatore; nel secondo
danneggiando il ritmo e la velocità della narrazione, e
conseguentemente storpiandone l’interpretazione. Il
movimento della Mdp deve essere sempre giustificato, deve
contribuire a raccontare la storia e quindi a migliorarla;
un buon regista deve sempre sapere come, quando e
perché effettuarlo, perché, se un movimento è inutile,
quasi sempre risulta dannoso e appesantisce la storia. Un’
inquadratura, indipendentemente da ciò che accade al suo
interno, può definirsi statica o dinamica
229
I movimenti di camera non si limitano a scrutare lo
spazio fisico del set ma a volte creano anche delle loro
connessioni e delle forme di significazioni indipendenti;
queste possono essere più o meno sentite dallo spettatore
e rappresentano la volontà dell’istanza narrante di
trasmettere un messaggio che deve essere dal pubblico
interpretato (più o meno coscientemente). Ovviamente
il fulcro della rappresentazione cinematografica sono
i personaggi, per cui la camera si indirizza in particolar
modo su di loro. Le principali funzioni dei movimenti della
Mdp sono:
1. Conferire tridimensionalità allo spazio bidimensionale
dello schermo.
2. Identificare l’ambiente in cui si svolge l’azione.
3. Identificare le posizioni di personaggi e oggetti
all’interno della scena.
4. Fornire informazioni più o meno dettagliate sia
sull’ambiente che su i personaggi e le loro reazioni
e relazioni.
Il movimento della Mdp si caratterizza per una propria
intensità, velocità, direzione, durata e tempo; spesso al
ritmo dato dalla somma di tutti questi elementi si conferisce
anche un valore emotivo, associandovi sentimenti di forza,
fretta, armonia, monotonia, calma, depressione ecc...
influenzati naturalmente anche dal contesto in cui si
svolgono. A volte poi, oltre a esprimere uno stato d’animo,
i movimenti della Mdp possono essere usati per enfatizzare
una situazione o una determinata battuta di dialogo, in
questo caso allora si usa far precedere la battuta dal
movimento per enfatizzarla, oppure, nel caso contrario, se
il movimento la segue, sarà lui ad essere enfatizzato.
Relativamente alle connessioni spaziali instaurate dai
movimenti macchina, si possono distinguere tre funzioni:
230
1. La funzione connettiva mette in relazione due o
più elementi profilmici tra loro, partendo da un’
inquadratura e spostandosi su di un’ altra, per
sottolineare comunanze, diversità o opposizioni.
2. La funzione estensiva conferisce un’ immediata
importanza ad un oggetto/soggetto in scena partendo
da un piano ravvicinato e allargando poi la visione ad
uno spazio più ampio.
3. La funzione selettiva funziona al contrario, parte
cioè da un piano più ampio e zoomma poi su di un
particolare soggetto/oggetto mettendolo in rilievo
Il tempo di un’ inquadratura è altrettanto importante e
si distingue per durata-velocità e ritmo; questi elementi
devono essere programmati con attenzione perché
influenzano la messa in scena di una determinata situazione.
Per quanto riguarda la durata, un movimento troppo
lungo o troppo corto danneggia l’esecuzione. Possiamo
notare che quando l’inquadratura è statica, la durata
dipende essenzialmente dal movimento che si svolge all’
interno dell’inquadratura; nel caso ci sia un movimento
di camera invece, la durata dipende essenzialmente dalla
gestione del movimento stesso della Mdp. E’ utile notare
che situazioni molto statiche come i dialoghi, si possono
risolvere con inquadrature molto dinamiche, per non
annoiare l’osservatore.
Ogni movimento della Mdp ha poi una certa velocità di
esecuzione, anche questa contribuisce alla comunicazione
della scena perché dà la possibilità di innescare determinati
sentimenti nello spettatore: rallentando il movimento
è possibile suscitare un sentimento di attesa mentre
velocizzandolo si possono generare situazioni di stupore,
con l’improvvisa comparsa di determinati elementi in
scena. Da non sottovalutare infine la funzione ritmica di
La grammatica cinematografica
Introduzione
un inquadratura, in rapporto sia al suo movimento interno
(diegetico) che alla colonna sonora. I movimenti della
Mdp sono classificati in base alle apparecchiature usate
nei film live, si possono comunque facilmente rapportare
ai movimenti effettuati in animazione 2D o 3D, vediamo
quindi come si classificano:
CAMERA FISSA: la Mdp è statica
CAMERA A MANO: i movimenti di macchina procedono a
sobbalzi in modo discontinuo ed irregolare: nei film live
queste sono le riprese effettuate da un operatore che
sorregge la camera a mano o sulle spalle; essa implica un
rapporto più diretto con la realtà, dà vita ad un punto di
vista più soggettivo ed è tipico richiamo dei reportage.
Un particolare tipo di movimento è quello della Steadycam,
che, attraverso una particolare imbragatura sostenuta,
indossata o fissata ad un mezzo, permette di eseguire
riprese stabili in movimento senza subire alcun sobbalzo,
specialmente in situazioni difficili come la corsa, stop
improvvisi, la salita di scale, terreni sconnessi ecc.
PANORAMICA: la macchina da presa è fissa e ruota attorno
al proprio asse in senso verticale, orizzontale, diagonale,
circolare, o a 360° attorno al proprio asse. Una panoramica
può quindi esplorare un ambiente o seguire un soggetto
in movimento in modo continuativo o intermittente. Con la
panoramica è conveniente riprendere anche situazioni di
azione-reazione.
PANORAMICA A SCHIAFFO: panoramica molto veloce
utilizzata solitamente per creare un effetto sorpresa o per
presentare un salto di tempo o di spazio; alcuni usano
sfocare le immagini lungo il percorso.
CARRELLATA: la camera è in movimento, nei film live è
sistemata su di un carrello che scorre su dei binari o su
di un veicolo; il suo movimento può essere in avanti o
indietro rispetto ad un oggetto/soggetto, laterale verso
destra o sinistra, verticale, obliquo e circolare. Solitamente
è utilizzata per esplorare degli spazi o per seguire oggetti
e soggetti in movimento: in quest’ultimo caso può
essere una carrellata laterale, se segue parallelamente
un soggetto e lo riprende di profilo, oppure a procedere
o seguire, rispettivamente se precede il personaggio
inquadrandolo frontalmente o lo segue inquadrandolo di
spalle. Le carrellata è mantenuta spesso ad una distanza
costante dal soggetto/oggetto ripreso e si muove alla sua
stessa velocità costante.
CARRELLATA OTTICA (zoom): ottiene effetti di
allontanamento/avvicinamento tramite variazioni della
lunghezza focale dell’obiettivo. La differenza sostanziale
con una carrellata vera e propria risiede nel fatto che la
prospettiva in scena cambia; mentre con il movimento
della macchina, gli elementi in primopiano crescono di
misura più rapidamente di quelli di sfondo, con lo zoom
tutti gli elementi sono ingranditi allo stesso modo.
In pratica il movimento effettivo restituisce una maggiore
profondità di sfondo e una resa migliore dei volumi e
della solidità degli oggetti in scena, mentre una zommata
implica un maggiore appiattimento e lo sfondo sembra più
avvicinato a soggetti in primopiano.
CAMERA CAR: come dice la parola, è un tipo particolare
di carrellata in cui, nei film live, la Mdp è montata su di un
veicolo in movimento.
231
TRAVELLING: movimenti di macchina complessi che
uniscono alle possibilità dinamiche della panoramica e dei
carrello la possibilità di far salire e scendere la cinepresa
anche ad altezze elevate; nei film live si utilizzano appositi
macchinari come gru, dolly e louma, muniti di un braccio
meccanico mobile su di una piattaforma a ruote. Sono
utilizzati per descrizioni visive di ambienti complessi, ad
esempio partendo dall’alto e scendendo dal generale al
particolare o per inquadrare scene d’azione con gruppi
numerosi ecc... sono comunque movimenti che è meglio
progettare a priori.
RIPRESE AEREE: come dice la parola, sono le riprese
effettuate ad altezze elevate per cui nei film live si utilizza
l’aereo o l’elicottero
E’ utile citare, oltre a questi movimenti, la pratica comune
della re-inquadratura, che consiste in piccoli, e a volte
quasi impercettibili, movimenti di camera, effettuati
per rimediare allo sbilanciamento visivo causato dal
movimento di un personaggio o di un altro elemento della
composizione; nei casi in cui un personaggio si alza o si
siede per esempio, oppure quando un personaggio esce
dall’inquadratura, lasciando uno spazio vuoto.
LO ZOOM
Esistono tre modi principali per eseguire uno zoom:
1. L’ obiettivo zoomma verso o lontano da un soggetto fermo.
2. Lo zoom copre un soggetto in movimento.
3. Lo zoom viene eseguito anche con un movimento della
Mdp (in questo caso lo zoom può non essere percepito).
232
Comunque sia, lo zoom è di solito più giustificato se
effettuato in conseguenza di un movimento.
Possiamo notare che una lenta zoommata su di un
soggetto fermo, attrae l’attenzione sul movimento stesso
dello zoom, nel senso che il suo avvicinamento assume
la funzione di “scrutamento”, per esempio avvicinandosi
ad un soggetto pensoso o a degli occhi pieni di lacrime;
un rapido zoom invece, crea una punteggiatura visiva
mettendo in risalto il soggetto/oggetto rappresentato,
ed escludendo bruscamente tutto il resto, per esempio
mostrando un oggetto seminascosto in un taschino o un urlo
di spavento. Gli zoom lenti hanno spesso un ritmo costante
nell’avanzare/indietreggiare visivamente, dando l’idea di
un occhio che man mano si focalizza su qualcosa; quelli
veloci invece, usati solitamente per effetti shock, possono
avere una velocità costante oppure no. Nel caso la velocità
dello zoom sia variabile, un rallentamento in fase finale
produce un buon effetto; in questi casi però è sconsigliato
partire con uno zoom veloce e poi lento, perché causa un
effetto iniziale troppo brusco, meglio usare un movimento
lento-veloce-lento oppure lento-veloce. Ovviamente,
non è essenziale usare l’intera gamma di distanze focali,
zoommare in brevi sezioni è spesso più efficace. Lo zoom
può essere una buona variante per introdurre una nuova
scena: si può partire con degli oggetti in primopiano su di
uno sfondo fuori fuoco e poi invertire i fuochi per mostrare
l’azione principale dietro di essi dando l’impressione di uno
scorcio (ex. una rete, un cancello, degli oggetti su di un
tavolo...).
La grammatica cinematografica
Introduzione
The Incredibles (2004)
Walt Disney Pictures
Pixar Animation Studio
7.9 Lo Spazio
Un termine cinematografico che ricorre spesso in riferimento
ai rapporti spaziali e temporali è quello di “diegetico”, usato
per distinguere ciò che fa parte del mondo raccontato nella
storia da ciò che vi esula; il diegetico dipende dal rapporto
che si instaura tra il racconto e il suo destinatario, tra ciò
che viene mostrato e ciò che l’osservatore suppone che
esista; fanno parte del mondo diegetico gli ambienti, i
personaggi, le luci, le leggi fisiche ecc., extra-diegetico è
invece tutto ciò che è escluso dal mondo della storia, come
la voce del narratore o la colonna sonora (che non odono
i personaggi).
Lo spazio va quindi distinto in spazio della storia e spazio
del racconto a secondo che sia, rispettivamente, lo spazio
diegetico del film o lo spazio effettivo mostrato attraverso
gli scorci e le inquadrature della camera (è attraverso
quest’ultimo che lo spettatore ricostruisce lo spazio
diegetico della storia). Esistono due modi per rappresentare
uno spazio diegetico: un piano d’insieme dell’ambiente,
seguito da una serie di inquadrature parziali; oppure una
serie di inquadrature parziali che frammentano lo spazio
d’insieme senza mostrarlo mai nella sua interezza.
Mentre il primo dà vita ad un montaggio chiaro e definito,
tipico del cinema classico, il secondo richiede allo
spettatore di intervenire a unire tutti i segmenti per dare
vita allo spazio totale col la sua immaginazione; entrambi
i casi si riferiscono a quel gioco di segmentazione dello
spazio chiamato découpagè. Tecnicamente parlando,
attraverso il passaggio da un’ immagine (inquadratura)
ad un’ altra, vi sono diversi rapporti spaziali che possono
instaurarsi a seconda della vicinanza/lontananza degli
spazi rappresentati: i due principali rapporti spaziali sono
quelli di identità e alterità spaziale tra due inquadrature
successive, per cui nel primo rapporto di identità,
233
l’immagine che viene mostrata nella prima inquadratura
è presente anche nella seconda in maniera più o meno
ravvicinata/allontanata (ex. A-un cartellone pubblicitario
B-la scritta sul cartellone); mentre nel rapporto di alterità
le due immagini non si collegano direttamente ma possono
essere degli spazi vicini o lontani rispetto alla prima
inquadratura.
Nel caso di alterità spaziale abbiamo allora altre due
possibilità: si parla di contiguità spaziale in caso di spazi
contigui, come in una conversazione, oppure si parla di
disgiunzione spaziale per spazi lontani, privi della possibilità
di una comunicazione diretta; questi ultimi a loro volta si
dividono in disgiunzione di prossimità o distanza, nel caso
vi sia un collegamento visivo o sonoro come un telefono,
una radio, un binocolo, oppure no.
Lo spazio diegetico mostrato dalle inquadrature può
dar vita ad una pluralità di significati, può essere più o
meno realistico e può invitare lo spettatore a dare un
interpretazione sia dell’ambiente rappresentato, sia dei
rapporti che si instaurano tra ambiente-personaggio
(ex. ambiente costruito in base ad una dominante psicologica).
In molti casi poi lo spazio ha una funzione attiva rapportandosi
ai personaggi del racconto, sia a livello compositivo,
degli elementi che lo compongono (ex. stanza), sia a
livello narrativo, per cui si possono creare interessanti
rapporti spazio-personaggio basandosi sulla disgiunzione/
unione (dentro-fuori) del personaggio ad un determinato
luogo (casa-bar-nave) o ad un determinato ambiente
(naturale, cittadino-selvaggio). Molto spesso si costruisce
un ambiente attingendo ad elementi, anche non veritieri,
che appartengono all’immaginario comune legato a
quel determinato luogo, formatosi attraverso precedenti
rappresentazioni usate da vari media come libri, romanzi
o film; questi fungono da forte richiamo per un certo
ambiente stereotipato (ex.ambiente western).
234
7.10 Il Tempo
Innanzitutto si può notare che il tempo cinematografico
si esprime sempre al presente, per cui un’ azione
viene sempre rappresentata nel corso del suo svolgersi
indipendentemente dal fatto che sia un’ azione passata,
presente o futura. Anche il tempo, come lo spazio, si
divide in tempo diegetico e tempo filmico per le stesse
caratteristiche: il primo è il tempo effettivo della storia, in
cui gli eventi hanno una cronologia data, mentre il secondo
è quello del racconto nel film, in cui gli eventi possono
presentarsi con un diverso ordine. Per quanto riguarda il
tempo filmico, ogni evento può presentarsi agli occhi dello
spettatore con lo stesso ordine in cui accade nella storia,
oppure può essere manipolato dall’ istanza narrante in vari
modi, presentandosi con un ordine cronologico diverso o
con una frequenza di ripetizione che non rispecchia il reale.
Nell’analisi del tempo filmico si usa perciò rapportarlo a
quello reale in base a tre fattori:
1. L’ ordine in cui si verificano gli eventi.
2. La durata
3. La frequenza nel ripetersi.
Per quanto riguarda l’ordine cronologico, si distingue
innanzitutto tra fabula e intreccio, la fabula è in riferimento
alla reale sequenza temporale della storia, l’intreccio è in
riferimento all’ordine degli eventi così come si presentano
nel discorso filmico. Quando l’ordine degli eventi nel
racconto non è uguale a quello della storia, si incontrano
rimandi ad eventi passati o rimandi ad eventi futuri
chiamati rispettivamente analessi e prolessi.
Questi rimandi possono essere accompagnati da immagini
vere e proprie, e quindi vengono chiamati flashback o
La grammatica cinematografica
Introduzione
The Incredibles (2004)
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flashforward (evento passato o futuro) oppure possono
essere semplici parole di richiamano ad un determinato
evento, con le immagini che rimangono al presente. Questi
salti temporali devono essere sempre funzionali alla storia
e rispondere ad una determinata logica.
Le analessi in particolare assumono spesso il compito di
completare una mancanza o un’ omissione, di chiarire cioè
le cause di un determinato evento o di un determinato
comportamento; possono suscitare sorpresa rivelando
fatti imprevedibili o scioccanti.
Le prolessi sono invece più rare e assumono la funzione
di anticipare un determinato evento, hanno spesso un
carattere ambiguo rispetto alle analessi che rappresentano
un fatto certo; a volte anticipano perfino eventi che
non accadranno; la loro funzione è quella di indurre lo
spettatore a chiedersi non più che cosa accadrà ma il
perché accadrà.
Per quanto riguarda la durata invece, è importante
notare che la durata di un inquadratura dipende dal suo
contenuto: più un’ immagine è ricca di elementi, infatti,
più tempo deve essere concesso allo spettatore per
interpretarla; allo stesso modo, più una scena risulta
statica e più la sua durata dovrebbe essere limitata. Anche
la durata si distingue in durata della storia (1anno-una
vita) e durata del racconto (1h-2h di film) e ovviamente
quest’ultima è sempre inferiore perché generalmente in un
film si alternano momenti pieni, in cui i tempi della storia
e del racconto coincidono, e momenti interrotti da ellissi
temporali che separano un episodio dall’altro.
Il rapporto tra queste durate non si esaurisce con l’analisi
del film nella sua totalità ma diventa importante rispetto
all’analisi delle sue parti componenti, prendendo cioè in
considerazione singole inquadrature, scene e sequenze in
rapporto alla durata reale.
235
Il tempo di ogni episodio è collegato al ritmo e alla velocità
narrativa che spesso si modificano nel corso della visione
di una storia, per questo nel rapporto tra tempo della
storia (TS) e tempo del racconto (TR) si distinguono cinque
modalità di durata:
TR=N TS=0 PAUSA: questo momento coincide in lettura
con una descrizione, la storia è ferma ma il tempo del
racconto avanza; nel cinema può esserci un piano
d’ambiente su di un paesaggio, un campo vuoto in cui
nulla accade, un fermofotogramma o un rallenti.
TR>TS ESTENSIONE: in questo caso il tempo del racconto
è più lento di quello della storia, può esserci estensione nei
casi di un effetto slowmotion o un fermo immagine, oppure
quando vengono introdotte delle immagini descrittive
o simboliche o anche quando un determinato evento o
movimento viene ripetuto più volte.
TS=TR SCENA: è la forma assai comune per cui quel che
accade nello schermo ha la stessa durata effettiva che
nella storia.
TR<TS SOMMARIO: vengono effettuati dei salti temporali
per eliminare scene inutili o per accentuare il ritmo della
narrazione; a questo tempo corrispondono le sequenze
ordinarie con piccoli salti temporali, oppure le sequenze a
episodi, in cui una serie rapide di immagini in sequenza,
solitamente separate da dissolvenze o rapide panoramiche,
mostrano la scomposizione parziale di un determinato
evento temporale, come ad esempio lo scorrere delle
lancette di un orologio, lo sfogliarsi di un calendario...
236
TR=0 TS=N ELLISSE: salto temporale vero e proprio che
corrisponde letteralmente ad un silenzio testuale; può
essere utilizzato per eliminare tempi morti, accentuare
il ritmo narrativo oppure celare un episodio significativo,
interrompendolo bruscamente un azione o mostrandola
parzialmente lasciandola intendere.
Infine riguardo alla frequenza , ovvero al numero di volte
che un determinato evento si ripete o viene evocato nel
racconto filmico, si usa distinguere in racconto singolativo,
che avviene tante volte quante avviene realmente e
ripetitivo, che avviene per un numero di volte maggiore
al suo effettivo ripetersi nella storia; oppure iterativo, cioè
che avviene un’ unica volta quando invece si è ripetuto
più d’una.
Da considerare in quest’ultimo caso che, se anche un
immagine è di natura singolativa, può presentare un evento
solo nel momento in cui accade; la costante ripetizione
di un azione può essere mostrata da poche immagini
in successione che richiamano l’idea del ripetersi di un’
azione presentando piccole variazioni, oppure tramite
un enunciato verbale diretto quale “tutti i giorni faccio
colazione”.
7.11 Il Montaggio
Il montaggio opera un lavoro di selezione e combinazione
delle scene della storia, dando loro unità e continuità ai fini
di costruire il discorso filmico.
Il montaggio non è da confondere con il découpagè
tecnico, chiamato anche montaggio a priori, che
prevede l’organizzazione formale del film attraverso
la frammentazione della sua continuità, in unità
La grammatica cinematografica
Introduzione
cinematografiche di tempo e di spazio.
Essenzialmente il lavoro di montaggio consiste nell’unire
tra loro due inquadrature in successione (inq. A + inq.B)
ma, come abbiamo già accennato, questa non è una
semplice operazione tecnica di unione, ma un’ operazione
artistica di congiunzione, che crea nessi significativi tra le
inquadrature sulla base di un progetto narrativo, estetico
e semantico.
Le inquadrature sono infatti unità dinamiche e complesse
e la loro associazione crea dei significati che vanno ben
al di là del loro singolo valore (effetto kulesov). Nella
fase di montaggio inoltre, bisogna tenere presente che il
pubblico deve sempre sapere quale azione principale si
stia svolgendo in scena e come le persone coinvolte stiano
reagendo a questa azione; è importante perciò che il punto
di vista dell’osservatore si trovi nel posto (di volta in volta)
più favorevole a questa osservazione.
La funzione del montaggio è quella di raccontare la storia
in modo tale da conferirgli uno specifico carattere e una
determinata interpretazione, senza mai perdere l’attenzione
e la comprensione dello spettatore; il montaggio manipola
quindi non solo le immagini, ma anche lo spazio, il tempo
e il sonoro.
Il montaggio si occupa della gestione dello spazio e del
tempo diegetico (effettivo della storia) per la creazione
dello spazio e del tempo del racconto filmico: dal punto
di vista temporale, esso seleziona e mette in mostra i
momenti più importanti della storia, tralasciando gli altri
tempi inutili che rallentano il racconto o non aggiungono
niente di nuovo. Dal punto di vista spaziale invece, il
montaggio scompone lo spazio diegetico in diverse aree
o unità, mettendo in risalto alcune zone spaziali (eventi o
esistenti) piuttosto che altre.
Per quanto riguarda il tempo, il montaggio definisce ordine
di sequenza, durata e frequenza delle scene nella storia.
L’ordine di sequenza delle scene dipende dal rapporto
tra ordine degli eventi nella storia e ordine degli eventi
nell’intreccio filmico, può quindi rispettare o meno la
sequenza lineare e cronologica degli eventi.
La durata dipende invece dall’ inizio e dalla fine di un’
inquadratura e stabilisce il tempo a disposizione dello
spettatore per “leggere” ogni inquadratura (a questo
proposito una regola generale stabilisce che si deve
lasciare più tempo allo spettatore nelle inquadrature con un
maggiore livello di dettaglio perché richiedono più tempo
per essere “lette” (ex. campi lunghi), mentre occorre
accorciare i tempi nelle inquadrature che non richiedono
una attenta lettura (ex. primi piani e dettagli).
La frequenza infine dipende dal ripetersi o meno di alcuni
eventi nella storia e, come l’ordine di sequenza, può
rispettare la frequenza reale degli eventi oppure no.
Per quanto riguarda lo spazio, invece, il montaggio può
mostrare uno spazio totale e successivamente diverse
inquadrature parziali dello stesso, oppure uno spazio
frammentato, mostrando da subito più inquadrature
parziali senza mai dare una visione generale d’insieme,
lasciando allo spettatore il compito di ricostruire il tutto.
Ragionando in termini meno superficiali, lo spazio diegetico
può essere suddiviso dal montaggio in aree privilegiate, che
si alternano le une con le altre all’interno dell’inquadratura
definendo aree di conflitto o dei rapporti personali.
Come già specificato nei capitoli precedenti, il lavoro di
montaggio nei film live è ben più consistente di quello
operato in animazione, dove le scene sono già state
precedentemente organizzate con precisione; le immagini,
una volta prodotte, quindi, non sono soggette né ad una
particolare selezione (c’è pochissimo scarto) né ad una
particolare ricomposizione; ciò nonostante, durante la
237
fase di compositing finale, vengono eseguiti degli
aggiustamenti e alcune scene possono subire modifiche,
tagli e aggiunte, anche se non particolarmente consistenti.
Consideriamo quindi il montaggio come il risultato non
solo del compositing finale, ma anche del processo
ideativo eseguito in fase di pre-produzione della storia;
le regole rimangono comunque sempre le stesse, visto
che la grammatica cinematografica è una grammatica
unica. Premesso che le Single Shot sono inquadrature
frammentate (spesso di personaggi ripresi singolarmente)
che si usano alternativamente, cioè spostando l’attenzione
da un punto all’altro per coprire un evento per intero, e le
Master Shot sono invece inquadrature che coprono una
scena nella maggior parte o nella sua totalità; esistono tre
tipi principali di montaggio:
1. una master shot riprende l’intera scena
2. una Mastershot viene montata con inquadrature più
brevi che coprono frammenti della scena a distanze
diverse o immettono i soggetti in un altro luogo (queste
inquadrature brevi servono a porre enfasi sui personaggi
chiave)
3. due o più Mastershot sono montate in parallelo
ATTACCHI E STACCHI
Un elemento che sta alla base del montaggio è lo stacco,
cioè il passaggio da un’ inquadratura ad un’ altra. Lo
stacco viene percepito come tale, cioè fastidioso, perché
comporta inevitabilmente un cambio di visione, se non
nelle posizioni e direzioni, sicuramente nei volumi dei
personaggi in inquadratura; se durante uno stacco
238
non esiste un diversivo che distragga l’attenzione dello
spettatore, questo sicuramente sarà percepito malamente
dallo spettatore. Per evitare questo disagio sono state
ideate delle tecniche di raccordo tra un’inquadratura e un’
altra, che si basano essenzialmente sul mantenimento in
inquadratura delle stesse posizioni, degli stessi movimenti,
o delle stesse direzioni di sguardo o movimento.
L’attacco sul movimento, effettuato quindi staccando da un’
inquadratura ad un’altra durante un movimento (o subito
dopo) è il diversivo ottimale perché rallenta il movimento a
tal punto da non far notare la stonatura dovuta al cambio
di inquadratura; bastano anche spostamenti minimi di
sguardo o di espressione a distrarre l’attenzione superficiale
dello spettatore.
L’attacco è la risultante di un complesso di elementi
predeterminati in sede di realizza­zione quali l’ampiezza del
campo, la posizione della Mdp, i movimenti dei personaggi,
ecc., può essere essenzialmente di tre tipi:
ATTACCO SULL’ASSE: è un attacco il cui centro di
attenzione rimane nello stesso punto dello schermo nelle
due inquadrature giuntate. Permette l’ingrandimento o la
riduzione del soggetto mediante spostamenti di macchina
in avanti o indietro, lungo l’asse ottico dell’obiettivo o
mediante cambiamenti delle focali.
ATTACCO PER INQUADRATURE CONTIGUE: si definiscono
contigue due inquadrature di cui l’una risulta la prosecuzione
spaziale dell’ altra. L’applicazione abituale delle angolazioni
conti­gue avviene con soggetti in movimento che col
progredi­re dell’azione escono dal campo. Le inquadrature
contigue sono caratterizzate dal parallelismo degli assi
ottici e dalla costanza dell’angolazione del movimento del
personaggio.
Le uscite e le entrate del soggetto debbono es­sere
La grammatica cinematografica
Introduzione
raccordate in modo esattamente inverso: ad una uscita
a sinistra corrisponde un’entrata a destra e viceversa e
ad un’uscita dall’alto corrispondono un’entrata dal basso
e viceversa. E’ fondamentale che la velocità del moto sia
sempre la stessa al momento dell’attacco.
CONTROCAMPO: si intende letteralmente una inquadratura
opposta alla precedente che ne conserva la direzione, ma
ne inverte il senso. Tale attacco presenta l’inconveniente
di sconvol­gere la geografia dell’ambiente, invertendone gli
elementi. Gli oggetti che si trovano a destra, passano nella
seconda inquadratura a sinistra e viceversa.
7.12 Il Montaggio a Découpagè Classico
Sono stati definiti diversi modelli di montaggio, ognuno
con determinate caratteristiche (montaggio esterno,
interno, americano, parallelo ecc.), ciò nonostante, non
ne esiste in assoluto uno migliore, al massimo, ne esiste
uno più funzionale ad un tipo di racconto piuttosto che ad
un’altro. Nella pratica questi modelli possono ovviamente
fondersi tra loro, bisogna quindi valutare fra le diverse
componenti in gioco nella narrazione quella che assume
il valore dominante e scegliere il modello di montaggio
adeguato.
Dei modelli di montaggio esistenti, il cinema di animazione
fa ampiamente, per non dire esclusivamente, uso del
modello di montaggio a découpagè classico, vediamo
quindi le sue caratteristiche principali:
Il montaggio di découpagè classico viene anche definito
a montaggio invisibile, per sottolineare il fatto che questo
montaggio non si rivela allo spettatore, ma ne facilita lo
scivolamento nella finzione cinematografica, guidandone
la proiezione nella storia e facilitandone l’ identificazione;
questo tipo di montaggio decide per lo spettatore cosa
deve vedere, come deve vederlo, quando e per quanto
tempo. Lo spettatore è spinto a condividere naturalmente
il punto di vista dell’inquadratura perché ciò che viene
rappresentato è giustificato dalla geografia dell’azione e
dallo spostamento dell’interesse drammatico nella scena.
Nel montaggio a découpagè classico il tempo rispecchia
spesso la realtà: gli eventi sono presentati nella giusta
sequenza temporale (ad eccezione dei flashback) e nella
reale frequenza in cui si verificano; si ricorre perlopiù
all’uso di scene e sequenze, per cui la durata delle scene
rispecchia la continuità temporale della storia oppure
ricorre ad ellissi temporali per eliminare scene irrilevanti;
raramente si utilizzano estensioni temporali.
Nel montaggio classico la rappresentazione dello spazio
e del tempo è fortemente subordinata alla chiarezza di
narrazione, dando rilievo a ciò che si vuole far percepire
come più importante di altro; le tre principali caratteristiche
sono la motivazione, la chiarezza e la drammatizzazione:
il passaggio da un inquadratura ad un altra deve quindi
avere una ragione logica, rendere chiarezza all’azione o alla
situazione che si svolge e mettere in rilievo le componenti
drammatiche ed emotive della situazione rappresentata.
Questo montaggio viene definito invisibile perché si
costruisce attraverso il rispetto della continuità tra un
piano e l’altro, nel senso che la forza disgregatrice del
montaggio viene controllata per rendere il discorso filmico
il più scorrevole possibile nel passaggio da un’ inquadratura
ad un’ altra; a questo fine si utilizzano accorgimenti vari
quali la centralità dei personaggi e dell’azione rispetto allo
spazio inquadrato, il mantenimento della stessa posizione
degli elementi tra un’ inquadratura e un’ altra, l’omogeneità
dell’illuminazione ecc...
239
Raccordo di sguardo:
collega chi guarda con
chi viene guardato.
Per mantenere la continuità e per rendere il passaggio
tra un’ inquadratura e l’altra il meno evidente possibile si
utilizzano i raccordi, cioè dei collegamenti visivi di diverso
tipo, i principali sono i raccordi di sguardo, di movimento,
i raccordi sull’asse e quelli sonori (spiegati di seguito).
Un’altra regola per mantenere la continuità utilizzata per
lo più nelle scene di dialogo è inoltre quella dello Spazio
a 180°, in cui attraverso l’uso del campo-controcampo,
si usa effettuare un avvicinamento progressivo ai due
interlocutori costruendo così il climax dell’azione.
Ma vediamo nello specifico queste Regole di montaggio:
7.13 Regole Principali del Montaggio Classico
disturbato e concentrandosi perciò sulla storia.
A questo proposito un ruolo essenziale è riservato
ai raccordi, che appunto collegano due inquadrature
mantenendo degli elementi in continuità visiva tra un
piano e l’altro, di modo che lo stacco sia il meno evidente
possibile. Comune alla maggior parte dei raccordi è il
fatto di mantenere degli elementi (personaggi, oggetti,
ambienti) in posizioni costanti, assegnando loro delle
porzioni dello schermo (solitamente diviso in 2 o 3
settori verticali) che rimangono invariate nel cambio di
inquadratura. La soluzione più usata è quella di destinare
2/3 di spazio ad un elemento e 1/3 di spazio ad un
altro; questo genera solitamente connessioni/opposizioni
simboliche. Nei raccordi bisogna allora considerare: la
posizione dei personaggi, il loro movimento e il loro
sguardo; i principali sono:
RACCORDO DI SGUARDO
Nel corso della visione lo spettatore raramente ricorda
più di una/due inquadrature precedenti a quella che sta
guardando; nel passaggio da un’ inquadratura all’altra
però, percepisce più o meno evidentemente lo stacco.
Per eliminare il senso di stacco e discontinuità insito
nel montaggio, esistono delle regole di connessione
tra le inquadrature che derivano dal cinema classico
e che hanno il preciso scopo di favorire la massima
scorrevolezza delle inquadrature e non infastidire o
disorientare lo spettatore.
Tra questi accorgimenti per mantenere la continuità visiva
tra un piano e l’altro troviamo il mantenimento della
illuminazione in modo costante, oppure il mantenimento
dei personaggi e delle azioni in posizione centrale rispetto
al quadro; queste e altre regole permettono al pubblico
di scivolare nella finzione del film facendo scorrere
agevolmente lo sguardo sulle inquadrature senza essere
240
Questo raccordo collega qualcuno che guarda con il
qualcosa che è guardato, quindi la prima inquadratura
mostra un personaggio che guarda qualcosa, mentre
la seconda mostra cosa viene guardato (ex. inq1uomo guarda fuori dalla finestra inq2-strada cittadina
trafficata).
La grammatica cinematografica
Introduzione
RACCORDO SULL’ASSE
Il raccordo sull’asse è, come dice la parola, un raccordo
effettuato sullo stesso asse visivo dalla prima alla
seconda inquadratura; la seconda è semplicemente più
ravvicinata ed eseguita in un momento successivo alla
precedente (ex. inq1-scorcio frontale di una parete con
dei quadri appesi inq2-i quadri visti più da vicino sempre
frontalmente).
RACCORDO DI MOVIMENTO
Nel raccordo di movimento si scompone il movimento
tra la prima inquadratura e la seconda inquadratura: la
prima inquadratura mostra l’inizio di un movimento, la
seconda ne mostra il concludersi (inq1-un pugile piega
il braccio e fa partire un diritto inq2-il diritto va a segno
sul volto dell’avversario); nei raccordi di movimento è
fondamentale che la Mdp sia posizionata sempre da uno
stesso lato rispetto al personaggio (regola dei 180°), se
non fosse così, il movimento risulterebbe in direzione
opposta. Solitamente in questi raccordi si usa dividere
il movimento facendo in modo che 1/3 di esso avvenga
nella prima inquadratura e 2/3 nella seconda, oppure il
contrario. Innanzitutto il movimento deve essere quello
principale in campo, perché è essenziale che venga
notato, quindi, condizioni essenziali di questo raccordo
sono che l’azione sembri continua e che la velocità appa­
rente sia la stessa in entrambe le inquadrature.
Nel caso in cui il raccordo non sia perfetto, cioè i due
tempi sommati siano più lunghi del movimento effettivo,
è meglio che il secondo movimento risulti più veloce
piuttosto che più lento. A volte il secondo movimento
può iniziare ripetendo in piccola parte il movimento
precedente, questo rallenta l’azione e può essere
utilizzato per enfatizzarlo. Generalmente è meglio evitare
i raccordi multipli.
Il movimento di un personaggio può essere effettuato
in vari modi (strisciando, saltando, volando), in modo
continuo o discontinuo, direttamente sul posto oppure
lungo un percorso; inoltre può essere effettuato in
modo orizzontale (spostandosi da un punto ad un altro),
verticale (dal basso all’alto e viceversa), oppure circolare
(girandosi sul posto). Il movimento orizzontale, che è
il più comune, può essere anche diagonale, ad arco o
in direzione neutrale (avvicinandosi/allontanandosi alla
Mdp).
in alto
Raccordo sull’asse:
collegamento tra due
inquadrature sullo
stesso asse visivo,
in lontananza o in
vicinanza.
Raccordo di
movimento:
nella prima
inquadratura inizia
l’azione, nella seconda
si conclude.
241
Raccordo sonoro:
due inquadrature si
collegano tra loro
grazie ad un suono, un
rumore o una parola.
La scomposizione del movimento può essere effettuata
mantenendo il soggetto sempre nello stesso settore dello
schermo (sia che si muova sul posto oppure no) oppure
disponendo diverse camere fisse lungo il suo percorso
(tutte parallele da uno stesso lato) ottenendo così dei
passaggi da inquadratura ad inquadratura con entrate ed
uscite fuoricampo.
In conclusione si può notare che il movimento
cinematografico ha la particolare caratteristica di poter
essere segmentato in diversi frammenti d’ azione, ripresi
da diversi punti di vista; questa possibilità conferisce più
dinamicità e interesse all’azione, risultando molto utile in
quei casi in cui occorre smaltire movimenti troppo lunghi
o ripetitivi.
Rispetto poi alla divisione dello schermo in aree accennata
in fase introduttiva, tre sono i criteri principali nella
scomposizione di un movimento continuo quando si
ragiona in termini di metà spazio sullo schermo:
1. il movimento si deve ripetere nella stessa zona, nella
stessa direzione o in direzioni opposte;
2. il movimento ha inizio e si conclude nel centro dello
schermo, oppure da un lato e termina nell’altro;
3. il movimento deve convergere verso il centro dello
schermo o divergere da esso.
Ecco Infine delle opportune considerazioni:
Quando la Mdp segue un movimento è bene che mantenga
sempre dei movimenti semplici o geometricamente
regolari, lasciando che siano i personaggi a percorrere
eventuali percorsi tortuosi o irregolari. E’ buona abitudine
che la Mdp inizi a seguire un movimento dopo il suo inizio,
fermandosi prima che finisca; questo perché il movimento
del soggetto allontana l’attenzione al movimento della
242
camera, che risulta così più naturale.
A volte al cinema si usa lo stratagemma di aumentare la
velocità dei movimenti nelle scene d’azione, per renderle
più dinamiche. Di solito si utilizzano movimenti in asse per
enfatizzare gesti o espressioni, come anche si utilizzano
controcampi esterni per creare sensi opposti di direzione.
Per coprire movimenti ampi infine, si utilizzano spesso
disposizioni delle camere ad angolo retto rispetto ai
personaggi.
RACCORDO SONORO
Il raccordo sonoro è un raccordo effettuato su di una parola,
un rumore o un effetto audio; la prima inquadratura può
mostrare oppure no la fonte sonora, la seconda la mette
in evidenza.
L’invenzione della registrazione e della riproduzione sonora
in sincrono, ha offerto al montaggio dell’audiovisivo un
nuovo straordinario strumento di continuità. La musica
è un ottimo “collante narrativo” utilizzato comunemente
e abbondantemente in sequenze di sintesi costruite su
grandi ellissi temporali. In questa funzione di “sfondo”,
la continuità musicale può proporsi anche come l’unico
“cemento” di una sequenza, che dal punto di vista
dell’immagine può essere del tutto priva di continuità
spazio-temporale.
Uno degli espedienti più usati dai montatori, quando un
La grammatica cinematografica
Introduzione
taglio non scorre fluidamente, consiste nel cercare di
spostarlo leggermente, in modo da portarlo in un momento
di forte continuità della colonna sonora.
Si può affermare che qualsiasi inquadratura, anche se non
correlata alle precedenti, ma inserita in un determinato
ambiente sonoro, viene immediatamente collocata dallo
spettatore nella continuità spazio- temporale della scena.
REGOLA DEI 180°
Questa regola è utilizzata nel montaggio classico, in
particolar modo nelle scene di dialogo campo-controcampo,
dove due personaggi sono posizionati in maniera frontale
l’uno rispetto all’altro (in linea retta o ad angolo retto).
Questa regola in pratica stabilisce che una volta posizionata
la Mdp da un lato dei personaggi, la Mdp deve rimanere
in quello spazio di metà campo (360/2=180) durante
tutte le successive riprese della scena, senza possibilità di
spostarsi nell’altra metà campo.
In questo modo lo spettatore osserva lo svolgersi dell’azione
rimanendo sempre dalla stessa parte rispetto all’azione.
E’ quindi opportuno decidere a priori la porzione di metà
campo (180°) più conveniente, considerando l’impossibilità
di spostarsi poi nell’altra metà campo.
Come riferimento al posizionamento della Mdp si tiene in
considerazione la linea d’interesse (o d’azione), cioè la
linea immaginaria che corre fra le due teste dei personaggi
coinvolti nella conversazione, indipendentemente dalle loro
posizioni (distesi, seduti, in ginocchio); questa linea si basa
solitamente sulla direzione degli sguardi che si scambiano
e divide in due aree di 180° lo spazio a 360° attorno a loro.
La linea di interesse può essere anche verticale o obliqua,
la Mdp quindi si può spostare anche lungo questi assi.
Salvo particolari eccezioni, non è possibile effettuare
movimenti di camera che scavalchino la linea d’azione
che divide i due campi perché, se succedesse, gli
attori scambierebbero le loro posizioni sullo schermo,
confondendo gli spettatori.
Rispettando questa regola, quando i personaggi sono
ripresi tramite il campo-controcampo, se lo sguardo del
personaggio A è rivolto a sinistra, quello del personaggio
B sarà sempre rivolto a destra, dando l’impressione di
una conversazione faccia a faccia; altrimenti entrambi i
personaggi finirebbero per guardare nella stessa direzione,
creando spaesamento nello spettatore; questo meccanismo
preserva inoltre uno spazio di sfondo comune che, condiviso
nella visione laterale, si sovrappone parzialmente nelle due
inquadrature laterali.
Regola dei 180°:
regola del montaggio
classico che stabilisce,
una volta posizionata
la Mdp da un lato degli
attori, di utilizzare
solo quella porzione
a 180° dello spazio
complessivo di 360°
attorno ai personaggi.
*Per controcampo s’ intende un’ inquadratura opposta alla
precedente che ne conserva la direzione, ma ne inverte il
senso.
Lo scavalcamento della linea di interesse può essere
effettuato utilizzando un’ inquadratura di transizione tra
un piano e l’altro, che faccia da intermezzo neutrale senza
essere troppo evidente, oppure si possono utilizzare varie
243
soluzioni quali:
PRINCIPIO DEL TRIANGOLO
1. Il posizionando della macchina da presa sulla
linea di interesse prima di passare all’altro campo.
Molti modelli di montaggio si basano sulla tecnica del
principio del triangolo, che è direttamente collegato
alla regola dello spazio a 180° ed opera nelle stesse
condizioni. In questo caso la Mdp, spostandosi nello spazio
a 180°, assume tre posizioni, che, collegate, creano una
forma triangolare con la base parallela ai personaggi. Il
vantaggio che deriva da questa disposizione a triangolo
è che si ottengono tre inquadrature, una parallela alla
linea di interesse con i personaggi di profilo (usata spesso
in apertura e chiusura della scena) e due laterali, che
mettono in risalto uno o l’altro personaggio. Anche qui i
personaggi mantengono sempre le stesse posizioni sullo
schermo, uno sempre a destra e l’altro sempre a sinistra.
Nelle due riprese laterali usate per il controcampo tra i
personaggi, le inquadrature possono essere di due tipi:
possono comprendere un attore soltanto (controcampi
interni o paralleli alla Mdp), oppure includere entrambi gli
attori, uno di spalle e l’altro frontale (controcampi esterni);
quest’ultimo caso dei controcampi esterni è il più usato.
Stilisticamente parlando, nei controcampi esterni dove uno
dei personaggi è in primo piano di spalle (o da dietro la
nuca), l’angolazione della Mdp non dovrebbe permettere
di vedere (il naso) oltre la guancia.
Del principio del triangolo esistono poi numerose varianti
che dipendono dalla disposizione degli attori (lineare
frontale, fianco a fianco, ad angolo retto, uno dietro
l’altro...) e delle camere (interne o esterne, parallele,
frontali, ad angolo retto...).
Per quanto riguarda le riprese nei dialoghi, è utile
sottolineare che spesso si procede per avvicinamento, cioè
che, man mano che il dialogo si fa più interessante, la
Mdp effettua riprese più ravvicinate agli interlocutori, per
coglierne le espressioni e le reazioni.
2. L’utilizzo di un inserto o di un cut-away, cioè di una
breve inquadratura più ravvicinata o arbitraria,
in cui il senso di direzione non è rivelato o è
neutrale, per esempio un soggetto che va verso
la telecamera o si allontana, o le lancette di un
orologio o una persona ferma che osserva la scena.
3. Il cambiamento di direzione degli attori in
modo da stabilire un nuovo asse dell’azione.
4. Il cambiamento di direzione indicato dall’attore attraverso
un movimento della testa o del corpo, ad esempio.
5. Il movimento di un attore mantenuto nella stessa
direzione in entrambe le inquadrature, per esempio
chinandosi e rialzandosi (i movimenti verticali hanno
sempre la stessa direzione) oppure un movimento
continuo di un arco che fa da raccordo, come una
mano che schiaffeggia, oppure anche un movimento
fuoricampo in uscita nella prima inquadratura e
in entrata nella seconda, nella stessa direzione.
6. L’utilizzo di un movimento di camera continuo
(panoramica, carrellata) per spostarsi nell’altro campo.
7. Movimenti contrastanti nello stesso settore dello
schermo, ad esempio mantenendo un oggetto fermo
nel lato sinistro dello schermo e facendo muovere il
personaggio da sinistra a destra e poi viceversa nella
stessa metà di spazio.
244
La grammatica cinematografica
Introduzione
Per mantenere vivo l’interesse nei lunghi dialoghi (effettuati
in Singleshot) è utile introdurre una Mastershot che
ristabilisce le condizioni in scena (posizione dei personaggi
e ambiente) e fornisce una pausa, consentendo inoltre ai
personaggi di cambiare posizione se necessario e al regista
di cambiare montaggio.
Legati alla Regola dei 180° e al Principio del Triangolo
troviamo i seguenti tipi di raccordo:
RACCORDO DI POSIZIONE
Il rispetto del raccordo di posizione permette di evitare salti
visivi sgradevoli sullo schermo; assegnando delle porzioni
di spazio ai personaggi principali, questo tipo di raccordo
evita allo spettatore di spostare lo sguardo da una parte
all’altra dello schermo per individuare i personaggi di cui
sta seguendo l’azione.
Il raccordo di posizione si riferisce sia alla posizione fisica
di un personaggio, quindi alla postura e ai suoi gesti, sia
alla posizione occupata sullo schermo; se, per esempio, un
personaggio ha le mani sui fianchi e occupa la porzione di
spazio a destra sullo schermo, è opportuno che, al cambio
di inquadratura, mantenga le mani sui fianchi e occupi
la porzione di spazio che occupava precedentemente
mantenendosi a destra sullo schermo.
RACCORDO DI DIREZIONE DI MOVIMENTO
La logica di questo raccordo è simile a quella del
raccordo precedente ed è ovviamente collegata al
raccordo di movimento: quando un personaggio compie
un movimento, deve muoversi sempre diretto verso lo
stesso punto, la sua direzione deve essere la stessa sia
nella prima inquadratura, che in quella seguente, che
può essere in avvicinamento o allontanamento. Se la
direzione del soggetto cambia, il pubblico perde il senso di
direzione, non capisce dove stia andando il soggetto e ha
l’impressione che stia tornando indietro. E’ importante che
qualsiasi cambio di direzione effettuato dal personaggio
mentre è in movimento, sia visualizzato sullo schermo
chiaramente, di modo che il pubblico non sia confuso. Per
quanto riguarda lo stacco, questo può essere effettuato
prima o dopo che il personaggio sia uscito fuoricampo (nella
prima inquadratura), parzialmente o totalmente; nel caso
lo stacco avvenga dopo che il soggetto è uscito totalmente
fuoricampo, è bene non staccare immediatamente, ma
dopo alcuni attimi di campo vuoto in inquadratura.
La stessa cosa vale per l’entrata in campo nella seconda
inquadratura: può essere un’ entrata da fuori campo o
il personaggio potrebbe già trovarsi in inquadratura. Il
metodo più comune stacca dalla prima inquadratura con
il personaggio ancora in campo e mostra un’ entrata in
campo in quella successiva.
Con questi tipi di raccordi si ricorre di solito a contrazioni
temporali se il movimento non ha una particolare valenza
oltre a quella di spostare il soggetto da un luogo all’altro.
Fra i movimenti usati con maggior frequenza troviamo
le rotazioni della testa. Queste rotazioni possono essere
movimenti raccordati o ripetitivi: quelli raccordati sono
per lo più movimenti lenti e spezzati in due parti, quelli
Raccordo di posizione:
occorre mantenere
i personaggi nella
stessa postura o nella
stessa porzione di
spazio occupato sullo
schermo durante il
cambio inquadratura.
245
In alto
Raccordo di direzione
di movimento:
quando un
personaggio compie
un movimento il
raccordo tra due
inquadrature deve
mantenere inalterata
la direzione del
movimento.
Raccordo di direzione
di sguardo:
per dare l’impressione
che due persone si
stiano guardando,
le direzioni dei
loro sguardi
devono convergere
verso il centro
dell’inquadratura ed
essere sempre di
direzioni opposte.
ripetitivi vengono invece ripetuti nella stessa area dello schermo e nella stessa direzione. Il raccordo di to è un buon
espediente usato per mostrare spostamenti del personaggio da-a località molto distanti e diverse; in questo caso si
utilizzano entrate-uscite fuoricampo da posizioni fisse della Mdp nel modo seguente: nella prima inquadratura compare
un movimento dal centro dello schermo verso un lato dove l’attore esce fuoricampo; nella seconda il personaggio entra
in campo dal lato opposto e, di profilo, attraversa tutto lo spazio dello schermo (questo spazio rappresenta una zona
intermedia tra lo spazio di partenza e arrivo), uscendo dall’altra parte sempre di profilo; nell’ultima l’attore rientra dal lato
opposto e si ferma al centro dello schermo giunto a destinazione.
RACCORDO DI DIREZIONE DI SGUARDO
Questo raccordo può essere usato sia per persone singole che per gruppi di persone. Il raccordo di sguardo stabilisce
che, quando due soggetti (gruppi) rivolgono i loro sguardi l’uno verso l’altro, per mostrare i soggetti che si guardano
reciprocamente da inquadrature singole, le direzioni dei loro sguardi devono essere sempre opposte tra loro; per esempio,
un personaggio guarda da destra verso sinistra e l’altro da sinistra verso destra; questo rende l’impressione che i loro
sguardi s’incrocino. Se non fosse così, l’impressione sarebbe che entrambi i personaggi (gruppi) stiano guardando nella
stessa direzione, verso qualcos’ altro fuoricampo. Senza l’opposizione degli sguardi, le scene diventano deboli e spesso
prive di significato, gli sguardi dei personaggi ripresi singolarmente devono quindi essere opposti e simmetrici, che siano
direzione orizzontale (destra-sinistra), verticale (alto-basso) o obliqua (dall’alto al basso verso destra o verso sinistra).
246
La grammatica cinematografica
Introduzione
Stabilire e mantenere una costante opposizione degli
sguardi non è una cosa difficile, basta che le teste siano una
di fronte all’altra, non importa la distanza fisica. Nel caso
un attore fosse di spalle all’altro, è sufficiente che, di tanto
in tanto, giri la testa verso il compagno suo interlocutore.
Nei dialoghi a due, quando gli attori hanno altezze diverse,
le inquadrature potrebbero risultare troppo angolate
verso l’alto o il basso; non è obbligatorio tenere la camera
sempre fissa alla stessa altezza degli attori, alzandola e
abbassandola e inclinandola, si possono trovare soluzioni
più equilibrate tra loro.
Ragionando in questi termini, non solo lo sguardo può
essere incrociato o contrastato, ma anche il movimento;
l’uso del movimento contrastato è alla base di tutte le scene
di conflitto. Quando si devono mettere in opposizione due
personaggi o due gruppi in schieramento opposto, perciò,
si assegna ad ogni gruppo una porzione dello schermo
e entrambi i gruppi vengono fatti muovere in direzioni
opposte, uno verso destra e l’altro verso sinistra, dando
così l’impressione che si muovano l’uno verso l’altro (come
quando gli sguardi s’incrociano). Entrambi i movimenti
vanno montati incrociati, facendoli convergere verso il
centro dello schermo, finché si ottiene il raccordo finale
dei due gruppi.
GRUPPI NUMEROSI
Per i gruppi numerosi le tecniche utilizzate sono
basilarmente le stesse accennate in precedenza.
In situazioni dove si trovano i personaggi insieme a
gruppi numerosi è buona regola disporre i gruppi in
modo geometrico (circolare, rettangolare, triangolare)
e utilizzare diversi livelli di altezza e profondità tra i
personaggi per dare maggiore chiarezza alla situazione in
Gruppi numerosi:
In situazioni dove si
trovano i personaggi
immersi in gruppi
numerosi è buona
regola disporre i
gruppi in modo
geometrico sfruttando
anche altezze diverse
di modo da non
distrarre lo spettatore.
quadro. Per esempio, disponendo il personaggio principale
in piedi in mezzo ad un gruppo seduto in cerchio attorno
a lui, con alcuni personaggi più vicini alla Mdp e altri più
in profondità. Anche la luce può essere di grande aiuto in
questi casi, di solito si creano dei contrasti luminosi tra i
personaggi principali e gli altri, per esempio illuminando in
piena luce il principale e lasciando il gruppo in una luce più
diffusa e scura.
Le situazioni con gruppi numerosi possono essere essenzialmente
due: nel primo caso è presente un leader che fa da arbitro
dell’attenzione spostando l’interesse da una persona
all’altra all’interno del gruppo, oppure nel secondo caso
tutto il gruppo fa da arbitro dell’attenzione focalizzando
l’interesse su di un personaggio principale o spostandolo
tra un personaggio principale ed un altro.
Generalmente le riprese di gruppi numerosi partono da
un inquadratura totale del gruppo rivolto verso l’attore
principale e successivamente si alternano inquadrature
singole che enfatizzano il personaggio o i personaggi
247
principali che parlano, prima di tornare all’ inquadratura
generale del gruppo per mostrarne la reazione.
Quando invece ci sono molti gruppi e non c’è un personaggio
principale, occorre mettere in risalto un gruppo principale,
solitamente ponendolo in primopiano rispetto agli altri.
Gli altri gruppi in queste occasioni possono anche avere
centri di interesse indipendenti, rimanendo statici, oppure
essere dinamici, muovendosi sul posto o attraversare lo
schermo uscendo fuoricampo alle spalle del gruppo fermo
in primopiano.
Per quanto riguarda le scene in cui c’è un personaggio
principale ed una folla, quest’ultima può essere
considerata come una massa indistinta di persone, per
cui il personaggio principale si rivolge ad essa in maniera
univoca e indistinta, oppure considerare i diversi gruppi
(o persone) che la compongono, creando diversi fulcri
dell’attenzione che si irradiano verso il protagonista che
dirige il suo sguardo in un punto o in un altro della folla
facendo da arbitro dell’attenzione.
Le scene di grandi battaglie in cui l’azione scorre burrascosa
dovrebbero essere gestite alternando scene collettive a
scene parziali, in cui l’eroe o gli eroi sono impegnati in
combattimenti personali; questo modello di montaggio si
espande e si contrae sulla battaglia permettendo al pubblico
di passare dal generale al particolare e viceversa.
248
CONTRASTO NUMERICO
Il contrasto numerico tra le inquadrature, usato nelle
riprese di gruppi di tre o più persone (molto spesso in
dialogo) è un buon metodo per enfatizzare la drammaticità
della situazione e in alcuni casi per enfatizzare l’isolamento
di un personaggio rispetto agli altri. Che sia uno scontro,
una discussione, un confronto emotivo o una semplice
conversazione, il contrasto numerico tra le inquadrature
crea drammaticità, varietà e dinamicità, rompendo la
monotonia nei dialoghi troppo statici e lunghi. Questo
espediente può essere utile per evidenziare una divergenza
di opinioni o di schieramenti, oppure può essere utilizzato
solo per escludere dall’ inquadratura i personaggi meno
importanti.
Si può ottenere un contrasto numerico in diversi modi:
1. Un attore si sposta isolandosi dal gruppo.
2. Un personaggio o più personaggi escono fuoricampo
lasciandone uno da solo.
3. movimenti di allontanamento/avvicinamento della Mdp
rispetto al gruppo.
4. Posizionamenti della Mdp in controcampi interni, interniesterni o paralleli alla linea d’azione.
Ovviamente anche nei casi di gruppi numerosi si possono
creare contrasti di numero tra le inquadrature, mettendo
in risalto diversi schieramenti: il gruppo può essere diviso
in parti uguali o diseguali, oppure può esserci un attore
in opposizione a tutto il gruppo, dando ancora più risalto
alla situazione.
Il contrasto di numero si effettua di solito introducendo
la scena con un’ inquadratura generale del gruppo e
passando poi ad inquadrature parziali che riprendono i
personaggi singolarmente o a coppie o a schieramenti,
La grammatica cinematografica
Introduzione
creando contrasti del tipo due-uno, due-due, tre-uno, tredue ecc. Molto spesso queste scene singole si intervallano
a qualche visione generale per rammendare le posizioni e
interrompere la monotonia dei controcampi; alla fine della
scena si conclude sempre tornando ad un’inquadratura
generale.
SPOSTAMENTO DA ZONA A ZONA NELLE SCENE STATICHE
DIALOGO COMPRESSO
Quando le scene sono particolarmente statiche e fisse,
come durante i dialoghi, lo spostamento degli attori da
una zona all’altra contribuisce a rendere la scena più varia
e reale; variare le posizioni del corpo, le posizioni in scena,
le distanze tra gli attori oppure i livelli di altezza, sono
tutti buoni espedienti che contribuiscono ad annullare
la monotonia della scena. I cambiamenti di zona danno
inoltre varietà allo sfondo e permettono al regista di
cambiare schema di montaggio.
Generalmente i cambiamenti di zona contribuiscono ad
innescare un cambiamento di atmosfera in scena, facendola
diventare per esempio più intima, dinamica, tesa ecc...
I gruppi numerosi possono effettuare cambiamenti di zona
spostandosi da un posto all’altro sul set, a varie distanze e
anche in profondità, possono anche sparpagliarsi in zone
o restringersi da più zone ad una sola.
Queste tecniche possono essere usate più volte ma bisogna
prestare attenzione al fatto che sembrino il più naturali e
motivate possibile.
Ci sono situazioni in cui la lunghezza del dialogo compr0mette
il ritmo della storia, rallentandolo eccessivamente, ma il
dialogo non può essere accorciato perché è necessario
a comunicare in modo appropriato quanto avviene. La
situazione viene in questi casi risolta cinematograficamente
comprimendo la durata della sequenza dialogata nella
parte centrale e lasciandola uguale all’inizio e alla fine.
Un esempio della compressione potrebbe essere quello
dell’ immagine visualizzata qui sopra, dove le parti nere
rappresentano quelle mantenute sullo schermo.
Ogni frammento scelto contiene in sé stesso un’idea
completa e opera quindi un montaggio preciso con il
successivo frammento senza alcun bisogno di passaggi
ottico. Tutto quello che serve è una compressione del
tempo nel dialogo, ma, se necessario, possono anche
essere aggiunti cambi di sfondo, di posizione ecc...
Metodo di
compressione
di un dialogo
eccessivamente lungo.
249
7.14 La Punteggiatura Visiva
La punteggiatura cinematografica crea una separazione
tra scene e sequenze cinematografiche; può essere
paragonata ad una punteggiatura narrativa e come tale
può essere rappresentata da pause di narrazione, accenti
posti alla visione, messe in rilievo di alcuni personaggi e
così via. Si ottiene attraverso i movimenti di camera o dei
soggetti in campo, oppure attraverso il montaggio.
Fra i mezzi più noti abbiamo:
STACCO (Jump Cut): è un passaggio immediato da
un’ inquadratura a un’ altra; implica di solito un passaggio
in simultanea o continuità con l’immagine che lo precede,
ma può essere utilizzato anche dopo dei passaggi di tempo
più o meno lunghi. A seconda dell’effetto espressivo che
si vuole raggiungere, lo stacco può essere quasi invisibile
allo spettatore oppure può essere realizzato in modo da
risultare evidente.
DISSOLVENZA: come dice la parola, la dissolvenza è una
dissoluzione dell’immagine, che gradualmente aumenta o
diminuisce la luminosità o la trasparenza. La dissolvenza
si distingue fra: dissolvenza IN APERTURA, (da nero a
immagine) quando l’immagine appare progressivamente
a partire da uno schermo nero; IN CHIUSURA, (da
immagine a nero) quando avviene il procedimento
inverso; infine INCROCIATA (da immagine ad immagine)
quando due immagini vengono a sovrapporsi tra loro, cioè
una progressivamente svanisce, lasciando spazio all’altra.
Queste dissolvenze non hanno lo stesso valore, vengono
solitamente associate a tempi diversi: le dissolvenze in
chiusura e apertura sono usate nel cinema classico nel
passaggio ad una nuova scena, evidenziando un salto
250
temporale più o meno lungo, da un giorno a un altro per
esempio; le dissolvenze incrociate invece, implicano salti
temporali più corti, possono unire inquadrature in una
stessa scena o sequenza e sono usate con frequenza
maggiore.
Esistono poi altri tipi di dissolvenza, come quelle al bianco
o a colori, dove il colore in un’immagine diventa sempre
più intenso fino ad eliminare gli altri colori o addirittura
sostituendo l’immagine completamente; successivamente
si dissolve incrociandosi ad una nuova scena.
SCHERMO NERO: il nero crea un effetto di isolamento
totale e rappresenta una completa pausa emotiva per
lo spettatore, a volte creando effetti di suspence. Può
separare due inquadrature come anche due scene. Se
unito a delle immagini in sequenza, presentandosi tra
un inquadratura e un’altra ad intermittenza, è di grande
impatto emotivo.
TENDINA: caduta quasi in disuso, questo metodo prevede
che una nuova scena venga fatta scorrere (orizzontalmente,
verticalmente o diagonalmente) sullo schermo sostituendo
la precedente. La tendina implica un passaggio di tempo
piuttosto lungo. Una variante prevede che una linea
attraversi lo schermo cancellando la scena e svelandone
una nuova.
IRIDE: altro effetto caduto in disuso, l’iride è costituito da
un foro circolare (circondato da nero) che apre o chiude
l’inquadratura ingrandendosi o rimpicciolendosi in essa.
Inizialmente usato come cerchio decrescente per centrare
l’attenzione su di un elemento in scena, col tempo è
diventato un effetto di chiusura nei disegni animati.
La grammatica cinematografica
Introduzione
MASCHERINA: è una sagoma di varia forma che copre
la parte del campo che non si vuole riprendere; spesso
questo artificio ha lo scopo di limitare la visuale che si
avrebbe in condizioni particolari, ad esempio spiando
dal buco della serratura, o guardando attraverso un
cannocchiale. Il suo uso, serve spesso a segnalare
il passaggio da una visione oggettiva ad una visione
soggettiva.
ZONE SCURE: le zone scure si utilizzano per effettuare un
passaggio di tempo; questo effetto si ottiene effettuando
una panoramica o una carrellata in una zona scura (o una
forma scura che riempie lo schermo) e quindi staccando
su di un’apertura simile nell’ inquadratura successiva.
Lo stesso effetto può avvenire tramite l’ avvicinamento/
allontanamento di un personaggio alla Mdp, oppure con
due attori che, avvicinandosi alla Mdp, raggiungono il
primo piano e poi nella scena seguente si separano,
allontanandosi in un luogo e in un tempo diversi.
INSERTO: è costituito da un’ inquadratura aggiuntiva che
sostituisce una parte dell’inquadratura master principale,
mostrando una sezione più ravvicinata della scena.
Possono essere molto utili in fase di montaggio per
consentire dei cambiamenti di ripresa.
CUT-AWAY: è un’ inquadratura inserita nella master
principale per mostrare qualcosa o qualcuno non coperto
dall’inquadratura, per esempio fuoricampo (img. del cielotraffico). Tecnicamente è un’ inquadratura di transizione
su qualcos’ altro non presente in scene e la sua durata è
inferiore all’azione messa in ellissi. Possono essere molto
utili in fase di montaggio per interrompere la monotonia
delle scene e dei dialoghi lunghi oppure per consentire
dei cambiamenti di ripresa.
TITOLI: i titoli si usano per separare delle scene e
potrebbero apparire direttamente sull’immagine, oppure
in uno schermo nero, bianco o a colori; generalmente
contengono indicazioni specifiche sui luoghi, sull’ora, sul
giorno o sull’ anno in cui si presume avvenga la scena
successiva.
IMPALLAMENTO: l’impallamento avviene, quando il
soggetto prin­cipale dell’azione scompare perché viene
coperto da oggetti o persone. Questa copertura può
accadere per movimento del soggetto stesso, degli altri
ele­menti di scena, o della Mdp. Il soggetto principale
dell’azione, quando viene impallato, può essere
considerato fuori campo, viene libe­rato da qualsiasi
rapporto spazio-temporale e l’inquadratura successiva
può essere assolutamente arbitraria.
SEQUENZA AD EPISODI: questa sequenza allinea un certo
numero di brevi scene separate da stacchi ottici che si
succedono in ordine cronologico (dissolvenze, schermi a colori).
FERMOFOTOGRAMMA: l’immagine in movimento si
“freeza” (si fissa) per un certo tempo. Il fermo immagine
può essere utilizzato sia durante che al termine del
movimento. Generalmente serve a focalizzare l’attenzione
su qualcosa/qualcuno, in alcuni casi però viene usato
per terminare una scena. Buoni effetti sono ottenuti col
fermo immagine dopo uno zoom.
SLOWMOTION: l’immagine in movimento rallenta per un
certo tempo.
OVERLAPPING EDITING: particolare effetto di montaggio
per cui la parte finale dell’azione rappresentata in primopiano
viene nuovamente mostrata in quello successivo.
251
RALENTI: rallentamento di un movimento con la funzione
di conferirgli una certa imponenza, grazia, o importanza;
il ralenti viene solitamente preceduto dalla visione per
intero dell’azione a velocità leggermente aumentata
(esplosione)
CAMBIO LUCE: il mutamento di luce in un ambiente
(stanza) simboleggia il cambiamento di tempo
CAMPO VUOTO: nei campi vuoti una scena fissa e statica
(non succede niente) precede o segue la presenza del
personaggio principale
COME INDICARE IL PASSAGGIO DI TEMPO
OGGETTI: si mostrano oggetti che subiscono l’usura o
l’offesa del tempo, come ad esempio candele, portaceneri
con mozziconi, carte ingiallite ecc.; generalmente si
presenta dapprima l’accessorio e quindi si effettua
una dissolvenza sull’immagine che lo mostra corroso,
consumato, sciupato, alterato o distrutto dal tempo.
DOMANDA-RISPOSTA: il passaggio di tempo può essere
effettuato da una scena dove viene fatta una domanda, a
una nuova scena diversa (tempo e luogo differenti) dove
viene data la risposta a quella domanda.
MOVIMENTO NELLA STESSA DIREZIONE: il passaggio di
tempo può essere effettuato con un movimento eseguito
nella stessa direzione in tempi o spazi diversi; dallo stesso
personaggio o da personaggi diversi (per esempio un
soggetto chiude una finestra e quando si gira è in un altro
posto).
252
SOSTITUZIONE DI UN OGGETTO: il passaggio di tempo
viene effettuato sostituendo, da una scena all’altra, due
oggetti simili o accostabili (per esempio la rottura di un
bicchiere e la rottura di una finestra).
RIPETIZIONE DI UNA PAROLA: il passaggio di tempo
viene effettuato da un attore che pronuncia una parola
in un’ inquadratura e un nuovo attore che pronuncia la
stessa parola in una nuova inquadratura, in un luogo e
tempo differenti.
RACCORDO GRAFICO ILLUSORIO: il passaggio di scena
avviene tramite un elemento che si mantiene costante
alla fine di un’ inquadratura e all’inizio della successiva;
lo spettatore crede che la scena sia la stessa ma
improvvisamente si rende conto che è una scena diversa,
collegata da un certo distacco di tempo.
Basilari per questo raccordo sono il piano d’ascolto e la
continuità del movimento.
STACCO SU DI UN ACCESSORIO DI SCENA: il passaggio
di scena avviene tramite un oggetto che fa da ponte tra
due situazioni diverse (per esempio il cielo o un biglietto
da visita).
IMMAGINI SFOCATE: l’inquadratura conclusiva di una
scena viene sfocata fino a che non diventa completamente
confusa e si passa quindi ad una nuova scena in cui l’
immagine sfocata man mano si fa più nitida (effetti di
perdita di coscienza).
PRIMI PIANI IMPROVVISI: un oggetto o una persona in
primo piano possono essere usati come collegamento
visivo per un’ altra inquadratura.
La grammatica cinematografica
Introduzione
The Incredibles (2004)
Walt Disney Pictures
Pixar Animation Studio
253
7.15 Pillole
Il brasiliano Alberto de Almeida Cavalcanti (1897-1982),
regista competente ed esperto scenografo, scrisse le
seguente annotazioni, tuttora moderne:
1. Non trattare temi generali in modo generale.
Si può scrivere un articolo sul servizio postale,
ma un film sarà migliore se tratterà il
destino di una singola
lettera. 2. Non dimenticare che il documentario si basa su tre
pilastri: quello sociale, quello poetico e quello tecnico.
3. Non prendere sotto gamba il soggetto scritto e non
far conto sulla fortuna, quando giri. Una volta messo a
punto il trattamento, il film in pratica è già fatto. Però
al momento delle riprese sii pronto a rifarlo da capo.
4. Non affidarti al commento parlato per dare un senso
alla tua storia. Le immagini e la colonna sonora
debbono farlo. Un commento sovrabbondante
e gratuito riesce solo ad irritare lo spettatore.
5. Quando giri non dimenticare che ogni scena fa parte
di una sequenza e che ogni sequenza fa parte di un
arco narrativo generale. Una bellissima inquadratura,
scollegata dal resto, spesso risulta più dannosa che utile.
6. Non eccedere nella
originali
a
tutti
elaborate
possono
254
ricerca di
i
costi.
raffreddare
inquadrature
Angolazioni
l’emozione.
7. Non abusare della rapidità del montaggio fine
a se stessa. Un ritmo accelerato può risultare
altrettanto manierato di un montaggio disteso.
8. Non esagerare con le coperture musicali. Se lo
farai lo spettatore finirà con il non ascoltare.
9. Non sovraccaricare il film con gli effetti in sincrono.
Suoni e rumori risultano efficaci quando sono
impiegati in modo suggestivo e complementare.
10. Non affidarti ciecamente agli effetti ottici e non renderli
troppo complicati. Dissolvenze e fondo equivalgono ad
una punteggiatura, sono le tue virgole e i tuoi punti.
11. Non girare troppi dettagli. Conservali per i momenti
cruciali. In un film equilibrato essi verranno fuori
naturalmente per interna necessità espressiva.
12. Non esitare ad entrare nella psicologia dei personaggi
e nelle loro reciproche relazioni: gli esseri umani
possono essere belli come i più affascinanti animali
o come le più intriganti macchine tecnologiche.
13. Non devi essere vago quando racconti una storia:
il vero tema deve essere espresso chiaramente
e con semplicità. Ciò non esclude però un certo
livello di drammatizzazione
e
ricreazione.
14. Non perdere l’opportunità di sperimentare. L’attuale
prestigio della documentazione visiva deriva
dal coraggio delle sue sperimentazioni. Senza
sperimentazione il documentario perde ogni valore e
cessa di esistere.
Bibliografia &
Webgrafia
255
Bibliografia
L’ABC DELLA REGIA Grammatica del Linguaggio
Cinematografico (Volume I - II )
Daniel Arijon
Dino Audino s.r.l. Edit., Roma, 2005
ANIMATION NOW!
Anima Mundi, Ed. Julius Wiedemann
Taschen Editore
ANIMAZIONE BIDIMENSIONALE E
TRIDIMENSIONALE A CONFRONTO.
SPERIMENTAZIONE DI TECNICHE MISTE.
Tesi di Laurea Specialistica di Mario Aquaro
Disegno Industriale e Comunicazione Visiva
Università degli Studi “La Sapienza”, Roma e
L’Università degli Studi di Camerino
Anno Accademico 2006/2007
THE ANIMATOR SURVIVAL KIT: A Manual of
Methods, Principles and Formulas for Classical,
Computer, Games, Stop Motion and Internet
Animators.
Richard Williams
Faber & Faber, London, 2001
LE ANIME DISEGNATE Il Pensiero nei Cartoon da
Disney ai Giapponesi e Oltre
Luca Raffaelli
Minimun Fax Edit., Roma, 2005
256
ANIMAZIONE 3D: Storia- Tecniche - Produzione
Daniele Bigi e Nicolò Ceccarelli
Mondadori Informatica: A.Mondadori Edit. S.p.a,
Pavia 2004
CARTOON ANIMATION
Preston Blair
Walter Foster Editore,1994
I CARTONI ANIMATI: Principi e Tecnica
dell’Animazione nel Classico Illustrato che Ispirò
Walt Disney
Edwin G. Lutz
Dino Audino s.r.l. Edit., Roma 2001
CARTOONS, 100 ANNI DI CINEMA D’ANIMAZIONE
G. Bendazzi
Marsilio Editori, Venezia, 1992
CHARACTER ANIMATION 2 Skills for Better 3D
Steve Roberts
Focal Press - Second Edition
COME SI FA UNA TESI DI LAUREA
Umberto Eco
Bompiani Editore, 2001
CON GLI OCCHI A MANDORLA: Sguardi sul
giappone dei cartoon e dei fumetti
Roberta Ponticello e Susanna Tamaro
Tunué s.r.l, Edit. Latina, 2005
BibliografiaIntroduzione
& Webgrafia
CONOSCERE L’ANIMAZIONE: Forme, Linguaggi e
Pedagogia del Cinema Animato per Ragazzi
Marco Pellitteri
Valore Scuola Cooperativa a.r.l., Roma, 2004
THE COMPLETE ANIMATION COURSE the
Principles, Practice, and Techniques of Successful
Animation
Chris Patmore
Barron’s Editore, New York, 2003
CUORE E ACCIAIO: Estetica dl’Animazione
Giapponese
Marcello Ghilardi
Esedra s.r.l. Edit., Padova 2004
DISNEY ANIMATION: THE ILLUSION OF LIFE
Frank Thomas and Ollie Johnston,
Abbeville PressDisney Editions, 1995
DIZIONARI DEL CINEMA: ANIMAZIONE
Mondadori Electa S.p.A., Milano 2005
Accademia Internazionale delle Arti e delle Scienze
dell’ immagine dell’Aquila
L’EROE DAI MILLE VOLTI
Joseph Campbell
Biblioteca della Fenice, Ugo Guanda Edit., Parma, 2007
L’EVOLUZIONE DEL CARTONE ANIMATO
Tesi di Laurea in Scenografia di nome utente: “Uazzo”
Anno accademico 2002/2003
www.3D.com
Il Portale Sulla Grafica 3D
LA FIGURA DELL’HOME PRODUCER
NELL’ANIMAZIONE CONTEMPORANEA
Tesi di Laura di Paolo Mainini
Teoria e metodo dei mass media,
Accademia di Belle Arti, Anno Accademico 2006/2007
HAYAO MIYAZAKI: Il Dio dell’Anime
Alessandro Bencivenni, prefazione Luca Raffaelli
Le Mani Edit., Genova, 2003
MANUALE DEL CINEMA Linguaggio, Racconto, Analisi
Gianni Rondolino, Dario Tomasi
UTET Libreria, Torino 2004
MAYA 6 La Guida Ufficiale
Alias Learning Tools
Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2004
MORFOLOGIA DELLA FIABA, Le Radici Storiche dei
Racconti di Magia
Vadimir Ja. Propp
Grandi Tascabili Economici Newton s.r.l., Roma, 2006
NIPPONCARTOON Immagini, Miti, Strategie
Deodata Cofano
Franco Angeli Editore, Milano, 2007
OFFIACIAL ALIAS TRANING GUIDE
LEARNING MAYA 7 The Modeling & Animation
Handbook
Alias Learing Tools, 2006
PRINCIPLES OF TRADITIONAL ANIMATION
APPLIED TO 3D COMPUTER ANIMATION
John Lasseter,
Computer Graphic NVolume 21 N.4, 1987
257
STORIA DEL CINEMA D’ANIMAZIONE Dalla
Lanterna Magica a Walt Disney da Tex Avery a
Steven Spielberg
Gianni Rondolino
UTET Libreria, Torino, 2003
LA SCENEGGIATURA Il film sulla Carta
Syd Feld
Lupetti & C. Edit. S.r.l., Milano 1994
LA SEMIOTICA NARRATIVA DI A.J.GREIMAS
Concetti Principali e Istruzioni per l’Uso
Marina Sbisà
Materiali per il Corso di Semiotica,
Scienze della Formazione, Università di Trieste
IL VIAGGIO DELL’EROE La Struttura del Mito ad
Uso di Scrittori di Narrativa e Cinema
Chris Vogler
Dino Audino Edit.,Roma, 2005
TECNICHE DI ANIMAZIONE SECONDARIA
PER PERSONAGGI REALIZZATI IN COMPUTER
GRAFICA
Tesi di Laurea di Michele Boldoni
Comunicazione Digitale,
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali,
Università degli Studi di Milano
Anno Accademico 2004/2005
258
Webgrafia
ANAMORPHOSES-IL PROCESSO DI CREAZIONE
DI UN FILM - ANIMAZIONE 3D - ANIMAZIONE
2D-FORUM
www.cgitalia.it
Portale di Informazione e Discussione su Creatività,
Tecnologia ed Intrattenimento a cura di M. Curatella
ANIMATION TIPS
www.frankandollie.com
Frank Thomas and Ollie Johnston ‘s official site
A BUG’S LIFE MEGAMINIMONDO
Progettare gli insetti:il design e il modelling dei
personaggi
Giovanni strammiello 1999
www.kultunderground.org
Kult Underground Rivista on-line Amatoriale e
Indipendente di M.Giorgini e M.Borri
CARTOON PRODUCTION PROCESS
www.demasandpartners.it
Demas & Partners Cartoons Productions Company
C’ERA UNA VOLTA LA REALTA’ IRTUALE ver. 1.02
Andrea Brogi - [email protected]
DICo - Dipartimento di Informatica e Comunicazione
Università degli Studi di Milano
Anno Accademico 2007/2008
www.xlab.it/universita.html
XLab 3D New Media Education
BibliografiaIntroduzione
& Webgrafia
CEL-ULAR ANATOMY 101 - the CEL
www.anime-cel.com
sito sulla vendita on-line di Rodovetri giapponesi
COMPUTER ANIMATION - CAMERA ANIMATION
TRICKS TO AINMATING CHARACTER WITH A
COMPUTER
www.siggraph.org
From the Association for Computing Machinery’s Special
Interest Group on Graphics and Interactive Techniques.
CORSO DI ANIMAZIONE
pixelcartoon.it
Pixel Cartoon Company di Valerio Oss
DALLA PELLICOLA AL MASTER
www.afdigitale.it
Afdigitale Rivista Multimediale online
DIAMOCI UN “TAGLIO”
Riflessioni sul Montaggio Audiovisivo
Tesi di Laurea Specialistica di Eleonora Costa
Istituto Superiore di Giornalismo,
Università degli Studi di Palermo
Anno Accademico 2004/2005
L’EFFETTO SPECIALE E LA SUA EVOLUZIONE
PROCESSO PRODUTTIVO DELLA SERIE “FRIENDS”
ELABORAZIONE DELL’IMMAGINE
IL CINEMA D’ANIMAZIONE GIAPPONESE
D’AUTORE. ANIME: INTRATTENIMENTO,
MESSAGGIO, CONCETTUALITA’
www.noemalab.org
Portale di Tecnologie e Società di P. Cappucci & F. Foschi
HOW AN ANIMATED CARTON IS MADE
www.sci.fi/~animato
The site for Animation, Stop motion and 3d movie
enthusiasts! Di by Jan-Eric Nyström, Helsinki, Finland
LEZIONI DI FUMETTO ON LINE
tutorialkinart.blogspot.com
Sito di Lezioni di Fumetto di A. Accardi
LE PRINCIPALI TECNICHE DI ANIMAZIONE
DISEGNI ANIMATI
www.intermed.it
“L’officina del sogno” di Luca Fava
LE REGOLE DEL MONTAGGIO - ASPECT RATIO I FORMATI VIDEO E CINEMATOGRAFICI - LA
COMPRESSIONE WMV9
www.clipscorner.net.
Portale dell’ Associazione Culturale Clipscomer
“The House of the Film’akers”
THE ROSTRUM CAMERA
Jeff Goldner
www.animationpost.co.uk
Animation Post Offers dDigital Ink & Paint Services to UK
Animation Companies (Jeff Goldner.)
STORIA DEL CINEMA D’ANIMAZIONE DAGLI INIZI
AI GIORNI NOSTRI
Antonio Greco
www.mardukkina.it
“Il web al femminile” di Marianna alias Mardukkina
www.storiain.net
Rivista Multimediale di storia di Franco Gianola
259
THE TRADITIONAL ANIMATION PROCESS
www.answers.com
Portale tematico
CINEMA DI ANIMAZIONE
Trucchi di un’Arte Sconosciuta
I PRINCIPI DELL’ANIMAZIONE
di V. Oss (Pixel Cartoon)
IL MONTAGGIO: ANALISI - COME SI SCRIVE
UNA SCENEGGIATURA-DIFFERENZE TRA
CORTOMETRAGGIO E LUNGOMETRAGGIO
dalla tesi di Emanuele SANA
DALL’IDEA ALLA SCENEGGIATURA
INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEL FILM
www.ilcorto.it
Sito Amatoriale sul Cinema dell’ Associazione Culturale
“ilCORTO.it” a cura di S.Francisci, R.Francisci, E.Manfucci ,
C.Bassoli e S.Picozzi.
CODEC DI COMPRESSIONE VIDEO
www.appuntisuldigitalvideo.it
Il Portale Italiano del Digital Video e del Video Editing
TELECINEMA E PROCEDIMENTO ANAMORFICO
Marcello Guidotti, 2003
www.nemesi.net
Sito Personale di M.Guidotti GUIDA AI FORMATI
VIDEO E ALLA COMPRESIONE
www.divax.it/guideutenti/guide.asp
Portale di Informatica e Tecnologia Digitale
COMPOSITING BASIC CAMERA SHOTS
www.movies.atomiclearning.com/k12/home
New Digital Training and Publishing Platform
260
IL MONTAGGIO
www.videomakers.net
Portale per gli Appassionati di Video Editing
www.awn.com
Animation World Network
STORIA DEL COMPUTER
THE TRADITIONAL ANIMATION PROCESS E ALTRO
www.wikipedia.it
L’Enciclpedia Libera
BibliografiaIntroduzione
& Webgrafia
261