Animation An emotion
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Animation An emotion Animazione Tradizionale e Animazione 3D due Progettualità a Confronto M. Bernadette Pastore matr.203688 Anno Accademico 2007/2008 Politecnico di Milano - Facoltà del Design Corso di Laurea Specialistica in Comunicazione Relatore Prof. Walter Mattana Correlatore Prof. Andrea Brogi 2 Questo progetto è nato con l’intento di approfondire le mie conoscenze sul mondo dell’animazione, un universo vasto ed eterogeneo che mi ha sempre affascinato. Cercando di scoprire cosa si cela dietro ad ogni fotogramma ho trovato un lavoro creativo e fantastico tanto quanto meticoloso e faticoso, un lavoro troppo spesso ingiustamente sottovalutato. Chiarendo passo dopo passo le due principali tecniche di animazione spero quindi di dare risalto a questa forma d’arte che non è affatto “da meno” di qualsiasi altro prodotto cinematografico. A mia Madre e a mio Padre, che mi hanno permesso di continuare gli studi e mi hanno concesso mille opportunità. Pastore M.Bernadette 3 Un ringraziamento particolare a: Andrea Brogi, per il sostegno, la condivisione e la simpatia, Walter Mattana, per la pazienza dimostrata, Viviana Scibetta e Angelo De Vita, per la correzione dei testi, Lorenzo Pastore ed Annalisa Rinolfi per l’aiuto dato nella composizione di immagini e disegni, Alessia Beccia e i ragazzi dello studio Bonsai Ninja di Milano (www.bonsaininja.com), per l’aiuto nei render, Alberto “Vartis” per la disponibilità e i consigli tecnici, Mauro Brioschi e lo staff dello Studio Gertie di Milano (www.gertie-productions.it) per la disponibilità dimostrata, Sig.Michel Fuzellier, per l’accuratezza nei chiarimenti dati, Christian Zanin, per il sostegno morale. 4 « È stato molto tempo fa, più di quanto non sembra, in un posto che, forse, nei sogni si rimembra, la storia che voi udire potrete si svolse nel mondo delle feste più liete. Vi sarete chiesti, magari, dove nascono le feste. Se così non è, direi... che cominciare dovreste! » The Nightmare Before Christmas (1993) Tim Burton 5 6 Indice generale INTRODUZIONE 9 STORIA 23 PRE-PRODUZIONE 47 PRODUZIONE 101 POST-PRODUZIONE 161 PROGETTO PERSONALE 169 LA GRAMMATICA CINEMATOGRAFICA 211 BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA 253 7 INTRODUZIONE 1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 Introduzione all’ Animazione pag.12 Principi e Tecniche 15 Disegno Animato 17 Disegno Diretto su Pellicola 18 Animazione in Stop Motion (Passo uno) 19 Animazione Cutout 20 Pixelation 21 Computer Animation 2D 22 Computer Animation 3D 23 STORIA 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 Le Origini dell’Animazione I Pionieri LE ORIGINI DELLA COMPUTER GRAFICA EVOLUZIONE STORICA PIXAR ANIMATION STUDIO LE TAPPE TECNOLOGICHE ESSENZIALI 26 29 32 33 39 40 PRE-PRODUZIONE 3 Prologo 3.1 Concept 3.2 Soggetto 3.3 Trattamento e Scaletta 3.4 Sceneggiatura 3.5 Design 3.6 Style Guide 8 50 52 52 53 54 56 57 3.7 Registrazione Audio 3.8 Storyboard 3.9 Animatic 3.10 Approfondimenti: 3.10.1 The Hollywood Formula 3.10.2 Cosa Rende Efficace un Personaggio 3.10.3 Narratività 3.10.4 “L’ Eroe dai Mille Volti” di J. Campbell 62 67 71 73 76 79 82 PRODUZIONE 4 Prologo 4.1 Layout 2D 4.2 LAYOUT 3D 4.3 Animazione e Test a Matita (Pencil Test) 4.4 Pulizia dei tratti (Clean Up) 4.5 MODELLAZIONE 4.6 RIGGING (Set Up) 4.7 ANIMAZIONE 4.8 Animazione inbetween 4.9 ANIMAZIONE KEYFRAME 4.10 Multilayer 2D 4.11 Inchiostratura (Ink) 4.12 Colorazione (Paint) 4.13 SHADING 4.14 TEXTURING 4.15 LIGHTING 4.16 Effetti Speciali 2D 4.17 EFFETTI SPECIALI 3D 4.18 Montaggio 4.19 RENDERING 104 106 106 108 111 111 118 125 125 127 131 134 135 136 137 139 143 143 145 146 Indice generale 4.20 Approfondimenti: 4.20.1 I 12 Principi dell’Animazione 149 POST-PRODUZIONE 5 Prologo 5.1 Screening Test 5.2 Post Produzione Audio 5.3 Post Produzione Video 164 165 165 167 7.9 7.10 7.11 7.12 7.13 7.14 7.15 Lo Spazio Il Tempo Il Montaggio Il Montaggio a Dècoupagé Classico Regole Principali del montaggio Classico La Punteggiatura Visiva Pillole BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA 233 234 236 239 240 250 254 255 PROGETTO PERSONALE 6 6.1 Concept 6.2 Soggetto 6.3 Trattamento e Scaletta 6.4 Sceneggiatura e Storyboard 6.5 Design dei Personaggi 6.6 Animatic e Layout 3D 6.7 Modellazione 172 172 176 182 197 201 209 LA GRAMMATICA CINEMATOGRAFICA 7 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 7.8 Linguaggio Cinematografico 2D e 3D a Confronto Elementi di Grammatica Cinematografica L’ Inquadratura La Scala dei Piani e Angolazioni Oggettive e Soggettive Il Fuoricampo Regole di Composizione in Inquadratura I Movimenti della Mdp 214 217 219 222 223 224 225 229 9 10 Introduzione 1.1 Introduzione all’ Animazione 1.2 Principi e Tecniche 1.3 Disegno Animato 1.4 Disegno Diretto su Pellicola 1.5 Animazione di Pupazzi in Stop Motion 1.6 Animazione Cutout 1.7 Pixelation 1.8 Computer Animation 2D 1.9 Computer Animation 3D 1 The Boss character The Incredibles (2004) Walt Disney Pictures Pixar Animation Studio 12 1.1 Introduzione all’Animazione Con il termine “animazione” si indica la tecnica che si occupa del movimento di disegni animati o dell’animazione di modelli, riprendendo l’azione “a passo uno” (cioè 24 fotogrammi al sec.) in modo che, in proiezione, vi sia l’illusione del movimento. La tecnica principale di animazione, quella più diffusa e famosa, è quella dei disegni animati, da noi definiti “cartoni animati” per una scorretta interpretazione della lingua inglese; questo termine infatti, deriva da “animated cartoons”, che significa disegni caricaturali animati. La parola “cartoon” si riferisce ai disegni caricaturali di genere satirico e politico che al principio erano stampati in bande sui giornali, cioè i fumetti; quando questi cartoon iniziarono ad essere proiettati sugli schermi, venne spontaneo aggiungere la parola “animated” al termine cartoon, ottenendo così “animated cartoon”; ma con questo il termine “cartone”, così come lo si intende in italiano (in inglese cardboard) non ha niente a che fare. Va inoltre chiarito che il “cartone animato” viene purtroppo spesso associato a qualcosa di infantile e futile, con una sottovalutazione e uno svilimento di questa forma espressiva che non ha giustificazioni visto che il disegno animato può essere destinato ad un pubblico diverso da quello infantile e può trasmettere qualsiasi messaggio, può infatti avere scopi didattici, scientifici o politici. E’ quindi più corretto chiamarli “disegni animati”, tenendo ben presente che il disegno animato è solo uno dei possibili mezzi espressivi messi a disposizione all’animazione. Esistono infatti un’infinità di tecniche e strumenti che si possono utilizzare per riprodurre il movimento mediante immagini in rapida successione, dal disegno animato, al disegno su pellicola, all’animazione di silhouette, Introduzione all’animazione di pupazzi in stop motion, all’animazione con la sabbia, alla computer animation ecc. Non ci sono limiti alle tecniche che è possibile utilizzare, l’unico limite risiede nella creatività dell’artista. Tutte queste tecniche vengono inglobate nel cinema d’animazione perché, nonostante le differenze, si tratta pur sempre di animare un movimento, o meglio, di ricreare l’illusione del movimento sullo schermo; non qualcosa di registrato direttamente quindi, come nei film dal vero, ma qualcosa che va preventivamente organizzato per diventare tale. Tecnicamente quindi, il cinema d’animazione può essere definito come quel particolare mezzo espressivo che si ottiene con la successione di immagini statiche realizzate isolatamente il cui movimento nasce successivamente al momento della proiezione. Gli animatori sono coloro che si occupano di ricreare questo movimento sullo schermo, per fare questo devono però scomporlo, organizzarlo e pianificarlo accuratamente, immagine dopo immagine, per poi ricomporlo agli occhi dello spettatore. Il loro lavoro non è una semplice operazione di riproduzione meccanica della realtà, ma come dice la parola, un buon animatore deve sapere “animare”, cioè infondere vita ad un personaggio, attribuendo ai suoi movimenti uno specifico carattere ed una particolare interpretazione. L’animazione e’ quindi innanzitutto un modo di pensare e di interpretare il movimento dandogli una forma; da un punto di vista concettuale non c’è nessuna differenza quindi tra un animatore tradizionale, un animatore in 3D, in stop motion ecc., tutti devono rispettare le stesse regole basilari per rendere un’ animazione convincente. La difficoltà non risiede tanto nell’animare dei “bei movimenti” recitati, ma nel far sì che questi movimenti riescano a comunicare le sensazioni e le emozioni secondo gli obiettivi della direzione artistica. Va poi specificato che il cinema di animazione, prima ancora di essere un mezzo espressivo cinematografico è una forma d‘arte, più precisamente viene definito “arte plastica in movimento”; può avere quindi scopi narrativi oppure no, può avere anche solo scopi espressivi. L’animazione più nota e diffusa è naturalmente quella usata a scopi narrativi, per raccontare storie, tramite il media televisivo o cinematografico. Io mi sono occupata di questa forma d’animazione più diffusa e commerciale, in cui l’animazione più che forma d’arte è un mezzo espressivo utilizzato per intrattenere il pubblico. Esiste tuttavia una forma di animazione meno nota, più artistica, usata in campo sperimentale, dove l’animazione è svincolata dallo scopo narrativo ed è utilizzata per la sperimentazione plastica, formale o compositiva. Questi due modi di fare animazione hanno quasi sempre seguito percorsi paralleli che raramente si sono incrociati, perché ovviamente è molto difficile far combaciare gli intenti commerciali con l’ambizione artistica. E’ poi indispensabile chiarire che l’animazione non è un genere cinematografico, se per genere s’intende un prodotto del cinema che si richiama a determinate regole compositive come per i generi nella letteratura (fantasy, giallo, horror ecc.); l’animazione è un mezzo espressivo, attraverso cui è possibile raccontare storie di infiniti generi, destinate a pubblici diversi, non solo infantili come generalmente si è portati a credere. Cartoon e fumetti infatti, non nacquero inizialmente come prodotti destinati all’infanzia, ma si rivolsero prevalentemente alla satira politica o di costume sociale, ed erano quindi rivolti ad un pubblico più adulto: il fumetto, veniva pubblicato sulle strisce comiche dei giornali mentre i disegni animati erano sempre proiettati al cinema, prima dei film, serviti un po’ come antipasto. 13 Who Framed Roger Rabbit (1988) Amblin Entertainment Silver Screen Partners Touchstone Pictures 14 Purtroppo col tempo, soprattutto a causa della lunga pratica del cinema d’animazione commerciale, principalmente Disneyano, il pubblico è stato abituato a concepire il disegno animato come un surrogato dei film dal vero, esteticamente diverso ma con gli stessi schemi formali, narrativi e compositivi, al massimo più spettacolare e fantasioso, perché destinato all’infanzia. Questa convinzione è stata incentivata anche dai lungometraggi d’animazione, che per loro natura seguono maggiormente le regole dei film dal vero. Il cinema d’animazione invece, nonostante sia allo stesso modo fruibile su schermo, presenta caratteristiche peculiari che gli sono proprie e non si basa affatto sulle stesse regole compositive dei film live, si differenzia non solo nell’estetica, ma anche nella storia che lo ha generato, nelle fonti che lo hanno ispirato, nel modo in cui viene prodotto e soprattutto negli schemi formali che lo compongono. In primis bisogna ricordare che il cinema d’animazione è nato prima della fotografia e quindi prima del cinema, che su di essa si è sviluppato; l’animazione infatti, fin dall’antichità rappresenta il tentativo dell’uomo di riprodurre la realtà che lo circonda, nelle sue forme e nel suo moto nel tempo: dalle rappresentazioni in sequenza sui muri delle caverne neolitiche di Lascaux (Francia), alle figure in successione sui vasi greci, alla più recente lanterna magica nel ‘600 (prima forma d’animazione in proiezione). Quindi, se il cinema dal vero si basa su principi tecnico espressivi che derivano dalla fotografia e dalla riproduzione meccanica della realtà, il cinema d’animazione, nelle sue variegate forme, non deriva dalla ripresa diretta della realtà ma è il risultato di un lavoro tecnico che, simula la riproduzione meccanica della realtà, ricreandola e inventandola, e a volte prescinde perfino l’uso della Mdp (macchina da presa). A questo proposito bisogna poi considerare che mentre il cinema d’animazione parte dal nulla, senza limiti alla creatività, se non a quella dell’artista, il cinema live ha dei limiti esterni connessi inevitabilmente alla realtà che lo circonda, dalle scenografie, agli attori, alle strumentazioni ecc. Per quanto riguarda poi le influenze, il cinema dal vero, detto anche “a soggetto”, deriva principalmente dal romanzo e dal teatro, cioè da una tradizione che si basa sull’aspetto letterario, narrativo, drammatico e spettacolare; mentre il cinema d’animazione si basa più sull’aspetto figurativo e pittorico delle immagini, quindi sulle arti figurative in generale, sulla letteratura per l’infanzia e sulle sue illustrazioni e in particolarmodo sul fumetto. Il cartoon americano inoltre, trae origine anche dagli spettacoli teatrali comici come i cabaret, i vaudeville e i “chalk talk” di fine 800. I “chalk talk” in particolare erano degli sketch in cui un attore intratteneva il pubblico su soggetti di satira, spesso politica, mentre disegnava su di una lavagna delle caricature e dei disegni umoristici. Non bisogna infine trascurare l’aspetto formale che in animazione si basa sull’assetto dinamico e ritmico Introduzione delle immagini, sia interno, attraverso i movimenti dei personaggi, che esterno, nel susseguirsi dinamico delle sequenze di immagini; il ritmo va inteso proprio in senso musicale, perché la messa in scena di fatti e azioni viene scandita in base ad una precisa organizzazione temporale dove i movimenti seguono regole simili a quelle di una composizione musicale. La differenza tra questi due generi risiede proprio nella concezione del movimento, “esterno” nel cinema live, basato cioè sulla mobilità della Mdp e degli attori, “interno” all’immagine nel cinema d’animazione. Perciò, se è possibile comparare il cinema dal vero al romanzo, il cinema d’animazione va comparato al fumetto, alla grafica, alla pittura, ma anche alla musica, perché l’elemento musicale (il ritmo) è un elemento cruciale nella sua struttura portante. Viste quindi le differenze estetiche come anche quelle narrative e compositive, il cinema d’animazione si presenta come un cinema tout court, indipendente e autonomo da quello dal vero, con la possibilità di trasmettere i medesimi messaggi. 1.2 Principi e Tecniche Chiarito il concetto di animazione e la sua indipendenza dal cinema dal vero, vediamo di chiarire meglio come viene creato il movimento agli occhi dello spettatore. L’animazione, come già detto, si basa sulla scomposizione di un movimento nel tempo e si ottiene con la rapida successione di immagini (pose) che, proiettate una dopo l‘altra, ricreano l’illusione del movimento. Che si tratti di semplici cerchi e linee colorati o di un topo in calzoncini rossi e gialli, il movimento ottenuto deve essere sufficientemente convincente da non far accorgere lo spettatore di trovarsi dinnanzi ad un’illusione ottica creata dalla successione di immagini statiche in sequenza. L’ animazione è quindi il risultato di un’illusione ottica che deriva dalla velocità di riproduzione delle immagini sullo schermo e dipende dal fenomeno fisico chiamato “persistenza delle immagini sulla retina”. Questo principio, notato già da Aristotele e Tolomeo, è stato poi approfondito da scienziati e psicologi nell’ 800, che hanno notato che l’occhio umano funziona come una camera oscura: la luce riflessa dall’ambiente esterno, passando per il cristallino, si focalizza sulla retina, che ha la peculiare capacità di trattenere l’immagine per una frazione di secondo maggiore della sua effettiva presenza in campo visivo (circa 1/15sec.). Questo significa che un’immagine rimane fissa sulla retina più a lungo della sua effettiva presenza. Sequenza di disegni tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair 15 Elemeti della pellicola cinematografica tratto da: L’evoluzione del cartone animato autore “Watto” www.3D.com 16 Consapevole di questa esperienza l‘uomo ha iniziato a sperimentare le tecniche della cinematografia e dell’animazione riproducendo il movimento ad una velocità tale (al di sotto del 1/15 di sec.) che l’occhio umano non percepisse lo sfarfallio dovuto alla sostituzione delle immagini durante la visione, avendo perciò la sensazione di guardare un movimento continuo e fluido (il cui effetto stroboscopico nella successione delle img. è nullo). Il principio ottico alla base della proiezione di una sequenza di disegni animati è lo stesso del cinema dal vero: come è noto, la Mdp è una sorta di macchina fotografica “a mitraglia” che impressiona sulla pellicola 24 immagini al secondo (24 fotogrammi al secondo in termini cinematografici), dove i fotogrammi sono i riquadri che contengono le singole immagini. Allo stesso modo, nel cinema d’animazione, si realizzano 24 disegni per ogni secondo di animazione, per avere un movimento altrettanto fluido in fase di proiezione. Possiamo quindi constatare che l’animazione è una professione estremamente laboriosa che richiede un gran numero di immagini in sequenza, spesso dalle piccole variazioni le une dalle altre. Se infatti si volesse animare una breve sequenza di 5 min., si dovrebbero realizzare 24 disegni per ognuno dei 60 sec che compongono i minuti dell’animazione, per un totale di 7.200 disegni. Tuttavia, se questo era il metodo utilizzato agli albori, le successive innovazioni tecniche e tecnologiche, dal rodovetro (Earl Hurd 1914) alle nuove tecniche al computer, hanno permesso di smaltire enormemente questa mole di lavoro. L’animazione a 24 fotogrammi al sec., viene definita “a passo uno”; dove il passo, nel gergo tecnico, è il risultato di una semplice operazione aritmetica che corrisponde alla divisione tra numero di fotogrammi in un secondo d’animazione e il numero di disegni utilizzati per animare ogni secondo (24 fotogrammi/24 disegni=1). E’ comunque possibile ottenere dei buoni risultati anche utilizzando un numero inferiore di disegni, per esempio con l’animazione a “passo due” (24/12=2), effettuata riutilizzando lo stesso disegno per due fotogrammi. Esiste poi l’animazione “a passo 3”, con 8 disegni al secondo, e così via... questo dipende dalla qualità del lavoro che si vuole ottenere. Ovviamente, ad un numero di disegni inferiore, corrisponde una maggior scattosità dell’ azione, conseguentemente una minor resa realistica e naturale del movimento. Ragionando in questi termini, a seconda del numero di disegni impiegati in animazione si usa distinguere tra due modalità di animazione: La FULL ANIMATION (animazione completa) indica un processo di produzione di alta qualità, principalmente legato ai film d’animazione, nel quale i disegni sono molto dettagliati e si presta molta attenzione al movimento realistico e naturale dei personaggi. Questa tecnica utilizza 24 disegni (fotogrammi) per ogni secondo di animazione. Ciò comporta tempi più lunghi e un immenso lavoro per gli animatori. Alla full animation corrisponde l’ animazione della Disney, che mira ad essere la più realistica e naturale possibile; ne è un perfetto esempio il primo lungometraggio di Biacaneve (1937). Introduzione sopperire alle limitazioni economiche e ai tempi ristretti imposti in quel periodo. Successivamente venne impiegata nella produzione di serie televisive a basso costo come ad esempio “I Flinstone”. Possiamo quindi concludere sottolineando il fatto che, in quanto arte plastica in movimento, l’animazione può servirsi di un’ infinità di tecniche per ricreare il movimento, ognuna con le sue peculiarità espressive. Le tre tecniche di animazione oggi più diffuse sono l’animazione a disegni animati, l’animazione tridimensionale e l’animazione in stop motion di pupazzi animati, a cui corrispondono rispettivamente i film di animazione di “Il re Leone”(1994) della Disney, “Finding Nemo”(2003) della Pixar Animation Studio e infine “The Nightmare Before Christmas” (1994) di Tim Burton. Esistono tuttavia numerose altre tecniche e molto spesso capita che venga fatta confusione; andiamo quindi a chiarire le principali e le loro caratteristiche. Snow White and the Seven Dwarfs (193437) Disney Full Animation The Flinstones Serie TV (1960) Hanna & Barbera Limited Animation 1.3. Disegno Animato La LIMITED ANIMATION (animazione limitata) invece, indica un tipo più economico di animazione, che viene utilizzata per produzioni a basso budget e dai tempi ristretti. I disegni sono meno dettagliati e i movimenti sono più semplici e limitati; i personaggi sono quindi più iconici, il movimento è più libero e antirealistico e le storie sono per lo più incentrate sul dialogo. La limited animation di solito utilizza l’animazione a “passo due” (12 disegni/sec.) o a “passo tre” (8 disegni/sec.), ma si può anche arrivare ad un minimo di 6 disegni al secondo. Questa tecnica venne ideata dalla UPA (United Production of America) nel secondo dopoguerra, per L’animazione classica a disegno animato, in inglese “cel animation”, è la tecnica più nota e diffusa perché è la più vicina al disegno tradizionale e fra le meno ardue da sperimentare. In un disegno animato il movimento si ottiene scomponendo l’azione in più fasi successive; terminata la successione di disegni, le immagini vengono riprese e quindi proiettate in rapida successione sullo schermo, ricreando l’illusione del movimento. Un tempo questa tecnica prevedeva la realizzazione di ogni singolo disegno nella sua totalità, posa dopo posa, ogni volta ridisegnando per intero sia i personaggi che gli sfondi. 17 V for Victory (1941) Norman Mc Laren Disegno Diretto su Pellicola Sotto: Mickey Mouse character (1928) Walt Disney 18 Successivamente, grazie all’invenzione dei rodovetri trasparenti (cel), si poté smaltire notevolmente la mole di lavoro disegnando una sola volta le parti che rimanevano immobili (per esempio gli sfondi o gli arti immobili), ridisegnando quindi solamente le parti in movimento tra un frame e l’altro. Il procedimento tradizionale è tuttora il seguente: i disegni vengono prima realizzati su fogli di carta e poi stampati sui rodovetri trasparenti e quindi colorati. Ogni disegno, prima di essere stampato sui rodovetri, viene scomposto in più parti a seconda della fissità/mobilità delle sue parti componenti. Ad ogni disegno corrispondono quindi più livelli di rodovetri, che sovrapposti uno sull’ altro ricomporranno poi l’immagine totale. In fase di ripresa, per la registrazione di ogni fotogramma, sopra il disegno dello sfondo, vengono allora sovrapposti tutti i rodovetri necessari a comporre un singolo disegno; per procedere alla ripresa del fotogramma successivo sarà quindi necessario sostituire i rodovetri che devono produrre il movimento, riprendere l’immagine, e così procedere fino alla fine. Questa tecnica elaborata ad inizio secolo (1910) e perfezionata negli anni successivi fino agli anni ‘30, con l’invenzione della Multiplane Camera (apparecchio che permette una resa più tridimensionale, aumentando il senso della profondità di campo) è stata utilizzata per i disegni animati di un intero secolo, fino ad arrivare oggi ad un ulteriore miglioramento grazie all’impiego del computer, che ha permesso di effettuare digitalmente lo stesso procedimento, ma velocizzando i tempi, abbassando i costi e migliorando la qualità del lavoro. 1.4 Il Disegno Diretto su Pellicola Il disegno diretto su pellicola è una tecnica poco diffusa che comporta la manipolazione della pellicola cinematografica non ancora sviluppata, fotogramma per fotogramma, come fosse un materiale artigianale. Ciò che si ottiene è ovviamente un disegno molto piccolo e poco dettagliato (3x2cm circa) per lo più composto da segni, linee e chiazze di colore dalle forme geometriche o astratte. La pellicola può essere disegnata ma anche incisa e graffiata con punte o lamette, oppure manipolata con vari strumenti e soluzioni. Si tratta di un lavoro minuzioso che richiede molta precisione e pazienza. Il risultato ottenuto in proiezione finale è dato dalla successione di ogni fotogramma manipolato ed è spesso un risultato sconosciuto, non predeterminato, ma acquista valore in quanto prodotto di una serie di manipolazioni volute. Il disegno su pellicola è stata una tecnica sperimentata dal cinema astrattista e dalle avanguardie sperimentali; fu portata al massimo grado di sofisticazione dal neo-zelandese Len Lye e dallo scozzesecanadese Norman McLaren con opere quali “Begone Dull Care” e “Blinkity Blank”. Introduzione 1.5 Animazione in Stop Motion (Passo uno) L’ animazione in Stop Motion, che significa letteralmente “fermare il movimento”, coinvolge molte tecniche che a prima vista possono sembrare differenti (sabbia, pittura, oggetti, carta ecc.), in realtà cambiano solo i materiali utilizzati mentre il procedimento è sempre lo stesso. L’ animazione di pupazzi in plastilina, argilla o lattice di gomma, detta Clay animation o Puppet animation, è la tecnica più diffusa. La Stop Motion si occupa della ripresa fotografica di un oggetto o di un materiale qualsiasi, mosso, fra una fotografia e l’altra, dagli animatori, in un ambiente precostruito. L’oggetto viene mosso leggermente (la plastilina viene manipolata), fra una fotografia e l’altra, fino a comporre l’ intera azione desiderata. La sequenza degli scatti (a passo uno) dà vita ad un movimento continuo del modello, dove non si vede la mano dell’operatore. Questa tecnica richiede un vero e proprio laboratorio artigianale dove lavorano insieme diverse figure di artisti, scultori, scenografi, animatori, costumisti, pittori ecc. L’artista in stop motion ha il dominio completo del proprio mondo ma ha anche a che fare con un lavoro molto lungo ed estremamente meticoloso. La cosa più difficile è mantenere la visione globale del lavoro che si sta facendo, non è possibile improvvisare: i personaggi vanno studiati a tavolino, considerando ogni singola espressione e ogni singolo movimento delle loro parti componenti. I pupazzi hanno infatti un’armatura interna (in fil di ferro) che permette la manipolazioni delle giunture e la sostituzione di diverse parti, come la testa e gli arti. Occorre poi considerare molto accuratamente la composizione delle scenografie entro cui si muoveranno i pupazzi, che hanno tutte le stesse problematiche di un set dal vero (luci, ombre, ingombri, spostamenti di camera, operatori e personaggi ecc.) anche se sono realizzate in scala. Questa tecnica ha un modus operandi molto simile a quello del cinema dal vero, in cui la disposizione delle inquadrature, l’allestimento delle scene, degli attori e dei movimenti deve essere ben pianificato dal regista per determinare ogni singola composizione in inquadratura. Il fatto di coinvolgere dei reali oggetti fisici, e non degli oggetti disegnati manualmente, ha permesso l’uso di questa tecnica anche nella comune cinematografia, per la quale ha rappresentato la prima fonte di effetti speciali, quali movimenti di oggetti, sparizioni e apparizioni. La Puppet Animation, molto usata in Est-Europa, ebbe in Jirí Trnka uno dei suoi autori più famosi; oggi è una tecnica in netta ripresa grazie a film come “The Nightmare Before Christmas” (1993) di Tim Burton, oppure “Galline in fuga” (2000) e “Wallace & Gromit” dello studio Aardman Animation. Wallace & Gromit Aardman Animation 19 Le Avventure del Principe Achmed (1924-1926) Lotte Reiniger Silhouette Animation Pulcinella (1973) G. Giannini, E. Luzzati Cutout Animation Angry Kid Serie TV Darren Walsh Aardan Animation Pixelation 20 1.6 Animazione Cutout La Cutout Animation è un genere di Stop Motion bidimensionale, applicata ad oggetti piatti come ritagli di giornale, stoffe ecc. Consiste in pratica nel fotografare in sequenza delle figure bidimensionali, realizzate in vari materiali (cartone, stoffa, giornale ecc.), mosse fotogramma per fotogramma su di una superficie piana. Il risultato finale è una sorta di “collage in movimento” dalla quasi totale assenza prospettica. Queste figure non sono quasi mai forme uniche, ma sono composte da articolazioni mobili, connesse da appositi giunti, spesso anche sostituibili, per rendere più agevole il lavoro dell’ animatore. La Cutout Animation si divide in due categorie: monocromatica e policromatica. Quella monocromatica è conosciuta come “Animazione in Silhouette” e si basa sulla classica tecnica delle ombre cinesi: le silhouette, ritagliate su foglio metallico (o cartoncino), spiccano dallo sfondo colorato come ombre nere. Sono infatti posizionate su di un piano di vetro orizzontale, retroilluminato, ripreso dall‘alto. La retro-illuminazione serve a conferire massima opacità al nero e massima luminosità ai fondali colorati. L’ animazione in Cutout policromatica è invece composta da figure di diversi materiali (stoffa, cartone, foto) che si differenziano dalle silhouette perché sono colorate e decorate al loro interno e non sono retroilluminate. Questa tecnica richiede molta abilità manuale e necessita di un’ attenta pianificazione. Questo lavoro è oggi molto facilitato dal digitale, che permette, una volta acquisite le immagini dei ritagli, di associare le diverse parti a vari livelli virtuali, sovrapponibili e animabili separatamente. Fra i maggiori rappresentanti di questa tecnica va citata l’ artista tedesca Lotte Reineger, dei primi del ‘900, famosa Introduzione per il lungometraggio “Le Avventure del Principe Achmed” (1926), oppure Michel Ochelot, con “Principi e Principesse” (2000), a lei dichiaratamente ispirato. In animazione policromatica sono invece famose le storie di “Angela Anaconda” (2002) di Joanna Ferrone e Sue Rose, oppure le storie animate di Giulio Giannini ed Emanuele Luzzati, come “Pulcinella” (1973). Un esempio di Cutout digitale è il famoso SouthPark di Trey Parker e Matt Stone. Rotoscoping: A Scanner Darkly(2006) Film di R.Linklater Attori: Keanu Reeves, Robert Downey Jr., Woody Harrelson, Winona Ryder, Rory Cochrane. Genere Fantascienza. 1.7 Pixelation La Pixelation è una tecnica che si trova al confine tra animazione in Stop Motion e ripresa dal vero, viene effettuata disponendo in successione temporale una serie di immagini fotografiche dalle piccole variazioni (per esempio un fiore che sboccia) le une rispetto alle altre. Si ottiene così un movimento poco naturale e piuttosto scattoso, una specie di collage dinamico, ma con un effetto piuttosto spettacolare grazie alla continuità visiva. Questa tecnica coinvolge spesso degli attori reali che si prestano alla fotografia in Stop-Motion muovendosi come oggetti inanimati secondo le direttive del regista, ricreando così scene dall’effetto surreale. La Pixelation differisce molto da tutte le altre tecniche proprio per il risultato innaturale e rigido che si ottiene nell’animazione finale; questa tecnica non utilizza infatti l’animazione a passo uno. Un esempio attuale di Pixelation sono le avventure di “Angry Kid” di Darren Walsh, realizzate dallo studio Aardman Animation. 21 The Powerpuff Girl serie TV Craig McCracken Hanna & Barbera Production 1.8 Computer Animation 2D La Computer Animation, che in italiano significa animazione al computer, è l’insieme delle tecnologie digitali applicate nell’animazione tramite l’utilizzo del computer e di software specifici; può perciò essere utilizzata per effettuare animazioni 2D oppure 3D a seconda dei casi. Esistono comunque numerosi programmi che si possono utilizzare per fare animazione. La Computer Animation 2D più diffusa è la Flash Animation, che prende il nome dall’omonimo software impiegato per crearla. Esteticamente si distingue per i tratti nitidi e le campiture nette, nonostante la possibilità di applicare diversi effetti di fotoritocco. La Flash Animation non differisce molto dalla tecnica tradizionale, il procedimento rimane essenzialmente lo stesso ma viene facilitato grazie all’uso del computer. I disegni vengono direttamente realizzati in digitale 22 utilizzando una tavoletta grafica oppure vengono successivamente digitalizzati tramite scanner. Una volta acquisite, le immagini vengono meglio definite nei contorni e poi colorate e animate digitalmente, tramite l’impiego di software specifici che permettono di snellire notevolmente il lavoro dell’animatore, migliorando sia i tempi che i costi di produzione. Flash in particolare ha un approccio pratico e intuitivo, molto simile alle modalità operative tradizionali: si mantiene una scansione temporale fotogramma per fotogramma e tramite la tecnica detta di “onion skyn” è possibile vedere in trasparenza i tratti dei disegni in successione (come attraverso la tavola luminosa tradizionale). E’ inoltre possibile effettuare delle interpolazioni automatiche per traslare, ruotare e scalare i disegni e sono a disposizione una buona varietà di filtri ed effetti di fotoritocco quali la sfocatura, la trasparenza, la luminosità ecc. I disegni così ottenuti sono in formato vettoriale e questo rappresenta un ulteriore vantaggio perché così occupano uno spazio limitato di memoria pur non avendo limiti di risoluzione. Grazie a tutte queste facilitazioni Flash è un programma molto utilizzato e diffuso sia nel web che a livello televisivo e cinematografico. Introduzione 1.9 Computer Animation 3D o cgi La Computer animation 3D, detta anche CGI (Computer Generated Imagery), si basa sulla creazione e la successiva animazione di modelli virtuali tridimensionali creati tramite il computer per mezzo di software specifici come Lightwave3D, Maya, SoftimageXSI, 3DStudioMax ecc. Ogni sistema 3D deve fornire due elementi: un metodo di descrizione del sistema stesso detto “scena”, composto da rappresentazioni matematiche di oggetti tridimensionali, detti “modelli”, e un meccanismo di produzione di un’immagine 2D dalla scena, detto “render”. L’ animazione 3D, concettualmente basata sugli stessi principi dell’animazione tradizionale per quanto riguarda l’animazione dei movimenti, in realtà si avvicina molto anche all’animazione di pupazzi in Stop Motion e alle riprese cinematografiche dei film live, con tutte le problematiche relative alla gestione dei set scenografico, delle luci e dei movimenti di camera. A seconda dello stile e dei software impiegati i processi di produzione possono essere diversi. Esistono comunque delle fasi che stanno alla base del processo e rimangono sempre uguali, queste sono le seguenti: modellazione - rigging - texturing & shading - animazione - illuminazione - visual effect - rendering - compositing touch up e video output. La prima fase di modellazione consiste nella creazione tridimensionale delle forme geometriche dei personaggi, degli oggetti e degli ambienti necessari; il rigging si occupa quindi di creare i giunti e gli snodi per permettere ai modelli di muoversi (nel caso di un personaggio viene creato uno scheletro digitale per permettergli di essere messo in posa). La superficie geometrica del modello viene allora agganciata allo scheletro tramite lo skinning, che permette alla superficie di deformarsi adeguatamente seguendo i movimenti del personaggio. Successivamente vengono definite le proprietà estetiche tramite il texturing e lo shading. Gli animatori si occupano nel frattempo di “animare” il modello e le sue espressioni facciali secondo la sceneggiatura. Va ricordato che in ambiente 3D qualsiasi cosa all’interno del software può essere animata, dai personaggi alle luci, dalle deformazioni ai movimenti di camera. Successivamente si passa all’illuminazione dei set, alla creazione degli effetti speciali e infine al rendering, attraverso il quale si ottengono le immagini finali in successione, previa definizione di tutte le proprietà estetiche e gli effetti. Si passa infine alla postproduzione e al compositing delle immagini prodotte dal rendering, per ottenere poi un’ unica sequenza finale. Si effettuano infine le correzioni di “touch-up” (fotoritocco) e quindi si procede alla reazione dell’ output video finale. Questa tecnica, oggi giunta ad uno stadio molto avanzato, è anche impiegata per la realizzazione degli effetti speciali digitali in ambito cinematografico e televisivo, oltre che nel campo dei videogames. Le società più famose sono oggi la Pixar, la Dreamworks e la PDI che con prodotti come “Toy Story” (1995), “Shrek” (2001), “L’Era Glaciale” (2002), “Finding Nemo” (2003), “Gli Incredibili” (2004), o il recentissimo “Ratatouille” (2007) stanno ritagliandosi una consistente fetta di mercato internazionale. Pinguino character Madagascar (2005) PDI e Dream Works 23 Da Destra Chicken Run (2005) Aardman Animation Allied Filmaker Dreamworks SKG Pathé Pictures Ltd Stop Motion Animation The Nightmare Before Christmas (1993) Tim Burton Skellington Production Touchstone Pictures Stop Motion Animation The Curse of the Were-Rabbits (2005) Nick Park e Steve Box Aardman Animation DreamWorks SKG Stop Motion Animation La Sposa Cadavere (2005) Tim Burton Mike Johnson Warner Bros Production Stop Motion Animation 24 2D Storia 2.1 Le Origini dell’Animazione 2.2 I Pionieri 3D Le Origini della Computer GraFICA 2.3 Evoluzione Storica 2.4 Pixar Animation Studio 2.5 Le tappe TECNOLOGICHE Essenziali 2.6 25 2 Jack Jack character The Incredibles (2004) Disney / Pixar 2.1 Le Origini dell’Animazione Storicamente parlando, si può risalire alle prime forme di animazione sin dalla preistoria, visto che l‘uomo, fin da sempre ha cercato di riprodurre se stesso e il mondo che lo circonda, rappresentandolo in movimento. Si possono citare quindi i primi graffiti sui muri, rappresentanti animali dalle molte zampe (in sequenza), e passare poi alla scoperta della capacità del fuoco di rendere vibranti di movimento le figure in rilievo sui muri, giungendo così ai bassorilievi in Egitto e successivamente alle figure in sequenza sui vasi, per arrivare infine ai primi spettacoli di ombre cinesi, in Cina come anche in Egitto, Persia e Babilonia, diffusasi poi in Europa nel 1700. Dopo le ricerche di Aristotele, degli arabi, di Giovanni Battista Della Porta e Leonardo Da Vinci, nel campo dell’ottica, della riflessione e rifrazione della luce e della camera oscura, la prima vera forma di spettacolo cinematografico inizia con la Lanterna Magica, conosciuta fin dalla antichità, ma citata per la prima volta dal gesuita padre Kirchner nel 1672 nel libro “Ars Magna 26 Lucis et Umbrae” e diffusasi in Europa attraverso spettacoli ambulanti nelle piazze e nelle corti dei nobili nel ‘700 e nell’ ‘800. Questo apparecchio proiettava su di un telo delle figure disegnate su vetrini traslucidi, ottenendone l’ingrandimento e successivamente anche effetti di sostituzione, apparizione e sparizione. Il cinema d’animazione prende le mosse proprio dalla lanterna magica e dai successivi apparecchi meccanici realizzati in tutto l’ ‘800, basati sul miglioramento della lanterna magica e sulla scoperta della persistenza retinica (Roget 1824). In queste nuove apparecchiature, diffusasi più che altro come giocattoli per l’intrattenimento, la riproduzione del movimento era strettamente collegata al disegno, all’illustrazione popolare, alla caricatura e al fumetto. Il cinema “dal vero” dovrà aspettare invece i progressi nel campo della fotografia, che partendo dalla prima immagine fotografica realizzata da Joseph Nicéphore Niépce nel 1826, si svilupperanno in tutto l’800 con procedimenti quali la dagherrotipia e la caleotipia, atti a migliorare il processo chimico e i supporti, diminuendo i tempi e i costi per lo sviluppo e la stampa. Fino ad arrivare all’invenzione della pellicola trasparente nel 1884 (George Eastman) e alla successiva diffusione della macchina kodak. Il cinema d’animazione si sviluppa quindi durante tutto l’ 800 con una serie di invenzioni e strumenti. Senza indugiare troppo nelle descrizioni tecniche, tra le più importanti apparecchiature possiamo citare: il Fantascopio di Robertson (1799), il Taumatropio di John Ayton Paris (1826), il Fenachistoscopio del fisico belga Joseph Plateau (1833) e il contemporaneo Stroboscopio di Simon R. von Stampfer; lo Zootropio (chiamato inizialmente Daedalum) di William George Horner (1834) e il particolare Cineografo (o flip book) di John Barnes (1868). In particolare il Fenachistoscopio e lo Stroboscopio Introduzione Storia Da sinistra in alto: Lanterna Magica (1672) Padre Kirchner Taumatropio (1826) John Ayton Paris sono i primi strumenti a riprodurre il movimento come una serie di pose statiche successive. Queste prime invenzioni però avevano il grosso limite tecnico del numero limitato di disegni utilizzabili, non consentivano quindi di realizzare delle vere e proprie storie animate, ma più che altro una serie di azioni ripetitive quali balletti ed esercizi acrobatici effettuati da giocolieri, clown, equilibristi ecc. Il primo grande passo in avanti venne effettuato nella seconda metà dell’ 800 dalle “Pantomime Luminose” di Emilie Reynaud, considerato il precursore del cinema d’animazione come oggi lo si intende. Egli, perfezionando lo Zootropio, inventò il Praxinoscopio (1877), sostituendo alle fessure un prisma poligonale collocato al centro del cilindro; questo nuovo procedimento, eliminando il tempo di otturazione tra una fessura e l’altra, ottenne un movimento molto più fluido e continuo, e una maggior luminosità dell’immagine, segnando un importante passo in avanti rispetto alle consuete modalità di visione. Inoltre, con il successivo Teatro Ottico (1888), utilizzando la pellicola a scorrimento (inventata in quell’anno) Reynaud riuscì a proiettare delle vere e proprie storie animate, in numero non più limitato e perfino fruibili da più persone. Le Pantomime però presentavano ancora dei limiti: si rinnovavano pochissimo, richiedevano mesi o anni di lavoro, erano facilmente deperibili e non duplicabili. Dal 1892 Emile Raynaud proietterà quotidianamente le sue famose “Pantomime Luminose” al museo Grévin di Parigi fino all’invenzione del Cinematografo dei Lumiere, che decreterà infine la loro rovina nel 1900. Con la diffusione della fotografia, altri due personaggi contribuirono all’evoluzione dell’animazione: l’inglese Etienne Jules Marey e il francese Eadweard Muybridge. Entrambi effettuarono diversi studi e riprese sulla locomozione umana e animale catturando attimo per attimo la scomposizione del movimento. A Marey in particolare si deve l’invenzione della Cronofotografia, ossia l’ applicazione della fotografia istantanea allo studio del movimento; Marey, grazie all’invenzione del “fucile fotografico”, un apparecchio del tutto simile ad un vero e Fenachistoscopio (1833) Joseph Plateau primo strumento a scomporre il movimento in pose in successione Zootropio (1834) William George Horner Cineografo o “Flipbook” (1868) John Barnes Praxinoscopio (1877) Praxinoscopio Teatro e Teatro Ottico (1888) Emile Raynaud Cinetoscopio (1889) Thomas Alva Edison Cinematografo (1895) Fratelli Lumiere 27 Eliografia (1826) Joseph Nicéphore Niépce Fucile Fotografico per la ripresa del volo degli uccelli (1882) Etienne Jules Marey Studi fotografici sulla locomozione umana e animale (1878) Eadweard Muybridge 28 proprio fucile, fu in grado di fotografare il movimento a 12 e successivamente a 20 fotogrammi al secondo, grazie all’introduzione della pellicola fotografica. Questo nuovo strumento aveva in pratica già tutte le caratteristiche delle moderne macchine da presa, con il solo problema dell’irregolarità del trascinamento della pellicola. La pellicola a scorrimento (tramite perforazione) venne ideata poi nel 1889 da Thomas Alva Edison e dal suo assistente Laurie Dickson, che conseguentemente inventarono anche il Cinetografo e il Cinetoscopio: il primo era uno strumento per effettuare riprese dal vero impressionando l’immagine su pellicola a 35mm e il secondo era un macchinario attraverso cui queste riprese potevano essere guardate; quest’ultimo si diffuse notevolmente in tutta europa. Si giunge infine alla tappa storica del febbraio 1895, quando i fratelli Auguste e Louis Lumière, grazie anche all’introduzione della pellicola di celluloide, brevettarono il famoso Cinematografo, che permise di realizzare sia la ripresa che la successiva proiezione con un unico strumento, alla velocità di 16 img al sec. Il cinematografo utilizzava una pellicola di 24mm perforata ai bordi, il meccanismo di trazione faceva scorrere la pellicola dietro l’obiettivo con moto intermittente ed era comandato da una manovella connessa ad un otturatore. La prima proiezione pubblica del cinematografo fu nello stesso anno al Grand Café del Boulevard des Capucines di Parigi e vennero proiettati brevi documentari quali “L’uscita dalle officine Lumière” (Sortie des ouvries de l’usine Lumière) e la famosa farsa intitolata “L’innaffiatore innaffiato” (L’arroseur arrosé). A partire dal 1895 si moltiplicano le sale cinematografiche sia in Francia che nel resto d’Europa e negli Stati Uniti e il cinematografo si afferma come nuovo spettacolo popolare; nel 1900, dopo che i fratelli Lumière cedettero i diritti di sfruttamento a Charles Pathè, il cinematografo si diffuse poi nel resto del mondo. Introduzione Storia 2.2 I Pionieri Nella prima fase della storia che va dalla nascita del cinematografo fino all’invenzione del rodovetro da parte di Earl Hurd nel 1914, le produzioni di animazione sono scarse e a carattere sperimentale, si identificano principalmente nelle opere di alcuni pionieri che a partire dal 1905 iniziano ad utilizzare la tecnica dell’animazione, tra questi come il francese Meliès, l’inglese Blackton, il francese Cohl, lo spagnolo Chomón e l’americano McCay. Si può affermare che il cinema d’animazione, inteso come spettacolo ad effetto, ha prima in Reynaud con le sue “Pantomime Luminose” e poi in Meliès, con i suoi film spettacolari ricchi di trucchi, i principali precursori, sia sul piano tecnico che su quello artistico ed espressivo. Fu infatti Georges Mèliès, ex illusionista e prestigiatore, che al cinema documentaristico dei Lumière sostituì il cinema fantastico, costruito attraverso appositi trucchi ed effetti speciali, come dissolvenze, cambiamenti di dimensioni e colori (dipinti su pellicola); pare che Mèliès sia stato il primo a sperimentare la tecnica di base in animazione, dello “scatto singolo”, ottenendo così sostituzioni, sparizioni e apparizioni improvvise ed altri effetti stupefacenti per il pubblico. Lo spettacolo di Mèlies si propose quindi come alternativa al teatro spettacolare del fasto scenografico, degli effetti drammatici e della tensione emotiva. Il suo film più noto è “Viaggio nella Luna” (Le Voyage dans la Lune) del 1902, ispirato a Jules Verne. Fino a pochi anni fa gli storici però, attribuivano l’invenzione della tecnica base di animazione, non a Georges Méliès, ma al caricaturista e regista inglese James Stuart Blackton. Sarebbe stato Blackton infatti, ad introdurre per primo la tecnica dell’animazione in “Humorous Phases of Funny Faces” (1906) e l’anno successivo, a produrre il film “The Haunted Hotel”, con cui avrebbe sconvolto il pubblico europeo con effetti di trasformazioni e spostamenti di oggetti basati sull’utilizzo della tecnica dello “scatto singolo”. Anche se la paternità della tecnica dell’animazione viene ora attribuita a Méliès è indubbio che il successo del film di Blackton ne determinò la diffusione in Europa e America, tramite i suoi numerosi film prodotti dalla Vitagraph, sua propria casa produttrice cinematografica. Il più grande pioniere del disegno animato è comunque considerato il caricaturista e illustratore francese Émile Cohl che, incaricato dalla Gaumont di Parigi di realizzare un film d’animazione sulla scia del successo di “The Haunted Hotel”, produce il film a disegno animato “Fantasmagorie” (1908), che può essere considerato il primo disegno animato come lo si intende oggi. “Fantasmagorie” fu prodotto filmando disegni composti da linee nere su uno sfondo bianco e poi stampando la pellicola sui cui erano stati impressionati in negativo, visto l’usanza dell’epoca di disegnare col gesso su di una lavagna. “L’ Arrosseur Arrosé” prima proiezione 28/12/1895 al Grand Café de Boulevard des Capucines, Parigi. 29 Le Voyage Dans la Lune (1902) Georges Mèliès Humorous Phases of Funny Faces (1906) James Stuart Blackton Fantasmagorie (1908) Émile Cohl Gertie the Dinosaur (1914) Winsor McCay 30 I personaggi della storia erano un gentiluomo ed un pagliaccio che durante le loro gag si trasformavano in oggetti e creature di ogni specie e forma. E’ con questo semplice film che il disegno animato acquista un’autonomia espressiva vera e propria, liberandosi definitivamente dai legami col cinema dal vero. Seguiranno poi altri film di vario genere, alcuni ispirati a delle serie a fumetti americane, altri perfino a pupazzi e oggetti animati. Un altro dei riconosciuti pionieri del cinema d’animazione fu Segundo de Chomón, abile tecnico cinematografico, che produsse diversi film per case cinematografiche spagnole e straniere, tra i quali si possono citare “El Hotel Eléctrico” del 1905, basato in gran parte sulla tecnica dell’animazione a “scatto singolo”. Chomón introdusse anche la tecnica del disegno animato, utilizzando lo “scatto singolo”, in una breve sequenza del film “La légende du fantôme” del 1907. In Italia lavorò con G. Pastrone al film Cabiria (1914). Un discorso a parte merita Winsor McCay, definito l’artista più geniale e poetico delle prime strisce a fumetti del ‘900. McCay si rivolse sia ai fumetti che ai disegni animati in modo unico e molto personale, differenziandosi totalmente da tutti gli altri artisti e produzioni dell’epoca. Nel 1905 nacquero le famose avventure del bambino “Little Nemo in Slumberland”, prodotte dalla Vitagraph e pubblicate a puntate sul “New York Herald”. Successivamente, a partire dal 1911, McCay produsse alcuni film d’animazione, passando da una striscia animata dello stesso “Nemo” a storie come “How a Mosquito operates”(1912) e “Gertie the Dinosaur”(1914), quest’ultimo in particolare, ebbe un discreto successo. In “Gertie the Dinosaur” le scene dal vero venivano fuse con quelle a disegni di un dinosauro, Gertie appunto, mettendo in scena una sorta di spettacolo teatrale in cui McCay interagiva col dinosauro proiettato su di un grande schermo alle sue spalle. McCay produsse poi “The Sinking of the Lusitania” e tentò, ma senza successo, di trasporre in animazione il suo personaggio a fumetti “Little Nemo”, che però si rivelerà troppo complicato per poter essere riprodotto adeguatamente sullo schermo. Alla fine di questo periodo, a partire dagli anni 1920, inizierà quindi tutta una produzione di serie a disegni animati basati su fumetti di successo. Non si può parlare della storia del cinema d’animazione americano senza sottolineare la forte relazione esistente con il fumetto e il cinema comico. La nascita del fumetto di fine ‘800, coincise infatti con la diffusione della stampa periodica e del cinema inteso come spettacolo popolare, nei primi del ‘900. Queste due forme espressive condizionarono pesantemente, Introduzione Storia per almeno 50 anni, le forme contenutistiche e gli stili formali della nascente industria di animazione. Il fumetto, essendo un genere già ben consolidato a livello sociale, venne in particolar modo sfruttato dal disegno animato, non solo nel segno grafico ma anche nella narrativa delle storie e dei soggetti rappresentati. Le ragioni risiedevano sia nella possibilità di attingere ad un panorama vasto e variegato, ricco di personaggi e storie che erano già state testate sul pubblico (ricavandone una certa popolarità), sia nella facilità della trasposizione delle serie a fumetti in serie animate, grazie alla grafica semplice e facilmente riutilizzabile, con sfondi e ambienti che spesso si ripetevano inalterati. Questo permetteva di contenere spese e tempi di realizzazione. Non pochi personaggi passeranno quindi dal fumetto allo schermo e viceversa, realizzando mutue influenze tra questi due generi. Fu Richard Felton Outcault il padre del fumetto americano, con le sue serie di “Yellow Kid” (1894) e “Buster Brown” (1904), a porre le basi della successiva diffusione delle strisce a fumetti. Queste strisce, presenti su giornali e riviste, si erano diffuse con la stampa periodica a fine 800 e venivano consumate quotidianamente, a livelli industriali, dal pubblico delle masse popolari e degli immigrati; un pubblico poco colto e poco attento ai virtuosismi del tratto. Le storie a fumetti, disegnate con un tratto volutamente trascurato e caricaturale, erano storie semplici e rozze che riflettevano i problemi e le contraddizioni sociali dell’epoca, mettendoli sul piano della satira, del grottesco, e dello sberleffo sociale e politico. In questo periodo l’animazione spesso si ridusse a far muovere i personaggi dei fumetti su sfondi di maniera, a volte utilizzando anche le famose nuvolette, per chiarire i dialoghi (non esisteva ancora il sonoro); molto spesso si perse il sapore comico-grottesco delle strisce originarie ottenendo una trasposizione cinematografica piatta e priva di fantasia (anche se il successo di pubblico comunque non mancava). Si trattava di serie composte da brevi film, poco più che cortometraggi, proiettati nelle sale cinematografiche prima dello spettacolo di film “dal vero”, oppure all’interno delle pause. Ma il valore di queste produzioni non fu tanto nel prodotto artistico quanto nel loro valore sociale; queste infatti, riflettevano chiaramente lo spirito del tempo (sia pur in modo deformato), fornendo elementi utili ad un’analisi del costume, della cultura e della società dell’epoca. In questa produzione abbondante di disegni animati di consumo si impegnarono tutte le maggiori case cinematografiche dell’epoca, come Edison, Vitagraph, Paramount, Universal e International Film Service, ognuna creando la propria sezione dedicata alla produzione di serie animate, con centinaia di artisti all’opera. A trasformare in prodotti d’animazione le serie fumetti fu inizialmente la Edison, che produsse la serie “Buster Brown Cartoons” nel 1914 e “Animated Grouch Chaser”, poi seguirono altre serie animate come “Krazy Kat” dei “Katzenjammer Kids”, di “Happy Hooligan” di “Mutt and Jeff”, di “Bringing up Father” ecc. Negli anni seguenti alle produzioni animate si aggiunsero allora altre case come Rko, Celebrity Production Inc., Disney, Warner Bros, MGM (Metro Goldwin Mayer), UPA (United Production of America)... che ora sono quelle più famose. Alla diffusione del disegno animato di serie contribuì infine Earl hurd con l’invenzione del rodovetro trasparente (cel) nel 1914, che permise di mantenere inalterato lo sfondo dei disegni, su cui poi venivano cinematografate le animazioni dei personaggi, per trasparenza. Il disegno animato, a partire dagli anni’10, con la successiva introduzione del sonoro e del colore (1928 -1930), si avvia quindi verso la produzione di serie a largo consumo che lo porterà a monopolizzare per molti anni anche la produzione europea, rimanendo però un sotoprodotto dell’industria cinematografica Hollywoodiana. 31 2.3 Le Origini della Computer Grafica Per quanto riguarda invece la nascita dell’ animazione in digitale, si usa attribuire all’uscita nelle sale cinematografiche del film animato “Toy Story” (prodotto da Pixar Animation Studio in collaborazione con Disney nel 1995) il momento chiave in cui si è data dimostrazione della possibilità di realizzare una storia interamente in digitale. Scrollandosi di dosso la storica accusa di “freddezza” rispetto all’animazione tradizionale “Toy Story” ha dimostrato sia al pubblico che ai grandi studi hollywoodiani, che la computer grafica 3D può essere una tecnica di animazione nuova e indipendente con nulla da invidiare alle altre forme di animazione, né sul piano tecnico, né su quello stilistico, grafico o narrativo. Ovviamente “Toy Story” è la punta di un iceberg, rappresenta cioè il punto culminante di un percorso di ricerche e sperimentazioni effettuate da diverse comunità di ricercatori che, a partire dagli anni 1950, in tempi, luoghi e modalità diverse, hanno apportato il loro contributo nell’ambito della computer grafica e della computer animation. La comunità scientifica investì molto nella computer grafica per la sua forte carica comunicativa offerta nella chiarificazione di idee e concetti astratti; questo favorì la computer grafica NELla creazione di modelli matematici processabili, quindi visualizzabili in immagini, in particolarmodo rivolti alla creazione di ambienti, fenomeni e modelli naturali complessi, difficilmente processabili al computer. Questi contributi tecnologici non furono comunque gli unici, la computer animation è infatti il frutto di un laboratorio collettivo nel quale sono confluite le esperienze di diversi settori. Se sul piano tecnologico hanno contribuito sviluppatori e programmatori grazie ad enormi investimenti di denaro e risorse messi loro a disposizione, sul lato artistico e creativo hanno contribuito le esperienze del settore cinematografico e pubblicitario, in particolar 32 modo degli effetti speciali e dell’animazione. Questi ultimi sfruttando le innovazioni messe a disposizione dai ricercatori hanno saputo sviluppare un nuovo linguaggio e una nuova poetica applicabile all’animazione tridimensionale. Tutti questi contributi portano man mano a traguardi ritenuti irraggiungibili come il rendering realistico, l’animazione fluida del volto e del corpo umano, la simulazione degli ambienti e dei fenomeni naturali, come anche la capacità di attribuire personalità e profondità emotiva ai modelli realizzati. Varie società e studi di produzione si sono poi indirizzate verso l’impiego del nuovo mezzo digitale, svolgendo la funzione di motore artistico, oltre che tecnologico, portando l’estetica digitale nell’esperienza visiva del pubblico sia televisivo che cinematografico. Un aspetto peculiare della comunità di ricercatori che contribuì allo sviluppo della computer grafica fu la caratteristica di essere una sorta di “famiglia allargata”, cioè un nucleo relativamente ristretto ed omogeneo di persone dove il fattore umano, come l’amicizia e la consuetudine di gruppi nel lavorare insieme, fu un elemento cruciale. In alcuni casi le attività di ricerca di questi gruppi più o meno ampi, fecero capo a personaggi carismatici che potremmo definire degli autentici visionari. questa “famiglia di ricercatori” ebbe il sostegno di diverse istituzioni, sia pubbliche che private, che, fornendo i finanziamenti e le tecnologie necessarie, rappresentarono dei fulcri temporanei di ricerca e sviluppo. Grandi società, centri di ricerca scientifici e laboratori universitari, raccolsero così diversi gruppi di ricercatori, artisti e tecnici, che, in un determinato momento, trovarono le condizioni favorevoli alla loro missione. Fra questi centri dalle sorti altalenanti, alcuni si sono presentati più volte nel corso di questa evoluzione, è il caso della “Boeing Company”, dei “Bell Labs”, dell’ IBM e vari centri di ricerca universitari come il “Lawrence Livermore National Laboratory” dell’Università della California, il “New York Institute of Technology” (NYIT), il “dip. di informatica” dell’Università dello Introduzione Storia 2.4 Evoluzione Storica ANNI 1950 Utah, oppure laboratori legati alla ricerca scientifica come il “Jet Propulsion Laboratory” della NASA. Sempre parlando dello spirito di apertura, della condivisione e del confronto che guidarono questa grande famiglia di ricercatori e appassionati, non si può non citare l’importanza del SIGGRAPH (Special Interest Group in Computer Graphic) nato nel 1973 ad opera dell’ “American Computing Association” come appuntamento annuale per il confronto, lo scambio, l’ aggiornamento e la discussione per un ristretto gruppo di appassionati in computer grafica. Il Siggraph in pochi anni conobbe una crescita esponenziale di partecipanti, diventando un atteso palcoscenico internazionale sulla tecnologia digitale (in ogni suo aspetto) e un vitale fulcro di comunicazione, scambio e condivisione tra personaggi appartenenti a svariati settori. Al siggraph si trovarono scienziati, artisti, programmatori, animatori e semplici appassionati, allo scopo di condividere i risultati dei recenti progressi sia in campo scientifico-tecnologico sia artistico, pubblicitario che degli effetti speciali. Whirlwind (1950) il primo “minicalcolatore” MIT (Massachusetts Institute of Technology) I computer degli albori erano macchine grosse e molto costose, poco versatili, che richiedevano severi procedimenti operativi ed erano impiegati più che altro per il trattamento di volumi elevati di calcoli elementari, a fini contabili, scientifici, statistici o in campo militare. Questi computer si trovavano quindi solo in strutture privilegiate che sostanzialmente se li potevano permettere: centri di elaborazioni dati dell’amministrazione statale, laboratori di ricerca, laboratori di grandi sedi universitarie e grandi aziende. In pratica erano macchine che alla maggior parte delle persone rimanevano sconosciute e misteriose. Dopo le prime sperimentazioni grafiche avvenute occasionalmente in ambito militare (progetto whirlwind) la comunità scientifica, accortasi delle grosse potenzialità grafico-visive offerte dai calcolatori nel chiarimento di concetti astratti, iniziò a sperimentare in diversi ambiti. Queste sperimentazioni furono portate avanti da istituzioni ed enti pubblici e privati, che avevano le possibilità finanziarie, le risorse tecnologiche e il personale tecnico-scientifico adatto a portare avanti la ricerca. questi furono essenzialmente grandi società come la “General Motors”, la “Boeing Company”, i “BellLabs” (“Bell Telephone”), L’IBM, centri di ricerca scientifica come il “Jet Propulsion Laboratory” della NASA e anche laboratori di ricerca di importanti sedi universitarie come il “Lawrence Livermore National Laboratory” dell’Università della California, il “dip. di computer grafica” all’ Università dell’ Ohio, il “dip. di informatica” dell’Università dello Utah, il gruppo “MediaLab” del Massachussets Institute of Technology (MIT) e il “New York Institute of Technology” (NYIT). 33 Star Wars (1977) saga fantascientifica George Lucas Lucas Film 34 FINE 1970 E’ però a fine anni ‘70 che si verifica la prima fase positiva per la computer grafica: l’industria cinematografica registra infatti una forte flessione di pubblico dovuta essenzialmente alla concorrenza televisiva, alla proliferazione dellA home video e delle reti via cavo. Fu allora che i produttori cinematografici, in cerca di un rilancio commerciale, si rivolsero alla computer grafica viste le possibilità spettacolari offerte nel campo degli effetti speciali, in particolar modo nel campo fantascientifico. Era da tempo infatti che si guardava con interesse alle possibilità offerte dai computer nel controllo automatizzato di dispositivi analogici e ottici, con particolare riferimento ai processi di “scanimate” impiegati per gestire complessi movimenti di camera e anche nella realizzazione di vari effetti ottici. Sarà proprio dalle sperimentazioni effettuate a partire da questo momento che si arriverà poi all’utilizzo delle tecniche di compositing digitale, cioè del fotomontaggio e della fusione di immagini diverse in un’ unica finale. Gli effetti speciali iniziarono così ad essere sempre più utilizzati nei film, dando avvio al filone “Sci-Fi”, dove l’ estetica hi-tech e l’utilizzo del digitale divenne visibilmente dominante. Degli esempi furono i film “Westworld, Future World” (1976), “The Black Hole” (1979), “Alien” (1979), “Looker” (1981) e il mitico “Star Wars” (1977), prodotto dalla Industrial Light & Magic (ILM) e diventato fin da subito un cult cinematografico. E’ opinione comune attribuire a questo film la data di nascita degli effetti speciali digitali sebbene vi fossero già stati esperimenti in questa direzione, soprattutto in riguardo all’ animazione; è comunque a partire da ”Star Wars” che le tecnologie digitali sono diventate sempre più centrali nella realizzazione degli effetti speciali. L’ILM in particolare dominerà il mercato negli anni 80 e 90 con diversi film di successo basati sull’impiego di svariati effetti speciali digitali, grazie anche alla costituzione nel 1979 della “Computer Graphic Division”: una sezione della Lucas Film espressamente indirizzata alla produzione di effetti cinematografici digitali, che raccogliendo a sé i massimi esperti del settore tecnologico, come anche di quello artistico, diventerà un vero e proprio punto di riferimento per l’intero settore digitale. Introduzione Storia ANNI 1980 Se però negli anni 70 la computer grafica aveva messo in evidenza il suo potenziale, i risultati ottenuti erano ancora piuttosto limitati. Si dovrà aspettare gli anni ‘80, specialmente la seconda metà, per avere una dimostrazione concreta delle possibilità offerte dal digitale nel sostenere la trama di film fantascientifici. I due film che furono determinanti nel sottolineare questo grado di maturità raggiunto dall’animazione 3D, sia sul piano tecnologico che artistico, furono quindi “Tron” (1982), prodotto dalla Disney in collaborazione con le maggiori compagnie del tempo e “The Last Starfighter” (1984), prodotto dalla Lorimar e dalla Digital Productions. Il film Tron in particolare, apparve stupefacente per l’omogeneità con cui riuscì ad integrare scene live, sfondi 3D ed effetti speciali, realizzati da compagnie diverse e sviluppati su piattaforme altrettanto diverse. Questi due film contribuirono a dare forte visibilità alle potenzialità della computer grafica presso il grande pubblico, sia sul piano tecnologico che artistico, ciò nonostante ottennero risultati deludenti di botteghino. Dopo una prima battuta di arresto, dovuta sia all’esordio economico poco brillante di queste due produzioni, sia al fatto che la CGI comportava ancora molti problemi legati all’arretratezza delle tecnologie informatiche a disposizione, si assistette man mano ad una crescita generalizzata nella domanda di effetti computerizzati che iniziarono a diffondersi sui network televisivi di tutto il mondo. Prese così avvio la stagione definita dei “logotipi volanti” (flying logo), dove la CGI venne impiegata in sigle tv, stacchi, spot pubblicitari, titolazioni per il cinema e videoclip musicali. La CG si diffuse allora nel mercato richiamando sempre più clienti, grazie ai bassi costi e ai minori tempi di produzione, nonché alla semplificazione deI processi di lavorazione (rispetto alle sequenze cinematografiche ad alta risoluzione). La diffusione di numerosi brevi progetti per la tv comunque, non sempre determinò risultati di buona qualità, anzi, la maggior parte delle volte si puntò a facili soluzioni e ad effetti appariscenti, con una certa volgarizzazione del linguaggio. Nonostante tutto, questo fu un ottimo banco di prova e di confronto, non solo per le grandi case ma anche per i piccoli studi commerciali, contribuendo alla diffusione delle immagini di sintesi AL grande pubblico. Queste immagini INOLTRE, GRAZIE ALLA simulazione realistica di materiali e movimenti, ALLA forte drammatizzazione visiva consentita dall’illuminazione sintetica E GRAZIE ANCHE ALL’introduzione di una nuova spazialità nei movimenti di camera, STIMOLARONO LA COSTITUZIONE DI UN NUOVO IMMAGINARIO VISIVO ED UNA NUOVA ESTETICA. Tron (1982) Walt Disney Pictures Steven Lisberger 35 Effetti speciali di “go-motion” utilizzati per il fil “Star Wars”: una elaborazione digitale in Stop-motion ottenuta coordinando il movimento del modellino e la cadenza degli scatti fotografici della Mdp, attraverso il computer. Tecnologia utilizzata per la ripresa di un modello di astronave sul set di “Star Wars”: sono visibili il fondo blu per le riprese (Bluescreen) e la Dykstraflex. Il mercato positivo favorì allora la nascita e lo sviluppo di diverse case di produzione specializzate in effetti computerizzati animati, sempre più spesso in 3D; tra le principali possiamo citare l’importantissima ’”Industrial Light & Magic” (ILM) di George Lucas e la altrettanto famosa “Whitney/Demos Productions” (ex Digital Productions), ma anche “Triple I” (Information International Incorporated), “MAGI” (Mathematical Application Group Incorporated), “Abel & Associates”, “Evans & Sutherland”, “International Information Inc.”, alle quali si aggiungono negli anni ‘80 anche la “Cranston/Csuri Inc.”, la PDI “Pacific Data Images”, la sezione “CGL “del lab. di ricerca del “New York Institute of Technology”, “Omnibus”, “Digital Pictures” (Londra) e “Sogitech” (Francia) . Ma è solo a partire dalla seconda metà degli anni ‘80 che, in un clima di crescenti aspettative, si apre la vera stagione del digitale. Fino a questo punto infatti, si era guardato con interesse alla computer grafica e alla computer animation 3D, ma gli effetti speciali cinematografici erano ancora per la maggior parte prodotti con le tecniche tradizionali, basate sulla lavorazione di modelli fisici e su lavorazioni ottiche e fotografiche. Diversi furono i motivi che portarono allo sviluppo del digitale: da un lato le ricerche tecnologiche erano giunte a maturazione raggiungendo un grado di 36 realismo insperato e inoltre i costi delle produzioni digitali erano diventati assai concorrenziali rispetto al processo tradizionale; dall’altro, bisogna notare che, se in passato le società avevano dovuto sviluppare in proprio i sistemi software e hardware necessari per il calcolo grafico, in questo periodo erano disponibili sul mercato diversi sistemi hardware espressamente dedicati ad applicazioni grafiche, come nel caso del computer grafico “IRIS1000” (1983) prodotto dalla “Silicon Graphic Inc.”. Si assistette inoltre alla nascita di numerose Software House specializzate in produzioni 3D, che in poco tempo misero a disposizione sofisticate funzionalità agli operatori del settore. Grazie alla disponibilità di utilizzare una piattaforma operativa stabile e ben articolata nacquero nuove case di produzione di effetti speciali e sequenze animate per il settore cinematografico, televisivo e anche per il settore dei videogiochi. Iniziarono così anche le prime sperimentazioni di piccoli autori indipendenti. Negli anni ottanta tra le principali case troviamo: “Wavefont”, “TDI” (Thompson Digital), “Alias” (che diventerà Alias-Wavefont una volta acquisita da SGI) e “Side Effect”; come anche “PDI” (Pacific Data Image), “Blue Sky Studios” di Chris Wedge, “Rhythm & Hues”, “Metrolight Studios”, “Ex-Machina” (Francia) ecc. Introduzione Storia ANNI 1990 A partire dalla fine degli anni ‘80 e per tutti gli anni ‘90 gli studi di Hollywood producono film utilizzando effetti speciali digitali in modo sempre più massiccio, man mano sempre più perfezionati, dimostrando i risultati di una ricerca tecnologica che pare inarrestabile. In pochi anni si assistono a salti qualitativi sempre più stupefacenti, che segnano profondamente l’immaginario del pubblico con l’uscita nelle sale di diversi film sempre più elaborati digitalmente, dove risulta ormai difficile distinguere le lavorazioni digitali da quelle dal vero grazie alla perfetta integrazione raggiunta. Vengono prodotti film come “The Abyss” (1989), “Terminator” e “Terminator II: “Il giorno del giudizio” (1991), “La morte ti fa bella” (1992), “Batman Returns” (1992), “Jurrasic Park” (1993), “Forrest Gump” (1994), “The Mask” (1994), “Jumanji” (1995), \”Twister” (1996), “Titanic” (1997) per arrivare infine al mitico “The Matrix” (1999). Altre importanti aziende si affiancarono alla famosa ILM nella realizzazione degli effetti speciali digitali, tra queste la “Digital Domain” di James Cameron, che si occuperà di “True Lies” (1994) e “Titanic” (1997), la “Dreamquest”, con “The Mask” (1994) e “Armageddon” (1998) e la “WETA”, di Peter Jackson con “Contact” (1997). L’elenco puntuale dei film esula dal discorso, “Jurassic Park” in particolare, con le sue creature, rappresentò un buon punto di arrivo nella realizzazione degli effetti speciali. Nell’immaginario comune, da questo periodo in poi, il digitale divenne la nuova tecnica con cui fare cinema! Gli sforzi di questa lunga fase digitale sono perciò giunti a maturazione nel ‘900, almeno sul piano tecnologico, producendo un vasto repertorio di soluzioni ed effetti digitali, in grado di riprodurre praticamente qualsiasi cosa, naturale o fantastica. Questo grazie all’elevato grado di realismo raggiunto, tanto da essere quasi indistinguibile dalle riprese dal vero, sia dall’evoluzione tecnica raggiunta nelle lavorazioni di post-produzione, particolarmente nel campo del compositing digitale, che permise non solo la fusione coerente di immagini generate in modo diverso ma anche l’applicazione di vari effetti di fotomontaggio e fotoritocco digitale, come il clean-up (per nascondere fili e imperfezioni nella ripresa) o la realizzazione ex-novo di effetti speciali aggiuntivi. Questo ovviamente ha ampliato le potenzialità espressive del cinema tradizionale abbattendo quelli che erano i suoi limiti realizzativi. Accanto alle produzioni cinematografiche anche quelle di disegni animati, iniziarono ad introdurre effetti speciali digitali nella produzione. La Disney, che dopo la morte di Walter (1966) aveva subito un periodo di crisi, inizia infatti a risollevarsi sotto la guida Effetto “Genesis” Star Trek II: L’ira di Kahn (1982) 5 mesi per pochi sec. di film. Effetto di “Morphing Digitale” The Abyss (1989) James Cameron 8 mesi di lavoro per 75 sec. Effetto di “Morphing digitale” in Terminator 2: Judment Day (1991) James Cameron. Simulazione di una creatura in carne ed ossa in Jurassic Park (1993) Steven Spielberg 2 anni di lavoro. 37 La Bella e la Bestia (1991) Walt Disney Productions scena del salone realizzata in digitale cgi ottenendo una perfetta mobilità di camera. Tarzan (1994) Walt Disney Productions scena realizzata tramite il software Deep Canvas, utilizzato per integrare disegno a manoe sfondi 3D 38 di Michael Eisner e Jeffrey Katzenberg, che per primi iniziarono a sperimentare l’integrazione di scene 3D all’interno di classici animati come “La bella e la bestia” (1991), “Il re leone” (1994) e “Tarzan” (1999); cui seguirono “Anastasia” (1997) della “20th Century Fox” e “Il principe d’egitto” (1998) della “Dreamworks”. Ma è con la fondazione della “Pixar Animation Studio” nel 1986 che si arriva alla tappa definitiva di questo percorso in cui l’animazione cgi giunge a maturazione; la Pixar infatti è la prima compagnia a credere nell’autonomia espressiva del linguaggio digitale 3D e a investire in un prodotto realizzato interamente in digitale. Dal momento della sua fondazione la Pixar si preoccupa di sviluppare la tecnologia e le conoscenze adatte a portare avanti questo grande progetto; vengono così prodotti diversi cortometraggi a partire da “Luxo Jr.” (1986), frutto di un ingegno artistico e uno sviluppo tecnologico notevoli. molti di questi corti, infatti, ricevono premi internazionali, sia da parte della comunità scientifica che da quella cinematografica. Negli stessi anni anche un’altra compagnia, la PDI, inizia a produrre dei corti di successo come “Locomotion” e Burning Love (1988), “Gas Planet” (1993) e “Sleepy Guy” (1994). un’altra data storica è quella del 1991 in cui Pixar e Disney stipulano un famoso accordo per cui si impegnano a co-produrre entro i prossimi tre anni il primo lungometraggio animato basato sulla tecnologia 3D sviluppata da Pixar: è la nascita di “Toy Story”, che uscirà nelle sale cinematografiche nel 1995 con un grande successo di pubblico. E’ con questo primo film realizzato interamente in digitale 3D che si apre definitivamente il nuovo capitolo delle produzioni cinematografiche in animazione cgi. “Toy Story” dette avvio a tutta una produzione successiva, anche di altre società, che si rileverà cospicua e travolgente, con l’industria cinematografica degli Stati Uniti saldamente in testa e perfino con un ventaglio di pubblico molto più vasto di quanto l’animazione tradizionale avesse in precedenza. Da questo momento in poi anche i famosi film di Natale della Disney accusarono il colpo della concorrenza delle nuove uscite come “A Bug’s Life” “Toy Story2” “Monster &Co” “Finding Nemo” ecc. Il successo di questi film è dato anche dalla notevole capacità inventiva dei nuovi studi di animazione quali la Pixar, BlueSky Studios, PDI, Dreamworks SKG (Spielberg, Katzenberg e Geffen), 20th Century Fox, Warner Bros, Sony Pictures ecc., che alle nuove tecniche hanno saputo aggiungere anche un grande lavoro di sceneggiatura, regia e creatività. A suggellare infine l’elevazione del digitale a linguaggio cinematografico autonomo abbiamo infine l’introduzione delle categoria Oscar per “il miglior Introduzione Storia film animato”, avvenuta nel 2001, vinta da “Shrek” della PDI (in concorrenza con “Monster&Co.” della Pixar) che ricevette inoltre, nello stesso anno, la nomination Oscar anche come “miglior film”. Corto in Cgi: The Adventures of André and Wally B. (1984) Lucasfilm Computer Graphics Division 2.5 Pixar Animation Studio Corto in cgi: Luxo Jr. (1986) cortometraggio Pixar Animation Studio La Pixar, nata nel 1986, viene fondata da Edward Catmull, Loren Carpenter e William Reeves, grazie all’appoggio finanziario di Steven Jobs, l’enfant prodige che assieme a Steve Wozniak aveva creato la “Apple” e successivamente il Machintosch. Catmull, Carpenter e Reeves facevano parte del gruppo più brillante di ricercatori della “Computer Graphic Division” della Lucas film, per cui avevano prodotto nel 1984 “The Adventure of Andre and Wally B.”, interamente in grafica 3D. Questo short aveva rappresentato due grandi novità nel campo della computer animation: una realistica e dettagliata scenografia naturale (grazie all’uso della modellazione particellare) e un’ animazione molto naturale dei personaggi, realizzata in base ai principi dei cartoon tradizionali. Il gruppo quindi, accortosi delle grosse potenzialità dell’ animazione cgi, aveva tentato di proporre la strada del lungometraggio in cgi a George Lucas, ma, divergendo nelle visioni, si era poi estromesso dalla IL+M, fondando poi il famoso Pixar Animation Studio. Pixar iniziò quindi col realizzare e sviluppare l’infrastruttura necessaria a supportare al meglio la produzione in cgi, da un lato sviluppando un software specifico, in grado sia di sfruttare la tecnologia raggiunta, sia di assicurare un facile approccio agli animatori; dall’altro impegnandosi a far convergere la tecnica alla creatività, concentrandosi sulla sceneggiatura, la caratterizzazione dei personaggi, i movimenti, lo stile, la credibilità ecc. A questo sviluppo contribuì notevolmente John Lasseter, ex animatore della Disney. Vengono quIndi realizzati diverti corti, presentati poi a vari festival internazionali, attraverso cui la Pixar si fa pubblicità, ma allo stesso tempo porta anche avanti lo sviluppo tecnologico, risolvendo di volta in volta diverse problematiche riscontrabili nel 3D, dal rendering realistico, all’animazione di espressioni facciali e movimenti convincenti, ad una migliore stilizzazione grafica dei personaggi in tre dimensioni. grazie agli importanti risultati tecnologici ed artistici raggiunti, la Pixar riceve allora una serie di importanti riconoscimenti dalla comunità internazionale della computer grafica. 39 Fiding Nemo (2003) Disney / Pixar tra questi sviluppi il più importante fu l’innovativo motore di rendering ”RenderMan” (1989), che divenne uno standard industriale per la produzione di animazioni ed effetti digitali. Inoltre, la realizzazione di “Luxo Jr” (1986), il primo cortometraggio realizzato applicando a delle semplici lampade da tavolo i principi dell’animazione tradizionale, rappresenta un ulteriore dimostrazione delle capacità espressive offerte dalla cgi. Ad esso seguiranno poi diversi altri cortometraggi, come “Red’s Dream” (1987), “Tin Toy” (1988), Knick Knack (1989), Geri’s Game (1997) o “For the Birds” (2000), alcuni dei quali riceveranno l’ Oscar come migliori cortometraggi animati. Nei primi anni 1990 la Pixar iniziò quindi a produrre i primi short pubblicitari per varie società commerciali quali Coca-Cola, Listerine, Levi’s, Tropicana, Lifesavers... che frutteranno altri premi e riconoscimenti. 2.6 Le tappe tecnologiche essenziali 1950 Il progetto militare WIRLWIND dimostra la possibilità di trasformare dati numerici in info grafiche. 1962 Ivan Sutherland al MIT sviluppa SKETCHPAD il primo sistema interattivo di disegno per manipolare img 2D e 3D in wireframe. Lee Harrison realizza MR.COMPUTER IMAGE ABC primo esperimento di character animation realizzato attraverso scanimate (computer analogico). 1963 Ed Zajac realizza “SIMULATION OF A TWO-GIRO, GRAVITY GRADIENT ATTITUDE CONTROL SYSTEM” il primo film animato interamente al computer. William Fetter sviluppa “COMPUTER GRAPHIC”, una tecnica di elaborazione dati per convertire dati ingegneristici in immagini. Fetter realizza il primo manichino tridimensionale manipolabile di figura umana. 40 Introduzione Storia 1964 Kenneth Knowlton crea le basi della GRAFICA RASTER utilizzando i caratteri tipografici come in un mosaico per comporre immagini in chiaroscuro. Kenneth Knowlton inventa BEFLIX, un linguaggio di programmazione user-friendly per generare sequenze animate di immagini al computer. 1966 Prof. Charles Csuri crea animazioni di disegni realizzati a mano e successivamente digitalizzati e manipolati al computer. ex. HUMMINGBIRD Michael Noll realizza animazioni astratte animate ispirate a principi matematici. ex. HYPERCUBE James e John Whitney realizzano LAPIS, animazione astratta ispirata alla filosofia orientale, creata dal computer analogico costruito da John. John Whitney realizza poi ARABESQUE (1975) un animazione astratta con figure geometriche e musica 1973 Nasce il SIGGRAPH Peter Fòldes al National Film Board of Canada produce il film animato “THE HUNGER”, realizzato con interpolazioni digitali. Primo esperimento sull’utilizzo del digitale per l’automatizzazione dei processi nei cartoon. Alvy Ray Smith sviluppa il SFTW. PAINT per il disegno 1974 Edward Catmull realizza la prima immagine munita di TEXTURE (texture: img 2D applicata ad un modello 3D). 1975 Mandelbrot pubblica “A THEORY OF FRACTAL SETS” sulle sue importanti ricerche sui frattali 1976 Edward Catmull al NYIT sviluppa il software TWEEN per l’interpolazione tra keyframe nei cartoon Al NYIT viene sviluppato anche il software SOFTCEL per la colorazione dei fotogrammi nei cartoon. Al NYIT inizia il progetto per il film in cgi “THE WORKS”, che influenzerà molto gli sviluppi nel 3d anche se mai finito. Simulation of a Two Gyro-Gravity-Gradient Attitude Control System (1963) Ed Zajac Primo film animato sul comportamento di un satellite attorno al sole Prima sequenza animata di un modello umano in 3D (1963) William Fetter Studio sulla Percezione: immagine composta da un mosaico di caratteri tipografici (1966) Kennet Knowlton e Leon Harmon Hummingbird (1966) disegno animato di un colibrì che si trasforma fino ad esplodere, per poi ricomporsi Charles Csuri Scuola d’ Arte dell’Ohio 41 Cortometraggio The Hunger (1973) precoce esperimento sull’ applicazione delle tecnologie informatiche nei processi d’automazione nella cartoon animation Peter Fòldes NFB of Canada Carla’s Island (1981) una delle prime animazioni ad usare la modellazione procedurale per la simulazione di fenomeni naturali complessi Nelson Max Road to Point Reyes (1983) una singola immagine a dimostrazione della qualità del realismo raggiungibile con le più avanzate tecniche del tempo LucasFilm 1978 James Blinn sviluppa il BUMP MUPPING per la simulazione di superfici rugose e irregolari (agendo sulle normali delle superfici) Marc Levoy sviluppa OPAQUE: un sistema per l’opacizzazione in digitale delle pellicole trasparenti dei cartoon La Disney commissiona alla Pixar un sistema assistito dal computer per l’ottimizzazione dei processi nei cartoon. Sulla base di Tween, nasce CAPS (Computer Animation Production System) 1980 Loren Carpenter realizza “VOL LIBRE” uno corto interamente prodotto al computer in modo procedurale. Il corto mostra sequenze di volo sopra un panorama montuoso coperto di neve. 1981 Nelson Max realizza ”CARLA’S ISLAND” un corto in cui si utilizza la modellazione procedurale per realizzare fenomeni naturali complessi. il corto mostra un’ isola in diverse ore del giorno. 1983 l’ ILM produce l’immagine di sintesi “ROAD TO POINT REYES” in cui un dettagliato paesaggio naturale è il risultato dell’unione di più elementi renderizzati separatamente e poi uniti in un unica immagine finale. Loren Carpenter scrive il nucleo del motore di render REYES (Render Everything Your Eyes Saw). William Reeves studiando gli oggetti della classe “fuzzy” (fuoco-gas-liquido) pone le basi della MODELLAZIONE PARTICELLARE proponendo di trattare questi volumi come insiemi composti di particelle distinte. 1984 La Silicon Graphic Inc immette sul mercato il primo computer grafico IRIS1000 e l’anno dopo la LucasFilm presenta il PIXAR, dedicato alla progettazione grafica. Rob Cook sviluppa il DISPLACEMENT MAPPING che crea delle vere e proprie superfici rugose e irregolari. Alla LucasFilm viene prodotto il corto animato in 3d: “THE ADVENTURE OF ANDRE AND WALLY B.” 42 Introduzione Storia 1986 La Pixar produce il primo corto “LUXO JR” , cui seguiranno altri corti di successo Particle Dreams (1988) oltre 60.000 particelle agiscono in base alla legge di gravità e rimbalzano secondo determinati parametri, cambiano di colore da blu a bianco per simulare l’ effetto schiuma Karl Sims James Blin realizza una animazione 3D simulando il viaggio della sonda spaziale Voyager su Marte e Saturno. 1987 Craig Reynolds realizza “BREAKING THE ICE”, un corto che sviluppa la modellazione particellare complessa trattando gruppi di organismi intelligenti quali stormi e branchi. 1988 Karl Sims realizza “PARTICLE DREAMS” una pièce dimostrativa che mostra una serie di sequenze oniriche in cui vengono applicate regole procedurali a migliaia di particelle. Le sequenze comprendono un’ esplosione, una tempesta di neve, una cascata, una testa che si respira. Panspermia (1990) un sofisticato microcosmo software basato su di un sistema naturale autopropagante Karl Sims Pixar immette sul mercato il motore di rendering RENDERMAN divenuto uno standard del settore. 1990 KarL Sims realizza “PANSPERMIA” utilizzando tecniche di simulazione dinamica e sistemi particellari. Il film tratta la diffusione di un sistema autopropagante di germi e spore. Displacement mapping: le informazioni di questa texture non cambiano la direzione delle normali della superficie, come nel caso del bump mupping (che causa un illusione ottica), ma alterano la superficie stessa. 1991-1995 Pixar e Disney si accordano per la co-produzione del lungometraggio animato “Toy Story” E SUCCESSIVAMENTE “Toy Story” esce nelle sale cinematografiche DIVENTANDO IL PRIMO UFFICIALE LUNGOMETRAGGIO D’ ANIMAZIONE cGI. 1. bump mapping 2. displacement 43 Da sinistra in alto: Toy Story (1995) Disney / Pixar A Bug’s Life (1996) Disney / Pixar Antz (1996) Dreamworks Animation Toy Story II (1999) Disney / Pixar Monster & Co. (2001) Disney / Pixar Shrek (2001) Dreamworks Animation 44 Introduzione Storia Final Fantasy (2001) Chris Lee Productions Square Co.Ltd Square USA Ice Age (2002) 20th Century Fox Blue Sky Studios Finding Nemo (2003) Disney / Pixar Shrek II (2004) Dreamworks Animation The Incredibles (2004) Disney / Pixar Polar Express (2004) Warner Bros 45 Da sinistra in alto: Sharktale (2004) Dreamworks Animation Uno Zoo in Fuga (2005) Disney Valiant (2005) Gary Chapman Chicken Little (2005) Disney Madagascar (2005) Dreamworks Animation Robots (2005) Blue Sky Studios Fox Animation Studio 46 Introduzione Storia Da sinistra in alto: The Ant Bully (2006) Warner Bros Cars (2006) Disney / Pixar Over the Edge (2006) Dreamworks Animation Flushed Away (2006) Dreamworks Animation Ice Age the Meltdown (2006)20th Century Fox Blue Sky Studio Arthur e il popolo dei Minimei (2007) 01 Distribution 47 Da sinistra in alto: Happy Feet (2006) Warner Bros Shrek 3 (2007) Dream Works Animation Meet the Robinson (2007) Disney Ratatouille (2007) Disney / Pixar Bee Movie (2007) Dreamworks Animation Surf’s Up (2007) Dreamworks Animation 48 Pre-produzione 2D & 3D 3.1 Concept 3.2 Soggetto et at to t sc am en en e g to g d ia es tu ig ra st n yl e g ui re d g e is tr az st . o au ry d bo io an ar im d at ic g tr g so co n ce pt 3.3 Trattamento & Scaletta 2D 1.1 1.2 1.3 1.4 2.1 2.2 3.1 4.1 5.1 3D 3.4 Sceneggiatura 3.5 Design 3.6 Style Guide 3.7 Registrazioni Audio 3.8 Storyboard 3.9 Animatic 3.10 Approfondimenti: 3.10.1 The Hollywood Formula 49 3 3.10.2 Cosa Rende Efficace un Personaggio 3.10.3 Narratività 3.10.4 “L’ Eroe dai Mille Volti” di J. Campbell Prologo Innanzitutto devo premettere che il confronto da me effettuato tra il processo produttivo in animazione tradizionale e quello in animazione cgi tridimensionale, considera l’animazione tradizionale allo stato attuale, quella classica, allo stato puro, è una tecnica che quasi non esiste più, perché l‘utilizzo del computer è entrato in modo considerevole nel processo produttivo, permettendo di facilitare, velocizzare e migliorare qualitativamente i procedimenti, ottenendo risultati migliori e più economici. Molte produzioni di disegni animati oggi si basano sull’impiego più o meno massiccio del digitale e i disegni 50 vengono realizzati direttamente al computer o subito dopo vengono digitalizzati per essere manipolati tramite appositi software (Toonz, Animo, Toonboom Studio). Ma questo non significa che il processo produttivo sia differente, le fasi e le tecniche utilizzate sono sempre le stesse. Tutti i processi produttivi si dividono nelle tre fasi: preproduzione, produzione e post-produzione. Questa scomposizione rappresenta la naturale evoluzione di un progetto, infatti tutti i lavori richiedono una fase iniziale dove il flusso astratto di idee viene reso concreto, ampliato e pianificato, una fase successiva dove si procede effettivamente alla creazione di ciò che è stato pianificato, e una fase finale in cui tutto il lavoro viene definitivamente assemblato, revisionato e unificato in modo organico, diventando un prodotto finito. La prima fase di pre-produzione, che come dice la parola pre-cede la produzione, è una fase uguale in tutti i processi produttivi; questo perché non è un processo realizzativo ma concettuale, che si preoccupa di stabilire le basi della successiva produzione (le sue fondamenta), chiarendo le principali direttive da seguire durante la fase futura di realizzazione. In pre-produzione le idee vengono rese concrete e ampliate, si ricercano le informazioni necessarie e viene pianificato attentamente l’intero flusso di lavoro successivo. Inutile quindi dire quanto sia importante questo processo nel decretare il futuro successo o la futura rovina di un qualsiasi progetto. In questa prima fase non esistono molte differenze tra il processo produttivo classico e quello in cgi 3D. Si può però notare che, a differenza della produzione di un film live, dove l’elemento più importante è la Sceneggiatura, in questo caso sono invece lo Storyboard e l’ Animatic a rivestire il ruolo di elementi cruciali; il primo nel definire chiaramente il susseguirsi delle scene della storia e la loro composizione sullo schermo, il secondo nel definirne Pre-produzione Introduzione attentamente le tempistiche della storia. Il motivo di questa differenza risiede nel fatto che, mentre in un film live è possibile effettuare molte riprese che successivamente saranno sottoposte a scelta e scarto, questo non è possibile in un prodotto di animazione dove qualsiasi scena realizzata richiede molto tempo e fatica. Conseguentemente è necessario pianificare molto attentamente le scene da produrre per non lavorare inutilmente e limitare tempi e costi di produzione. Lo Storyboard e l’ Animatic in questi casi sono degli utilissimi strumenti per valutare la storia ed apportare le necessarie modifiche prima di entrare in produzione, dove queste, se effettuate tardivamente, risulterebbero molto gravose. In questa prima fase produttiva bisogna inoltre far notare che, se un tempo le registrazioni dei dialoghi venivano per lo più aggiunte alla fine, oggi è pratica comune effettuare la registrazione prima di entrare in produzione. Questo perché il team produttivo, in particolare gli animatori, utilizzano le registrazioni come spunto per animare le movenze dei personaggi e per il sincronismo labbiale (lip synch). Comunque esistono ancora delle produzioni che effettuano le registrazioni alla fine (Pixar o le produzioni giapponesi), questo dipende dal metodo di lavoro scelto da ogni compagni e dall’importanza attribuita al sincronismo labbiale piuttosto che alla libera interpretazione degli animatori. L’ultima considerazione da fare per quanto riguarda la pre-produzione nei due processi produttivi riguarda infine la fase di design, che si differenzia leggermente nella creazione di personaggi e ambienti. Il 3D infatti, lavorando col tridimensionale, ha a che fare con uno scenario (set) che può essere facilmente paragonato ad uno reale, con tutte le problematiche del caso quali luci, ingombri, spostamenti di camera ed attori. In questo caso quindi, il design di personaggi e sfondi deve essere molto più accurato che nel tradizionale perché deve considerare più aspetti impliciti nella costruzione tridimensionale: le ambientazioni hanno bisogno di tavole che considerano attentamente la loro composizione in rapporto alla mobilità dei personaggi e degli altri elementi in campo, compreso il posizionamento e l’orientamento delle fonti luminose. La costruzione dei personaggi poi, oltre alle normali tavole disegnate, comprende la creazione delle “Maquette”, cioè delle statue in creata (o altri materiali) che ricreano le fattezze dei personaggi principali per aiutare il modellatore nella difficile trasposizione dal 2D al 3D. Chiarite quindi le direttive essenziali, vediamo ora di analizzare più attentamente le singole fasi della preproduzione. 51 3.1 Concept Il Concept è l’idea di partenza, l’idea con la “I” maiuscola, che fa nascere una storia e fornisce identità all’argomento della comunicazione; ne rappresenta il nocciolo. Il Concept nasce da un processo indecifrabile che ci porta ad organizzare i pensieri per arrivare alla concezione di una possibile storia; in pratica è la prima organizzazione razionale di un processo mentale irrazionale. Questo primo spunto creativo può nascere in vari modi, in maniera casuale o più ragionata: può essere una parola, una sensazione, un’immagine mentale che ci appare mentre camminiamo, ascoltiamo musica, parliamo con la gente... può derivare da un esperienza, da una situazione che ci ha colpito o da libere associazioni... fatto sta che ci colpisce al punto tale da spingerci ad approfondire, ad ampliarne la definizione, a ragionarci sopra, per costruire da essa una storia sensata. 3.2 Soggetto L’idea non dà naturalmente tutte le informazioni necessarie per sviluppare una storia nella sua interezza, occorre quindi tramutare l’idea in forma scritta, con una breve narrazione dei contenuti della storia, in base al Concept. Il soggetto ha quindi il compito di chiarire lo sviluppo della storia nelle sue tre parti essenziali: inizio, svolgimento e fatti che condurranno al finale. Occorre sviluppare i personaggi principali (aspetto fisico e caratterizzazione) e definire chiaramente i tempi e i luoghi (esterni ed interni) della storia. I personaggi devono far procedere la storia con le loro azioni, in particolare il personaggio principale, ed è importante che siano in grado di creare empatia con il pubblico ed interessarlo. In una storia i tre tempi sono generalmente così sviluppati: all’inizio vengono presentati i personaggi principali, l’ambiente dove vivono e come vivono (spesso è una situazione stabile che pare duratura); poi succede qualcosa di inaspettato che fa evolvere la storia e la trascina in una nuova direzione, i personaggi sono spinti ad uscire dalla routine per fare qualcosa di nuovo che li mette alla prova e gli fa fare qualcosa di inaspettato (questo è il colpo di scena); infine la storia si risolve e il protagonista la conclude, nel bene o nel male, trovando un nuovo equilibrio. Non esiste un metodologia precisa per scrivere il soggetto, lo si può fare parlando al presente o al passato, in prima persona oppure no, dipende dal modo che si ritiene più adatto ad entrare nel “mood” della storia. Un buon metodo per iniziare è quello di porsi le cinque domande fondamentali del giornalismo anglosassone (chi, che cosa, dove, quando e perché) che possono servire a dare una forma completa al racconto. Decidere i dettagli ora è una perdita di tempo, è molto facile perdersi nelle parole e nelle descrizioni di un testo, la storia cambierà e si svilupperà ancora nel corso della stesura. 52 Pre-produzione Introduzione 3.3 Trattamento e Scaletta Dalla storia descritta sommariamente nel Soggetto, ora le descrizioni si fanno più dettagliate e specifiche. Trattamento e Scaletta interagiscono tra loro nell’ organizzazione strutturale della storia, per condurre poi alla stesura della Sceneggiatura. Questi due procedimenti a volte non sono così nettamente distinti ma si fondono in un unica fase. Il Trattamento si occupa di sviluppare e approfondire lo “spunto narrativo” del Soggetto. Serve a definire meglio l’evolversi e l’ articolarsi della trama, conferendogli un certo sviluppo drammatico. La forma è ancora quella letteraria ma è più funzionale alla descrizione delle varie scene in cui si articola la storia, con più attenzione riservata alle ambientazioni e alla precisazione delle varie situazioni. Una storia crea nei personaggi stimoli, conflitti e varie possibilità di azione; sono i personaggi (specialmente il protagonista) che con le loro azioni trascinano la storia e catturano l’attenzione del pubblico, più i personaggi saranno empatici, più le loro azioni saranno credibili e coinvolgenti. E’ importante sviluppare la storia di modo da non perdere mai di vista il protagonista, che dovrebbe far procedere la storia con le sue azioni. Drammatizzare una storia implica conferire alla narrazione un senso di direzione, una linea che si sposta da un inizio ad una fine, con i vari pesi delle diverse situazioni. Non ci si può lasciare condurre dalla storia come fanno gli scrittori nei romanzi, bisogna avere ben chiaro dove si è diretti, ogni scena e ogni frammento deve condurre in un’unica direzione, cioè avanti in termini di sviluppo della storia, verso la risoluzione finale. La Scaletta determina poi il momento di passaggio dal testo letterario ad un piano schematico ben organizzato per tenere sotto controllo l’andamento di tutto il racconto. Qui il Trattamento precedentemente sviluppato viene sezionato e scomposto ottenendo una lista schematica di fatti e azioni, organizzati per punti a numerazione progressiva, che descrivono in ordine temporale i passaggi essenziali del soggetto. Per ognuno di questi punti bisogna quindi indicare il luogo in cui si svolge l’azione, i personaggi coinvolti, le loro azioni, gli eventuali dialoghi e gli effetti sonori. I dialoghi e la musica in questa fase non necessitano ancora di indicazioni precise, vanno solo abbozzati. Per quanto riguarda i dialoghi è opportuno iniziare a scrivere sommariamente le parole, per capire bene i tempi di durata e le loro collocazioni all’interno della storia; per quanto riguarda invece gli effetti sonori e la musica, vanno indicati i rumori principali e le loro collocazioni, eventuali suoni difficilmente reperibili ed infine è bene iniziare a considerare il genere musicale che si ritiene più adatto ai vari momenti della narrazione. Questo schema va più volte revisionato e sistemato per trovare il giusto ritmo della narrazione, cioè il modo più adeguato per gestire il flusso drammatico, insieme coi picchi e i cali di tensione (momenti di suspence e stupore) al fine di rendere la storia interessante e coinvolgente per il pubblico. Per dare spessore alla storia si usa definire gli antecedenti, ovvero ciò che è accaduto prima di ciò che si sta raccontando. Gli antecedenti sono i fatti salienti che riguardano il passato dei personaggi principali, possono essere eventi che li hanno 53 particolarmente traumatizzati, delle persone importanti che hanno incontrato, delle situazioni che hanno determinato cambiamenti significativi e così via. Queste informazioni potranno affiorare oppure no nel corso della narrazione, comunque servono a porre delle fondamenta ad un mondo che non ne ha, servono a dare spessore al personaggio, chiarendo da dove arriva e cosa lo ha condotto alla nostra storia e infine sono utili per entrare da subito nel vivo della vicenda evitando di vagare inutilmente, nella fase iniziale, ricercando un filo conduttore della storia. 3.4 Sceneggiatura Una volta trovata l’idea, sviluppato l’argomento nel Soggetto, strutturata la linea di sviluppo drammatica dell’intera storia, si arriva finalmente alla stesura della Sceneggiatura. La Sceneggiatura rappresenta la descrizione analitica e sintetica dello svolgimento della storia così come apparirà sullo schermo, dagli elementi dell’inquadratura a ogni parola di dialogo, esclusi però i movimenti di camera. Non bisogna essere troppo dettagliati, la Sceneggiatura non fornisce altre informazioni oltre a quelle offerte dalla visione, il testo deve essere perciò scritto non tanto in funzione del suo valore letterario, quanto in rapporto al suo valore audio-visivo. La Sceneggiatura è un testo letterario che utilizza i termini tecnici del linguaggio cinematografico. Questi termini fanno parte di una terminologia standard, da tutti riconosciuta, in grado di fornire un immediato resoconto visivo della storia, in termini di composizione di inquadrature, scene e sequenze, che sono poi gli elementi base del discorso filmico. L’ inquadratura (considerata l’unità fondamentale del discorso filmico) è il quadro che racchiude l’immagine, determina uno specifico punto di vista e una determinata interpretazione da parte dello spettatore. La scena è data da una serie di inquadrature in continuità temporale (senza salti temporali). La sequenza è invece data da una serie di inquadrature che costituiscono un episodio narrativo compiuto, ma con dei salti temporali più o meno lunghi al suo interno. La Sceneggiatura si occupa anche della resa espressiva delle immagini in inquadratura, considerando il tipo di atmosfera prevista, i toni luminosi e cromatici, i suoni e il tono emotivo evocato dalla colonna sonora. Esistono due metodi per la stesura della Sceneggiatura: nel metodo all’ italiana il foglio viene diviso verticalmente in due colonne, a sinistra viene inserito quello che “si vede”, cioè la descrizione dell’azione in scena, mentre a destra tutto ciò che “si sente”, dai dialoghi degli attori ai suoni e rumori della storia; ogni foglio corrisponde ad una scena. Nel (più usato) metodo all’ americana invece, il foglio viene usato per intero senza divisioni in colonne e il nome dei personaggi e i dialoghi si scrivono sotto la descrizione con allineamento centrale; si va quindi a capo anche per ogni transizione di inquadratura (ex. dissolvenza), location e tempo (ex. esterno giorno), descrizione di elementi ed azioni in inquadratura, nomi dei personaggi e dialoghi. Non si cambia pagina al termine di una scena perché seguendo tutte le convenzioni di scrittura (distanza dai margini, numero di righe per pagina, grandezza del carattere ecc.) una pagina di sceneggiatura dovrebbe corrispondere ad un minuto di film da girare (una sceneggiatura “standard” dovrebbe essere di 120 pagine circa). 54 Pre-produzione Introduzione In animazione, a differenza che nei film live, la Sceneggiatura ha meno importanza dello Storyboard e del successivo Animatic, di conseguenza, alcuni sceneggiatori non le danno molta importanza, considerandola un testo per le descrizioni di massima e rimandando allo Storyboard l’effettiva costituzione dell’inquadratura e della “messa in scena” della storia. La Sceneggiatura è un processo in continua evoluzione, va revisionata molte volte e difficilmente si conclude prima della fase di pre-produzione. Durante la creazione dello Storyboard infatti, gli sceneggiatori possono intervenire modificando alcune scene e modificando quindi anche la Sceneggiatura. Nel migliore dei casi, budget permettendo, la Sceneggiatura e lo Storyboard procedono di pari passo. In questi casi, regista, artisti e sceneggiatori, lavorano insieme alla stesura della storia fino a che non ritengono di aver raggiunto un livello qualitativo tale da poter entrare in produzione. Terminata la Sceneggiatura viene indetta una riunione a cui partecipano gli artisti del team creativo, sceneggiatore, regista e produttore. Se tutto viene approvato gli artisti dello Storyboard procedono allora nel trasformare ogni scena della Sceneggiatura in un’ immagine vera e propria. Chicken Little (2005) Disney Lato sinistro: Sceneggiatura col metodo americano. www.sceneggiatori.com Lato destro: Sceneggiatura col metodo italiano. www.sceneggiatori.com 55 Run Dragon Run (2003) Ricardo Biriba Style Guide ambienti 56 3.5 Design Una volta ottenuta una Sceneggiatura solida e coinvolgente, la fase di Design si occupa di definire lo stile grafico-visivo che caratterizzerà la storia sullo schermo. In questa fase emozionante vengono realizzati gli schizzi e le tavole di nuovi mondi e nuovi personaggi. Un team di disegnatori si occupa allora di visualizzare e caratterizzare su carta gli elementi più importanti della storia: i personaggi principali e secondari (characters), gli ambienti (locations o environment) e gli oggetti più importanti, compresi mezzi e macchinari (props). Il risultato sarà un insieme più o meno vasto di tavole, alcune dettagliate e altre no, che successivamente saranno sottoposte alla scelta di regista e produttore in base allo stile visivo che vogliono dare alla storia. Questa è una fase che il produttore deve prendere in seria considerazione, perché le tavole scelte saranno distribuite al team artistico per essere usate come spunto d’ispirazione, influenzando tutto il lavoro successivo. In questa fase determinate e creativa è importante trovare la/le persone giuste che si occuperanno della direzione artistica dei lavori. Nelle grandi compagnie questo lavoro è affidato al designer di produzione e al direttore artistico: il primo si occupa della supervisore nella creazione di personaggi e sfondi, mentre il secondo, successivamente, effettua le decisioni riguardo ai toni cromatici e luminosi degli elementi principali della storia, affinché siano armonici ed omogenei tra loro. Pre-produzione Introduzione Questo primo lavoro di “layout su carta” aiuta a valutare il livello di dettaglio che si vuole raggiungere (che deve essere funzionale alla storia e non fine a se stesso) e l’effettiva fallibilità di ciò che si vuole realizzare; conseguentemente aiuta a considerare le conoscenze tecniche e tempi e budget a disposizione. Un importante strumento della fase di Design è la ricerca, che serve a dare credibilità ai personaggi e alla storia. Una buona ricerca, fornendo informazioni più approfondite, permette di non commettere errori grossolani (se per esempio si tratta un ambiente storico particolare o un contesto fantastico peculiare) e aiuta anche a trovare nuovi spunti creativi utili al racconto. Non è necessario seguire scrupolosamente tutte le informazioni ricavate, l’importante è che vengano utilizzate per dare spessore agli elementi inseriti nella storia (i Flinstone per esempio, pur assomigliando ad una famiglia moderna, sono vestiti di pelli e utilizzano strumenti di pietra). Si può approfondire la ricerca in vari modi, dipende dal budget a disposizione. Compagnie medio/piccole effettuano ricerche negli archivi interni ed esterni all’azienda, prendono visione di film inerenti al soggetto, consultando testi, illustrazioni, internet, oppure interrogano personale esperto. Nelle grandi società come la Pixar o la Disney, visto che non ci sono sostitutivi all’ esperienza diretta, è abitudine organizzare dei viaggi per visitare luoghi pertinenti alla storia, per trarre tutti gli spunti necessari. Per il film “Finding Nemo” (1993) per esempio, molti artisti del team Pixar / Disney hanno effettuato immersioni subacquee per osservare i fondali e i pesci in movimento e sono state scattate numerose fotografie per essere usate come riferimento. 3.6 Style Guide La Style Guide non è altro che una “guida stilistica” che raccoglie il materiale realizzato in fase di design per essere usato come riferimento da artisti e tecnici dei vari dipartimenti nella fase successiva di produzione; serve a comprendere lo stile grafico e il mood della storia. Per la sua realizzazione, regista e produttore devono accordarsi nella la scelta degli elementi chiave in base alle necessità della storia e allo stile visivo che vogliono ottenere. La creazione della Style Guide è un processo piuttosto lungo e costoso, ma è molto importante ai fini della produzione. Inizialmente il direttore artistico, prendendo come riferimento la Sceneggiatura, si occupa di stilare una lista (Style Guide) che comprende tutti gli elementi importanti da realizzare per lo sviluppo della storia. Questa lista comprende cinque tipologie di elementi: il design dei personaggi, il design degli oggetti, delle ambientazioni, degli sfondi (o fondali) e le illustrazioni colorate. Ma vediamo più precisamente gli elementi contenuti in questa guida stilistica: 57 Toco & Atènakès Model Sheet per character 3D Sebastian Hary I PERSONAGGI (character): si dividono in personaggi principali e secondari; ovviamente ai primi è destinata maggiore attenzione, cura e dettaglio. Le tavole dei personaggi vengono chiamate Model Sheet (foglio modello) e comprendono i disegni dei soggetti ripresi in varie pose: frontali, laterali, da dietro, a tre quarti, in azione; più i dettagli di singole parti del corpo e le espressioni facciali in base ai diversi stati d’ animo. Nelle tavole dei personaggi sono inclusi anche i disegni degli abiti, degli oggetti e degli accessori che i personaggi portano con sé, compresi i particolari se necessario. Alla fine si realizza un unico disegno contenente tutti i personaggi principali per chiarire i rapporti in scala tra di loro. In animazione 3D in aggiunta ai disegni, è pratica comune realizzare le “Maquette”, cioè delle sculture in creta (o altri materiali) che riproducono le fattezze dei personaggi e servono a renderne concrete le forme tridimensionali, aiutando il modellatore nella trasposizione del modello. Nella realizzazione dei personaggi è importante che le caratteristiche fisiche e caratteriali siano il risultato di scelte motivate perché si tende ad associare ad ogni forma una specifica interpretazione (vedi approfondimenti: Cosa Rende Efficace un Personaggio). 58 Pre-produzione Introduzione Le AMBIENTAZIONI (environment, location): sono le tavole che riguardano il design degli ambienti interni ed esterni entro cui si muoveranno i personaggi della storia, compresi gli arredi. Le ambientazioni sono le parti che rimangono più a lungo sullo schermo ed è quindi importante che siano credibili e ben fatte, sia in termini di prospettiva che di illuminazione. Nella costruzione delle ambientazioni è utile tenere in considerazione i movimenti dei personaggi al loro interno, di modo che gli ambienti possano lasciare gli spazi necessari a non congestionare la scena. Il livello di dettaglio delle ambientazioni è spesso in relazione a quello dei personaggi, ma non è una regola definitiva, dipende dalle scelte stilistiche. Per le ambientazioni in 3D si realizzano tavole più dettagliate visto che dovranno servire da spunto per la realizzazione di ambienti veri e propri. Le tavole rappresentano gli ambienti in diverse prospettive e con riprese da più punti di vista. Se si tratta di edifici può essere anche necessario realizzarne la pianta interna. Si realizza poi una mappa schematica per ogni scenario (set) dove viene indicato il posizionamento delle fonti luminose e la direzione della luce. Gli SFONDI o FONDALI (background): servono a stabilire l’atmosfera generale della storia e il “mood” di ogni singola scena. Di solito, prima di procedere alla creazione degli sfondi, gli stilisti dei background effettuano degli sketch preliminari chiamati Key Background per mostrare agli altri artisti lo stile dei disegni e il tono cromatico e luminoso con cui si deve procedere. Naruto Model Sheet serie animata giapponese di Masashi Kishimoto. Sotto: Prop Design per “Boz the bear” www.bozthebear.com Gli OGGETTI (prop): sono tutti gli oggetti importanti che devono essere animati, come per esempio una macchina, una navicella spaziale o una spada laser. Per gli oggetti vengono realizzate le tavole delle loro proiezioni ortogonali, i disegni dei particolari e, se necessario, le linee guida che ne mostrano il funzionamento (parti scomponibili, meccaniche, tecnologiche). Si realizzano inoltre delle tavole che illustrano i rapporti di scala degli oggetti rispetto ai personaggi e alle ambientazioni. 59 Steni character Model Sheet Thomas Gèissman Le ILLUSTRAZIONI COLORATE: il direttore artistico si occupa di scegliere le scene chiave della storia che passeranno alla fase di colorazione per la realizzazione delle illustrazioni colorate. Queste illustrazioni servono a definire la resa cromatica degli elementi più importanti e comprendono le illustrazioni colorate di personaggi e oggetti, non solo in relazione a se stessi (quindi il colore dei capelli, della pelle, degli abiti ecc.), ma anche in relazione a diverse fonti di illuminazione. Viene perciò studiata una palette colori per il giorno, una per la notte, e in generale per tutte quelle situazioni in cui variano le fonti luminose. Infine, vengono messi in relazione i toni cromatici dei personaggi rispetto a quegli degli ambienti e degli oggetti, e si studiano le soluzioni più armoniche. Per quanto riguarda il 3D in questa fase vengono realizzate anche le texture di riferimento (ex. img legno-marmo-roccia) che in aggiunta allo studio dei materiali consentiranno di realizzare l’immagine finale di Render. Per tutti i restanti elementi, che compaiono per poco tempo e hanno poca rilevanza, vengono realizzate tavole semplificate. 60 Pre-produzione Introduzione Style Guide per definire l’aspetto cromatico delle ambientazioni 61 3.7 Registrazioni Audio Le registrazioni audio si dividono in registrazione dei dialoghi, degli effetti sonori, di canzoni e musica (colonna sonora), ognuna di queste sessioni ha caratteristiche proprie e viene registrata separatamente, per converge solo alla fine del processo produttivo, in fase di post-produzione (mixing audio). Tutte queste registrazioni, difficilmente si concludono prima di entrare in post-produzione, ma è importante che siano state effettuate le registrazioni dei dialoghi e delle canzoni, (almeno le temporanee), prima di entrare in produzione. Le prime registrazioni sono quelle dei dialoghi perché vengono utilizzate come guida e fonte di ispirazione dagli animatori, ma anche da montatore e regista, nel loro lavoro. Le registrazioni di doppiaggio di un film, sia per i dialoghi che per le canzoni, si dividono perciò in una sessione temporanea, registrata da attori non professionisti, e una sessione definitiva di produzione. Il procedimento è il seguente: per prima cosa, i dialoghi contenuti nella Sceneggiatura vanno consegnati dal regista al montatore dei dialoghi, che li utilizzerà come traccia per la composizione delle registrazioni degli attori. Allo stesso modo le indicazioni sulla musica e sugli effetti sonori andranno rispettivamente consegnati al compositore e ai sound designers degli effetti sonori. Quando una sequenza di Storyboard è pronta per essere montata in Animatic, il montatore si occupa di aggiungere le tracce dei dialoghi (scratch recording) alle immagini dello storyboard digitalizzate e temporizzate; questo permette di analizzare con largo anticipo come si presenterà la storia. Dopo l’approvazione di regista e produttore, si procederà alle registrazioni definitive (production dialogue). Solitamente, nello Storyboard sono presenti anche delle tracce temporanee per gli effetti sonori principali, al fine di accompagnare meglio la visione della storia. Per quanto riguarda le canzoni, è preferibile chiudere la loro scrittura prima di entrare in produzione, visto che le scene che contengono canzoni influenzano l’animazione (lip synch) e sono influenzate a loro volta dalla musica della colonna sonora. Prima di entrare in produzione, per ogni brano approvato, vengono quindi registrate una click track, cioè un piano per la temporizzazione utile agli animatori, e una registrazione temporanea chiamata temp music. Una volta approvate dal regista, si può passare all’organizzazione delle sessioni definitive di registrazione. Registrazioni Dialoghi Le registrazioni dei dialoghi implicano il reperimento degli attori che daranno voce ai personaggi, conferendogli, attraverso la loro performance, una determinata caratterizzazione. La giusta scelta degli attori e una buona performance di registrazione, sono quindi molto importanti per la buona riuscita dell’intera storia. Le registrazioni dei dialoghi (doppiaggio) prevedono in realtà due tipi di sessioni, una registrazione temporanea (scratch recording) registrata da attori non professionisti e utilizzata come guida nel lavoro di animatori e montatori, e una registrazione definitiva (production dialogue) effettuata con gli attori professionisti e inserita in post-produzione. 62 Pre-produzione Introduzione I dialoghi, un tempo aggiunti dopo l’animazione, sono oggi molto spesso registrati prima di entrare in produzione, perché vengono utilizzati dagli animatori come guida e spunto creativo per animare le movenze dei personaggi e il sincronismo labbiale (lip synch). Per assolvere meglio al loro lavoro, gli animatori hanno l’abitudine di assistere alla performance degli attori durante le registrazioni, per prendere spunto dalle loro movenze fisiche ed espressive. Ogni volta che una sequenza dello Storyboard viene approvata, si procede allora ala registrazione dei dialoghi temporanei che successivamente il montatore si occuperà di montare insieme alle immagini digitalizzate e temporizzate in Animatic. Con l’approvazione di regista e produttore si procede poi alla registrazione delle tracce definitive con gli attori professionisti. Il procedimento per arrivare alle registrazioni definitive prevede una fase di casting per la scelta degli attori, una eventuale sessione di prova previa registrazione, una fase organizzativa delle varie sessioni e infine le registrazioni vere e proprie. Di seguito vediamo il procedimento. CASTING Il Casting è la prima fase in cui si selezionano gli attori per partecipare al progetto. Prima di tutto occorre stabilire il direttore di casting, che prima di effettuare le audizioni, si occupa di prestabilire con il produttore i tempi e i costi di tutte le fasi di registrazione. Le grandi aziende di solito hanno un dipartimento di casting interno, le piccole si affidano a professionisti esterni. Una volta definite le modalità di procedimento, viene indetta una riunione a cui partecipano direttore casting, produttore, regista e team creativo. Vengono allora valutate le caratteristiche necessarie agli attori per interpretare i personaggi e vengono proposti quelli più adatti al ruolo. Generalmente le scelte degli attori, oltre che dal budget disponibile, dipendono dalle caratteristiche fisiche di un personaggio, dalla sua età, dalla personalità che dovrebbe avere, dal tono di voce ecc. Una volta stabilite le caratteristiche dei personaggi, il direttore di casting contatta gli attori tramite i loro agenti e si accorda sulle date delle audizioni, da effettuare negli studi di registrazione. Agli attori disponibili viene inviato del materiale in anticipo affinché arrivino già preparati per le registrazioni. Il materiale è il seguente: 1. Info Generali: luoghi, data e tempi delle audizioni. 2. Sceneggiatura 3. Casting Bible: descrizione scritta del progetto e dei personaggi principali, comprese le caratteristiche fisiche e caratteriali del personaggio da doppiare, più le caratteristiche vocali che ci si aspetta possieda. Spesso sono incluse anche le tavole di design. 4. Slide: parti della Sceneggiatura che dovranno essere lette e registrate dall’attore durante il provino e che meglio rappresentano la personalità di un personaggio. 5. Materiale Visivo: le illustrazioni a colori dei personaggi più le tavole sulle loro caratteristiche morfologiche. Il Casting ha quindi avvio in uno studio di registrazione, dove gli attori effettuano la loro performance sotto le direttive del regista. Terminate tutte le registrazioni, produttore e regista selezionano le prestazioni migliori, quindi indicono una riunione con gli elementi chiave del team e fanno ascoltare le registrazioni per commentarle e procedere nella scelta definitiva degli attori del cast. 63 PROVE Scelti gli attori del cast, solitamente viene allestita una sessione di prova a cui partecipano tutti gli attori e viene letta tutta la sceneggiatura in un’ unica sessione. Questa fase di prova è particolarmente utile nei film di animazione perché aiuta gli attori a capire come procedere nelle registrazioni, come relazionarsi con gli altri attori del cast e come immedesimarsi meglio nel personaggio. In questo caso la registrazione immediata viene definita “cold reading” ovvero lettura a freddo. PREPARAZIONE ALLA SESSIONE Terminate le prove generali e stabiliti i giorni di registrazione, si passa all’ organizzazione delle varie sessioni di registrazione. Vengono allora stabilite le modalità operative per ogni sessione, il numero di attori presenti, le strumentazioni necessarie, l’organizzazione della cabina di registrazione, il personale che tratterà i rapporti con gli attori (in particolare i bambini) e nel frattempo viene inviato dell’altro materiale agli attori su cui prepararsi. Questo materiale è comprensivo di: 1. Foglio di Lavoro: contratti e documenti vari, più informazioni sui tempi di lavorazione e sui luoghi di registrazione. 2. Sceneggiatura per la Registrazione: Sceneggiatura definitiva con inclusa la descrizione di rumori/suoni particolari. 3. Sceneggiatura per la Produzione: Sceneggiatura comprensiva delle descrizioni necessarie agli attori per capire lo svolgimento delle scene e delle azioni in dettaglio. 64 4. Storyboard: incluso per fornire ulteriori chiarimenti agli attori sui luoghi e sulle modalità di azione. 5. Artwork: i disegni e i modelli finali dei personaggi. 6. Referenze Video: tutto il materiale video realizzato che può essere utile all’attore. 7. Referenze Audio: materiale audio che potrebbe essere utile all’attore in caso debba riprodurre dei suoni o riferirsi a precedenti performance. REGISTRAZIONI Si passa allora alla fase di registrazione definitiva delle sessioni. Il regista si occupa di gestire tutte le interpretazioni degli attori e può richiamarli più volte in cabina di doppiaggio per revisionare scene o rifare la performance. A seconda dei giorni, un coordinatore della sessione si occupa di comunicare il numero di attori presenti, organizzare le loro collocazioni, controllare che tutte le strumentazioni necessarie siano sistemate e che la cabina si pronta a ricevere gli attori. Gli attori famosi possono in genere registrare singolarmente. Registrazione Canzoni La composizione delle canzoni è un processo lungo e costoso, perciò viene discusso già in fase di Sceneggiatura ed è importante che regista e produttore concordino sul risultato desiderato. Nella realizzazione di un film d’animazione è bene terminare la scrittura delle canzoni prima di iniziare la produzione, questo perché le scene che contengono canzoni influenzano l’animazione e sono influenzate dalla musica. Pre-produzione Introduzione In principio bisogna decidere il genere musicale, il numero di canzoni necessarie, i punti in cui collocarle e la loro durata. Una volta definito il genere musicale, si contattano gli scrittori dei testi e i compositori delle musiche che si ritengono più adatti al progetto. Per la realizzazione delle canzoni, il compositore lavora a stretto contatto con regista e produttore per poter comprendere al meglio le necessità della storia e soddisfare le loro aspettative, è perciò importante che questi concordino sulle scelte da effettuare. Nelle maggiori produzioni esiste un “supervisore alla musica” che si occupa della gestione dell’intero processo e della sua efficace commercializzazione. Prima di entrare in produzione per ogni brano viene allora registrata una Click Track e una Temp Music, la prima è un piano per la temporizzazione registrato in base alla traccia che l’animatore deve seguire, la seconda è una registrazione temporanea usata da riferimento. Una volta approvate, si procede ad organizzare le sessioni definitive di produzione. Come insegna la Disney, la realizzazione delle canzoni può essere un strumento molto utile sia a fini creativi che commerciali, in particolar modo se cantate o scritte da personaggi famosi. Le canzoni sono utili strumenti per delineare con chiarezza una certa atmosfera e le emozioni dei personaggi che le cantano; vengono inoltre utilizzate per delineare i passaggi temporali più rilevanti. La presenza di piccoli musical all’interno dei film ha però creato dei format troppo rigidi che col tempo sembrano aver stancato il pubblico e vengono perciò utilizzati molto meno. Musica (Colonna sonora) La Colonna Sonora influenza in maniera determinante la visione della storia perché non avendo barriere linguistiche e culturali è universalmente riconosciuta. Se Suoni e rumori servono a dare credibilità alla storia, la musica in particolare, accompagna la storia e unifica lo scorrere delle immagini (stacchi, sequenze, dissolvenze). La musica suscita più rapidamente il susseguirsi delle emozioni, creando un sostegno emozionale a tratti evidentissimo, a tratti più sommesso e nascosto; riflette così il clima della scena nella mente dello spettatore e pone enfasi a determinati momenti della narrazione, rivelando sentimenti ed emozioni. Con la sua struttura ritmica e drammatica inoltre, può servire da collante nei salti temporali ed è un utile strumento di decongestionamento dopo scene di tensione. Nelle grandi compagnie ad occuparsi della composizione della Musica è il compositore, scelto in base alle sue qualità, al budget e ai tempi a disposizione. Il compito principale del compositore è quello di trasmettere l’essenza del film, per questo, fin dalla prima stesura della Sceneggiatura, egli lavora a stretto contatto con regista e produttore, per individuare le scene più importanti da sostenere musicalmente e per comprendere il “mood” della storia. L’articolazione della colonna sonora è un processo difficile che necessita uno stretto contatto tra regista e compositore. Il regista in particolare deve sostenere il compositore aiutandolo a comprendere la sua visione della storia e le emozioni che vuole trasmettere, indicando le scene chiave del racconto e il tipo di musica che ritiene più adatto da utilizzare. Per aiutare il compositore, a volte, un “music editor” si occupa di creare una traccia audio temporanea per fornire al compositore le linee guida da seguire (in base alle preferenze di regista e produttore). Individuata la tipologia della musica, il compositore passa Chicken Little character Chicken Little 2005 Diney Pictures 65 Da sinistra: Sincronismo labbiale: le consonanti Preston Blair libro Cartoon Animation Sincronismo labbiale: le vocali Preston Blair libro Cartoon animation quindi ad orchestrare ogni sequenza, componendo le parti musicali per ogni scena della storia e sottoponendole poi all’approvazione di regista e produttore, previa registrazione. Per le registrazioni definitive si organizzano delle sessioni di registrazione, simili a quelle dei dialoghi, stabilendo le date di registrazione, il numero di musicisti per sessione, eventuali strumenti e apparecchiature necessari, il formato di registrazione, le postazioni ecc. Una volta finite tutte le sessioni, la colonna sonora è pronta per essere inserita nella storia, previa verifica del Music Editor. LIP SYNCHING (sincronismo labbiale) Il “lip synch” è il sincronismo labbiale che viene effettuato dagli animatori per far si che l’espressione facciale dei personaggi si muova a tempo con le parole da loro pronunciate. L’animazione in sincronia con la colonna sonora dipende dalle produzioni e dallo stile del disegno, alcuni alternano semplicemente i disegni della bocca aperta e chiusa, ma ovviamente, più espressioni vengono disegnate e più il lip synch risulta credibile. Se si desidera ottenere un sincronismo labbiale ben fatto, le registrazioni dei dialoghi vengono effettuate prima di entrare in produzione in maniera tale che gli animatori 66 possano lavorare basandosi sulla temporizzazione delle registrazioni dei dialoghi e della colonna sonora. Nella creazione del lyp synch si considera il fatto che tutti siamo costretti a certe movenze facciali nel pronunciare certe lettere: per le vocali A-E-I-O-U tutti infatti apriamo la bocca e tutti la chiudiamo nel pronunciare le consonanti B-M-P-F-T-V, mentre invece per le consonanti N-D-L-T teniamo la lingua dietro ai denti. Ma siccome nessuno quando parla normalmente scandisce ogni sillaba alla volta, bisogna considerare la forma assunta dalla bocca nel pronunciare il suono fonemico dato dall’aggregazione di queste sillabe che compongono la parola. Per aiutare gli animatori nella creazione delle espressioni facciali sono state ideate nove forme labiali da utilizzare come base per l’animazione (vedi img. sopra). Oggi comunque i software assegnano già automaticamente la giusta espressione facciale alla traccia audio importata. Il lip synch in animazione tradizionale viene eseguito in base alla compilazione del Dopesheet, in cui ogni fonema occupa una precisa posizione in relazione ai fotogrammi del film. L’ intera scomposizione della traccia viene eseguita dal direttore artistico o da personale specifico. Pre-produzione Introduzione Marco and His Ball Storyboard thumbnail (2006/2007) Marco Pavarotti www.emanuele pavarotti.com 3.8 Storyboard Per dedicare il giusto tempo allo Storyboard si inizia a lavorare fin dalla prima stesura della sceneggiatura. Prima di arrivare allo Storyboard definitivo tutte le fasi precedenti devono essere concluse: la Sceneggiatura, il design dei personaggi e delle ambientazioni, e le registrazioni dei dialoghi (temporanee). Lo Storyboard può essere definito “sceneggiatura disegnata” perché è la trasposizione in immagini, del testo scritto della sceneggiatura. Si tratta infatti di una serie di disegni in sequenza temporale che illustrano, inquadratura dopo inquadratura, come la storia si svolgerà sullo schermo. I disegni realizzati nello Storyboard riguardano i momenti chiave della storia e possono essere disegnati in diversi modi (in bianco e nero, a colori, schizzati, dettagliati...). Non è importante che il disegno sia particolarmente bello e rifinito, la precisione non conta, ciò che conta è che lo stile sia omogeneo e che sia ben chiaro lo svolgimento della storia e l’atmosfera che si intende ricreare (l’intento del regista). Per facilitare la comprensione dello svolgimento della storia, lo Storyboard comprende sia indicazioni scritte, sia simboli grafici: le indicazioni scritte riguardano lo svolgimento della scena, gli eventuali effetti speciali necessari, i dialoghi (seppur abbozzati) e le fonti sonore principali (rumori e versi); i simboli grafici invece, sono generalmente frecce e riquadri, utili ad indicare i movimenti di camera, gli spostamenti all’interno del quadro e le transizioni da quadro a quadro. Spesso nello Storyboaard sono anche presenti le prime indicazioni sulla durata delle scene e sulla scomposizione a livelli dei disegni. 67 Duoble Indennity Storyboard by B.Wilder e R.Chandler (2006/2007) Matt Elder design www.mattelder.com 68 In 3D in particolare, si presta molta attenzione al posizionamento delle fonti luminose. Utilizzato anche nei film live per organizzare le riprese, lo Storyboard ha in animazione un’importanza cruciale e un ruolo cardine per tutta la produzione successiva. Questo perché, contrariamente ai film live dove è possibile effettuare riprese in abbondanza, soggette poi a selezione e scarto durante il montaggio, in animazione non è possibile produrre più scene su cui poi effettuare uno scarto. I tempi e i costi di produzione sono troppo alti, non lo permettono, perciò si organizza molto attentamente ogni scena nello Storyboard, nel tentativo di eliminare il più possibile scarti e modifiche. La messa a punto dello Storyboard rappresenta la fase più importante della pre-produzione e della successiva produzione. In questa fase cruciale si investono molte energie per capire se la storia funziona oppure no, se è avvincente, divertente, coinvolgente, oppure se in alcune parti risulta troppo statica e noiosa, troppo prevedibile ecc. Lo Storyboard permette infatti di visualizzare chiaramente l’andamento della trama e considerare quindi lo sviluppo strutturale della storia, sia in termini narrativi che filmici (transazioni, stacchi). E’ quindi molto utile al regista per fissare e visualizzare le idee su carta in modo chiaro, concentrando il pensiero sulla composizione di ogni scena e sulla successione di ogni sequenza. In questo modo il regista ha la possibilità di progettare e modificare velocemente ogni aspetto del film, correggendo i difetti strutturali ed eventuali punti deboli della storia, prima di entrare in produzione, dove i cambiamenti risulterebbero molto più gravosi. Lo Storyboard va comunque inteso non solo come strumento ideativo di pre-produzione o come prefigurazione di un esito da raggiungere in modo corale, ma anche come una sorta di guida topografica o criterio comune da usare come riferimento nel momento della produzione vera e propria. Visto quindi che lo Storyboard ha numerose ed importanti funzioni, vediamo di riassumerle schematicamente. Pre-produzione Introduzione LE PRINCIPALI FUNZIONI DELLO STORYBOARD: 1. Rappresenta i Momenti Chiave della Storia: permette di ragionare sulla complessità e sulla quantità delle scene presenti nella storia, aiutando nella scelta del numero di disegnatori/animatori necessari alla produzione. 2. Concretizza il Progetto: aiuta il regista a lavorare concretamente sull’ idea e sulla struttura della storia. Lo Storyboard permette di concretizzare le idee trasponendole in forma visiva su carta, questo processo di visualizzazione stimola nuove intuizioni e nuove soluzioni e consente inoltre di individuare eventuali problemi o blocchi e risolverli. Lo Storyboard può servire a risolvere un punto poco credibile della sceneggiatura creando una sequenza calcolata di immagini credibili. 3. Sostiene la Chiarezza Comunicativa: la forza dello Storyboard sta nel fatto di essere realizzato con immagini che danno la possibilità al regista di comunicare chiaramente le sue idee a tutto il team produttivo. Il fatto che un regista abbia le idee chiare su cosa voglia esprimere, non significa infatti che sappia quale sia il migliore modo per visualizzarle o esternarle con chiarezza al resto del team; lo Storyboard aiuta il regista in questo passaggio critico. 4. Chiarisce l‘Ordine Sequenziale delle Scene: permette di ragionare sull’ordine in cui le scene si susseguono e sul tipo di transizioni cinematografiche da effettuare. Ragionare sull’ordine sequenziale delle scene permette di capire se il pubblico può facilmente seguire la vicenda e se l’enfasi è posta al momento giusto della narrazione. Occorre poi ragionare sul fatto che le transizioni tra un’inquadratura e un’ altra, come dissolvenze e stacchi netti, siano inserite in modo corretto. 5. Aiuta a Trovare le Inquadrature Migliori: permette di riflettere sulla composizione delle inquadrature e sul punto di vista migliore per ogni scena della storia, questo è particolarmente utile se il set è piccolo o presenta degli impedimenti. 6. Permette di Riflettere su Complessità e Dettaglio: aiuta a stabilire la complessità delle scene e il livello di dettaglio funzionale alla storia; conseguentemente serve a decidere il numero di disegnatori necessari per realizzare i disegni. Il livello di dettaglio nello Storyboard deve essere omogeneo per tutti i disegni, per questo, nella realizzazione dello Storyboard definitivo si vanno aggiungendo o togliendo particolari. 7. Aiuta a Riflettere sulla Fattibilità: Lo Storyboard aiuta a considerare la fattibilità di una storia, se ciò che si vuole realizzare può essere effettivamente prodotto, sia a livello tecnico, se il team produttivo è in grado di realizzarla o se è necessario investire in nuovi software; sia in termini di budget e tempi a disposizione. 8. E’ un Ottimo Strumento di Pitching: uno Storyboard ben realizzato è un ottima base per convincere un possibile acquirente della bontà del progetto che si vuole realizzare; un modo per vendere un’idea facendola vedere nella sua veste più persuasiva. 69 PROCEDIMENTO DI CREAZIONE DELLO STORYBOARD Prima di cominciare col lo Storyboard bisogna innanzitutto decidere il tipo di formato dei fogli da utilizzare, cioè le dimensioni con cui la storia apparirà sullo schermo (4:3, 16:9, cinemascope...). Per realizzare lo Storyboard si può quindi procedere in due modi: nel primo caso si utilizza il foglio in orizzontale, con dei riquadri in sequenza sotto ai quali si scrivono le indicazioni di scena; nel secondo si utilizza il foglio in verticale, dividendolo in tre colonne destinate rispettivamente alle indicazioni sceniche e ai suoni, alle immagini disegnate e ai dialoghi. Tre sono poi le fasi da affrontare per arrivare allo Storyboard definitivo: THUMBNAIL: in questa fase, come dice la parola, si realizzano su di uno unico pannello delle piccolissime illustrazioni (grandi come un pollice). Queste piccole immagini servono al regista per tenere sottocchio l’intero svolgersi dell’azione ed effettuare le modifiche necessarie alla storia. Se necessario, il regista può chiedere ai disegnatori di proporre o sperimentare diversi approcci. Gli artisti quindi, sotto la sua direzione, realizzano e modificano i disegni molto velocemente finché egli non si ritiene soddisfatto; si passa allora alla fase successiva. ROUGH PASS: in questa fase lo Storyboard viene ridisegnato su appositi pannelli in dimensioni più grande e dettagliate per avere una visione più accurata di personaggi e sfondi. In alcune produzioni in questa fase i disegni vengono già scansiti per arrivare ad un formato digitale pronto per essere revisionato. Dopo l’approvazione di regista, produttore e sceneggiatore si procede allora alla pulizia dei tratti. 70 CLEAN UP: Se non bisogna effettuare ulteriori modifiche, una volta approvati i disegni si arriva alla fase di pulizia. I pannelli vengono ridisegnati a grandezza piena nel formato scelto e definiti in tutti i loro dettagli. Nelle grandi produzioni, gli artisti dello Storyboard sono divisi in dipartimenti e ad ogni dipartimento viene assegnata una parte di sceneggiatura da disegnare. Generalmente prima che il lavoro sia assegnato ai singoli dipartimenti, uno Storyboard Artists crea una serie di pannelli rappresentativi per mostrare lo stile grafico da seguire. Per coordinare ogni dipartimento esiste la figura del “supervisore di dipartimento”, che organizza e assegna il lavoro, mantenendo sempre aggiornata la comunicazione tra artisti e regista. Un’assistente di produzione spesso affianca il supervisore di dipartimento aiutandolo ad aggiornare costantemente tutto il team sulle modifiche da eseguire. Ogni “Storyboard Artist” deve ovviamente saper disegnare, essere molto veloce, conoscere le tecniche cinematografiche ed avere un forte senso dell’inquadratura. Spesso capita che un disegnatore debba aggiungere dei particolari o delle azioni alla scena a lui assegnata perché non esistono abbastanza dettagli a riguardo; se il regista approva le sue scelte, queste diventano definitive e vengono comunicate a tutto il resto del team. Da quando entra a quando esce da un dipartimento, la storia subisce spesso e volentieri molte variazioni. Può accadere perfino che, per scene importanti, il supervisore di dipartimento assegni la stessa scena a più di un artista, allo scopo di fornire più alternative alla scelta del regista. Di solito durante la fase di storyboarding i disegni vengono appesi in sequenza su di un muro o su di un pannello (bulletin board) costantemente aggiornato, su cui è possibile scorrere velocemente con lo sguardo tutta la visione del film. Pre-produzione Introduzione Quando una sequenza dello Storyboard è terminata, viene indetta una riunione a cui partecipano regista, produttore, direttore artistico, montatore ed assistenti. Gli artisti mostrano la sequenza realizzata a tutto lo staff e il montatore, che si occuperà dell’assemblaggio delle scene in Animatic, si preoccupa di prendere nota di tutti i movimenti di camera, comprese dissolvenze e stacchi. Generalmente delle fotocopie dello Storyboard vengono distribuite per facilitare a tutti il lavoro. Terminato tutto lo Storyboard, i pannelli coi disegni vengono digitalizzati e i singoli disegni vengono uniti creando una sequenza digitale di immagini statiche che mostra l’evoluzione della storia (Flipbook). Una copia del Flipbook viene quindi distribuita a montatore, direttore artistico e produttore per facilitarli nel loro lavoro. 3.9 Animatic Una volta che lo Storyboard viene approvato, ottenute quindi le indicazioni sull’aspetto grafico di una sequenza, sulla sua composizione e sullo svolgersi dell’azione, si passa ad analizzare un’altro fattore essenziale: la durata. L’ Animatic, chiamato in vari modi a seconda degli studi di produzione e della fasi che attraversa (Showreel, Storyreel, Movieboard, Videoboard, Laicareel), è composto dai disegni dello Storyboard digitalizzati e sincronizzati con il sonoro; consiste quindi in un flusso audio-video digitale che rappresenta, seppur grezzamente, l’intera storia. Visto che, come si è detto, il processo produttivo in animazione è un lavoro lungo e costoso e non può essere lasciato al caso, l’ Animatic è un importante strumento che, stabilendo le tempistiche, permette di calcolare in anticipo l‘esatto numero di fotogrammi necessari per realizzare l’intera storia (zero sprechi) e allo stesso tempo permette al regista di verificare l’andamento della trama e effettuare le opportune correzioni. Questa procedura è effettuata per analizzare con largo anticipo come si presenterà il film e le sensazioni raccolte saranno di grande aiuto al regista. I primi ad avviare il lavoro sono i temporizzatori dello Storyboard, che, muniti di cronometro, si occupano di assegnare ad ogni scena la durata necessaria allo svolgimento dell’azione. I disegni dello Storyboard vengono quindi digitalizzati tramite scanner e numerati/codificati in ordine sequenziale grazie ad appositi software (che permettono anche di assegnare ad ogni disegno commenti, dialoghi o note di produzione). Le immagini ottenute vengono allora montate in ordine cronologico (sempre tramite software), ottenendo così un flusso video digitale dell’ intera storia. Infine vengono aggiunte le registrazioni dei dialoghi e gli effetti sonori (suoni, rumori) temporanei. Il processo di temporizzazione viene quindi ultimato dal regista che, osservando il flusso audio/video digitale, può focalizzandosi sulla durata di ogni scena, effettuando le opportune modifiche fino ad arrivare all’ Animatic definitivo. Una traccia audio completa comprende dialoghi, effetti sonori, canzoni e musiche, ciò nonostante nell’ Animatic sono inseriti generalmente solo i dialoghi e gli effetti sonori temporanei, l’audio definitivo verrà aggiunto successivamente in post-produzione. 71 DOPESHETT/X-SHEET La tabella che compone il Dopesheet si divide in linee orizzontali per ogni frame della storia ed è organizzata in colonne rispettivamente per: azione, dialoghi, suoni, livelli di cel e movimenti di camera. Il montatore se ne serve per posizionare i cel e per capire come effettuare le riprese. The Animator’s Survival Kit Richard Williams Tenendo presente che L’Animatic serve anche ad effettuare le prime prove sui movimenti di camera, esistono due tecniche principali per simulare i movimenti di camera e quelli dei personaggi: CUTOUT (tagliato fuori): in questo procedimento si assegnano livelli diversi ai personaggi e agli sfondi, animandoli attraverso semplici traslazioni, rotazioni e scalature (zoom in-out). ROUGH POSE (pose grezze): questo procedimento più accurato consiste nel disegnare una serie di pose intermedie in aggiunta ai disegni dello Storyboard, di modo da rendere l’animazione più fluida. Ovviamente più i disegni saranno numerosi, migliore sarà il risultato. Con l’approvazione dell’ Animatic si arriva all’approvazione della storia definita in tutti i suoi aspetti. Questo perché, seppur grezzamente, l’ Animatic rappresenta l’intera struttura grafica, compositiva, narrativa e ritmica che avrà la storia sullo schermo. Il flusso video trasmetterà perciò le stesse emozioni di quello definitivo, con il vantaggio che è ancora possibile effettuare modifiche. 72 In animazione tradizionale, una volta approvato l’ Animatic, il direttore artistico (o del personale apposito) si occupa di compilare il Dopesheet e il Foglio Macchina Reticolato. Il Dopesheet (Exposure-Sheet/X-Sheet) è un foglio di lavoro composto da una tabella che scompone l’azione, i dialoghi e il sonoro, fotogramma per fotogramma. Contiene inoltre le indicazioni sullo svolgimento della scena, sulla scomposizione a livelli dei disegni e sugli spostamenti di camera. Il Dopesheet in pratica, organizza a priori come eseguire correttamente l’animazione (le sue tempistiche) e serve da guida sia agli animatori che al montatore. Il Foglio Macchina Reticolato invece, riguarda gli spostamenti di camera ed è composto da una griglia dove sono indicate le porzioni del disegno (campi) entro cui effettuare gli spostamenti di camera. In questa prima fase però, sia il Dopesheet che il Foglio Macchina Reticolato vengono compilati solo sommariamente, lasciando poi agli animatori il compito di definire più specificatamente ogni aspetto dell’animazione (per esempio la scomposizione per livelli). Approfondimenti Introduzione 3.10 Approfondimenti 3.10.1 The Hollywood Formula una struttura rigida, una volta intesi i punti cardine della struttura drammatica, questa può essere modificata e scomposta a piacimento. Che lo stile americano piaccia oppure no, gli studios di Hollywood producono film di ogni genere da tantissimo tempo, forse non sempre ne producono di buoni, ma la loro esperienza può essere senza dubbio importante per capire cosa funziona in una storia e cosa no. Per quanto riguarda quindi lo sviluppo drammatico di una storia, può essere molto utile considerare il modello americano, che impone una struttura precisa allo sviluppo drammatico di una Sceneggiatura. Questo modello è stato definito “Paradigma” da Syd Field, un qualificato sceneggiatore americano, nel suo libro “La Sceneggiatura”, in cui spiega le particolarità di questa struttura. Questo schema si riferisce principalmente ai lungometraggi americani (che rispondono a regole molto più rigide di quello che si pensa) ma può essere un ottimo termine di paragone anche per la creazione di un prodotto di animazione, compreso un cortometraggio, fermo restando che la stessa organizzazione drammatica va gestita in tempi più ristretti. Naturalmente, questo schema non rappresenta Nella Sceneggiatura di un lungometraggio si parla di iniziocentro e fine come primo atto, secondo atto e terzo atto. Un film normalmente dura 120 minuti, a cui corrisponde 1 pagina per ogni minuto di Sceneggiatura. Il Paradigma è il punto di partenza nella stesura di una Sceneggiatura. Si presenta come un’organizzazione schematica di fatti e azioni che susseguendosi fanno procedere la storia seguendo una linea di sviluppo drammatica diretta e sicura; questa linea procede diretta in un unica direzione, cioè verso la conclusione. Il Paradigma è lo scheletro, la forza strutturale che tiene unito il tutto e lo fa procedere. Senza struttura la storia non ha svolgimento, senza svolgimento la narrazione gira su se stessa come un serpente che si morde la coda, rimanendo inconcludente. La linea di sviluppo drammatica della storia non è completamente diritta ovviamente, ma presenta dei cali e dei picchi di tensione a seconda delle diverse situazioni nella storia. punto centrale (crisi) colpo di scena1 Atto1 INPOSTAZIONE prima metà Atto2 CONFRONTO seconda metà La formula schematica su cui si basa la costruzione delle Sceneggiature americane tratta dal libro “La Sceneggiatura” di Syd Field. climax colpo di scena2 (2crisi) Atto3 RISOLUZIONE 73 Ogni scena comunque porta avanti verso la risoluzione. Il Paradigma permette di modellare la sceneggiatura dandole il massimo valore espressivo e drammatico. Vediamo perciò quali sono i suoi elementi essenziali che caratterizzano ogni atto: PRIMO ATTO (30 pag): all’inizio della storia troviamo l’Impostazione (o Setup), che corrisponde a circa 1/3 della storia e termina con un colpo di scena che introduce il Secondo Atto. Nell’ Impostazione viene appunto “impostata” la storia: vengono introdotti i personaggi principali e le premesse drammatiche della storia, si crea quindi la situazione iniziale. Particolare attenzione viene riservata a delineare la figura del protagonista che deve essere sempre presente in ogni scena e deve essere il più possibile attivo, cioè deve far procedere la storia con le sue azioni e decisioni. Alla fine del Primo Atto si verifica poi un Colpo di Scena (un incidente, una discussione, una sparizione) che rompe la stabilità della situazione e la porta in una nuova direzione, introducendo il Secondo Atto. SECONDO ATTO (60 pag): nel Secondo Atto il contesto drammatico viene definito Confronto, è la fase che dura più a lungo (circa metà dell’intera storia) ed inizia e termina con un colpo di scena. Il Secondo Atto essendo lungo, viene diviso in due blocchi, separati al centro dal Punto Centrale, che fa da anello di congiunzione e riferimento. In questa parte si verifica gran parte dell’azione e il personaggio/i personaggi principali affrontano una serie di ostacoli, problemi e conflitti che vanno superati e risolti per realizzare le loro esigenze drammatiche personali quali vincere, conquistare, guadagnare, trovare ecc. In questa fase è importante ricercare la teatralità dell’azione e renderla il più coinvolgente possibile, considerando che il dramma è conflitto e il conflitto è azione, senza dramma non c’è 74 azione e conseguentemente non c’è storia. Nel Secondo Atto è inoltre utile considerare il quadro cronologico della vicenda, seppur non troppo approfonditamente, per meglio gestire il contesto drammatico e rafforzare la tensione. Il Punto Centrale (Crisi) si trova all’incirca a metà del Secondo Atto (ma potrebbe trovarsi anche verso la fine) e rappresenta un evento, una frase o una scena, che serve da punto di riferimento per non perdere la linea di sviluppo del racconto. Il Punto Centrale, rappresenta l’ anello di congiunzione tra i due blocchi del Secondo Atto che, in questo modo, vengono trattati separatamente e quindi meglio gestiti. Il Secondo Atto, essendo il più lungo e trovandosi tra i due Colpi di Scena, ha bisogno di un Punto Centrale per evitare cali di attenzione da parte del pubblico; la Crisi fa da spartiacque, rappresenta il momento in cui le forze di opposizione sono allo stato più teso ed è un punto di svolta nella storia che spesso implica il raggiungimento della meta del viaggio (poi il protagonista dovrà continuare o tornare indietro). Alla fine del Secondo Atto avviene poi il secondo Colpo di Scena che trascina la storia al Terzo Atto finale. Entrando più nello specifico, in relazione ai due blocchi, Field sottolinea la necessità di avere in entrambi una Pinza, cioè di un evento chiave, che introduca e segua il Punto Centrale, al fine di amalgamare meglio le parti e tenerle ancora più sotto controllo. Ricapitolando quindi, per il Secondo Atto serve definire prima il contesto drammatico, il Punto Centrale e il quadro cronologico della vicenda, poi le due Pinze. TERZO ATTO (30 pag): nel Terzo Atto, che dura circa 1/3 della storia troviamo la Risoluzione, questa fase parte dal secondo colpo di scena e termina con il Climax, il grande evento della storia, che rappresenta il punto di tensione più alto, che porta alla conclusione della storia. La Risoluzione implica che bisogna risolvere sia il Approfondimenti Introduzione protagonista che la storia stessa, rispondendo alle domande sorte insieme alle premesse drammatiche, all’inizio della vicenda. La conclusione non deve per forza essere un “happy ending”, né tanto meno deve rispondere a tutte le domande sorte nel corso della narrazione, ma deve comunque essere una conclusione definita, che risolva il personaggio e la vicenda, facendo sentire il pubblico soddisfatto. La conclusione può perciò essere positiva o negativa, ma va chiarita e fatta capire al pubblico. A questo riguardo vanno isolati due o tre elementi che risolvono la storia e vanno poi drammatizzati accuratamente per farli accadere ( possono esserci altri colpi di scena o pinze, ma non sono essenziali). Giunti alla fine bisogna verificare che non ci siano subplot insoluti, cioè che vengano chiariti i destini di altri importanti personaggi secondari e infine bisogna prestare attenzione che il finale non siano troppo improvviso, ma lasci al pubblico il tempo emozionale necessario per “salutare” i personaggi e tirare le conclusioni. In conclusione quando si organizza la struttura drammatica di una storia occorre definire accuratamente l’Impostazione, la Risoluzione, il primo e il secondo Colpo di Scena, che sono le parti più importanti della storia; una volta chiariti questi elementi, nella maggior parte dei casi il resto si risolve da sé, diventando una sorta di completamento. Concluso il Paradigma, occorre ovviamente rivederlo nella sua interezza e controllare che le parti si integrino bene con il tutto, che la storia abbia un ritmo narrativo sostenuto e che non ci siano momenti troppo lunghi o troppo corti, che il protagonista sia sempre seguito nello sviluppo della storia e che il pubblico sia coinvolto ed emozionato attraverso momenti di sorpresa e suspence. Ogni storia cerca di coinvolgere gli spettatori, di far lievitare le loro consapevolezza, intensificando le loro emozioni. La struttura di un racconto deve agire come una pompa che sgonfiando e gonfiando le sorti del protagonista aumenta il coinvolgimento dello spettatore. Due sono infine le osservazioni a riguardo dell’inizio e della conclusione di una storia: l’inizio deve conquistare il pubblico entro i primi 10-15 minuti, se non riesce a farlo in questo tempo, probabilmente l’attenzione sarà persa per sempre e la storia non verrà seguita; altrettanto vale per la fine, che è la parte più difficile: se risulta mal fatta o inconcludente, non importa quanto buono sia stato il resto della narrazione, il pubblico rimarrà insoddisfatto e tutto verrà inevitabilmente rovinato e dimenticato da quegli ultimi atti di visione, che rimarranno nella memoria. 75 vanno mostrati allo spettatore attraverso elementi caratterizzanti e tramite le azioni. Un personaggio, al di là del suo aspetto fisico, è dato dalla somma delle sue azioni e reazioni all’interno della storia, sono queste a caratterizzarlo. Essendo poi attraverso il personaggio principale che il pubblico vive la vicenda, egli è il cuore e l’anima della storia. Per quanto riguarda la caratterizzazione, possiamo distinguere innanzitutto quella fisica da quella psicologica, vediamole nello specifico: CARATTERIZZAZIONE FISICA My Street character (2003) Play Station2 Jason Buch’s concept art 76 3.10.2 Cosa Rende Efficace un Personaggio Ci sono poi diversi modi in cui procedere per delineare un personaggio: si può fare un elenco di caratteristiche, si possono cercare immagini che ne rendano l’aspetto fisico o il senso estetico, si possono tracciare schemi di comportamento ecc. Due sono le cose essenziali da tenere in considerazione: la prima cosa, la più importante in assoluto, è che qualsiasi personaggio (oggetto animato o personaggio antropomorfo) deve risultare credibile; deve cioè convincere il pubblico che ciò sta guardando è un personaggio pensante, che agisce e si muove per sua spontanea volontà e non è il frutto di un disegno animato o di una geometria tridimensionale ricreata al computer. La seconda cosa importante riguarda i personaggi: visto che si tratta di prodotti audiovisivi e non di libri dove si possono descrivere le emozioni, in questo caso i sentimenti Per quanto riguarda la caratterizzazione fisica si può innanzitutto notare quanto un aspetto fisico possa essere strettamente collegato ad uno aspetto caratteriale. Esistono infatti determinate forme fisiche che inevitabilmente “saltano all’occhio” e possono essere usate per far sì che il pubblico si faccia un’idea immediata di un personaggio. Forme fisiche triangolari (con le spalle grosse) per esempio, sono spesso associate agli eroi; forme grosse e tondeggianti sono tendenzialmente buone e placide; personaggi molto magri e spigolosi sono generalmente negativi e avidi (gli spigoli sono sinonimo dei loro spigoli interiori e la secchezza coincide con l’aridità interiore); forme piccole e minute sono attive e scattanti e così via... Queste svariate forme fisiche sono perciò utili a rafforzare gli aspetti di un personaggio, ma bisogna fare attenzione a non creare stereotipi troppo rigidi. Anche una particolare condizione fisica come una grossa cicatrice, o una menomazione, può servire a fornire un immediato resoconto emotivo del personaggio e a mettere in luce un possibile evento passato. Approfondimenti Introduzione E’ inoltre possibile aggiungere enfasi ad un personaggio attribuendogli determinati gesti o battute ricorrenti; basti pensare a Titty di “Titty & Silvestro” con la famosa frase: “mi è sembrato di vedere un gatto.” Gli abiti e gli accessori che un personaggio porta con sé sono strumenti altrettanto utili alla caratterizzazione, possono indicare un luogo di provenienza specifico, un aspetto caratteriale o un particolare stile di vita. Se ad esempio un personaggio porta grossi occhiali da vista oppure un berretto rosso girato all’indietro, fa già molta differenza: gli occhiali sono metafora dell’intelletto mentre il cappello girato all’ indietro è un chiaro simbolo anticonvenzionale. Anche l’ambiente in cui vive e si muove un personaggio fornisce innumerevoli informazioni su di lui e sul suo stile di vita; sia a livello generale dell’ambiente che è (foresta, città, scuola, castello), sia a livello particolare degli elementi che lo compongono. Si pensi per esempio ad una cameretta pieni di libri, poster e pupazzi... chiaramente un ambiente così intimo fornisce moltissime informazioni sulle passioni e sulla personalità di chi la abita. L’ambiente esterno può essere inoltre rapportato all’ambiente interno del protagonista, assumendo significati polivalenti come solitudine, chiusura, desolazione, emarginazione ecc. (si pensi a Shrek e alla sua desolata palude). Infine non si può non considerare il tono di voce assegnato ad un personaggio; questo è un elemento estremamente caratterizzante influenzato dal timbro vocale, dal volume e dall’accento di pronuncia. Il tono di voce è automaticamente soggetto ad interpretazione da parte del pubblico, rivela l’età e la provenienza di un personaggio ma è anche facilmente associabile ad un determinato carattere psicologico. Si pensi ad una voce squillante piuttosto che cupa e roca per esempio; alla prima si associa facilmente un personaggio energico e scattante, alla seconda un personaggio oscuro e misterioso. Una voce azzeccata può contribuire enormemente a migliorare un personaggio. La voce di Eddy Murphy, che interpreta Ciuchino nel film di animazione “Shrek”, ha dato un così grande slancio al personaggio che è stato necessario rifare per intero l’animazione del mulo, precedentemente interpretato da un’altro attore. Va infine considerato che anche le parole pronunciate dai personaggi e il loro modo di rapportarsi con gli altri sono utili strumenti rivelatori, trasmettono punti di vista ed emozioni. Ecco un articolo degno di nota riguardo la caratterizzazione fisica degli insetti nel film “A Bug’s Life” (Pixar 1999): Malgrado gli insetti siano creature meravigliose, in genere non è né il loro aspetto né la loro personalità a renderli affascinanti. Non sorprenderà quindi che una delle sfide più impegnative che gli autori di “A Bug’s Life megaminimondo” abbiano dovuto affrontare è stata quella di eliminare ogni dettaglio che potesse generare repulsione nei confronti dei personaggi e dotarli di personalità alle quali gli spettatori potessero relazionarsi. “Qui alla Pixar ci sono un po’’ di persone che hanno una sorta di fobia nei confronti degli insetti - racconta Lasseter - Loro sono state le nostre cavie. Gli chiedevamo continuamente se c’era qualcosa che li spaventava e li usavamo per capire se eravamo riusciti ad eliminare o a minimizzare il fattore della repulsione.” ...La fase successiva è stata quella dello studio approfondito dell’anatomia, della locomozione e del comportamento degli insetti. Documentari straordinari quali “Microcosmos” o gli special del National Geographic hanno dato agli autori una visione dettagliata del mondo degli insetti. Vari entomologi, tra cui un 77 esperto sui movimenti degli insetti della Berkeley University, hanno visitato gli studi Pixar per parlare con i disegnatori e gli animatori. Dopo un po’’ era diventato normale vedere in giro ogni genere di insetto, sia vivo che conservato. C’era anche una mantide religiosa viva con una telecamera costantemente puntata addosso, in modo che gli artisti e i tecnici potessero guardarla tutte le volte che serviva, per trarne ispirazione. personaggio al punto in cui si trova ora nella storia e in quelle determinate condizioni, questo aiuta a creare un soggetto immediatamente credibile senza dover sprecare tempo ad identificarlo. Un personaggio è reso convincente dalla sua personalità, dal suo background, dal contesto in cui si muove e dal conflitto a cui è sottoposto; a renderlo credibile poi occorrono: Giovanni Strammiello Computer n.59 Kult underground 12/1999 1. Il punto di vista è il modo in cui il personaggio interpreta e vive il mondo. Un buon personaggio non solo reagisce alle situazioni, ma reagisce in base al suo personale punto di vista. CARATTERIZZAZIONE EMOTIVA Premesso che il personaggio principale di una storia deve conquistarsi la simpatia del pubblico per essere seguito con piacere, ogni personaggio della storia deve comunque drammatizzare un punto di vista deciso e ben definito. Costruire un personaggio è simile al lavoro di immedesimazione che fanno gli attori prima di entrare in scena, bisogna definire chiaramente la sua personalità e le sue modalità di azione. A questo scopo occorre pianificare bene in precedenza il suo modo di pensare e agire, di modo da conoscere sempre quello che pensa e come si comporterà al verificarsi di determinate situazioni. Conviene allora definire gli Antecedenti dei personaggi principali di una storia, per aggiungere credibilità e spessore sia a loro che alle loro azioni. Per determinare gli Antecedenti di un personaggio bisogna fare una sorta di rapida biografia individuando gli aspetti più salienti della sua vita passata: come ha vissuto infanzia e adolescenza, i rapporti con la famiglia, eventi traumatizzanti o positivi, incontri importanti ecc.; in sostanza bisogna pensare a cosa ha condotto un 78 2. L’atteggiamento rappresenta la tendenza ad un comportamento, può essere positivo o negativo, attivo o passivo, esuberante o introverso, pigro o iperattivo, subordinato o autoritario, critico o ingenuo ecc. L’atteggiamento aggiunge enfasi ad un personaggio e può essere caratterizzato da movimenti e battute ricorrenti. 3. Le esigenze drammatiche rappresentano l’obiettivo del personaggio nella vicenda: cosa vuole diventare o guadagnare, vincere o conquistare. Spesso il protagonista deve rinunciare a qualcosa a cui tiene per raggiungere i suoi scopi, a volte perfino a se stesso. 4. Il cambiamento/la crescita rappresenta la trasformazione che un personaggio è spesso portato a compiere durante la vicenda per portare a termine il suoi scopi. Può essere un cambiamento interiore o il superamento di un ostacolo concreto, può essere una trasformazione da perdente a vincente, da insicuro a coraggioso, da pessimista a ottimista ecc... Approfondimenti Introduzione 3.10.3 Narratività Modello Attananziale descritto da Greimas Possiamo parlare di Narratività intesa come quell’insieme di regole che stanno alla base di un racconto e ne determinano la sua manifestazione superficiale; questo perché il rapporto narratività-racconto può essere paragonato al rapporto grammatica-linguaggio. La narratività quindi, indipendentemente dal medium utilizzato, è la struttura alla base di una storia, intesa come quell’insieme di regole, procedure ed operazioni, la cui presenza in una storia ci permette di riconoscerla come tale nella sua forma superficiale. Un racconto può essere in realtà analizzato secondo due aspetti che sono “la storia” e “il racconto”: la storia è intesa come il susseguirsi di eventi (fatti e azioni) ed esistenti (personaggi-elementi ambientali) che procedono nel tempo e nello spazio verso un finale; il racconto inteso come il risultato di un discorso espositivo, legato al modo di raccontare una storia, determinato dalle scelte effettuate su quali scene mostrare e quali no, come mostrarle e con quale ritmo. Possiamo poi aggiungere un’altra osservazione, visto che una storia inizia in una determinata situazione destinata a modificarsi nel tempo attraverso certi eventi che la porteranno ad un finale, la storia è determinata dal succedersi di determinati eventi, collegati tra loro da rapporti di causa-effetto, che la fanno procedere nel tempo e nello spazio portandola a conclusione; a monte del racconto troviamo quindi tre elementi essenziali che sono la causalità, il tempo e lo spazio. Diversi studiosi, tra cui André Gradies, Vladimir Propp, Algirdas J. Greimas, Roland Barthes, Claude Bremond... hanno riscontrato che alla base di ogni storia esiste sempre una stessa struttura, attuata mettendo in scena personaggi, ambienti e situazioni diversi dalle infinite sfumature, ma pur sempre articolati in base ad un uguale logica di base. Questo non significa che tutti i racconti sono uguali, ma che, nonostante le innumerevoli varietà e diversità delle storie, esiste una narratività di base da prendere in considerazione e da cui si può partire per produrre infinite variazioni. Vediamo quindi le osservazioni più importanti che sono state fatte in relazione a questa struttura di base: Andrè Gardies, propone una struttura minimale alla base di ogni storia che si traduce in un rapporto di equilibrio - disequilibrio - riequilibrio per cui ogni storia inizia da una certa situazione iniziale equilibrata, viene portata al disequilibrio dal verificarsi di qualche evento, quindi si modifica nel corso di una serie di eventi arrivando ad un riequilibrio finale, diverso da quello iniziale. Greimas ha individuato un modello di base alla storia, chiamato Modello Attananziale, dove ogni elemento è definito Attante e in cui identifica sei funzioni essenziali: Destinatore Destinatario Soggetto Adiuvante Oggetto di valore Opponente 79 In base a questo schema ogni personaggio (Attante) svolge una o più funzioni essenziali, che corrispondono ad azioni che mettono in moto e fanno procedere la storia in questo modo: un soggetto eroe, che sia Destinatario di se stesso o venga destinato per mandato da qualcun’altro, cerca di conseguire una meta per prendere possesso di un Oggetto di Valore (che può essere anche un sentimento o una qualità) di cui sé stesso o un Destinatario potrà beneficiare; Audiuvanti e Opponenti sono coloro che l’eroe incontra nel suo percorso e che rispettivamente lo aiutano o lo ostacolano nel compimento della missione. Questo modello non è da interpretarsi in maniera rigida ovviamente, ogni Attante non corrisponde necessariamente ad un personaggio concreto, può essere un animale, un oggetto, un sentimento o una qualità come l’intelligenza; una città, per esempio, può essere il Destinatario o il Destinatore di una storia in cui l’eroe è incaricato di difenderla da aggressori, oppure potrebbe essere l’ Oggetto di Valore in caso si tenti di conquistarla ecc. In questo schema un personaggio può svolgere più funzioni oppure più personaggi possono svolgere insieme un unica funzione, dipende dalla storia. Inoltre, bisogna tenere presente che a secondo dei punti di vista, una stessa storia ha più Modelli Attanziali a seconda del soggetto protagonista della narrazione. Vladimir Propp, antropologo e filologo russo dei primi decenni del ‘900, studiando le favole russe di magia arrivò a definire un numero limitato di Funzioni (31 in tutto) che fanno procedere una storia da una situazione iniziale ad una finale; queste Funzioni, corrispondono in pratica a delle azioni compiute dai diversi personaggi che entrano in gioco e che permettono alla storia di procedere in una determinata direzione di sviluppo. Le Funzioni possono essere spiegate con il seguente esempio: 80 1. Un ragazzo lascia il villaggio per andare a far fortuna altrove. 2. Un uomo accusato di alto tradimento è cacciato dalla sua città. 3. Una donna lascia la sua casa per raggiungere l’innamorato. In questi esempi la Funzione (azione) dei personaggi è la stessa e viene definita “separazione”, variano solo le modalità in cui questa Funzione viene messa in atto (personaggi-luoghi-motivazioni), ma ciò che si ottiene dalla storia è sempre una dipartita da un luogo verso un’altro. Le Funzioni sono quindi azioni indipendenti dai personaggi che le compiono e possono essere definite da sostantivi quali “divieto”, “richiesta di informazioni”, “consegna dell’oggetto magico”, “fuga” ecc... Le azioni hanno inoltre valenza diversa rispetto al punto in cui sono collocate nella storia (se la consegna di denaro avviene all’inizio del viaggio, ha un valore diverso che se avviene alla fine come ricompensa) quindi hanno funzioni diverse in base alle loro conseguenze. Propp giunge quindi alle seguenti conclusioni sulle funzioni: 1. Tutte le fiabe sono monotipiche, cioè corrispondono ad una stessa struttura di base. 2. Le Funzioni sono costanti e limitate, sono invece molteplici i personaggi e le modalità che possono metterle in atto. 3. Le motivazioni e i sentimenti dei personaggi sono indipendenti dalle Funzioni che compiono (l’eroe può essere inviato a compiere il viaggio in modo amichevole o ostile, ma l’invio è la funzione). 4. Le Funzioni hanno tutte la stessa successione nella storia; se alcune non sono presenti la loro mancanza non altera la posizione delle altre e nessuna Approfondimenti Introduzione Funzione ne esclude un’altra o la contraddice. 5. Ciò che collega diverse funzioni tra loro sono le informazioni che vengono distribuite in molteplici modi ai personaggi. 6. Funzioni diverse possono essere eseguite in modo identico Propp effettua infine due importanti osservazioni sui racconti: la prima è che un racconto prende sempre avvio in base ad una motivazione di mancanza (fisica o morale) o di danneggiamento, avvertito direttamente dal protagonista oppure da qualcun’altro o in modo generico; la seconda è che l’eroe può essere un eroe attivo, che avvia spontaneamente la vicenda, oppure passivo, che subisce un certo torto e, volente o dolente, deve porvi rimedio. Tutte queste osservazioni spiegano perciò il carattere duplice dei racconti, da un lato la loro incredibile multiformità ed eterogeneità, dall’altro la loro uniformità e ripetitività. Barthes infine sottolinea come ogni Elemento all’interno della storia non sia casuale ma abbia un senso, cioè venga creato per entrare in relazione con gli altri Elementi della storia, dando vita ad un tutto organico e solidale; ogni Elemento ha quindi un proprio valore solidale e funzionale con gli altri nella storia. Barthes distingue quindi due categorie di Elementi, quella delle Funzioni e quella degli Indizi: le Funzioni sono gli elementi che fanno procedere la storia e rinviano ad un fare (entrare, avanzare, sparare, baciare...); gli Indizi sono elementi che arricchiscono il racconto aggiungendo informazioni e rinviano ad un essere (notturno, affollato, vestito di nero, disadorno, vivace...). Questi elementi possono poi essere ulteriormente suddivisi: le Funzioni si distinguono in Cardinali (o Nuclei) e di Catalisi, le prime sono le più importanti, i veri punti di svolta del racconto, che lo fanno procedere in avanti (sparare, baciare, eliminare, fuggire...), le seconde sono le azioni che si concentrano attorno a questi nuclei senza modificarne la natura alternativa (entrare, avanzare, spiegare...). Gli Indizi si dividono invece in Informanti ed Indizi veri e propri, gli Informanti sono informazioni esplicite fornite dal racconto (mezzanotte, affollato, vestito di nero..) mentre gli Indizi forniscono informazioni che rinviano ad un atmosfera, un sentimento, un carattere, un attitudine e implicano una decifrazione (vestito di nero, disadorno, vivace...); alcuni aggettivi possono essere naturalmente di entrambi i tipi. Tutte queste osservazioni, oltre ad individuare una struttura di base, evidenziano la Causalità come un fattore chiave all’interno di ogni racconto. Ogni storia si sviluppa infatti attorno ad un soggetto che ricerca qualcosa e che durante il suo percorso effettua delle scelte riguardo a delle alternative che gli si pongono davanti sotto forma di eventi o azioni; queste scelte fanno procedere la storia in una direzione piuttosto che un’altra proprio perché legati a rapporti di causa-effetto che conducono poi all’effetto finale. Quindi una storia per essere tale è data dal risultato di eventi che per rapporti causali si legano tra loro fornendo allo spettatore un nesso logico che conduce al finale. 81 “I miti rappresentano i sogni collettivi dell’umanità e il cinema è anch’esso un sogno collettivo.” Cambpell dichiara quindi che la struttura di base del racconto, sia nel modo in cui si presentano gli eventi, sia nelle figure che si incontrano in esso, può essere ricondotta alla struttura universale del Mito, che è comune in tutti i popoli perché le strutture archetipe del Mito fanno parte dell’immaginario e dell’inconscio collettivo. Questo non significa che le storie hanno per forza a che fare con la mitologia, ma che in tutte le storie l’eroe è portato a compiere un percorso definibile “iniziatico” che lo porta a raggiungere una nuova meta e una nuova consapevolezza, attraversando determinate fasi di passaggio in cui incontra determinate figure, che possono essere ricondotte, in modo più o meno evidente, a quelle del viaggio dell’eroe mitologico. Le Avventure di Peter Pan (1953) Disney Pictures creato dallo scrittore James Matthew Barrie 82 3.10.4 “L’Eroe dai Mille Volti” di J. Campbell Definita l’importanza della narratività e della causalità all’interno di una storia, si possono trovare più pratiche conclusioni analizzando la struttura del racconto sia in base ai ruoli dei personaggi che vi fanno parte, sia in base al percorso effettuato dal protagonista per portare a conclusione la vicenda. A questo proposito è sicuramente utile considerare il lavoro di Joseph Campbell, un famoso antropologo americano del ‘900, che studiando i miti dei vari popoli del mondo, ha fatto un’ulteriore importante scoperta, dichiarando che anche i miti, come i racconti, nonostante la loro incredibile varietà (derivata da culture e influenze differenti), hanno tutti una stessa struttura di base, da lui chiamata “Monomito”. Egli ha poi rivelato che, sia la narrativa che il cinema, ricorrono a questi stessi modelli in modo più o meno nascosto: Oltre a Campbell altri studiosi hanno appoggiato questa teoria del Mito, tra cui lo psicologo Carl G. Jung che ha trovato delle forti corrispondenze tra le figure del mito e le figure (o forze) ricorrenti nei sogni dei suoi pazienti. Jung notò che alcune figure importanti nei sogni erano riconducibili alle figure archetipe della mitologia come il vecchio saggio, l’antagonista oscuro, il guardiano della soglia ecc., avanzò quindi l’ipotesi che sia i miti che i sogni provenissero dalla stessa fonte comune: l’inconscio collettivo, fondato sulle paure e sulle domande universali dell’uomo. Il sogno è in pratica la versione individuale del Mito, il Mito è la versione collettiva del sogno; entrambi sono il frutto delle dinamiche della psiche. Jung sottolineò che l’inconscio è la sede delle energie e delle paure dell’infanzia che non siamo riusciti ad accettare e portare con noi nella maturità. Queste forze psichiche represse o sgradite si ripresentano a noi attraverso i sogni; in particolar modo quando una di queste paure viene affrontata, sconfitta o accettata, nei sogni si Approfondimenti Introduzione manifestano gli stessi simboli Archetipi del mito, che segnano l’abbandono delle fissazioni infantili e la nascita in noi di un nuovo individuo maturo. Le storie dei nostri sogni rappresentano quindi delle vere e proprie mappe della psiche, psicologicamente valide ed emotivamente realistiche, anche se irreali e fantastiche. Questi Archetipi riflettono aspetti differenti della mente umana e la nostra personalità si spartisce tra di essi per mettere in scena la storia della nostra vita. Il compito dell’eroe è quello di abbandonare il mondo degli affetti e ritirarsi nelle zone causali della psiche dove risiedono le difficoltà, e qui affrontarle, risolverle e sradicarle, passando quindi alla diretta esperienza e all’assimilazione delle immagini archetipe. I riti delle tribù primitive, definiti anche “riti di passaggio”, che cerimoniavano la nascita, il nome, la pubertà ecc. avevano il preciso compito di assistere l’uomo durante i processi di trasformazione fisica e psichica delle fasi dello sviluppo. I riti comportavano delle pratiche, spesso difficili, attraverso le quali si eliminavano dalla mente le tendenze, gli affetti e le abitudini dello stadio precedente (fissazioni infantili) e a cui seguiva un periodo di isolamento durante il quale si svolgevano cerimonie per presentare all’iniziato le forme ed i sentimenti propri della sua nuova condizione, così che al suo ritorno al mondo egli sarebbe stato una persona nuova, come rinato. I simboli della mitologia non si fabbricano, sono produzioni spontanee della psiche, comuni a di tutti gli uomini in tutti i tempi. Il viaggio dell’ Eroe costituisce la riproduzione ingigantita della formula dei riti di passaggio separazioneiniziazione-ritorno, che è alla base del Monomito: l’eroe infatti abbandona il mondo naturale per dirigersi in un mondo sovrannaturale dove incontra forze favolose, positive e negative. Successivamente nel mondo sovrannaturale l’eroe si scontra con le forze negative e riporta una vittoria, fa quindi ritorno al mondo naturale dotato di un nuovo potere che gioverà non solo a lui ma a tutta la comunità. In tutti i casi, l’eroe affronta un percorso circolare che parte e lo riporta alla comunità. Prima del ritorno si manifesta sempre una sorta di morte e rinascita dell’eroe, che segna il passaggio definitivo tra la vecchia personalità e quella nuova. Il modello di “viaggio dell’eroe” è quindi universale in ogni cultura e in ogni tempo e la sua struttura, per quanto varia, è composta da una serie di elementi che rimangono i medesimi. L’eroe della favole trionfa sui propri oppressori personali e ottiene un trionfo microcosmico, quello mitologico ottiene invece un trionfo macrocosmico, universale, che comporta benefici a tutta la società; nelle favole popolari inoltre, l’atto eroico è costituito da un azione fisica, in quelle mitologico religiose è un azione morale; tuttavia si trovano variazioni sorprendentemente piccole nella morfologia dell’avventura, dei personaggi e delle vittorie, che possono essere facilmente ricondotte al viaggio dell’eroe. Molti produttori famosi come Steven Spielberg, George Miller, Francis Ford Coppola, John Boorman... hanno fatto affidamento al libro di Campbell, perfino George Lucas ha espressamente dichiarato di essersene servito nella produzione di “Guerre Stellari”. Le idee radicate nella mitologia e individuate da Campbell e Jung sono una buona chiave per affrontare la composizione di una storia in maniera preparata, anche rispetto ai sentimenti del pubblico. Comprendere queste forze significa impadronirsi degli strumenti più potenti a vantaggio dei narratori contemporanei. Il viaggio dell’eroe può essere usato da modello strutturale nella composizione di una storia e rappresenta un ottimo mezzo per individuare possibili difetti strutturali. Vediamo allora le figure principali che appartengono al 83 mito e le fasi di questo viaggio mitologico individuato da Campbell e ridefinito in modo più pratico da Chris Vogler nel suo “Il Viaggio dell’Eroe”. I Sette Archetipi E’ importante creare personaggi che corrispondano ad Archetipi Universali e non a Stereotipi, questo perché questi ultimi sono legati a specifiche culture e aree, perciò non sono riconoscibili da tutti allo stesso modo. La conoscenza degli Archetipi può aiutare gli scrittori a liberarsi dagli Stereotipi specifici di ogni cultura, dando loro la possibilità di utilizzare questi Archetipi come base di partenza, per poi costruire su di essi infinite variazioni, ottenendo così personaggi unici, vari e credibili. Capire la funzione archetipica di un personaggio è molto importante perché permette di individuare il suo ruolo nella storia e permette di capire se sta assolvendo bene il suo compito. Due sono le cose da considerare: quale funzione psicologica un personaggio deve rappresentare e quale funzione drammatica assolve nel racconto. Gli Archetipi seguenti sono sette tipologie ricorrenti di personaggi e rapporti che si trovano nelle storie. L’importanza degli Archetipi risiede non tanto nei personaggi che li rappresentano, quanto nelle funzioni che essi assolvono all’interno del racconto, che sono in pratica le azioni che lo fanno procedere. Bisogna quindi tenere presente che gli Archetipi non rappresentano dei ruoli rigidi, ma vanno visti come “maschere” che uno o più personaggi possono indossare in fasi diverse del racconto; questo significa che un 84 personaggio può svolgere anche più funzioni, indossando più maschere a seconda delle necessità e dei momenti e, viceversa, un’ unica funzione può anche essere assolta da più individui della storia. Anche in questo caso valgono le stesse regole osservate da Propp, le funzioni sono indipendenti dai personaggi e dalle loro motivazioni. Occorre poi precisare che per sceneggiare un racconto esistono ovviamente molti più Archetipi di quelli qui riportati, ne esistono tanti quanti sono le tipologie umane. Nelle fiabe per esempio, troviamo il lupo, la madre buona, il cacciatore, la matrigna, la principessa, il re ecc. ognuno con funzioni specifiche. Jung e altri hanno perfino individuato degli Archetipi Psicologici quali l’eterno fanciullo, il duro ma buono, l’arrogante ma onesto, il poliziotto buono o cattivo... queste sono però delle varianti infinite alle principali figure archetipe qui di seguito discusse. I sette Archetipi sono perciò dei modelli fondamentali dai quali partire per ricavare poi tutti i possibili personaggi, adattati alle esigenze dei vari racconti e dei vari generi. L’EROE Il termine “eroe” significa in greco “proteggere e servire” ed è legato al concetto del sacrificio di se stessi. L’Eroe è colui che con le sue azioni porta avanti la vicenda, solitamente è l‘elemento più dinamico della storia. L’Eroe è il personaggio in cui il pubblico deve identificarsi, deve essere il catalizzatore delle emozioni universali, e quindi deve possedere sia caratteristiche universali in cui gli spettatori possono riconoscersi, sia caratteristiche uniche proprie. Per quanto riguarda le caratteristiche universali gli Eroi possiedono qualità, emozioni e motivazioni che prima o poi tutti provano, come il desiderio di vittoria, di essere amati, di esprimersi, di sopravvivere, vendicarsi, Approfondimenti Introduzione essere liberi... ma devono poi avere qualità e difetti che li rendano umani e credibili, non degli Stereotipi. Esistono due tipi principali di eroe in una storia: Eroi che potremmo definire “cercatori”, pronti e dinamici che si lanciano impavidi all’avventura per la ricerca di qualcosa/qualcuno o alla ricerca dell’avventura stessa (esperienza); oppure Eroi che subiscono, che potremmo definire “passivi” o riluttanti, spinti all’avventura da un agente esterno o da una situazione scomoda, a volte anche contro la loro volontà. L’Eroe può essere anche un anti-Eroe, nel senso che non deve perforza corrisponde all’ideale comune di Eroe ma può essere un emarginato o un personaggio negativo, pessimista e tragico. A volte si possono distinguere degli Eroi anche in base al loro rapporto con il gruppo o con la società, troviamo allora Eroi solitari, Eroi dediti ad una comunità, oppure Eroi catalizzatori, il cui obiettivo è migliorare gli altri e non se stessi. Un Eroe diventa tale quando per motivazioni proprie oppure no, è spinto ad intraprendere un viaggio, reale o personale (interiore), che lo condurrà ad abbandonare il proprio ambiente per andare in un mondo sconosciuto e pericoloso in cui sarà messo alla prova e dovrà superare degli ostacoli per raggiungere i suoi obiettivi. Il viaggio spesso prende avvio a causa di una mancanza o di un danneggiamento, subito direttamente o da qualcun’altro per cui l’Eroe si prende la briga di lottare. Un momento essenziale in ogni racconto è quello in cui l’ Eroe affronta la morte o un suo surrogato (minaccia, trasformazione personale, relazione d’amore) per dimostrare al pubblico che la morte va affrontata e che, nella maggior parte dei casi, può essere sopraffatta (vittoria) o superata (rinascita). Generalmente in questo punto, per creare maggiore impatto, gli Eroi sono sottoposti ad un sacrificio importante, prima di raggiungere la vittoria. Può anche accadere che gli Eroi non ce la facciano, vengano sconfitti oppure muoiano, in questi casi solitamente si comportano comunque da Eroi, continuando ad inseguire il loro ideale. Al termine del viaggio poi l’Eroe ha poi l’importante funzione di condividere ciò che ha trovato (oggetto concreto o astratto che sia) con tutta la comunità o il gruppo. Le Avventure di Peter Pan (1953) Disney Pictures creato dallo scrittore James Matthew Barrie Inteso in termini psicologici l’Eroe è l’ego, ovvero quella parte di personalità che ci distingue dalla madre. Il viaggio dell’Eroe rappresenta la ricerca da parte dell’ Ego dell’identità, dell’equilibrio e della completezza; durante questo viaggio gli Eroi incappano in Guardiani interiori, Ombre e aiutanti che sono gli aspetti della loro personalità. L’ego, cioè l’Eroe, che crede di essere diverso da tutte queste parti di se stesso, deve infine incorporarle in un unica identità per diventare “io”. 85 La Spada nella Roccia (1963) Disney basato sul libro di T.H.White della serie Re in Eterno IL MENTORE Tutte le mitologie presentano la figura della guida, del maestro, del condottiero di anime; questa è la figura archetipa del Mentore. Rappresentato spesso da personaggi come il vecchio saggio, il mago buono o lo sciamano guaritore, il Mentore è comunque una figura ambigua che ha una natura sia positiva che negativa, questo perché non solo guida, ma spinge l’eroe al viaggio verso l’ignoto. La sua funzione è quella di istruire e proteggere l’eroe, motivarlo a vincere le sue paure e intraprendere il viaggio. Il Mentore però prepara solamente l’eroe, lo mette nelle condizioni necessarie per intraprendere il viaggio, è poi l’eroe a dover prendere la decisione definitiva di intraprenderlo. La figura del Mentore può apparire fin da subito all’inizio della storia o entrare in scena prima o durante un momento difficile per l’eroe, prestando soccorso. Comunque sia va sottolineato che il rapporto che si instaura tra Eroe e Mentore è spesso molto saldo e ricco di valori simbolici, per questo rappresenta uno degli strumenti più forti a disposizione del regista per intrattenere il pubblico. Il Mentore viene chiamato anche Donatore per il fatto che 86 comunemente, nelle fiabe, dona all’Eroe degli oggetti, dei poteri miracolosi, degli animali utili o delle informazioni che lo aiuteranno e lo salveranno nei momenti di difficoltà. Ovviamente l’eroe deve meritarsi questi doni tramite il superamento di una o più prove di valore; queste possono essere di vario genere e possono venire affrontate più o meno consapevolmente; le prove affrontate in modo diretto possono essere uno scontro fisico o la risposta a degli indovinelli, mentre le prove affrontate inconsapevolmente dall’eroe potrebbero rappresentare un atteggiamento cordiale nei confronti di uno sconosciuto o la prestazione di un soccorso o di un servizio spontaneo. L’oggetto magico non sempre viene ottenuto in seguito a delle prove, a volte viene sottratto ad un donatore involontario, oppure può essere trovato, acquistato o comparire improvvisamente senza la presenza del Donatore. Esistono diversi tipi di Mentore nelle storie e non tutti sono personaggi positivi, possono esserci: Mentori riluttanti a fornire i loro insegnamenti, o che li forniscono loro malgrado, dando il cattivo esempio; cattivi Mentori, che fingono di prestare aiuto e invece guidano l’eroe in pericolo; Mentori molteplici, come quando l’eroe viene addestrato da più persone; Mentori comici, come amici o compagni carismatici. Spesso nelle fiabe si trovano Mentori animali, che donano degli oggetti utili o prestano i loro servigi in cambio dell’ aiuto ricevuto; perfino gli oggetti possono essere Mentori se svolgono una funzione di istruzione o di insegnamento, per esempio un libro, oppure un oggetto che seguito porta l’ eroe alla meta. Infine, la coscienza stessa dell’eroe può svolgere il ruolo di Mentore se fondata su valori solidi ai quali appigliarsi o al ricordo di un personaggio dal quale trarre ispirazione. Come può accadere anche negli altri Archetipi, se questa figura non è presente nel racconto, può essere una funzione svolta da Approfondimenti Introduzione un personaggio durante la storia. Psicologicamente parlando il Mentore è collegato alla figura del genitore; a livello psicologico rappresenta l’io superiore, la parte più saggia, la coscienza personale come il grillo di Pinocchio; simboleggia ciò che l’eroe può diventare se continua a percorrere la strada degli eroi. Negli arcani delle storie, l’evoluzione dell’eroe termina nella figura del Mentore. IL GUARDIANO DELLA SOGLIA Tutti gli Eroi incontrano degli ostacoli nella loro impresa, il Guardiano della Soglia sorveglia l’accesso a dei luoghi chiave che L’Eroe deve passare, come per esempio il quartier generale dell’antagonista, e la sua funzione è quella di sbarrare la strada all’ Eroe, verificando se merita il passaggio. Il Guardiano della Soglia mette alla prova la dedizione dell’eroe a intraprendere il viaggio, per capire se possiede la volontà e le abilità per continuarlo. Queste figure possono essere rappresentati da personaggi ostili, come per esempio il servitore dell’antagonista, oppure ostacoli naturali come tempeste e giungle selvagge, ma possono anche essere ostacoli architettonici come castelli e muraglie, oppure forze esterne come la sventura. Il Guardiano o i Guardiani della Soglia sono figure dai molteplici aspetti che si possono presentare in molte occasioni durante il viaggio. Anche se generalmente non sono figure positive, non è detto che siano perforza degli antagonisti, possono anche essere figure neutrali o possibili amici. Gli Eroi hanno a disposizione diversi modi per reagire a questi ostacoli apparenti: possono fuggire, cambiare direzione, attaccare direttamente o subdolamente attraverso l’astuzia, la finzione, la corruzione. Spesso la minaccia è solo apparente e i Guardiani della Soglia vogliono solo che venga riconosciuto il loro potere; una soluzione allora potrebbe essere quella di ignorarli o superarli con fede, oppure rivolgergli contro la loro stessa forza; uno dei metodi più efficaci solitamente consiste nel mettersi nei panni del Guardiano stesso. Per un Eroe è importante riconoscere ed accettare la figura del Guardiano della Soglia. Infatti molto spesso sono figure che non vanno sconfitte, ma incorporate; in alcuni casi è perfino possibile trasformarli in preziosi alleati. Alice nel Paese delle Meraviglie (1951) Disney tratto dal libro di Lewis Carroll A livello psicologico essi rappresentano degli ostacoli fisici o pratici che incontriamo sul nostro cammino, come per esempio personaggi ostili; oppure, a livello più profondo, rappresentano i nostri demoni interiori, le nostre nevrosi, le ferite, i vizi, le autocastrazioni che frenano il nostro sviluppo e che quando tentiamo di cambiare si presentano a verificare se siamo pronti a superarli per farlo. 87 La funzione psicologica del Messaggero è quella di annunciare la necessità di un cambiamento interiore, può farlo sotto forma di idea oppure di sogno. Biancaneve e i Sette Nani (1937) - primo lungometraggio Disney tratto dalla fiaba dei Fratelli Grimm IL MUTAFORME La Spada nella Roccia (1963) Disney basato sul libro di T.H.White della serie Re in Eterno IL MESSAGGERO La figura del Messaggero spesso compare nel primo atto ad annunciare la sfida all’eroe e imporre un cambiamento; rappresenta la scintilla che scatena la storia. La sua funzione è praticamente quella di fornire una motivazione che mandi avanti la storia. Queste figure sono comparabili agli araldi della cavalleria medioevali che annunciavano lo scoppio di una guerra, hanno il ruolo di annunciare l’arrivo di un cambiamento importante e possono essere figure positive, negative o neutrali. Un Messaggero può essere il braccio destro dell’antagonista che riferisce la sfida, un compagno di gruppo che riferisce un’ informazione, il Mentore, oppure anche l’antagonista stesso (ex. annunciando la sua sfida direttamente al pubblico). Il Messaggero non deve essere a tutti i costi un personaggio reale, può essere anche rappresentato da un sentimento interiore che spinge al cambiamento, da un oggetto che ispira una nuova idea, come un libro, oppure da forze esterne, come un temporale che preannuncia una tempesta. Anche in questo caso la figura del Messaggero può essere una maschera indossata da un altro Archetipo del racconto. 88 La natura del Mutaforme è quella di essere una figura di umore o aspetto incostante, ambiguo e mutevole; spesso la sua lealtà è messa in dubbio e il suo comportamento svia l’ Eroe o lo tiene in sospeso per un certo tempo. La funzione del Mutaforme è quella di suscitare dubbio e mistero nella storia. Può essere una figura positiva o negativa, non sempre tenta di imbrogliare o eliminare l’ Eroe, a volte può limitarsi ad abbagliarlo; spesso se l’eroe è paziente, alla fine si scopre la sua vera identità. Il Mutaforme solitamente appare all’inizio del racconto oppure, poco dopo che il viaggio è stato intrapreso, può manifestarsi in vari modi e non ha una collocazione precisa. La figura del Mutaforme, che cambia continuamente e risulta incostante, è spesso associata al sesso opposto, alla tipica “donna fatale”. Questo dipende dalla sensazione Approfondimenti Introduzione di incomprensione che ogni individuo prova nei confronti dell’altro sesso, che porta ad interpretarlo come mutevole, volubile ed incostante. Il Mutaforme è un Archetipo molto flessibile che può svolgere molteplici funzioni: potrebbe cambiare la visione dell’Eroe sul sesso opposto o permettergli di venire a contatto con le sue qualità represse. Il mutaformismo può manifestarsi anche in cambiamenti di aspetto o puramente caratteriali, anche in questo caso è una maschera utilizzabile da più Archetipi (la strega di Biancaneve, oltre ad essere l’antagonista principale diventa Mutaforme quando si trasforma in vecchietta per regalare la mela avvelenata). La funzione psicologica del Mutaforme è quella di dare sfogo ad “Animus ed Anima“ dell’inconscio, cioè allo scontro tra le nostre qualità maschili e femminili; secondo Jung infatti, ogni individuo è composto da qualità maschili e femminili che lottano per raggiungere l’equilibrio, il loro squilibrio è causato dalle convenzioni sociali che spingono a reprimere la nostra componente del sesso opposto, creando tensione. Animus e anima possono essere positivi o negativi, compito dell’eroe è comprendere con quale parte abbia a che fare. La Bella & la Bestia (1991) Disney - primo film di animazione nominato all’Oscar come Miglior Film L’OMBRA Ombra è la figura dell’ antagonista, del lato oscuro della forza, non sempre terrificante, ma pur sempre ostile. Ombra può essere un personaggio antagonista, una forza esterna oppure una parte più o meno repressa dell’Eroe stesso, che lo porta all’autodistruzione (Dr.Jekyll e Mr.Hyde). La funzione dell’Ombra è quella di fornire all’Eroe un degno rivale da contrastare: si dice che la qualità di un racconto è di pari efficacia del cattivo perché spinge il protagonista a dimostrarsi all’altezza. In pratica L’ombra deve sfidare l’Eroe, creare conflitto, spesso mettendo in reale pericolo la sua vita. Nemici sono ovviamente sia il cattivo che i suoi scagnozzi o altri antagonisti della storia che si prefiggono il compito di annientare e sconfiggere l’Eroe. Possono esserci due tipi di Ombra in una storia, uno è l’antagonista, che crea conflitto ma risulta meno ostile, può limitarsi a competere con l’Eroe o semplicemente a non condividerne l’operato; l’altro è il cattivo vero è proprio che è destinato allo scontro finale. Da tenere comunque in considerazione che è buona abitudine rendere vulnerabile anche l’antagonista, umanizzandolo. 89 Mushu character Mulan (1998) Disney Ombra può essere un personaggio o una maschera indossata da molti personaggi in più momenti della storia, questi possono svolgere anche la funzione di Imbroglione, Guardiani della Soglia, Mutaforme, Messaggeri e perfino Mentori. Il cattivo può rappresentare l’Ombra dell’ Eroe in carne ed ossa, cioè essere il riflesso oscuro dei desideri dell’Eroe esasperati e distorti; possono esserci comunque anche Ombre positive, il cui ruolo è necessario a fornire all’Eroe una forza a cui opporsi, rivelandosi alla fine come la sua più grande fonte di energia; è inoltre possibile che un’ Ombra si riscatti, diventando positiva. Da notare il fatto che molto spesso il cattivo non si sente tale, ma dal suo punto di vista crede di avere ragione e si sente l’Eroe della storia. Un momento difficile per l’Eroe è un momento buono per l’Ombra, i loro archi narrativi sono speculari. Solitamente l’Ombra appare due volte nei racconti, nella prima parte appare improvvisamente, reca danno e scompare; nella seconda entra nel racconto in qualità di personaggio trovato dall’Eroe in seguito ad una ricerca. Psicologicamente parlando l’ Ombra rappresenta i nostri aspetti incompresi, inespressi e repressi, come traumi, sensi di colpa, emozioni nascoste e inconfessati: l’Ombra è la dimora dei mostri che reprimiamo dentro di noi, ma potrebbe anche essere la dimora di qualità positive, nascoste o rifiutate per qualche motivo. Se il Guardiano rappresenta la nevrosi, l’Ombra rappresenta la psicosi, che non solo ci ostacola, ma minaccia di distruggerci. All’Ombra si collega anche la figura del padre, secondo il famoso complesso di Edipo per cui il fanciullo interpreta il padre come nemico perché compete con lui nelle attenzioni della madre. 90 L’IMBROGLIONE L’ Archetipo dell’ Imbroglione può essere positivo o negativo, corrisponde a tutte quelle figure che sono buffoni e spalle; possono essere servitori o alleati, sia dell’eroe che dell’ombra, oppure rimanere figure neutrali che agiscono indipendentemente con le proprie trame. Nella storia L’ Imbroglione solitamente accompagna l’Eroe o l’antagonista oppure viene incontrato lungo il cammino. L’ Imbroglione è nemico dello status quo: crea scompiglio e riunisce in sé le energie della goliardia e della spinta al cambiamento. Le sue funzioni sono molteplici: suscita la risata, rimarcando follie e ipocrisie; crea l’intermezzo comico che rianima il pubblico, ribilanciando la storia quando si fa troppo tragica o lenta; ridimensiona l’ Eroe quando si prende troppo sul serio, aiutandolo a capire i propri limiti e riportandolo coi piedi per terra, e, infine, stimola il cambiamento, spesso attirando l’attenzione su di una situazione psicologica stravagante o su di uno squilibrio. Gli amici o gli aiutanti che aiutano l’ Eroe nel suo viaggio possono corrispondere sia alla figura dell’Imbroglione, sia a quella del Mentore nelle occasioni in cui danno consiglio; spesso aiutano l’ Eroe agendo come Approfondimenti Introduzione voce della coscienza, ma possono anche danneggiarlo in modo comico e causare dei problemi. L’ Eroe Imbroglione è una figura caratteristica in molte leggende folcloristiche, spesso indifeso ma intelligente, si contrappone a nemici grandi e pericolosi (ex. Eroi coniglio come Bugs Bunny). In termini psicologici l’Imbroglione può manifestarsi attraverso incidenti di memoria o lapsus verbali. La componente imbrogliona può emergere quando ci si prende troppo sul serio, per recuperare l’oggettività perduta. Le Fasi del Viaggio dell’ Eroe PRIMO ATTO 1. Mondo Ordinario 2. Richiamo all’Avventura 3. Rifiuto del Richiamo 4. Incontro con il Mentore SECONDO ATTO 5. Varco della Prima Soglia 6. Prove, Alleati e Nemici 7. Avvicinamento alla Caverna più Recondita 8. Prova Centrale 9. Ricompensa 10. La Via del Ritorno TERZO ATTO 11. Resurrezione 12. Ritorno con l’Elisir Le fasi del viaggio dell’Eroe possono essere un buon metodo di confronto per rinforzare la struttura delle trame ed individuare eventuali punti deboli nel racconto, aiutano a raccontare storie migliori. Al viaggio fisico dell’Eroe può essere paragonato anche un viaggio di evoluzione psicologico, questo è l’ arco di trasformazione del personaggio: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Consapevolezza limitata Aumento consapevolezza Riluttanza al cambiamento Superamento riluttanza Impegno al cambiamento Sperimentazione Preparazione Tentativo al Grande Cambiamento Conseguenze del Cambiamento Nuovo impegno al Cambiamento Tentativo finale di Grande Cambiamento Padronanza del Problema Fondamentalmente la storia dell’Eroe, per quanto varia, rimane sempre un viaggio, anche se interiore: il viaggio dell’Eroe si accorda ai drammi contemporanei, dalle storie d’amore, d’azione e di avventura, semplicemente sostituendo alle figure simboliche quelle moderne, della vita di tutti i giorni: dottori, analisti, insegnati e terapeuti possono essere ottimi Mentori per esempio e le caverne recondite possono essere paragonate ai centri delle metropoli, ad edifici simbolo del potere, a spazi ed abissi o alle profondità del nostro inconscio. Le storie sono gli equivalenti simbolici di esperienze universali della vita, tali simboli possono cambiare in infiniti modi per adeguarsi a ciascun racconto. La struttura dei miti e delle favole subisce spesso 91 alterazioni, i tratti più arcaici vengono in genere riadattati, revisionati o eliminati a seconda del paese di origine, delle culture e delle credenze locali; ma tutte queste eccezioni non invalidano la dichiarazione della monotipicità dei racconti, sono semplici oscillazioni che non implicano un nuovo sistema compositivo. Il discorso sulla flessibilità vale anche in questo caso: se è vero che tutte le storie contengono queste fasi in maniera più o meno nascosta, è anche vero che questa struttura non va seguita rigidamente. Le fasi possono essere risistemate oppure omesse senza perdere d’ efficacia ed ogni elemento può comparire più volte. Alcune storie poi, riguardano solo delle parti del viaggio, tralasciandone altre, l’importante è comunque comprendere l’insieme dei valori insiti nel modello. 1. IL MONDO ORDINARIO Il mondo ordinario presenta i personaggi e imposta la situazione; costruisce le premesse drammatiche e permette al pubblico di farsi delle domande sulla buona riuscita dell’impresa. Questa parte iniziale è utile a introdurre il tema della storia e ricreare l’atmosfera in modo graduato, serve a presentare il protagonista, fornisce informazioni su di lui e sul suo ambiente, mettendo così il pubblico nella condizione mentale per affrontare l’esperienza del viaggio. Non è detto che il racconto non possa iniziare già in maniera dirompente, ma solitamente si sceglie una introduzione meno immediata. A volte all’inizio si verifica un presagio, come un sogno o una predizione che anticipa il viaggio o le sue sorti. La storia inizia spesso in un mondo ordinario e statico in cui il protagonista compie azioni abituali, solitamente è un ambiente piuttosto monotono e serve a dare un contrasto 92 netto con il mondo straordinario in cui la storia verrà catapultata successivamente. L’entrata in scena del protagonista è molto importante, dovrebbe creare un’ immediata empatia con il pubblico per consentire l’immedesimazione; inoltre dovrebbe mostrare fin da subito l’ atteggiamento tipico che caratterizza il protagonista e i suoi problemi principali (che saranno da risolvere). Le cause che spingono l’Eroe a iniziare l’avventura possono essere un danneggiamento o una mancanza: nel primo caso l’Eroe può subire un torto oppure essere privato di qualcosa/qualcuno; nel secondo caso può essere una mancanza concreta di un oggetto (spada, denaro), di un evento (vittoria, fama), una mancanza personale interiore (autostima, coraggio) o anche di una forza astratta (libertà, giustizia, amore). Da notare che questo danneggiamento o mancanza può essere sia avvertito direttamente dall’Eroe che da qualcun’altro, per cui egli si prende la briga di risolvere il problema. Questa parte iniziale della storia dovrebbe concentrarsi proprio su quel qualcosa che manca o che verrà danneggiato, che sia la persona amata, il nucleo familiare, l’oggetto del desiderio, la qualità che al protagonista manca, la meta da raggiungere e così via... 2. RICHIAMO ALL’ AVVENTURA Spesso il protagonista è in una condizione instabile, cova già dentro di sé i semi del cambiamento e basta un ultimo input per farli maturare. Si verifica allora un episodio scatenante che crea instabilità nella situazione abituale e coinvolge il protagonista spingendolo a cercare un rimedio. L’episodio scatenante potrebbe essere un incontro speciale, un evento traumatico, un messaggio, un rapimento, una tentazione, il ripetersi di determinate Approfondimenti Introduzione circostanze che innescano un’ idea oppure delle necessità insite nel protagonista che raggiungono un limite. L’ Eroe viene spinto a intraprendere il viaggio in diversi modi, può essere l’intervento di un agente benigno o maligno che fa da incipit definitivo, oppure a volte si trova catapultato nel nuovo mondo per caso, per una semplice svista o perché spinto dalla curiosità; gli esempi sono infiniti. Che il protagonista lo voglia oppure no, alla fine comunque è costretto ad intraprendere l’avventura. Molto spesso accade che gli Eroi sono inconsapevoli che c’è qualcosa di sbagliato in loro o nel loro mondo, non vedono la necessità al cambiamento, perciò si presenta un Messaggero che fa causa scatenante, mostrando l’instabilità del loro mondo e la necessità ad iniziare il viaggio. Il richiamo all’avventura spesso disorienta il protagonista ed è per lui una cosa spiacevole, non vorrebbe seguirlo e vi oppone resistenza, ma alla fine, in un modo o in un altro è costretto a partire. In questa fase si stabilisce anche la posta in gioco e l’obiettivo dell’Eroe: che sia l’onore, il denaro, la vita... è importante che la posta in gioco sia alta, perché crea maggiore tensione e interesse nel pubblico. Il destino chiama quindi l’Eroe dalla zona in cui vive verso un luogo sconosciuto e misterioso pieno di pericoli e tesori, che chiameremo “mondo straordinario”; questo mondo può essere rappresentato in vari modi ma è sempre e comunque un luogo popolato di essere fluidi e poliformi, di fatti sovrumani e inconcepibili meraviglie. Generalmente nelle fiabe questo mondo si trova molto lontano, per esempio molto in alto nel cielo o nelle profondità della terra/acqua, l’altezza e la profondità sono di solito qualità attribuite al nuovo regno dove si svolgerà l’avventura (una terra lontana, una foresta oscura, un regno sotteraneo o celeste, un profondo sonno...). 3. RIFIUTO DEL RICHIAMO L’ Eroe è spesso riluttante a intraprendere il viaggio, per lui significa lanciarsi verso l’ignoto e questo ha a che fare con la paura; dovrà quindi essere chiamato più volte per decidersi alla partenza, oppure alla fine sarà costretto dalle circostanze perché si esauriranno le alternative. Questa attesa serve a rimarcare nel pubblico la pericolosità del viaggio e l’importanza della scelta e della posta in gioco. Perfino gli eroi più coraggiosi all’inizio indugiano a partire avanzando una serie di scuse poco convincenti: le ragioni del rifiuto possono essere molteplici, una delle principali cause sono delle esperienze passate che si sono rivelate traumatiche, per esempio nelle commedie d’amore il rifiuto al richiamo ha a che fare con una precedente esperienza negativa col partner e il rifiuto a ricominciare l’ennesima devastante storia d’amore. Il rifiuto al richiamo potrebbe essere un momento breve e poco percettibile dagli spettatori, che si concentra in poche parole di esitazione prima di accettare l’impresa, oppure potrebbe essere necessario l’intervento di un Mentore che lo sprona e gli dà coraggio, o potrebbero anche verificarsi ulteriori fattori come nuovi danneggiamenti ed offese per convincere l’Eroe a intraprendere l’impresa. Se il rifiuto al richiamo è troppo ostinato si scatenano spesso conseguenze disastrose. Raramente può accadere che il richiamo sia avanzato dall’antagonista per arrecare danno; solo in questo caso il rifiuto è positivo. Il richiamo all’avventura si trova solitamente all’inizio del viaggio, ma potrebbe intervenire in momenti successivi a deviarne il percorso. Superata questa fase di rifiuto l’Eroe si convince a pieno della necessità del viaggio e parte ben determinato a raggiungere i suoi obiettivi. 93 94 4. INCONTRO CON IL MENTORE 5. VARCO DELLA PRIMA SOGLIA Gli Eroi entrano quasi sempre in contatto con qualche fonte di saggezza prima o durante il loro viaggio. Questa fonte di saggezza è rappresentata dalla figura del Mentore, che può essere un mago, un saggio, un’eremita, un amico ecc., che dà dei consigli, delle informazioni e spesso fornisce gli amuleti di cui l’eroe ha bisogno e che lo salveranno nel momento del bisogno. L’ incontro col Mentore potrebbe segnare una fase di addestramento che precede l’accettazione del richiamo. Questa fase di addestramento può essere un breve momento transitorio, uno scambio di consigli, oppure un addestramento vero e proprio; comunque sia questa fase è essenziale per permettere all’Eroe di superare gli ostacoli che si presenteranno sul suo cammino. Durante l’addestramento il Mentore insegna all’Eroe determinate cose e spesso lo sottopone a delle prove di intelligenza, forza o coraggio. Il rapporto che si instaura tra Eroe e Mentore è ricco di valori simbolici e molto usato nelle storie. Il Mentore ha infatti un forte ascendente sul suo discepolo e influenzerà le sue scelte future nel corso della storia; a volte intere storie si basano sul rapporto Eroe-Mentore, concludendosi con una breve sfida in cui l’Eroe dimostra di aver imparato. In alcuni casi rari il Mentore è un personaggio negativo e fuorviante per l’Eroe e tenta condurlo fuoristrada o in pericolo; anche in questi casi però l’Eroe viene messo alla prova. Terminato l’addestramento avviene spesso la consegna dell’oggetto magico, una spada per esempio, che sarà molto utile per affrontare i pericoli del cammino e per affrontare il nemico finale; spesso quest’oggetto si rivelerà essenziale alla vittoria. Questo momento alla fine del Primo Atto rappresenta un punto di svolta. La Soglia è il passaggio dal Mondo Ordinario a quello Straordinario, ignoto e pericoloso, rappresenta quindi l’ inizio dell’avventura vera e propria. Nel caso in cui l’Eroe rimanga nello stesso posto, la Soglia potrebbe essere un nuovo territorio emozionale che viene esplorato. Varcarla significa che l’Eroe ha superato i sui timori ed è pronto al viaggio, cioè ad affrontare il problema e agire, rischiando anche se stesso; egli intraprende un viaggio pericoloso dal quale non è possibile tornare indietro, l’importanza di questo momento deve essere percepita bene dal pubblico. Va comunque precisato che gli Eroi solitamente non attendono semplicemente gli insegnamenti o i doni del Mentore per poi precipitarsi al Varco della Soglia e intraprendere il viaggio; il loro coinvolgimento definitivo viene spesso determinato da una forza esterna che interviene arrecando un ulteriore danno decisivo (rapimento, offesa mortale, uccisione, sfida, saccheggio), fornendo all’Eroe una forte motivazione alla partenza. Legato al Varco della Soglia troviamo quindi la figura del Guardiano della Soglia, nemico e al contempo amico, che mette alla prova l’Eroe prima di concedergli il passaggio; questa fase può essere più o meno lunga, ma fornisce un ulteriore insegnamento e gli infonde coraggio e forza all’Eroe per andare avanti nell’impresa (l’attraversamento della Soglia potrebbe anche essere un esperienza traumatizzante che causa un danno fisico o psicologico). Il Varco della Soglia si può paragonare all’ingresso del fedele al tempio, dove il fedele scopre chi e cosa egli è: null’ altro che cenere. Le porte dei templi sono fiancheggiate spesso da cariatidi come draghi, leoni o demoni, che vietano simbolicamente l’accesso a coloro Approfondimenti Introduzione che non sono in grado di affrontare l’infinito silenzio che sta all’interno; le cariatidi concretizzano il fatto che il devoto nell’entrare al tempio subisce una metamorfosi. Svestendosi delle sue qualità secolari entra infatti in una sorta di grembo materno, si isola dal mondo esterno compiendo un’ azione innovatrice, per poi rinascere all’uscita (il fatto che chiunque possa entrare fisicamente non invalida il ruolo dei guardiani perché se l’intruso non è in grado di capire il tempio, è come se fosse rimasto fuori). Psicologicamente il varco della soglia rappresenta per l’individuo una sorta di auto-annientamento. L’Eroe muove verso l’interno di se stesso oltre i confini del mondo visibile, per rinascere; entra in un mondo sconosciuto scoprendo e assimilando le sue diversità, il proprio “io” insospettato, mettendo da parte le sue virtù e le sue credenze. Egli scoprirà infine che se stesso e il suo contrario non sono altro che la stessa cosa. 6. PROVE, ALLEATI E NEMICI Una volta varcata la Soglia l’Eroe si trova nel Mondo Straordinario, un paese sconosciuto e misterioso, abitato da forme ambigue e mutevoli, ed egli è ovviamente scosso da queste diversità; non importa quante scuole di vita abbia fatto, egli è un principiante in questo Mondo Straordinario e la velocità con cui si adeguerà a questo mondo e alle sue leggi consiste già in una nuova prova. Nel Mondo Straordinario l’Eroe deve affrontare nuove prove e nuovi incontri, positivi e negativi. Le prove possono essere di svariati tipi: possono essere ostacoli architettonici, barriere naturali e trappole, oppure possono consistere in richieste d’aiuto da parte di persone oppresse o in pericolo, o anche nuove prove del Mentore se questi è ancora presente nel viaggio. Durante le prove l’Eroe è generalmente assistito dal ricordo dei consigli del Mentore e dagli oggetti che egli gli ha donato. Se invece la figura del Mentore non è ancora comparsa o si introduce in questo momento, lungo il cammino, o ci saranno delle forze benigne che interverranno in aiuto dell’Eroe nei momenti di pericolo. Elemento fondamentale di questa fase di passaggio sono gli incontri con figure nuove, positive o negative, con il conseguente instaurarsi di nuovi legami; in alcuni racconti si formano delle vere e proprie squadre dove ogni personaggio ha caratteristiche peculiari. Gli Alleati e i Nemici che si incontrano nel nuovo mondo possono avere funzioni archetipiche differenti, possono essere per esempio Imbroglioni, Guardiani della Soglia o Messaggeri. A volte il protagonista è seguito da una spalla, un Alleato che abitualmente lo sostiene. Gli incontri sono spesso causali e avvengono per lo più in zone di ristoro o lungo il cammino. Possono essere la conseguenza di una richiesta di informazioni, di una gentilezza, di uno scontro verbale, di un soccorso prestato o subito, oppure essere il risultato di interessi comuni. Sia la fase degli incontri, che quella delle prove affrontate insieme agli Alleati, sono momenti utili per mostrare al pubblico le personalità e le caratteristiche dei vari personaggi, osservandoli agire sia nell’ordinario che sotto pressione. Di solito in questa fase l’Eroe rivela la sua presenza all’antagonista, scatenando una serie di eventi. 95 96 7. AVVICINAMENTO ALLA CAVERNA PIU’ RECONDITA 8. PROVA CENTRALE L’ Eroe e gli Alleati, dopo essersi ambientati nel Mondo Straordinario, proseguono per individuarne il centro nevralgico del Mondo Straordinario, tra il confine e la vera meta del viaggio. Gli Eroi trovano allora un’altra zona misteriosa che rappresenta il secondo Varco della Soglia: la “Caverna più Recondita”, che rappresenta il luogo più oscuro e pericoloso (spesso il quartier generale del nemico) alla soglia del quale si trova un altro Guardiano ad attenderli ed altre importanti prove. E’ quindi il momento di fare gli ultimi preparativi per prepararsi ad affrontare i momento critico della Prova Centrale del viaggio. Spesso gli Eroi non si presentano direttamente al Varco della Soglia ma questo momento è preceduto da un periodo di sosta in cui il gruppo si organizza, raccoglie informazioni, prepara strategie, effettua ricognizioni e si rifornisce e rifocilla per meglio prepararsi ad affrontare la prova; questa è propriamente detta la fase dell’Avvicinamento. In questa fase può nascere anche una storia d’amore tra l’Eroe e una compagna di viaggio. Gli Eroi in questa fase possono incappare in intoppi molto scoraggianti, possono essere feriti gravemente, possono subire delle perdite, delle morti, o problemi di vario genere. Queste vengono definite “Complicazioni Drammaturgiche” e si tratta di ulteriori prove che rafforzano la determinazione degli Eroi a proseguire il viaggio. L’ Avvicinamento comprende quindi tutti i preparativi e le prove che precedono il momento critico della Prova Centrale. Se la storia non è un’avventura, l’avvicinamento va inteso in altri termini (in una storia d’amore per esempio, questa fase coincide con il corteggiamento). La Prova Centrale è il momento critico di ogni storia, rappresenta la prova più spaventosa. In questa fase l’Eroe raggiunge la meta (si trova nell’antro più oscuro della caverna) e deve fronteggiare il nemico più temibile; le forze ostili si trovano nello stato di opposizione più teso. Questo momento di crisi rappresenta una sorta di spartiacque nella storia e non va confusa con il Climax finale, che porta invece alla risoluzione della storia. Durante lo scontro con il nemico, avviene sempre un rovescio di fortuna, le possibilità di raggiungere la meta (o l’oggetto del desiderio) sembrano affievolirsi e l’Eroe pare non farcela e guarda in faccia la sua paura più grande, affrontando con coraggio la possibilità di venire sconfitto o morire. Sperimentare la morte è un elemento chiave dei riti di passaggio o iniziazione, nel mito questa è la fase in cui l’Eroe muore per rinascere con un nuovo spirito e una nuova personalità più matura, subendo quindi un cambiamento. Il segreto della Prova Centrale sta proprio nella fase di morte-rinascita dell’Eroe, che è il momento più sentito dal pubblico. Va precisato che comunque l’Eroe non necessariamente deve trovarsi sul punto di morire, ma dipende dalle situazioni; sperimentare la morte va sempre inteso in senso metaforico, il concetto chiave è che in ogni storia gli Eroi devono sperimentare qualcosa di simile alla morte, un picco negativo, una sconfitta o un insuccesso, la perdita dell’amore o di quant’altro. Il più delle volte gli Eroi sopravvivono magicamente alla Prova Centrale e simbolicamente rinascono trasformati in persone nuove. Il messaggio di questa fase è che le cose a volte devono peggiorare, prima di poter migliorare. Una figura importante in questa fase è quella del testimone Approfondimenti Introduzione che è qualcuno nelle vicinanze dell’Eroe che assiste al suo combattimento, lo vede aprossimarsi alla morte o addirittura lo crede morto, quindi si dispera, per poi gioire quando l’Eroe riprende le forze e conquista la vittoria. Il testimone è una figura importante perché trascina le emozioni del pubblico, che insieme a lui si dispera quando l’eroe sembra perduto e poi esulta alla sua vittoria. Una buona storia in questa fase procura scoraggiamento, più questo picco sarà negativo, più grande sarà il sollievo e l’eccitamento del pubblico alla vittoria finale. La scarica di adrenalina che segue il momento catartico della morte e risurrezione risveglia la più grande gioia di vivere. La sconfitta dell’Ombra, ovviamente, non dovrebbe essere troppo facile da ottenere; nelle leggende mitologiche gli Eroi sono stati preceduti da molti altri che hanno fallito e spesso riescono a sopravvivere solo grazie all’utilizzo del dono del Mentore, che li salva all’ultimo momento. Lo scontro definitivo potrebbe poi essere anche rimandato al Terzo Atto, in questo caso l’ombra sconfitta potrebbe essere solo un vice del vero antagonista, oppure l’Ombra potrebbe fuggire, per poi riorganizzarsi e tornare più agguerrito che mai. L’azione potrebbe inoltre spostarsi dalla sfera fisica a quella emozionale. Degli esempi di Prova Centrale potrebbero essere il confronto generazionale tra figlio e genitore, il raggiungimento dell’intimità nelle storie d’amore, la vittoria su di una fobia personale, il superamento di una tempesta, la scoperta di un tradimento, oppure sul piano emotivo potrebbe essere il raggiungimento di un equilibrio interiore, la riappacificazione di forze in contrasto (spostamento dall’ego all’io, la fine della vecchia personalità). Nonostante la vittoria però, il viaggio non è finito e l’Eroe potrebbe dover affrontare altre forze, altre ombre, prima di tornare al suo Mondo Ordinario. 9. RICOMPENSA L’Eroe, sopravvissuto alla morte, o alla grande Crisi, sperimenta quindi le conseguenze della vittoria (scontrarsi con un grande evento e farcela crea sicuramente delle ripercussioni positive). La Ricompensa crea molte opportunità e coincide con la fine della prova iniziatica dei riti di passaggio. Si verifica allora un periodo più meno lungo in cui l’Eroe viene riconosciuto come tale e ricompensato. La Ricompensa è già implicita nel superamento della Prova Centrale, con il conseguente ottenimento di ciò che l’Eroe stava cercando, che sia un tesoro, la persona amata, la libertà, la giustizia ecc., ma può essere una doppia ricompensa, nel senso che, una volta riconosciuto il suo valore, l’Eroe può anche essere ricompensato in altri modi, con medaglie e doni per esempio. La Ricompensa può assumere molte forme: può essere un oggetto materiale (denaro o un oggetto simbolico), una persona ricercata, un’ entità astratta (libertà, pace, salvezza, amore), una qualità interiore (coraggio, autostima); o anche la semplice possibilità di tornare a casa. La Spada è un elemento simbolico che spesso si presta alla Ricompensa perché rappresenta simbolicamente la volontà dell’Eroe: forgiata nel fuoco e nel sangue, spezzata e rinsaldata, martellata e piegata, indurita e affilata. Nel caso in cui la ricompensa che spetta all’Eroe non venga ceduta, questi potrebbe allora appropriarsene con la forza o con l’astuzia; questo caso si dice “il furto dell’Elisir”. A questo punto è normale che Eroe e compagni, sopravvissuti alla morte, vogliano festeggiare. I festeggiamenti (anche se a volte di breve durata) forniscono un momento di pausa in cui si reintegrano le energie perdute durante la lotta e si passano in rassegna gli eventi passati. 97 Durante i festeggiamenti avvengono spesso momenti di intimità e di riflessione in cui i personaggi parlano di sé stessi e del loro passato, oppure, visto che l’Eroe ha dimostrato il suo valore, potrebbe anche esserci il coronamento di un amore o unione sacra di qualche genere. Durante i festeggiamenti però, potrebbero anche verificarsi delle dispute sulla spartizione della Ricompensa. Comunque sia l’Eroe ha subìto una trasformazione, ha raggiunto una maggiore consapevolezza (esperienza) e i suoi compagni vedono in lui, nel suo diverso comportamento, i segni della Rinascita. Questa trasformazione interiore, spesso positiva, potrebbe portare a nuove percezioni da parte dell’Eroe, oppure, nei casi negativi, potrebbe causare una percezione distorta da parte dell’Eroe che lo porta alla megalomania o ad accusare un forte trauma interiore causato dall’incontro con la morte. 10. LA VIA DEL RITORNO La Via del Ritorno è un altro punto di svolta, rappresenta un nuovo Varco della Soglia che conduce al Terzo Atto. Può essere un breve momento o una serie articolata di eventi che verifica la determinazione dell’Eroe a tornare a casa o gli fornisce delle motivazioni per farlo. In termini psicologici questa fase verifica la volontà dell’Eroe di chiudere la storia e tornare a casa per mettere in pratica ciò che ha imparato. L’Eroe, raccolto quindi l’insegnamento del mondo Straordinario, deve decidere se rimanere oppure tornare al Mondo Ordinario; raramente decide di rimanere, spesso ritorna o intraprende un nuovo viaggio. Spesso l’ eroe è riluttante al ritorno nel Mondo Ordinario perché teme che l’esperienza acquisita svanisca e il suo valore venga messo nuovamente in discussione, 98 non venendo creduto (le avventure devono essere spiegate razionalmente agli scettici). Se infatti nella storia del mito il successo ci appare inverosimile, per mantenere la sua promessa rinnovatrice il mito ci dovrebbe mostrare non un successo sovraumano ma un successo umano; questo è il problema alla soglia del ritorno. L’ eroe raramente rimane nel punto in cui è, alla fine supera le sue incertezze e intraprende la via del ritorno. In questa fase la tensione nella storia, che è calata, deve salire di nuovo, spesso si verifica allora un cambiamento di obiettivi nella storia che porta l’Eroe verso un nuova meta con altre prove, ostacoli e tentazioni. La Via del Ritorno rappresenta perciò il tempo per l’Eroe di ritornare all’avventura, il benessere raggiunto deve essere lasciato in virtù di una motivazione interiore o una forza esterna. L’Eroe può essere motivato a intraprendere il Ritorno in vari modi: a volte già possiede una forte motivazione interiore perché deve tornare a casa per risollevare le sorti di una situazione problematica, oppure viene semplicemente guidato verso casa da una forza benigna che lo protegge; altre volte invece, devono intervenire forze esterne a motivarlo. Queste potrebbero essere: lo scattare di un allarme, l’approssimarsi dello scadere del tempo a disposizione, la minaccia di una nuova Ombra che non è ancora stata sconfitta e lo insegue, oppure il ripresentarsi di un’ Ombra sconfitta che si è riorganizzata e assesta un nuovo colpo (uccidendo un compagno, effettuando un rapimento, reimpossessandosi dell’oggetto di valore, lanciando una nuova sfida ecc.) costringendo quindi l’Eroe all’inseguimento, ad un salvataggio o ad un nuovo combattimento. Potrebbe infine anche essere l’Eroe ad inseguire l’ Ombra che fugge. La fuga dell’Eroe e l’inseguimento sono due temi molto diffusi per risollevare il ritmo della storia. Approfondimenti Introduzione Potrebbero anche verificarsi nuovi sviluppi nella storia, determinati da nuove informazioni o nuovi accadimenti che spostano gli obiettivi verso una nuova meta. L’Eroe a questo punto potrebbe essere costretto a fare un sacrificio, rinunciando a qualcosa che gli è caro per ottenere ciò che per lui ha più valore (per esempio un ladro potrebbe gettare la borsa del denaro per non essere catturato). Un’altra svolta sulla Via del Ritorno potrebbe essere rappresentata da improvvise battute di arresto per cui la sfortuna si abbatte sull’Eroe facendo sembrare che tutto sia perduto di nuovo, per esempio potrebbe aprirsi di una falla in una zattera ormai giunta in prossimità della costa (il Climax). Nelle fiabe e nelle leggende popolari, la fuga e l’inseguimento dell’Eroe da parte del cattivo si sviluppa attraverso varie trasformazioni, spesso il protagonista si traveste per non essere catturato o lancia degli oggetti che gli sono stati donati e che si trasformano, ostacolando il nemico. Campbell interpreta psicologicamente questi oggetti lanciati e li compara a simboli, interpretazioni, principi e razionalizzazioni che l’individuo antepone alle forze negative per ritardarle e assorbire il loro potere. 11. RESURREZIONE Nella fase della Resurrezione avviene il Climax: un momento simile alla Prova Centrale, in cui l’eroe sperimenta nuovamente il momento di morte-rinascita nell’ultimo e più pericoloso incontro con l’Ombra (o con la morte). L’Eroe deve dimostrare di sapere mettere in pratica ciò che ha imparato nel Mondo Straordinario, perciò la Resurrezione rappresenta sia il ricordo della morte, che la verifica dell’apprendimento, è l’ultima occasione per l’Eroe di raggiungere un vero cambiamento. L’Eroe in pratica, dopo aver sperimentato i misteri della vita e della morte, deve cambiare ulteriormente, dimostrare che il vecchio io è morto e quello nuovo è immune alle vecchie tentazioni e debolezze; deve abbandonare la personalità forgiata durante il viaggio e acquisirne una nuova (la somma delle precedenti) per tornare alla comunità come rinato. Nelle antiche tribù, i cacciatori ricoperti dal sangue della caccia, quando tornavano al villaggio andavano purificati per non portarsi la morte nella comunità. Gli sciamani eseguivano quindi rituali che simulavano gli effetti della morte o che portavano i cacciatori sull’orlo della morte, per fare loro sperimentare la rinascita prima di rientrare in comunità. L’Eroe allo stesso modo deve subire una sorta di purificazione finale prima di poter ritornare a casa. Per sentire che la storia sia completa il pubblico deve sperimentare quest’ultimo momento catartico di morteRinascita che purifica ed eleva la coscienza dell’Eroe e del pubblico stesso; in questa fase il pubblico deve poter vedere il cambiamento dell’Eroe nel suo aspetto, nei suoi atteggiamenti e nelle sulle parole. Morte ed oscurità si presentano dinnanzi all’Eroe per un ultima disperata prova, la resa dei conti finale, prima di essere definitivamente sconfitte. A livello elementare la resurrezione può essere la resa dei conti definitiva, la battaglia finale o una prova di coraggio, ma potrebbe anche essere una scena più tranquilla dove l’Eroe, sottoposto ad una scelta, dimostra di essere cambiato e aver abbandonato i suoi vecchi principi. La differenza con lo scontro nella Prova Centrale è che qui il pericolo è in scala più ampia, se prima era la vita dell’Eroe ad essere minacciata, ora è quella della comunità o del mondo intero. Come nella Prova Centrale è importante che l’Eroe lotti nuovamente per la vita e si avvicini ancora alla 99 morte, sembri sul punto di non farcela e venire sconfitto, prima di conquistare la vittoria finale. Durante questa fase l’Eroe potrebbe commettere un passo falso che pare conclusivo oppure avere una ricaduta emotiva e perdere le speranze, arrendersi o abbandonare il viaggio, prima di riscattarsi definitivamente. Può anche accadere che l’Eroe non ce la faccia davvero e nello scontro finale muoia veramente, sacrificando se stesso; in questo caso la sua rinascita si verificherebbe comunque, nel fatto che sopravviva nella memoria dei compagni. Se durante lo scontro intervengono invece degli Alleati a salvarlo, è importante che sia comunque lui a compiere l’azione decisiva. Anche in questo caso l’Eroe dovrebbe compire un sacrificio importante (se non l’ha già fatto) o essere costretto a subirlo, prima di arrivare alla vittoria; questo sacrificio potrebbe essere l’abbandono di un oggetto caro, di una convinzione o di una credenza, la perdita di un compagno ecc. Generalmente in questa fase l’Eroe ricava delle prove del suo viaggio da portare a casa, questo perché non essere creduti è un problema ricorrente. Nella fase del Climax potrebbe infatti comparire la figura del Falso Eroe, cioè un personaggio che rivendica le azioni dell’Eroe e mette in discussione il suo valore e il suo viaggio, costringendolo ad una verifica; questa verifica potrebbe essere effettuata mostrando un oggetto del Mondo Straordinario o affrontando altre prove. “Climax” è una parola greca che significa “scala”, a livello cinematografico è il punto d’apice della storia, il punto più drammatico, il più movimentato, il più pauroso, il più emozionante ecc. Può essere realizzato in molti modi, alle volte possono verificarsi perfino più Climax contemporanei sul piano mentale, fisico, spirituale ecc.. Non necessariamente il Climax deve essere un momento 100 esplosivo, può esserci anche un Climax tranquillo, in cui per esempio si trasmette la sensazione che tutti i conflitti interiori sono stati sanati e si è raggiunto l’equilibrio, l’armonia. Comunque sia un buon Climax dovrebbe avere un effetto catartico, cioè causare un capovolgimento emozionale in grado di purificare sia l’Eroe che il pubblico, elevandone la coscienza e causando un aumento di consapevolezza tale da risultare salutare. La catarsi migliore dovrebbe coinvolgere emotivamente il pubblico fino a scatenare la risata o il pianto. Il pianto può essere causato dalla morte di un personaggio, mentre la risata da una serie di battute di spirito che creano un’ilarità collettiva che risolleva gli animi e viene condivisa da tutti. Attraverso la catarsi i personaggi rimangono nel cuore degli spettatori. 12. IL RITORNO CON L’ ELISIR Nell’ultima fase finale l’Eroe torna finalmente a casa (percorso circolare) oppure prosegue il viaggio, in entrambi i casi comincia una nuova vita; è lecito vi siano nuove incognite, ma i precedenti dubbi sono stati risolti o comunque riformulati. Ritorno con l’Elisir significa saper vivere concretamente il cambiamento nella vita di tutti i giorni, sfruttando le lezioni apprese dal viaggio e mettendole in pratica. La fase del Ritorno è simile a quella della Ricompensa, entrambi arrivano dopo una fase di morte-rinascita ed entrambi mettono in luce le conseguenze dell’ essere sopravvissuti alla morte e conseguentemente cambiati. Questa fase è importantissima per la storia e rappresenta l’ultima occasione per coinvolgere e soddisfare il pubblico, stimolando le sue reazioni. Il finale non dovrebbe essere troppo prevedibile, possono ancora accadere vari eventi Approfondimenti Introduzione Shrek 3 (2007) Dream Works Animation già citati nella fase della Ricompensa, come per esempio festeggiamenti, scene di accampamento, il coronamento di un amore, l’autorealizzazione, oppure anche vendette, rivalse o ulteriori prove. L’Elisir rappresenta ciò che l’Eroe porta con se dal Mondo Straordinario come prova del viaggio intrapreso. Se non portasse niente con sé, il suo viaggio non avrebbe senso, significherebbe che non ha appreso niente e dovrebbe ripetere l’esperienza. L’Elisir può essere qualcosa di materiale, come un tesoro, o una pozione magica, oppure qualcosa di astratto, come la libertà, la giustizia o semplicemente la lezione appresa. L’Elisir potrebbe anche essere un esperienza negativa, per cui l’Eroe riconosce di essere più triste, ma anche più saggio. Nelle storie in cui gli Eroi muoiono sconfitti dai loro difetti, l’Elisir rappresenta l’insegnamento che il pubblico ne riceve. L’Elisir infatti rappresenta molto spesso un qualcosa che va condiviso con la comunità, è un simbolo che serve a dare l’esempio e a spronare gli altri a intraprendere la ricerca (il loro viaggio dell’Eroe) dimostrando che la morte può essere superata. Il ritorno con l’Elisir può rappresentare una sorta di “ultima prova” in cui l’Eroe deve dimostrare di essere abbastanza maturo da condividere i frutti della sua avventura con gli altri, accettando la responsabilità di essere una guida per la società, influenzando il cambiamento; per esempio rinunciando allo stato solitario per stabilire le fondamenta di una nuova 101 famiglia o comunità. Compito della fase del Ritorno è anche quello di distribuire i premi e le punizioni finali, per ripristinare l’ equilibrio della storia e dare un senso di completamento alla vicenda. Sia gli Eroi che gli Antagonisti non dovrebbero ricevere ne più ne meno di quanto gli spetta. I finali possono essere di due tipi, chiusi o aperti: nel primo caso il pubblico prova un senso di chiusura e completamento della storia, ne ricava soddisfazione; nel secondo caso invece, il finale è più realistico, ambiguo e imperfetto, il viaggio prosegue e alcuni dubbi rimangono irrisolti, il pubblico ne ricava un senso di incertezza, ma la storia prosegue nelle menti degli spettatori. La formula più diffusa è quella del racconto circolare chiuso, in cui il protagonista torna al punto di partenza, fisicamente o metaforicamente; questo serve a dare la misura di quanto lontano sia riuscito ad arrivare e quanto il nuovo mondo sembri diverso da quello di prima, ricco di nuove possibilità. A volte per rendere meglio questo senso di confronto l’Eroe viene sottoposto ad una situazione che prima gli sarebbe risultata difficile o impossibile, dimostrando il suo cambiamento nell’affrontarla. Nelle fiabe il finale è sempre un lieto fine perfetto, dove tutto si completa con un matrimonio, la pace e il ricongiungimento della felicità piena (l’inizio di una nuova vita rappresenta sempre un ideale). Paragonando il racconto ad una tela, in cui le storie dei personaggi sono le linee della trama intrecciate e annodate per creare conflitti e tensioni, in questa fase finale i fili si dovrebbero allentare, i nodi sciogliere e occorre far attenzione di unire tutti i capi liberi, cioè a concludere i possibili subplot che si sono creati. Un buon ritorno dovrebbe sciogliere i fili della trama mantenendo una certa dose di sorpresa, si potrebbe perciò usare qualche imprevisto, elementi di breve sviamento o qualche rivelazione improvvisa (agnizione). A volte nei finali si usa presentare al pubblico un epilogo, cioè un evento futuro dove si mostra come i personaggi hanno portato avanti il loro cambiamento. 102 2D at a m ti at st te tr e ei im An pu m e d n a zi li az io 2d im ut an yo la it az a ul io ti ne -l ay i n b in er et ch 2d we io co en st lo ra ra t zi ur a o n e ef fe tt i sp m o ec n . ta 2d g g io Produzione 2D 1.1 2.1 2.2 2.3 X.1 X.2 3.1 3.2 3.3 4.1 5.1 4.1 Layout 2D 4.3 Animazione e Test a Matita (Pencil Test) 4.4 Pulizia dei tratti (Clean-Up) 4.8 Animazione inbetween 4.10 Multilayer 2D 4.11 Inchiostratura (Ink) 4.12 Colorazione (Paint) 4.16 Effetti Speciali 2D 4.18 Montaggio 3D n MODELLLAZIONE 4.5 er i in g e RIGGING 4.6 . yf 3d e ke n ec g n e o n sp g in g io n tt ti ur in az zi io g az d h fe g xt ad im im in 3D la ut el g LAYOUT 3D 4.2 re ef li te sh an an g d yo o ri m la 4 ANIMAZIONE 4.7 ra m e 103 3D ANIMAZIONE KEYFRAME 4.9 SHADING 4.13 TEXTURING 4.14 LIGHTING 4.15 EFFETTI SPECIALI 3D 4.17 RENDERING 4.19 4.20 Approfondimenti: 4.20.1 I 12 Principi dell’Animazione Barry Benson character Bee Movie (2007) Dreamworks Animation Prologo L’ animazione tradizionale e l’ animazione cgi giunte fin qui seguendo un percorso comune, intraprendono ora strade diverse, anche se non completamente dissimili. La fase di produzione è quella più lunga e complessa e spesso inizia quando ancora delle parti del film sono ancora in pre-produzione. Entrati in produzione è però importante che siano stati completati Sceneggiatura, Storyboard e design di personaggi e ambientazioni; anche se, viste le continue correzioni e migliorie, Sceneggiatura e Storyboard si possono dire realmente conclusi solo appena prima di entrare in post-prooduzione. In 3D in particolare, devono essere già stati effettuati i primi test di modellazione, animazione, texturing e illuminazione. Tutto questo perché, una volta entrati in produzione, la pressione diventa elevata e uno dei problemi principali è l’efficienza rispetto ai tempi e ai costi. Gli artisti avranno a disposizione un tempo limitato e devono avere ben chiaro cosa fare e come farlo. Va comunque precisato che, mentre in animazione classica esiste un processo di 104 produzione ben definito, in animazione 3D si sta ancora cercando una standardizzazione dei processi. Infatti, a seconda dello stile e dei software utilizzati i processi di produzione possono cambiare, esistono comunque delle fasi che stanno alla base della produzione e sono quelli che qui di seguito ho preso in considerazione. Il processo produttivo in animazione cgi può essere visto come un connubio tra il processo tradizionale e quello utilizzato nei film live; se infatti da una parte le tecniche di animazione rimangono concettualmente identiche a quelle del processo tradizionale, dall’altra gli artisti del 3D devono effettivamente ricreare un ambiente reale in tre dimensioni, con le stesse problematiche relative all’allestimento di un set reale in termini di concettualizzazione spaziale, movimenti di camera e attori, posizionamento delle luci e illuminazione. L’animazione 3D, in pratica, funziona come se si realizzasse un set cinematografico reale con il vantaggio che occupa solo una scrivania. L’utilizzo di un set tridimensionale del tutto simile ad uno reale, porta inevitabilmente il 3D a dover ampliare i suoi orizzonti nell’ambito delle regole cinematografiche per quanto riguarda la composizione delle inquadrature e alla loro messa in sequenza; il girato di un film in cgi risulta quindi molto più simile a quello di un film dal vero piuttosto che a quello di un film d’animazione bidimensionale, che, per sua natura, risulta più statico. L’unica grande differenza nella gestione di un set tridimensionale rispetto ad uno dal vero risiede nel fatto che, mentre in un film dal vero l’illuminazione viene allestita accuratamente in precedenza, cioè prima di effettuare le riprese, in cgi l’illuminazione è una fase successiva alla creazione dei personaggi e alla loro animazione; questo perché non influisce direttamente sul girato. Inoltre si ha a disposizione un maggior numero di proprietà manipolabili, inesistenti nella realtà. Ritornando al confronto tra i due processi produttivi, Introduzione Produzione possiamo innanzitutto sottolineare che, esteticamente parlando, mentre in animazione tradizionale si lavora su di un disegno bidimensionale, in cui il punto di vista è definito a priori (quello che si vede è quello che risulterà sullo schermo), in ambiente 3D, una volta realizzato un modello, si ha a disposizione tutti i punti di vista possibili, senza la necessità di dover ridisegnare ogni scena da capo. La possibilità di avere a che fare con più punti di vista, però, richiede all’animatore in cgi di controllare che le animazioni siano corrette da tutti questi punti di vista e non solo da uno, come nel disegno. Il fatto di avere a che fare con più punti di vista, comporta però anche un grande vantaggio nella creazione delle scenografie; se in animazione tradizionale si volesse cambiare un’inquadratura infatti, occorrerebbe ridisegnare tutta la scenografia da capo (con un considerevole dispendio di tempo e di fatica), in 3D invece, basta cambiare punto di vista per cambiare prospettiva. Un altro grande vantaggio dell’animazione 3D consiste poi nella flessibilità offerta dai programmi, che permette di effettuare numerosi test, correzioni e modifiche senza creare troppi problemi; questo, nel processo tradizionale non è concesso, a meno che non si tratti di animazione 2D in digitale, per cui le modifiche sono più facili da effettuare ma sempre meno veloci. Questa flessibilità nelle modifiche e nella scelta delle inquadrature permette inoltre di poter riutilizzare diverse scene semplicemente cambiando un punto di vista, o al massimo modificando leggermente l’animazione. In definitiva, il processo produttivo tradizionale risulta generalmente molto più lungo da eseguire rispetto ad uno in animazione cgi. Questo dipende essenzialmente dalla maggiore flessibilità e velocità offerta dal digitale 3D, in particolar modo in riferimento all’animazione: se nel processo classico, infatti, bisogna disegnare ogni scena fotogramma per fotogramma (frame by frame), nel processo 3D l’animazione è data dal risultato di un interpolazione automatica (keyframe Animation) effettuata dal computer, una volta indicati i fotogrammi chiave, perciò è più veloce. Infine, prima di proseguire nell’analisi delle singole fasi produttive è opportuno precisare che, se il processo viene qui indicato con una serie di punti in successione, nella realtà il lavoro viene diviso fra più dipartimenti che lavorano in contemporanea, passandosi man mano le varie parti della storia in modo omogeneo e continuativo, come in catena di produzione. Anche se in entrambi i processi il lavoro viene spartito tra più dipartimenti, si può notare che le fasi di produzione in animazione cgi sono molto più specifiche e, conseguentemente, il lavoro di ogni artista del team è più particolareggiato, con una conseguente velocizzazione dei tempi di produzione. Basti pensare alla figura dell’animatore che, in animazione classica, si occupa per intero della creazione di un personaggio (spartendosi con gli altri animatori solo la creazione delle pose), mentre in animazione cgi, si occupa esclusivamente dell’animazione, lavorando su di un personaggio già modellato e “skinnato” da altri operatori. L’animazione in particolare, che nel processo tradizionale è una conoscenza diffusa a tutto il team, in cgi diventa una specifica conoscenza richiesta solo all’animatore. Lo stesso vale per il procedimento di Ink & Paint che in animazione cgi si suddivide nelle tre fasi di Shading, Texturing e Lighting, con una fase specifica rivolta solo all’illuminazione. Il più grosso vantaggio dell’animazione 3D risiede proprio nella non linearità del processo produttivo. Chiarite queste prime grandi differenze, passiamo ora all’analisi delle singole fasi della produzione. 105 Marco and His Ball (2006/2007) Animatic/Layout 3D Marco Pavarotti emanuelepavarotti.com 4.1 Layout 2D Prima di iniziare a disegnare ogni scena a matita, fotogramma per fotogramma, la fase di Layout si occupa di definire più precisamente, rispetto ai disegni dello Storyboard, la composizione della storia sullo schermo e la scomposizione a livelli dei disegni, destinati ai vari animatori (questo perché l’animazione finale è il risultato della sovrapposizione di più livelli di disegni posti uno sull’altro per comporre il disegno finale). Questa è l’ ultima occasione per effettuare cambiamenti prima di intraprendere il laborioso e costoso processo di animazione. Sulla base dell’ Animatic e delle tavole di Design, vengono allora realizzati, in modo più accurato, i disegni delle scene chiave della storia, considerando più attentamente la composizione delle inquadrature, i movimenti in campo (eventuali percorsi da seguire), gli spostamenti di camera e l’illuminazione delle scene. Ci sono due tipi di figure che lavorano al Layout: i Background Layout Artists che si occupano degli sfondi (disegnati per lo più in contorni), considerando il punto di vista della camera, gli spostamenti della Mdp e dei personaggi e l’illuminazione della scena; e i Character Layout Artists, che si occupano invece dei personaggi, definendo le loro pose principali, i loro movimenti e le loro espressioni. I disegni di Layout, utilizzati poi come riferimento dagli animatori e dai disegnatori degli sfondi definitivi, servono in particolar modo agli animatori, per tenere in considerazione gli ambienti entro cui si muoveranno i personaggi da animare, prestando attenzione ad impedimenti, ingombri e alle possibili vie di fuga (porte e finestre). 106 Questa prima fase di Layout serve a favorire una buona integrazione tra personaggi e sfondi, affinché i disegni sembrino meno “piatti” e il più realistici possibile. Occorre quindi utilizzare intelligentemente la prospettiva e la profondità di campo, per ottenere una resa più tridimensionale. Una buona abitudine è quella di muovere i personaggi secondo linee cinetiche non troppo lineari, facendoli interagire il più possibile coi diversi piani dei fondali, a più livelli di profondità. I disegni del Layout, una volta approvati dal direttore artistico, vanno a sostituire i disegni nell’ Animatic, si passa poi alla fase successiva. 4.2 Layout 3D Quando una sequenza di Animatic viene approvata, si entra in produzione. Il Layout 3D rappresenta la prima realizzazione tridimensionale della storia e, come nel 2D, serve a ragionare più attentamente sulla composizione delle scene, sugli spostamenti degli elementi in campo, sulle loro interazioni e sulla temporizzazione della storia. rispetto all’animazione tradizionale però, Il Layout 3D serve in particolaR modo a ragionare sui posizionamenti e movimenti di camera che, in 3d, sono molto più COMPLESSI E consistenti, non si limitano a semplici traslazioni, rotazioni e zoom. La realizzazione del Layout 3d è un processo lungo e costoso, ma rappresenta uno strumento efficace che permette di pre-visualizzare molti aspetti del film e costituisce un ottimo punto di partenza, e di verifica, prima di entrare IN produzione. Per la sua realizzazione vengono quindi creati dei modelli abbozzati di ambienti e personaggi, vengono Introduzione Produzione poi definite le loro posizioni ed interazioni, e infine si stabiliscono i posizionamenti delle mdp, i movimenti di camera, gli angoli di ripresa, il tipo di lente, le simulazioni di luce, colore e così via. I personaggi vengono rappresentati con geometrie grezze e sono mossi in campo in modo poco accurato, spesso spostati come semplici segnaposto; Questo perché servono solamente a dare le indicazioni di massima su Ingombri, azioni e spostamenti. degli ambienti invece, vengono realizzati solo gli elementi strutturali più importanti. Diversi artisti prendono spunto dalle sequenze di Layout (blast) prima di iniziare il loro lavoro: gli animatori lo usano come riferimento per capire il posizionamento dei personaggi rispetto agli ambienti, alle azioni e ai tempi; i modellatori le usano coma guida per la creazione dei set e i Lighter Artists se ne servono per determinare il posizionamento e la tipologia di luce più appropriata. In molti studi si usa realizzare, man mano, Layout sempre più dettagliati, operando per gradi sui diversi fattori. Dopo che il regista ha dato le istruzioni per il completamento di una scena di Layout, dei supervisori si occupano di valutarne la complessità. Questo serve a limitare il numero di scene complesse nella storia, per non alzare troppo I tempi e I costi di produzione. si impiega quindi un metodo detto di “analisi della complessità” per cui si decide quali scene è opportuno semplificare e quali elementi (background, animazioni, modelli, shader e texture...) è possibile riutilizzare, senza compromettere il valore artistico del lavoro. Questo permette di avere ben chiari i tempi e i costi di ogni scena della storia. Si occupano di questa analisi il coordinatore artistico e il supervisore di Layout, insieme a regista e produttore. Infine viene indetta una riunione dove vengono discusse tutte le scene della storia e le decisioni prese diventano le linee guida per la produzione. 107 Gli animatori sfogliano i disegni in sequenza per verificare l’andamento dell’animazione Lightbox: Tavola Luminosa retroilluminata munita di reggetta (Peg Bar) per l’allineamento preciso dei fogli Versione con disco girevole Reticolo (Graticulates) permette all’animatore di indicare al montatore le porzioni di spazio da riprendere all’interno del disegno per le riprese finali 4.3 Animazione e Test a Matita (Pencil Test) In questa fase gli animatori, prendendo come riferimento la temporizzazione delle scene precedentemente definita dal direttore artistico compilando il Dopesheet (dopo l’Animatic), iniziano a realizzare tutti i disegni della storia, fotogramma per fotogramma. I disegni sono realizzati a matita su fogli di carta leggera, semitrasparente, del formato definitivo prescelto. Il tratto è inizialmente molto abbozzato e andrà man mano rifinito durante il procedimento. I disegni da realizzare vengono quindi spartiti tra i vari dipartimenti a seconda che siano disegni dei personaggi (character), degli sfondi/fondali (background) e degli effetti speciali (special effects). Terminati i disegni il tecnico di montaggio monta le sequenze animate sul rullo di prova dell’Animatic. I CHARACTER ANIMATION ARTISTS si occupano dell’animazione dei personaggi e per realizzarla devono eseguire i disegni delle singole pose che compongono i loro movimenti, fotogramma per fotogramma. I fogli, qualunque sia il formato scelto, sono forati da un 108 lato (il più lungo) per poter esser infilati in un’ apposita barra chiamata “reggetta”, utilizzata per mantenere i fogli in perfetto allineamento tra loro. Il procedimento adottato per disegnare le pose in successione consiste nell’utilizzare i fogli uno sopra l’altro, ricopiando le parti del personaggio che rimangono statiche e disegnando solamente le parti (arti, occhi, capelli, vestiti...) del personaggio in movimento. Il perfetto allineamento dei fogli, garantito dalla reggetta, serve ad assicurare che i tratti e le posizioni dei personaggi coincidano perfettamente nello scorrere della sequenza. Se i tratti dei disegni non coincidessero, si verificherebbe infatti un effetto di sfarfallio dovuto allo spostamento delle immagini durante la visione. Sempre grazie alla reggetta, l’animatore può controllare il risultato del suo lavoro sfogliando velocemente i fogli da disegno, senza che questi escano fuori sede. Uno dei principali strumenti dell’animatore è il “Lightbox”, cioè un piano di lavoro inclinato e retroilluminato che serve a vedere in trasparenza i tratti dei disegni sovrapposti, per poter ricalcare le parti dei personaggi che rimangono statiche nella successione (per esempio il corpo, mentre il braccio si muove). Introduzione Produzione I BACKGROUND ARTISITS si occupano invece di disegnare e colorare gli sfondi. Il background occupa circa il 90% dell’ immagine finale ed è quindi molto importante che sia realistico e ben fatto. I disegnatori degli sfondi, prendendo come spunto i disegni realizzati dai Layout Artists e dai Color Artists, si occupano allora di realizzare dei fondali tra loro armoniosi, che si integrino perfettamente coi movimenti dei personaggi. Di solito, i fogli utilizzati per gli sfondi hanno dimensioni più grandi del formato utilizzato per le animazioni, di modo che qualsiasi movimento effettuato dai personaggi non fuoriesca dai contorni. Esistono inoltre degli sfondi piuttosto lunghi, chiamati “pan background”, che vengono fatti scorrere per dare il senso di un paesaggio in movimento. Per la colorazione degli sfondi si possono utilizzare molti materiali quali acrilici, acquarelli, tempere, pastelli o anche colori ad olio. Va comunque precisato che oggi i background sono molto spesso colorati o addirittura creati direttamente al computer; questo permette di lavorare su più livelli di profondità, favorendo la resa tridimensionale e la gestione della messa a fuoco. ‘Urusei Yatsura’ (1984) Japanese animated TV series 1. disegno a matita fotocopiato su acetato (Cell) 2. colorazione 3. aggiunta del background Gli EFFECTS ANIMATORS infine, si occupano di animare diversi fenomeni naturali, atmosferici e spettacolari, come per esempio fuoco, pioggia, gas, tempeste, esplosioni, raggi laser, effetti ottici ecc. Questi effetti speciali possono essere disegnati direttamente (anche dagli stessi animatori) oppure creati tramite il computer, a seconda del fenomeno richiesto. A volte può capitare che anche il dipartimento di colorazione si occupi di realizzare alcuni effetti speciali. Oggi comunque la maggior parte degli effetti speciali è ovviamente realizzata in digitale tramite il computer. 109 Procedimento di Animazione Prima di iniziare a disegnare occorre che sia stato ben pianificato il Timing, cioè l’andamento dell’animazione in relazione al sonoro, perciò ogni animatore organizza anticipatamente i tempi dell’azione compilando il Dopesheet. Inizialmente, l’animatore principale, chiamato Key Animator, usando come guida il Layout 2D e il Dopesheet, si occupa di disegnare le pose principali dei personaggi (key drawing), che rappresentano gli estremi dell’ azione. Queste pose principali servono a impostare il carattere dell’animazione e definiscono il Timing dell’azione. Terminato il lavoro, il Key Animator esegue il così detto Test a Matita (Pencil Test/Line test), che consiste in un test preliminare per verificare la correttezza dell’animazione: i disegni vengono perciò digitalizzati tramite scanner e montati in sequenza temporale insieme con le tracce sonore temporanee, per controllare che l’animazione sia corretta, fluida e ben sincronizzata. Se il Pencil Test è corretto, i disegni e il Dopesheet vengono passati all’assistente principale (Assistant Animator) che ripulisce i tratti, aggiunge maggiore dettaglio ai disegni e soprattutto realizza le pose secondarie di intercalazione, andando a compilare le parti mancanti dell’animazione (frame). Il lavoro quindi, dopo essere stato revisionato dall’animatore principale, viene passato agli intercalatori (Inbetweener) che completano definitivamente tutte le pose mancanti dell’animazione. Anche in questo caso il lavoro viene poi sottoposto a revisione e Test a Matita finché l’animatore principale non lo ritiene pronto per essere sottoposto al direttore artistico. A questo punto viene indetta una riunione e direttore artistico, regista, produttore e altri membri chiave del team creativo, si occupano di visionare il lavoro finale, ed eventualmente, 110 richiedere correzioni e modifiche. Le modifiche possono essere richieste più e più volte, fino a che si ritiene necessario. Quando una scena viene approvata, i disegni vengono inseriti dal Montatore nel rullo di prova dell’ Animatic, al posto dei disegni realizzati. L’intera scena animata a matita viene quindi revisionata dal regista per l’approvazione definitiva. A questo punto effettuare ulteriori modifiche risulterebbe gravoso per la produzione (costi e tempi). Nelle produzioni a grosso budget, i personaggi principali sono destinati ognuno ad un gruppo di lavoro diverso; questo gruppo è solitamente composto da uno o pochi animatori principali e molti assistenti, compreso un supervisore (Supervising Animator). Nelle scene in cui due personaggi principali interagiscono tra loro, gli animatori principali di entrambi i gruppi devono decidere chi dei due personaggi guiderà l’azione; il personaggio principale verrà allora animato prima, mentre l’altro sarà animato in seguito. Introduzione Produzione 4.4 Pulizia dei tratti (Clean-Up) Una volta che i disegni sono stati approvati, vengono inviati al dipartimento di “Clean Up”, cioè di “pulizia”, che si occupa appunto di ripulire i tratti dei disegni, ridisegnandoli su nuovi fogli, con un tratto più uniforme e omogeneo. Questo perché, essendo realizzati da più persone, è inevitabile che ogni disegno possieda le piccole variazioni stilistiche proprie dell’artista che lo ha disegnato. Questo dipartimento è composto dai Clean Up Animators, che ridisegnano i personaggi prestando attenzione a non dimenticare i dettagli; ma spesso anche da alcuni intercalatori, che si occupano di effettuare gli eventuali disegni mancanti (questo processo è detto Tweening). Di solito, prima di procedere nella pulizia dei disegni, l’assistente principale realizza un Key Clean-up rappresentativo per dare l’idea agli altri assistenti di come il Clean-Up deve essere eseguito. I disegni consegnati al dipartimento di “Clean-Up” includono spesso dei segni effettuati dagli Animatori, con pastelli colorati, per fornire indicazioni di vario genere che agevolino la pulizia dei disegni e la successiva colorazione (ad esempio per non confondere i tratti che si sovrappongono o per indicare le varie campiture). Infine, i disegni vengono sottoposti ad un nuovo Test a Matita (Pencil Test) per controllare che non ci siano errori e vengono quindi revisionati da Direttore Artistico e Regista; una volta approvati vanno a sostituire quelli in Animatic. Alien character Maquette è possibile vedere la trasposizione del reticolo sulle Maquette per l’importazione nel software 4.5 Modellazione In animazione cgi si inizia la Modellazione creando le geometrie tridimensionali di ogni elemento presente nella storia. Le persone che si occupano di questo procedimento sono chiamate modellatori perché, come gli scultori, devono modellare una geometria tridimensionale affinché assuma le sembianze desiderate. Naturalmente ogni modellatore non inizia A lavorare partendo dal nulla, ma prende come riferimento i disegni del personaggio/oggetto nelle tre viste prospettiche principali: frontale, laterale e dall’ alto. questi disegni vengono importati direttamente nel programma e proiettati ognuno sui rispettivi assi cartesiani di modo da poter essere poi ricalcati nei contorni. Spetta al modellatore il compito di estrapolare le forme tridimensionali partendo dai disegni. Creare un modello tridimensionale partendo da uno bidimensionale è un compito tutt’ altro che facile, questo perché bisogna saper trasporre in forma reale un modello che, disegnato, ha una forte componente astratta (basti pensare alla difficoltà di riprodurre in 3D le forme piatte delle orecchie di Topolino). 111 Andy&Kokko (1995) Big Rock Training Centre Esame finale Tesi di Master Stefano Schiavi Jacopo Sebastiani Francesco Megna Erica Pennica Mario Di Maso Nicolò Fabbri Alessandra Cavalleri Gabriele Facchinetti Fabiana Ciatti Roberto Bucca Tommaso Scorteccia Fabio Dal Colle Giovanni Remondini Alessio Maida Enrico Ferrarsi Un secondo metodo, molto più comodo, utilizzato nelle grandi produzioni, prevede invece la costruzione di una “Maquette”, ovvero di una scultura tridimensionale, solitamente in creta (oppure plastilina, gesso, gomma...), basata sui disegni realizzati in fase di Design. Questo secondo metodo non e’ in assoluto il migliore, ma senza dubbio e’ il più sbrigativo, perché permette di importare all’interno del programma un modello già tridimensionale, grazie all’utilizzo di appositi scanner 3d. in pratica, terminata la Maquette, si tracciano su di essa delle linee che creano una specie di rete; questa rete divide la geometria in diverse parti componenti dette “mesh”. Si passa quindi alla scansione della Maquette tramite uno scanner tridimensionale (o una penna ottica con braccio) e alla successiva acquisizione dei dati all’interno del programma, affinché quest’ultimo possa ricomporre, al suo interno, la geometria del personaggio/oggetto in 3d. Va comunque precisato che la geometria creata dal programma non e’ perfetta, un animatore quindi, per poterla utilizzare, deve ripulire la superficie da varie imprecisioni ed effettuare le opportune modifiche e miglioramenti, fino ad arrivare alla geometria definitiva. 112 Introduzione Produzione Img1 schermata in wireframe che mostra le geometrie di personaggi e oggetti dopo la Modellazione Img2 immagine finale a schermo Procedimento Il processo di Modellazione è un lavoro che può richiedere alcuni giorni: la prima cosa che il modellatore deve fare è scegliere con che tipo di geometria preferisce lavorare, questo perché i software 3D mettono a disposizione quattro diversi approcci matematici per la creazione delle geometrie. questi differenti approcci matematici influenzano il comportamento della geometria stessa e il modo di procedere dell’animatore. Dei modelli geometrici che si possono ottenere, Non ne esiste uno migliore in assoluto, la scelta dipende da cosa si vuole creare e dal metodo di lavoro preferito dal modellatore. I tipi di modellazione più diffusa sono la Modellazione Poligonale e quella Nurbs (Non Uniform Rational B-Spline), la prima viene utilizzata per creare personaggi mentre la seconda per creare gli oggetti muniti di particolari più’ tecnici e minuziosi (macchinari, apparecchi, mezzi...). ma vediamo di seguito le caratteristiche di tutti i principali modelli geometrici che si possono utilizzare. 113 I poligoni sono semplici da manipolare, ma occorre pratica perché queste operazioni diventino veloci ed intuitive da effettuare. Per iniziare a modellare una geometria poligonale si possono usare diversi approcci: si può iniziare ricalcando i contorni dei disegni delle viste prospettiche (come si e’ detto prima), oppure si può partire da una geometria di base (cubo, sfera...) o un particolare del personaggio, per poi costruirci attorno, si possono inoltre agganciare tra loro più geometrie poligonali, oppure creare un modello grezzo per poi definirlo nei particolari. Comunque sia, Alla fine si usa effettuare un’ operazione detta di “smothing”, per rendere la superficie del modello più liscia ed omogenea. In alto: Character Modellig e Rendering François Gutherz www.astrofra.com/weblog Sotto: Punti manipolabili di una superficie poligonale: vertice (vertex) faccia (face) bordo (edge) 114 Le GEOMETRIE POLIGONALI sono definite “free form modelling” (modellazioni a forma libera) proprio perché permettono una Modellazione più libera, ma anche più approssimativa; sono perciò indicate per modellare personaggi e varie forme organiche. Tecnicamente le geometrie poligonali sono composte da un’insieme di poligoni di forme diverse (con un minimo di tre vertici) ognuno dei quali è posizionato nello spazio tridimensionale secondo le coordinate cartesiane XYZ (lunghezza, altezza, larghezza). La Modellazione Poligonale viene effettuata manipolando vertici, bordi, spigoli e facce poligonali attraverso operazioni semplici quali la traslazione, la rotazione e la scalatura oppure attraverso trasformazioni più complesse come l’estrusione, la rivoluzione attorno ad un asse ecc. Le SUPERFICI NURBS (Non Uniform Rational B-Spline), dette anche superfici Parametriche, si caratterizzano invece per la precisione e l’accuratezza con cui descrivono le superfici geometriche; vengono perciò utilizzate per modelli che richiedono una certa precisione come ad esempio macchine, apparecchiature meccaniche, gioielli, veicoli ecc. un grande vantaggio offerto dalle Nurbs è la possibilità di poter decidere l’ accuratezza della geometria in fase di Render. Matematicamente parlando, le Nurbs sono superfici Parametriche generate dall’interpolazione di curve B-spline. Queste superfici sono sempre modificabili (come indica il termine parametrico) e facilmente manipolabili operando attraverso i loro vertici. In pratica, per modellare le superfici Nurbs, il modellatore utilizza una serie di curve che poi, Introduzione Produzione Da sinistra: Modellazione Nurbs interpolazione revolve rivoluzione di una sezione attorno ad un asse extrude 1 interpolazione di una sezione lungo ad un percorso una volta interpolate, costruiscono una superficie geometrica (questa tecnica è comunemente chiamata di “sweeping”). Le principali operazioni di sweeping sono la rivoluzione (revolve) attorno ad un asse, l’estrusione (extrude) lungo un percorso e il lofting (loft): la rivoluzione attorno ad un asse permette di creare una superficie facendo ruotare una sezione (curva) attorno ad un asse prestabilito; l’estrusione lungo un percorso permette di creare una superficie interpolando una sezione lungo un asse o un percorso prestabilito; il lofting infine, crea una superficie interpolando tra loro più sezioni posizionate opportunamente, a seconda della superficie che si vuole ottenere. Il modellatore può, anche in questo caso, procedere alla modellazione in vari modi: uno tra i metodi più comuni è quello di agganciare tra loro superfici Nurbs quadrangolari chiamate “patch”, fino ad ottenere la forma prestabilita. L’essenziale differenza tra le superfici Nurbs e quelle Poligonali è che, mentre le “mesh” poligonali disegnano la geometria direttamente sui vertici, che in fase di rendering vengono interpolati per ottenere una forma armoniosa, le Nurbs invece sono definite da equazioni che interpolano la forma della geometria direttamente (interattivamente). Le SUPERFICI DI SUDDIVISIONE (Subdivisional Surfaces) sono geometrie che uniscono la versatilità e la flessibilità delle superfici poligonali con la precisione delle superfici nurbs, pur essendo matematicamente differenti. Esistono diverse tipologie di superfici di suddivisione, la più famosa è la “Catmull-Clark”, che prende il nome dal suo inventore. Il procedimento di modellazione è il medesimo di quello poligonale, per questo le superfici di suddivisione stanno diventando uno standard sia nei prodotti di animazione 3D che negli effetti speciali. Un ulteriore grande vantaggio di Queste superfici e’ che possono essere generate da una forma poligonale arbitraria ed è perfino possibile indicare il grado di smussatura per ogni spigolo della loro geometria. extrude 2 interpolazione di una sezione lungo l’asse Y loft interpolazione fra di un numero arbitrario di sezioni fra loro Fasi modellazione: partendo da una sfera poligonale si procede modellando le facce e i vertici della geometria fino ad arrivare alla forma desiderata. Tesi di Mario Aquaro “Animazione bidimensionale e tridimensionale a confronto”. 115 Metaball le sfere sono rappresentate a differenze distanze, avvicinandosi si attraggono reciprocamente unendosi in un unica superficie Le METABALL O BLOBBY SURFACES, dette anche Superfici Implicite, sono geometrie approssimative ottenute dall’unione di sfere, che si attraggono l’una con l’altra, con forza variabile, unendosi reciprocamente. definito il comportamento generale della massa, è poi possibile effettuare delle variazioni interne al sistema per determinare singole varianti comportamentali in relazione al verificarsi di specifici eventi. Per la creazione di superfici molto complesse e dettagliate, difficili se non impossibili da modellare a mano perché richiederebbero troppo tempo e fatica (si pensi ad un prato, alle chiome degli alberi, alla peluria degli animali, a gruppi molto numerosi ecc.), si utilizzano invece altri due tipi di modellazione indiretta, effettuata senza l’intervento manuale del modellatore sulla geometria. questi metodi alternativi sono: I SISTEMI DI MODELLAZIONE PROCEDURALE invece, consentono di modellare una superficie agendo attraverso una serie di parametri specifici, controllati da diverse formule matematiche, a seconda dei casi. questi sistemi hanno enormi possibilità e possono arrivare a creare interi mondi senza richiedere l’intervento diretto del modellatore; spesso operano attraverso i sistemi frattali, cioè attraverso sistemi costituiti da forme geometriche complesse, la cui complessità deriva dalla ripetizione, a scale diverse, di una stessa forma geometrica di base. i sistemi di modellazione procedurale sono stati studiati e implementati negli anni da diversi sviluppatori, ne esistono quindi diverse tipologie. Comunque sia, Tutti i programmi di modellazione 3D permettono l’utilizzo e l’implementazione di questi Sistemi. particolarmente conosciuto è il programma “Houdini” della Side Effect, che permette il diretto accesso all’ “L-System”, cioè al più comune sistema di modellazione procedurale impiegato nella creazione di sistemi naturali. I SISTEMI PARTICELLARI sono generalmente utilizzati nella creazione di fenomeni dinamici complessi, quali fuoco, pioggia, acqua, fumo ecc. ma possono essere usati anche per modellare. Sono caratterizzati da un emettitore di particelle e da numerose particelle che reagiscono a determinati criteri fisici modificabili, quali la gravità, la velocità, la direzione, l’interazione ecc. e che possono inoltre essere modificate anche nell’aspetto estetico. I sistemi particellari possono anche essere utilizzati per gestire il comportamento di gruppi numerosi quali sciami, stormi o folle di persone, praticamente impossibili da animare singolarmente: una volta 116 Introduzione Produzione Pagina Sinistra Modellazione frattale di un albero di cui sono stati definiti i seguenti attributi: altezza. num. foglie, num. rami, curvatura... Immagine realizzata con il software Mojoworld della società Pandromeda Questo software utilizza i sistemi di modellazione frattale Sotto: Immagini di alcuni frattali Mandelbrot 117 118 4.6 Rigging sia la migliore rispetto alle necessità del rigging. Questi primi test vengono passati anche agli animatori, cosicché possano indicare preventivamente, eventuali problemi di animazione. Al Rigging è sottoposto qualsiasi personaggio/ oggetto che deve essere animato, cioè che deve essere mosso o subire trasformazioni (veicolo, macchinario, palla...). Terminato il processo di Modellazione, il modello creato è una massa priva di snodi (come un omino di creta senza fil di rame all’ interno), non può assumere pose interessanti, ma può solo essere traslato, ruotato e scalato nella sua totalità di massa; per renderlo snodabile è necessario creare una serie di controlli che permettano di muoverlo e fargli subire deformazioni. Il Rigger si occupa essenzialmente di creare uno scheletro digitale e una serie di controlli che permettano al modello di essere animato con facilità dagli animatori. In questa fase il regista e il supervisore del Rig possono richiedere un rigging più o meno dettagliato e flessibile a seconda dello stile della storia e delle preferenze di produzione; per esempio possono volere un rigging molto flessibile per ottenere poi un’animazione molto più esagerata nelle movenze e nelle posture. Siccome è possibile effettuare il rigging in vari modi, il Rigger, per poter svolgere bene il suo lavoro, deve prima analizzare i disegni realizzati in fase di Design per capire lo stile della storia e le necessità motorie del modello (comprese le deformazioni). Una volta comprese le necessità motorie del modello, Deve quindi metterle in relazione alla geometria creata dai modellatori, di modo da poter individuare la struttura di Rigging più appropriata da eseguire. La fase di Rigging inizia prima che sia completata la Modellazione, utilizzando come base le geometrie non ancora definitive dei modelli; questo serve a verificare la validità del modello creato dai modellatori e a controllare che la geometria ideata Procedimento Una volta individuata la struttura ottimale del Rig in base alla geometria del modello, ai movimenti da compiere, allo stile della storia e al livello di dettaglio richiesto dalla produzione, il processo di rigging si divide in tre fasi principali: prima si crea la struttura del Rig, che solitamente consiste in uno scheletro e vari deformatori; poi si assegna la struttura alla geometria tramite lo Skinning; infine si creano dei controlli e un interfaccia facilmente manipolabile per gli animatori. RIGGING (SET UP) principalmente il Rigging si occupa di costruire una struttura scheletrica e determinati controlli che permettono alla geometria del modello di effettuare vari movimenti e le opportune deformazioni. Per i tutti i modelli composti da arti e giunti snodabili, il Rigging prevede la costruzione di una sorta di scheletro digitale che, una volta applicato al modello (skinning), ne guiderà i movimenti e le deformazioni. Questo significa che, muovendo lo scheletro, la geometria si muoverà di conseguenza, seguendolo. Questo “scheletro digitale” va però inteso in senso lato, non deve necessariamente avere la forma di uno scheletro umano, può essere infatti applicato ad un personaggio come anche ad un oggetto, un veicolo, a qualsiasi cosa. Va poi sottolineato che, per un unico modello geometrico, si possono creare diversi tipi di scheletri, l’abilità del Rigger consiste proprio nell’individuare il rig più adatto alle esigenze dell storia. Per fare questo occorre che il rigger definisca Introduzione Produzione a seconda del tipo di automazione che si vuole ottenere, esistono quindi varie tecniche che si possono utilizzare, tra queste troviamo i sistemi di causa effetto, script, constraint, deformatori ed expression, oppure dinamica e morphing. Una volta definite tutte le trasformazioni, si passa allora allo Skinning. attentamente il numero, la posizione e l’orientamento delle ossa (bones) e dei giunti (joints) all’interno dello scheletro da creare. Il Rigging comunque, non prevede solamente la costruzione di uno scheletro digitale, ma si occupa anche di creare altri controlli, per animare trasformazioni e deformazioni che possono essere dipendenti o indipendenti dall’ossatura. Questi controlli possono controllare un’infinità di deformazioni o mutazioni di stato, come per esempio la deformazione muscolare (piegamento-stiramento), l’espressione facciale, l’oscillazione delle parti molli (orecchie, naso, pancia...), la rotazione degli occhi, oppure semplicemente la deformazione di una palla che rimbalza a contatto col suolo. Per controllare tutte queste deformazioni esistono diversi comandi a seconda dei casi. Queste animazioni, in alcuni casi, possono implicare un certo grado di automazione, per cui, ad un determinato movimento del corpo, deve corrispondere una determinata deformazione: un esempio potrebbe essere la contrazione muscolare di un braccio, l’ondeggiamento della massa grassa durante il movimento, oppure il comportamento di peli/capelli durante il movimento. Donna scheletro Mantress’ ZSphere and PolyMesh modelling Composizione di un osso: joints & bones Lo Scheletro Lo scheletro digitale è composto da una serie di ossa rigide (bones) incatenate le une alle altre tramite dei giunti snodabili (joints); agendo sui giunti, si muovono le ossa. Una volta create le ossa dello scheletro, al loro interno si instaura automaticamente una gerarchia, determinata dal programma in base all’ordine di creazione delle ossa stesse. Questa gerarchia influenza notevolmente l’animazione. Questo significa che l’osso che è stato creato prima nella gerarchia (joint Padre) influenza i movimenti delle ossa che lo seguono (joint Figli); ruotando il joint Padre di una gerarchia, per esempio, quello della spalla, automaticamente ruotano, allo stesso modo, tutte le ossa figlie del braccio, della mano e delle falangi, che sono a lui sottoposte. Nella costruzione di uno scheletro, è poi essenziale controllare che le ossa seguano i corretti assi di rotazione, questo perché, come nelle articolazioni umane, gli arti dei modelli non possono compiere tutti i movimenti possibili (si pensi alla completa rotazione del ginocchio o del collo per esempio). Bisogna quindi tenere in considerazione che, durante la fase di rigging, occorre definire dei limiti nella rotazione degli arti. 119 Dog character Rigging Tutorial Attorno al modello e alle sue spalle sono stati creati dei comandi per la rapida gestione dell’animazione 120 Introduzione Produzione Considerare i possibili movimenti delle ossa umane può essere utile al Rig. Per fare questo lavoro è allora utile ragionare in termini di paragone con le articolazioni del corpo umano che oltre a distinguersi tra fisse (cranio), semimobili (gomito) e mobili (anca), hanno tre principali tipi di movimento: scorrimento (polso/ vertebre), angolare (gomito/ginocchio) e rotatorio (gamba). Fortunatamente, per poter ottenere movimenti realistici, i programmi cgi permettono di muovere le ossa decidendo se applicarvi una cinematica diretta oppure una cinematica inversa, in qualsiasi momento dell’animazione: La cinematica diretta (forward kinematics) si instaura automaticamente nello scheletro al momento della sua creazione e permette di trasmettere direttamente il movimento (traslazione o rotazione) da un joint principale (padre) ai suoi subordinati (figli). Questo significa che, come spiegato in precedenza, ruotando il joint padre della spalla, automaticamente i joint figli del braccio, della mano e delle falangi, ruoteranno di conseguenza della stessa ampiezza, attorno a lui. Matematicamente parlando, il computer calcola la posizione di un estremo della catena di joint, conoscendo le posizioni dei joint intermedi. Cinematica Diretta (Direct Kynematics) comportamento di ossa e giunti La cinematica inversa invece, lavora al contrario, Quando un “joint figlio” viene spostato, il computer calcola automaticamente la posizione degli altri joint spostandoli di conseguenza. Matematicamente parlando, conoscendo la posizione e l’orientamento del joint all’estremità, il computer calcola le posizioni dei joints intermedi fino ad arrivare al joint padre (ultimo elemento influenzabile della catena), che rimane fermo. La cinematica inversa è più adatta a riprodurre il comportamento di strutture ossee dove le azioni di una parte terminale, la mano per esempio, determinano il movimento del resto della catena di giunti, fino a quello principale. Bisogna però tenere presente che il computer calcola i posizionamenti delle ossa tramite un interpolazione matematica prima di logica, per cui, gli spostamenti dei joints intermedi molte volte potrebbero risultare completamente innaturali e quindi scorretti. Se, per esempio, si spostasse la mano di un personaggio facendo in modo che si tocchi la testa, il suo gomito potrebbe assumere svariate posizioni errate durante questo movimento; in questi casi Occorre quindi utilizzare una serie di restrizioni aggiuntive, che impongano dei limiti ai movimenti delle articolazioni affinché assumano la posizione corretta. Cinematica Inversa (Inverse Kinematics) comportamento di ossa e giunti 121 Flying bird Mats Halldin Rigging tutorial wiki.blender.org 122 SKINNING Completato il Rigging, lo scheletro può essere mosso agevolmente, ma risulta staccato dal corpo e non lo influenza minimamente, deve quindi essere applicato alla geometria attraverso un’ operazione definita di “Skinning” (attaccamento della pelle), perché il modello possa seguire i movimenti dello scheletro al suo interno, deformandosi di conseguenza. Attraverso lo Skinning si determina quali parti del corpo saranno influenzate dal movimento di una o più ossa dello scheletro, definendo delle percentuali di influenza delle ossa sulla superficie. La fase di Skinning è un’operazione molto lunga e delicata perché bisogna bilanciare attentamente L’ influenza delle ossa sulle varie parti del corpo; se il bilanciamento risulta scorretto il modello in movimento subirà delle deformazioni errate, in alcuni punti molto evidenti. Terminate tutte le prove necessarie a verificare le deformazioni della geometria in movimento, Bisogna poi tenere presente che, nonostante lo Skinning sia stato effettuato in modo corretto, capita spesso che il modello subisca ancora delle deformazioni errate nell’ assumere determinate pose; in questi casi bisogna intervenire aggiungendo I controlli specifici necessari. Per controllare queste deformazioni si possono utilizzare varie e numerose tecniche a seconda dei casi: si possono aggiungere altre ossa, utilizzare sistemi di simulazione muscolare, modificatori della geometria, oggetti di influenza oppure il Morphing. Introduzione Produzione Il Morphing Il Morphing è una tecnica che permette di effettuare delle trasformazioni armoniose passando da una forma ad un’ altra ed è comunemente impiegato per la creazione delle espressioni facciali che un personaggio deve assumere nel corso della storia. Per effettuare il Morphing bisogna innanzitutto creare molte copie uguali della geometria del volto di un personaggio (il numero di copie dipende dalla quantità di espressioni che si vuole ottenere). Successivamente si deve modellare ogni singola copia con un espressione del volto diversa, fino ad ottenere l’intero set di espressioni utili al personaggio. Alla fine si indica al programma l’espressione da mantenere come base, solitamente la più naturale, e questi automaticamente trasformerà le altre in espressioni “target” (obiettivi) del volto di base, di modo che da esso potranno poi essere richiamate, in qualsiasi momento, all’occorrenza. Affinché un personaggio cambi espressione facciale, basta quindi indicare al programma l’ espressione desiderata e automaticamente il computer effettuerà una trasformazione armonica, tra il volto di base e la nuova espressione scelta. Attraverso il Morphing inoltre, non solo è possibile sostituire un espressione con un’altra, ma è anche possibile ottenerne di nuove, miscelando percentuali diverse delle varie espressioni create. Infine, per animare più accuratamente le espressioni, spesso si assegnano delle ossa aggiuntive a determinate porzioni del volto. Alce character (1996) Character Rigging Big Rock Training Center: l’immagine mostra il personaggio in posizione standard per il rigging, detta BIND POSE. Alle sue spalle l’interfaccia creata per consentire un immediata animazione INTERFACCIA PER L’ Animatore NElLa fase conclusiva del Rig, il Rigger deve creare un’ interfaccia comoda e intuitiva che dovrà essere usata dall’animatore. Questo perché l’animatore possa accedere, in modo rapido e diretto, al controllo di tutti movimenti e le deformazioni possibili. Una volta terminato il Rigging, infatti, esistono molti controlli che sono difficili da selezionare o individuare a colpo d’occhio; occorre perciò costruire un’interfaccia per il rapido accesso dell’animatore, cosicché si concentri sull’ animazione e non perda tempo nella ricerca dei comandi. 123 Christopher Coolumbus (2006) Di-O-Matic Press Morphing facciale character 124 Introduzione Produzione 4.7 Animazione Questa fase è fra le più cruciali e lunghe del processo produttivo, la sua importanza dipende dal fatto che oltre a stabilire l’azione, l’animazione conferisce personalità ad un personaggio e ne determina l‘impatto scenico, conseguentemente infLuisce sulla buona riuscita della storia. Animare un personaggio significa dare vita ad un personaggio, munirlo di uno stile di recitazione unico, che si esprime attraverso i suoi movimenti, di modo che il pubblico possa credere che il movimento avvenga per sua volontà e da quella dell’animatore. In 3d Un personaggio può si essere reso iper-realistico nell’ aspetto, grazie ad un buon Render, ma questo non basta a renderlo credibile quando è in movimento: una palla può infatti sembrare tale in un immagine statica ma se non rimbalza come una palla quando tocca il suolo, non apparirà reale. L’animazione ha perciò l’importante compito di far apparire reale ciò che non lo è, animare non significa quindi solo muovere un oggetto, ma implica il fatto di renderlo credibile. Il processo di Animazione, come il rigging, inizia non appena concluso il Layout 3D di una scena e viene effettuato utilizzando inizialmente le geometrie grezze dei personaggi della storia. Il team di animatori è quello più numeroso e lavora a stretto contatto con il regista durante tutta la produzione. Il procedimento seguito dagli animatori 3D è concettualmente identico a quello tradizionale, l’animazione ubbidisce infatti alle stesse regole e incappa nelle stesse problematiche in entrambi i procedimenti, la differenza risiede solo nello strumento utilizzato: matita e fogli per il procedimento tradizionaLe, mouse e computer per quello tridimensionale. Gli animatori 3D sono sicuramente facilitati dall’impiego del digitale, ma questo non risparmia all’animatore le problematiche proprie del suo mestiere. Se l’animazione classica è definita “inbetween animation”, l’animazione in cgi, al contrario, funziona tramite un procedimento chiamato “keyframe animation”, vediamo qui di seguito le differenze. 4.8 Animazione inbetween Come già premesso nell’introduzione ricordiamo che sullo schermo cinematografico vengono proiettati 24 fotogrammi (frames) al secondo e che questi fotogrammi corrispondo alla successione di immagini statiche delle pose del personaggio in movimento: disegni su carta nel caso dell’animazione tradizionale, immagini digitali nel caso dell’animazione cgi; il fenomeno che sta alla base dell’ illusione del movimento è quello della persistenza retinica. La tecnica di animazione tradizionale si basa sulla realizzazione di una serie di disegni su carta che messi in sequenza riproducono il movimento di un soggetto/ oggetto da una posizione A ad una posizione B; fra queste due posizioni chiamate Estremi (extreme/keyframe), che determinano l’inizio e la fine dell’azione, si situano una serie di “n” disegni di pose intermedie, dette Intercalazioni (inbetween), necessarie a conferire un andamento fluido e armonioso all’animazione e un senso di direzione. Se per esempio l’azione da rappresentare fosse quella di un topolino che compie un cenno di saluto, il braccio dell’animale dovrebbe essere disegnato non solo in basso 125 Il Timing e Spacing di mani, testa e coda del topo in movimento The Animator‘s Survival Kit Richard Williams animatore Il Timing e lo Spacing di una palla che rimbalza la suolo The Animator‘s Survival Kit Richard Williams animatore A B nel punto A e in alto nel punto B, ma anche in diverse pose intermedie che lo portano a compiere questo movimento. Nell’arco di durata del movimento, che supponiamo pari ad un secondo, dovranno quindi essere disegnati “n” disegni che in sequenza producano nell’osservatore l’illusione del movimento. I disegni delle pose non hanno però tutti la stessa importanza, ci sono pose principali e secondarie: i keyframe (fotogrammi chiave) rappresentano le posizioni chiave del movimento, cioè tutte quelle pose che imprimono un cambiamento sostanziale all’azione, di direzione per esempio, oppure una sosta; gli inbetween invece, sono le pose secondarie che, unendo tra loro i keyframe, completano il movimento e dirigono l’azione. Per precisione si può infine citare la posa di mezzo, chiamata Breakdown position (passing position) che è la posa che sta nel mezzo tra due estremi e ha molta importanza nel definire il carattere e lo stile dell’animazione. 126 TIMING AND SPACING Importante sottolineare che questa serie di pose in successione individua il soggetto durante la sua azione dinamica considerando il suo spostamento non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Entrano allora in scena i due elementi essenziali all’animazione: il Timing e lo Spacing. il Timing rappresenta la temporizzazione dell’azione, quindi la sua durata (velocità) e il suo ritmo (pone gli accenti nel movimento), lo Spacing rappresenta invece la distanza tra i disegni delle pose e determina accellerazioni e decellerazioni nell’azione; lo Spacing è una tecnica molto meno intuitiva del Timing che viene appresa pienamente solo con l’esperienza. Per meglio chiarire la concezione di Timing e Spacing si usa spesso l’esempio di una palla che rimbalza al suolo: il ritmo scandito da ogni impatto della palla col suolo rappresenta il Timing, mentre lo Spacing è la Introduzione Produzione distanza tra le pose (più sono vicine e più è lenta l’azione). La palla segue un percorso ad arco che va man mano riducendosi di distanza dal suolo, quando raggiunge il punto più alto nell’arco la palla è più lenta e come si vede, i disegni sono più vicini tra loro, quando invece cade acquistando velocità, i disegni sono man mano più distanziati; questo distanziarsi dei disegni delle pose rappresenta lo Spacing. Manipolando il tempo e lo spazio tra le pose si può rendere la palla più pesante o più leggera, dando l’idea del materiale che la compone. L’ animazione è quindi fortemente caratterizzata dal Timing e dallo Spacing, la loro importanza supera addirittura quella delle pose! Questo perché il Timing e lo Spacing danno significato all’azione e determinano le cause fondamentali del movimento, sia le cause esterne, come la forza di gravità, la forza muscolare o la forza di collisione, sia le cause interne che guidano un’azione, come pensieri ed emozioni. In proposito va sottolineato che quando si anima un personaggio è essenziale conferire sempre una ragione psicologica o motivazionale che guidi la sua azione. Determinare il numero di pose necessarie all’animazione e il tempo che intercorre tra l’una e l’altra posa è la cosa più difficile per un animatore; per questo l’animatore principale, prima di iniziare a disegnare, è solito disegnare una semplice linea munita di tacche (vedi img. topo) per organizzare preventivamente il Timing e lo Spacing, definendo il “carattere” dell’animazione. L’animatore principale si occupa allora di disegnare gli estremi dell’azione e tutte le pose chiave; passa poi il lavoro agli assistenti intercalatori che dovranno semplicemente occuparsi di completare il percorso da lui prestabilito nel grafico a tacche. Il vero lavoro artistico risiede nella creazione dei keyframe, mentre l’inserimento degli inbetween è semplicemente quello più laborioso. 4.9 ANIMAZIONE KEYFRAME Il processo di animazione usato in 3D è definito keyframing perché essenzialmente l’animatore si occupa solo di definire i valori delle pose chiave (keyframe) dell’ animazione Lasciando al computer il compito di effettuare le intercalazioni, che vengono ottenute attraverso il calcolo di medie relative dei valori assegnati alle pose chiave. i keyframe hanno essenzialmente lo stesso valore di quelli in animazione tradizionale ma vanno fatte alcune precisazioni: in cgi i keyframe sono valori attribuiti a certi fotogrammi su di una linea temporale che stabilisce l’andamento dell’animazione; questi valori attribuiti ai keyframe servono a definire azioni e deformazioni come anche altre numerose proprietà quali effetti di luce, variazioni cromatiche, spostamenti di camera ecc.. In pratica, per effettuare un semplice spostamento da una posizione A ad una posizione B, l’animatore crea un keyframe su di un fotogramma (frame) della linea temporale, per il personaggio in posa A, e un keyframe su di un’altro fotogramma, per il personaggio posizionato in posa B. A questo punto, dando avvio all’animazione sulla linea temporale, il software calcola automaticamente le posizioni intermedie (inbetween) da A verso B. Il processo di animazione 3D però non è così semplice ed automatico come appare, molte volte il programma crea delle interpolazioni errate che vanno controllate inserendo un maggior numero di keyframe nell’animazione o agendo su apposite curve spline create automaticamente dal programma durante l’animazione. Queste curve spline generate automaticamente dal software rappresentano l’andamento dell’animazione in ogni fotogramma e possono essere modificate dall’ animatore in qualsiasi punto (la curva e’ data 127 Curve Spline create dal programma 3d per l’animazione della lampada nel corto “Luxo Jr.” (Pixar). La prima curva è generata automaticamente dal programma e risulta errata perché la lampada oltrepassa il suolo; l’animatore interviene allora aggiungendo due keyframe per sistemare l’errore Sotto: Pose chiave della lampada “Luxo Jr.” durante il salto. Fonte: Principles of Traditional animation Applied to 3D Computer Animation John Lasseter Pixar Computer Graphics, Volume 21, Number 4, 1987 128 dalla somma di ogni punto che ha valori specifici). per esempio, Per lo spostamento da A in B sopra citato, il software crea una curva d’animazione per ogni spostamento lungo i tre assi cartesiani: una curva per la traslazione in X, un’altra curva per la traslazione in Y e un’altra per quella in Z (dove ogni punto delle curve ha valori specifici). L’animatore cgi in realtà quindi, non si occupa soltanto di stabilire le pose chiave, ma deve anche controllare le pose intercalari intervenendo nella modifica delle curve spline; modificando l’andamento di queste curve si causano accelerazioni e decelerazioni nell’animazione e si modifica quindi il ritmo dell’azione, cioè il Timing e lo Spacing. L’ intercalazione creata dal programma però, non è quasi mai corretta, questo perché è il risultato di medie matematiche precise e non di un posizionamento logico; l’animatore deve allora intervenire aggiungendo un maggior numero di keyframe per guidare il software nella gestione del movimento intercalare. A volte può essere perfino necessario creare dei keyframe per ogni frame dell’animazione (lavorare a passo uno) per avere il controllo totale della stessa. Il concetto di keyframe è quindi qui molto più flessibile rispetto a quello in animazione tradizionale. Va poi precisato che Il modo più corretto di effettuare un animazione 3d consiste nel creare dei controlli keyframe procedendo “layer by layer down the hierarchy”, ovvero livello per livello scendendo lungo la gerarchia, dall’elemento principale a quello più secondario (per livelli di importanza). Questo significa che una posa chiave non viene creata per l’ intero modello come nel disegno, ma è il risultato di più posizionamenti chiave delle parti componenti del personaggio/oggetto, seguendo la loro importanza gerarchica, livello per livello. A certi livelli i controlli da effettuare possono richiedere solo pochi keyframe, altri possono richiederne uno per ogni frame dell’azione, dipende; generalmente è meglio usare pochi controlli quando possibile, lasciando il resto al programma. Introduzione Produzione La cosa migliore per questo procedimento è pianificare l’animazione a priori (meglio sul Dopesheet). Per chiarire meglio questo procedimento prendiamo come esempio l’animazione della lampada nel cortometraggio della Pixar “Luxo jr”: per animare il salto della lampada gli animatori hanno prima agito sugli estremi dell’azione, settando un keyframe all’inizio e uno alla fine del salto; quindi hanno definito l’altezza del salto con un altro keyframe e poi, ottenute le pose principali, si sono occupati di animare il movimento del braccio della lampada nelle varie fasi del salto e successivamente hanno animato prima la base e poi la testa della lampada ottenendo così il movimento definitivo. ANIMAZIONE DI SISTEMI PARTICELLARI I sistemi particellari, già accennati in precedenza, oltre a riprodurre fenomeni naturali o a modellare, possono servire ad animare gruppi molto numerosi di oggetti, animali o persone. Il loro funzionamento si basa essenzialmente sulla creazione di un emettitore e di numerose particelle, entrambi controllati da una serie di parametri (tempo di vita, velocità, direzione, quantità di particelle ecc.). Una volta definito il comportamento generale di un sistema è possibile effettuare delle varianti comportamentali al suo interno, determinando il comportamento specifico di una singola particella; per esempio associandogli una propria forma geometrica e una propria animazione. I Sistemi Particellari inoltre non solo consento di controllare l’animazione di un gruppo, ma sono anche in grado di attribuirvi un comportamento in relazione al verificarsi di determinate condizioni; il risultato sarà un sistema con una varietà e versatilità tali da essere credibile. Per tutti questi motivi i sistemi particellari negli ultimi anni si stanno sviluppando molto nel campo degli effetti speciali cinematografici (esistono diversi software dedicati alle animazioni di massa). ANIMAZIONE TRAMITE DINAMICA La Dinamica permette di effettuare animazioni senza l’impostazione dei Keyframe e viene prevalentemente utilizzata in situazioni molto complesse dove risulta impossibile controllare l’animazione di ogni singolo oggetto in scena, come ad esempio nelle esplosioni. La Dinamica viene di solito utilizzata nei sistemi particellari per controllare il moto delle particelle, funziona tramite l’impostazione di determinati campi di forza (field) che agiscono sul sistema, come ad esempio la gravita’, il vento o la turbolenza. questi campi di forza vanno applicati alle particelle per influenzarne il comportamento. Esiste poi la possibilità di utilizzare la Dinamica per effettuare animazioni particolarmente complesse che simulino svariate interazioni, come per esempio un’esplosione, il crollo dei piani di un palazzo, la collisione di due veicoli ecc.; in questi casi i campi di forza vengono applicati a degli oggetti geometrici che interagiscono con gli altri elementi del sistema. Per consentire al programma di effettuare un’animazione corretta occorre impostare i campi di forza che agiscono sull’intero sistema e poi una serie di attributi specifici agli oggetti in campo, come per esempio la massa, l’elasticità, la frizione ecc.; infine bisogna definire gli oggetti dinamici attivi e quelli passivi all’interno del sistema: gli oggetti dinamici attivi subiscono varie alterazioni a contatto con gli altri oggetti o con le forze del sistema, al contrario gli oggetti passivi interagiscono con gli altri oggetti dinamici senza però subire alterazioni. Una volta impostato il sistema dinamico il software effettua automaticamente l’animazione calcolando le interazioni tra gli oggetti e le forze in campo; l’unico problema è che l’animazione così ottenuta risulta difficilmente controllabile e nonostante la precisione a volte può risultare inaccettabile per le esigenze della storia. 129 oggetti (ovviamente con le relative restrizioni). Attraverso il Mocap è inoltre possibile effettuare il “Retargeting” per cui un attore può ‘interpretare’ una creatura virtuale che ha dimensioni e tratti somatici completamente diversi rispetto alla sua ‘matrice umana’; in questo caso il software utilizza degli algoritmi che creano automaticamente le relazioni tra lo scheletro dell’attore e quello della creatura modellata. La “Performance Capture” invece, è una tecnica del tutto simile al Mocap (ma più sofisticata) per cui applicando dei piccoli marker sul volto degli attori si possono catturare le espressioni del volto per poi applicarle ad un personaggio virtuale. Infine possiamo citare anche la Mocap-toon per cui la stessa tecnica viene impiegata per costruire l’ ossatura mobile di veri e propri disegni animati. Gollum character Mocap Animation The Lord of The Ring (2001) Peter Jackson Films J.R.R.Tolkien Novel 130 MOTION CAPTURE ( MOCAP) Motion capture significa “catturare il movimento” ed è una tecnica che permette di importare nel software la recitazione di un attore reale per effettuare l’animazione di un personaggio digitale. Esistono diverse tecniche per rilevare il movimento, le principali sono quella ottica e quella magnetica. Per poter importare in digitale la performance degli attori, viene fatta indossare una speciale tuta, molto aderente, munita di sensori. questi sensori, chiamati marker (punti led), sono posizionati in corrispondenza delle articolazioni e nei punti di maggiore contrattura muscolare e corrispondono ai giunti dello scheletro digitale. Nel caso dei rilevatori ottici, i marker delle tute sono luminosi e i loro spostamenti vengono rilevati da apposite telecamere, i dati degli spostamenti vengono poi inviati ad un software perché possano essere registrati e successivamente esportati per essere applicati allo scheletro di un personaggio digitale. Bisogna poi tenere presente che il Mocap non solo può essere applicato a persone reali ma anche ad animali e Il Mocap è sicuramente una tecnica molto avanzata e vantaggiosa ma presenta anche numerose imperfezioni che ne limitano l’applicazione: i segnali trasmessi dai marker non sono sempre precisi e ci sono spesso errori di posizionamento che vanno corretti oppure per alcuni movimenti vengono registrate più pose in un unico fotogramma dell’ azione; questo determina un segnale sporco che va di volta in volta ripulito e ridefinito in un processo molto laborioso (la gestione delle curve d’animazione è molto difficoltosa). Va infine considerato che, in aggiunta ai movimenti del corpo, bisogna effettuare anche tutte le animazioni degli abiti, dei capelli, degli oggetti, degli accessori ecc... tutti elementi che vanno animati con la tecnica tradizionale; effettuare poi una buona integrazione tra le tue tecniche di animazione non è assolutamente un lavoro facile. E’ quindi importante valutare se l’utilizzo di questa tecnologia è veramente necessario e, se si, pianificare attentamente le sessioni di recitazione e il rigging del personaggio, considerando le procedure di registrazione dati. Introduzione Produzione 4.10 Multilayer 2D La tecnica Multilayer (multi-livello) si riferisce al fatto che, in animazione tradizionale, un unico disegno viene diviso in più parti, disegnate su fogli (livelli) diversi, a seconda degli elementi che lo compongono e della loro mobilità sullo schermo. La tecnica multi-livello in pratica, distingue ciò che deve rimanere immobile durante l’animazione, da ciò che deve invece muoversi, e quindi essere disegnato più volte, su più livelli in successione. I livelli rispettano inoltre una gerarchia di sovrapposizione: all’ultimo livello corrispondono i disegni in primo piano e al primo livello, quelli sotto tutti gli altri, più vicini allo sfondo (Layer BG), in pratica i disegni più statici. Questa tecnica può essere utilizzata in modo più o meno consistente. Di solito, in animazione tradizionale, si usa dividere lo sfondo statico, dalle animazioni dei personaggi, o ci si limita ad un numero di 4-5 livelli in sovrapposizione. Si parla invece di animazioni multilayer, in riferimento ad un tipo più economico di animazione (limited animation), utilizzata per produzioni a basso budget o digitali, in cui si usa il multilayer per smaltire la mole di disegni, risparmiando sui tempi e sui costi di lavorazione. In questo caso si utilizzano più livelli di disegni, dividendo anche le parti componenti di un personaggio, come ad esempio gli arti dal tronco, oppure la bocca dal viso. Il risultato è ovviamente un’ animazione molto meno fluida e naturale di quella a cui ci ha abituato Disney, pensiamo per esempio ai Flinstone della Warner o alle produzioni giapponesi degli anni ‘80. Un tempo i disegni a livelli venivano poi trasferiti su fogli di plastica trasparente chiamati rodovetri (Cell) che, una volta sovrapposti, ricomponevano il disegno per intero. Scomposizione a livelli cel (rodovetri) di un unico disegno. Disegni tratti da Cartoon Animation di Preston Blair. Scomposizione a livelli cel (rodovetri) dei personaggi. Serie a disegni tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair. Nell’animazione in 2d digitale (ex. Flash Animation) la scomposizione a livelli funziona allo stesso modo che nel procedimento tradizionale, con la sola differenza che, in questo caso, i livelli sono virtuali e possono essere in numero illimitato perché non c’è perdita di qualità nella loro sovrapposizione. Inoltre in questi livelli virtuali è possibile gestire molte proprietà quali il colore, la sfocatura, l’opacità, la saturazione, la trasparenza, il contrasto ecc. La tecnica Multilayer 2D non ha un diretto equivalente in animazione cgi. I livelli non sono utilizzati nel 3D in questo modo, nemmeno in termini virtuali. Si potrebbe tuttavia notare che, in cgi, in fase di compositing finale, si lavora con più livelli di immagini di render, per ottenere la schermata finale. 131 Non basta infatti un immagine di render per ottenere il prodotto finito ma servono più render specifici (render dell’animazione - degli ambienti - degli effetti ecc.), che uniti insieme compongono la schermata finale. Se si volesse poi entrare nello specifico, una comparazione potrebbe anche essere effettuata tra il risparmio di disegni offerto dal multi-layer e la possibilità di riutilizzare cicli di animazioni indipendenti in cgi, come per esempio l’animazione di una camminata, oppure le espressioni del volto, create un unica volta e poi riutilizzate a volontà. 1 2 Ecco illustrate un esempio di scomposizione multilyer fino all’ottenimento della scena finale: 1-2 Primo Layout della scena e del primo piano (foreground) con un tratto molto abbozzato (early rough). 3 3 Storyboard della scena con le indicazioni utili per chiunque lavori sullo stesso disegno: n. 13 dell’episodio e n. C.203 della ripresa, più istruzioni sul movimento di camera che parte da un primo piano delimitato dal rettangolo rosso e “zoomma” indietro mostrando le ragazze; freccia che indica l’entrata in scena parziale delle braccia in primo piano. 4 Individuate le ombre e i primi dettagli. 4 5 6 7 5 Completate le ombre e i dettagli dei volti, de capelli e altri particolari. 6 Completato per intero il disegno in tutte le sue parti (completed rough); questa è la composizione che apparirà a schermo. 132 Introduzione Produzione 7 Disegno finale (finished pencil sketches) con solo ciò Disegni che mostrano l’evolversi del processo di animazione dalla fase di bozza al prodotto definitivo. Tavole tratte dalla serie giapponese Burn Up (1991) che va riportato sul cel, si noti che le bocche non sono disegnate perché andranno animate con cel diversi. L’indicazione A-1 che si riferisce al primo livello di cel 8 Sfondo su carta. 9 Sfondo più il livello A di cel ricopiato dal disegno precedente 8 9 10 11 senza le bocche. 10 Sfondo più livello A, più livello B con disegnata la bocca Sotto: Main characters della serie giapponese Burn Up (1991) dell’uomo al centro, più livello C con la bocca della ragazza a sinistra; entrambe si muoveranno separatamente utilizzando più cel in sequenza. 11 Vengono aggiunti gli ultimi due cel, uno per il braccio a destra D e uno per quello a sinistra E che entreranno in campo scivolando verso l’interno. Per avere un maggiore effetto di profondità si può utilizzare la tecnica del “cel overlay”, ovvero un livello ulteriore di rodovetro che, sovrapposto alla scena principale, mette in primo piano degli oggetti o delle figure come rocce, alberi, cespugli, persone... Esiste anche la tecnica del “line overlay”, per cui si disegnavano i contorni e i dettagli dello sfondo su un cel differente, poi aggiunto al disegno dello sfondo, ottenendo così un ambiente più complesso e dal tratto xerografato come gli altri disegni. 133 Colorazione a livelli del rodovetro contenente i personaggi. Serie a disegni tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair. Cel originali del film d’animazione Fievel Sbarca in America (1987) Universal Pictures Cel originali del film d’animazione Snow White and the Seven Dwarfs (1934-37) Disney Pictures 134 4.11 Inchiostratura (Ink) A seguito del lavoro di Pulizia dei tratti, dopo che il Line Test è stato approvato, si procede alla fase di Inchiostratura o Lucidatura. Un tempo questo passaggio era effettuato a mano da numerose persone, dette inchiostratori, che, utilizzando la china nera, ricopiavano i disegni su fogli trasparenti di celluloide (o acetato), chiamati rodovetri (in inglese cel). Successivamente si passò alla fotocopiatura attraverso macchine Xerox, con la possibilità di scegliere le dimensioni di stampa, il livello di dettaglio e perfino inchiostri diversi. Il tratto ottenuto con questo procedimento presentava però una leggera perdita di qualità (trascurabile) rispetto al processo manuale, ciò nonostante si ottennero grandi vantaggi sui tempi e costi di produzione, compresa l’eliminazione degli errori umani. Oggi il rodovetro è stato quasi totalmente rimpiazzato dal digitale, ogni singolo disegno viene allora digitalizzato tramite scanner e diviso in più livelli virtuali (a seconda delle necessità) per poi essere colorato. Esistono software appositi, come “Animo” o “Toonz”, che gestiscono l’intero procedimento, occupandosi non solo della acquisizione dei disegni, ma anche dell’indicizzazione e della scomposizione in livelli virtuali, comprese le fasi successive di colorazione, editing e compositing. Il passaggio al digitale ha permesso di ottenere lo stesso risultato tradizionale, ma con numerose agevolazioni, dalla gestione ordinata dei disegni, al loro immediato reperimento, alla possibilità di effettuare modifiche in maniera più flessibile. Introduzione Produzione Ink & Paint della serie animata giapponese Wonder Island Akira Toryama. Il lavoro è eseguito interamente a mano. 4.12 Colorazione (Paint) Una volta che i disegni sono stati trasferiti sul computer, in digitale, si passa alla colorazione di tutte le loro parti (capelli, indumenti, attrezzi ecc.). Il personale addetto alla colorazione dei disegni è quello dei colorists. In questa fase non sono richieste particolari abilità tecniche ma piuttosto molta pazienza e precisione. Come nel procedimento coi rodovetri, anche in digitale le parti animate rimangono su livelli virtuali diversi, che vanno colorati uno ad uno in sequenza. Un tempo, una volta che i disegni erano stati trasferiti sui rodovetri, una squadra di artisti iniziava la fase di colorazione usando tempere acriliche sul retro dei rodovetri, per evitare di debordare coprendo le linee di contorno dei disegni. Il procedimento di colorazione dei rodovetri procedeva a ritroso: prima si coloravano le aree di luce ed ombra, poi si ricopriva il tutto con il colore principale. Oggi il computer ha migliorato molto questa fase del lavoro permettendo di utilizzare una tavolozza di colori digitali che rimangono sempre uguali e mai si esauriscono o deperiscono nel tempo, come un tempo poteva accadere. Generalmente le zone in ombra vengono colorate con un colore di una luminosità più bassa di quella del colore principale, al contrario le zone luminose con una luminosità più alta. Il nero assoluto non viene quasi mai utilizzato per le ombre, meglio colori di tonalità molto scure, mentre il bianco può anche essere utilizzato per gli effetti luminosi. Nella fase di colorazione dei disegni, può rientrare anche la creazione degli sfondi (ambientazioni/background), nel caso non siano già stati tutti preparati dai background artists. Oggi gli sfondi possono essere creati totalmente in digitale, dipende dallo stile della storia e dalle scelte di produzione. Comunque sia, generalmente le ambientazioni non sono animate, se non nei casi in cui si prevede lo scorrimento di piani scenografici (ex. finestrino di un treno in movimento). Uniti infine i disegni con i loro rispettivi sfondi, si passa alla fase di Montaggio. Fasi produzione: Il disegno in b/n viene scansito, successivamente viene colorato e infine viene aggiunto lo sfondo. Tesi di Mario Aquaro “Animazione bidimensionale e tridimensionale a confronto”. 135 SHADING (OMBREGGIATURA) Principali modelli di shader nei software 3D 4.13 Shading Componimento di uno shader dato dalla somma di più attributi specifici visto che In 3D, quando si crea una geometria, il programma vi attribuisce automaticamente un colore grigio di default, per determinare l’aspetto materico e il colore di un modello, bisogna applicarvi degli shader e delle Texture. Inizialmente, prendendo spunto dai disegni realizzati in fase di Design, un apposito dipartimento si occupa di effettuare degli “shader test”, per decidere i materiali più adatti da utilizzare. Attraverso gli studi di Shading si definisce allora il materiale da applicare ad un modello e il suo colore, prendendo in considerazione anche l’influenza che avranno le luci del set sullo stesso. poi, attraverso il Texturing, si interviene sullo shader applicato per aggiungere un dettaglio realistico alla superficie creata, altrimenti troppo omogenea. E’ così possibile proiettare delle immagini sulla superficie del modello, come per esempio una Texture immagine di un legno o di un marmo, operando punto per punto delle variazioni sulla superficie geometrica. 136 Gli shader (detti anche Shading Model) sono dei “modelli di materialE” che è possibile applicare ad un oggetto per simulare una determinata superficie. In pratica, gli shader ricreano le caratteristiche estetiche di un materiale simulando la sua interazione luce-superficie, cosicché possono ricreare aspetti materici diversi quali plastica, vetro, metallo, legno, marmo, ecc. Tecnicamente, uno shader è determinato da un equazione matematica che governa l’interazione di diversi attributi del materiale quali: il colore ambientale, il colore diffuso, il colore speculare, la riflessione, l’assorbimento della luce, l’opacità, la trasparenza, l’incandescenza, la rifrazione, la riflessione ecc. Tutte queste proprietà sono modificabili singolarmente e agendo su di esse è possibile simulare materiali diversi. Per applicare uno shader ad un modello, la maggior parte dei software 3D mette a disposizione una libreria di “shader di base”, chiamati “Shading Model”, le cui proprietà sono tutte modificabili e implementabili a piacimento, tramite l’utilizzo di interfacce intuitive fornite dal programma (che permettono di non utilizzare direttamente il linguaggio di programmazione). Gli shader predefiniti hanno però delle limitazioni implicite nelle formule matematiche che li generano, Per avere una resa più realistica è allora necessario Introduzione Produzione agire attraverso un linguaggio di programmazione specifico (“Renderman Shaders Language” è lo standard) che permette di controllare le singole proprietà in modo ancora più preciso. Sfere alle quali sono state applicati differenti tipi di shader e Texture. Le rugosità dei pianeti sono determinate dall’utilizzo del Displacement Mapping. esistono molti modelli di shader, quelli più comuni sono: LAMBERT: materiale non riflettente dall’aspetto opaco adatto a superfici lisce come terracotta, carbone, cera, stucco... BLINN: materiale che riflette la luce in modo molto accurato, viene utilizzato per superfici metalliche come alluminio o ottone. PHONG: materiale lucido dai riflessi morbidi particolarmente adatto per superfici lisce come porcellana, plastica, ceramica e vernici lucide. PHONG-E: materiale simile al Phong con una resa lucida meno intensa. ANISOTROPIC: materiale che riflette la luce in modo irregolare a seconda di come vengono illuminate le sue irregolarità; dipende dal punto di osservazione e dalle luci presenti in scena ed è particolarmente indicato per superfici ricche di graffi e irregolarità come il metallo spazzolato, materiale satinato, tubi, piume, capelli... 4.14 Texturing Una volta effettuato lo Shading, la superficie del modello risulta però totalmente omogenea e quindi poco reale, occorre allora applicare una o più Texture allo shader creato (alle sue proprietà), per renderlo il più realistico possibile. Se per esempio pensiamo ad un muro bianco, dovremmo notare che non è composto di un materiale totalmente identico ma presenta delle piccole irregolarità nella superficie come piccoli fori, rilievi e graffi. per questo in 3D non basterebbe creare una superficie bianca che simula la superficie di un muro (cioè uno shader), ma bisognerebbe applicare delle Texture allo shader, per fornirgli quelle irregolarità materiche (punti e graffi) che lo renderebbero simile ad un muro reale. 137 Texture procedurali applicate a delle sfere con il medesimo shader 138 le texture non sono altro che immagini, proiettate sulla superficie del modello allo scopo di simulare determinate irregolarità materiche come graffi, nervature, rugosità, punti luce ed ombra... Queste texture possono essere applicate ad una o più proprietà dello shader a seconda dell’effetto che si vuole ottenere. Inoltre, l’ immagine di texture può essere proiettata una sola volta sulla superficie del modello, come una semplice etichetta, oppure può essere ripetuta infinite volte (occupando tutta la superficie) ed essere modificata in diverse proprietà, intervenendo punto per punto sulla superficie geometrica del modello. Per esempio, per creare un materiale di legno si inizia applicando la texture immagine delle nervature del legno (terza foto in alto) all’ attributo colore dello shader; di conseguenza questa immagine viene proiettata sulla geometria del modello, in maniera sequenziale, dando l’impressione che l’oggetto sia fatto interamente di legno. Affinché le venature sembrino in rilievo, si aggiunge poi la stessa texture immagine di prima in scala di grigi, ad un’altro attributo dello shader chiamato bump mapping; a questo punto Il software ricreerà degli effetti di rilievo in modo proporzionale alla scala di grigi dell’immagine immessa: al bianco corrisponderà il massimo rilievo e al nero la massima profondità. Tra gli innumerevoli attributi messi a disposizione per la creazione delle Texture, impossibile non citare il bump mapping e il displacement mapping: il primo, operando sulle normali della superficie permette di simulare diverse irregolarità materiche come graffi e rugosità, mentre il secondo, permette di ottenere gli stessi risultati senza più simularli solamente, ma modificando veramente la geometria del modello. Esistono essenzialmente due tipi di Texture: Le Texture di immagini sono immagini raster bidimensionali che possono essere create al di fuori del programma tramite macchine fotografiche digitali, scanner, oppure utilizzando vari programmi di grafica 2d (ex. Photoshop). Un problema da prendere in considerazione nel loro utilizzo è che però una volta applicate in ripetizione su di una superficie, molto spesso i punti di congiunzione tra un immagine e l’altra risultano molto evidenti compromettendo la resa realistica del modello. Le Texture procedurali sono invece dei piccoli programmi che consentono di applicare dei pattern ripetitivi (sintetizzabili con formule matematiche) a modelli di grandezza variabile. Le texture procedurali possono essere ripetute infinite volte senza problemi di continuità visiva e senza perdita di dettaglio a risoluzioni molto accurate. Occupano inoltre uno spazio di memoria molto più limitato rispetto alle Texture di immagini e possono anche essere convertite in immagini bidimensionali a grandezza definita. Anche se apparentemente le procedurali appaiono migliori sotto ogni aspetto rispetto alle precedenti, in realtà si utilizzano entrambi i tipi di texture. Questo perché le texture procedurali devono essere programmate con operazioni molto complesse a livello computazionale e hanno inoltre un antialiasing molto più difficoltoso rispetto alle texture di immagini. Introduzione Produzione 4.15 LIGHTING Per completare uno Shading Model bisogna infine considerare il comportamento del materiale quando viene esposto alle luci della scena (set). Occorre allora posizionare le luci all’interno del set e studiare la resa migliore rispetto agli ambienti e ai personaggi in scena, come in un set reale. Al pari di un film dal vero quindi, bisogna decidere il numero e il tipo di luci, il posto dove posizionarle e tutte le proprietà connesse alle luci quali la direzione, l’intensità, la forma e il colore. La grande differenza rispetto ad un film dal vero é che questo procedimento è svolto alla fine del processo mentre invece nella realtà è la prima cosa da fare prima di effettuare le riprese. Le luci digitali però, sono molto più flessibili delle luci reali, questo significa che i Light designer hanno a disposizione un set di luci che funziona come nella realtà ma con un maggior numero di attributi luce da controllare, inesistenti nella realtà. Uno dei maggiori vantaggi offerti dal 3D è comunque la possibilità di testare vari settaggi della luce, dalla loro tipologia, al loro posizionamento, al colore, ai riflessi sugli oggetti, all’intensità di luci e ombre e così via. Bisogna poi tenere in considerazione che, il fatto di lavorare con oggetti tridimensionali non implica che la resa finale sia altrettanto tridimensionale sullo schermo. Infatti, oltre alla forma degli oggetti, alle loro posizioni e alla prospettiva della scena, la luce concorre in modo determinante alla resa tridimensionale delle immagini sullo schermo ricreando La profondità. L’ illuminazione di un set è quindi in grado di enfatizzare la tridimensionalità, ma anche di appiattirla rendendo le immagini insignificanti. Per ricreare dei buoni effetti nella composizione, allora, si usa inserire molte più fonti luminose rispetto ad un set reale, utili anche ad eliminare eventuali zone sotto-esposte. Comunque sia, bisogna sempre fare attenzione che all’interno di un set la presenza di una fonte luminosa sia giustificata, non appaia irreale e sia il frutto di una scelta motivata. PROCEDIMENTO Come negli altri processi, anche questa fase inizia con diverse prove effettuate prima che le fasi precedenti siano state ultimate: i primi test di Lighting vengono effettuati con i modelli privi di shader e Texture, sia perché risulta più semplice ragionare sulla resa luminosa di un ambiente nella sua totalità, sia perché il calcolo computazionale eseguito dal computer risulta più veloce in un ambiente meno complesso. Man mano si procederà aggiungendo dettaglio alle scene, migliorando e correggendo l’interazione delle luci, fino ad arrivare alla resa finale. In principio si prende spunto dai disegni più rappresentativi degli scenari e si effettuando varie prove di lighthing, in cui si testano i posizionamenti delle luci, la direzione e l’ intensità di luci ed ombre, la loro forma, colore ecc. Una volta che regista e supervisore all’illuminazione hanno deciso le tonalità giuste da seguire (per tutte le scene della storia), si effettuano allora i primi “Lighting sketch”, ovvero dei disegni poco dettagliati che si occupano esclusivamente di studiare le interazioni di luci ed ombre con i personaggi e gli ambienti presenti nei vari set della storia. Partendo da questi disegni Si passa allora al “Lightig 3d”, dove altri artisti si occupano di riportare, in ambiente tridimensionale, la resa luminosa precedentemente studiata e definita nei disegni. Vengono poi effettuati ulteriori test, per arrivare alla perfetta interazione coi modelli in scena. Concluse le fasi precedenti, vengono importati i modelli definitivi e i Lighter Artists procedono man mano, aggiustando le luci inizialmente abbozzate, fino ad ottenere il settaggio finale. 139 principale o i suoi stati d’animo, quindi una luce uniforme in tutto il set è sconsigliata. Anche il colore delle luci è molto importante perché influenza la resa espressiva e influisce sulla profondità, determinando effetti più o meno realistici: colori caldi solitamente tendono ad avvicinare mentre quelli freddi ad allontanare. Un buon Lighter Artist deve perciò conoscere le regole (ed i trucchi) per ottenere una efficace composizione della scena, deve saper bilanciare luci ed ombre con armonia, enfatizzando le scene e le azioni dei personaggi principali rispetto a tutto il resto. LUCI Pito character sottoposto a diversi settaggi di luce 140 Caratteristiche L’iLluminazione in 3D è un fattore determinante ed essenziale, la luce infatti non solo illumina i set, ma vi attribuisce una data atmosfera, infLuenza il carattere della storia, guida inoltre lo sguardo degli spettatori in un determinato punto e da informazioni sul tempo, sulle stagioni e perfino sulle emozioni dei personaggi in scena. I Lighter Artists non devono solo posizionare le luci all’interno del set in modo tecnico, considerando profondità, prospettiva e varie interazioni in scena, ma devono soprattutto tenere in considerazione che la luce influenza la storia ed enfatizza determinati scorci nella visione. Generalmente, la prima scelta da fare in riguardo all’illuminazione è tra una luce contrastata e una luce diffusa: la prima, come dice la parola, crea dei contrasti netti tra le immagini ed è utilizzata per dare effetti particolarmente intensi o drammatici; la seconda invece, serve a rendere gli spazi più omogenei ed è utilizzata in situazioni più distese o surreali. Di solito si usa mettere in risalto il personaggio In un set tridimensionale è possibile creare diverse tipologie di luce che simulano fonti luminose diverse quali il sole, una lampadina, una luce diffusa ecc. Queste, possono essere spostate, scalate e ruotate all’interno della scena come fossero oggetti e sono controllate da molti attributi e proprietà modificabili, come ad esempio forma, direzione, ombra, decadenza, texture ecc. L’ insieme di questi attributi costituisce un “Light Model” (modello luce). Le principali tipologie di luce sono: DIRECTIONAL LIGHT (luce direzionale): luce diffusa in una data direzione, viene spesso utilizzata per simulare la luce del sole. POINT LIGHT (luce puntiforme): luce diffusa in ogni direzione. SPOT LIGHT (luce a spot): è una luce che parte da un punto eD illumina una porzione di spazio definita, di ampiezza variabile. AREA LIGHT (luce ad area): luce emessa tramite un pannello quadrangolare. Introduzione Produzione AMBIENT LIGHT (luce ambientale): luce diffusa in modo uniforme utilizzata per schiarire le zone troppo scure. Pito character Lighting Model Tutorial Il modello dopo il settaggio delle tre luci principali: Back Light, Fill Light, Front Light. VOLUME LIGHT (luce volumetrica): luce emessa da un volume geometrico variabile, come una sfera o un cubo. Le principali sono: intensità, colore ed effetti. Quest’ultima proprietà stabilisce se la luce deve influenzare il colore ambientale, quello diffuso o quello speculare della scena. Mentre i principali attributi delle luci sono: Direzione luce (direction): la direzione dei raggi luminosi all’interno del fascio luminoso può essere resa radiale o parallela, indipendentemente dalla luce creata; questo modifica conseguentemente le ombre create. I raggi paralleli si usano solitamente per la luce del sole e quelli radiali per luci artificiali. Direzione ombre (light direction): la direzione delle ombre può essere controllata indipendentemente dalla direzione della luce. Luci posizionate diversamente possono quindi condividere le stesse ombre. E’ possibile inoltre creare delle ombre o delle zone d’ombra dal nulla, definire il colore delle ombre e la loro attenuazione nelle zone perimetrali. Forma (shape): con l’attributo di forma è possibile delineare un volume geometrico come un cubo o una sfera, all’interno del quale si produce luce; questo permette di escludere alcuni oggetti dal fascio di luce. Ombreggiatura (shadowing): oltre a controllare le proprietà dell’ombra, è possibile decidere se una luce produce un’ombra oppure no, e lo stesso anche per gli oggetti. Decadimento (dropoff): se nella realtà la luce diminuisce di intensità al quadrato della distanza, con questo attributo è possibile modificare i valori di intensità luminosa nei confronti della distanza dagli oggetti, oppure diminuendo la luce in prossimità delle zone perimetrali del volume di luce. Selezione (selection): attraverso questo attributo è possibile decidere quali geometrie sono influenzate da una luce e quali no, quindi quali oggetti risultano illuminati, producendo una riflessione e un ombra. Spesso questo attributo è usato per illuminare diversamente sfondi e personaggi. Texture: con questo attributo è possibile impiegare un immagine di texture in combinazione con la luce affinché la luce proietti l’ immagine. In questi casi è possibile proiettare un immagine a singolo canale (in bianco/nero) di modo che le sue componenti nere blocchino la luce mentre le bianche la lascino passare (cookie); oppure è possibile proiettare una luce a colori (slide). 141 Rustyboy (2006) cortometraggio animato 3d interamente creato da Brian Taylor www.rustboy.com Generalmente, a seconda del modo in cui illumina una scena la luce si distingue in: Luce ambientale: raggiunge tutti i punti della scena, anche quelli non illuminati in maniera diretta, perché non dipende dalla presenza o dalla posizione delle fonti luminose ma dalla luce riflessa dagli altri oggetti. Luce diffusa: che l’oggetto riflette in tutte le direzioni uniformemente; dipende dalla posizione della fonte di luce in scena e dai materiali di cui sono fatti gli oggetti in quadro (non dalla dislocazione dell’osservatore). Luce speculare: collegata direttamente alla riflessione della luce, quindi alla presenza di un materiale più o meno riflettente; dipende dalla posizione dell’osservatore. Per quanto riguarda invece il posizionamento delle sorgenti luminose in un set, tre sono le luci principali: 1. Key Light (luce principale): è la luce principale per intensità e colore che domina la scena, determina la forma e la direzione delle ombre principali e solitamente viene posta frontalmente alla scena. Serve ad indicare i personaggi/oggetti principali. 2. Fill Light (luce di riempimento): è una luce a bassa intensità che proietta ombre molto leggere e serve da riempimento, per schiarire o eliminare le ombre della luce principale e riduce l’effetto tridimensionale. Questa luce si pone spesso lateralmente, o comunque in contrasto con la luce principale. 3. Back Light (luce posteriore): è la luce utilizzata per staccare i personaggi e gli oggetti dallo sfondo, si posiziona dietro ad essi. 142 Introduzione Produzione Effetto speciale tipo laser serie tv giapponese tratta dal manga Naruto(1999) ideato da Masashi Kishimoto. 4.16 Effetti Speciali 4.17 Effetti Speciali Come già accennato precedentemente, gli Effetti Speciali possono essere disegnati dagli stessi animatori o destinati ad un apposito dipartimento che, mentre gli animatori eseguono i disegni principali, si occupa di animare gli effetti atmosferici, naturali o gli effetti speciali veri e propri. In animazione tradizionale gli effetti speciali comprendono fenomeni naturali e atmosferici come fuoco, gas, pioggia e tempeste, animazioni complesse come collisioni ed esplosioni, oppure anche effetti laser, luminosi o ottici. Ognuno di essi richiede l’impiego di tecniche particolari a seconda dei casi piò o meno laboriose. Un tempo gli effetti speciali venivano creati artigianalmente a mano (con varie tecniche pittoriche o materiali) o tramite l’impiego di particolari strumentazioni in fase di produzione o di ripresa finale (filtri, gel, lenti lavorate). La Disney degli albori per esempio, per l’effetto pioggia, filmava in slow motion dell’acqua scrosciare cadere davanti una lavagna. Oggi gli effetti speciali sono quasi tutti creati in digitale, durante la produzione o in post-produzione. Gli effetti speciali in 3D sono spesso legati alla simulazione di fenomeni difficilmente ottenibili con le normali tecniche di modellazione ed animazione, comprendono fenomeni come collisioni ed esplosioni per esempio, o anche fenomeni naturali e vari effetti luminosi ed ottici. Spesso, nelle grandi produzioni, si incontrano grosse problematiche legate agli effetti speciali necessari alla storia, per cui, esiste un dipartimento specifico, composto per lo più da sviluppatori e programmatori, che si occupa di studiare ed inventare nuovi software per simulare e controllare i fenomeni complessi e vari effetti speciali. Da anni la comunità di ricercatori opera nel campo degli effetti speciali perché, oltre ad essere eventi particolarmente complessi e difficili da rendere in modo verosimile, una volta creati è inoltre necessario che l’animatore sia in grado di controllarli agevolmente; l’unione di questi due fattori è la cosa più difficile. Normalmente, i sistemi particellari sono tra le “Simulation and Animation of Fire and Other Natural Phenomena in the Visual Effect Industry” (2003) Duc Nguyen Doug Enrigh Ron Fedkiw 143 Chroma Key prima e dopo il compositing fxhome.com/ compositelab/pro tecniche più comunemente utilizzate per la creazione degli effetti speciali, in particolar modo per la creazione di fenomeni naturali o elementi numerosi come gruppi molto numerosi in movimento, tipo folle di persone, branchi di animali, flotte di eserciti ecc. tutti questi effetti, una volta creati, possono essere poi controllati in diversi modi, può essere necessario modificare alcuni attributi oppure sottoporre il sistema a vari campi di forza come la gravità, la turbolenza, l’ effetto calamita ecc. Va poi precisato che, gli effetti speciali, come molte altri “effetti”, vanno renderizzati singolarmente e devono quindi essere poi aggiunti all’immagine finale tramite il compositing digitale. Quello degli effetti speciali è un campo in continua evoluzione, si pensi ai continui studi della Pixar per esempio, a partire dalla resa dell’ambiente naturale nel cortometraggio “The Adventures of André & wally B.” (1984), fino ad arrivare ai più recenti studi sulla resa del ghiaccio e delle masse d’acqua per il film “L’ era Glaciale”; oppure anche gli studi sul movimento del pelo effettuati per il film “Monster & Co”(2001). 144 Nell’ ambito degli effetti speciali, impossibile non menzionare il Chroma Key, erroneamente detto anche Bluescreen (il Bluescreen non è altro che il nome dell’effetto), una tecnica che permette di sostituire ad un colore sia oggetti che immagini ma più frequentemente viene utilizzato per gli sfondi. Questa tecnica si basa sulla ripresa di un attore che recita su di uno sfondo interamente blu (o verde) che successivamente viene scontornato e ricollocato all’interno di uno sfondo interamente virtuale. Introduzione Produzione 4.18 Montaggio Rostrum camera Una volta ottenuti i disegni definitivi, lavorando in digitale si procede al rendering 2D delle scene e al loro successivo montaggio. Un Supervisore Generale ha il compito di controllare che tutto sia stato realizzato in modo corretto per l’editing finale. Il suo ruolo è molto importante per la buona realizzazione del progetto, considerando i costi impliciti nella sua realizzazione ed eventuale correzione. Se il Supervisore dichiara che tutte le tavole di una determinata scena funzionano alla perfezione, queste vengono allora passate al Montaggio video definitivo. Il montatore si occuperà allora di assemblare tutte le parti del film, seguendo scrupolosamente le indicazioni sul Dopesheet e sul Foglio Macchina Reticolato, utilizzate rispettivamente per l’animazione e per i movimenti di camera all’interno del foglio. Il risultato finale sarà un flusso video digitale dell’intera storia, a cui verrà poi aggiunto l’audio definitivo. Un tempo il montaggio prevedeva la ripresa dei rodovetri tramite una Macchina Verticale o Rostrum Camera. Questa era una speciale struttura costituita da un piano di lavoro (mobile) munito di lampade e una cinepresa verticale che poteva essere spostata in vari modi, sopra i rodovetri, simulando spostamenti di camera, zoom e perfino varie angolazioni. Tutto era svolto in modo automatizzato controllato da un computer. I rodovetri venivano infilati in un’ apposita barra (reggetta) fissata al piano di lavoro, perché fossero mantenuti a registro, quindi, una lastra di vetro li comprimeva da sopra, per eliminare eventuali rigonfiamenti, ombreggiature o irregolarità della carta. La videocamera riprendeva quindi ogni singolo disegno, un fotogramma alla volta. Questo procedimento molto lungo e macchinoso veniva continuamente ripetuto, alzando e abbassando la lastra di vetro, sostituendo i rodovetri necessari ed effettuando i movimenti di camera indicati, fino alla registrazione su pellicola di tutte le scene della storia. Dopo le riprese, la pellicola impressionata era inviata al dipartimento di sviluppo e stampa e quindi veniva aggiunto l’audio finale. Oltre alla Rostrum viene spesso citata anche la Multiplane Camera (Ub Iwerks 1930), che permetteva di ottenere una maggiore profondità di campo. Questa macchina, munita di più piani di lavoro scorrevoli (della specie di carrelli su cui sono posizionati i disegni) che possono essere fatti scorrere singolarmente a diverse distanze e velocità. 145 4.19 Rendering Il Rendering (esecuzione) è un processo automatico che genera, dal programma tridimensionale, le immagini bidimensionali che andranno sullo schermo. Tutte le informazioni impostate all’interno del programma 3D, dalle proprietà dei materiali alle proprietà delle luci e degli effetti, vengono elaborate dal motore di rendering che genera una serie di fotogrammi in successione. Da ricordare però che l’immagine di render non è quella finale, ma è a partire da qui che si inizia ad intravedere il risultato finale. questo perché una immagine finale sullo schermo è il risultato del compositing di più immagini ottenute dai render separati delle luci (occlusion), dei colori principali, degli effetti di riflessione (ray tracing), degli effetti speciali ecc... Il Rendering è un processo automatico ma va impostato dall’animatore che definisce innanzitutto il tipo di motore di Render da utilizzare per il calcolo grafico e quindi una serie di attributi, quali il formato delle immagini, la risoluzione, la qualità, la resa di luci ed ombre e diversi effetti come, per esempio, la sfocatura nei movimenti rapidi (motion blur) o la profondità di campo (depth field). Il tempo impiegato per la creazione delle immagini dipende dalla qualità video che si vuole ottenere e dalla composizione della scena stessa; mediamente, per un buon Render di produzione si impiegano dalle sei alle venti ore (per realizzare un film di animazione servono all’incirca 110.000 immagini). Due sono le cose importanti per ottenere un buon Render: la prima è un buon computer, in termini di capacità computazionale e di immagazzinamento dati, la seconda è un buon motore di Rendering. Per le grandi produzioni, che necessitano di immagini ad alta qualità da proiettare sullo schermo 146 cinematografico, un buon computer però non basta; visto l’enorme quantità di immagini che si devono creare (circa 110.000 frame), occorre utilizzare una Renderfarm, ovvero un unità di calcolo costituita dall’ unione di molti computer potenti, ognuno con più di un processore (CPU). Per quanto riguarda invece il motore di Rendering, questo è lo strumento più importante per determinare la resa grafica delle immagini della storia. Nel corso degli anni sono stati sviluppati diversi motore di rendering, ognuno dei quali utilizza un proprio metodo matematico per simulare determinati principi fisici. Il più comune motore di Render utilizzato è Photorealistic Renderman, sviluppato dalla Pixar nel 1988 e diventato uno standard di produzione per tutti i film di animazione in cgi. dove Renderman è invece il protocollo che mette in comunicazione programmi di modellazione con programmi di render. la maggior parte dei motori di Render che implementano Renderman si basano su di un algoritmo scanline chiamato REYES (Renders Everything You Ever Saw), che opera scomponendo le geometrie dei modelli in micropoligoni quadrangolari piccolissimi, della grandezza uguale o inferiore ai pixel delle immagini, permettendo così di ottenere immagini ad altissima qualità. Gli algoritmi di rendering si dividono in due categorie principali: Scanline Renderers e Ray Tracers: i primi operano oggetto per oggetto, disegnando direttamente su schermo ogni poligono o micropoligono; I secondi operano pixel per pixel e si basano sul calcolo del percorso fatto dalla luce, seguendone i raggi attraverso l’interazione con le superfici (i raggi partono dal punto di vista della telecamera piuttosto che dalle sorgenti di luce). Attualmente grazie alle migliori prestazioni dei computer, sono stati introdotti diversi algoritmi per la simulazione fisica della luce e delle ombre, tra questi troviamo il raytracing, la global illumination, l’HDRI, caustic ecc. Il raytracing per esempio, realizza un’accurata simulazione dei fenomeni di riflessione e rifrazione Introduzione Produzione della luce, effettuando inoltre l’occultamento delle superfici non in vista; in questo modo le superfici nascoste non vengono considerate, permettendo così di smaltire molti calcoli matematici inutili. Passaggi per ottenere le immagini finali: (Disney-Links.com) Storyboard Line drawing for layout (wireframe) No shadingNo shadows (ombre) No lighting (luce) Animation render Personaggi+elementi definiti nei loro colori principali (key color). Illuminazione minimale di una sola luce (key lighting) vicino alla camera. No shadows. Occlusion render L’occlusion è la luce diffusa che raggiunge tutti gli oggetti non coperti da altre geometrie. Per le macchine restituisce un buon effetto di contatto col suolo. Ray-traced occlusion& reflection Effetto shading-lighting monocromatico dato dal ray-tracing. Questo “lighting setup”include gli effetti di occlusion e le riflessioni all’interno delle carrozzerie. Final lighting & rendering Shading e Lighting definitivo. Si vedono gli effetti di tutte le fonti luminose in scena più gli effetti di occlusion, ombre e riflessioni (ray-tracing). 147 Gatto con gli Stivali character Shrek 2 (2004) Dreamworks Animation 148 Approfondimenti Introduzione 4.20 Approfondimenti 4.20.1 I 12 Princìpi dell’ Animazione I 12 principi dell’animazione tradizionale sono validi principi per qualsiasi tipo di animazione, compreso il 3D, rappresentano infatti delle tecniche che è possibile definire universali e sempre valide, che qualsiasi animatore può utilizzare per conferire all’animazione naturalezza e credibilità, come anche spessore emotivo e attrazione nei confronti del pubblico. Questi principi derivano dall’esperienza degli animatori dei Walt Disney Studios degli anni ‘30, che li hanno utilizzati e fatti imparare a tutti i giovani animatori, affinché tutti avessero delle solide basi da usare come guida in fase di produzione. Questi principi sono stati inizialmente applicati in film quali Biancaneve (1937), Pinocchio, Fantasia (1940), Dumbo (1941) Bambi (1942) e in tutte le successive produzioni, ma non per questo perdono di attualità e valore. Si dice che questi dodici principi abbiano trasformato l’Animazione in una forma d’arte, fatto sta che oggi sono diventati “la legge” per qualsiasi animatore che si rispetti. I 12 principi sono i seguenti: 1. SQUASH&STRECH: Effettuare una distorsione di forma (schiacciamento e stiramento) ad un oggetto in azione, mantenendo il volume costante, ne determina gli attributi di massa. 2. TIMING: Definire la durata dell’azione e lo spazio tra una posa e un’ altra, dà significato all’azione conferendovi un dato ritmo. Serve inoltre a definire peso e grandezza del soggetto/oggetto trattato. 3. ANTICIPATION: La preparazione che anticipa la successiva azione. 4. FOLLOW THROUGH AND OVERLAPPING ACTION: Il movimento terminale di un azione in relazione con l’azione che lo segue. 5. STAGING: Presentare un’ idea sullo schermo di modo che sia inconfondibilmente chiara ed esplicita. 6. STRAIGHT AHEAD AND POSE TO POSE ACTION: Due metodi di approccio all’animazione. 7. SLOW IN AND SLOW OUT: Lo spazio tra le pose pianificato accuratamente per rendere efficace un movimento. 8. ARCS: Il percorso ad arco eseguito naturalmente durante il movimento. 9. EXAGGERATION: Esagerare forme ed azioni allo scopo di accentuarne l’essenza. 10. SECONDARY ACTION: L’azione secondaria in conseguenza di un’azione primaria. 11. APPEAL: La necessità di creare un design gradevole sia nelle forme che nelle azioni. 12. PERSONALITY: Una personalità distinta e riconoscibile per rendere attrattivo un personaggio. 149 A questi principi si collegano anche le tre leggi fondamentali della fisica di Newton che riguardano il peso e il moto dei corpi. Un animatore può esasperare queste leggi, alterarle o eluderle, ma deve sempre tenerle in considerazione: 1. Il principio di inerzia dei corpi: ogni corpo mantiene invariato il suo stato di quiete o movimento nel tempo, finché non interviene una forza a modificarne lo stato. L’inerzia è direttamente proporzionale alla massa. 2. Un corpo soggetto ad una o più forze, subisce un’accelerazione direttamente proporzionale alla forza risultante, con uguale direzione e verso. 3. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. 01. SQUASH & STRETCH (Schiacciamento e Stiramento) E’ probabilmente la più importante scoperta nel campo dell’animazione: per animare un personaggio in maniera verosimile, non c’è modo migliore che operare un cambio di volume. Questo principio si riferisce al fatto che un oggetto, quando è in movimento, generalmente subisce una deformazione di schiacciamento e stiramento che ne enfatizza la rigidità e quindi il materiale di cui è composto. Tutti gli oggetti infatti, tranne quelli molto duri, mostrano cambiamenti di forma espressi in termini di schiacciamento e stiramento; queste deformazioni possono essere più o meno percepibili, ma si verificano spesso, fermo restando che il volume rimane sempre identico e cambia solo la forma. Un esempio standard è lo Squash&Stretch subito da una palla che rimbalza al suolo: la palla prima di toccare terra si allunga, dando idea della velocità di caduta, poi 150 a contatto col suolo si schiaccia, rivelando l’impatto e conferendo slancio al rimbalzo, infine si allunga di nuovo, dando il senso della velocità e dello scatto. Perciò, quando la deformazione di Squash&Stretch è molto evidente, l’impressione è quella di un oggetto leggero e flessibile, come una gomma, nel caso di una deformazione rigida invece, si ha l’effetto contrario. La tecnica di Squash&Stretch può essere utilizzata anche per rilevare le contrazioni e gli stiramenti muscolari durante il movimento. Se si pensa alla realtà infatti, i movimenti di qualsiasi cosa sprigioni vita presentano delle variazioni di forma durante il movimento, queste variazioni sono determinate dal movimento della muscolatura interna, per cui, per esempio, quando un braccio solleva qualcosa, si verifica un rigonfiamento più o meno evidente del bicipite, oppure basti pensare alle contrazioni ed estensioni di un viso espressivo. Va inoltre considerata l’esistenza dello Squash&Stretch delle parti degli oggetti che sono composti da arti o giunti snodabili come un personaggio o una lampada con braccio: le parti snodabili possono piegarsi ed estendersi sulla base dello stesso concetto, mantenendo intatta la forma (anche se generalmente si opera un leggero Squash&Stretch sul totale). Se analizziamo per esempio il salto di una persona, noteremo che il suo corpo si comprime piegando le gambe prima dello slancio, si estende nel salto e poi si comprime nuovamente nell’atterraggio. Naturalmente, quando un unico oggetto è composto da materiali diversi, questi dovranno rispondere al movimento in maniera diversa, con una maggiore deformazione nelle parti più flessibili. Approfondimenti Introduzione 02. TIMING (Temporizzazione) Un ultimo uso dello Squash&Strech in animazione è riferito all’effetto stroboscopico della visione, per cui l’occhio, quando osserva dei movimenti molto veloci, come per esempio il rapido oscillare di un pendolo, siccome non riesce a percepire chiaramente le pose in successione del movimento (le coglie ad una distanza maggiore della norma), tende a schiacciare la forma dell’oggetto osservato, di modo che la sua immagine si sovrapponga alla posa precedente, mantenendo la continuità visiva. Il Timing è un elemento essenziale in animazione perché conferisce significato all’azione ed è essenziale per guidare l’interpretazione del pubblico. Non importa quanto ben fatto e realistico sembri un soggetto/oggetto se poi non si comporta come appare, quindi, indipendentemente dall’aspetto, è il Timing a determinare la credibilità di un movimento e la sua interpretazione. Il Timing rappresenta la temporalizzazione dell’azione, cioè la durata dell’azione, quindi la sua velocità, ma anche il ritmo con cui è gestito il movimento, cioè i punti in cui il movimento è accentuato e dove no. In particolare serve a determinare il peso e la grandezza di un personaggio/oggetto e può servire ad esprimere le emozioni che guidano l’azione, per esempio attraverso movimenti nervosi, rilassa ti, vivaci, lenti ecc. Il Timing definisce il peso e le dimensioni perché a seconda di quanto un oggetto pesa, impiega più o meno tempo a muoversi. Manipolando il Timing è quindi possibile dare l’impressione che due oggetti identici di forma e dimensioni, siano composti da materiali assai diversi tra loro: più un oggetto è pesante, come una palla da boowling, più grande è la sua massa, conseguentemente è necessaria una maggiore forza per smuoverlo, per spostarlo e farlo accelerare, ma, una volta in movimento, richiede molta più forza per essere fermato; al contrario, un oggetto leggero come una palla, si smuove facilmente con la forza di un dito, facilmente cambia direzione di movimento e altrettanto facilmente si arresta quando incontra un piccolo ostacolo sul suo percorso. Quindi, più un oggetto è pesante, più impiega tempo a muoversi, cambiare direzione ed arrestarsi. In egual modo il Timing influisce sulla grandezza: se pensiamo ad un personaggio molto grosso, per esempio Squash & Stretch Serie di disegni tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair Effetto stroboscopico della visione Squash & Stretch John Lasseter (Pixar) Computer Graphic volume 21 Siggraph (1987) 151 tranquilli rappresentano il pensiero e rendono espressivo un personaggio; interruzioni o rallentamenti nell’azione permettono al pubblico di notare una posa e focalizzare l’attenzione. 03. ANTICIPATION (Anticipazione) Il Timing della camminata varia variando il tipo di espressività del passo. Serie di disegni tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair un gigante, che ha un peso elevato, una grande massa e una maggiore inerzia, il suo corpo farà molta più fatica a muoversi e spostarsi rispetto ad un personaggio più piccolo, più leggero, conseguentemente più agile e veloce. E’ poi importante fare attenzione alla gestione del tempo di un’azione, perché se ne viene impiegato troppo, il pubblico si distrae, mentre se ne viene impiegato troppo poco, l’azione non viene notata. A proposito, in animazione si usa dilatare un po’ i tempi di un’ azione per preparare il pubblico ad osservare bene il suo compimento: è importante spendere un po’ di tempo (non troppo) per anticipare l’esecuzione di un azione effettuando un movimento anticipatorio. Questo movimento di reazione potrebbe essere, per esempio, il piegamento delle gambe prima di effettuare un salto oppure il piegamento alla fine, per attutire l’atterraggio. Soprattutto quando un movimento è molto veloce, è importante che l’attenzione sia concentrata su di esso. Da notare infine che le pause e i momenti 152 Il principio dell’anticipazione si occupa della preparazione del pubblico all’ azione che sta per compiersi e, come dice la parola, consiste in un movimento anticipatorio, di qualsiasi tipo, che introduce l’azione successiva. Senza un movimento anticipatorio, molte azioni potrebbero non essere notate, oppure risulterebbero troppo immediate, brutali e innaturali. Ogni azione è perciò scomponibile in tre parti: movimenti di anticipazione all’azione, movimento vero e proprio e movimento terminale di reazione all’azione. L’anticipazione può essere fisica, implicita nel movimento, come la contrazione dei muscoli al momento di un salto, oppure il braccio che si piega all’indietro prima di scagliare un pugno, o anche uno sguardo che precede uno spostamento ecc. L’anticipazione permette al pubblico di focalizzare l’attenzione sul personaggio o su di un punto specifico dello schermo prima che si andrà a compiere una determinata azione, in sostanza dirige l’attenzione del pubblico di modo che non perda l’azione e generalmente indica piuttosto chiaramente quale sarà il movimento che successivamente verrà eseguito, o comunque, permette al pubblico di capire chiaramente che si sta per effettuare un determinato movimento. Il tempo entro cui si compie il movimento anticipatorio dipende da quanto pensiero precede l’azione e anche da quanto veloce sarà il movimento successivo. Approfondimenti Introduzione 04. FOLLOW THROUGH AND OVERLAPPING ACTION (Susseguenza ed Arrivo Oltre il Punto di Stop) Le azioni molto veloci richiedono un lungo periodo di anticipazione; se pensiamo ai cartoon in cui un personaggio schizza fuori dallo schermo lasciando una nuvola di polvere infatti, prima di sparire, il personaggio assume una posa statica o prende chiaramente la rincorsa, questa è la posa di anticipazione al movimento della corsa. Generalmente, quanta più anticipazione viene usata, tanto più il pubblico si aspetterà l’azione conseguente e tanto più veloce potrà essere l’azione senza preoccuparsi che il pubblico la perda di vista. L’anticipazione può essere perciò utilizzata per creare suspence negli spettatori. Infine, l’anticipazione può anche essere usata per enfatizzare il peso di un oggetto o di un personaggio: per sollevare un oggetto molto pesante, per esempio, un personaggio si prepara al sollevamento chinandosi lentamente verso terra e preparandosi allo sforzo, oppure, un personaggio molto pesante si prepara ad alzarsi da una sedia spostandosi prima col bacino e spingendosi poi con le braccia. Come l’anticipazione anticipa il movimento, il FollowThrough Action rappresenta il movimento che segue un azione compiuta. Difficilmente un’ azione termina nettamente non appena è stata eseguita, generalmente un movimento viene portato avanti un po’ oltre la sua esecuzione. Se per esempio pensiamo al movimento di un braccio che lancia una palla, quando la palla è stata lanciata, il braccio non si ferma immediatamente ma continua la sua corsa seguendo il percorso del lancio. In proposito, va considerata Follow Through Action anche la reazione di un personaggio nei confronti di un’azione appena avvenuta; questa reazione spesso esprime chiaramente cosa il personaggio stia pensando/provando. Movimento anticipatorio del coyote prima di iniziare l’inseguimento. Wyle il coyote e Road Runner, serie tv Looney Tunes di Chuck Jones In basso: Follow Through Acton del braccio che, dopo aver scagliato il pugno, continua la sua corsa. Illustrazione tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair. Per quanto riguarda invece l’ Overlapping Action, cioè il sovrapporsi delle azioni, si considera che nel movimento di un soggetto/oggetto, le sue parti non si muovono mai tutte in simultanea, ma piuttosto con movimenti a catena: alcune parti si muovono prima, iniziando l’azione e trascinano poi con sé, nel movimento, le altre parti più leggere. Si pensi ad una camminata che inizia col movimento del bacino che, oscillando in avanti, mette in moto le gambe e, quando il bacino gira, viene seguito dal petto, dalle spalle, dai polsi e infine dalla mano; oppure ad un personaggio che afferra un oggetto, si muove prima il suo braccio, poi l’avanbraccio ruota e il polso si alza, 153 Anticipation più Overlapping Action di zampe, antenne e pungiglione dell’ape Andrè and Wally B. corto Pixar (1986) Follow Through e Overlapping Action Eolo Character Biancaneve e i Sette Nani (1937) tratto da: Cinema d’Animazione Valerio Oss Pixel Cartoon www.ilcorto.it 154 quindi la mano si apre e afferra l’oggetto. Bisogna tenere presente che molte azioni evidenti iniziano dal bacino, che le azioni compiute con le mani sono guidate dai polsi e che i movimenti della testa sono preceduti da quelli degli occhi. E’ importante poi che nel susseguirsi tra un’ azione e l’ altra, non si attenda mai il totale completamento dell’azione per dare inizio a quella successiva; è bene che le azioni si sovrappongano leggermente, di modo da avere un movimento continuo e non spezzato, più naturale e interessante. E’ infine necessario prendere in considerazione anche le appendici flessibili o carnose di un soggetto/oggetto, come code, orecchie, baffi, capelli, abiti ecc. Queste parti si muovono ad una velocità inferiore rispetto alle parti dello scheletro, per cui vengono tutte trascinate dall’azione principale, muovendosi a velocità diverse a seconda della forma, della grandezza e del peso (materiale) di cui sono composte. Inoltre, a seconda di questi fattori, impiegano più o meno tempo a fermarsi: più le appendici sono pesanti e più velocemente tendono a seguire il movimento principale, impiegando però maggiore tempo a fermarsi; contrariamente, più sono leggere, più lentamente seguono l‘azione principale, fermandosi però più velocemente. Per esempio, nell’immagine in alto a destra tratta dal cortometraggio “The Adventures of Andrè and Wally B.”, le antenne, le gambe e il pungiglione rappresentano le appendici dell’ape e si muovono tutte in modo diverso seguendo l’azione principale dello scatto: il pungiglione, che è più rigido e pesante, viene trascinato immediatamente insieme al corpo, ma quando il corpo si fermerà, anch’esso cesserà il movimento; i piedi invece, che sono flessibili come palloncini d’acqua, impiegano più tempo sia per seguire l’azione principale, sia per fermarsi. Spesso gli animatori giocano attribuendo creative variazioni alle parti appendici, per rendere l’azione più interessante e farla apparire più naturale. Questo effetto vene chiamato ‘trazione’ (drag) e rende molto verosimile l’animazione. Un consiglio finale riguarda poi la tecnica del “moving Approfondimenti Introduzione hold” che consiglia di mantenere sempre un personaggio in leggero movimento quando conclude la sua azione, questo perché la fissità delle pose toglie vita al soggetto, interrompendo il fluire dell’azione. Una differenza sostanziale tra 3d e 2d consiste nel fatto che in 3D non è mai possibile far assumere al personaggio una posa statica come invece può capitare nel 2d, questo perché, non appena il personaggio assume una posa statica, automaticamente perde vita agli occhi dello spettatore. La soluzione è mantenere sempre qualcosa in movimento, anche se minimamente percepibile. 05. STAGING (Messa in Scena) Lo Staging è una tecnica teatrale che consiste nella “messa in scena” di un’ idea o di un’azione, affinché sia inconfondibilmente chiara agli occhi dello spettatore. Un’azione viene “messa in scena” perché se ne comprendano i meccanismi e le cause, una personalità viene “messa in scena” perché possa essere compresa, il mood di una scena viene “messo in scena” per influenzare il pubblico e così via. Ogni cosa deve essere rappresentata nella maniera più semplice ed esplicita possibile prima di passare alla successiva. Se occorre mostrare della tristezza, tutti gli elementi in scena devono sprigionare tristezza, per non creare attriti. La storia viene raccontata attraverso azioni ed emozioni che il pubblico non può perdere di vista, altrimenti la storia ne soffre. L’importanza dello Staging risiede proprio nel guidare l’attenzione dello spettatore nel punto preciso e nel momento esatto dove si sta verificando quel che vogliamo mostrare ed esprimere. Lo Staging diventa quindi ancora più importante nei casi in cui la storia necessita di mostrare al pubblico delle azioni poco evidenti nel contesto in cui si svolgono. Bisogna però fare attenzione a non confondere lo spettatore rappresentando troppe azioni/idee in una volta sola. Bisogna perciò utilizzare intelligentemente lo Staging per guidare l’attenzione dello spettatore considerando che, in un contesto normale e tranquillo, l’attenzione si concentra nei punti in cui si svolge un movimento evidente; in una situazione agitata, invece, avviene il contrario, l’attenzione si dirige dove c’è calma. Occorre creare contrasto tra l’azione principale e il resto della scena per evitare che si focalizzi l’ attenzione su di un punto sbagliato dello schermo. Un vecchio concetto legato allo Staging riguardava l’importanza di disegnare in silhouette i movimenti chiave affinché non venissero confusi nel bianco&nero dei disegni. Questo problema è ormai risolto, ma il concetto delle silhouette va comunque tenuto in considerazione, perché può ancora capitare che un personaggio, muovendosi, copra se stesso o parte dei suoi movimenti. Lo Staging del lancio della palla accentua il movimento rendendolo chiaro ed evidente. Serie di disegni tratta dal libro Cartoon Animation di Preston Blair 155 Pose to Pose Action: l’animatore pianifica attentamente l’andamento della azione The Animator ‘s Survival Kit Richard Williams animatore 06. STRAIGHT AHEAD ACTION AND POSE TO POSE ACTION (Azione diretta e Azione da Posa a Posa) Esistono due modalità principali con cui un animatore tradizionale può affrontare il foglio bianco in animazione: la prima modalità è chiamata “Straight Ahead” (azione diretta), che, come dice la parola, consiste nel disegnare tutte le pose di getto, una dopo l’altra, linearmente, (frame by frame) avendo ben chiaro il punto della storia. In questo caso l’animatore, quando inizia a lavorare, non ha un piano preciso di come il tutto sarà realizzato, sia i disegni che l’azione hanno un look fresco e semplice e l’intero processo si mantiene su di un alto livello di creatività, spontaneità e freschezza. Nella seconda modalità invece, definita “Pose-to-Pose Action” (azione posa per posa), che è la più usata, l’animatore pianifica attentamente il lavoro, calcolando esattamente quanti e quali disegni sono necessari per animare una scena. Inizialmente si organizza il Timing e lo Spacing, poi si realizzano i disegni per gradi di importanza: prima tutti i disegni delle pose chiave, poi gli estremi, le posizioni di intermezzo (breakdown) e infine 156 le intercalazioni. Una scena organizzata in questo modo risulta ben comprensibile allo spettatore e funziona sempre in modo corretto ed equlibrato. Questo è un metodo essenziale per realizzare le scene più importanti dove occorre un’ottima recitazione e una tempistica precisa delle azioni. La differenza di base è che con il Pose-To-Pose Action, si sa esattamente cosa succederà nel tempo, ma l’azione in alcuni casi perde di vitalità e originalità, mentre invece, con lo Straight Ahead non si può sapere come l’azione si evolverà, ma il risultato sarà sempre molto fresco e creativo. Utilizzare un procedimento che risulti dall’unione di entrambe le tecniche sembra essere la soluzione migliore, organizzando prima l’ azione in modo Pose-to-Pose e poi, una volta definiti i punti chiave, procedendo guidati dalla creatività entro i limiti imposti. La tecnica “Pose to Pose” utilizzata in animazione tradizionale è difficilmente applicabile all’animazione 3D a causa delle intercalazioni generate automaticamente dal programma e poco controllabili; ciò nonostante, la tecnica “layer by layer down the hierarchy” funziona concettualmente allo stesso modo perché richiede l’organizzazione a priori delle pose. 07. SLOW IN AND SLOW OUT (Rallentamento in Approfondimenti Introduzione 07. SLOW IN AND SLOW OUT (Rallentamento in Entrata e in Uscita) Lo Slow In and Out rappresentano rispettivamente la graduale accelerazione e decelerazione di un movimento e dipendono direttamente dal Timing&Spacing delle pose. Un soggetto/oggetto può rallentare all’avvicinarsi di una determinata posa (Slow In) oppure può gradualmente accelerare da una posa statica verso un’altra (Slow out). Per esempio, un pendolo, oscillando rallenta avvicinandosi al punto più estremo dell’arco (slow in), fermandosi, per poi accelerare di nuovo verso l’interno (slow out). Allo stesso modo una palla che rimbalza, rallenta prima di raggiungere il punto più alto (slow in), fermandosi, quindi accelera tornando verso terra (sLow out). La quantità di accelerazione/rallentamento di un azione dipende dallo spazio tra le pose degli intermezzi: più le pose sono vicine tra loro e maggiore è il rallentamento. In animazione, per enfatizzare questo effetto, vengono aggiunte più pose (disegni) agli estremi di un movimento, rallentandolo, e molto poche nel mezzo, creando così un movimento centrale più rapido e veloce. Temporizzare le intercalazioni in modo da porne in maggior numero agli estremi e una sola nella parte centrale restituisce un effetto piuttosto “spiritato”, con il personaggio che parte lento, accelera ed infine termina di nuovo lento. Il “Fast In and Fast Out“ è invece il movimento inverso per cui un personaggio/oggetto accelera all’inizio, rallenta nel mezzo e accelera nuovamente alla fine; viene spesso usato per dare un senso surreale alla storia. Come sempre, non bisogna esagerare nell’utilizzo di questi “trucchi” per evitare di appesantire troppo la visione. Sopra: Slow-In e Slow-Out di un pendolo che rallenta la sua corsa agli estremi e aumenta velocità tornando verso l’interno Slow In e Out di un personaggio. Illustrazione tratta da Cinema d’Animazione Valerio Oss Pixel Cartoon www.ilcorto.it 157 09. EXAGGERATION (Esagerazione) 08. ARCS (Archi) Movimento ad arco: la maggior parte dei movimenti segue percorsi ad arco The Animator ‘s Survival Kit Richard Williams animatore. 158 Il percorso compiuto da un movimento ha molto spesso un andamento ad arco; questo perché in natura l’arco, non la retta, rappresenta il percorso più breve per compiere un movimento da una posizione ad un’ altra. Tutti noi ci muoviamo seguendo delle linee curve, pensiamo al movimento di un braccio che saluta, per esempio, o alla rotazione delle gambe durante la corsa. E’ molto raro che un personaggio o i suoi arti si muovano in linea retta, perciò i movimenti ad arco sono usati in animazione per conferire all’azione un effetto naturale e fluido. In alcuni casi un movimento ad arco può terminare trasformandosi in un percorso a linea retta, ma solitamente, persino nei movimenti diretti, come un lancio di un oggetto, questo ruota su se stesso. Utilizzando programmi 3D si possono incontrare problemi nella creazione di movimenti ad arco quando l’azione è veloce, perché il computer tende ad interpolare i movimenti rapidi in linee rette. Questo problema deriva dal fatto che la curva che controlla il Timing è la stessa che controlla il percorso del movimento, è perciò necessario aggiungere un maggior numero di intercalazioni. L’esagerazione di un’ azione è un principio piuttosto ovvio, implica l’enfatizzazione di una forma, un movimento o un espressione, allo scopo di accentuarne l’essenza e renderlo il più esplicito e divertente possibile. Se un personaggio è spaventato, bisogna renderlo terrorizzato, se è innamorato, bisogna renderlo pazzamente innamorato, se è arrabbiato renderlo furioso e così via. Una specie di caricatura della realtà per ottenere un contatto più immediato con il pubblico. Questo ovviamente non significa che bisogna distorcere insensatamente delle espressioni o rendere le azioni arbitrariamente più violente e irreali. L’esagerazione va valutata in rapporto al mondo in cui è inserita, alle leggi che lo governano, al clima della scena e alle sensazioni del personaggio. L’esagerazione in un contesto potrebbe essere adeguata mentre in un altro potrebbe risultare completamente irreale: un’ azione credibile nel 2D potrebbe non esserlo altrettanto nel 3D proprio per la resa realistica delle immagini; un’ eccessivo Squash&Stretch in 3D infatti, non risulta credibile come invece in animazione tradizionale. L’animatore deve riuscire a trovare l’essenza di un’ idea o il fulcro di un movimento per poi enfatizzarlo, imponendo su di esso l’attenzione del pubblico perché possa capirlo e comprenderlo al meglio. Una scena è composta da molti elementi che possono essere esagerati (forme, emozioni, colori, suoni...), l’esagerazione di tutti questi elementi va però bilanciata in modo adeguato e controbilanciata con elementi più naturali e reali (esagerare qualsiasi cosa apparirebbe innaturale). Per controbilanciare gli elementi di esagerazione si usano spesso degli ambienti realistici (o anche solo i terreni). Approfondimenti Introduzione 10. SECONDARY ACTION (Azioni Secondarie) La Secondary Action è un’azione secondaria, di più lieve entità, che deriva da un’altra azione dominante e ne è subordinata, come per esempio il movimento di una coda trascinata da un animale in corsa, oppure lo sfrusciare di un abito durante uno spostamento; anche l’espressione facciale di un personaggio potrebbe essere considerata un’azione secondaria se si volesse enfatizzare il movimento del corpo. Le azioni secondarie sono importanti perché arricchiscono la scena, aumentando l’interesse del pubblico e aggiungono una complessità realistica all’animazione. Generalmente la Secondary Action avviene in contemporanea con l’azione principale e molto spesso è un’azione indipendente dalla volontà del soggetto che la compie. La difficoltà principale sta nell’unificare l’animazione di due cose temporizzate separatamente. Nei casi in cui l’azione secondaria entra in conflitto con l’azione principale, disturbandola, o addirittura diventando più interessante, occorre riconsiderare la messa in scena dell’azione (oppure non si tratta di un azione secondaria). Se durante lo svolgimento di una Secondary Action devono avvenire dei cambiamenti importanti, che devono essere notati (ex. espressione di un volto), è meglio che avvengano prima o dopo il movimento principale; questo perché se avvengono durante l’azione principale, esiste un alto rischio che non vengano notati. L’azione messa in scena può poi essere rafforzata da un’azione sussidiaria come ad esempio lo scuotere della testa di un personaggio che scatta in piedi intimorito, oppure il gesto di asciugarsi una lacrima velocemente durante un diverbio ecc. Exaggeration Droopy della serie tv MGM cartoon di Tex Avery Secondary Action della corda trascinata dal salto della lampada. Luxo Jr (1986) Pixar. Secondary Action nel volto del personaggio dopo che si è sistemato adeguatamente. Disegno tratto da: Cinema d’Animazione Valerio Oss Pixel Cartoon www.ilcorto.it 159 ad una lampada bambino, nella stessa maniera in cui un bambino si differenzia da un adulto: la lampadina è identica a quella del padre mentre la testa è più piccola, il braccio meccanico mantiene lo stesso diametro ma si accorcia nelle proporzioni. Tra gli accorgimenti più importanti bisogna ricordare che: il volume del modello deve esprimere solidità, profondità e bilanciamento nelle forme; occorre evitare la simmetria perfetta nelle posture degli arti (fermi o in movimento); e infine che non bisogna mai specchiare perfettamente i due lati del volto (ex. non specchiare perfettamente uno sbadiglio tra i due lati del voto, ma inclinarlo di più da un lato). Naturalmente anche la voce di un attore può conferire molto Appeal ad un personaggio. 11. APPEAL (Attrattiva) Rendere una cosa attraente significa renderla piacevole da guardare, ma questo non significa che per forza un personaggio deve essere bello, carino, dolce o suscitare tenerezza, significa solamente che deve essere reso attraente, comunicativo e magnetico. Se un soggetto/oggetto è sgraziato, troppo complicato o ha un cattivo design, non attira lo sguardo del pubblico e conseguentemente perde in comunicatività e attenzione. In questo caso è allora importante delineare chiaramente le forme e bilanciare i volumi (peso e spessori), di modo che appaiano reali. Nel cortometraggio della Pixar “Luxo Jr.” per esempio, l’Appeal viene reso giocando con le proporzioni delle lampade: la più piccola non è semplicemente scalata di dimensioni, ma ha delle proporzioni che la rendano simile 160 12. PERSONALITY (Personalità) Quest’ultimo essenziale principio è in pratica il risultato della somma dei principi precedenti. Quando un personaggio ha una personalità definita, di conseguenza acquista vita e credibilità, i suoi movimenti appaiono come il risultato dei suoi pensieri e il pubblico lo percepisce come un soggetto pensante, si dimentica della sua irrealtà e, tramite esso è Introduzione Approfondimenti trascinato nella storia e vive le sue emozioni. Più la personalità di un personaggio è distinta e riconoscibile, con caratteristiche che il pubblico riconosce come familiari, più il soggetto diventa credibile e attraente. Un animatore deve avere ben chiaro tutte le sfaccettature di carattere dei soggetti con cui lavora, deve conoscere i loro desideri e le loro aspirazioni, perché in base ad essi deve eseguire l’animazione. I personaggi che risultano vincenti, non solo reagiscono a delle situazioni, ma agiscono in base al loro istinto e perfino al loro umore, alle situazioni che gli si presentano. Quando un personaggio ha successo e il pubblico si affeziona, automaticamente entra nell’immaginario comune di migliaia di persone, molte altre cose a questo punto, cadono in secondo piano. Nella pagina di destra: Appeal: le due lampade da tavolo, pur restando realistiche sono caratterizzate in modo da apparire una il genitore e l’altra il figlio. Luxo Jr. (1986) Pixar Personality: un personaggio deve saper esprimere una forte personalità. Miarge character The Incredibles (2004) Disney / Pixar 161 162 Post-produzione 2D & 3D 5.1 Screening Test eo d vi e n io uz io d uz ro d st -p ro 5.3 Post Produzione Video po st -p po sc re en o n g te st n e au d io 5.2 Post Produzione Audio 2D 1.1 1.2 1.3 3D 163 5 Salley Character Monster & Co. (2001) Disney / Pixar 164 Prologo La post-produzione ha quindi fasi uguali per entrambi i processi produttivi, fermo restando che ogni progetto ha poi le sue peculiarità produttive. Terminata la fase di Rendering ed ottenute delle immagini bidimensionali in entrambe le produzioni, si passa allora al loro assemblaggio attraverso il montaggio video e successivamente a quello audio (mixing audio), per l’ottenimento della versione finale (Final Cut). La fase di Post-produzione non si limita comunque alla semplice operazione di assemblaggio delle immagini, ma consiste in una vera e propria fase di produzione in cui la storia viene migliorata sia a livello visivo che sonoro. Il montatore è senza dubbio la figura chiave di questo processo, che si occupa del montaggio, lavorando a stretto contatto con il regista fin dalle prime scene dello Storyboard. Al montatore è quindi richiesta una grande sensibilità, sia per gestire al meglio la temporizzazione della storia, sia per trasmettere al meglio la visione del regista e il significato del racconto. Con l’introduzione dei mezzi informatici il procedimento di montaggio utilizzato tradizionalmente in animazione, chiamato montaggio lineare (Linear Editing), in quanto opera su di un flusso di immagini in sequenza ben definita, è stato oggi sostituito dal montaggio non lineare (Non Linear Editing) che, invece di usare moviole, centraline, mixer, video registratori ecc. permette di operare un montaggio digitale, a computer, non sequenziale e quindi molto flessibile. Il grande vantaggio del sistema non lineare è che opera off-line, cioè non lavora direttamente sulla pellicola e consente di operare su dati digitali, testando diverse soluzioni senza preoccuparsi di alterare niente in modo definitivo; per il computer infatti, le immagini sono dati che possono essere spostati, cancellati, aggiunti e alterati in qualsiasi punto della storia. Il sistema non lineare, lavora con più livelli di immagini (ognuno dalle proprietà modificabili) e permette di effettuare sia operazioni semplici quali tagli, aggiunte, cambiamenti di scena, titolazioni e variazioni audio, sia vere e proprie modifiche delle immagini e della loro composizione a video, con l’aggiunta di effetti speciali o di immagini provenienti da altre fonti video o software. Il processo inizia lavorando sulle immagini video e poi sul sonoro, aggiungendo l’audio alle immagini lavorate (mixing delle tracce audio), e infine aggiungendo i titoli e i credits. Una volta terminato il lavoro, le varie parti vengono assemblate in un unico file e si effettua il Rendering finale, in qualità ormai definita broadcast, ottenendo così la storia Post-produzione Introduzione nel formato definitivo (Final Cut). I master provenienti da una post-produzione digitale, oltre a dover essere veloci, accessibili e qualitativamente elevati, godono di un’estrema duttilità; a partire dalle stesse informazioni registrate su hard disk si possono effettuare infatti innumerevoli trasferimenti su supporti eterogenei, l’animazione può essere esportata su un supporto digitale, quale CD-rom o DVD, oppure riversata su nastro magnetico (VHS, Betacam SP, Mini DV ecc.), utilizzando i formati internazionali (PAL, NTSC, SECAM) o della televisione digitale (HDTV, SDTV, 4:3 e 16:9), oppure può anche essere caricata direttamente in internet (il formato più utilizzato è l’swf). I vantaggi del montaggio non lineare sono innumerevoli, anche se il costo del materiale per allestire una sala di montaggio off-line è incredibilmente maggiore: per immagazzinare i dati infatti si utilizzano degli hard-disk molto spaziosi e con particolari requisiti, come un’elevata velocità di risposta e numero di giri, in grado di permettere una lettura senza “salti” del flusso visivo a 24 fotogrammi al secondo. I software più diffusi nel settore professionale sono Avid Media Composer, Film Composer 8000, Data Translation’s Media 100, Lightworks, The Video Cube, D-Vision o anche Final Cut Pro e Adobe Premiere. 5.1 Screening Test Prima di avviare la post-produzione, i film vengono solitamente sottoposti ad uno o più test di proiezione, chiamati Screeaning Test, per controllare le reazioni del pubblico alla storia e ai personaggi. Il primo test viene effettuato con il filmato ancora allo stato grezzo (con una colorazione di massima) ma già munito di dialoghi e colonna sonora temporanei. A questo primo test se ne aggiungono poi altri, per successive verifiche riguardo ad aggiunte o tagli di scena e varie correzioni. Fino agli ultimi test di proiezione quindi, il film può ancora subire modifiche. Le prime sono invece altri tipi di proiezione effettuati per la pubblicizzazione del prodotto, a fini di marketing. 5.2 Post-produzione Audio sessioni audio temporanee Durante la produzione vengono utilizzate delle tracce audio temporanee che, insieme alle indicazioni del regista, fanno da le linee guida a montatore ed animatori per aiutarli a svolgere il loro lavoro avendo ben chiaro le esigenze del progetto e le emozioni da trasmettere. Il lavoro di queste figure è infatti fortemente influenzato dal ritmo musicale della storia. Vengono quindi effettuate due sessioni di prova, la Sound Spotting per gli effetti sonori e la Music Spotting per la colonna sonora, in cui il regista valuta con precisione (scena per scena) dove inserire l’audio per contribuire nel modo migliore allo svolgimento della storia. 165 Un buon posizionamento dell’audio implementa notevolmente sia la storia che il coinvolgimento del pubblico. In queste fasi, quando vengono effettuate delle modifiche ai tempi della storia (tagli/allungamenti), il team del sonoro deve costantemente aggiornare il posizionamento delle tracce audio perché siano nuovamente sincronizzate con le immagini. Sound Spotting (effetti sonori): Le scene della storia, munite degli effetti sonori, vengono revisionate da Regista e Montatore, con la supervisione del Montatore del sonoro e del team audio (sound designer, rumorista, supervisore dei dialoghi) e si procede al loro esatto posizionamento rispetto alle immagini. Music Spotting (colonna sonora): Viene effettuata dal compositore e dal montatore della musica, con il preciso scopo di trovare l’accompagnamento musicale più adatto al film, che fornisca delle chiare indicazioni sulle atmosfere e sulle emozioni dei personaggi, guidando così le emozioni del pubblico. Le decisioni prese influenzeranno quindi l’arrangiamento finale e saranno utilizzate dal montatore nel montaggio delle scene col sonoro. Le sessioni di spotting possono essere effettuate in vari momenti della produzione, ma generalmente è consigliabile averle terminate prima di avere la musica, gli effetti sonori e i dialoghi definitivi. 166 Design degli Effetti Sonori definitivi In questa fase il supervisore degli effetti sonori, studiando la storia (munita di alcuni effetti sonori temporanei), si occupa di appuntare tutti gli effetti che dovranno essere creati o ricercati in apposite librerie sonore già esistenti. Questi effetti sono innumerevoli e variano dal rumore di eventi atmosferici (vento, foglie, tuoni), ai versi di animali, ad oggetti che si muovono (sbattere di una finestra), ai passi in un corridoio e così via... Tutti gli effetti, in particolar modo i suoni ambientali, sono importantissimi perché creano atmosfera e aggiungono realismo alla storia, sostenendo la visione dello spettatore. Una volta ottenuti tutti questi suoni, tramite la così detta sessione di “foley”, si procede poi nell’individuare il punto esatto dove inserirli nel film, in base alle tracce della sessione di Sound Spotting. Mixing Audio Finale Concluse le registrazioni dei dialoghi, delle canzoni, degli effetti sonori e della musica definitivi, il missaggio finale si occupa di montare insieme tutte le componenti audio. Inizialmente, le tracce di dialoghi, musica ed effetti sonori sono mantenute su livelli separati, per poter ottenere la giusta combinazione del livello audio dei vari elementi. Il missaggio finale, in cui tutte le componenti audio vengono unite, prende il nome di copia master e può essere realizzato in vari formati a seconda delle necessità produzione: Dolby Digital, DTS, SDDS o THX. In previsione della riproduzione in paesi esteri, le tracce vocali vengono solitamente mantenute separate per effettuare il doppiaggio delle voci. Post-produzione Introduzione 5.3 Post-produzione Video La post-produzione video inizia non appena terminata la fase di Render e consiste nell’assemblare tutte le immagini renderizzate per ogni fotogramma. Per eseguire il montaggio bisogna avere ovviamente tutto il materiale video, la EDL (Edit decision list), in cui sono indicate le modalità con cui eseguire il montaggio, e bisogna conoscere le specifiche tecniche richieste per l’output finale. In pratica nel lavoro di montaggio, prima si individuano gli spezzoni da montare, quindi questi vengono importati, tagliati, rifiniti, modificati e ordinati tramite software e, solo alla fine, riversati. Compositing Come già detto in precedenza, terminato il processo di Rendering, ciò che si ottiene non è un’ immagine sola per ogni fotogramma, ma più immagini per ogni fotogramma, che devono poi essere assemblate per la creazione di un unico fotogramma finale che andrà sullo schermo. Il procedimento di assemblaggio di queste immagini viene chiamato Compositing, e può essere una fase più o meno lunga e complessa a seconda delle necessità della storia. Esistono diversi software che gestiscono la fase di compositing sa per il 2D (Animo, toonz) che per il 3D (Shake, Nuke). Nella fase di compositing, ogni singolo fotogramma del film viene renderizzato su livelli diversi, a secondo della complessità della scena. Nei casi più semplici si divide l’immagine in personaggi, oggetti, set (scenografie) e sfondi, ma spesso occorrono più separazioni. Sono i direttori tecnici e il supervisore del compositing a decidere come scomporre le immagini a livelli per ogni scena del film. A questo punto, ognuno di questi elementi viene ulteriormente scomposto con una tecnica chiamata Render Pass. Attraverso il Render Pass, tutte le caratteristiche principali di un’immagine, come il colore diffuso, le luci, le ombre, le riflessioni, la specularità, la sfocatura, la trasparenza ecc... possono essere salvate su file distinti, al fine di poterli manipolare singolarmente, senza influire sul resto della composizione. Se per esempio le ombre di una scena risultassero troppo forti, si potrebbe intervenire solo sul livello che le gestisce per schiarirne il colore, ottenendo un nuovo Render in tempo reale, questo è un grande vantaggio in termini di tempo! Molto spesso per ogni fotogramma del film vengono create decine di immagini separate, per ottenere un maggiore controllo su ogni parametro. Il Render Pass permette questo procedimento grazie all’introduzione di un canale alpha aggiuntivo alle immagini, che determina le zone di opacità e trasparenza. Il canale apha in pratica è un’ immagine in scala di grigi che permette di lavorare sulla trasparenza della scena utilizzando il nero come colore di massima trasparenza e il bianco come colore di massima opacità (per cui i diversi valori di grigio rappresentano i diversi gradi di opacità). Il Compositing comunque si usa anche per uniformare i colori delle scene con discontinuità cromatica o per aggiungere effetti speciali o visivi come la sfocatura, la nebbia, lampi di luce e bagliori ecc. In molti casi questi effetti si ottengono anche piuttosto semplicemente. Attraverso il Compositing è inoltre possibile importare immagini da altre fonti (video o software) che andranno ad aggiungersi alla composizione finale. 167 L’ultima fase del montaggio si conclude con il Rendering finale, che permette di ottenere un filmato unico che potrà essere esportato su un supporto fisico (VHS, CD, DVD, Beta, pellicola...) oppure trattato per la distribuzione in rete. Ritocchi Finali (TOUCH UP) E CORREZIONE COLORE Quando una scena è stata completata, a volte può essere necessario intervenire per correggere eventuali sviste o piccoli problemi generati dal software, siccome rifare la scena è molto costoso, spesso si ricorre al fotoritocco digitale con programmi come photoshop, aftereffects o altro. Queste correzioni possono essenzialmente riguardare il riposizionamento dei personaggi, dei cambi di inquadratura (zoom in/out), dei movimenti di camera o delle modifiche sul colore e sulla luce di alcune scene della storia. Se il film è stato stampato su pellicola, è poi possibile che subisca delle variazioni di colore dovute a vari fattori quali la temperatura ambientale o l‘esposizione alla luce; viene quindi richiesta una verifica cromatica da parte del regista attraverso la stampa di prova di alcune scene chiave della storia. Se necessario si interviene con una correzione cromatica che potrebbe interessare la modifica del colore, delle tinte, il contrasto, la luminosità o la saturazione delle immagini. Successivamente vengono fatte altre stampe per verificare che tutte le modifiche fatte siano state applicate con successo. 168 CREDITS A questo punto non resta che aggiungere i Titoli e i Credits. I titoli di testa e di coda, danno informazioni in merito al titolo dell’opera, alla produzione, al regista, agli attori principali e a tutto lo staff artistico e tecnico che ha partecipato alla realizzazione del prodotto audiovisivo. La lista viene aggiornata di continuo durante la produzione ma comunque c’è molta libertà sul numero di persone da inserire e sulla loro lunghezza. Il posizionamento e la dimensione dei credits dipende dalle decisioni di produttore e regista. DISTRIBUZIONE Verificato che i colori delle scene del film sono bilanciati si procede alla creazione del negativo della colonna sonora e all’unione del video col sonoro. Si ottiene così la prima copia stampa. La realizzazione della prima copia stampata viene sottoposta ad un ulteriore controllo di qualità sulla resa video e sulla sincronia dell’audio e, se approvata, si procede alla duplicazione. Vengono allora stampate in positivo tutte le copie della pellicola e si procede alla distribuzione. Post-produzione Introduzione Compositing digitale: un personaggio e due livelli di sfondo La Talpa (2007) Progetto di Mauro Baldissera 169 Rendering finale dopo il Compositing La Talpa (2007) Progetto di Mauro Baldissera 170 Progetto personale 6.1 Concept 6.2 Soggetto 6.3 Trattamento e Scaletta 6.4 Sceneggiatura e Storyboard 6.5 Design dei Personaggi 6.6 Animatic e Layout 3D 6.7 Modellazione 171 6 Pedone protagonista character Il protagonista della mia storia 6.1 Concept Quello degli scacchi è un tema caro sia all’arte che alla letteratura: sono molti gli autori che hanno dedicato una particolare attenzione a questo gioco, che nelle loro opere si spoglia delle sue caratteristiche logico-matematiche da manuale per conservare solo i connotati filosofici ad esso connessi: nati in Persia e diffusi in Europa dagli Arabi tra il IX e il X secolo D.C., gli scacchi comprendono un universo manicheo retto da rigide regole, dove lo scontro tra il bianco e il nero incarna la metafora dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra principi originari e contrari ed è sostanzialmente il simbolo dell’eterna contesa; ogni pedina inoltre è facilmente riconducibile ad un personaggio dalle spiccate personalità e caratteristiche. Ho deciso quindi di raccontare una storia attraverso gli scacchi pensando che potessero essere facilmente rapportabili alle diverse tipologie di personaggi che compongono la società e, in quanto tali, potessero, oltre che raccontare una semplice storia, trasmettere anche un messaggio. Il Concept da cui è nato il mio racconto deriva principalmente dall’idea di sottolineare l’importanza dei personaggi che spesso appaiono più insignificanti, più piccoli, umili o indifesi, che troppo spesso vengono ingiustamente snobbati e ritenuti inutili, quando invece potrebbero rivelare (nella loro umilità) grandi insegnamenti; questo mi pare un concetto importante e attuale, soprattutto in una società individualista come la nostra. 6.2 Soggetto La storia mette in scena una partita a scacchi reale, con le stesse regole del gioco; le pedine, in tutto sei più il protagonista (senza contare le repliche), sono rappresentate da personaggi simil-umani dai ruoli ben caratterizzati e con le stesse mosse vincolate utilizzate nel gioco reale. Il protagonista è il pedone a2 della squadra bianca, il più debole tra tutti i pezzi perché si trova ad un estremo del campo e ha quindi minori possibilità di cattura rispetto agli altri pedoni. La scacchiera si trova su di uno sfondo neutro di colore nero o bianco, non esiste una stanza o una location... 172 Progetto personale la telecamera viaggia essenzialmente all’interno del campo e attorno ad esso. La storia, in breve, racconta di come un Pedone insignificante e pauroso riesce ad arrivare in fondo alla scacchiera e, per un caso fortuito, a mettere in scacco matto il Re avversario, ribaltando le sorti della partita. La morale, come già detto, vuole sottolineare come anche le pedine più insignificanti, a volte, possono rivelarsi fondamentali. Nella prima parte della storia, dopo che tutti i pezzi sono saliti in campo per ordine gerarchico (prima i pedoni, poi torri, cavalli, alfieri, donna e re), allo scoccare del timer, inizia la partita. Nella seconda parte della storia, ovviamente, non verranno mostrati tutti i passaggi del gioco ma saranno presentate solo alcune azioni importanti (per lo più catture), con un numero limitato di pezzi coinvolti; queste mostreranno man mano varie situazioni nel progredire del gioco, fino ad arrivare ad introdurre la situazione finale. In questa parte di svolgimento della partita, le catture saranno per lo più effettuate dalla controparte avversaria, la squadra nera, di modo che, alla fine, risulti evidente il suo vantaggio numerico e strategico sulla squadra bianca. Le avanzate del protagonista saranno intercalate con altre scene di “cattura” che si svolgono in campo; il protagonista non sarà quindi sempre al centro dell’attenzione, ma nella maggior parte delle scene sarà comunque visibile e parteciperà come spettatore, rivelando le sue emozioni (paura). L’attenzione sul protagonista non deve essere assoluta per evitare che il finale diventi scontato; ciò nonostante, essendo il personaggio principale, andrà mostrato spesso per permette allo spettatore di “affezzionarsi” a lui. Il protagonista non catturerà nessuno fino alla fine e ad un certo punto correrà un grosso rischio di cattura prima di arrivare al finale. Nella terza e ultima parte del gioco, il Re bianco sarà messo in scacco matto più volte, di modo da far credere che non ci siano più speranze per la squadra bianca e cercando di creare un senso di agitazione nello spettatore... improvvisamente però, un intervento fortuito del protagonista ribalterà le sorti del gioco, portando incredibilmente la squadra bianca alla vittoria. SPECIFICHE SUI PEZZI La forma dei pezzi rimane quella reale, a cui si aggiungono un volto e due braccia, esclusi la torre e il cavallo. I vari pezzi agiscono generalmente per volontà propria, ma possono ricevere ordini dai superiori. La mobilità dei pezzi è limitata all’interno della loro casella, a parte gli spostamenti e le catture; generalmente, se non coinvolti nell’azione, rimangono fermi, immobili. Ogni pezzo è muto, emette solamente suoni gutturali o, se necessario, utilizza un linguaggio incomprensibile. Quando un pezzo viene catturato generalmente scompare in una nube di fumo emettendo un rumore tipo scoppio (puff). Caratteristiche dei singoli pezzi: PEDONE: il pedone è l’elemento più debole di tutti. Si muove di uno in avanti e mangia di uno di lato; ad inizio partita solamente, può avanzare anche di due caselle. La capacità di attacco di un pedone è scarsa, quindi l’ attacco avverrà nel modo più elementare: sferrando testate. Caratterialmente il pedone è essenzialmente un personaggio semplice, umile e grossolano, poco incline al coraggio. Sonoro: muovendosi emette rumori di passi/ salti e in attacco il suono di una potente testata viene preceduto dallo scoccare di una campanella da boxe, come quelle che scandiscono i round. 173 TORRE: la torre è uno dei pezzi più importanti, si trova all’estremità della scacchiera e si muove lateralmente e frontalmente in tutte le direzioni. In attacco, vista la sua forma solida e robusta, cattura investendo l’avversario con la sua mole, sotto le sembianze di un mezzo come un treno o un automobile. Per quanto riguarda le sue caratteristiche principali, la torre spicca per la sua fisicità, solidità e irruenza, vista poi la sua forma cilindrica, può essere paragonata creativamente ad una tromba, un tubo di scappamento, un cannone... a seconda delle situazioni. Sonoro: per esprimersi la torre emette boati e versi mostruosi; in attacco, il suono ad essa associato è quello di un mezzo come un auto o un treno in movimento, con le ulteriori specifiche sonore quali suoni di clacson, rotaie, motore. ecc.. In alcune situazioni la torre può emettere il suono di una tromba. 174 L’alfiere si muove in obliquo di quanto vuole e lo fa levitando; giunto alla casella di destinazione si posa. In attacco ruota velocemente su se stesso e scaraventa in aria il nemico eliminandolo. Caratterialmente parlando, questo pezzo dalla forma appuntita e affusolata dà l’idea di essere scattante, diretto, minaccioso e severo. Sonoro: quando si muove l’alfiere è accompagnato da un suono che ne evidenzia la velocità e durante l’attacco, mentre gira, emette l suono di un tifone/turbine. CAVALLO: Il cavallo è l’unico elemento animale e in quanto tale, mantiene le sue caratteristiche di animale energico, scattante, vigoroso come anche facilmente irritabile, nervoso e inquieto. Questo pezzo si muove ad “L” ed è l’unico che può saltare i pezzi che si trovano sulla sua strada; cattura gli avversari saltandoci sopra e trapassandoli nella caduta. Sonoro: il cavallo nitrisce più o meno concitatamente a seconda delle situazioni; muovendosi emette suoni che ne caratterizzano il galoppo, il trotto e il salto. DONNA: La donna, che si trova al fianco del re, rappresenta la regina, la sua “spalla” e la sua consigliera; è decisamente il pezzo più importante dopo il re ed è estremamente versatile negli spostamenti, si muove infatti come uno degli altri pezzi a scelta, tranne il cavallo (in tutte le direzioni di quanto vuole quindi). La donna si muove normalmente ma attacca dal basso, immergendosi sotto la scacchiera come fosse uno squalo in un mare di caselle; la sua corona affiora e si muove in campo come la pinna di uno squalo e gli avversari vengono risucchiati in basso permettendo poi a lei di risalire direttamente sulla casella conquistata. Caratterialmente parlando, la donna è bella, fredda, severa e arcigna, consapevole del suo ruolo e della sua potenza; si caratterizza per eleganza, astuzia e superbia. Sonoro: normalmente negli spostamenti produce un rapido rumore di passi mentre in fase di attacco è accompagnata dalla colonna sonora del film “Lo squalo”. ALFIERE: L’alfiere è riconducibile al personaggio del vescovo, la forma della testa riprende le forme della mitra vescovile e rappresenta il carattere religioso; ciò nonostante molti lo confondono con un cavaliere con l’elmo ed è perciò a questa figura che io mi sono ispirata. RE: Il re rappresenta il pezzo più importante come anche il più inutile; senza di esso la partita non avrebbe senso, l’unico scopo è infatti catturarlo, ma al di là di questo ruolo simbolico, il re in campo è poco utile, muove di uno in tutte le direzioni e va esclusivamente difeso. Progetto personale L’ importanza del re risiede quindi nella sua essenza. In attacco questo pezzo fa un semplice salto sul posto e la casella dell’avversario si apre come una botola negli antichi castelli medioevali. Essendo di scarsa mobilità, il re si caratterizza per lentezza, placidità e pigrizia; cade spesso in preda del sonno, russando rumorosamente: va quindi svegliato. Sonoro: generalmente accompagnato dal suono di passi, spesso sbadiglia o russa perché addormentato; in attacco si sente il rumore della botola aprirsi e l’eco delle urla dell’avversario che cade in basso. PEDONE PROTAGONISTA: Il protagonista è il pedone A2 che, oltre ad essere tra i pezzi più deboli, è effettivamente il più debole tra di loro, avendo minor possibilità di attacco per la sua posizione laterale. L’attacco del pedone è uguale a quello degli altri suoi compagni anche se, per l’estremo timore, non è effettivamente in grado di compiere atti di violenza. Il protagonista è una sorta di “nerd” della situazione, si caratterizza per l’estrema umiltà, codardia, timidezza, remissività e timore, ma anche per una certa dose di ironia/umorismo e impulsività rispetto alle situazioni; in pratica esalta al massimo le caratteristiche della sua “specie”. La sua esigenza drammatica è quella di arrivare vivo a fine partita e questo è il suo unico scopo, non si cura particolarmente delle sorti della battaglia perché si sente impotente ed inutile. Il punto di vista del protagonista è quello di un personaggio che si trova a disagio in un ambiente che non gli conviene, come un pacifista coinvolto in una guerra. Per quanto riguarda i cambiamento, in questa storia il protagonista non cambia, rimane essenzialmente lo stesso, sono gli avvenimenti, la fortuna (o il caso) a portarlo ad essere un eroe pur non avendone le doti. sonoro: spostandosi produce rumori di passi o salti come i compagni ed emette spesso versi che ne sottolineano la paura e l’ansia rispetto alle varie situazioni. antecedenti del gioco Ogni partita rappresenta una battaglia, la somma delle partite rappresenta la guerra in generale, che, giunta alla centesima battaglia, deciderà i vincitori finali: la vittoria del bene sul male o viceversa. Ogni partita è però decisiva per i pezzi che la compongono. Ogni volta che viene portata a termine una battaglia infatti, i pezzi catturati rimarranno in “prigione” e i pezzi rimasti continueranno invece la battaglia successiva. Praticamente, quindi, quando un pezzo viene catturato dall’avversario, nella partita successiva sarà sostituito da un nuovo “soldato”. Un pezzo, rimanendo in vita, sale di grado: un pedone diventa cavallo nella partita seguente e così via per gli altri pezzi; se un pezzo ne cattura però uno di grado superiore, nella partita successiva si merita il ruolo del pezzo catturato. Inoltre, se un pedone arriva in fondo e viene promosso, nella partita successiva sarà il pezzo che è diventato. Il pezzo che mette in scacco matto definitivo il re avversario, nella partita successiva merita di scegliere che pezzo diventare. 175 6.3 Trattamento e Scaletta La storia è così divisa e organizzata in parti dalle specifiche necessità drammatiche: PRIMA PARTE Fasi essenziali: delineare il soggetto introdurre i personaggi principali stabilire i presupposti drammatici creare la situazione ampliare le informazioni sulla storia stabilire un colpo di scena che introduca il secondo atto. La fase iniziale della storia è composta da una parte introduttiva in cui l’occhio della telecamera scende dall’alto avvicinandosi alla scacchiera, perlustrando il campo in lungo e in largo. La perlustrazione della camera viene quindi interrotta dal rumore delle caselle che, sbloccandosi, iniziano a scendere verso il basso per portare poi i pezzi in campo, tipo un ascensore; la salita dei pezzi avviene 176 a gruppi di elementi simili: prima tutti i pedoni (bianchi e neri), poi tutte le torri, i cavalli, gli alfieri, le due regine e infine i re. La salita del pedone protagonista non avviene però insieme a tutti gli altri, ma subito dopo, in seguito al ripetuto bussare (sulla sua casella) di un compagno... questo a dimostrare il suo tentativo di non presentarsi in campo, per sfuggire alla battaglia/al gioco. Una volta salito occorre far notare che il protagonista è molto impaurito e disperato, perciò si mostrerà in possesso di un cornetto portafortuna (unica speranza di salvezza per l’inetto protagonista). Saliti tutti i pezzi in campo, le due squadre in opposizione, una di fronte all’altra, inizieranno a lanciarsi sguardi e gesti intimidatori di modo da alzare la tensione della storia. Per quanto riguarda le riprese delle due squadre, vista la posizione delle pedine e la loro condizione di opposizione/scontro, si manterrà spesso una parte dello schermo riservata ad una squadra e una all’altra (ai neri la sinistra e ai bianchi la destra), di modo da far risaltare maggiormente il contrasto delle squadre come quello delle inquadrature. Ad introdurre il secondo atto in cui inizia la partita è lo scoccare dell’orologio da torneo posto al lato destro del campo da gioco. SECONDA PARTE Nella seconda parte si svolge la partita e vengono mostrate diverse situazioni in tempi diversi, per mostrare il progredire del gioco. Il pedone non sarà l’unico protagonista degli eventi, a volte vi assisterà soltanto come spettatore, questo per evitare che il finale risulti scontato. Visto che la squadra bianca deve arrivare in una situazione di svantaggio, le catture saranno per la maggior parte effettuate della squadra avversaria. Progetto personale Introduzione Fasi essenziali: Il protagonista deve affrontare ostacoli e conflitti che vanno superati per realizzare le sue esigenze drammatiche. Deve esserci poi un secondo colpo di scena che spinga in avanti la storia verso il terzo atto. Schema svolgimento partita nella seconda parte, fase 1. Fase 1: Nella prima fase del gioco inizia la partita e i pedoni fanno le loro prime mosse; le prime catture avverranno quasi subito dopo l’inizio del gioco: cattura pedone N-pedone B, cattura pedone N-pedone B di nuovo cattura cavallo B-pedone N Alla prima cattura, avvenuta con una testata da parte del pedone N sull’avversario B, il povero malcapitato scompare in una nube di fumo. Il pedone N avanza allora sulla nuova casella mentre il protagonista e un compagno si guardano attoniti per la morte del compagno e due pedoni N battono il cinque per festeggiare la vittoria. Il cavallo B spinge allora il pedone B c2 per situarlo in posizione di cattura di modo che, una volta avvenuta la seconda cattura, poi lui possa catturare il pedone N avversario. Questa mossa omicida sconvolge ulteriormente il protagonista e il compagno che vengono inquadrati guardarsi con orrore. Avviene quindi la seconda cattura del pedone N e subito dopo la cattura del cavallo B. La prima scena si conclude quindi sotto le risa soddisfatte dell’alfiere B, con una dissolvenza a nero. 177 Schema svolgimento partita nella seconda parte, fase 2. Fase 2: Fase 3: Nella seconda scena la situazione in campo è leggermente diversa rispetto alla precedente, è passato infatti del tempo e alcuni pezzi hanno cambiato posizione. Visto che un pedone B viene messo in pericolo dall’avanzata del cavallo N, il pavido protagonista è costretto ad avanzare (contrariamente alla sua volontà) per coprirgli le spalle, spinto dalle necessità del gioco. Non volendo avanzare per timore, il protagonista verrà spinto dalla torre B alle sue spalle, cadendo e scivolando fino alla casella dovuta. Immediatamente dopo, il pedone N suo opposto gli sbarrerà la strada con una contromossa, mettendo nuovamente in pericolo il pedone B suo compagno e scoraggiando il povero protagonista a2. Dissolvenza a nero e secondo salto temporale. In questa scena il protagonista è escluso, occorre mostrare anche altre situazioni in campo. La scena mostra inizialmente il solo pedone B. h4 guardare dritto davanti a sé fuoricampo, preoccupato... la telecamera ruota attorno a lui e mostra la torre avversaria pronta ad attaccare che inizia a sbuffare come un treno... tocca però ai bianchi muovere per primi. Interviene da fuoricampo l’alfiere B in volo e si posa a lato del pedone in sua difesa; la torre N smorza allora il suo sbuffo delusa. Ma un pedone N avanza spavaldamente di uno e mette in pericolo l’alfiere B che è costretto a ritirarsi uscendo nuovamente fuoricampo. Avviene allora la cattura torre N-pedone B: la torre inizia a muoversi come un treno diritta in direzione del piccolo avversario, che, preso dal panico, si agita da un lato all’altro all’interno della sua casella fino a che, giunta la torre in prossimità, si lancia giù dalla scacchiera per non essere investito. Si ode un tonfo. Dissolvenza a nero e terzo salto temporale. Fase 4: Questa fase in cui non avviene una cattura vuole essere semplicemente una scena di intervallo più distensiva e divertente; serve inoltre ad introdurre la quinta fase in cui si ritorna al protagonista messo in serio pericolo dalla donna N. La dissolvenza si apre riprendendo tre pedoni (due Neri e un Bianco) disposti in modo triangolare; i due N sono alle spalle del pedone B intento ad osservare con timore misto 178 Progetto personale ad ammirazione l’imponente torre N al suo fianco. I maligni pedoncini N organizzano uno scherzo alle spalle del pedone avversario: un nero si acquatta di soppiatto alle sue spalle e lancia un “BOOO!” facendolo spaventare; il pedone B salta in alto per lo spavento, quindi si gira, guardandoli scocciato, mentre questi ridono compiaciuti per la bravata riuscita. Ma ecco che uno dei pedoni N scorge il protagonista fuoricampo ad osservare la situazione... chiama allora il compagno ed insieme guardano verso di lui con aria scocciata. Il protagonista perplesso non capisce la situazione. I pedoncini iniziano allora a complottare tra loro sotto lo sguardo del protagonista finché, pare, giungano ad una decisione. Un pedone N lancia allora un sasso alla donna N lì vicino e, una volta che la donna furiosa si gira verso di loro, accusano il protagonista di aver compiuto il gesto, indicandolo. La donna furiosa guarda quindi verso il protagonista mentre questi squote le mani negando il coinvolgimento. La donna allora si dirige velocemente verso il protagonista minacciosa, introducendo la quinta fase. Sopra: Schema svolgimento partita nella seconda parte, fase 3. Schema svolgimento partita nella seconda parte, fase 4. 179 Schema svolgimento partita nella seconda parte, fase 5. Fase 5: In questa quinta fase, l’ ultima prima del terzo atto, il pedone è messo seriamente in pericolo; il pubblico deve credere che sia quasi spacciato. La donna furiosa avanza minacciosa verso il pedone che scatta in avanti di uno tentando inutilmente di sfuggire. A questo punto il protagonista è in situazione di cattura, come anche il compagno... tocca ai neri muovere e la donna incombe su di loro. I due si stringono impauriti e la donna furiosa si china verso il protagonista apparentemente intenzionata ad eliminarlo. Il protagonista sembra spacciato ed in preda alla disperazione alza in aria il cornetto portafortuna ponendolo tra sé e le regina N in scopo di difesa. Improvvisamente però la donna emette un ghigno di scherno (per il gesto del pedone) e cambia movente girandosi in direzione dell’alfiere B sullo sfondo, anch’esso in posizione di cattura. Sarà stato il suo obiettivo fin dall’inizio? La donna si dirige quindi verso l’ alfiere immergendosi lentamente sotto il campo da gioco... (inizia a sentirsi la colonna sonora de “Lo Squalo”). Il protagonista e il compagno, chiusi gli occhi per la paura, si accorgono solo tardivamente di essere in salvo. L’alfiere intanto si guarda in giro cercando la donna. Come la pinna di uno squalo affiora allora la corona della regina da una casella del campo e, da lì, inizia a muoversi velocemente girando attorno all’alfiere B per poi scomparire nuovamente sott’acqua giunta davanti a lui. L’alfiere guarda in basso curioso e i due pedoncini assistono alla scena; improvvisamente la donna risucchia in basso l’alfiere che emette un grido. La scena si chiude con il protagonista che bacia il suo cornetto come a ringraziarlo dell’intervento... dissolvenza a nero. 180 TERZA PARTE Fasi essenziali: Nel terzo atto si deve risolvere la situazione drammatica e deve avvenire l’ultimo colpo di scena. Bisogna mostrare il netto svantaggio della squadra bianca, il re B deve essere messo in scacco matto più volte creando tensione e poi il protagonista deve improvvisamente risolvere le sorti del gioco con l’ultimo colpo di scena finale. La scena si apre con il re B messo in scacco matto dalla regina N... la corona a croce del re si accende ed inizia a girare come la croce dell’ambulanza per indicare il pericolo. Interviene l’alfiere B da fuoricampo che si interpone tra i Progetto personale due pezzi a difesa del sovrano. La regina N si avvicina allora alla zona dei bianchi, mettendo Il re in scacco di nuovo; l’alfiere non può fare niente e il re si sposta sfuggendo allo scacco per altre due volte... la tensione sale... la terza volta è messo in scacco dalla torre N. dal lato opposto del campo... Il re sfugge quindi a bordo campo liberandosi dallo scacco della torre ma interviene nuovamente la regina N mettendolo in scacco per l’ennesima volta e costringendolo a retrocedere all’angolo del campo... si avvicina infine la torre che si affianca alla regina bloccando definitivamente il re B all’angolo del campo da gioco. Il re non può muoversi e i bianchi hanno solo un ultima mossa a disposizione prima dello scacco matto definitivo... la partita sembra conclusa. A questo punto i bianchi, rimasti guardano tutti verso il re disperati e scoraggiati (vari scorci); tra i vari scorci ritroviamo quindi il protagonista che, sconvolto dalla situazione, fa cadere a terra l’adorato cornetto portafortuna. Il portafortuna finisce a terra suscitando l’interesse di un pedone N che, per dispetto, si china velocemente nel tentativo di prenderlo e rubarlo al nemico; allo stesso tempo il protagonista fa altrettanto, finendo per eliminare (involontariamente) con una testata il pedone avversario. Tutti si voltano quindi verso il protagonista che, ignaro, si rialza col suo cornetto in mano, guardandosi poi attorno in modo perplesso e realizzando solo posticipatamente di aver eliminato un avversario. Il protagonista è incerto, deve avanzare nella nuova casella conquistata mettendo in scacco matto il re N e allo stesso tempo mettersi in condizioni di cattura da solo; non sapendo che fare guarda allora verso il pedone suo compagno in cerca di conferme... il pedone B gli fa quindi cenno di avanzare e così il protagonista avanza mettendo in scacco matto il re avversario. Il re N cerca allora di avventarsi sul piccolo pedone Schema svolgimento partita nella terza parte. 181 Schema svolgimento partita nella terza parte, fase finale. terrorizzato ma viene fermato da un fischio fuoricampo dell’alfiere, che gli indica che non può catturare il protagonista perché si metterebbe poi in scacco matto da solo. Il re N è costretto a spostarsi e, facendolo, si blocca da solo nella sua nuova casella. La torre B, dal bordo campo opposto, inizia quindi ad esultare con degli “strombazzi“ di clacson e ondulando contenta si dirige verso il re N mettendolo in scacco matto definitivo - la partita è vinta. Il re N diventa rigido come una pietra e stramazza al suolo diritto a sé come nelle partite reali; il protagonista schiva la caduta dell’avversario ed esulta quindi per la vittoria saltando in alto. 6.4 Sceneggiatura e Storyboard Nelle pagine seguenti sono stati riportati i miei disegni dello Storyboard che illustrano le varie fasi importanti della storia in ordine cronologico. Ogni immagine è commentata in modo tecnico, cinematografico, inquadratura per inquadratura, e i suoni importanti sono stati evidenziati in grassetto (per le specifiche tecniche sulle riprese consultare il cap. seguente). 182 Progetto personale CAMPO LUNGO: VISIONE DELLA SCACCHIERA DALL’ALTO, LA MDP SCENDE VERSO IL BORDO CAMPO. MUSICA ALLEGRA TIPO BALLATA MEDIOEVALE DI SOTTOFONDO. DA QUI FINO AL PROSSIMO AVVERTIMENTO. CARRELLATA IN AVANTI: LA MDP SCORRE LUNGO LA SCACCHIERA DAL BORDO IN AVANTI... CARRELLATA IN AVANTI (STESSA RIPRESA): PRIMA LA MDP SCORRE IN AVANTI NELLA SUA LUNGHEZZA... CARRELLATA LATERALE: ...E POI DI LATO NELLA SUA LARGHEZZA (DA SINISTRA VS DESTRA) STACCO CAMPO LUNGO FISSO: LA SCACCHIERA GIRA DA SINISTRA VS DESTRA E POI SI SENTE UN RUMORE SIMILE ALLA MESSA IN FUNZIONE DI UN ASCENSORE (RUMORE APERTURA ASCENSORE). LA MUSICA SCEMA LENTAMENTE C. LUNGO: LENTAMENTE SALGONO TUTTI I PEDONI IN CAMPO, PRONTI SULLE LORO POSTAZIONI (RUMORE ASCENSORE) STACCO C. MEDIO: (INQUADRATURA FISSA DELLA SCACCHIERA DALL’ALTO) SCORCIO DI ALCUNI PEDONI B. CHE, ARRIVATI IN CAMPO, SI ASSESTANO IN POSIZIONE, DOPO LA SCOSSA DI ASSESTAMENTO PER LA CHIUSURA DELL’ASCENSORE STACCO CARRELLATA LATERALE: LA MDP SCORRE LATERALMENTE (DESTRA VS SINISTRA) LUNGO I PEDONI B. COME FOSSE UNO SGUARDO. CARRELLATA LATERALE: PRIMA DI ARRIVARE IN FONDO, LO SCORRERE DELLA TELECAMERA VIENE INTERROTTO DALLO SGUARDO DEI PEDONI B. CHE SI GIRANO VERSO SINISTRA INCURIOSITI CARRELLATA LATERALE: LA MDP RIPRENDE A SCORRERE VELOCEMENTE VERSO SINISTRA SEGUENDO GLI SGUARDI E SI FERMA ALLA POSTAZIONE FINALE, VUOTA. PANORAMICA ALTO VS BASSO: IL PENULTIMO PEDONE B. GUARDA STUPITO VERSO TERRA A DESTRA CAMERA FISSA: TERMINATA LA PANORAMICA, IL PEDONE BIANCO (DI CUI SI VEDE SOLO LA BASE) SI SPOSTA SULLA CASELLA VUOTA E BUSSA CON LA SUA BASE SULLA CASELLA (TOC TOC) STACCO 183 C. LUNGO: LA FILA DI PEDONI B. SI SPORGE A GUARDARE VERSO LA CASELLA DEL RITARDATARIO IN SALITA (RUMORE APERTURA ASCENSORE) STACCO PANORAMICA DAL BASSO VS L’ALTO: PARTICOLARE DEL CORNETTO NELLE MANI DEL PRO. FINO A SALIRE SUL DETTAGLIO DEL VOLTO. ZOOM IN AVVICINAMENTO SULLA TORRE N.: LA TORRE EMETTE UN GRIDO MOSTRUOSO STACCO 184 C. MEDIO FISSO DELL’ANGOLO DELLA SCACCHIERA: (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) DALLA CASELLA SPUNTA LA TESTA DEL PEDONE B. PROTAGONISTA CHE SI GUARDA INTORNO PREOCCUPATO. IL COMPAGNO LO GUARDA PERPLESSO IL PRO RIDE (RUMORE RISA) IMBARAZZATO. ALL’ IMPROVVISO SI ODE NUOVAMENTE IL RUMORE DI APERTURA ASCENSORE; IL PROTAGONISTA SOBBALZA SPAVENTATO. STACCO CAMPO MEDIO: IL CAVALLO B. TERMINA LA SALITA CON UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) (RUMORE APERTURA ASCENSORE) C. MEDIO FISSO: (RUMORE APERTURA ASCENSORE) IL PROTAGONISTA RIPRENDE LA SALITA FINO AD ARRIVARE IN CAMPO; TRA LE MANI STRINGE NERVOSAMENTE UN CORNETTO ROSSO PORTA FORTUNA. (RUMORE ASCENSORE) STACCO C. LUNGO FISSO: RIPRESA ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA: DALLA FILA DI PEDONI B. TUTTI GLI SGUARDI SONO RIVOLTI AL PROTAGONISTA. STACCO C. LUNGO: SALITA DELLE TORRI SUL PIANO DELLA SCACCHIERA (RUMORE DI ASCENSORE) STACCO C. MEDIO DELL’ ANGOLO OPPOSTO DELLA SCACCHIERA: SALITA DELLA TORRE NERA (RUMORE ASCENSORE) E SCOSSA DI ASSESTAMENTO. CAMPO MEDIO: LA MDP SCORRE LATERALMENTE VERSO DESTRA MENTRE SALGONO GLI ALFIERI (RUMORE ASCENSORE) STACCO CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE B. SI ASSESTA, TERMINATA LA SALITA (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) STACCO Progetto personale CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE N. SI ASSESTA, TERMINATA LA SALITA (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) STACCO CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE B. SI ASSESTA, TERMINATA LA SALITA (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) STACCO CAMPO MEDIO FISSO: L’ALFIERE N. SI ASSESTA, TERMINATA LA SALITA (RUMORE ASCENSORE) STACCO (RUMORE APERtURA ASCENSORE) PRIMO PIANO FISSO E VUOTO: LA DONNA BIANCA ENTRA DAL BASSO VS L’ALTO NELL’INQUADRATURA, SALENDO IN CAMPO (RUMORE ASCENSORE) STACCO PRIMO PIANO E CARRELLATA VERSO DESTRA: LA MDP, PRIMA DEL L’ARRIVO IN CAMPO DELLA DONNA B., SI MUOVE GIRANDOGLI ATTORNO ALLA TESTA E PORTANDOSI ALLE SUE SPALLE STACCO PRIMO PIANO FISSO: LA DONNA B. TERMINA LA SALITA CON UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) E DALL’ALTRO LATO LA DONNA NERA FA LO STESSO (RUMORE CHIUSURA ASCENSORE) STACCO PRIMO PIANO DELLA DONNA N. CHE GUARDA VERSO LA DONNA B. STIZZITA E FA UNA SMORFIA POI INTERROTTA DAL SUONO DELL’ASCENSORE (RUMORE APERTURA ASCENSORE), SEGUITO DALLE TROMBE REALI (SUONO REGALE DELLE TROMBE) PRIMO PIANO DELLA DONNA N. CHE SI INCHINA IN AVANTI RISPETTOSAMENTE (SUONO REGALE DELLE TROMBE) STACCO CAMPO MEDIO DELLA TORRE B. CHE SUONA COME UNA TROMBA MUOVENDOSI A RITMO STACCO CAMPO LUNGO RIPRESO DALL’ALTO DELLE PEDINE CHE SI INCHINANO TUTTE INSIEME (SUONO TROMBE) STACCO CAMPO MEDIO DEL RE N. CHE SALE E ARRIVA IN CAMPO CON UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO (RUMORE ASCENSORE E CHIUSURA). LE ALTRE PEDINE SONO TUTTE INCHINATE. STACCO C. MEDIO DEL RE B. CHE, ARRIVATO IN CIMA, STA DORMENDO E RUSSA FRAGOROSAMENTE. (RUMORE DI RUSSA). LA DONNA LO SVEGLIA CON UNA “PEDATA”. STACCO 185 CAMPO MEDIO DI DUE PEDONI N. CHE RIDONO FRA LORO IRRISPETTOSI. (RISA) STACCO C. LUNGO LATERALE DI TUTTA LA FILA DI PEDONI B. CHE SI ARRABBIA SPORGENDOSI IN AVANTI VERSO GLI AVVERSARI. IL PROTAGONISTA LI GUARDA INCREDULO. STACCO C. LUNGO LATERALE DI TUTTA LA FILA DI PEDONI B. CHE SI ARRABBIA SPORGENDOSI IN AVANTI VERSO GLI AVVERSARI. STACCO PRIMO PIANO DELL’ALFIERE B. CHE SI PREPARA ALL’ ATTACCO FACENDO CADERE LA VISIERA (SUONO METALLICO) STACCO PRIMO PIANO LATERALE DELLA DONNA N. CHE, APRENDO LE BRACCIA, FA SCATTARE UN LAMPO COME FOSSE UNA STREGA. (RUMORE DI TUONO) STACCO PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE SI SPAVENTA (URLO) STACCO CAMPO MEDIO LATERALE DEL CAVALLO B. CHE, STIZZITO DAL TUONO, NITRISCE IRREQUIETO STACCO CAMPO MEDIO DELLA TORRE N. CHE EMETTE UN URLO MOSTRUOSO STACCO PRIMO PIANO DAL BASSO DEL VOLTO DEL RE PERPLESSO E PREOCCUPATO STACCO CAMPO MEDIO DEL RE N. CHE RIDE COMPIACIUTO CON LA DONNA CHE SORRIDE COMPLICE STACCO SCATTA LA LANCETTA DELL’OROLOGIO (TICCHETTIO) STACCO CAMPO LUNGHISSIMO DALL’ALTO DELLA TORRE CHE SUONA LA MARCIA DELLA BATTAGLIA (SUONO DI TROMBA) ZOOM IN AVANTI STACCO 186 Progetto personale INIZIA LA PARTITA CAMPO MEDIO FISSO DEL CENTRO CAMPO VUOTO, RIPRESO LATERALMENTE. ENTRA IN CAMPO DA DESTRA UN PEDONE B. CON UN SALTO VS SINISTRA ENTRA IN CAMPO DA SINISTRA VS DESTRA UN PEDONE N. CON UN SALTO... I PEDONI SONO UNO DI FRONTE ALL’ALTRO (NoN POSSONO CATTURARE)... CAMPO MEDIO FISSO DEL CENTRO CAMPO CON LE DUE PEDINE AVVERSARIE CHE SI SPINTONANO (RUMORE COLPI)... ENTRA IN CAMPO DA DESTRA VERSO SINISTRA UN ALTRO PEDONE B. CON UN SALTO. IL NUOVO PEDONE E’ IN POSIZIONE DI CATTURA. LA MDP SI SPOSTA VS SINISTRA RUOTANDO ATTORNO AI PERSONAGGI. SI ODE UNA CAMPANELLA DA RING A SEGNALARE IL MOMENTO... IL PEDONE N. SI GIRA SOGGHIGNANDO MENTRE L’ ALTRO B. SI ACCORGE DELL’ERRORE STACCO CAMPO MEDIO LEGGERMENTE INCLINATO DALL’ALTO DEL PEDONE N. CHE SI AVVENTA CON UNA TESTATA CONTRO LO SBADATO PEDONE B. (RUMORE DELLA TESTATA). IL PEDONE B. SCOMPARE IN UNA NUBE DI FUMO (RUMORE SCOMPARSA) STACCO CAMPO MEDIO DEL PROTAGONISTA E DEL PEDONE B. AL SUO FIANCO CHE SI GUARDANO ALLARMATI STACCO CAMPO MEDIO DI DUE PEDONI N. CHE, SODDISFATTI DELL’INIZIO PARTITA, SI BATTONO IL CINQUE STACCO CAMPO MEDIO DEL PEDONE N. CHE HA CATTURATO CHE SI SPOSTA NELLA NUOVA CASELLA PRIMA OCCUPATA DALL’AVVERSARIO STACCO CAMPO MEDIO DEL CAVALLO B. CHE CON LA TESTA SPINGE IL PEDONE B. CHE HA DAVANTI FACENDOLO FINIRE IN CONDIZIONE DI ATTACCO DA PARTE DEL PEDONE N. CHE SI E’ APPENA MOSSO LA MDP SEGUE LO SPOSTAMENTO DEL PEDONE B. CHE NONOSTANTE LA RESISTENZA, VIENE SPINTO VS IL PEDONE NERO, SACRIFICATO. IL PEDONE N. RIDE NUOVAMENTE, COMPIACIUTO E IGNARO STACCO MEZZA FIGURA DEL PROTAGONISTA CHE, SCONVOLTO DAL SACRIFICIO DEL COMPAGNO, SI PORTA UNA MANO ALLA BOCCA STACCO CAMPO MEDIO FISSO DEL PEDONE N. CHE SI PREPARA A SFERRARE UNA NUOVA TESTATA INCLINANDOSI INDIETRO. IL PEDONE B. CHIUDE GLI OCCHI RASSEGNATO STACCO 187 MEZZA FIGURA: IL PROTAGONISTA SI COPRE GLI OCCHI (RUMORE TESTATA-RUMORE SCOMPARSA) MEZZA FIGURA: IL PROTAGONISTA SI SCOPRE GLI OCCHI E SBIRCIA VERSO L’AVVENUTA CATTURA DELL’ AVVERSARIO STACCO CAMPO LUNGO FISSO: TERMINATO IL SALTO, L’ALFIERE B. RIDE SODDISFATTO MENTRE IL PROTAGONISTA E IL PEDONE B. SI VOLTANO BASITI (RUMORE RISA) SCHERMO NERO CAMBIO SCENA SALTO TEMPORALE DI ELLISSI MEZZA FIGURA PROTAGONISTA: IL PEDONE B. SI VOLTA INDIETRO GUARDANDO ALLE SUE SPALLE, SPERANDO CHE IL RICHIAMO SIA RIVOLTO A QUALCUN ALTRO STACCO SOGGETTIVA DEL PROTAGONISTA - CAMPO LUNGO FISSO: IL PEDONE B., GUARDANDO VERSO IL PROTAGONISTA, RIPETE IL CENNO COL CAPO (RUMORE CENNO) STACCO 188 CAMPO LUNGO: IL PEDONE N. AVANZA DI NUOVO VS LA NUOVA CASELLA SOGGHIGNANDO... IL PROTAGoNISTA E IL COMPAGNO LO GUARDANO ATTERRITI. IL CAVALLO B. NITRISCE IMPAZIENTE... STACCO CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA: IL CAVALLO N. AVANZA IN CAMPO CON UN SALTO (RUMORE GALOPPO). SITUAZIONE PERICOLOSA PER IL PEDONE B. ALLA DESTRA DEL PROTAGONISTA IN POSIZIONE DI CATTURA CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA: IL PROTAGONISTA SCUOTE IL CAPO IN SENSO NEGATIVO RIFIUTANDOSI DI AVANZARE PER PAURA (RUMORE TESTA CHE SI SCUOTE) CAMPO LUNGO FISSO: IL CAVALLO B. SALTA SOPRA IL PEDONE N. CHE SCOMPARE IN UNA NUBE DI FUMO (RUMORE ZOCCOLI-RUMORE SCOMPARSA). I PEDONI B. E IL PRO GUARDANO INORRIDITI. CAMPO LUNGO FISSO: IL PEDONE B. SI VOLTA VERSO IL PROTAGONISTA, E CON UN FISCHIO E UN CENNO DEL CAPO, LO INVITA AD AVANZARE PER PROTEGGERLO (RUMORE CENNO) STACCO CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA: LA TORRE B. PRENDE IN MANO LA SITUAZIONE E SPINGE IN AVANTI IL PROTAGONISTA FACENDOLO CADERE A TERRA (RUMORE SPINTA E RUMORE CADUTA) STACCO Progetto personale CAMPO LUNGO FISSO DA TERRA VERSO L’ALTO DELLA CADUTA DEL PROTAGONISTA CHE MAN MANO, SI AVVICINA ALL’ INQUADRATURA (RUMORE CADUTA) STACCO CAMPO MEDIO FISSO LATERALE DELLA CADUTA: IL PROTAGONISTA, IN CADUTA, ENTRA DA DESTRA VERSO SINISTRA FINENDO IN SCIVOLATA SULLA CASELLA DA OCCUPARE (RUMORE CADUTA) CAMPO MEDIO FISSO LATERALE DELLA CADUTA: MENTRE IL PROTAGONISTA E’ ANCORA A TERRA ENTRA IN CAMPO DI FRONTE A LUI IL PEDONE N. CON UN SALTO (RUMORE SALTO) CAMPO MEDIO FISSO LATERALE DELLA CADUTA: IL PEDONE N. GUARDA VERSO IL PROTAGONISTA E IL PROTAGONISTA ALZA LA TESTA VERSO IL PEDONE NERO STACCO SOGGETTIVA DEL PROTAGONISTA DAL BASSO VERSO L’ALTO: MEZZA FIGURA DEL PEDONE N CHE RIDE CON SCHERNO (RUMORE RISA) STACCO CAMPO MEDIO FISSO LATERALE (UGUALE AL PRECEDENTE): IL PEDONE B. SI LASCIA CADERE TOTALMENTE A TERRA PER LO SCONFORTO (RUMORE DELL’URTO COL SUOLO). IL PEDONE N. CONTINUA A SGHIGNAZZARE. DISSOLVENZA A NERO SCHERMO NERO CAMBIO SCENA SALTO TEMPORALE DI ELLISSI CAMPO MEDIO CHE RUOTA ATTORNO ALLA FIGURA DI UN PEDONE B. FINO A PORTARSI ALLE SUE SPALLE: AL LATO ESTREMO DEL CAMPO IL PEDONE B. GUARDA DRITTO A SE’ ALLARMATO VERSO IL FUORICAMPO CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PEDONE B. CHE MOSTRA CIò CHE STA GUARDANDO ALLARMATO: LA TORRE N. IN SITUAZIONE DI ATTACCO INIZIA A CARICARSI SBUFFANDO COME UN TRENO (RUMORE TRENO) CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PEDONE: ENTRA IN CAMPO DAL LATO SINISTRO L’ALFIERE B. VOLANDO VERSO IL PEDONE B. IN PROFONDITà DI CAMPO (RUMORE SBUFFO TRENO E RUMORE DI velocità’) CAMPO LUNGO STESSA INQUADRATURA: L’ALFIERE B. SI ARRESTA POSANDOSI SU DI UNA CASELLA A LATO DEL PEDONE B. IN POSIZIONE DI DIFESA. LA TORRE N. SMORZA LO SBUFFO INCLINANDOSI IN AVANTI DELUSA PER AVER PERSO L’ OCCASIONE CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: L’ALFIERE B. GUARDA VERSO IL PEDONE B. CHE SORRIDE MENTRE ALLE SUE SPALLE AVANZA CON UN SALTO UN PEDONE N. METTENDOLO IN PERICOLO (RUMORE PASSI) 189 CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: L’ALFIERE B. SI VOLTA E GUARDA VERSO IL BASSO IL PICCOLO AVVERSARIO CHE GLI FA UNA PERNACCHIA SPAVALDO (RUMORE PERNACCHIA) CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: L’ALFIERE B. SI RIVOLTA VERSO IL PEDONE B. E GUARDANDO VERSO IL BASSO, SCROLLA LE SPALLE IMPOTENTE, SOSPIRANDO DI RASSEGNAZIONE (RUMORE SOSPIRO) CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: L’ALFIERE B. SE NE VA USCENDO DI CAMPO VERSO SINISTRA (DOVE ERA ENTRATO) E LASCIANDO SCOPERTO IL COMPAGNO. IL PEDONE B. LO SEGUE CON LO SGUARDO (RUMORE velocità’) CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: IL PEDONE B. TORNA A GUARDARE IMPAURITO VERSO LA TORRE N. CHE RIPRENDE A SBUFFARE COME UN TRENO (RUMORE SBUFFO TRENO). IL PEDONE B. INDIETREGGIA DI SCATTO. CAMPO LUNGO STESSA INQUADRATURA: IL PEDONE B. SI AGITA SPOSTANDOSI ENTRO I BORDI DELLA SUA CASELLA FINCHE’ LA TORRE N. INIZIA LA CORSA VERSO DI LUI. (RUMORE TRENO E RUMORE SPOSTAMENTI DEL PEDONE B.) CAMPO LUNGO STESSA INQUADRATURA: PRIMA CHE LA TORRE N., COME UN TRENO, LO INVESTA, IL PEDONE B. SI LANCIA FUORI DAL CAMPO DELLA SCACCHIERA, PRECIPITANDO VERSO IL BASSO. (RUMORE TRENO E RUMORE SALTO) CAMPO LUNGO, STESSA INQUADRATURA: LA TORRE N. ARRIVA SULLA CASELLA DEL PEDONE E SMETTE DI SBUFFARE MENTRE SI ODE IL RUMORE DEL PEDONE B. CHE SI SCHIANTA AL SUOLO (RUMORE TRENO E RUMORE SCHIANTO) DISSOLVENZA A NERO SCHERMO NERO CAMBIO SCENA SALTO TEMPORALE DI ELLISSI CAMPO MEDIO FISSO DI UNA DISPOSIZIONE A TRIANGOLO 2PEDONI N. E 1 BIANCO: MENTRE IL PEDONE B., DI SPALLE, OSSERVA LA TORRE N., I DUE AVVERSARI NERI SI SCAMBIANO SGUARDI E CENNI DI INTESA CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: MENTRE IL PEDONE B. E’ DI SPALLE OSSERVA LA TORRE N., MAN MANO INDIETREGGIA... UN PEDONE N. GLI SI AVVICINA E SI ACQUATTA ALLE SUE SPALLE 190 CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: IL PEDONE N. ALLE SPALLE DEL B. LO SPAVENTA CON UN “BOOO!” E QUESTI SCHIZZA IN ALTO SPAVENTATO PER LA TENSIONE ACCUMULATA (RUMORE SALTO IMPROVVISO) CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: IL PEDONE B. RIATTERRA E SI VOLTA SCOCCIATO ALLE SUE SPALLE, GUARDANDO CON ARIA SEVERA I DUE PEDONI N. BURLONI CHE SE LA RIDONO DI GUSTO (RUMORE RISA E VERSO STIZZITO DEL PEDONE B.) Progetto personale CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: IL PEDONE B. OSSERVA SCOCCIATO I DUE N. CHE RIDONO FINCHE’ UNO NON SCORGE QUALCOSA FUORICAMPO E, CON UNA SPINTA, AVVERTE IL COMPAGNO INDICANDOGLI VERSO DESTRA (RUMORE SPINTA) CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: TUTTI E TRE I PEDONI SI VOLTANO VERSO DESTRA GUARDANO INCURIOSITI FUORICAMPO CAMPO MEDIO, STESSA INQUADRATURA: TUTTI E TRE I PEDONI SI VOLTANO VERSO DESTRA GUARDANO INCURIOSITI FUORICAMPO STACCO ZOOM INDIETRO - CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA CHE STA GUARDANDO VERSO IL TRIO MENTRE QUESTI SI GIRANO A GUARDARE VERSO DI LUI STACCO PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE GUARDA PERPLESSO E INCURIOSITO STACCO CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA (UGUALE AL PRECEDENTE) CHE GUARDA VERSO IL TRIO MENTRE QUESTI SI RIGIRANO DI SPALLE A COMPLOTTARE A BASSA VOCE (RUMORE BISBIGLI) STACCO PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE GUARDA PERPLESSO E SI GRATTA LA TESTA IN SEGNO DI INCOMPRENSIONE STACCO SOGGETTIVA DEL PROTAGONISTA - CAMPO LUNGO FISSO: UN PEDONE N. DEL TRIO SI VOLTA E PRENDE LA RINCORSA LANCIANDO UN SASSO ALLA REGINA N. CHE STA GUARDANDO IN UN’ALTRA DIREZIONE (RUMORE LANCIO SASS0) ZOoM IN AVANTI - CAMPO MEDIO FISSO: LA REGINA, UNA VOLTA RICEVUTO IL COLPO, SI GIRA LENTAMENTE GUARDANDO VERSO I PEDONI NERI FURIOSA (VERSO DELLA REGINA “GRRR”) CAMPO MEDIO - STESSA INQUADRATURA: I PEDONI N. INDICANO IL PROTAGONISTA COME COLPEVOLE STACCO CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA (UGUALE AI PRECEDENTI): IL PROTAGONISTA SOBBALZA DI STUPORE PER LA SPIACEVOLE SITUAZIONE STACCO PRIMO PIANO DELLA DONNA N. CHE SI VOLTA LENTAMENTE A GUARDARE VERSO SINISTRA IN DIREZIONE DI DOVE HANNO INDICATO I PEDONI N. (RUMORE VERSI DONNA ARRABBIATA) STACCO 191 CAMPO MEDIO FISSO DEI DUE PEDONI N. CHE RIDONO DI SOPPIATTO PER LA BRAVATA. (RUMORE RISA) STACCO CAMPO LUNGO FISSO ALLE SPALLE DEL PROTAGONISTA: LA REGINA NERA INDIVIDUA IL PROTAGONISTA E SI ARRABBIA MOLTO (RUMORE “GRRRR”). IL PROTAGONISTA SCUOTE LE MANI IN SEGNO NEGATIVO PER DISCOLPARSI (RUMORE GESTI) STACCO PRIMO PIANO DAL BASSO VERSO L’ALTO: LA REGINA NERA SI SPOSTA ED ESCE FUORI CAMPO OCCUPANDO L’INTERA INQUADRATURA (RUMORE “GRRRR” E RUMORE PASSI) STACCO CAMPO LUNGO DELLA PORZIONE SINISTRA DELLA SCACCHIERA: LA REGINA N., FURIOSA, SI SPOSTA VELOCEMENTE IN AVANTI DIRETTA VERSO IL PROTAGONISTA... IL PROTAGONISTA SCATTA ALLA CASELLA SUCCESSIVA PER EVITARLA (RUMORE PASSI). STACCO CAMPO MEDIO DAL BASSO VERSO L’ALTO DIETRO IL PROTAGONISTA E IL COMPAGNO: LA REGINA N. SI CHINA VERSO I DUE PEDONI B. ARRABBIATA (RUMORE “GRRR”) MENTRE QUESTI SI AVVINGHIANO L’UN L’ALTRO E TREMANO VISTOSAMENTE STACCO CAMPO MEDIO DAL BASSO VERSO L’ALTO DIETRO IL PROTAGONISTA: ORMAI IN PREDA AL PANICO EGLI ESPONE DAVANTI A SE’ IL CORNETTO PORTAFORTUNA PER PROTEGGERSI DAL PREVEDIBILE ATTACCO (PERICOLO CATTURA) ZOOM IN AVANTI E STACCO CAMPO MEDIO DAL BASSO VERSO L’ALTO DIETRO I PEDONI: LA REGINA N. SNOBBA I PEDONI E SI VOLTA ALLE SUE SPALLE GUARDANDO VERSO L’ALFIERE B. ANCH’EGLI IN POSIZIONE DI CATTURA. L’ALFIERE B. DA LONTANO SI ALLARMA STACCO CAMPO LUNGO DALL’ALTO VS IL BASSO: LA REGINA N. SI DIRIGE LENTAMENTE VERSO L’ALFIERE B. SPROFONDANDO SOTTO IL CAMPO MENTRE L’ALFIERE INDIETREGGIA RENDENDOSI CONTO DI ESSERE SPACCIATO (COLONNA SONORA “LO SQUALO”) CAMPO LUNGO DALL’ALTO VERSO IL BASSO (STESSA INQUADRATURA) : LA REGINA SPROFONDA INTERAMENTE SOTTO IL CAMPO MENTRE L’ALFIERE SEGUE CON LA TESTA LE SUE MOSSE (C.S. “LO SQUALO”) STACCO CAMPO MEDIO DEL PROTAGONISTA E DEL COMPAGNO B. CHE SI ACCORGONO DI ESSERE FUORI PERICOLO E SI GUARDANO INTORNO CERCANDO LA REGINA N. (C.S. “LO SQUALO”) STACCO CAMPO LUNGO DALL’ALTO VERSO IL BASSO (STESSA INQUADRATURA PRECEDENTE) : L’ALFIERE CERCA LA DONNA GUARDANDO IN TUTTE LE DIREZIONI VERSO IL BASSO (C.S. “LO SQUALO”) STACCO DETTAGLIO DEL CAMPO DELLA SCACCHIERA DALL’ALTO VERSO IL BASSO: DA UNA CASELLA INIZIALMENTE VUOTA SPUNTA LA CORONA DELLA DONNA N. CHE SI DIRIGE POI VELOCEMENTE VERSO L’ALFIERE B. ( C.S. “LO SQUALO” E RUMORE ACQUA) STACCO 192 Progetto personale CAMPO LUNGO INCLINATO DALL’ALTO VERSO IL BASSO: L’ALFIERE SEGUE IL MOVIMENTO DELLA CORONA CHE GIRA ATTORNO A LUI PER POI FERMARSI DI FRONTE... ...E SPARIRE NUOVAMENTE SOTT’ ACQUA. L’ALFIERE RIMANE A GUARDARE VERSO IL PUNTO DOVE LA CORONA SI E’ IMMERSA... DOPO UNA BREVE PAUSA, IMPROVVISAMENTE L’ALFIERE VIENE TRASCINATO “SOTT’ ACQUA” (SOTTO IL CAMPO) DA SOTTO LA SUA CASELLA, SEGUITO DALL’ECO DEL SUO URLO. CAMPO LUNGO FISSO: LA DONNA N. RISALE DALLA CASELLA DELL’ALFIERE B. RIDENDO CLAMOROSAMENTE SODDISFATTA DELLA CATTURA STACCO IL PROTAGONISTA BACIA FELICE IL SUO CORNETTO, COME A RINGRAZIARLO DELLO SCAMPATO PERICOLO DISSOLVENZA A NERO SCHERMO NERO CAMBIO SCENA SALTO TEMPORALE DI ELLISSI SCATTA LA LANCETTA DELL’OROLOGIO (TICCHETTIO) STACCO PRIMIsSIMO PIANO DELLO SGUARDO MINACCIOSO DELLA DONNA N. STACCO PRIMISSIMO PIANO DELLO SGUARDO PREOCCUPATO DEL RE B. IN PERICOLO, LA CROCE DALL’ALLARME SULLA CORONA INIZIA A GIRARE E SUONARE (SUONO AMBULANZA) STACCO C. MEDIO FISSO DEL FONDO DELLA SCACCHIERA: iL PROTAGONISTA E UN ALTRO PEDONE B. SI VOLTANO INDIETRO A GUARDARE VERSO IL RE B. INCURIOSITI DAL SUONO DELLA SIRENA STACCO C. MEDIO DELLA TORRE CHE SI GIRA A SINISTRA VERSO IL RE B. UDENDO LA SIRENA D’ALLARME STACCO CAMPO MEDIO DELL’ALFIERE B. CHE SI GIRA A SINISTRA VERSO IL RE B. RICHIAMATO DAL SUONO DELLA SIRENA D’ ALLARME STACCO 193 CAMPO LUNGO INCLINATO DALL’ALTO VERSO IL BASSO ALLE SPALLE DELLA REGINA N.: IL RE B. SI TROVA VINCOLATO SOLO IN UN ANGOLO IN POSIZIONE DI SCACCO E SULLA SUA TESTA GIRA LA SUA CROCE ROSSA ILLUMINATA COL SUONO DELL’AMBULANZA (RUMORE SIRENA) LA MDP SI SPOSTA PORTANDOSI ALLE SPALLE DEL RE B. MENTRE LA CROCE CONTINUA A SUONARE E LAMPEGGIARE (RUMORE SIRENA). ENTRA IN CAMPO L’ALFIERE B. DA SINISTRA VERSO DESTRA (RUMORE “ZOOM”) POSIZIONANDOSI DAVANTI AL RE B. IN DIFESA. STESSA INQUADRATURA FISSA IN CAMPO LUNGO: LA SIRENA SMETTE DI GIRARE E SUONARE. (RUMORE SIRENA CHE SI SMORZA). LA REGINA N. SFERRA UN NUOVO ATTACCO AVVICINANDOSI E METTENDO NUOVAMENTE IN SCACCO IL RE. (RUMORE PASSI E SIRENA) CAMPO LUNGO FISSO (STESSA PRECEDENTE) : IL RE B. SI SPOSTA SUBITO INDIETRO LATERALMENTE SALVANDOSI (RUMORE PASSI E SIRENA SMORZATA). LA REGINA N. SI SPOSTA IMMEDIATAMENTE A DESTRA RIMETTENDO IN SCACCO IL RE B. (RUMORE SIRENA) C. LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA) : IL RE B. SI SPOSTA IN AVANTI SALVANDOSI DI NUOVO (RUMORE SIRENA CHE SI SMORZA). LA TORRE N. DAL FONDO CHE SI SPOSTA A SINISTRA METTENDO DI NUOVO IN SCACCO IL RE B. (RUMORE TRENO E RUMORE SIRENA) CAMPO LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA PRECEDENTE) : TUTTI SI VOLTANO VERSO LA TORRE E POI IL RE B. SI SPOSTA VELOCEMENTE A SINISTRA SALVANDOSI DI NUOVO (RUMORE PASSi E SIRENA CHE SI SMORZA). CAMPO LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA PRECEDENTE) : LA REGINA N. SI SPOSTA VELOCEMENTE IN AVANTI RIMETTENDO IN SCACCO IL RE B. (RUMORE SPOSTAMENTO E RUMORE SIRENA). CAMPO LUNGO FISSO (STESSA INQUADRATURA PRECEDENTE) : IL RE B. SI SPOSTA VELOCEMENTE INDIETRO SALVANDOSI PER L ’ENNESIMA VOLTA (RUMORE SPOSTAMENTO E RUMORE SIRENA CHE SI SMORZA). STACCO CAMPO LUNGO FISSO ANGOLATO ALLE SPALLE DEL RE: LA TORRE N. AVANZA VELOCE COME UN TRENO VERSO IL RE B. FERMANDOSI SU DI UNA CASELLA VICINA MA NON METTENDOLO IN SCACCO (RUMORE TRENO). C. LUNGO FISSO ANGOLATO (STESSO PRECEDENTE): IL RE B. IN TRAPPOLA E’ BLOCCATO E SI AGITA NELLA SUA CASELLA SBATTENDO CONTINUAMENTE SUI BORDI DELLA SCACCHIERA (RUMORE COLPI). STACCO C. MEDIO DALL’ALTO VS IL BASSO: IL RE B. IN TRAPPOLA SBATTE SUI BORDI MENTRE REGINA E TORRE N. FANNO PER AVANZARE. TOCCA PERO’ AI BIANCHI... (RUMORE BATTITI CUORE RE B. ) STACCO PRIMO PIANO DELL’ ALFIERE B. CHE ABBASSA LA TESTA ABBATTUTO (VERSO DI SCONFORTO “SIG”) STACCO 194 Progetto personale PRIMO PIANO DELLA TORRE B. CHE ABBASSA E SCUOTE LA TESTA IN SEGNO NEGATIVO (VERSO DI SCONFORTO) STACCO PRIMO PIANO DEL PROTAGONISTA CHE GUARDA ALLARMATO PORTANDOSI LA MANO ALLA BOCCA (VERSO SHOCK) LA MDP SI SPOSTA VERSO IL BASSO, PER LO SHOCK DELL’ IMMINENTE SCONFITTA, AL PROTAGONISTA CADE DI MANO IL CORNETTO CHE ESCE FUORICAMPO (RUMORE CADUTA) STACCO PARTICOLARE DEL CAMPO DALL’ALTO VERSO IL BASSO: IL CORNETTO RIMBALZA AL SUOLO (RUMORE ATTERRAGGIO AL SUOLO) CAMPO MEDIO FISSO: IL PROTAGONISTA E IL PEDONE N. AVVERSARIO GUARDANO A TERRA INCURIOSITI VERSO IL CORNETTO CADUTO CAMPO MEDIO FISSO: IL PROTAGONISTA E IL PEDONE N. AVVERSARIO RIALZANO LA TESTA E SI GUARDANO DUBBIOSI NEGLI OCCHI, ENTRAMBI CON LA STESSA INTENZIONE DI AFFERRARE IL CORNETTO C. MEDIO FISSO (STESSO): IL PROTAGONISTA E IL PEDONE N. SI CHINANO SIMULTANEAMENTE VERSO IL CORNETTO E IL PROTAGONISTA COLPISCE CON UNA TESTATA INVOLONTARIA L’AVVERSARIO, ELIMINANDOLO (RUMORE CAMPANELLO RING E TESTATA) C. MEDIO FISSO (STESSO): IL PEDONE N. SCOMPARE IN UNA NUVOLA D FUMO (RUMORE SCOMPARSA) E IL PROTAGONISTA AFFERRA IL SUO CORNETTO SALDAMENTE, SOLLEVATO, NON ACCORGENDOSI SUBITO DI AVER ELIMINATO IL NEMICO. STACCO CAMPO MEDIO FISSO DEL RE N. E COMPAGNI AL SUO FIANCO CHE, INCURIOSITI, SI VOLTANO A SINISTRA GUARDANDO FUORICAMPO VERSO IL PROTAGONISTA DOPO AVER SENTITO IL RUMORE DELL’ATTACCO (VERSO “UMMN?!”) STACCO MEZZA FIGURA DELLA TORRE B. CHE SI GIRA VERSO IL PROTAGONISTA GUARDANDO FUORICAMPO ANCH’ESSA INCURIOSITA (VERSO “UMMN?!”) STACCO MEZZA FIGURA DEL RE B. CHE SI INCLINA VERSO DESTRA GUARDANDO FUORICAMPO, A SUA VOLTA INCURIOSITO, PER SCORGERE DA DOVE PROVIENE IL RUMORE DELL’ ATTACCO (VERSO “UMMN?!”) ZOOM INDIETRO: MEZZA FIGURA DELLA REGINA N E DELLA TORRE N. CHE, INSIEME ALL’ALFIERE B., SI VOLTANO GUARDANDO ALLE LORO SPALLE FUORICAMPO VERSO IL PROTAGONISTA (VERSO “UMMN?!”) STACCO 195 MEZZA FIGURA DEL PROTAGONISTA CHE, ALZANDOSI DAL BASSO VS L’ ALTO, UNA VOLTA ERETTO, SI ACCORGE DI ESSERE OSSERVATO E NON CAPISCE COSA E’ SUCCESSO, GUARDANDOSI ATTORNO PERPLESSO. STACCO C. LUNGO DELL’ANGOLO DELLA SCACCHIERA COI PEZZI RIMASTI: IL PROTAGONISTA SOTTO GLI SGUARDI ATTONITI DEGLI ALTRI PEZZI, CHINANDOSI VERSO LA CASELLA DEL PEDONE ELIMINATO, SI ACCORGE DI AVERLO SCONFITTO. STACCO C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B.: IL PROTAGONISTA SI VOLTA VS IL COMPAGNO NON SAPENDO COSA FARE... IL PEDONE B. GLI FA CENNO DI AVANZARE SULLA NUOVA CASELLA ANCHE SE SIGNIFICA METTERSI IN PERICOLO DI CATTURA OLTRE CHE ATTACCO C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B. (STESSO): SOTTO GLI OCCHI DEL RE N. IL PROTAGONISTA INTIMORITO AVANZA LENTAMENTE VS LA NUOVA CASELLA METTENDO IL RE N. IN SCACCO MATTO (RUMORE SCRICCHIOLII DEL CAMPO) STACCO DETTAGLIO DELLA CROCE DEL RE N. CHE INIZIA A GIRARE E LAMPEGGIARE SUONANDO COME LA SIRENA DI UN’ AMBULANZA PERCHé MESSO IN SCACCO. (RUMORE SIRENA AMBULANZA) C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B. (STESSO): IL RE N. FA PER AVVENTARSI SUL PROTAGONISTA TERRORIZZATO MA SI ODE UN FISCHIO DI MONITO PROVENIRE DA FUORICAMPO (RUMORE SIRENA E RUMORE FISCHIO) STACCO C. MEDIO ALLE SPALLE DEI PEDONI B. (STESSO): IL RE N. E IL PROTAGONISTA, INSIEME AGLI ALTRI PEZZI, SI VOLTANO VS IL FUORICAMPO DI DESTRA GUARDANDO IN DIREZIONE DEL FISCHIO (RUMORE SIRENA) STACCO C. LUNGO DELL’ ALTRO ANGOLO DI CAMPO: L’ALFIERE B. FA CENNO DI NO CON LA MANO INDICANDO AL RE CHE, CATTURANDO IL PROTAGONISTA, SI METTEREBBE IN SCACCO DA SOLO E NON SI PUÒ’ (RUMORE GESTO E RUMORE SIRENA) STACCO CAMPO LUNGO DELL’ ALTRO ANGOLO DI CAMPO: IL PROTAGONISTA E IL RE N. SI GUARDANO PERPLESSI E POI IL PROTAGONISTA SORRIDE SOLLEVATO PER LA SITUAZIONE FORTUNATA... (TUTTO MERITO DEL CORNETTO PENSA) STACCO FIGURA INTERA DELLA TORRE B. CHE, DALL’ANGOLO OPPOSTO AL RE N., SI METTE IN MOTO STROMBAZZANDO GIOIOSA CON IL CLACSON (RUMORE DI MACCHINA E CLACSON). SEMBRA AVER CAPITO QUALCOSA (RUMORE SIRENA ) STACCO CAMPO LUNGO DELL’ANGOLO RE N. E PROTAGONISTA: IL RE N. SI SPOSTA A SINISTRA LATERALMENTE DAVANTI AL PROTAGONISTA LIBERANDOSI DALLO SCACCO MATTO (RUMORE SIRENA CHE SI SMORZA) STACCO FIGURA INTERA DELLA TORRE B. CHE INIZIA A PROCEDERE ALLEGRAMENTE VERSO IL RE N. ONDULANDO E STROMBAZZANDO CON IL CLACSON PIENA DI GIOIA (RUMORE DI MACCHINA E CLACSON) 196 Progetto personale LA MDP SEGUE IL MOVIMENTO DELLA TORRE B. CON UNA PANORAMICA ORIZZONTALE VERSO DESTRA FINCHE’ LA TORRE ARRIVA A LATO DEL RE N. METTENDOLO IN SCACCO MATTO DEFINITIVO SENZA POSSIBILITÀ’ DI AZIONE (RUMORE DI MACCHINA, CLACSON E SIRENA) IL RE N. STRAMAZZA AL SUOLO CADENDO DRITTO SECCO DAVANTI A SE... (RUMORE CADUTA). IL PROTAGONISTA LO SCHIVA SCOSTANDOSI VELOCEMENTE VS SINISTRA E POI EMETTE UN URLO DI GIUBILO SALTANDO DISSOLVENZA A NERO 6.5 Design dei Personaggi Nella fase di Design ho disegnato i personaggi secondo le seguenti caratteristiche: Premesso che i personaggi assomigliano molto a quelli degli scacchi veri e propri, con la differenza che sono muniti di braccia, la cosa più importante è la caratterizzazione del volto. Innanzitutto, per quanto riguarda il protagonista, non potendosi differenziare troppo dagli altri pedoni, ho pensato di utilizzare delle forme più tondeggianti, paffute e minute, con in aggiunta un particolare ben visibile quale le orecchie a sventola; i pedoni suoi compagni, invece, hanno forme più sobrie e anonime, non si distinguono molto gli uni dagli altri. Nella creazione del volto del protagonista mi sono ispirata alle figure Disney di Casper il fantasma e Topolino, come anche di Son Goku, una scimmia protagonista di un cartoon giapponese. Passando invece alla Torre, ho creduto opportuno non munirla di braccia ma utilizzare l’intero pezzo come fosse la testa di un personaggio rude, imponente e piuttosto anziano... una sorta di totem come quelli presenti sull’Isola di Pasqua; durante la sua creazione mi sono ispirata ai personaggi di Mr.Incredible (Gli Incredibili, 2004) e Shrek (Shrek, 2001), come anche agli alberi del film di animazione “La Foresta Magica” (Dygra Films). Il Cavallo è il personaggio che meno di tutti ha subito variazioni: rimane infatti un cavallo, con tutte le caratteristiche annesse, dalla massa, alla forza, alla facile irritabilità; nella sua creazione mi sono ispirata a foto vere e a diversi disegni trovati nel web. L’ Alfiere è invece uno dei pezzi più alti e, per la sua forma affusolata, gli ho attribuito una figura più longilinea e magra rispetto agli altri pezzi; questo pezzo, avendo in testa un elmo da cavalleria, non ha creato particolari problemi: mi sono ispirata agli elmi medioevali per la forma della testa in generale e ho poi cercato di mantenere un’apertura frontale simile a quella dei caschi delle moto. 197 Disegno che comprende tutti i pezzi in scala tra loro. 198 Passando alla Donna invece, ho avuto delle incertezze, inizialmente ho preso ispirazione da personaggi femminili arcigni, severi e potenti come la strega di Biancaneve, Crudelia Demon (La Carica dei 101, 1961) e l’antagonista Yzma (Le follie dell’imperatore, 2000). Successivamente, però, ho deciso di mantenere il volto della Donna più bello, giovane e femminile, fermo restando la severità dei tratti. Il Re infine è stato ideato con una forma piuttosto robusta ed è stato caratterizzato con folti baffi e doppio mento, per conferirgli un aspetto più nobile e importante; per la creazione di questo ultimo pezzo mi sono basata inizialmente sulla figura di Babbo Natale per via della robustezza e della placidità ispirata, ma ho poi deciso di attribuirgli una maggiore cattiveria passando a personaggi come Capitan Uncino (Le avventure di Peter Pan, 1953) e Jafar (Aladdin, 1992). Oltre alla caratterizzazione dei pezzi, ho ritenuto essenziale differenziare, seppur minimamente, le figure bianche da quelle nere; ho appuntito quindi tutte le forme dei pezzi per renderli più spigolosi e minacciosi rispetto ai bianchi. Progetto personale Dall’alto da sinistra vs destra: 01_Protagonista 02_Pedoni 03_Torre 04_Cavallo 199 Dall’alto da sinistra vs destra: 05_Alfiere 06_Re 07_Donna 200 Progetto personale 6.6 Animatic Animatic del mio progetto scacchi Come si è detto, l’ Animatic rappresenta una sorta di primo capolinea nelle fasi di realizzazione di una storia: il suo completamento rappresenta la fine della fase progettuale di pre-produzione, prima di entrare nella fase realizzativa di produzione. A questo punto è stato definito sia l’aspetto grafico degli elementi che compongono la storia all’interno del quadro (inquadratura), sia lo svolgimento stesso della storia sullo schermo (scene e sequenze), comprese le tempistiche... l’ Animatic rappresenta quindi la storia nella sua totalità, seppur in modo grezzo. Una volta eseguito l’ Animatic coi disegni e l’audio, sono poi passata alla realizzazione del primo Layout 3d della storia. Mi sono quindi fermata qui, visto che il mio obiettivo principale era più che altro comprendere come si affronta la fase progettuale di una storia più che la fase realizzativa vera e propria; il successivo lavoro di produzione è un lavoro meticoloso, lungo e faticoso, ma che si basa essenzialmente sulle capacità e le conoscenze tecniche del programma 3D utilizzato e sulle abilità di animazione degli elementi della storia. Ciò che effettivamente si ottiene con l’ Animatic è il fulcro della storia, la sua essenza: nonostante la scarsa qualità grafica, esso rappresenta un elemento cruciale perché permette la pre-visualizzazione del prodotto finito. 201 202 Progetto personale 203 204 Progetto personale 205 206 Progetto personale 207 208 Progetto personale 6.7 Modellazione Queste sono infine le prove di modellazione e di render dei personaggi, sulla base dei disegni iniziali. Pedone Protagonista 209 Pedone B/N Torre B/N 210 Cavallo B/N Progetto personale Alfiere B/N Re B/N 211 Regina B/N 212 La grammatica cinematografica 7.1 Linguaggio Cinematografico a Confronto 7.2 Elementi di Grammatica Cinematografica 7.3 L’ Inquadratura 7.4 La Scala dei Piani e Angolazioni 7.5 Oggettive e Soggettive 7.6 Il Fuoricampo 7.7 Regole di Composizione in Inquadratura 7.8 I Movimenti della Mdp 7.9 Lo Spazio 7.10 Il Tempo 7.11 Il Montaggio 7.12 Il Montaggio a Dècoupagé Classico 7.13 Regole Principali del montaggio Classico 7.14 La Punteggiatura Visiva 213 7 7.15 Pillole Kung Fu Panda (2008) film di Mark Osborne e John Stevenson. Prodotto dalla DreamWorks Animation 7.1 Linguaggio Cinematografico 2D e 3D a Confronto La caratteristica essenziale dell’immagine filmica è che, nonostante la bidimensionalità sullo schermo, lo spettatore reagisce allo spazio rappresentato come se questo fosse tridimensionale, cioè analogo alla realtà che lo circonda, e si immedesima col punto di vista che viene rappresentato. Il linguaggio cinematografico è un linguaggio unico, universalmente riconosciuto, indipendentemente dal regista e dalla nazionalità in cui si sviluppa la storia. Questo perché la grammatica cinematografica è una grammatica visiva logica, che può organizzare qualsiasi discorso sullo schermo, dalle storie a disegni animati, ai film, ai documentari ecc. 214 Cinema e televisione creano le loro storie seguendo una grammatica precisa, con procedimenti paragonabili a quelli della grammatica nei romanzi. Come per il linguaggio verbale, anche quello audiovisivo ha una propria sintassi, ovvero un’insieme di regole grazie alle quali si costruiscono frasi e periodi cinematografici utilizzando una punteggiatura visiva; questa punteggiatura è determinata essenzialmente dai movimenti di camera e dal montaggio, utilizzando dissolvenze e stacchi come punti e virgole nel discorso filmico, zoom al posto degli accenti narrativi e movimenti di camera per creare le pause. Un prodotto audiovisivo comunque, come ogni strumento narrativo, ha dei punti di forza e dei punti di debolezza: bisogna quindi tenere presente che riprodurre pensieri ed idee sullo schermo non è facile come in un libro, in un prodotto audiovisivo i pensieri e i sentimenti devono essere trasformati in parole e soprattutto in azioni che possono essere viste e interpretate dal pubblico; azioni come risultati finali di un pensiero o un desiderio quindi, questo deve essere mostrato. Ne deriva perciò che un prodotto audiovisivo scarsamente si addice a descrivere situazioni statiche o troppo serene mentre invece si adatta perfettamente a situazioni dinamiche e di conflitto, in quanto il conflitto genera azione. Bisogna poi sottolineare che la storia e l’interpretazione dei personaggi/attori non sono quindi gli unici fattori a dare senso alla narrazione, anche la Mdp, tramite la posizione che occupa e il movimento che compie nello spazio può intervenire a modificare la percezione della scena da parte dello spettatore. La Mdp può infatti forzare la direzione dello sguardo del pubblico, dirigerne la visione e quindi l’interpretazione. Il montaggio inoltre, selezionando e componendo il susseguirsi delle inquadrature, può addirittura sconvolgere totalmente il senso della narrazione. La grammatica cinematografica Introduzione Il modo in cui vengono organizzate le riprese e il loro conseguente montaggio attribuiscono quindi alla storia uno specifico carattere e una determinata interpretazione e sono due fattori essenziali nel decretarne il successo o, alternativamente, la rovina. Effettuate le dovute osservazioni riguardo alla grammatica cinematografica, possiamo notare che, se dal punto di vista produttivo l’animazione tradizionale e quella 3D hanno caratteristiche che, nonostante i processi specifici potremmo definire simili, dal punto di vista del linguaggio cinematografico (filmico), ovvero della messa in scena di una storia sullo schermo tramite movimenti di camera e montaggio, questi due generi di animazione sono visibilmente molto diversi tra di loro. Da un lato il cartoon tradizionale utilizza un linguaggio cinematografico essenziale, poco dinamico e limitato dalla resa bidimensionale dei disegni; dall’altro, l’animazione 3D, avendo a disposizione un set (scenario) tridimensionale perfettamente paragonabile a quello reale dei film live (dal vero), ha sviluppato un linguaggio cinematografico molto più filmico, con tutte le problematiche connesse alla gestione di un vero e proprio set dal vero, dalla creazione delle scenografie, agli ingombri, alle luci, ai movimenti dei personaggi/attori e soprattutto ai movimenti di camera. Questa grande differenza tra i due generi dipende essenzialmente dalla loro natura e dal differente modo di concepire il movimento, soprattutto interno all’immagine (al quadro) per i cartoon tradizionali, esterno per l’animazione tridimensionale. Il cartoon tradizionale ha sviluppato un linguaggio filmico basilare perché la sua natura figurativa bidimensionale, piuttosto piatta (nonostante l’intelligente uso della prospettiva), tende a favorire i movimenti di camera interni al disegno come panoramiche, carrellate e zoom; questi sono i semplici spostamenti che la camera può effettuare muovendosi sopra il foglio, senza comportare particolari distorsioni nelle dimensioni. Questa limitazione deriva dal fatto che i movimenti di camera più complessi o angolati (come una resa a 360° o una ripresa dal basso del soggetto) richiedono al disegnatore di effettuare un disegno con distorsioni prospettiche che sono più lunghe e difficili da realizzare, conseguentemente anche più costose. Questa possibilità viene perciò scartata, non essendo indispensabile, in favore di un disegno più semplice e veloce, e non necessariamente peggiore. Per quanto riguarda invece un prodotto di animazione tridimensionale, è proprio la sua natura tridimensionale e il modo in cui viene realizzato, a favorire un ampio utilizzo dei movimenti di camera, perché la camera riprende dei movimenti esterni ed è quindi più facile effettuare riprese da diversi piani scenici e scomporre l’azione in riprese da più punti di vista. In un set (scenario) tridimensionale la Mdp può essere posizionata e spostata allo stesso modo che in un film live, anzi, le possibilità offerte sono addirittura maggiori, sia a livello tecnico che a livello pratico: non solo la Mdp tecnicamente ha molte più opzioni di ripresa, ma praticamente non presenta ingombri, non viene mai visualizzata anche se presente, può essere attraversata e può attraversare oggetti, si può posizionare in un qualsiasi punto del set, anche in zone irraggiungibili da un operatore reale, come dietro un camino o dentro un muro, ed infine può compiere facilmente percorsi tortuosi rimanendo sempre stabile. E’ quindi prerogativa essenziale, per questo nuovo tipo di animazione, la conoscenza delle tecniche cinematografiche utilizzate nei film live per tutto ciò che concerne l’intero set di allestimento, dalle fonti di illuminazione agli sfondi ma soprattutto riguardo 215 alla messa in quadro dei soggetti/oggetti, agli spostamenti di camera e al successivo montaggio; questo implica un insieme di conoscenze maggiori rispetto a quelle necessarie per realizzare un prodotto a cartoon tradizionale. Possiamo quindi affermare che l’animazione 3D è un genere completo che si trova a metà tra entrambi i processi produttivi, da un lato prende spunto dall’animazione tradizionale nella pianificazione estremamente accurata della storia che andrà in produzione, dall’altro utilizza le stesse tecniche narrative cinematografiche dei film live tradizionali; questo significa che l’animazione 3D è un prodotto completo sotto ogni punto di vista e inoltre è anche il genere più complesso rispetto ad entrambe le altre due produzioni, questo perché, paragonata all’animazione tradizionale, ha in più a disposizione la narrativa cinematografica e, paragonata ai film live, ha alla base una struttura di pianificazione della storia molto più solida e accurata. Un ulteriore osservazione che potrebbe rafforzare questo concetto è rappresentata dall’integrazione dell’animazione tridimensionale nelle grandi produzioni a cartoon tradizionale. Si può infatti notare che spesso, nei casi in cui un cartoon tradizionale debba realizzare scene particolarmente complesse (in riferimento più agli ambienti che ai personaggi), molte produzioni preferiscono integrare l’animazione 3D piuttosto che mantenere omogenea la produzione bidimensionale disegnando tutte le rese prospettiche necessarie; evidentemente, se le produzioni arrivano addirittura a cambiare metodo produttivo, significa che realizzare queste scene in animazione bidimensionale risulta poco conveniente rispetto alle possibilità offerte dal 3D che garantisce, una volta realizzato l’ambiente, di poter ottenere tutte le viste prospettiche desiderate e poterle cambiare senza più fatica; ne sono esempi gran parte dei prodotti di animazione giapponese, dalle opere di Miyazaki 216 come “la città incantata” o “il castello errante di Howl” ma anche alcune produzioni americane come “La Bella e la Bestia” della Disney o “Il principe d’Egitto” e “Spirit” della Dreamworks. In conclusione, vista l’importanza del linguaggio cinematografico soprattutto in riferimento all’animazione tridimensionale, va specificato che, tra le infinite possibilità di montaggio possibili, l’animazione utilizza quasi esclusivamente le tecniche del montaggio a Découpagè classico che sono le più tradizionali e si basano sull’idea di un montaggio invisibile, cioè non percepito dallo spettatore, che guida la visione facendo scivolare il pubblico nella storia facilitando l’immedesimazione, favorendo la chiarezza espositiva, la drammatizzazione dell’azione e il mantenimento della continuità tra un’ inquadratura ed un’ altra per non disorientare la visione. Ho raccolto quindi nei seguenti capitoli una serie di indicazioni di base, pratiche ed essenziali, per poter costruire un discorso filmico appropriato; queste informazioni riguardano le caratteristiche dell’inquadratura e della sua composizione interna, le possibilità offerte dai movimenti di camera e la grammatica visiva nella composizione del montaggio. La grammatica cinematografica Introduzione 7.2 Elementi di Grammatica Cinematografica L’ inquadratura è l’unità di base del discorso filmico, di questa grammatica; essa non solo mostra qualcosa, ma lo mostra in un determinato modo: determina un certo punto di vista, dirige lo sguardo e l’ attenzione dello spettatore e quindi ne influenza conseguentemente l’ interpretazione, facendo scaturire determinate emozioni. Dal momento in cui un’inquadratura viene posta in essere, non rappresenta mai un punto di vista neutrale, il modo in cui essa si mostra allo spettatore, che sia voluto oppure no, ne vizia inevitabilmente l’interpretazione. Unendo tra loro due inquadrature poi, si procede alla composizione della storia, ovvero al montaggio. Anche se la sua esistenza non è essenziale alla storia (potrebbe esserci un unica inquadratura fissa senza montaggio), quando c’è, riveste un ruolo di primaria importanza, migliorando la percezione tridimensionale della scena e dirigendo la narrazione e la visione. Le inquadrature durante il montaggio non vanno trattate come tasselli di puzzle, ma come unità complesse, ricche e dinamiche; ogni inquadratura che si lega alle precedenti, non si limita a seguirle, ma le completa arricchendole di nuovi significati e connessioni che vanno ben al di là del valore della singola inquadratura. Il lavoro di “taglio e cucito” delle parti della storia operato dal montaggio, va quindi al di là della semplice operazione di unione, è un’ operazione artistica di congiunzione, che non solo permette di mostrare una storia, ma si preoccupa di raccontarla in un determinato modo, manipolando le immagini, lo spazio, il tempo e il sonoro. Bisogna inoltre considerare che il montaggio utilizza una punteggiatura visiva, determinata dagli stacchi netti oppure ottici come dissolvenze, tendine o iris, ma anche dall’insieme di metodi che è possibile utilizzare per manipolare lo scorrimento a video dell’immagine cinematografica; questo linguaggio, per esempio, può creare delle pause di narrazione utilizzando i movimenti di camera, può creare degli accenti di narrazione usando gli zoom, oppure creare punti e virgole nella narrazione usando varie dissolvenze e stacchi. Possiamo quindi concludere che il montaggio, operando una selezione e ricombinazione delle parti e aggiungendovi una punteggiatura visiva, contribuisce a viziare ulteriormente la visione dello spettatore, attribuendo alla storia uno specifico carattere e una determinata interpretazione. Prima di passare ad analizzare meglio le componenti dell’inquadratura e del montaggio, approfondiamo alcuni termini cinematografici e alcune nozioni: in riferimento alla mente che organizza e gestisce il flusso audio-video che scorre davanti agli occhi dello spettatore, è stato definito il termine tecnico di istanza narrante (o superiore), che organizza le scene e manipola le immagini, il tempo e il sonoro in un determinato modo, al fine di mostrare al pubblico determinate cose, facendogli provare determinate sensazioni. L’istanza narrante, come uno scrittore nei suoi romanzi, ha un totale controllo sulla narrazione e può intervenire in vari modi rendendosi più o meno manifesta al pubblico: può scegliere di mostrare semplicemente una situazione, facendo scivolare lo spettatore nella vicenda senza che questi si accorga di una precisa costruzione, oppure può rivelarsi al pubblico intervenendo a commentare una situazione, oppure manipolando la visione (il tempo e lo spazio) in modo tale da creare altre forme di significazione, oppure ancora gestendo il flusso di informazioni tra personaggi e spettatori, per determinare particolari sensazioni. Il regista, come istanza narrante, dovrebbe trovare il modo migliore per raccontare la sua storia gestendo 217 queste possibilità in vari modi nei vari momenti della narrazione. A proposito del flusso di informazioni che un film distribuisce agli spettatori, possiamo notare che attraverso le immagini, le scritte, le parole, i suoni e i rumori si forniscono delle informazioni; l’istanza narrante (il regista) ha la possibilità di manipolare queste informazioni, mostrando o occultando determinate immagini agli spettatori durante la visione, al fine di suscitare in loro determinate sensazioni. In particolar modo, riuscire a creare dei sentimenti di suspence o sorpresa in determinate situazioni può rivelarsi una carta vincente nelle mani del narratore. La strategia narrativa per cui si insinuano sentimenti di attesa o suspence nello spettatore dipende dalla distribuzione delle informazioni tra personaggi e pubblico all’interno di una determinata situazione; in certe situazioni di tensione infatti, se il pubblico ha le stesse conoscenze dei personaggi, al verificarsi di un evento improvviso (per esempio una bomba) reagirà con uguale stupore; se invece il pubblico ha a disposizione più informazioni dei personaggi e sa cosa sta per accadere, (sta per scoppiare una bomba ma i personaggi non lo sanno) si creerà suspence negli spettatori e ci sarà maggiore tensione. Si parla allora di focalizzazione in riferimento alla strategia narrativa messa in atto dall’istanza narrante per gestire il flusso di informazioni in una storia, allo scopo di gestire le emozioni degli spettatori. Praticamente l’istanza narrante può gestire i rapporti di sapere tra personaggi della storia e spettatori in tre modi: nel primo caso lo spettatore e il personaggio del racconto sono a conoscenza delle stesse informazioni (focalizzazione interna); nel secondo caso lo spettatore ha più informazioni perché gli vengono mostrate più cose (focalizzazione spettatoriale o zero), nel terzo caso è il personaggio a sapere più cose dello spettatore perché il narratore non ne fa conoscere i pensieri o le 218 intenzioni (focalizzazione esterna); in quest’ultimo caso gli spettatori saranno più incuriositi dalle situazioni perché non ne comprendono a pieno il significato. Visto che vedere implica il sapere, e un film è un mezzo audiovisivo, vediamo come questo sapere può essere praticamente mostrato sullo schermo; teniamo però presente che vedere implica un sapere parziale perché le immagini possono ingannare lo spettatore, mostrando qualcosa che poi si contraddice con parole, suoni, rumori ecc... L’ocularizzazione si occupa di stabilire la differenza tra ciò che il personaggio della storia vede, rispetto a ciò che la Mdp mostra allo spettatore, quindi cosa un personaggio conosce e cosa conosce lo spettatore. Le principali possibilità a disposizione della camera sono due: mostrare ciò che vede il personaggio (ocularizzazione interna) o mostrare ciò che vede la camera senza la sua mediazione (ocularizzazione zero); il punto di vista del personaggio può essere una soggettiva vera e propria (ocularizzazione interna primaria) oppure mostrare il personaggio che guarda insieme a ciò su cui egli concentra la sua attenzione (ocularizzazione interna secondaria); mentre per quanto riguarda la visione esclusiva della Mdp, essa può scrutare come un occhio gli elementi più importanti in scena facendo dimenticare la sua presenza (enunciazione mascherata) oppure vincolare la visione con una certa autonomia, rivelando la presenza dell’ istanza superiore che decide cosa mostrare o nascondere allo spettatore (enunciazione marcata). Queste sono le principali possibilità offerte ad un regista nell’ambito della narrazione e dovrebbero essere intelligentemente sfruttate per gestire la narrazione e il coinvolgimento dello spettatore. La grammatica cinematografica Introduzione 7.3 L’Inquadratura Per quanto riguarda sia il filmico che il profilmico possiamo avere tre diversi tipi di combinazioni d’inquadratura: L’inquadratura è l’unità base del discorso filmico e può essere definita come la rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo tempo. Un’inquadratura corrisponde ad un punto di vista più o meno immaginario. Spazialmente un’inquadratura è delimitata dai quattro bordi che compongono il quadro della ripresa mentre, temporalmente parlando, è determinata da un inizio, che corrisponde al finire dell’inquadratura precedente, e una fine, che corrisponde all’inizio dell’inquadratura successiva. L’inquadratura spesso si confonde con il “piano”, ma sono due cose distinte; il termine “inquadratura” corrisponde alla “messa in quadro” di un determinato spazio, mentre il piano è la porzione di spazio inquadrata; parlando di inquadratura perciò ci si riferisce al rapporto tra ciò che viene e non viene mostrato, parlando di piano ci si riferisce alla sua organizzazione e composizione. In generale, un’inquadratura è data dalla somma delle scelte relative a due macro-elementi che sono il profilmico e filmico: il profilmico rappresenta tutto ciò che viene posto in inquadratura, dinnanzi allo spettatore, e come viene organizzato, cioè la messa in scena che riguarda ambienti, personaggi, luci, colori... il filmico indica invece il modo in cui questo profilmico viene rappresentato, ha quindi a che fare con il linguaggio cinematografico, con il posizionamento della Mdp, con i piani e i campi, i movimenti di camera, oggettive e soggettive, il rapporto campo-fuoricampo ecc... Ogni inquadratura quindi non solo mostra qualcosa ma è il prodotto di alcune scelte ragionate che si preoccupano di mostrare quel qualcosa in un determinato modo allo spettatore. 1. 2. 3. 4. Profilmico Profilmico Profilmico Profilmico statico - filmico statico. statico - filmico dinamico. dinamico - filmico statico. dinamico - filmico dinamico. La staticità/dinamicità del profilmico è essenzialmente legata ai movimenti degli attori o degli oggetti in scena, quella del filmico ai movimenti della Mdp. Per quanto riguarda la composizione dell’inquadratura, abbiamo invece tre possibili situazioni in scena: 1. Dialogo senza azione. 2. Azione senza dialogo. 3. Dialogo in azione. Queste sono ovviamente categorie semplificate, esistono molte più variazioni specifiche a disposizione di un regista, per esempio il dialogo potrebbe essere quello dell’istanza narrante invece che quello dei personaggi, oppure l’azione dei personaggi potrebbe essere determinata dal movimento di un mezzo di trasporto sopra al quale siedono statici gli attori, oppure perfino tutte e tre le categorie potrebbero intervenire consecutivamente in un unica inquadratura... ma cerchiamo di ragionare per termini generali. 219 Lunghezza focale: la macchina A ha un lungo fuoco e quella B un grandangolare. Si nota infatti che, a parità apparente delle dimensioni del personaggio in campo, cambia la porzione di sfondo alle sue spalle. Quando una di queste scene deve essere tradotta in immagine, in inquadratura, bisogna sempre tenere presente i seguenti quattro fattori: 1. La composizione interna dell’inquadratura, quindi la collocazione degli elementi e i rapporti che si instaurano tra di loro. 2. La distanza tra camera e personaggi, che determina il numero di personaggi e oggetti presenti nel quadro e la porzione di ambiente in cui sono collocati; nonché pone enfasi alla situazione tramite la vicinanza o lontananza dai soggetti. 3. I movimenti dei personaggi coinvolti, che a seconda dell’ampiezza, determinano l’uso di specifici movimenti di camera. determina l’importanza di una determinata scena tramite l’avvicinamento e l’allontanamento di campo. A seconda della vicinanza o lontananza dai soggetti infatti, si pone enfasi a determinati momenti della narrazione; generalmente, avvicinandosi si concentra l’attenzione, allontanandosi invece, si amplia il campo di visione e si crea un maggiore distacco dalla situazione, fornendo una pausa di respiro alla narrazione. Un buon regista deve saper gestire intelligentemente i vari momenti del film, intervallando inquadrature ampie e distese, che permettono al pubblico di rilassare la tensione, a inquadrature più ravvicinate e coinvolgenti emotivamente. 2. Lunghezza Focale dell’Obiettivo 4. Il rapporto della singola inquadratura con le parti che la precedono e che la seguiranno in fase di montaggio; per produrre un buon attacco. Stabiliti i termini generici di approccio, vediamo di analizzare meglio la composizione dell’inquadratura: Ad influenzare la composizione tridimensionale dell’inquadratura concorrono tre principali fattori: 1. LA DISTANZA La distanza cinematografica rappresenta la distanza tra la Mdp e il soggetto ripreso, è una caratteristica molto importante perché, oltre a determinare la messa in scena e precisare il numero di personaggi/oggetti coinvolti, collocati in una porzione di spazio più o meno ampia, essa 220 La distanza tra soggetto-Mdp è determinata non solo dalla posizione della camera, ma anche dalla lunghezza focale dell’obiettivo utilizzato, che determina l’ampiezza di campo abbracciato. Come regola generale, la lunghezza focale delle lenti è inversamente proporzionale all’ampiezza di campo abbracciato. Le lenti degli obiettivi, in base alla loro capacità di ingrandimento, si dividono in tre categorie: normali, grandangolari, teleobiettivi: un’ottica normale riproduce le distanze così come appaiono all’occhio umano, mentre grandangolari e teleobiettivi, rispettivamente aumentano e diminuiscono la distanza apparente dai soggetti ripresi La grammatica cinematografica Introduzione (lente normale a lunghezza focale 50mm=46° gradi di ampiezza di campo - lente grandangolare a 35mm=63° teleobiettivo lente a 135mm=18°). Le lenti grandangolari sono utilizzate solitamente per dare più imponenza alle costruzioni, aumentandone il volume e il senso prospettico. A proposito delle lenti, bisogna comunque tenere in considerazione che, da una data posizione, un movimento della Mdp non produce mai lo stesso effetto del cambio di una lente; osservando il disegno (dove la macchina A ha un lungo fuoco e quella B un grandangolare) si nota infatti che, a parità apparente delle proporzioni del personaggio in campo, cambia la porzione di sfondo alle sue spalle. In relazione agli obiettivi, è importante sapere che, col diminuire della lunghezza focale delle lenti, l’intervallo tra i soggetti lontani e quelli vicini risulta maggiore, conseguentemente si accentuano gli spazi fra i vari piani, aumenta la profondità di campo (zona entro la quale tutto è a fuoco) e aumentano le deformazioni prospettiche dei soggetti ripresi. Viceversa, per l’aumento della lunghezza focale. Considerando poi i movimenti effettuati in direzione della Mdp, ad una minore lunghezza focale delle lenti corrisponde una maggiore velocità apparente delle azioni; al contrario, ad una maggiore lunghezza focale corrisponde un rallentamento. Per i movimenti trasversali, invece, l’ aumento della velocità apparente e del ritmo dell’azione, corrisponde ad una lunghezza focale maggiore. 3. Posizionamento della Mdp: inclinazione-angolazione-altezza Il terzo fattore che determina la composizione di un’ inquadratura è la posizione della macchina da presa, in relazione alla sua angolazione, inclinazione e alla sua altezza in rapporto al rappresentato. Partendo da un’ Inquadratura di base frontale rispetto la linea dell’orizzonte e senza inclinazioni. inquadratura di base dove la Mdp è posta frontalmente rispetto all’asse orizzontale e verticale che divide in due il soggetto ripreso e si trova alla stessa altezza, è possibile derivare un’infinita serie di posizioni della Mdp posta lungo questi assi orizzontali (destra-sinistra), verticali (alto-basso) e in profondità (davanti-dietro). Si devono inoltre tenere in considerazione anche le posizioni inclinate dell’inquadratura in cui la sua base non è parallela alla linea dell’orizzonte nel rappresentato. Rispetto a questa posizione di base, qualsiasi angolazione, inclinazione e altezza acquista un suo particolare significato perché rappresenta la volontà dell’istanza narrante di conferire un determinato valore all’oggetto rappresentato. In particolarmodo inquadrature molto inclinate dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso vengono usate per ingigantire o svilire i personaggi ripresi: una ripresa dal basso accentua l’imponenza e la forza del soggetto della visione, viceversa, una ripresa molto inclinata dall’alto verso il basso tende a sminuire e svilire i personaggi inquadrati, sottolineandone lo stato d’inferiorità. Questo non significa che tutte le inclinazioni così effettuate abbiano questo particolare effetto sulla scena, sono delle linee generali; ogni inquadratura è ovviamente inserita in un contesto e il suo significato va ricercato anche in relazione ad esso. 221 Scala dei piani in ordine dall’alto: campo lunghissimo campo lungo campo totale figura intera dettaglio figura intera piano americano mezza figura primo piano primissimo piano particolare 7.4 Scala dei Piani e Angolazioni Stabilito che la distanza reale ha un significato relativo, la pratica professionale ha introdotto delle distinzioni nella scala dei piani per definire i rapporti di distanza Mdp e soggetto/oggetto rappresentato; questa scala parte da inquadrature più ampie e distanziate, definite campi, per arrivare poi a piani più ristretti e ravvicinati; per i campi il parametro di base è il paesaggio, per i piani è la figura umana, vediamo quindi le distinzioni: CAMPO LUNGO/LUNGHISSIMO: porzione di spazio estesa, se è presente la figura umana, essa è subordinata al ruolo di semplice elemento ambientale. Ha principalmente una funzione descrittiva e spesso viene utilizzato per sottolineare il rapporto personaggio-ambiente, anche con valenze simboliche (unione/disgiunzione da uno spazio). Il campo lungo può servire a riprendere spazi vasti o gruppi numerosi, solitamente è usato per introdurre una scena, stabilendo la collocazione dei personaggi; a volte viene utilizzato per estraniare l’osservatore dalla situazione rappresentata. PIANO AMERICANO: la figura umana viene inquadrata dalle ginocchia in su. CAMPO MEDIO: porzione di spazio in cui l’elemento ambientale e la figura umana sono in equilibrio, quest’ultima occupa circa 1/3 o una metà dello spazio rappresentato. Il campo medio è simile al punto di vista teatrale. PARTICOLARE: porzione del corpo o del volto umano CAMPO TOTALE: rappresentazione per intero di un ambiente in cui sono in campo tutti i personaggi che prendono parte alla scena. 222 FIGURA INTERA: la figura umana occupa un ruolo dominante rispetto allo spazio ripreso, occupa circa 2/3 o più della verticale dell’immagine. MEZZA FIGURA: la figura umana inquadrata dalla vita in su. PRIMO PIANO: la fig. umana è inquadrata dalle spalle in su. La funzione del primo piano è essenzialmente quella di mettere in scena l’intimità dello spettatore, favorendo l’introspezione da parte del pubblico. PRIMISSIMO PIANO: viene inquadrato solo il volto DETTAGLIO: piano ravvicinato di un determinato oggetto Queste distanze sono abbastanza flessibili e non sempre perfettamente identificabili in una piuttosto che in un’ altra. Ciò che è importante sottolineare è che ogni inquadratura non ha una funzione precisa che la caratterizza, per cui non c’è nessun criterio che stabilisce quale sia meglio utilizzare in una situazione, la scelta di un piano è una La grammatica cinematografica Introduzione scelta ragionata in base alla situazione da rappresentare e all’importanza che deve avere nella storia, in base quindi al montaggio da effettuare. L’unico criterio basilare valido per tutte le inquadrature in fase di montaggio è che, quando si giuntano due inquadrature, bisogna sempre evitare che queste siano troppo simili tra di loro; questo perché in questi casi lo stacco non viene percepito come tale, a causa dell’eccessiva somiglianza, e si produce nello spettatore un disturbo visivo interpretato come un errore di visione. Sempre riguardo a piani e campi, però, in fase di montaggio, va specificato che si parla di piano sequenza quando un’ unica ripresa ininterrotta, senza stacchi o tagli, copre l’azione equivalente ad un’intera scena o sequenza (o quasi); si parla invece di piano d’ambientazione quando vi è un’ inquadratura prettamente descrittiva che avvia una scena col compito di introdurne i caratteri ambientali, per dare le informazioni necessarie ad una corretta comprensione dell’episodio che segue. 7.5 Oggettive e Soggettive La Mdp partecipa alla vicenda del film tramite inquadrature che vengono definite oggettive e soggettive a seconda della visione e dell’identificazione dello spettatore: le oggettive sono le inquadrature in cui la Mdp rappresenta un testimone invisibile che scruta la scena da diverse angolazioni. Lo spettatore in questi casi si identifica con la visione interpretandola come uno sguardo neutrale (identificazione primaria). Le oggettive possono essere particolarmente utili per scrutare posti ermeticamente chiusi, spazi infiniti o luoghi desolati restituendo il senso di completa solitudine; vengono distinte tra oggettive reali o irreali, a seconda che siano effettuate da punti normalmente accessibili all’occhio umano oppure no. Le soggettive sono invece inquadrature in cui il punto di vista del pubblico coincide con quello di un personaggio della storia e sono essenziali per favorire l’identificazione dello spettatore (identificazione secondaria). Attraverso lo sguardo del personaggio lo spettatore viene proiettato in scena e viene spinto non solo a vedere come il personaggio ma anche a vivere le sue stesse emozioni; questo meccanismo favorisce quindi un senso di lettura particolareggiato a favore del soggetto per cui si compie l’identificazione. La soggettiva inoltre, coincidendo con l’occhio di un personaggio, diventa espressione diretta del guardare e quindi di tutto ciò a cui questo guardare è collegato; può per esempio rivelare interesse, amore, invidia, sfida o ammirazione; può mostrare uno sguardo che si perde nel vuoto di un ricordo, un pensiero, un sogno; può interpellare direttamente lo spettatore o mostrare rapporti privilegiati tra personaggi che si scambiano sguardi. Come si fa una soggettiva: tecnicamente per effettuare una soggettiva Edward Bergman stabilisce che si deve partire innanzitutto da un’oggettiva che riprende un determinato punto dello spazio dove è posizionato l’osservatore; quindi, successivamente, deve avvenire una transizione (solitamente uno stacco) ad un’altra inquadratura (la soggettiva) in simultaneità o continuità temporale, in cui viene mostrato l’ oggetto guardato dall’osservatore, da una posizione che si presume essere quella del personaggio mostrato nella prima inquadratura. Praticamente una soggettiva deve essere introdotta da un’oggettiva che ci mostra il personaggio che sta evidentemente scrutando una situazione (meglio se 223 effettua un movimento evidente o se guarda direttamente in camera) quindi solo a questo punto si effettua il passaggio alla soggettiva vera e propria dove lo spettatore guarda attraverso gli occhi del personaggio che ha precedentemente identificato. Esistono poi delle eccezioni, chiamate soggettive stilistiche, per cui una soggettiva può non essere preceduta da un’ oggettiva quando il punto di vista di un personaggio è talmente indubbio che non è necessario introdurlo con un’oggettiva; degli esempi potrebbero essere la soggettiva di un ubriaco, di un animale, di uno che guarda col binocolo o di una persona in movimento; si utilizzano perciò effetti deformanti, retini colorati, mascheramenti della camera, rovesciamenti o oscillazioni. Oltre alla soggettiva convenzionale esistono altri due modi di presentare una soggettiva in inquadratura: il primo consiste in una soggettiva che non rispetta tutti i canoni di una normale visione (semi-soggettiva) ponendosi in maniera differenziata rispetto alla posizione dell’osservatore (più vicina o più angolata) oppure mostrando delle parti dell’osservatore (da dietro la nuca o le spalle); il secondo caso, meno comune, implica il passaggio da una soggettiva ad un’oggettiva nella stessa visione, per cui un esempio potrebbe essere una soggettiva che mostra l’avanzare di un personaggio e che in un secondo momento si ferma facendo entrare in campo l’osservatore (falsa-soggettiva). 7.6 Il Fuoricampo L’ immagine in inquadratura è definibile suspence sulla base di un doppio criterio spaziale: lo spazio rappresentato e quindi in campo e lo spazio che si presume esista ma non è rappresentato, cioè il fuoricampo, ma fa parte di quell’ambiente generale di cui l’inquadratura non è altro che un prelievo. Campo e fuoricampo sono spesso legati da un rapporto di reversibilità per cui basta un movimento di camera a invertirne i ruoli, mettendo in campo ciò che prima era fuoricampo e viceversa; compito della narrazione filmica è quello di mettere in comunicazione e rendere reversibili questi due spazi. Il fuoricampo viene suddiviso in sei zone di spazio attorno alla macchina da presa, queste sono le zone intorno all’inquadratura, cioè in basso, in alto e ai lati, più quelle oltre la scenografia e dietro la macchina da presa. Diversi sono i modi di mettere in relazione questi spazi con lo spazio interno dell’inquadratura, rendendo consapevole il pubblico dell’esistenza del fuoricampo: 1. Entrate/uscite di campo di personaggi/oggetti. 2. Sguardi fuoricampo come anche i movimenti e le parole ad esso indirizzati. 3. Suoni fuoricampo, ambientali (strumenti, mezzi, apparecchiature) o di personaggi. 4. Inquadrature parziali di oggetti e personaggi Il primo metodo è quello delle entrate e uscite di campo, che possono avvenire da e verso ognuna delle sei zone descritte sopra, ma generalmente avvengono lungo l’asse orizzontale destra-sinistra oppure oltre la scenografia, spesso tramite una porta. Un altro modo per rendere tangibile il fuoricampo sono 224 La grammatica cinematografica Introduzione gli sguardi del personaggio, come anche i suoi gesti o le sue parole indirizzate verso l’esterno dell’inquadratura; questi movimenti inducono inevitabilmente lo spettatore a farsi delle domande a riguardo di ciò che il personaggio vede ma che non è dato a vedere o sapere, suscitando così sentimenti di attesa o suspence. Un terzo modo per rivelare la presenza del fuoricampo è il sonoro, attraverso il “suono off”, ovvero un suono fuoricampo la cui fonte rimane estranea all’inquadratura, come per esempio il suono del traffico, di una radio o anche di una persona che parla; il “suono off” aggiunge credibilità, esplicita la presenza di un ambiente esterno e può essere utilizzato sia per contestualizzare un ambiente (ex. suoni di un ufficio) sia per suscitare quel senso di attesa e curiosità descritto sopra, derivante dal fatto di non poter vedere o sapere un qualcosa che i personaggi invece vedono e conoscono. Un ultimo metodo per rendere il fuoricampo è quello di utilizzare inquadrature parziali di un personaggio, mostrando al pubblico solo delle parti, spesso non riconoscibili; anche in questo caso lo spettatore è spinto a porsi delle domande. Il fuoricampo può quindi rivelarsi in modo evidente al pubblico suscitando curiosità nello spettatore (fuoricampo attivo), oppure può rivelarsi in maniera poco invasiva, fungendo solo da sfondo sonoro per esempio (fuoricampo passivo); può essere esterno o interno all’inquadratura (anche se celato allo sguardo da qualche elemento profilmico), e può infine essere un fuoricampo concreto o immaginario, a seconda che sia stato o meno già mostrato. 7.7 Regole di Composizione in Inquadratura L’inquadratura produce senso non solo attraverso la distanza, la lunghezza focale e l’inclinazione, ma anche attraverso la sua composizione interna e le relazioni che vengono a instaurarsi nella disposizione degli elementi rispetto al quadro come anche tra di loro. In linea di massima, una buona inquadratura deve essere bilanciata, cioè gli elementi al suo interno devono essere disposti con equilibrio negli spazi del fotogramma; ciò non significa che l’inquadratura deve essere per forza centrata o geometrica, ma che gli spazi vuoti e pieni devono essere in rapporto equilibrato. E’ poi importante che i soggetti in quadro risultino riconoscibili e che le loro caratteristiche peculiari siano messe in evidenza; anche i livelli di altezza in cui sono disposti i personaggi contribuiscono a determinarne la loro importanza, sia nella composizione generale che tra loro. A questo proposito è utile notare che l’occhio umano è attratto dagli elementi che disturbano la continuità, quindi oltre all’altezza possono influire anche la resa cromatica, il movimento, la posizione o la disposizione, se risultano diverse rispetto ad una massa omogenea: se, per esempio, tutti sono vestiti scuri e un personaggio è vestito colorato; oppure se tutti sono fermi e uno si muove e viceversa; oppure ancora se tutti sono in piedi e uno è seduto; se tutti sono in fila e uno non la rispetta ecc... Questi accorgimenti possono essere particolarmente utili in situazioni di folla. Un altro elemento che è bene sfruttare in inquadratura è la profondità, disponendo gli elementi nei vari livelli di profondità: disponibili o effettuando movimenti in allontanamento/avvicinamento alla camera. In generale ciò che avviene in primo piano ha la priorità su ciò che avviene più in fondo. 225 La regola dei terzi stabilisce di dividere lo spazio rettangolare dell’inquadratura in tre colonne orizzontali e verticali, quindi di fare in modo che gli elementi in inquadratura coincidano il più possibile con queste linee di divisione o con gli spazi da esse determinati. E’ stato osservato che l’occhio umano tende a concentrare l’attenzione in un solo punto sullo schermo, trascurando gli altri, è quindi necessario prestare attenzione alla composizione degli elementi in inquadratura, di modo che quelli più importanti non vengano trascurati. Vediamo allora alcune regole di base nate dal frutto dell’esperienza di addetti del settore cinematografico e fotografico, che nel corso degli anni hanno osservato i modi migliori per la disposizione di personaggi e oggetti nel rettangolo d’inquadratura, al fine di controllare meglio il messaggio che essa invia allo spettatore: risulta poco interessante rispetto ad una posizionata leggermente a destra o a sinistra rispetto al centro, lungo le linee di divisione; oppure che la linea dell’orizzonte risulta migliore non se corre lungo il centro dell’inquadratura, ma se posizionata in corrispondenza della linea di divisione più in alto o in basso rispetto al centro, così da dare più spazio al cielo o alla terra. RIPRESA DELLA FIGURA UMANA RULE OF THIRDS (Regola dei Terzi) La regola dei terzi si occupa della disposizione degli elementi in quadro in modo equilibrato, è usata in fotografia come anche nel cinema e in qualsiasi caso in cui sia necessaria una disposizione in quadro. Questa regola stabilisce di dividere mentalmente lo spazio rettangolare (qualunque sia la sua dimensione) in tre colonne orizzontali e verticali, quindi di fare in modo che gli elementi in inquadratura coincidano il più possibile con queste linee di divisione o con gli spazi da esse determinati. Notiamo quindi che una figura perfettamente centrale 226 sotto le cavità delle braccia: PRIMO PIANO sotto il petto / MEZZO PRIMO PIANO sotto la vita / MEZZA FIGURA sotto il cavallo / PIANO AMERICANO sotto le ginocchia / PIANO AMERICANO La grammatica cinematografica Introduzione La pratica ha scoperto che la figura umana presenta dei “tagli di ripresa” attraverso i quali è possibile ottenere effetti gradevoli di composizione; bisogna prestare attenzione a riprendere le persone come illustrato sopra e a non tagliare mai all’altezza delle giunture, quindi alle caviglie, alle ginocchia, al girovita, ai gomiti e al collo, questo darà cattivi effetti. Quando si inquadra una figura umana in campo totale devono essere sempre inclusi i piedi per evitare di dare una cattiva impressione. SFONDO NON INVASIVO Bisogna prestare attenzione anche allo sfondo entro cui si muovono i personaggi: è importante che l’ambientazione non distolga l’attenzione dai personaggi principali e dalle loro azioni e che lo sfondo non contenga oggetti che collidano in modo evidente con i soggetti in primo piano, creando strane unioni visive; se succede, è il caso di riposizionare la camera o il personaggio, oppure si potrebbe risolvere la situazione mettendo fuori fuoco lo sfondo o avvicinando l’inquadratura. POSIZIONI DEL CORPO E SPOSTAMENTI Per quanto riguarda le posizioni del corpo e gli spostamenti esistono delle regole che derivano direttamente dai principi teatrali riguardo a come muoversi sul palcoscenico. Le posizioni fisiche assunte dai personaggi non hanno tutte la stessa valenza, alcune sono più forti in scena e altre più deboli. Le posizioni principali sono tre: la posa frontale è definita “aperta”, quella laterale è definita “neutrale” e quella posteriore “chiusa”; le prime due, drammaticamente parlando, sono le più forti, in realtà dipende dal contesto. L’attore principale dovrebbe assumere quasi sempre una posizione aperta, diretta verso gli spettatori; inoltre dovrebbe essere posizionato più in fondo rispetto agli altri personaggi, di modo da sovrastare leggermente le loro figure in scena. L’aspetto dominante può essere naturalmente scambiato con altri personaggi aprendo e chiudendo la posizione del corpo. I cambiamenti di atteggiamento corporeo risultano meno evidenti e più naturali se eseguite quando il personaggio è in movimento piuttosto che spostandolo da una posizione statica ad un’ altra. Se un’ inquadratura è dinamica quindi, si articola in più quadri che, mutando nel corso del tempo, variano in distanza, altezza, angolazione e punto di vista. Si può inoltre fare distinzione tra movimenti liberi o subordinati a seconda che la Mdp si muova con autonomia oppure seguendo un percorso specifico, allo scopo di mantenere in campo un soggetto/oggetto in azione. I movimenti subordinati sono ovviamente meno percepiti dallo spettatore mentre invece i liberi rivelano la presenza di un istanza superiore. In proposito possiamo notare che i movimenti della Mdp possono essere più o meno importanti a seconda delle situazioni e delle decisioni dell’istanza narrante di rendersi o meno manifesta. Sfondo non invasivo: bisogna prestare attenzione che lo sfondo entro cui si muovono i personaggi non distolga l’attenzione da loro o dalle loro azioni. 227 Eye Level: nelle riprese ravvicinate al viso la Mdp va leggermente inclinata dal basso per gli uomini e dall’alto per le donne. POSIZIONE DELLA TESTA EYE LEVEL (livello occhi) L’altezza della Mdp influenza il senso della rappresentazione. Nelle scene comuni la camera è situata più o meno all’altezza degli attori, siano essi seduti, in piedi o sdraiati, dando l’impressione che esista un altro soggetto ad assistere alla scena accanto a loro; difficilmente si mostrano piani sopraelevati o rasoterra. Quando invece il punto di vista è molto angolato, specialmente verso l’alto o verso il basso, l’inquadratura determina un particolare effetto di senso: se rivolta dal basso verso l’alto, conferisce importanza al soggetto, incute timore e rende l’idea di un qualcosa che incombe o giganteggia; al contrario, se rivolta dall’alto verso il basso, tende a svilire, subordinare e schiacciare il soggetto rappresentato. Nelle riprese ravvicinate al viso non si dispone quasi mai la Mdp perfettamente frontale, ma leggermente inclinata dal basso per gli uomini e dall’alto per le donne. 228 La posizione della testa in inquadratura va considerata. Lo spazio che sta tra la punta della testa di un personaggio e l’estremità superiore del quadrato che compone l’inquadratura, deve essere controllata: lasciare troppo spazio tra il personaggio e il bordo dà l’impressione che il soggetto stia affondando; mentre lasciare troppo poco spazio focalizza l’attenzione sul collo. Bisogna prestare attenzione al fatto che la linea degli occhi stia sopra o sotto la prima linea orizzontale che divide lo spazio dell’inquadratura secondo la divisione dei terzi precedentemente accennata. La grammatica cinematografica Introduzione Direzione di sguardo e di movimento: quando un soggetto guarda in una direzione o si sta spostando verso una direzione, è opportuno lasciare uno spazio maggiore nella direzione in cui sta guardando o verso cui si sta spostando DIREZIONE DI SGUARDO E DI MOVIMENTO 7.8 I Movimenti della MDP Quando inquadriamo un soggetto che guarda in una direzione, o che si sposta verso una direzione, è opportuno lasciare uno spazio maggiore nella direzione in cui sta guardando o verso cui si sta spostando; questo perché il centro d’interesse si sposta davanti a lui, specialmente se è di profilo. Nel caso in cui si stia muovendo poi, se venisse posizionato male, si avrebbe l’impressione che il personaggio stia andando contro l’estremità dell’inquadratura, uscendo fuori campo. La posizione migliore in questi casi è perciò con il soggetto posizionato più indietro rispetto al centro dell’inquadratura, dando maggiore spazio allo spazio vuoto davanti a lui. Rispetto ai film degli albori, in cui la ripresa era unica e fissa, l’ utilizzo della Mdp in movimento ha conferito ai film una nuova libertà e una nuova dimensione, con altrettanti possibilità narrative; sviluppandosi, però, è diventato anche un facile “strumento di perdizione”. I movimenti della Mdp infatti, se usati troppo o male, hanno la capacità di distruggere l’illusione; nel primo caso diventando invasivi e disturbando la visione dello spettatore; nel secondo danneggiando il ritmo e la velocità della narrazione, e conseguentemente storpiandone l’interpretazione. Il movimento della Mdp deve essere sempre giustificato, deve contribuire a raccontare la storia e quindi a migliorarla; un buon regista deve sempre sapere come, quando e perché effettuarlo, perché, se un movimento è inutile, quasi sempre risulta dannoso e appesantisce la storia. Un’ inquadratura, indipendentemente da ciò che accade al suo interno, può definirsi statica o dinamica 229 I movimenti di camera non si limitano a scrutare lo spazio fisico del set ma a volte creano anche delle loro connessioni e delle forme di significazioni indipendenti; queste possono essere più o meno sentite dallo spettatore e rappresentano la volontà dell’istanza narrante di trasmettere un messaggio che deve essere dal pubblico interpretato (più o meno coscientemente). Ovviamente il fulcro della rappresentazione cinematografica sono i personaggi, per cui la camera si indirizza in particolar modo su di loro. Le principali funzioni dei movimenti della Mdp sono: 1. Conferire tridimensionalità allo spazio bidimensionale dello schermo. 2. Identificare l’ambiente in cui si svolge l’azione. 3. Identificare le posizioni di personaggi e oggetti all’interno della scena. 4. Fornire informazioni più o meno dettagliate sia sull’ambiente che su i personaggi e le loro reazioni e relazioni. Il movimento della Mdp si caratterizza per una propria intensità, velocità, direzione, durata e tempo; spesso al ritmo dato dalla somma di tutti questi elementi si conferisce anche un valore emotivo, associandovi sentimenti di forza, fretta, armonia, monotonia, calma, depressione ecc... influenzati naturalmente anche dal contesto in cui si svolgono. A volte poi, oltre a esprimere uno stato d’animo, i movimenti della Mdp possono essere usati per enfatizzare una situazione o una determinata battuta di dialogo, in questo caso allora si usa far precedere la battuta dal movimento per enfatizzarla, oppure, nel caso contrario, se il movimento la segue, sarà lui ad essere enfatizzato. Relativamente alle connessioni spaziali instaurate dai movimenti macchina, si possono distinguere tre funzioni: 230 1. La funzione connettiva mette in relazione due o più elementi profilmici tra loro, partendo da un’ inquadratura e spostandosi su di un’ altra, per sottolineare comunanze, diversità o opposizioni. 2. La funzione estensiva conferisce un’ immediata importanza ad un oggetto/soggetto in scena partendo da un piano ravvicinato e allargando poi la visione ad uno spazio più ampio. 3. La funzione selettiva funziona al contrario, parte cioè da un piano più ampio e zoomma poi su di un particolare soggetto/oggetto mettendolo in rilievo Il tempo di un’ inquadratura è altrettanto importante e si distingue per durata-velocità e ritmo; questi elementi devono essere programmati con attenzione perché influenzano la messa in scena di una determinata situazione. Per quanto riguarda la durata, un movimento troppo lungo o troppo corto danneggia l’esecuzione. Possiamo notare che quando l’inquadratura è statica, la durata dipende essenzialmente dal movimento che si svolge all’ interno dell’inquadratura; nel caso ci sia un movimento di camera invece, la durata dipende essenzialmente dalla gestione del movimento stesso della Mdp. E’ utile notare che situazioni molto statiche come i dialoghi, si possono risolvere con inquadrature molto dinamiche, per non annoiare l’osservatore. Ogni movimento della Mdp ha poi una certa velocità di esecuzione, anche questa contribuisce alla comunicazione della scena perché dà la possibilità di innescare determinati sentimenti nello spettatore: rallentando il movimento è possibile suscitare un sentimento di attesa mentre velocizzandolo si possono generare situazioni di stupore, con l’improvvisa comparsa di determinati elementi in scena. Da non sottovalutare infine la funzione ritmica di La grammatica cinematografica Introduzione un inquadratura, in rapporto sia al suo movimento interno (diegetico) che alla colonna sonora. I movimenti della Mdp sono classificati in base alle apparecchiature usate nei film live, si possono comunque facilmente rapportare ai movimenti effettuati in animazione 2D o 3D, vediamo quindi come si classificano: CAMERA FISSA: la Mdp è statica CAMERA A MANO: i movimenti di macchina procedono a sobbalzi in modo discontinuo ed irregolare: nei film live queste sono le riprese effettuate da un operatore che sorregge la camera a mano o sulle spalle; essa implica un rapporto più diretto con la realtà, dà vita ad un punto di vista più soggettivo ed è tipico richiamo dei reportage. Un particolare tipo di movimento è quello della Steadycam, che, attraverso una particolare imbragatura sostenuta, indossata o fissata ad un mezzo, permette di eseguire riprese stabili in movimento senza subire alcun sobbalzo, specialmente in situazioni difficili come la corsa, stop improvvisi, la salita di scale, terreni sconnessi ecc. PANORAMICA: la macchina da presa è fissa e ruota attorno al proprio asse in senso verticale, orizzontale, diagonale, circolare, o a 360° attorno al proprio asse. Una panoramica può quindi esplorare un ambiente o seguire un soggetto in movimento in modo continuativo o intermittente. Con la panoramica è conveniente riprendere anche situazioni di azione-reazione. PANORAMICA A SCHIAFFO: panoramica molto veloce utilizzata solitamente per creare un effetto sorpresa o per presentare un salto di tempo o di spazio; alcuni usano sfocare le immagini lungo il percorso. CARRELLATA: la camera è in movimento, nei film live è sistemata su di un carrello che scorre su dei binari o su di un veicolo; il suo movimento può essere in avanti o indietro rispetto ad un oggetto/soggetto, laterale verso destra o sinistra, verticale, obliquo e circolare. Solitamente è utilizzata per esplorare degli spazi o per seguire oggetti e soggetti in movimento: in quest’ultimo caso può essere una carrellata laterale, se segue parallelamente un soggetto e lo riprende di profilo, oppure a procedere o seguire, rispettivamente se precede il personaggio inquadrandolo frontalmente o lo segue inquadrandolo di spalle. Le carrellata è mantenuta spesso ad una distanza costante dal soggetto/oggetto ripreso e si muove alla sua stessa velocità costante. CARRELLATA OTTICA (zoom): ottiene effetti di allontanamento/avvicinamento tramite variazioni della lunghezza focale dell’obiettivo. La differenza sostanziale con una carrellata vera e propria risiede nel fatto che la prospettiva in scena cambia; mentre con il movimento della macchina, gli elementi in primopiano crescono di misura più rapidamente di quelli di sfondo, con lo zoom tutti gli elementi sono ingranditi allo stesso modo. In pratica il movimento effettivo restituisce una maggiore profondità di sfondo e una resa migliore dei volumi e della solidità degli oggetti in scena, mentre una zommata implica un maggiore appiattimento e lo sfondo sembra più avvicinato a soggetti in primopiano. CAMERA CAR: come dice la parola, è un tipo particolare di carrellata in cui, nei film live, la Mdp è montata su di un veicolo in movimento. 231 TRAVELLING: movimenti di macchina complessi che uniscono alle possibilità dinamiche della panoramica e dei carrello la possibilità di far salire e scendere la cinepresa anche ad altezze elevate; nei film live si utilizzano appositi macchinari come gru, dolly e louma, muniti di un braccio meccanico mobile su di una piattaforma a ruote. Sono utilizzati per descrizioni visive di ambienti complessi, ad esempio partendo dall’alto e scendendo dal generale al particolare o per inquadrare scene d’azione con gruppi numerosi ecc... sono comunque movimenti che è meglio progettare a priori. RIPRESE AEREE: come dice la parola, sono le riprese effettuate ad altezze elevate per cui nei film live si utilizza l’aereo o l’elicottero E’ utile citare, oltre a questi movimenti, la pratica comune della re-inquadratura, che consiste in piccoli, e a volte quasi impercettibili, movimenti di camera, effettuati per rimediare allo sbilanciamento visivo causato dal movimento di un personaggio o di un altro elemento della composizione; nei casi in cui un personaggio si alza o si siede per esempio, oppure quando un personaggio esce dall’inquadratura, lasciando uno spazio vuoto. LO ZOOM Esistono tre modi principali per eseguire uno zoom: 1. L’ obiettivo zoomma verso o lontano da un soggetto fermo. 2. Lo zoom copre un soggetto in movimento. 3. Lo zoom viene eseguito anche con un movimento della Mdp (in questo caso lo zoom può non essere percepito). 232 Comunque sia, lo zoom è di solito più giustificato se effettuato in conseguenza di un movimento. Possiamo notare che una lenta zoommata su di un soggetto fermo, attrae l’attenzione sul movimento stesso dello zoom, nel senso che il suo avvicinamento assume la funzione di “scrutamento”, per esempio avvicinandosi ad un soggetto pensoso o a degli occhi pieni di lacrime; un rapido zoom invece, crea una punteggiatura visiva mettendo in risalto il soggetto/oggetto rappresentato, ed escludendo bruscamente tutto il resto, per esempio mostrando un oggetto seminascosto in un taschino o un urlo di spavento. Gli zoom lenti hanno spesso un ritmo costante nell’avanzare/indietreggiare visivamente, dando l’idea di un occhio che man mano si focalizza su qualcosa; quelli veloci invece, usati solitamente per effetti shock, possono avere una velocità costante oppure no. Nel caso la velocità dello zoom sia variabile, un rallentamento in fase finale produce un buon effetto; in questi casi però è sconsigliato partire con uno zoom veloce e poi lento, perché causa un effetto iniziale troppo brusco, meglio usare un movimento lento-veloce-lento oppure lento-veloce. Ovviamente, non è essenziale usare l’intera gamma di distanze focali, zoommare in brevi sezioni è spesso più efficace. Lo zoom può essere una buona variante per introdurre una nuova scena: si può partire con degli oggetti in primopiano su di uno sfondo fuori fuoco e poi invertire i fuochi per mostrare l’azione principale dietro di essi dando l’impressione di uno scorcio (ex. una rete, un cancello, degli oggetti su di un tavolo...). La grammatica cinematografica Introduzione The Incredibles (2004) Walt Disney Pictures Pixar Animation Studio 7.9 Lo Spazio Un termine cinematografico che ricorre spesso in riferimento ai rapporti spaziali e temporali è quello di “diegetico”, usato per distinguere ciò che fa parte del mondo raccontato nella storia da ciò che vi esula; il diegetico dipende dal rapporto che si instaura tra il racconto e il suo destinatario, tra ciò che viene mostrato e ciò che l’osservatore suppone che esista; fanno parte del mondo diegetico gli ambienti, i personaggi, le luci, le leggi fisiche ecc., extra-diegetico è invece tutto ciò che è escluso dal mondo della storia, come la voce del narratore o la colonna sonora (che non odono i personaggi). Lo spazio va quindi distinto in spazio della storia e spazio del racconto a secondo che sia, rispettivamente, lo spazio diegetico del film o lo spazio effettivo mostrato attraverso gli scorci e le inquadrature della camera (è attraverso quest’ultimo che lo spettatore ricostruisce lo spazio diegetico della storia). Esistono due modi per rappresentare uno spazio diegetico: un piano d’insieme dell’ambiente, seguito da una serie di inquadrature parziali; oppure una serie di inquadrature parziali che frammentano lo spazio d’insieme senza mostrarlo mai nella sua interezza. Mentre il primo dà vita ad un montaggio chiaro e definito, tipico del cinema classico, il secondo richiede allo spettatore di intervenire a unire tutti i segmenti per dare vita allo spazio totale col la sua immaginazione; entrambi i casi si riferiscono a quel gioco di segmentazione dello spazio chiamato découpagè. Tecnicamente parlando, attraverso il passaggio da un’ immagine (inquadratura) ad un’ altra, vi sono diversi rapporti spaziali che possono instaurarsi a seconda della vicinanza/lontananza degli spazi rappresentati: i due principali rapporti spaziali sono quelli di identità e alterità spaziale tra due inquadrature successive, per cui nel primo rapporto di identità, 233 l’immagine che viene mostrata nella prima inquadratura è presente anche nella seconda in maniera più o meno ravvicinata/allontanata (ex. A-un cartellone pubblicitario B-la scritta sul cartellone); mentre nel rapporto di alterità le due immagini non si collegano direttamente ma possono essere degli spazi vicini o lontani rispetto alla prima inquadratura. Nel caso di alterità spaziale abbiamo allora altre due possibilità: si parla di contiguità spaziale in caso di spazi contigui, come in una conversazione, oppure si parla di disgiunzione spaziale per spazi lontani, privi della possibilità di una comunicazione diretta; questi ultimi a loro volta si dividono in disgiunzione di prossimità o distanza, nel caso vi sia un collegamento visivo o sonoro come un telefono, una radio, un binocolo, oppure no. Lo spazio diegetico mostrato dalle inquadrature può dar vita ad una pluralità di significati, può essere più o meno realistico e può invitare lo spettatore a dare un interpretazione sia dell’ambiente rappresentato, sia dei rapporti che si instaurano tra ambiente-personaggio (ex. ambiente costruito in base ad una dominante psicologica). In molti casi poi lo spazio ha una funzione attiva rapportandosi ai personaggi del racconto, sia a livello compositivo, degli elementi che lo compongono (ex. stanza), sia a livello narrativo, per cui si possono creare interessanti rapporti spazio-personaggio basandosi sulla disgiunzione/ unione (dentro-fuori) del personaggio ad un determinato luogo (casa-bar-nave) o ad un determinato ambiente (naturale, cittadino-selvaggio). Molto spesso si costruisce un ambiente attingendo ad elementi, anche non veritieri, che appartengono all’immaginario comune legato a quel determinato luogo, formatosi attraverso precedenti rappresentazioni usate da vari media come libri, romanzi o film; questi fungono da forte richiamo per un certo ambiente stereotipato (ex.ambiente western). 234 7.10 Il Tempo Innanzitutto si può notare che il tempo cinematografico si esprime sempre al presente, per cui un’ azione viene sempre rappresentata nel corso del suo svolgersi indipendentemente dal fatto che sia un’ azione passata, presente o futura. Anche il tempo, come lo spazio, si divide in tempo diegetico e tempo filmico per le stesse caratteristiche: il primo è il tempo effettivo della storia, in cui gli eventi hanno una cronologia data, mentre il secondo è quello del racconto nel film, in cui gli eventi possono presentarsi con un diverso ordine. Per quanto riguarda il tempo filmico, ogni evento può presentarsi agli occhi dello spettatore con lo stesso ordine in cui accade nella storia, oppure può essere manipolato dall’ istanza narrante in vari modi, presentandosi con un ordine cronologico diverso o con una frequenza di ripetizione che non rispecchia il reale. Nell’analisi del tempo filmico si usa perciò rapportarlo a quello reale in base a tre fattori: 1. L’ ordine in cui si verificano gli eventi. 2. La durata 3. La frequenza nel ripetersi. Per quanto riguarda l’ordine cronologico, si distingue innanzitutto tra fabula e intreccio, la fabula è in riferimento alla reale sequenza temporale della storia, l’intreccio è in riferimento all’ordine degli eventi così come si presentano nel discorso filmico. Quando l’ordine degli eventi nel racconto non è uguale a quello della storia, si incontrano rimandi ad eventi passati o rimandi ad eventi futuri chiamati rispettivamente analessi e prolessi. Questi rimandi possono essere accompagnati da immagini vere e proprie, e quindi vengono chiamati flashback o La grammatica cinematografica Introduzione The Incredibles (2004) Walt Disney Pictures Pixar Animation Studio flashforward (evento passato o futuro) oppure possono essere semplici parole di richiamano ad un determinato evento, con le immagini che rimangono al presente. Questi salti temporali devono essere sempre funzionali alla storia e rispondere ad una determinata logica. Le analessi in particolare assumono spesso il compito di completare una mancanza o un’ omissione, di chiarire cioè le cause di un determinato evento o di un determinato comportamento; possono suscitare sorpresa rivelando fatti imprevedibili o scioccanti. Le prolessi sono invece più rare e assumono la funzione di anticipare un determinato evento, hanno spesso un carattere ambiguo rispetto alle analessi che rappresentano un fatto certo; a volte anticipano perfino eventi che non accadranno; la loro funzione è quella di indurre lo spettatore a chiedersi non più che cosa accadrà ma il perché accadrà. Per quanto riguarda la durata invece, è importante notare che la durata di un inquadratura dipende dal suo contenuto: più un’ immagine è ricca di elementi, infatti, più tempo deve essere concesso allo spettatore per interpretarla; allo stesso modo, più una scena risulta statica e più la sua durata dovrebbe essere limitata. Anche la durata si distingue in durata della storia (1anno-una vita) e durata del racconto (1h-2h di film) e ovviamente quest’ultima è sempre inferiore perché generalmente in un film si alternano momenti pieni, in cui i tempi della storia e del racconto coincidono, e momenti interrotti da ellissi temporali che separano un episodio dall’altro. Il rapporto tra queste durate non si esaurisce con l’analisi del film nella sua totalità ma diventa importante rispetto all’analisi delle sue parti componenti, prendendo cioè in considerazione singole inquadrature, scene e sequenze in rapporto alla durata reale. 235 Il tempo di ogni episodio è collegato al ritmo e alla velocità narrativa che spesso si modificano nel corso della visione di una storia, per questo nel rapporto tra tempo della storia (TS) e tempo del racconto (TR) si distinguono cinque modalità di durata: TR=N TS=0 PAUSA: questo momento coincide in lettura con una descrizione, la storia è ferma ma il tempo del racconto avanza; nel cinema può esserci un piano d’ambiente su di un paesaggio, un campo vuoto in cui nulla accade, un fermofotogramma o un rallenti. TR>TS ESTENSIONE: in questo caso il tempo del racconto è più lento di quello della storia, può esserci estensione nei casi di un effetto slowmotion o un fermo immagine, oppure quando vengono introdotte delle immagini descrittive o simboliche o anche quando un determinato evento o movimento viene ripetuto più volte. TS=TR SCENA: è la forma assai comune per cui quel che accade nello schermo ha la stessa durata effettiva che nella storia. TR<TS SOMMARIO: vengono effettuati dei salti temporali per eliminare scene inutili o per accentuare il ritmo della narrazione; a questo tempo corrispondono le sequenze ordinarie con piccoli salti temporali, oppure le sequenze a episodi, in cui una serie rapide di immagini in sequenza, solitamente separate da dissolvenze o rapide panoramiche, mostrano la scomposizione parziale di un determinato evento temporale, come ad esempio lo scorrere delle lancette di un orologio, lo sfogliarsi di un calendario... 236 TR=0 TS=N ELLISSE: salto temporale vero e proprio che corrisponde letteralmente ad un silenzio testuale; può essere utilizzato per eliminare tempi morti, accentuare il ritmo narrativo oppure celare un episodio significativo, interrompendolo bruscamente un azione o mostrandola parzialmente lasciandola intendere. Infine riguardo alla frequenza , ovvero al numero di volte che un determinato evento si ripete o viene evocato nel racconto filmico, si usa distinguere in racconto singolativo, che avviene tante volte quante avviene realmente e ripetitivo, che avviene per un numero di volte maggiore al suo effettivo ripetersi nella storia; oppure iterativo, cioè che avviene un’ unica volta quando invece si è ripetuto più d’una. Da considerare in quest’ultimo caso che, se anche un immagine è di natura singolativa, può presentare un evento solo nel momento in cui accade; la costante ripetizione di un azione può essere mostrata da poche immagini in successione che richiamano l’idea del ripetersi di un’ azione presentando piccole variazioni, oppure tramite un enunciato verbale diretto quale “tutti i giorni faccio colazione”. 7.11 Il Montaggio Il montaggio opera un lavoro di selezione e combinazione delle scene della storia, dando loro unità e continuità ai fini di costruire il discorso filmico. Il montaggio non è da confondere con il découpagè tecnico, chiamato anche montaggio a priori, che prevede l’organizzazione formale del film attraverso la frammentazione della sua continuità, in unità La grammatica cinematografica Introduzione cinematografiche di tempo e di spazio. Essenzialmente il lavoro di montaggio consiste nell’unire tra loro due inquadrature in successione (inq. A + inq.B) ma, come abbiamo già accennato, questa non è una semplice operazione tecnica di unione, ma un’ operazione artistica di congiunzione, che crea nessi significativi tra le inquadrature sulla base di un progetto narrativo, estetico e semantico. Le inquadrature sono infatti unità dinamiche e complesse e la loro associazione crea dei significati che vanno ben al di là del loro singolo valore (effetto kulesov). Nella fase di montaggio inoltre, bisogna tenere presente che il pubblico deve sempre sapere quale azione principale si stia svolgendo in scena e come le persone coinvolte stiano reagendo a questa azione; è importante perciò che il punto di vista dell’osservatore si trovi nel posto (di volta in volta) più favorevole a questa osservazione. La funzione del montaggio è quella di raccontare la storia in modo tale da conferirgli uno specifico carattere e una determinata interpretazione, senza mai perdere l’attenzione e la comprensione dello spettatore; il montaggio manipola quindi non solo le immagini, ma anche lo spazio, il tempo e il sonoro. Il montaggio si occupa della gestione dello spazio e del tempo diegetico (effettivo della storia) per la creazione dello spazio e del tempo del racconto filmico: dal punto di vista temporale, esso seleziona e mette in mostra i momenti più importanti della storia, tralasciando gli altri tempi inutili che rallentano il racconto o non aggiungono niente di nuovo. Dal punto di vista spaziale invece, il montaggio scompone lo spazio diegetico in diverse aree o unità, mettendo in risalto alcune zone spaziali (eventi o esistenti) piuttosto che altre. Per quanto riguarda il tempo, il montaggio definisce ordine di sequenza, durata e frequenza delle scene nella storia. L’ordine di sequenza delle scene dipende dal rapporto tra ordine degli eventi nella storia e ordine degli eventi nell’intreccio filmico, può quindi rispettare o meno la sequenza lineare e cronologica degli eventi. La durata dipende invece dall’ inizio e dalla fine di un’ inquadratura e stabilisce il tempo a disposizione dello spettatore per “leggere” ogni inquadratura (a questo proposito una regola generale stabilisce che si deve lasciare più tempo allo spettatore nelle inquadrature con un maggiore livello di dettaglio perché richiedono più tempo per essere “lette” (ex. campi lunghi), mentre occorre accorciare i tempi nelle inquadrature che non richiedono una attenta lettura (ex. primi piani e dettagli). La frequenza infine dipende dal ripetersi o meno di alcuni eventi nella storia e, come l’ordine di sequenza, può rispettare la frequenza reale degli eventi oppure no. Per quanto riguarda lo spazio, invece, il montaggio può mostrare uno spazio totale e successivamente diverse inquadrature parziali dello stesso, oppure uno spazio frammentato, mostrando da subito più inquadrature parziali senza mai dare una visione generale d’insieme, lasciando allo spettatore il compito di ricostruire il tutto. Ragionando in termini meno superficiali, lo spazio diegetico può essere suddiviso dal montaggio in aree privilegiate, che si alternano le une con le altre all’interno dell’inquadratura definendo aree di conflitto o dei rapporti personali. Come già specificato nei capitoli precedenti, il lavoro di montaggio nei film live è ben più consistente di quello operato in animazione, dove le scene sono già state precedentemente organizzate con precisione; le immagini, una volta prodotte, quindi, non sono soggette né ad una particolare selezione (c’è pochissimo scarto) né ad una particolare ricomposizione; ciò nonostante, durante la 237 fase di compositing finale, vengono eseguiti degli aggiustamenti e alcune scene possono subire modifiche, tagli e aggiunte, anche se non particolarmente consistenti. Consideriamo quindi il montaggio come il risultato non solo del compositing finale, ma anche del processo ideativo eseguito in fase di pre-produzione della storia; le regole rimangono comunque sempre le stesse, visto che la grammatica cinematografica è una grammatica unica. Premesso che le Single Shot sono inquadrature frammentate (spesso di personaggi ripresi singolarmente) che si usano alternativamente, cioè spostando l’attenzione da un punto all’altro per coprire un evento per intero, e le Master Shot sono invece inquadrature che coprono una scena nella maggior parte o nella sua totalità; esistono tre tipi principali di montaggio: 1. una master shot riprende l’intera scena 2. una Mastershot viene montata con inquadrature più brevi che coprono frammenti della scena a distanze diverse o immettono i soggetti in un altro luogo (queste inquadrature brevi servono a porre enfasi sui personaggi chiave) 3. due o più Mastershot sono montate in parallelo ATTACCHI E STACCHI Un elemento che sta alla base del montaggio è lo stacco, cioè il passaggio da un’ inquadratura ad un’ altra. Lo stacco viene percepito come tale, cioè fastidioso, perché comporta inevitabilmente un cambio di visione, se non nelle posizioni e direzioni, sicuramente nei volumi dei personaggi in inquadratura; se durante uno stacco 238 non esiste un diversivo che distragga l’attenzione dello spettatore, questo sicuramente sarà percepito malamente dallo spettatore. Per evitare questo disagio sono state ideate delle tecniche di raccordo tra un’inquadratura e un’ altra, che si basano essenzialmente sul mantenimento in inquadratura delle stesse posizioni, degli stessi movimenti, o delle stesse direzioni di sguardo o movimento. L’attacco sul movimento, effettuato quindi staccando da un’ inquadratura ad un’altra durante un movimento (o subito dopo) è il diversivo ottimale perché rallenta il movimento a tal punto da non far notare la stonatura dovuta al cambio di inquadratura; bastano anche spostamenti minimi di sguardo o di espressione a distrarre l’attenzione superficiale dello spettatore. L’attacco è la risultante di un complesso di elementi predeterminati in sede di realizzazione quali l’ampiezza del campo, la posizione della Mdp, i movimenti dei personaggi, ecc., può essere essenzialmente di tre tipi: ATTACCO SULL’ASSE: è un attacco il cui centro di attenzione rimane nello stesso punto dello schermo nelle due inquadrature giuntate. Permette l’ingrandimento o la riduzione del soggetto mediante spostamenti di macchina in avanti o indietro, lungo l’asse ottico dell’obiettivo o mediante cambiamenti delle focali. ATTACCO PER INQUADRATURE CONTIGUE: si definiscono contigue due inquadrature di cui l’una risulta la prosecuzione spaziale dell’ altra. L’applicazione abituale delle angolazioni contigue avviene con soggetti in movimento che col progredire dell’azione escono dal campo. Le inquadrature contigue sono caratterizzate dal parallelismo degli assi ottici e dalla costanza dell’angolazione del movimento del personaggio. Le uscite e le entrate del soggetto debbono essere La grammatica cinematografica Introduzione raccordate in modo esattamente inverso: ad una uscita a sinistra corrisponde un’entrata a destra e viceversa e ad un’uscita dall’alto corrispondono un’entrata dal basso e viceversa. E’ fondamentale che la velocità del moto sia sempre la stessa al momento dell’attacco. CONTROCAMPO: si intende letteralmente una inquadratura opposta alla precedente che ne conserva la direzione, ma ne inverte il senso. Tale attacco presenta l’inconveniente di sconvolgere la geografia dell’ambiente, invertendone gli elementi. Gli oggetti che si trovano a destra, passano nella seconda inquadratura a sinistra e viceversa. 7.12 Il Montaggio a Découpagè Classico Sono stati definiti diversi modelli di montaggio, ognuno con determinate caratteristiche (montaggio esterno, interno, americano, parallelo ecc.), ciò nonostante, non ne esiste in assoluto uno migliore, al massimo, ne esiste uno più funzionale ad un tipo di racconto piuttosto che ad un’altro. Nella pratica questi modelli possono ovviamente fondersi tra loro, bisogna quindi valutare fra le diverse componenti in gioco nella narrazione quella che assume il valore dominante e scegliere il modello di montaggio adeguato. Dei modelli di montaggio esistenti, il cinema di animazione fa ampiamente, per non dire esclusivamente, uso del modello di montaggio a découpagè classico, vediamo quindi le sue caratteristiche principali: Il montaggio di découpagè classico viene anche definito a montaggio invisibile, per sottolineare il fatto che questo montaggio non si rivela allo spettatore, ma ne facilita lo scivolamento nella finzione cinematografica, guidandone la proiezione nella storia e facilitandone l’ identificazione; questo tipo di montaggio decide per lo spettatore cosa deve vedere, come deve vederlo, quando e per quanto tempo. Lo spettatore è spinto a condividere naturalmente il punto di vista dell’inquadratura perché ciò che viene rappresentato è giustificato dalla geografia dell’azione e dallo spostamento dell’interesse drammatico nella scena. Nel montaggio a découpagè classico il tempo rispecchia spesso la realtà: gli eventi sono presentati nella giusta sequenza temporale (ad eccezione dei flashback) e nella reale frequenza in cui si verificano; si ricorre perlopiù all’uso di scene e sequenze, per cui la durata delle scene rispecchia la continuità temporale della storia oppure ricorre ad ellissi temporali per eliminare scene irrilevanti; raramente si utilizzano estensioni temporali. Nel montaggio classico la rappresentazione dello spazio e del tempo è fortemente subordinata alla chiarezza di narrazione, dando rilievo a ciò che si vuole far percepire come più importante di altro; le tre principali caratteristiche sono la motivazione, la chiarezza e la drammatizzazione: il passaggio da un inquadratura ad un altra deve quindi avere una ragione logica, rendere chiarezza all’azione o alla situazione che si svolge e mettere in rilievo le componenti drammatiche ed emotive della situazione rappresentata. Questo montaggio viene definito invisibile perché si costruisce attraverso il rispetto della continuità tra un piano e l’altro, nel senso che la forza disgregatrice del montaggio viene controllata per rendere il discorso filmico il più scorrevole possibile nel passaggio da un’ inquadratura ad un’ altra; a questo fine si utilizzano accorgimenti vari quali la centralità dei personaggi e dell’azione rispetto allo spazio inquadrato, il mantenimento della stessa posizione degli elementi tra un’ inquadratura e un’ altra, l’omogeneità dell’illuminazione ecc... 239 Raccordo di sguardo: collega chi guarda con chi viene guardato. Per mantenere la continuità e per rendere il passaggio tra un’ inquadratura e l’altra il meno evidente possibile si utilizzano i raccordi, cioè dei collegamenti visivi di diverso tipo, i principali sono i raccordi di sguardo, di movimento, i raccordi sull’asse e quelli sonori (spiegati di seguito). Un’altra regola per mantenere la continuità utilizzata per lo più nelle scene di dialogo è inoltre quella dello Spazio a 180°, in cui attraverso l’uso del campo-controcampo, si usa effettuare un avvicinamento progressivo ai due interlocutori costruendo così il climax dell’azione. Ma vediamo nello specifico queste Regole di montaggio: 7.13 Regole Principali del Montaggio Classico disturbato e concentrandosi perciò sulla storia. A questo proposito un ruolo essenziale è riservato ai raccordi, che appunto collegano due inquadrature mantenendo degli elementi in continuità visiva tra un piano e l’altro, di modo che lo stacco sia il meno evidente possibile. Comune alla maggior parte dei raccordi è il fatto di mantenere degli elementi (personaggi, oggetti, ambienti) in posizioni costanti, assegnando loro delle porzioni dello schermo (solitamente diviso in 2 o 3 settori verticali) che rimangono invariate nel cambio di inquadratura. La soluzione più usata è quella di destinare 2/3 di spazio ad un elemento e 1/3 di spazio ad un altro; questo genera solitamente connessioni/opposizioni simboliche. Nei raccordi bisogna allora considerare: la posizione dei personaggi, il loro movimento e il loro sguardo; i principali sono: RACCORDO DI SGUARDO Nel corso della visione lo spettatore raramente ricorda più di una/due inquadrature precedenti a quella che sta guardando; nel passaggio da un’ inquadratura all’altra però, percepisce più o meno evidentemente lo stacco. Per eliminare il senso di stacco e discontinuità insito nel montaggio, esistono delle regole di connessione tra le inquadrature che derivano dal cinema classico e che hanno il preciso scopo di favorire la massima scorrevolezza delle inquadrature e non infastidire o disorientare lo spettatore. Tra questi accorgimenti per mantenere la continuità visiva tra un piano e l’altro troviamo il mantenimento della illuminazione in modo costante, oppure il mantenimento dei personaggi e delle azioni in posizione centrale rispetto al quadro; queste e altre regole permettono al pubblico di scivolare nella finzione del film facendo scorrere agevolmente lo sguardo sulle inquadrature senza essere 240 Questo raccordo collega qualcuno che guarda con il qualcosa che è guardato, quindi la prima inquadratura mostra un personaggio che guarda qualcosa, mentre la seconda mostra cosa viene guardato (ex. inq1uomo guarda fuori dalla finestra inq2-strada cittadina trafficata). La grammatica cinematografica Introduzione RACCORDO SULL’ASSE Il raccordo sull’asse è, come dice la parola, un raccordo effettuato sullo stesso asse visivo dalla prima alla seconda inquadratura; la seconda è semplicemente più ravvicinata ed eseguita in un momento successivo alla precedente (ex. inq1-scorcio frontale di una parete con dei quadri appesi inq2-i quadri visti più da vicino sempre frontalmente). RACCORDO DI MOVIMENTO Nel raccordo di movimento si scompone il movimento tra la prima inquadratura e la seconda inquadratura: la prima inquadratura mostra l’inizio di un movimento, la seconda ne mostra il concludersi (inq1-un pugile piega il braccio e fa partire un diritto inq2-il diritto va a segno sul volto dell’avversario); nei raccordi di movimento è fondamentale che la Mdp sia posizionata sempre da uno stesso lato rispetto al personaggio (regola dei 180°), se non fosse così, il movimento risulterebbe in direzione opposta. Solitamente in questi raccordi si usa dividere il movimento facendo in modo che 1/3 di esso avvenga nella prima inquadratura e 2/3 nella seconda, oppure il contrario. Innanzitutto il movimento deve essere quello principale in campo, perché è essenziale che venga notato, quindi, condizioni essenziali di questo raccordo sono che l’azione sembri continua e che la velocità appa rente sia la stessa in entrambe le inquadrature. Nel caso in cui il raccordo non sia perfetto, cioè i due tempi sommati siano più lunghi del movimento effettivo, è meglio che il secondo movimento risulti più veloce piuttosto che più lento. A volte il secondo movimento può iniziare ripetendo in piccola parte il movimento precedente, questo rallenta l’azione e può essere utilizzato per enfatizzarlo. Generalmente è meglio evitare i raccordi multipli. Il movimento di un personaggio può essere effettuato in vari modi (strisciando, saltando, volando), in modo continuo o discontinuo, direttamente sul posto oppure lungo un percorso; inoltre può essere effettuato in modo orizzontale (spostandosi da un punto ad un altro), verticale (dal basso all’alto e viceversa), oppure circolare (girandosi sul posto). Il movimento orizzontale, che è il più comune, può essere anche diagonale, ad arco o in direzione neutrale (avvicinandosi/allontanandosi alla Mdp). in alto Raccordo sull’asse: collegamento tra due inquadrature sullo stesso asse visivo, in lontananza o in vicinanza. Raccordo di movimento: nella prima inquadratura inizia l’azione, nella seconda si conclude. 241 Raccordo sonoro: due inquadrature si collegano tra loro grazie ad un suono, un rumore o una parola. La scomposizione del movimento può essere effettuata mantenendo il soggetto sempre nello stesso settore dello schermo (sia che si muova sul posto oppure no) oppure disponendo diverse camere fisse lungo il suo percorso (tutte parallele da uno stesso lato) ottenendo così dei passaggi da inquadratura ad inquadratura con entrate ed uscite fuoricampo. In conclusione si può notare che il movimento cinematografico ha la particolare caratteristica di poter essere segmentato in diversi frammenti d’ azione, ripresi da diversi punti di vista; questa possibilità conferisce più dinamicità e interesse all’azione, risultando molto utile in quei casi in cui occorre smaltire movimenti troppo lunghi o ripetitivi. Rispetto poi alla divisione dello schermo in aree accennata in fase introduttiva, tre sono i criteri principali nella scomposizione di un movimento continuo quando si ragiona in termini di metà spazio sullo schermo: 1. il movimento si deve ripetere nella stessa zona, nella stessa direzione o in direzioni opposte; 2. il movimento ha inizio e si conclude nel centro dello schermo, oppure da un lato e termina nell’altro; 3. il movimento deve convergere verso il centro dello schermo o divergere da esso. Ecco Infine delle opportune considerazioni: Quando la Mdp segue un movimento è bene che mantenga sempre dei movimenti semplici o geometricamente regolari, lasciando che siano i personaggi a percorrere eventuali percorsi tortuosi o irregolari. E’ buona abitudine che la Mdp inizi a seguire un movimento dopo il suo inizio, fermandosi prima che finisca; questo perché il movimento del soggetto allontana l’attenzione al movimento della 242 camera, che risulta così più naturale. A volte al cinema si usa lo stratagemma di aumentare la velocità dei movimenti nelle scene d’azione, per renderle più dinamiche. Di solito si utilizzano movimenti in asse per enfatizzare gesti o espressioni, come anche si utilizzano controcampi esterni per creare sensi opposti di direzione. Per coprire movimenti ampi infine, si utilizzano spesso disposizioni delle camere ad angolo retto rispetto ai personaggi. RACCORDO SONORO Il raccordo sonoro è un raccordo effettuato su di una parola, un rumore o un effetto audio; la prima inquadratura può mostrare oppure no la fonte sonora, la seconda la mette in evidenza. L’invenzione della registrazione e della riproduzione sonora in sincrono, ha offerto al montaggio dell’audiovisivo un nuovo straordinario strumento di continuità. La musica è un ottimo “collante narrativo” utilizzato comunemente e abbondantemente in sequenze di sintesi costruite su grandi ellissi temporali. In questa funzione di “sfondo”, la continuità musicale può proporsi anche come l’unico “cemento” di una sequenza, che dal punto di vista dell’immagine può essere del tutto priva di continuità spazio-temporale. Uno degli espedienti più usati dai montatori, quando un La grammatica cinematografica Introduzione taglio non scorre fluidamente, consiste nel cercare di spostarlo leggermente, in modo da portarlo in un momento di forte continuità della colonna sonora. Si può affermare che qualsiasi inquadratura, anche se non correlata alle precedenti, ma inserita in un determinato ambiente sonoro, viene immediatamente collocata dallo spettatore nella continuità spazio- temporale della scena. REGOLA DEI 180° Questa regola è utilizzata nel montaggio classico, in particolar modo nelle scene di dialogo campo-controcampo, dove due personaggi sono posizionati in maniera frontale l’uno rispetto all’altro (in linea retta o ad angolo retto). Questa regola in pratica stabilisce che una volta posizionata la Mdp da un lato dei personaggi, la Mdp deve rimanere in quello spazio di metà campo (360/2=180) durante tutte le successive riprese della scena, senza possibilità di spostarsi nell’altra metà campo. In questo modo lo spettatore osserva lo svolgersi dell’azione rimanendo sempre dalla stessa parte rispetto all’azione. E’ quindi opportuno decidere a priori la porzione di metà campo (180°) più conveniente, considerando l’impossibilità di spostarsi poi nell’altra metà campo. Come riferimento al posizionamento della Mdp si tiene in considerazione la linea d’interesse (o d’azione), cioè la linea immaginaria che corre fra le due teste dei personaggi coinvolti nella conversazione, indipendentemente dalle loro posizioni (distesi, seduti, in ginocchio); questa linea si basa solitamente sulla direzione degli sguardi che si scambiano e divide in due aree di 180° lo spazio a 360° attorno a loro. La linea di interesse può essere anche verticale o obliqua, la Mdp quindi si può spostare anche lungo questi assi. Salvo particolari eccezioni, non è possibile effettuare movimenti di camera che scavalchino la linea d’azione che divide i due campi perché, se succedesse, gli attori scambierebbero le loro posizioni sullo schermo, confondendo gli spettatori. Rispettando questa regola, quando i personaggi sono ripresi tramite il campo-controcampo, se lo sguardo del personaggio A è rivolto a sinistra, quello del personaggio B sarà sempre rivolto a destra, dando l’impressione di una conversazione faccia a faccia; altrimenti entrambi i personaggi finirebbero per guardare nella stessa direzione, creando spaesamento nello spettatore; questo meccanismo preserva inoltre uno spazio di sfondo comune che, condiviso nella visione laterale, si sovrappone parzialmente nelle due inquadrature laterali. Regola dei 180°: regola del montaggio classico che stabilisce, una volta posizionata la Mdp da un lato degli attori, di utilizzare solo quella porzione a 180° dello spazio complessivo di 360° attorno ai personaggi. *Per controcampo s’ intende un’ inquadratura opposta alla precedente che ne conserva la direzione, ma ne inverte il senso. Lo scavalcamento della linea di interesse può essere effettuato utilizzando un’ inquadratura di transizione tra un piano e l’altro, che faccia da intermezzo neutrale senza essere troppo evidente, oppure si possono utilizzare varie 243 soluzioni quali: PRINCIPIO DEL TRIANGOLO 1. Il posizionando della macchina da presa sulla linea di interesse prima di passare all’altro campo. Molti modelli di montaggio si basano sulla tecnica del principio del triangolo, che è direttamente collegato alla regola dello spazio a 180° ed opera nelle stesse condizioni. In questo caso la Mdp, spostandosi nello spazio a 180°, assume tre posizioni, che, collegate, creano una forma triangolare con la base parallela ai personaggi. Il vantaggio che deriva da questa disposizione a triangolo è che si ottengono tre inquadrature, una parallela alla linea di interesse con i personaggi di profilo (usata spesso in apertura e chiusura della scena) e due laterali, che mettono in risalto uno o l’altro personaggio. Anche qui i personaggi mantengono sempre le stesse posizioni sullo schermo, uno sempre a destra e l’altro sempre a sinistra. Nelle due riprese laterali usate per il controcampo tra i personaggi, le inquadrature possono essere di due tipi: possono comprendere un attore soltanto (controcampi interni o paralleli alla Mdp), oppure includere entrambi gli attori, uno di spalle e l’altro frontale (controcampi esterni); quest’ultimo caso dei controcampi esterni è il più usato. Stilisticamente parlando, nei controcampi esterni dove uno dei personaggi è in primo piano di spalle (o da dietro la nuca), l’angolazione della Mdp non dovrebbe permettere di vedere (il naso) oltre la guancia. Del principio del triangolo esistono poi numerose varianti che dipendono dalla disposizione degli attori (lineare frontale, fianco a fianco, ad angolo retto, uno dietro l’altro...) e delle camere (interne o esterne, parallele, frontali, ad angolo retto...). Per quanto riguarda le riprese nei dialoghi, è utile sottolineare che spesso si procede per avvicinamento, cioè che, man mano che il dialogo si fa più interessante, la Mdp effettua riprese più ravvicinate agli interlocutori, per coglierne le espressioni e le reazioni. 2. L’utilizzo di un inserto o di un cut-away, cioè di una breve inquadratura più ravvicinata o arbitraria, in cui il senso di direzione non è rivelato o è neutrale, per esempio un soggetto che va verso la telecamera o si allontana, o le lancette di un orologio o una persona ferma che osserva la scena. 3. Il cambiamento di direzione degli attori in modo da stabilire un nuovo asse dell’azione. 4. Il cambiamento di direzione indicato dall’attore attraverso un movimento della testa o del corpo, ad esempio. 5. Il movimento di un attore mantenuto nella stessa direzione in entrambe le inquadrature, per esempio chinandosi e rialzandosi (i movimenti verticali hanno sempre la stessa direzione) oppure un movimento continuo di un arco che fa da raccordo, come una mano che schiaffeggia, oppure anche un movimento fuoricampo in uscita nella prima inquadratura e in entrata nella seconda, nella stessa direzione. 6. L’utilizzo di un movimento di camera continuo (panoramica, carrellata) per spostarsi nell’altro campo. 7. Movimenti contrastanti nello stesso settore dello schermo, ad esempio mantenendo un oggetto fermo nel lato sinistro dello schermo e facendo muovere il personaggio da sinistra a destra e poi viceversa nella stessa metà di spazio. 244 La grammatica cinematografica Introduzione Per mantenere vivo l’interesse nei lunghi dialoghi (effettuati in Singleshot) è utile introdurre una Mastershot che ristabilisce le condizioni in scena (posizione dei personaggi e ambiente) e fornisce una pausa, consentendo inoltre ai personaggi di cambiare posizione se necessario e al regista di cambiare montaggio. Legati alla Regola dei 180° e al Principio del Triangolo troviamo i seguenti tipi di raccordo: RACCORDO DI POSIZIONE Il rispetto del raccordo di posizione permette di evitare salti visivi sgradevoli sullo schermo; assegnando delle porzioni di spazio ai personaggi principali, questo tipo di raccordo evita allo spettatore di spostare lo sguardo da una parte all’altra dello schermo per individuare i personaggi di cui sta seguendo l’azione. Il raccordo di posizione si riferisce sia alla posizione fisica di un personaggio, quindi alla postura e ai suoi gesti, sia alla posizione occupata sullo schermo; se, per esempio, un personaggio ha le mani sui fianchi e occupa la porzione di spazio a destra sullo schermo, è opportuno che, al cambio di inquadratura, mantenga le mani sui fianchi e occupi la porzione di spazio che occupava precedentemente mantenendosi a destra sullo schermo. RACCORDO DI DIREZIONE DI MOVIMENTO La logica di questo raccordo è simile a quella del raccordo precedente ed è ovviamente collegata al raccordo di movimento: quando un personaggio compie un movimento, deve muoversi sempre diretto verso lo stesso punto, la sua direzione deve essere la stessa sia nella prima inquadratura, che in quella seguente, che può essere in avvicinamento o allontanamento. Se la direzione del soggetto cambia, il pubblico perde il senso di direzione, non capisce dove stia andando il soggetto e ha l’impressione che stia tornando indietro. E’ importante che qualsiasi cambio di direzione effettuato dal personaggio mentre è in movimento, sia visualizzato sullo schermo chiaramente, di modo che il pubblico non sia confuso. Per quanto riguarda lo stacco, questo può essere effettuato prima o dopo che il personaggio sia uscito fuoricampo (nella prima inquadratura), parzialmente o totalmente; nel caso lo stacco avvenga dopo che il soggetto è uscito totalmente fuoricampo, è bene non staccare immediatamente, ma dopo alcuni attimi di campo vuoto in inquadratura. La stessa cosa vale per l’entrata in campo nella seconda inquadratura: può essere un’ entrata da fuori campo o il personaggio potrebbe già trovarsi in inquadratura. Il metodo più comune stacca dalla prima inquadratura con il personaggio ancora in campo e mostra un’ entrata in campo in quella successiva. Con questi tipi di raccordi si ricorre di solito a contrazioni temporali se il movimento non ha una particolare valenza oltre a quella di spostare il soggetto da un luogo all’altro. Fra i movimenti usati con maggior frequenza troviamo le rotazioni della testa. Queste rotazioni possono essere movimenti raccordati o ripetitivi: quelli raccordati sono per lo più movimenti lenti e spezzati in due parti, quelli Raccordo di posizione: occorre mantenere i personaggi nella stessa postura o nella stessa porzione di spazio occupato sullo schermo durante il cambio inquadratura. 245 In alto Raccordo di direzione di movimento: quando un personaggio compie un movimento il raccordo tra due inquadrature deve mantenere inalterata la direzione del movimento. Raccordo di direzione di sguardo: per dare l’impressione che due persone si stiano guardando, le direzioni dei loro sguardi devono convergere verso il centro dell’inquadratura ed essere sempre di direzioni opposte. ripetitivi vengono invece ripetuti nella stessa area dello schermo e nella stessa direzione. Il raccordo di to è un buon espediente usato per mostrare spostamenti del personaggio da-a località molto distanti e diverse; in questo caso si utilizzano entrate-uscite fuoricampo da posizioni fisse della Mdp nel modo seguente: nella prima inquadratura compare un movimento dal centro dello schermo verso un lato dove l’attore esce fuoricampo; nella seconda il personaggio entra in campo dal lato opposto e, di profilo, attraversa tutto lo spazio dello schermo (questo spazio rappresenta una zona intermedia tra lo spazio di partenza e arrivo), uscendo dall’altra parte sempre di profilo; nell’ultima l’attore rientra dal lato opposto e si ferma al centro dello schermo giunto a destinazione. RACCORDO DI DIREZIONE DI SGUARDO Questo raccordo può essere usato sia per persone singole che per gruppi di persone. Il raccordo di sguardo stabilisce che, quando due soggetti (gruppi) rivolgono i loro sguardi l’uno verso l’altro, per mostrare i soggetti che si guardano reciprocamente da inquadrature singole, le direzioni dei loro sguardi devono essere sempre opposte tra loro; per esempio, un personaggio guarda da destra verso sinistra e l’altro da sinistra verso destra; questo rende l’impressione che i loro sguardi s’incrocino. Se non fosse così, l’impressione sarebbe che entrambi i personaggi (gruppi) stiano guardando nella stessa direzione, verso qualcos’ altro fuoricampo. Senza l’opposizione degli sguardi, le scene diventano deboli e spesso prive di significato, gli sguardi dei personaggi ripresi singolarmente devono quindi essere opposti e simmetrici, che siano direzione orizzontale (destra-sinistra), verticale (alto-basso) o obliqua (dall’alto al basso verso destra o verso sinistra). 246 La grammatica cinematografica Introduzione Stabilire e mantenere una costante opposizione degli sguardi non è una cosa difficile, basta che le teste siano una di fronte all’altra, non importa la distanza fisica. Nel caso un attore fosse di spalle all’altro, è sufficiente che, di tanto in tanto, giri la testa verso il compagno suo interlocutore. Nei dialoghi a due, quando gli attori hanno altezze diverse, le inquadrature potrebbero risultare troppo angolate verso l’alto o il basso; non è obbligatorio tenere la camera sempre fissa alla stessa altezza degli attori, alzandola e abbassandola e inclinandola, si possono trovare soluzioni più equilibrate tra loro. Ragionando in questi termini, non solo lo sguardo può essere incrociato o contrastato, ma anche il movimento; l’uso del movimento contrastato è alla base di tutte le scene di conflitto. Quando si devono mettere in opposizione due personaggi o due gruppi in schieramento opposto, perciò, si assegna ad ogni gruppo una porzione dello schermo e entrambi i gruppi vengono fatti muovere in direzioni opposte, uno verso destra e l’altro verso sinistra, dando così l’impressione che si muovano l’uno verso l’altro (come quando gli sguardi s’incrociano). Entrambi i movimenti vanno montati incrociati, facendoli convergere verso il centro dello schermo, finché si ottiene il raccordo finale dei due gruppi. GRUPPI NUMEROSI Per i gruppi numerosi le tecniche utilizzate sono basilarmente le stesse accennate in precedenza. In situazioni dove si trovano i personaggi insieme a gruppi numerosi è buona regola disporre i gruppi in modo geometrico (circolare, rettangolare, triangolare) e utilizzare diversi livelli di altezza e profondità tra i personaggi per dare maggiore chiarezza alla situazione in Gruppi numerosi: In situazioni dove si trovano i personaggi immersi in gruppi numerosi è buona regola disporre i gruppi in modo geometrico sfruttando anche altezze diverse di modo da non distrarre lo spettatore. quadro. Per esempio, disponendo il personaggio principale in piedi in mezzo ad un gruppo seduto in cerchio attorno a lui, con alcuni personaggi più vicini alla Mdp e altri più in profondità. Anche la luce può essere di grande aiuto in questi casi, di solito si creano dei contrasti luminosi tra i personaggi principali e gli altri, per esempio illuminando in piena luce il principale e lasciando il gruppo in una luce più diffusa e scura. Le situazioni con gruppi numerosi possono essere essenzialmente due: nel primo caso è presente un leader che fa da arbitro dell’attenzione spostando l’interesse da una persona all’altra all’interno del gruppo, oppure nel secondo caso tutto il gruppo fa da arbitro dell’attenzione focalizzando l’interesse su di un personaggio principale o spostandolo tra un personaggio principale ed un altro. Generalmente le riprese di gruppi numerosi partono da un inquadratura totale del gruppo rivolto verso l’attore principale e successivamente si alternano inquadrature singole che enfatizzano il personaggio o i personaggi 247 principali che parlano, prima di tornare all’ inquadratura generale del gruppo per mostrarne la reazione. Quando invece ci sono molti gruppi e non c’è un personaggio principale, occorre mettere in risalto un gruppo principale, solitamente ponendolo in primopiano rispetto agli altri. Gli altri gruppi in queste occasioni possono anche avere centri di interesse indipendenti, rimanendo statici, oppure essere dinamici, muovendosi sul posto o attraversare lo schermo uscendo fuoricampo alle spalle del gruppo fermo in primopiano. Per quanto riguarda le scene in cui c’è un personaggio principale ed una folla, quest’ultima può essere considerata come una massa indistinta di persone, per cui il personaggio principale si rivolge ad essa in maniera univoca e indistinta, oppure considerare i diversi gruppi (o persone) che la compongono, creando diversi fulcri dell’attenzione che si irradiano verso il protagonista che dirige il suo sguardo in un punto o in un altro della folla facendo da arbitro dell’attenzione. Le scene di grandi battaglie in cui l’azione scorre burrascosa dovrebbero essere gestite alternando scene collettive a scene parziali, in cui l’eroe o gli eroi sono impegnati in combattimenti personali; questo modello di montaggio si espande e si contrae sulla battaglia permettendo al pubblico di passare dal generale al particolare e viceversa. 248 CONTRASTO NUMERICO Il contrasto numerico tra le inquadrature, usato nelle riprese di gruppi di tre o più persone (molto spesso in dialogo) è un buon metodo per enfatizzare la drammaticità della situazione e in alcuni casi per enfatizzare l’isolamento di un personaggio rispetto agli altri. Che sia uno scontro, una discussione, un confronto emotivo o una semplice conversazione, il contrasto numerico tra le inquadrature crea drammaticità, varietà e dinamicità, rompendo la monotonia nei dialoghi troppo statici e lunghi. Questo espediente può essere utile per evidenziare una divergenza di opinioni o di schieramenti, oppure può essere utilizzato solo per escludere dall’ inquadratura i personaggi meno importanti. Si può ottenere un contrasto numerico in diversi modi: 1. Un attore si sposta isolandosi dal gruppo. 2. Un personaggio o più personaggi escono fuoricampo lasciandone uno da solo. 3. movimenti di allontanamento/avvicinamento della Mdp rispetto al gruppo. 4. Posizionamenti della Mdp in controcampi interni, interniesterni o paralleli alla linea d’azione. Ovviamente anche nei casi di gruppi numerosi si possono creare contrasti di numero tra le inquadrature, mettendo in risalto diversi schieramenti: il gruppo può essere diviso in parti uguali o diseguali, oppure può esserci un attore in opposizione a tutto il gruppo, dando ancora più risalto alla situazione. Il contrasto di numero si effettua di solito introducendo la scena con un’ inquadratura generale del gruppo e passando poi ad inquadrature parziali che riprendono i personaggi singolarmente o a coppie o a schieramenti, La grammatica cinematografica Introduzione creando contrasti del tipo due-uno, due-due, tre-uno, tredue ecc. Molto spesso queste scene singole si intervallano a qualche visione generale per rammendare le posizioni e interrompere la monotonia dei controcampi; alla fine della scena si conclude sempre tornando ad un’inquadratura generale. SPOSTAMENTO DA ZONA A ZONA NELLE SCENE STATICHE DIALOGO COMPRESSO Quando le scene sono particolarmente statiche e fisse, come durante i dialoghi, lo spostamento degli attori da una zona all’altra contribuisce a rendere la scena più varia e reale; variare le posizioni del corpo, le posizioni in scena, le distanze tra gli attori oppure i livelli di altezza, sono tutti buoni espedienti che contribuiscono ad annullare la monotonia della scena. I cambiamenti di zona danno inoltre varietà allo sfondo e permettono al regista di cambiare schema di montaggio. Generalmente i cambiamenti di zona contribuiscono ad innescare un cambiamento di atmosfera in scena, facendola diventare per esempio più intima, dinamica, tesa ecc... I gruppi numerosi possono effettuare cambiamenti di zona spostandosi da un posto all’altro sul set, a varie distanze e anche in profondità, possono anche sparpagliarsi in zone o restringersi da più zone ad una sola. Queste tecniche possono essere usate più volte ma bisogna prestare attenzione al fatto che sembrino il più naturali e motivate possibile. Ci sono situazioni in cui la lunghezza del dialogo compr0mette il ritmo della storia, rallentandolo eccessivamente, ma il dialogo non può essere accorciato perché è necessario a comunicare in modo appropriato quanto avviene. La situazione viene in questi casi risolta cinematograficamente comprimendo la durata della sequenza dialogata nella parte centrale e lasciandola uguale all’inizio e alla fine. Un esempio della compressione potrebbe essere quello dell’ immagine visualizzata qui sopra, dove le parti nere rappresentano quelle mantenute sullo schermo. Ogni frammento scelto contiene in sé stesso un’idea completa e opera quindi un montaggio preciso con il successivo frammento senza alcun bisogno di passaggi ottico. Tutto quello che serve è una compressione del tempo nel dialogo, ma, se necessario, possono anche essere aggiunti cambi di sfondo, di posizione ecc... Metodo di compressione di un dialogo eccessivamente lungo. 249 7.14 La Punteggiatura Visiva La punteggiatura cinematografica crea una separazione tra scene e sequenze cinematografiche; può essere paragonata ad una punteggiatura narrativa e come tale può essere rappresentata da pause di narrazione, accenti posti alla visione, messe in rilievo di alcuni personaggi e così via. Si ottiene attraverso i movimenti di camera o dei soggetti in campo, oppure attraverso il montaggio. Fra i mezzi più noti abbiamo: STACCO (Jump Cut): è un passaggio immediato da un’ inquadratura a un’ altra; implica di solito un passaggio in simultanea o continuità con l’immagine che lo precede, ma può essere utilizzato anche dopo dei passaggi di tempo più o meno lunghi. A seconda dell’effetto espressivo che si vuole raggiungere, lo stacco può essere quasi invisibile allo spettatore oppure può essere realizzato in modo da risultare evidente. DISSOLVENZA: come dice la parola, la dissolvenza è una dissoluzione dell’immagine, che gradualmente aumenta o diminuisce la luminosità o la trasparenza. La dissolvenza si distingue fra: dissolvenza IN APERTURA, (da nero a immagine) quando l’immagine appare progressivamente a partire da uno schermo nero; IN CHIUSURA, (da immagine a nero) quando avviene il procedimento inverso; infine INCROCIATA (da immagine ad immagine) quando due immagini vengono a sovrapporsi tra loro, cioè una progressivamente svanisce, lasciando spazio all’altra. Queste dissolvenze non hanno lo stesso valore, vengono solitamente associate a tempi diversi: le dissolvenze in chiusura e apertura sono usate nel cinema classico nel passaggio ad una nuova scena, evidenziando un salto 250 temporale più o meno lungo, da un giorno a un altro per esempio; le dissolvenze incrociate invece, implicano salti temporali più corti, possono unire inquadrature in una stessa scena o sequenza e sono usate con frequenza maggiore. Esistono poi altri tipi di dissolvenza, come quelle al bianco o a colori, dove il colore in un’immagine diventa sempre più intenso fino ad eliminare gli altri colori o addirittura sostituendo l’immagine completamente; successivamente si dissolve incrociandosi ad una nuova scena. SCHERMO NERO: il nero crea un effetto di isolamento totale e rappresenta una completa pausa emotiva per lo spettatore, a volte creando effetti di suspence. Può separare due inquadrature come anche due scene. Se unito a delle immagini in sequenza, presentandosi tra un inquadratura e un’altra ad intermittenza, è di grande impatto emotivo. TENDINA: caduta quasi in disuso, questo metodo prevede che una nuova scena venga fatta scorrere (orizzontalmente, verticalmente o diagonalmente) sullo schermo sostituendo la precedente. La tendina implica un passaggio di tempo piuttosto lungo. Una variante prevede che una linea attraversi lo schermo cancellando la scena e svelandone una nuova. IRIDE: altro effetto caduto in disuso, l’iride è costituito da un foro circolare (circondato da nero) che apre o chiude l’inquadratura ingrandendosi o rimpicciolendosi in essa. Inizialmente usato come cerchio decrescente per centrare l’attenzione su di un elemento in scena, col tempo è diventato un effetto di chiusura nei disegni animati. La grammatica cinematografica Introduzione MASCHERINA: è una sagoma di varia forma che copre la parte del campo che non si vuole riprendere; spesso questo artificio ha lo scopo di limitare la visuale che si avrebbe in condizioni particolari, ad esempio spiando dal buco della serratura, o guardando attraverso un cannocchiale. Il suo uso, serve spesso a segnalare il passaggio da una visione oggettiva ad una visione soggettiva. ZONE SCURE: le zone scure si utilizzano per effettuare un passaggio di tempo; questo effetto si ottiene effettuando una panoramica o una carrellata in una zona scura (o una forma scura che riempie lo schermo) e quindi staccando su di un’apertura simile nell’ inquadratura successiva. Lo stesso effetto può avvenire tramite l’ avvicinamento/ allontanamento di un personaggio alla Mdp, oppure con due attori che, avvicinandosi alla Mdp, raggiungono il primo piano e poi nella scena seguente si separano, allontanandosi in un luogo e in un tempo diversi. INSERTO: è costituito da un’ inquadratura aggiuntiva che sostituisce una parte dell’inquadratura master principale, mostrando una sezione più ravvicinata della scena. Possono essere molto utili in fase di montaggio per consentire dei cambiamenti di ripresa. CUT-AWAY: è un’ inquadratura inserita nella master principale per mostrare qualcosa o qualcuno non coperto dall’inquadratura, per esempio fuoricampo (img. del cielotraffico). Tecnicamente è un’ inquadratura di transizione su qualcos’ altro non presente in scene e la sua durata è inferiore all’azione messa in ellissi. Possono essere molto utili in fase di montaggio per interrompere la monotonia delle scene e dei dialoghi lunghi oppure per consentire dei cambiamenti di ripresa. TITOLI: i titoli si usano per separare delle scene e potrebbero apparire direttamente sull’immagine, oppure in uno schermo nero, bianco o a colori; generalmente contengono indicazioni specifiche sui luoghi, sull’ora, sul giorno o sull’ anno in cui si presume avvenga la scena successiva. IMPALLAMENTO: l’impallamento avviene, quando il soggetto principale dell’azione scompare perché viene coperto da oggetti o persone. Questa copertura può accadere per movimento del soggetto stesso, degli altri elementi di scena, o della Mdp. Il soggetto principale dell’azione, quando viene impallato, può essere considerato fuori campo, viene liberato da qualsiasi rapporto spazio-temporale e l’inquadratura successiva può essere assolutamente arbitraria. SEQUENZA AD EPISODI: questa sequenza allinea un certo numero di brevi scene separate da stacchi ottici che si succedono in ordine cronologico (dissolvenze, schermi a colori). FERMOFOTOGRAMMA: l’immagine in movimento si “freeza” (si fissa) per un certo tempo. Il fermo immagine può essere utilizzato sia durante che al termine del movimento. Generalmente serve a focalizzare l’attenzione su qualcosa/qualcuno, in alcuni casi però viene usato per terminare una scena. Buoni effetti sono ottenuti col fermo immagine dopo uno zoom. SLOWMOTION: l’immagine in movimento rallenta per un certo tempo. OVERLAPPING EDITING: particolare effetto di montaggio per cui la parte finale dell’azione rappresentata in primopiano viene nuovamente mostrata in quello successivo. 251 RALENTI: rallentamento di un movimento con la funzione di conferirgli una certa imponenza, grazia, o importanza; il ralenti viene solitamente preceduto dalla visione per intero dell’azione a velocità leggermente aumentata (esplosione) CAMBIO LUCE: il mutamento di luce in un ambiente (stanza) simboleggia il cambiamento di tempo CAMPO VUOTO: nei campi vuoti una scena fissa e statica (non succede niente) precede o segue la presenza del personaggio principale COME INDICARE IL PASSAGGIO DI TEMPO OGGETTI: si mostrano oggetti che subiscono l’usura o l’offesa del tempo, come ad esempio candele, portaceneri con mozziconi, carte ingiallite ecc.; generalmente si presenta dapprima l’accessorio e quindi si effettua una dissolvenza sull’immagine che lo mostra corroso, consumato, sciupato, alterato o distrutto dal tempo. DOMANDA-RISPOSTA: il passaggio di tempo può essere effettuato da una scena dove viene fatta una domanda, a una nuova scena diversa (tempo e luogo differenti) dove viene data la risposta a quella domanda. MOVIMENTO NELLA STESSA DIREZIONE: il passaggio di tempo può essere effettuato con un movimento eseguito nella stessa direzione in tempi o spazi diversi; dallo stesso personaggio o da personaggi diversi (per esempio un soggetto chiude una finestra e quando si gira è in un altro posto). 252 SOSTITUZIONE DI UN OGGETTO: il passaggio di tempo viene effettuato sostituendo, da una scena all’altra, due oggetti simili o accostabili (per esempio la rottura di un bicchiere e la rottura di una finestra). RIPETIZIONE DI UNA PAROLA: il passaggio di tempo viene effettuato da un attore che pronuncia una parola in un’ inquadratura e un nuovo attore che pronuncia la stessa parola in una nuova inquadratura, in un luogo e tempo differenti. RACCORDO GRAFICO ILLUSORIO: il passaggio di scena avviene tramite un elemento che si mantiene costante alla fine di un’ inquadratura e all’inizio della successiva; lo spettatore crede che la scena sia la stessa ma improvvisamente si rende conto che è una scena diversa, collegata da un certo distacco di tempo. Basilari per questo raccordo sono il piano d’ascolto e la continuità del movimento. STACCO SU DI UN ACCESSORIO DI SCENA: il passaggio di scena avviene tramite un oggetto che fa da ponte tra due situazioni diverse (per esempio il cielo o un biglietto da visita). IMMAGINI SFOCATE: l’inquadratura conclusiva di una scena viene sfocata fino a che non diventa completamente confusa e si passa quindi ad una nuova scena in cui l’ immagine sfocata man mano si fa più nitida (effetti di perdita di coscienza). PRIMI PIANI IMPROVVISI: un oggetto o una persona in primo piano possono essere usati come collegamento visivo per un’ altra inquadratura. La grammatica cinematografica Introduzione The Incredibles (2004) Walt Disney Pictures Pixar Animation Studio 253 7.15 Pillole Il brasiliano Alberto de Almeida Cavalcanti (1897-1982), regista competente ed esperto scenografo, scrisse le seguente annotazioni, tuttora moderne: 1. Non trattare temi generali in modo generale. Si può scrivere un articolo sul servizio postale, ma un film sarà migliore se tratterà il destino di una singola lettera. 2. Non dimenticare che il documentario si basa su tre pilastri: quello sociale, quello poetico e quello tecnico. 3. Non prendere sotto gamba il soggetto scritto e non far conto sulla fortuna, quando giri. Una volta messo a punto il trattamento, il film in pratica è già fatto. Però al momento delle riprese sii pronto a rifarlo da capo. 4. Non affidarti al commento parlato per dare un senso alla tua storia. Le immagini e la colonna sonora debbono farlo. Un commento sovrabbondante e gratuito riesce solo ad irritare lo spettatore. 5. Quando giri non dimenticare che ogni scena fa parte di una sequenza e che ogni sequenza fa parte di un arco narrativo generale. Una bellissima inquadratura, scollegata dal resto, spesso risulta più dannosa che utile. 6. Non eccedere nella originali a tutti elaborate possono 254 ricerca di i costi. raffreddare inquadrature Angolazioni l’emozione. 7. Non abusare della rapidità del montaggio fine a se stessa. Un ritmo accelerato può risultare altrettanto manierato di un montaggio disteso. 8. Non esagerare con le coperture musicali. Se lo farai lo spettatore finirà con il non ascoltare. 9. Non sovraccaricare il film con gli effetti in sincrono. Suoni e rumori risultano efficaci quando sono impiegati in modo suggestivo e complementare. 10. Non affidarti ciecamente agli effetti ottici e non renderli troppo complicati. Dissolvenze e fondo equivalgono ad una punteggiatura, sono le tue virgole e i tuoi punti. 11. Non girare troppi dettagli. Conservali per i momenti cruciali. In un film equilibrato essi verranno fuori naturalmente per interna necessità espressiva. 12. Non esitare ad entrare nella psicologia dei personaggi e nelle loro reciproche relazioni: gli esseri umani possono essere belli come i più affascinanti animali o come le più intriganti macchine tecnologiche. 13. Non devi essere vago quando racconti una storia: il vero tema deve essere espresso chiaramente e con semplicità. Ciò non esclude però un certo livello di drammatizzazione e ricreazione. 14. Non perdere l’opportunità di sperimentare. L’attuale prestigio della documentazione visiva deriva dal coraggio delle sue sperimentazioni. Senza sperimentazione il documentario perde ogni valore e cessa di esistere. Bibliografia & Webgrafia 255 Bibliografia L’ABC DELLA REGIA Grammatica del Linguaggio Cinematografico (Volume I - II ) Daniel Arijon Dino Audino s.r.l. Edit., Roma, 2005 ANIMATION NOW! Anima Mundi, Ed. Julius Wiedemann Taschen Editore ANIMAZIONE BIDIMENSIONALE E TRIDIMENSIONALE A CONFRONTO. SPERIMENTAZIONE DI TECNICHE MISTE. Tesi di Laurea Specialistica di Mario Aquaro Disegno Industriale e Comunicazione Visiva Università degli Studi “La Sapienza”, Roma e L’Università degli Studi di Camerino Anno Accademico 2006/2007 THE ANIMATOR SURVIVAL KIT: A Manual of Methods, Principles and Formulas for Classical, Computer, Games, Stop Motion and Internet Animators. Richard Williams Faber & Faber, London, 2001 LE ANIME DISEGNATE Il Pensiero nei Cartoon da Disney ai Giapponesi e Oltre Luca Raffaelli Minimun Fax Edit., Roma, 2005 256 ANIMAZIONE 3D: Storia- Tecniche - Produzione Daniele Bigi e Nicolò Ceccarelli Mondadori Informatica: A.Mondadori Edit. S.p.a, Pavia 2004 CARTOON ANIMATION Preston Blair Walter Foster Editore,1994 I CARTONI ANIMATI: Principi e Tecnica dell’Animazione nel Classico Illustrato che Ispirò Walt Disney Edwin G. Lutz Dino Audino s.r.l. Edit., Roma 2001 CARTOONS, 100 ANNI DI CINEMA D’ANIMAZIONE G. Bendazzi Marsilio Editori, Venezia, 1992 CHARACTER ANIMATION 2 Skills for Better 3D Steve Roberts Focal Press - Second Edition COME SI FA UNA TESI DI LAUREA Umberto Eco Bompiani Editore, 2001 CON GLI OCCHI A MANDORLA: Sguardi sul giappone dei cartoon e dei fumetti Roberta Ponticello e Susanna Tamaro Tunué s.r.l, Edit. Latina, 2005 BibliografiaIntroduzione & Webgrafia CONOSCERE L’ANIMAZIONE: Forme, Linguaggi e Pedagogia del Cinema Animato per Ragazzi Marco Pellitteri Valore Scuola Cooperativa a.r.l., Roma, 2004 THE COMPLETE ANIMATION COURSE the Principles, Practice, and Techniques of Successful Animation Chris Patmore Barron’s Editore, New York, 2003 CUORE E ACCIAIO: Estetica dl’Animazione Giapponese Marcello Ghilardi Esedra s.r.l. Edit., Padova 2004 DISNEY ANIMATION: THE ILLUSION OF LIFE Frank Thomas and Ollie Johnston, Abbeville PressDisney Editions, 1995 DIZIONARI DEL CINEMA: ANIMAZIONE Mondadori Electa S.p.A., Milano 2005 Accademia Internazionale delle Arti e delle Scienze dell’ immagine dell’Aquila L’EROE DAI MILLE VOLTI Joseph Campbell Biblioteca della Fenice, Ugo Guanda Edit., Parma, 2007 L’EVOLUZIONE DEL CARTONE ANIMATO Tesi di Laurea in Scenografia di nome utente: “Uazzo” Anno accademico 2002/2003 www.3D.com Il Portale Sulla Grafica 3D LA FIGURA DELL’HOME PRODUCER NELL’ANIMAZIONE CONTEMPORANEA Tesi di Laura di Paolo Mainini Teoria e metodo dei mass media, Accademia di Belle Arti, Anno Accademico 2006/2007 HAYAO MIYAZAKI: Il Dio dell’Anime Alessandro Bencivenni, prefazione Luca Raffaelli Le Mani Edit., Genova, 2003 MANUALE DEL CINEMA Linguaggio, Racconto, Analisi Gianni Rondolino, Dario Tomasi UTET Libreria, Torino 2004 MAYA 6 La Guida Ufficiale Alias Learning Tools Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2004 MORFOLOGIA DELLA FIABA, Le Radici Storiche dei Racconti di Magia Vadimir Ja. Propp Grandi Tascabili Economici Newton s.r.l., Roma, 2006 NIPPONCARTOON Immagini, Miti, Strategie Deodata Cofano Franco Angeli Editore, Milano, 2007 OFFIACIAL ALIAS TRANING GUIDE LEARNING MAYA 7 The Modeling & Animation Handbook Alias Learing Tools, 2006 PRINCIPLES OF TRADITIONAL ANIMATION APPLIED TO 3D COMPUTER ANIMATION John Lasseter, Computer Graphic NVolume 21 N.4, 1987 257 STORIA DEL CINEMA D’ANIMAZIONE Dalla Lanterna Magica a Walt Disney da Tex Avery a Steven Spielberg Gianni Rondolino UTET Libreria, Torino, 2003 LA SCENEGGIATURA Il film sulla Carta Syd Feld Lupetti & C. Edit. S.r.l., Milano 1994 LA SEMIOTICA NARRATIVA DI A.J.GREIMAS Concetti Principali e Istruzioni per l’Uso Marina Sbisà Materiali per il Corso di Semiotica, Scienze della Formazione, Università di Trieste IL VIAGGIO DELL’EROE La Struttura del Mito ad Uso di Scrittori di Narrativa e Cinema Chris Vogler Dino Audino Edit.,Roma, 2005 TECNICHE DI ANIMAZIONE SECONDARIA PER PERSONAGGI REALIZZATI IN COMPUTER GRAFICA Tesi di Laurea di Michele Boldoni Comunicazione Digitale, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Università degli Studi di Milano Anno Accademico 2004/2005 258 Webgrafia ANAMORPHOSES-IL PROCESSO DI CREAZIONE DI UN FILM - ANIMAZIONE 3D - ANIMAZIONE 2D-FORUM www.cgitalia.it Portale di Informazione e Discussione su Creatività, Tecnologia ed Intrattenimento a cura di M. Curatella ANIMATION TIPS www.frankandollie.com Frank Thomas and Ollie Johnston ‘s official site A BUG’S LIFE MEGAMINIMONDO Progettare gli insetti:il design e il modelling dei personaggi Giovanni strammiello 1999 www.kultunderground.org Kult Underground Rivista on-line Amatoriale e Indipendente di M.Giorgini e M.Borri CARTOON PRODUCTION PROCESS www.demasandpartners.it Demas & Partners Cartoons Productions Company C’ERA UNA VOLTA LA REALTA’ IRTUALE ver. 1.02 Andrea Brogi - [email protected] DICo - Dipartimento di Informatica e Comunicazione Università degli Studi di Milano Anno Accademico 2007/2008 www.xlab.it/universita.html XLab 3D New Media Education BibliografiaIntroduzione & Webgrafia CEL-ULAR ANATOMY 101 - the CEL www.anime-cel.com sito sulla vendita on-line di Rodovetri giapponesi COMPUTER ANIMATION - CAMERA ANIMATION TRICKS TO AINMATING CHARACTER WITH A COMPUTER www.siggraph.org From the Association for Computing Machinery’s Special Interest Group on Graphics and Interactive Techniques. CORSO DI ANIMAZIONE pixelcartoon.it Pixel Cartoon Company di Valerio Oss DALLA PELLICOLA AL MASTER www.afdigitale.it Afdigitale Rivista Multimediale online DIAMOCI UN “TAGLIO” Riflessioni sul Montaggio Audiovisivo Tesi di Laurea Specialistica di Eleonora Costa Istituto Superiore di Giornalismo, Università degli Studi di Palermo Anno Accademico 2004/2005 L’EFFETTO SPECIALE E LA SUA EVOLUZIONE PROCESSO PRODUTTIVO DELLA SERIE “FRIENDS” ELABORAZIONE DELL’IMMAGINE IL CINEMA D’ANIMAZIONE GIAPPONESE D’AUTORE. ANIME: INTRATTENIMENTO, MESSAGGIO, CONCETTUALITA’ www.noemalab.org Portale di Tecnologie e Società di P. Cappucci & F. Foschi HOW AN ANIMATED CARTON IS MADE www.sci.fi/~animato The site for Animation, Stop motion and 3d movie enthusiasts! Di by Jan-Eric Nyström, Helsinki, Finland LEZIONI DI FUMETTO ON LINE tutorialkinart.blogspot.com Sito di Lezioni di Fumetto di A. Accardi LE PRINCIPALI TECNICHE DI ANIMAZIONE DISEGNI ANIMATI www.intermed.it “L’officina del sogno” di Luca Fava LE REGOLE DEL MONTAGGIO - ASPECT RATIO I FORMATI VIDEO E CINEMATOGRAFICI - LA COMPRESSIONE WMV9 www.clipscorner.net. Portale dell’ Associazione Culturale Clipscomer “The House of the Film’akers” THE ROSTRUM CAMERA Jeff Goldner www.animationpost.co.uk Animation Post Offers dDigital Ink & Paint Services to UK Animation Companies (Jeff Goldner.) STORIA DEL CINEMA D’ANIMAZIONE DAGLI INIZI AI GIORNI NOSTRI Antonio Greco www.mardukkina.it “Il web al femminile” di Marianna alias Mardukkina www.storiain.net Rivista Multimediale di storia di Franco Gianola 259 THE TRADITIONAL ANIMATION PROCESS www.answers.com Portale tematico CINEMA DI ANIMAZIONE Trucchi di un’Arte Sconosciuta I PRINCIPI DELL’ANIMAZIONE di V. Oss (Pixel Cartoon) IL MONTAGGIO: ANALISI - COME SI SCRIVE UNA SCENEGGIATURA-DIFFERENZE TRA CORTOMETRAGGIO E LUNGOMETRAGGIO dalla tesi di Emanuele SANA DALL’IDEA ALLA SCENEGGIATURA INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEL FILM www.ilcorto.it Sito Amatoriale sul Cinema dell’ Associazione Culturale “ilCORTO.it” a cura di S.Francisci, R.Francisci, E.Manfucci , C.Bassoli e S.Picozzi. CODEC DI COMPRESSIONE VIDEO www.appuntisuldigitalvideo.it Il Portale Italiano del Digital Video e del Video Editing TELECINEMA E PROCEDIMENTO ANAMORFICO Marcello Guidotti, 2003 www.nemesi.net Sito Personale di M.Guidotti GUIDA AI FORMATI VIDEO E ALLA COMPRESIONE www.divax.it/guideutenti/guide.asp Portale di Informatica e Tecnologia Digitale COMPOSITING BASIC CAMERA SHOTS www.movies.atomiclearning.com/k12/home New Digital Training and Publishing Platform 260 IL MONTAGGIO www.videomakers.net Portale per gli Appassionati di Video Editing www.awn.com Animation World Network STORIA DEL COMPUTER THE TRADITIONAL ANIMATION PROCESS E ALTRO www.wikipedia.it L’Enciclpedia Libera BibliografiaIntroduzione & Webgrafia 261