Cliccare - Panathlon International

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Una lectio magistralis
La donna nello sport
di Giuseppe Mari
Riportiamo la Relazione tenuta al Congresso dell’Area 02
Lombardia dal prof. Giuseppe Mari (ndr).
l tema, oggetto di questo intervento, è per più ragioni di
grande interesse, dal punto di vista sia culturale sia pedaIgogico.
Anzitutto, permette di fare i conti con i grandi cambia-
menti che hanno interessato la società occidentale negli ultimi quarant'anni mettendo al centro la donna e la revisione
della sua identità.
Inoltre, dalla considerazione della netta prevalenza femminile
tra coloro che praticano regolarmente attività fisica si trae il
suggerimento di «investire» con convinzione sulla ragazza e
sulla donna nello sport anche allo scopo di raccogliere la sfida
della «emergenza educativa».
Riflettere sul nesso donna-sport è, quindi, strategico e merita
tutta l'attenzione possibile. Ne parlerò, anche se in modo sintetico, seguendo questo percorso:
a) anzitutto prenderò in considerazione il problema del «gender» oggi, proponendo una lettura antropologica della sessualità umana;
b) in un secondo tempo, rifletterò sul nesso tra sport, società
ed educazione;
c) infine, proporrò una interpretazione del rapporto donnasport alla luce del riconoscimento della «originalità» femminile.
1. La sfida del “gender” nella cultura attuale
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inzio degli anni Settanta si
è verificata una radicale rivoluzione nella concezione del
«gender» cioè dell'identità sessuale. Infatti, la precedente tradizione patriarcale è stata contestata da donne (e uomini) che
hanno rivendicato l'uguaglianza tra i sessi. Sicuramente il
fenomeno è stato interessato anche da una negativa interferenza ideologica, ma è indubbio che il costume tradizionale
andava rivisto perché la donna giustamente chiede che le sia
riconosciuta una dignità identica a quella dell'uomo.
Purtroppo – come vedremo – si è consumato un tragico equivoco: l'uguaglianza è stata confusa con l'uniformità. Questo,
però, non può indurre a respingere in blocco le acquisizioni
avvenute, piuttosto deve significare riflettere criticamente su
di esse.
La conquista dell'uguaglianza ha comportato – sul piano
pedagogico – l'introduzione generalizzata della coeducazione. Si tratta di una pratica molto utile allo scopo di far cono-
scere reciprocamente maschi e femmine, favorendo la comunicazione e l'interscambio. Ma questo stesso obiettivo/merito
ne indica il limite: se la coeducazione è funzionale a far incontrare e crescere insieme ragazzi e ragazze, non può corrispondere anche alla sfida – non meno essenziale – del radicamento nel proprio genere di appartenenza. La cosa è oggi
tanto più necessaria a causa della diffusione – tra i mass
media di cui ragazzi e giovani sono ampiamente fruitori – di
messaggi molto ambigui in merito alla sessualità e alla identità di genere. Di conseguenza, non stupisce che la situazione sia per più ragioni preoccupante, anche in considerazione
della crescente diffusione della violenza sessuale.
Si capisce, a questo punto, la strategicità dello sport.
Dal momento che, per evidenti ragioni di congruità rispetto al
profilo fisico degli atleti, la pratica sportiva avviene dividendo
maschi e femmine, essa esprime una felice opportunità allo
scopo di favorire il radicamento nel genere d'appartenenza
all'interno del gruppo monogenere. Occorre, però, consapevolezza in merito a quello che c'è in gioco da parte di allenatori ed educatori.
In proposito, occorre segnalare il danno procurato dalla
cosiddetta «ideologia del gender». È ispirata da una motivazione apprezzabile: evitare qualunque discriminazione tra i
sessi. Persegue questo scopo, però, in modo completamente discutibile cioè riducendo la differenza di genere – oltre che
alla particolare configurazione anatomofisiologica - a una
pura e semplice convenzione culturale.
Evidentemente, una componente convenzionale c'è, ma ci
sono almeno tre ragioni per sostenere che non si può ridurre
ad essa l'«intero» della identificazione sessuale:
1) anzitutto, la differenziazione sessuale accompagna la
complessità della forma vivente (alla base della piramide evolutiva, infatti, si trovano specie asessuate);
2) inoltre, la differenziazione sessuale esprime il vertice della
facoltà comunicativa tipica dell'umanità in quanto comporta la
comunione non solo di sentimenti e intelligenze, ma anche
dei corpi;
3) infine, l'umanità si è sempre interrogata sul «perché?»
della sessualità, assumendola anche come riferimento simbolico per spiegare l'origine del mondo (ad esempio, nei miti
cosmogonici nei quali si parla del Cielo-padre e della Terramadre).
Si tratta, quindi, di riflettere sul significato antropologico della
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sessualità, ordinando ad esso anche le pratiche culturali che
vanno riviste e superate quando comportano la subordinazione di un genere all'altro e il misconoscimento del significato di ciascun genere come equivalente all'altro.
2. Sport, Cultura e Donna
Lo sport ha una essenziale valenza culturale almeno per tre
ragioni.
a) Anzitutto è un evento di significato simbolico, come dimostra il fatto che già in Omero (e poi anche in età storica, pensiamo solamente ai giochi panellenici) la pratica sportiva
aveva un significato religioso (ad esempio, relativo al culto e
alla celebrazione dei defunti). Per la società, la comunicazione simbolica è essenziale perché, rimandando a un livello
espressivo che va al di là della descrizione funzionale, riguarda le motivazioni profonde della socialità.
b) Inoltre, lo sport ha sempre avuto una configurazione pubblica. Anche da questo punto di vista si tratta di un riscontro
essenziale per la società che non può fondarsi sui soli ancorché legittimi e apprezzabili - interessi privati. Questa
caratteristica dello sport è particolarmente essenziale oggi
perché facciamo i conti con la tendenziale deriva verso il privato della società a cui è collegata la difficoltà di riconoscere
il «bene comune».
c) Infine, come dimostra già il «curricolo» a cui viene sottoposto Achille nell'Iliade, lo sport ha sempre avuto anche una
valenza educativa, a cui è correlata una precisa idea di
società, non piegata – come la nostra – in senso prevalentemente cognitivo (con il problema di non corrispondere adeguatamente al fatto che l'essere umano è composto da anima
«e» corpo, non dalla sola componente cognitivo-intellettuale).
Anche a fronte di queste sensibili implicazioni socioculturali,
comprendiamo l'importanza di mettere a fuoco adeguatamente il nesso tra donna e sport. Occorre ricordare che, nelle
antiche società militari (come Creta e Sparta), la donna godeva di ampia autonomia, mentre nella società ateniese era
reclusa nella parte della casa a lei riservata (chiamata «gineceo»). Il pregiudizio antifemminile ha avuto ampio corso,
essendo superato solo nel secolo scorso. Anche per quanto
riguarda lo sport, lo stesso De Coubertin non era favorevole
alla partecipazione femminile alle Olimpiadi. Il superamento
del pregiudizio si è rivelato molto favorevole per la pratica
sportiva, come dimostrano i risultati delle donne nelle competizioni odierne.
3. Al cuore dell’identità femminile
La pratica sportiva ha condiviso la medesima parabola – per
quanto concerne l'affermazione della donna – del femminismo. Inizialmente si è trattato della rivendicazione della uguaglianza con l'uomo, ma questo ha comportato l'assimilazione
della femminilità alla mascolinità com'è stato evidente – nello
sport – soprattutto una trentina d'anni fa quando non era infre-
quente trovare delle atlete che anche fisicamente avevano
marcati tratti virili.
Negli ultimi vent'anni il femminismo ha registrato l'ascesa di
un atteggiamento diverso, volto a rivendicare la differenza.
Anche nella pratica sportiva, la donna ha espresso maggiormente la sua originalità, tra l'altro conseguendo risultati
migliori. Questa è la prospettiva a cui occorre guardare.
Ma in cosa consiste la originalità della donna? Come per l'analogo quesito al maschile, credo che la risposta vada cercata nella lettura simbolica della maturità generativa, consistente nella maternità per le donne e nella paternità per gli uomini. Questo non significa rimandare alla sola esplicazione fisica di questo atto, ma a ciò che lo rende possibile ovvero la
struttura intimamente materna o paterna che – nei fatti – può
esprimersi anche a prescindere dall'atto generativo in senso
stretto, ad esempio attraverso la «generazione spirituale»
come si verifica nell'educazione.
Che cosa significa essere madre?
Essenzialmente esprimere il paradosso dell'unità con l'alterità. La donna, da questo punto di vista, risulta essere particolarmente sensibile alla istanza della comunione e della
condivisione, a unire ciò che è diviso, a integrare ciò che è
separato.
Del resto, è un'evidenza che la pace (intesa come una condizione di composizione armonica) è diventata un valore riconosciuto in se stesso solamente nel XX secolo che è anche il
secolo in cui la donna ha raggiunto la maggiore visibilità pubblica.
La sfida forse si gioca proprio qui: favorire l'inserimento della
donna – nello sport come in altre attività umane – ma con il
mantenimento della originalità femminile che si rapporta in
termini di «reciprocità» a quella maschile.
Questa espressione è strategica perché sottolinea, accanto
alla somiglianza, la differenza, vaccinando rispetto alla eventualità (ideologica) di confondere l'uguaglianza con l'uniformità.
* Professore ordinario di Pedagogia generale all'Università
Cattolica del Sacro Cuore ([email protected])
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