Alla maniera di Vieira da Silva (Autografo 48)

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Alla maniera di Vieira da Silva (Autografo 48)
AUTOGRAFO
rivista di letteratura fondata da Maria Corti
diretta da Maria Antonietta Grignani e Angelo Stella
numero 48, anno XX, 2012
INTERSEZIONI
TRA FILOLOGIA E CRITICA
interlinea
edizioni
“Autografo” – Rivista di letteratura fondata da Maria Corti
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 76 del 18 febbraio 1984
DIREZIONE SCIENTIFICA
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tel. 0382 984483, fax 0382 984641
Direttori: Maria Antonietta Grignani e Angelo Stella
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Comitato scientifico internazionale: Luigi Ballerini (UCLA), Denis Ferraris
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Segreteria di redazione: Jader Bosi, Nicoletta Trotta
I contributi pubblicati nella rivista sono sottoposti alla valutazione in forma
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ISBN 978-88-8212-885-2
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ISSN 2039-8670 per l’edizione digitale
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In copertina: disegno di Eugenio Montale
SOMMARIO
SAGGI
MARIA ANTONIETTA GRIGNANI, Un’altra storia. Lampi
dal Fondo Manoscritti di Pavia
GIUSEPPE POLIMENI, «Lingua letteraria e lingua dell’uso».
Vecchie e nuove questioni di lingua a metà Novecento
(1941-1942)
TERESA BAVA, «Profondo in superficie». La lingua
del signor Palomar dai testi sui quotidiani al libro
ADELE DEI, Giorgio Caproni: del “rifare il verso”
e dell’amore
MIRKO VOLPI, «Il contatto col male ci degrada». La genesi
del Testimone di Mario Pomilio nelle carte autografe
del Centro Manoscritti di Pavia
CLAUDIA CHIAPPA, Verbalità e memoria dipinta: una lettura
del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini
di Mario Luzi
INEDITI E RARI
ANDREA AVETO, Eugenio Montale tra Giuliana Gadola
e il Capitano Beltrami
ARCHIVIO DELLA MEMORIA
ANNA MODENA, Memoria di Tonino
MANUELA RICCI, Con l’infinito negli occhi. Ricordo
di Tonino Guerra
ANNA DOLFI, Alla maniera di Vieira da Silva.
Dodici istantanee per Antonio Tabucchi
LUIGI SURDICH, La voce di Tabucchi
p.
9
» 35
» 63
» 79
» 89
» 117
» 133
» 153
» 159
» 167
» 175
MARGINI
Una bellissima coppia discorde. Il carteggio tra Cesare Pavese
» 191
e Bianca Garufi (1945-1950) (GIANFRANCA LAVEZZI)
Maria Rosa Cutrufelli, I bambini della Ginestra
» 196
(CARLA RICCARDI)
Gabriele Frasca, Dai cancelli d’acciaio
(FEDERICO FRANCUCCI)
Federica Venier, La corrente di Humboldt.
Una lettura di La lingua franca di Hugo Schuchardt
(GIUSEPPE POLIMENI)
Philippe Jaccottet, La poesia romanda (CLAUDIA BONSI)
Giorgio Orelli, La qualità del senso. Dante, Ariosto
e Leopardi (GIOVANNI BATTISTA BOCCARDO)
Abstracts
p. 200
» 203
» 206
» 210
» 213
ALLA MANIERA DI VIEIRA DA SILVA.
DODICI ISTANTANEE PER ANTONIO TABUCCHI
di Anna Dolfi
0 – A dire il vero erano diciannove i colori che Maria Helena Vieira da Silva aveva lasciato in testamento ai suoi amici: l’azzurro ceruleo, il blu cobalto, l’azzurro oltremare, il vermiglio, il verde muschio, il giallo oro, il violetto cobalto, il giallo cadmio, il giallo ocra,
il verde veronese, l’indaco, l’arancio e il giallo limone, il bianco
puro e il terra di Siena, il nero sontuoso e la terra d’ombra, la terra
di Siena bruciata e l’«eterea, volatile» lacca di garanzia. Per ognuno Antonio Tabucchi ha scritto una storia, inventato personaggi,
intrecciato citazioni, quadri, musiche, rêveries.1 Diciannove, anzi
venti storie numerate (visto che l’ultima mescola tutti i colori), per
raccontare «con figure» dei colori, dei sentimenti, il senso di una
vocazione. Un vecchio poeta che insegue un’imprendibile Cristofora, una controfigura di Pessoa che torna dopo una lunga assenza a Lisbona, dei versi di un Rilke (ovviamente non dichiarato)
che lo scrittore avrebbe ricordato fino agli ultimi giorni di marzo
agli amici («Mi riconosci tu, aria, tu che conoscevi i luoghi che una
volta furono miei?»), suggestioni di/da Leopardi, García Lorca,
Vieira da Silva, ma anche da Sophia de Mello Breyner Andresen e
da Wisława Szymborska. A ogni colore corrispondeva (nel testo
originario, e in quello derivato, che gli dava forma narrativa) un
concetto, un sentimento, qualche cosa di astratto che aveva un senso, soggettivo e oggettivo, e che mirava a definire la vita.
Alla maniera di Vieira da Silva, si potrebbe velocemente, senza alcuna pretesa di esaustività2 – anzi, scegliendo deliberatamente
solo qualche tessera del complesso puzzle che abbiamo dinanzi, e
disponendo i pochi pezzi in ordine alfabetico, per non condizionare il disegno –, declinare parole, facendole precedere da un piccolo codicillo o antefatto che funzioni, tabucchianamente, come un
reservoir, un baule pieno di passioni.
0.1 – In un’intervista su La letteratura come enigma ed inquietudine,
nel replicare a Carlos Gumpert sul melodramma come tipologia di
«estetica a buon mercato», Tabucchi aveva risposto che il melodramma lo interessava, alla pari del romanzo d’appendice, «perché
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l’amore tradito, le passioni violente, la stessa idea del tradimento o
della passione sono concetti fondamentali che appartengono intimamente alla nostra vita».3 E avrebbe continuato sostenendo che,
come narratore e non solo, dinanzi alle risoluzioni civili della modernità, a lui non era il divorzio a interessare, ma «la passione».4
Comunque quanto rinviava al tragico, anche se nel nostro tempo
vissuto talvolta fatalmente in minore, in modo ironicamente schermato, affidato a una musa «zoppa», a un’estetica da strada. La vita
fatta dunque per essere vissuta, nelle sue contraddizioni, da tutte le
prospettive, alte o basse, purché inscrivibili all’insegna dell’eccesso
piuttosto che dell’assenza di partecipazione. Quell’eccesso che
scuote ad esempio il malinconico scetticismo e l’individualistica
scelta di Rich spingendolo a uccidere un ufficiale tedesco su una pista di rullaggio del Marocco francese in uno dei film più amati e citati dal nostro scrittore: Casablanca; o che guida gli intrecci del noir
americano degli anni quaranta-cinquanta (nettamente preferito rispetto al cinema dell’assenza intellettuale di Antonioni) o le incontrollate, primitive passioni di Jean Gabin che tratteggiano, a dispetto di ogni enciclopedia, una vera, popolare comédie humaine.
Vita da vivere insomma nella vita, al cinema, nei libri, e non
per/da scrivere (come aveva voluto l’impotenza decadente), da ricostruire piuttosto casualmente a posteriori, sul filo del ricordo o della
falsificazione, per il desiderio di dare voce a personaggi, a storie, vicende, a mondi appena intravisti. Se una vita non basta (come diceva
Pessoa, e come ha più volte ricordato Tabucchi), ecco l’arte arrivare
in soccorso, a moltiplicare non solo “i racconti”, ma i punti di vista, le
declinazioni del possibile, i modi stessi della forma e della bellezza.
Ma in singolare sintonia con le passioni private, elevate a tema/suggestione di racconto: i viaggi (possibilmente in luoghi lontani, capaci
di nutrire straniamento e inquiétante étrangeté; o in paesi conosciuti,
che consentono la mescolanza di musiche, sapori ed aromi ben noti);
i quadri (dal Beato Angelico dell’infanzia al misterioso Velázquez de
Las meninas, alle figure di Bosch, capaci di resistere ad ogni tentativo
di interpretazione: unendo così la nativa Toscana al mondo ispanico
e lusitano attraverso i grandi musei di Madrid e Lisbona); i film (a
partire dagli archetipi russi eisensteiniani o dal Film beckettiano: i
primi all’origine del montaggio del primo romanzo, Piazza d’Italia;
l’altro filtrato forse in alcune suggestioni di specularità e modalità di
sguardo alla base della stessa struttura di Notturno indiano); le musiche da strada amate da Drummond, poeta prediletto, se ad alcuni
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suoi versi avrebbe affidato persino il titolo mai pronunciato del suo libro postumo.5 Musiche che includevano il fado per il legame antropologico con il dramma e con la passione (di qui l’ammirazione, a dispetto di ogni utilizzazione politica, per il personaggio di Amália Rodrigues),6 passando poi da artisti (si pensi al nostro Fabrizio De André) capaci di risvegliare in forma moderna vecchi metri o ritmi (la
ballata, la canzone…). E poi i libri, soprattutto i libri, per cercarvi risposte e per discuterne con gli amici, per riflettere sulla vita, e per aggiungere altre vite a quell’unica che abbiamo, e non basta.
1 – GLI AMICI
Tive amigos que morriam, amigos que partiam
Outros quebravam o seu rosto contra o tempo.
Odiei o que era fácil
Procurei-me na luz, no mar, no vento.
(SOPHIA DE MELLO BREYNER ANDRESEN, Biografia)
2. IL CINEMA
Si potrebbe cominciare dalla Corazzata Potëmkin di Ėjzenštejn e
dalle sue lezioni di montaggio, all’origine della costruzione mossa,
che intreccia tempi e personaggi in Piazza d’Italia. Ma al cinema7 in
generale si può ascrivere, almeno in parte, anche la sapiente organizzazione dei tempi narrativi, la misura dei dialoghi (rari, all’apparenza incongrui, ma rigorosamente della giusta durata). Tanti i
film citati o citabili: dal Porto delle nebbie di Carné a Casablanca,
dal Ford di The Horse Soldiers, Rio Grande, A Yellow Ribbon (che
appare in Anywhere out of the word) a Blow up di Antonioni, dall’Hitchcock della Donna che visse due volte (più di un ricordo nella campana e nel volo dal campanile di Voci portate da qualcosa, impossibile dire cosa) o del Caso Paradine (dal quale, e non solo, la figura in carne ed ossa di Loton, l’avvocato della Testa perduta di Damasceno Monteiro) a… Per non parlare dei film visti dal protagonista del Filo dell’orizzonte, o di Almodóvar, al quale ha dedicato
uno dei suoi scritti più belli sul cinema.
Anche in Tristano (che ha sulla copertina una spiaggia, delle
valige, e un personaggio che ricorda l’Angelopoulos di O thiasos,
un film citato, perfino troppo e anche fuori date)8 memorie e sintagmi del cinema: dal «Domani è un altro giorno» di Via col vento,
al soprannome del protagonista, ispirato a Clark Gable. Ma forse
sarebbero da citare soprattutto due film che mancano perché mai
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ANNA DOLFI
esistiti: quello girato senza pellicola dal regista di Festival (nel Tempo invecchia in fretta), che pure riesce a incidere sul reale; e quello
profeticamente preannunciato dai Morti a tavola (che precede di
non pochi anni Das Leben der Anderen di Florian Henckel von
Donnersmarck: le vite degli altri, con un funzionario della Stasi che
controlla, fino al rovesciamento dei ruoli, la vita di uno scrittore).
3 – LA CUCINA
Non c’è quasi libro che non ridesti l’olfatto, il gusto, in uno scrittore
che era – è successo spesso nel secondo Novecento europeo – anche
un cuoco raffinato e inventivo. Se in Toscana (da commensale) i suoi
piatti erano la bistecca alla fiorentina o il fritto di carciofi e cervella
di “Cent’anni”, le pappardelle alla cacciagione di Calci o di Siena, il
fritto misto di gamberi e totani alla “Barca” del Forte, quelli che si
mangiano nei libri sono per lo più esotici, e la loro composizione è
affidata al racconto dei personaggi o a dettagliate note del paratesto.
Lasciate da parte – per mantenere la linea – le limonate zuccherate e le frittate di erbe di cui Pereira aveva fatto un uso pressoché esclusivo, ci si può limitare a due voci, prelevate da Requiem:
un aperitivo, che ha a che fare con il barman del Museo di Arte
Antica di Lisbona, e un piatto unico, cucinato dalla moglie del
guardiano del faro. Per iniziare un Janelas Verdes’ Dream, che richiede 3/4 di vodka, 1/4 di succo di limone e un cucchiaino di menta piperita. Dalle dosi delle ultime due varia il gusto più o meno
zuccherato della bevanda, che, naturalmente, va servita fresca, possibilmente con ghiaccio, dopo essere stata ben rimescolata dallo
shaker. A seguire, rinunciando a una zuppa alentejana, che la cuoca forse sapeva fare ancora meglio, una Açorda de mariscos, con pane, uova, gamberi, frutti di mare. Sui quali bere buoni vini o champagne (purché ovviamente francese: Laurent-Perrier, Veuve Clicot
sono i più frequentati dai personaggi di Tabucchi).
4 – LA FINZIONE
Per definirla basta ricordare Puškin, Conrad e Pessoa citati, tradotti, collocati in esergo, e la sciarada esoterica del Marinaio di
Pessoa che Tabucchi pone a continuazione dell’aforisma del IV atto della Tempesta shakespeariana («Noi siamo della stoffa / Di cui
sono fatti i sogni…»):
Ho pianto tante lacrime sulla finzione (Puškin)
Prima si fa l’opera e poi si riflette su essa (Conrad)
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Il poeta è un fingitore / finge così completamente / che arriva a fingere che è
dolore / il dolore che davvero sente (Pessoa)
ma anche il «Chi era Ecuba per lui» dell’Amleto; e poi Un baule
pieno di gente, Autobiografie altrui, dove, con raffinati, borgesiani
giochi di specchi, l’autore indaga e riflette su sé e gli altri, fuori e
dentro la finzione.
5 – L’IMPEGNO
Quello che gli impediva di tacere se era in gioco la libertà (dunque
prendeva sempre la penna contro ogni discriminazione, o persecuzione, ogni nazismo, o fascismo, o stragismo, storici o meno che
fossero), pur sapendo che uno scrittore ha anche strumenti o
obiettivi «più consoni», e che la vera fedeltà è quella che si deve alla propria “ispirazione” e alla propria scrittura. Dunque, mentre
con grande coraggio combatteva sui giornali ribellandosi ad ogni
facile acquiescenza, era come se brechtianamente pensasse che sarebbe stata «beata» una patria che non avesse avuto bisogno, non
solo di eroi, ma neppure del suo engagement.
6 – I LIBRI
E qui le citazioni si fanno difficili, perché, accanto ad autori che sono un costante ipotesto (Pessoa), ce ne sono altri che appaiono
spesso nella narrativa o nella straordinaria saggistica tabucchiana.
Ci limitiano alla prima: Cervantes, Calderón, Stevenson, Melville,
Dostoevskij, James, Conrad, Čechov, Kipling (che avrebbe voluto
autore dei Treni che vanno a Madras), Joyce, García Lorca, Drummond de Andrade, Barthes, la Sontag… Ma viene voglia di evocarne altri, più nascosti, che pure agiscono con una forza che continua a stupire. Penso a Les Natchez di Chateaubriand, al Baudelaire di Anywhere out of the word, a tanta narrativa portoghese e
ispano-americana (Cortázar), alla poesia italiana (da Dante a Leopardi; ma nella narrativa da citare almeno Svevo, Gadda, Levi, Pasolini…), francese, greca (l’amato Kavafis)… E i greci alle origini,
con la filosofia antica (i presocratici, i sofisti), la tragedia. E alla fine la Szymborska, che negli ultimi anni non mancava mai di ricordare e regalare agli amici.
7 – LA MUSICA
Chopin, Schubert…, ma soprattutto le nenie (e filastrocche) dell’infanzia, ricordate da Tristano, alcuni canti di guerra (Lili Marle-
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ne), le ballate di De André, le canzoni napoletane, quelle francesi,
il fado…, tutto quanto nella canzone riporta all’antico, al perduto,
ai sogni, ai ricordi. «Struggenti canzoni, che ora sento cantate da
una voce incrinata dalle offese del tempo, dalle rigature del vecchio disco recuperato che i tecnici non sono riusciti a cancellare,
mentre i tasti del pianoforte sfiorati dalle dita di Lorca evocano atmosfere perdute, sono fragili fantasmi che evocano una cultura antica e raffinata che fu offesa e violentata dalla rozzezza degli stivali
militari dei franchisti» (così in García Lorca, il poeta assassinato, sul
“Corriere della Sera” del 31 maggio 1998), a dire anche quanto la
musica si intrecci alla storia, e alle tracce lasciate nel tempo.
8 – I QUADRI
Inutile ricordare ancora una volta il Beato Angelico di San Marco
a Firenze (da cui I volatili del Beato Angelico); la Battaglia di San
Romano di Paolo Uccello; l’onnipresente Velázquez, su cui si apre
il Gioco del rovescio; Bosch, che con i suoi trittici, gli animali allegorici e il rimorso attraversa la narrativa (dall’Angelo nero a Requiem) o il Goya delle incisioni sui disastri della guerra (di cui si sarebbe ricordato anche nell’Oca al passo). Piuttosto il Van Gogh
del Pont de Langlois, un piccolo quadro conservato a Colonia che
è il punto di partenza, lo sfondo, lo spunto della Traduzione (un altro dei racconti dei Volatili), e le opere degli artisti moderni (Adami, Pericoli…) su cui non pochi pezzi di Racconti con figure.
9 – IL ROVESCIO
Che è tutto: con l’oscillazione tra realtà e allucinazione, probabile
e possibile, rêves e revés. «Gioco del rovescio», sì che non si sa mai
da quale parte dello specchio ci si trovi davvero, dove sia la verità,
dove la menzogna. Dove l’arte, dove la vita.
10 – IL SOGNO
Più che di sogni9 (a cui pure avrebbe dedicato uno splendido libro:
Sogni di sogni), i suoi personaggi sono affetti da quanto vi si combina: il sonno, raro, dunque soprattutto l’insonnia, che, con Blanchot, «rende la notte presente», consentendo di vivere entro il suo
leggero delirio. Nutrendo anche la scrittura, alimentando le storie,
consentendo raddoppiamenti.
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11 – I VIAGGI
Viaggi veri o immaginari, autobiografici o per interposta persona, in
treno o in aereo, in movimento o in mobilità ridotta, dentro le storie o dentro i libri… Viaggi e altri viaggi, come recita il titolo di uno
degli ultimi libri, quando poi si ricordi che il «senso di Itaca è del
resto il viaggio di Ulisse, come ci dice la straordinaria poesia di Costantino Kavafis (“Itaca ti ha dato il bel viaggio / senza di lei non saresti mai partito: cosa vuoi di più?”). Che poi è anche uno dei sensi
della letteratura, che nasce dal desiderio per suscitare il desiderio».10 Senza dimenticare che i viaggiatori dei romanzi-racconti di
Tabucchi sono per lo più viaggiatori immobili: frequentano le stazioni, gli ospedali, gli hotel, gli scompartimenti ferroviari, e vivono
e parlano soprattutto al buio, alla tenue luce delle veilleuses.
12 – LA VITA
Dentro la quale sta tutto: gli amici, il cinema, la cucina, la finzione,
l’impegno, i libri, la musica, i quadri, il rovescio, il sogno, i viaggi…, la vita.
1
A. TABUCCHI, Gli eredi ringraziano, in Racconti con figure, a cura di T. Rimini, Sellerio, Palermo 2011, pp. 139-156 (sono di Tabucchi gli aggettivi che, nel testo, definiscono la lacca di garanzia).
2
Per ogni indicazione, anche della bibliografia sull’autore, sia consentito il rinvio a A.
DOLFI, Tabucchi, la specularità il rimorso, Bulzoni, Roma 2006 e EAD., Gli oggetti e il
tempo della saudade. Le storie inafferrabili di Antonio Tabucchi, Le Lettere, Firenze
2010. Cfr. anche, oltre agli atti degli incontri di Parigi e di Aix-en-Provence, per quanto più specificamente ci riguarda, I “notturni” di Antonio Tabucchi, Atti di seminario
(Firenze 12-13 maggio 2008), a cura di A. Dolfi, Bulzoni, Roma 2008.
3
A. TABUCCHI, Muse assenti, muse presenti, in La letteratura come enigma ed inquietudine, in Dedica a Antonio Tabucchi, a cura di C. Cattaruzza, Associazione Provinciale
per la Prosa, Pordenone 2001, p. 56.
4
«A me non interessa il divorzio, mi interessa la passione. Il divorzio non è letterario,
è un argomento noiosissimo che serve solo agli americani per i loro film. Il melodramma, invece, è la forma moderna della tragedia» (ibidem).
5
Di tutto resta un poco. Scritti su letteratura e cinema, a cura di A. Dolfi, la cui uscita
è prevista da Feltrinelli per la primavera 2013.
6
Cfr. A. TABUCCHI, La forza di un destino, in “Corriere della Sera”, 14 ottobre 1999,
p. 35: «Posseggo ancora i primi dischi di quella straordinaria esibizione [all’Olympia di
Parigi negli anni cinquanta…]: un 45 giri dove il suo bel volto squadrato e tragico di
donna del Sud […] il paradigma del Portogallo di allora. E un 78 giri dove è fotografata in scena, al teatro parigino, a mezzaluce, mentre sta cantando. Ha la posa statuaria di
un sacerdote che sta celebrando un rito, la testa orgogliosamente alta, uno scialle nero
di trina sulle spalle. Ed è bellissima. Credo che sia anche attraverso quella sua postura
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ANNA DOLFI
che Amalia è entrata nel nostro immaginario: perché ha fatto capire che il fado non è solo una manifestazione canora, ma un fatto antropologico, un modo di esprimere la vita,
le sue contrarietà e spesso le sue disgrazie: e di dolersene con il pudore e il rispetto che
la vita comunque merita, anche quando essa è una sciagura […]. Questa carica di valenze e misteri, Amalia non la portava solo nella sua bellissima voce ma anche nel modo
di cantare il fado, recuperando una espressione che era sempre stata relegata nelle taverne o nei lupanari ed elevandola alla dignità di una musica che poteva essere eseguita
nei grandi teatri del mondo. Che sia diventata un’icona non stupisce […]. Amalia aveva simpatie salazariste, cosa non difficile da capire se si pensa alla sua carriera. Ragazzina venditrice di arance con la cesta sulla testa nei rioni di Lisbona, scoperta negli anni
quaranta da un potente signore […]. A quelle sue origini Amalia doveva la sua fortuna.
Qualche sciocco esagitato, nel ’75, nel momento più convulso della rivoluzione portoghese, aveva preteso di metterla al bando per questo suo presunto “collaborazionismo”, dimenticando che Amalia aveva anche interpretato con ineguagliabile maestria
poesie di grandi poeti antifascisti. Come Alexandre O’Neill o David Moura~o Ferreira,
con le musiche di un musicista di eccezione come Alain Ulmann, uno dei maggiori
compositori di fados che pur non essendo portoghese ce ne ha regalato fra i più belli,
forse perché del fado sentiva da Ebreo nomade quale fu che esso era una musica “lontana”».
7
Ma sul cinema cfr. T. RIMINI, Album Tabucchi. L’immagine nelle opere di Antonio
Tabucchi, Sellerio, Palermo 2011.
8
Ma a questo proposito, e non solo, cfr. A. DOLFI, Cinéma, cinéma, in De l’image
dans la littérature et de la littérature à l’image. Du muet à la vidéo. Littératures espagnole et italienne des XIXe, XXe et XXe siècles, Actes du colloque international (Paris 1921 mai 2011), sous la direction d’A. Allaigre, M. Fratnik et P. Thibaudeau, [numero
monografico di] “Travaux et documents”, 2011 (in corso di stampa).
9
Ma sul sogno in Tabucchi si veda soprattutto N. TRENTINI, Una scrittura in partita
doppia. Tabucchi fra romanzo e racconto, Bulzoni, Roma 2003.
10
A. TABUCCHI, Da Atlantide a Lisbona, le città del desiderio, in “Corriere della Sera”,
18 dicembre 1998.